LA VITA INTERIORE (27)

LA VITA INTERIORE E LE SUE SORGENTI (27)

Sac. Dott. GIOVANNI BATTISTA CALVI

con prefazione di Mons. Alfredo Cavagna Assistente Ecclesiastico Centr. G. F. di A. C.

Ristampa della 4° edizione – Riveduta.

TENEBRE DISSIPATE

LA VITA D’ABBANDONO

LA VIA.

Fede, fiducia, confidenza, amore… abbandono. Ecco tracciata la via all’abbandono. Le radici sono nella fede, nello spirito di fede. L’anima che opera con fede, acquista la fiducia. Chi opera con fiducia in Dio sente la confidenza; il passo dalla confidenza all’amore, è brevissimo. L’amore puro e santo porta all’abbandono. Per raggiungere l’unione con Dio, cioè la vita interiore, è necessario abbandonarsi filialmente e umilmente alle sante disposizioni della volontà di Dio.

DIO IN NOI.

Per mezzo dello spirito di fede noi vediamo Dio in tutto, e in tutto lo sappiamo presente e operante; soprattutto in noi, nei nostri cuori. Gioiosa, consolante verità. Ma, purtroppo, quanto è ignorata questa grande verità! Possiamo ricordare, qui, le parole che Gesù rivolse a Filippo, nell’ultima cena: tanto tempo che sono con voi, e voi non mi avete ancora conosciuto? (GIOV., XIV, 9). Dio abita realmente in noi sino dall’istante in cui abbiamo ricevuto il Battesimo. Allontanati, disse, infatti, allora, il sacerdote, allontanati, o satana, da questo fanciullo, perché diventi il tempio del Dio vivo, e lo Spirito Santo abiti in lui. È certo che se noi non l’abbiamo allontanato col peccato mortale, Dio continuò e continua ad abitare in noi. Cioè: noi e Gesù facciamo una cosa sola; così, noi per mezzo di Gesù possiamo tutto; così realmente Gesù vuole che facciamo nostri e coltiviamo come mostri i suoi interessi: la gloria del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo; mentre Egli fa, e considera come suoi i nostri interessi, la santificazione nostra. Ma, in verità, quanto poco abbiamo pensato all’Ospite divino che vuole vivere e vive unito con noi! Dobbiamo confessare amaramente con santa Teresa: « Io comprendo di avere un’anima, ma la stima che merita quest’anima, ma la dignità dell’Ospite divino che vi abitava, ecco ciò che non comprendevo. Le vanità della vita erano una benda che mi coprivano gli occhi. Se avessi compreso, come lo capisco ora, che un sì gran Re abitava il piccolo palazzo dell’anima mia io non l’avrei lasciato così frequente solo! ».

ITINERARIO A DIO.

E se col peccato avessimo allontanato, cacciato, perduto Dio? Delle vie che riconducono a Dio, quella più segnata d’orme è la via del dolore. Il figliuolo prodigo, ritrovò il cammino della casa paterna quando alla sua pena non diedero più lenimenti le lascivie e le gozzoviglie delle città idolatre. La gioia e le lautezze fanno obliosi. Tutti gli altari, purtroppo, hanno sempre avuto più tributo di pianto che d’inni. Il grido di sant’Agostino: Inquietum est cor nostrum, Domine, assomma un’esperienza che è di tutti i tempi. Dio prorompe dalla sventura, e mentre l’anima lo ricerca tribolata e piena d’affanno, diventa ebbra di gioia nel ritrovamento. In quei momenti l’anima avverte Dio, ancora oscuro, ma presente. Non ama interpreti né intermediari, né formule. Pare che l’anima così dica: io voglio cercarti da me… parlarti direttamente, offrirti con le mie mani il dono della mia anima così come tu l’hai fatta… Picchio a te, supplico a te. Aprimi. Il mio cuore ha sete di te… Ha bisogno di appoggiarsi a una speranza, di legarsi a una certezza. (Dio è qui. Mondadori, Milano, 1927). Questo Dio che il tribolato chiama e cerca dappertutto, nel cuore degli uomini, negli aspetti delle cose, nella tripudiante testimonianza della natura, appare, a poco a poco, preciso e radiante e splendente: è il Dio dell’amore vero, dell’amore puro, il Dio della Misericordia infinita che toglie ogni tremore, che cancella ogni angoscia, asciuga ogni lagrima, che inonda di luce, vivifica di amore e stringe paternamente al cuore le anime, le anime dei suoi figli… che tornano a inebriarsi del suo amore.

NOI CON DIO

In due modi possiamo noi « povere creature umane », accettare la santa volontà di Dio: a stento, o con piena fiducia, con sereno abbandono… La vita interiore è in questa seconda maniera, nell’uniformità del nostro col volere di Dio. Perché? Ecco: Sono creatura tua. Fa di me ciò che tu vuoi. Non chiederò perché. Accetterò i tuoi decreti come si accetta il giro delle stagioni, il pullulare del germoglio e il distaccarsi della foglia secca, l’impennarsi del cavallone schiumoso e l’abbattersi contro la clamorosa scogliera (Ibidem). L’anima comprende che il vero e unico suo bene consiste nell’eseguire la santa volontà di Dio. La volontà di Dio diventa, adunque, oggetto dei desideri e delle compiacenze della nostra anima. « Essa sa che la mente di Dio pensa a lei e il suo Cuore ordina e dispone le cose a suo profitto: perché, adunque, dovrebbe essa ancora pensarvi e occuparsene, come se non le bastasse la sapienza infinita e la immensa bontà del suo Dio? Essa si abbandona pertanto ciecamente e tranquillamente al corso delle cose, come esso viene guidato dalla Divina Provvidenza; quali si siano gli avvenimenti, essa prova uguale soddisfazione, poiché in qualunque circostanza impera il volere di Dio, suo bene e sua felicità: che si avverino piuttosto tali che tali altre cose, non è affare dell’anima, ma di Dio, per essa ciò che importa è che ogni avvenimento risponda alla volontà divina. » Questo è il vero spirito di abbandono, che costituisce l’essenza della vita spirituale e della santità » (Op. cit., p. 417). Benché i nostri cieli siano oggi sbarrati dai fili del telegrafo e nella chiarità dei nostri orizzonti spicchino molti fumaioli, i campanili non sono diminuiti né di numero né di altezza. Vogliamo dire che l’apprendimento e la pratica dell’abbandono in Dio non è, poi, una cosa tanto difficile da pretenderne la riserva per alcune anime privilegiate, e l’esclusione per le altre tutte.

