DOMENICA IV DOPO PASQUA (2022)

DOMENICA IV DOPO PASQUA (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La liturgia di questo giorno esalta la giustizia di Dio (Intr., Vang.) che si manifesta col trionfo di Gesù e l’invio dello Spirito Santo. « La destra del Signore ha operato grandi cose risuscitando Cristo da morte » (All.) e facendolo salire al cielo nel giorno dell’Ascensione. È bene per noi che Gesù lasci la terra, poiché dal cielo Egli manderà alla sua Chiesa lo Spirito di verità (Vang.), per eccellenza, che viene dal Padre dei lumi (Ep.). Lo Spirito Santo ci insegnerà ogni verità (Vang., Off., Secr.), esso « ci annunzierà » quello che Gesù gli dirà e noi saremo salvi se ascolteremo questa parola di vita (Ep.). Lo Spirito Santo ci dirà le meraviglie che Dio ha operate per il Figlio (Intr., Off.) e questa testimonianza della splendida giustizia resa a Nostro Signore consolerà le anime nostre e ci sarà di sostegno in mezzo alle persecuzioni. Siccome, secondo quanto dice S. Giacomo, «la prova della nostra fede produce la pazienza e questa bandisce l’incostanza e rende le opere perfette », noi imiteremo in tal modo la pazienza del nostro Dio « e del Padre nostro », nel quale « non vi è né variazione né cambiamento » (Ep.), e « i nostri cuori saranno allora là dove si trovano le vere gioie » (Or.). Lo Spirito Santo convincerà inoltre satana e il mondo del peccato che hanno immesso mettendo a morte Gesù (Vang., Comm.) e continuando a perseguitarlo nella sua Chiesa.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XCVII:1; 2
Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Ps XCVII: 1
Salvávit sibi déxtera ejus: et bráchium sanctum ejus.

[Gli diedero la vittoria la sua destra e il suo santo braccio.]

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja.

[Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui fidélium mentes uníus éfficis voluntátis: da pópulis tuis id amáre quod prǽcipis, id desideráre quod promíttis; ut inter mundánas varietátes ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gáudia.

[O Dio, che rendi di un sol volere gli ànimi dei fedeli: concedi ai tuoi pòpoli di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti; affinché, in mezzo al fluttuare delle umane vicende, i nostri cuori siano fissi laddove sono le vere gioie.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli
Jas I 17-21
Caríssimi: Omne datum óptimum, et omne donum perféctum desúrsum est, descéndens a Patre lúminum, apud quem non est transmutátio nec vicissitúdinis obumbrátio. Voluntárie enim génuit nos verbo veritátis, ut simus inítium áliquod creatúræ ejus. Scitis, fratres mei dilectíssimi. Sit autem omnis homo velox ad audiéndum: tardus autem ad loquéndum et tardus ad iram. Ira enim viri justítiam Dei non operátur. Propter quod abjiciéntes omnem immundítiam et abundántiam malítiæ, in mansuetúdine suscípite ínsitum verbum, quod potest salváre ánimas vestras.


[Caríssimi: Ogni liberalità benefica e ogni dono perfetto viene dall’alto, scendendo da quel Padre dei lumi in cui non è mutamento, né ombra di vicissitudine. Egli infatti ci generò di sua volontà mediante una parola di verità, affinché noi siamo quali primizie delle sue creature. Questo voi lo sapete, miei cari fratelli. Ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira. Poiché l’uomo iracondo non fa quel che è giusto davanti a Dio. Per la qual cosa, rigettando ogni immondezza e ogni resto di malizia, abbracciate con animo mansueto la parola innestata in voi, la quale può salvare le vostre ànime.]

L’Apostolo S. Giacomo, detto il Minore, era venuto a conoscere che tra i Cristiani convertiti dal Giudaismo e disseminati fuori della Palestina serpeggiavano gravi errori, nell’interpretazione della dottrina loro insegnata, specialmente rispetto alla necessità delle buone opere. Inoltre, in mezzo alle tribolazioni cui andavano soggetti, c’era pericolo che riuscissero a farsi strada le vecchie abitudini. Per premunire contro l’errore questi suoi connazionali dispersi, e per richiamarli a una vita più austera, S. Giacomo scrive loro una lettera. In essa si insiste sulla necessità che alla fede vadano congiunte le buone opere. Si danno, poi, varie norme, perché tanto nella vita privata, quanto nelle relazioni sociali siano guidati da uno spirito veramente cristiano; e vengono confortati nelle loro tribolazioni. L’Epistola è tolta dal cap. 1 di questa lettera. Da Dio deriva ogni bene. Da Lui abbiamo avuto il dono inestimabile della vita della grazia, per mezzo della predicazione del Vangelo, parola di verità. Questa parola di verità ciascuno deve accogliere con prontezza, con semplicità, con spirito di mansuetudine.