MOTIVI DI QUESTO ABBANDONO.

Sono molti. Ma sia sufficiente ricordare: Gesù è buono; Gesù accoglie tutti, sempre; Gesù è misericordioso; Gesù è fedele. Basta che la nostra anima si fermi un istante su queste considerazioni e ne sarà immediatamente persuasa, convinta. Non è Gesù che disse: ego sum pastor bonus? Sì il buon pastore che cerca le sue pecorelle… Di lui, il Vangelo, dice: «percorreva la Galilea, la Samara, la Giudea, insegnando nelle sinagoghe dei Giudei e annunziando il Vangelo del regno, guariva tra i popoli ogni languore e ogni infermità (MATT., IV, 23)… E folle numerose accorrevano a Lui, conducendo seco sordi, ciechi, paralitici, malati e molti altri, che deponevano ai suoi piedi, ed Egli li guariva (MATT.; XV, 30). Poiché Gesù è buono, accoglie tutti. Questa è la prova di un buon cuore. — « Durante la sua vita terrena accoglieva tutti con la medesima benevola bontà. La sua fronte era sempre calma e il suo occhio sorridente. Tutti potevano avvicinarlo senza timore, e l’avvicinavano, infatti. » I farisei e i sadducei vanno ad esporgli le difficoltà e a tendergli tranelli. Gesù dissipa i loro intrighi con una parola luminosa, con una diversione inattesa, con un miracolo, ma non li scaccia. » I ricchi l’invitano alla loro mensa, talora per sincera ammirazione, talora per vana ostentazione, Gesù accetta l’invito e qualche volta, non invitato, s’invita da se stesso. » Frequenta la casa dei grandi come il tugurio del povero, va a riposarsi nella villa di Lazzaro, a Magdala, come nella capanna della suocera di Pietro, il pescatore. » Accoglie, con la medesima bontà, il giovane ricco, il dotto Giuseppe d’Arimatea il mendicante cieco, seduto lungo la via e lo sventurato coperto di lebbra, che da lontano implorava la sua clemenza. » Distribuisce i suoi benefizi a tutti. Resuscita Lazzaro, suo amico; e restituisce l’orecchio a Malco, suo persecutore. Richiama alla vita la figlia del gran sacerdote Giairo, e il figlio unico della vedova di Naim. Gesù è sempre buono e cortese. » Ha qualche preferenza e la rivolge ai fanciulli, ai poveri, agli umili » (Schryvers, L’amico divino, pag. 418-1 9, Torino). – È misericordioso. L’infinita sua misericordia è la principale manifestazione della sua onnipotenza. Fu la sua misericordia, che l’indusse a lasciare il cielo per la terra, a soffrire e a morire per salvarci! Ha compassione della folla che lo segue… Attende al pozzo la Samaritana, e, dolcemente, la persuade a riconoscersi colpevole. Piange sulle sventure di Gerusalemme, su la morte di Lazzaro. Libera la Maddalena dai demoni e folgora Paolo su la via di Damasco, trasformandolo in un suo invincibile atleta. Di più: Gesù è fedele. L’ha voluto dire e confermare egli stesso: Io dò la mia vita per le pecorelle (Giov., X, 15); e: Nessuno strapperà dalle mie mani coloro che il Padre mi ha dato (Giov., X, 28). – Talora Gesù ci sembra lontano lontano, o almeno, assente. Ma non è così. Risvegliamo anche noi, come gli Apostoli sul lago di Genezareth, Gesù che ci sembra addormentato. Scuotiamo le nostre ali, eleviamo il volo, corriamo alla divina sorgente; e ripetiamo la preghiera insistente a Gesù dolce, a Gesù Amore: Dammi da bere di quell’acqua che sola può dissetarmi, ché, chi ne beve una volta non ha più sete mai.

CONCLUDENDO.

La volontà di Dio, è duplice. Comprende cioè quello che dobbiamo fare noi e quello che Dio vuole fare in noi stessi. Ci richiede, cioè, il Signore, che noi operiamo, e che operando, sottomettiamo, adattiamo noi, dolcemente, all’azione sua. Tutto, però, è sempre secondo le divine disposizioni, momento per momento. Dio si serve degli avvenimenti, delle cause seconde; per mezzo di esse ci annuncia la sua volontà. Ascoltare, accettare, eseguire queste divine disposizioni è abbandono in Dio, è unione con Dio, è vita interiore. Ma questa, è vita di abbandono, non tanto della creatura verso Dio, quanto di Dio alla creatura. « In verità è più abbandono di Dio che nostro. Abbandono significa rinuncia e sacrificio. Ora che cosa noi rinunciamo, quando ci diamo a Dio? Non solo non rinunciamo a nessun bene, ma ci arricchiamo di ogni bene e di ogni fortuna » (A. Gorrino, op. c., pag. 420.).

LA VITA INTERIORE (28)