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Ps CXVII:16.
Déxtera Dómini fecit virtútem: déxtera Dómini exaltávit me. Allelúja.

[La destra del Signore operò grandi cose: la destra del Signore mi ha esaltato. Allelúia.]


Rom VI:9
Christus resúrgens ex mórtuis jam non móritur: mors illi ultra non dominábitur. Allelúja.

[Cristo, risorto da morte, non muore più: la morte non ha più potere su di Lui. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem

Joannes XVI: 5-14

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia hæc locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: expédit vobis, ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille, árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício. De peccáto quidem, quia non credidérunt in me: de justítia vero, quia ad Patrem vado, et jam non vidébitis me: de judício autem, quia princeps hujus mundi jam judicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quæcúmque áudiet, loquétur, et quæ ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis.

[In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Vado a Colui che mi ha mandato, e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico il vero: è necessario per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito, ma quando me ne sarò andato ve lo manderò. E venendo, Egli convincerà il mondo riguardo al peccato, riguardo alla giustizia e riguardo al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché io vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato. Molte cose ho ancora da dirvi: ma adesso non ne siete capaci. Venuto però lo Spirito di verità, vi insegnerà tutte le verità. Egli infatti non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito: vi annunzierà quello che ha da venire, e mi glorificherà, perché vi annunzierà ciò che riceverà da me.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

« VADO A COLUI CHE MI HA MANDATO »

Finita la Cena, l’ultima Cena della sua vita terrestre, Gesù disse agli Apostoli tenerissime cose. E soggiunse: « Ed ora torno a Colui che mi ha mandato ». Non era la prima volta, quella sera, che il Maestro parlava di partire: durante la Cena, quando stavano mangiando l’agnello pasquale e poi dopo, al momento solenne in cui aveva consacrato il pane ed il vino, Gesù aveva lasciato capire che era giunta la sua ultima ora. Non aveva anzi mancato di accennare chiaramente che lo attendevano ore di persecuzione e di sangue. Eppure, nessuno dei suoi parlava. « Come? — disse Gesù — non parlate? Vi ho detto che vado a Colui che mi ha mandato e nemmeno uno di voi mi domanda: dove vai? ». Gli Apostoli erano tristi, molto tristi, perché presagivano cose oscure, ma nessuno di loro, neppure S. Pietro, neppur S. Giovanni, sapeva certo quello che stava per succedere; tuttavia, pareva non si dessero cura di conoscerlo dal loro Maestro. Era forse cosa da poco l’andare al Padre ed affrontare la morte? Per questo Gesù esce in un accento di dolce rimprovero; quella noncuranza lo feriva: almeno i suoi prediletti era giusto si interessassero della sua Persona! Gesù sapeva che non era una negligenza colpevole quella che rendeva gli Apostoli così taciturni: la eccessiva tristezza aveva fatto dimenticare quanto, in quegli istanti, era necessario chiedere. Noi, invece, proprio per colpevole negligenza ci dimentichiamo di chiedere a noi medesimi: « Dove vai? ». Anche noi, vedete, come Gesù, andiamo al Padre. Quando preghiamo, allorché ci rechiamo alla Chiesa e ci accostiamo ai Santi Sacramenti, siamo i figli che si avvicinano al Padre: la Chiesa, i Sacramenti sono fatti apposta per renderci sempre più figlioli degni del Padre Celeste. E questo è cosa da poco? Eppure quante volte andiamo in Chiesa, senza domandarci: « Quo vadis? ». Anche noi, come Gesù, siamo incamminati alla morte: e la morte è proprio cosa da nulla? Eppure, sono troppo rari i momenti in cui pensiamo ad essa. Quest’oggi il Signore vuol farci riflettere che alle cose importanti bisogna pensare di più. – ANDIAMO A DIO QUANDO CI RECHIAMO IN CHIESA. Mentre un reggimento di fanteria soggiornava ad Orléans, il parroco della Cattedrale aveva osservato che ogni giorno, nel pomeriggio, dalla una alle tre un soldato se ne stava, riverente ed immobile, in mezzo alla Chiesa. Dopo la genuflessione, era là ritto per due ore continue con lo sguardo al Tabernacolo. Si recò un giorno a visitar la Cattedrale un capitano, ed il curato gli raccontò la cosa. « Se aspetta pochi minuti, Ella stessa potrà vedere ». Scoccò l’ora, ed ecco giungere il buon soldato che si mette al suo posto. Il capitano lo guarda, lo riconosce, e chiamatolo a sè: « Che fai, a quel luogo? » « Due ore di sentinella al mio Dio » rispose con franchezza il soldato. « A Parigi i grandi Ministri hanno le loro guardie; qui il mio generale ne ha due, il colonnello una… e il Re dei re, Gesù Cristo, non ne avrà alcuna? Ci vengo io, per due ore, perché Gesù Cristo io Lo amo ». « Far la sentinella al Re dei re » ecco quanto dovremmo pensare quando ci rechiamo alla Chiesa. Proviamo a riflettere e forse dovremo dire che noi trattiamo Dio più male di una persona qualunque di questo mondo. Domandiamoci invece: « Dove vai? » e dall’interno del cuore ascoltiamo una voce identica a quella di Gesù: « Vado a Colui che mi ha mandato ». – Nella Chiesa, nel Tabernacolo c’è Iddio che mi ha creato a preferenza di molti altri che non videro e non vedranno mai la vita. Colui che ha fatto dal nulla tutte le cose, al quale ubbidiscono i cieli, la terra il mare è là nascosto sotto poche specie di pane. Ci vuole il rispetto! Ma soprattutto ci vuol l’amore, la confidenza, i sentimenti dei figli. Sì, perché le nostre Chiese racchiudono l’Amore infinito. Esse non devono sembrarci fredde ed oscure, ma calde e piene di soave raccoglimento, c’è il fuoco di Colui che è venuto per accendere la Vita; c’è la luce di Cristo che è Verità e Via ad ogni uomo che viene in questo mondo. Attorno agli altari di Dio pensiamo pure alle parole del Signore: « Tremate nel mio Santuario »; ma soprattutto pensiamo a Gesù che ci dice: « Venite a me, voi che siete affaticati! ». Saremo sentinelle di Cristo, non per forza, ma sempre solo per amore. – ANDIAMO A DIO, COLL’AVVICINARSI OGNI GIORNO ALLA MORTE. Si dice che a Pio IX sia capitato una volta di confessare un gran peccatore, che era venuto di lontano. Il Papa ascoltò difatti la sua confessione e fu edificato dall’esattezza che il penitente vi pose. Ma quando si trattò di dargli una penitenza, il forestiero non volle accettarne alcuna di quelle che il Santo Padre volle imporgli: nessuna gli andava a genio. Per digiunare era troppo debole; di leggere e di pregare non aveva tempo; gli affari poi gli rendevano impossibile qualunque pellegrinaggio. Il Papa allora ne pensò una bella. Aveva un anello d’oro con scritte queste parole: Memento mori! « Ricordati che devi morire! ». Lo volle regalare a quell’uomo ponendogli per penitenza che sempre lo portasse in dito ed almeno una volta al giorno leggesse e meditasse le parole che vi erano incise: « Ricordati che devi morire! » Contentissimo di una penitenza così leggera se ne andò quel penitente, ma di lì a non molto pensò lui stesso ad aggravare le sue mortificazioni. La vista di quell’anello lo penetrò talmente del pensiero della morte, che non cessava mai di dire: « Dal momento che sono condannato alla morte e dovrò presto ritornare a Dio, ciò che più importa è dunque fare una buona morte! Che cosa serve cercar di risparmiare ciò che la morte verrà presto a distruggere? ». Siamo stati creati da Dio ma qui sulla terra non dovremo starci sempre. Uno dopo l’altro andremo a finire nella terra del cimitero. Verrà un giorno che le campane suoneranno i mesti rintocchi per noi: una cassa, un funerale, qualche lagrima e poi … tutto quaggiù sarà finito. Ma se la morte fosse tutta qui ci sarebbe ben poco di male. Invece la morte ci porta al tribunale di Dio, e al cospetto di Cristo giudice dovremo rispondere di tutti i momenti della nostra vita. Saremo giudicati del male che abbiamo commesso e del bene che non abbiamo fatto. A quel Giudice giusto non sfuggirà neppure il minimo pensiero cattivo su cui fermiamo apposta la nostra mente; i peccati che avessimo stoltamente taciuto in confessione là saranno palesati e condannati. E la sentenza sarà irrevocabile: o l’Inferno per sempre, o il Paradiso per sempre. Se  è così perché non pensarci spesso? Perché non domandarci frequentemente: « Dove vai? ». Tant’è se la morte avanza inesorabile e, volere o no, bisognerà subirla: a che pro allontanarne il pensiero? Scriviamo allora se non sopra un anello d’oro, nella nostra mente: Ricordati che devi morire! Quando il desiderio dei danari tenterà di farti ribelle alla legge di Dio: Ricordati che devi morire! Se il fuoco delle passioni impure volesse bruciare qualche comandamento: Ricordati che devi morire. Se ti senti la smania di far bella comparsa e ti punge la brama di essere applaudito: Ricordati che devi morire! Soprattutto alla sera, quando, stanchi delle fatiche del giorno, ci corichiamo per prendere un po’ di riposo, ci accompagni il pensiero della morte. Verrà così spontaneo l’esame di coscienza sulle azioni della giornata e se mai ci fosse qualche cosa di male, un atto di dolore, un bacio al Crocifisso, il proposito di confessarci al più presto rinsalderà l’amicizia con Dio. Del resto noi siamo ancora nei gaudi pasquali: Cristo ha vinto, ha distrutto la morte. Ma questa vittoria non fu soltanto sua: con Cristo han vinto la morte coloro che gli sono uniti per mezzo della grazia: Se abbiamo nel cuore la grazia di Dio non abbiamo ragione di temere la morte. Essa è vinta; i vincitori siamo noi! – Quando saremo morti, ci porteranno qui, in chiesa, ed attorno al nostro cadavere i Sacerdoti ed i fedeli invocheranno la pace di Cristo e la preghiera dei Santi. Possano allora queste sante pareti parlar bene di noi al tribunale di Dio! Possa Gesù dal Suo Tabernacolo sorriderci ancora come nei giorni della nostra vita. Felici noi se in questa Casa di Dio avremo imparato la strada per giungere alla Reggia dei Cieli.

Quo vadis? Ogni Cristiano dovrebbe sempre rivolgersi questa domanda e poter dire con Gesù: « Io vado a Colui che mi ha mandato ». Invece quanti vivono senza mai pensare allo scopo principale della loro vita! Si dice che il poeta Aleardo Aleardi, dovunque andasse, portava con sé una bandiera per spiegarla ai piedi del letto ove dormiva, affinché i suoi occhi al primo svegliarsi potessero contemplare il simbolo del risorgimento italiano per cui egli aveva consacrato i suoi giorni e il suo ingegno. Se ogni mattina tutti i Cristiani richiamassero alla loro mente il fine della loro vita, anche le loro azioni sarebbero migliori. E se ogni giorno sventolasse davanti al loro occhi la bandiera dell’eternità a cui sono destinati, non perderebbero tanto tempo prezioso dietro alle vanità del mondo. Seneca, considerando l’affannoso correre degli uomini verso gli onori, i danari, i piaceri, quantunque non avesse fede, disse una saggia parola: « ludus formicarum ». E Salomone disse una parola più vera: « vanitas vanitatum ». E S. Paolo un parola più forte: « tutto ciò che non conduce al fine per me è una perdita, anzi è un’immondezza; io mi slancio verso la mèta segnata, e voi, fratelli, siate i miei imitatori ». Ad destinatum persequor (Filipp., III, 14). O Cristiani, avete meditato qual è il vostro fine? E se già lo conoscete, vi slanciate con tutte le forze, come dice l’Apostolo, trascurando ogni lusinga del mondo e sorpassando ogni difficoltà pur di raggiungerlo? Sono questi i due pensieri che sgorgano dal Vangelo e scendono oggi verso l’anima nostra: conoscere il nostro fine, tendere ad esso. Raccogliamoli. – CONOSCERE IL NOSTRO FINE. Quando Ottone III imperatore di Germania, sospinto dalla fama della santità straordinaria e dei miracoli che operava S. Nilo, si recò a visitarlo, gli offrì magnifici doni; ma il Santo, ringraziandolo umilmente, lo assicurò che nella sua povertà era così ricco da non bisognare di nulla. « Se non volete gradire i miei regali, — soggiunse allora l’imperatore, — almeno domandatemi qualche grazia, perché non si dica che un monarca sia venuto a chiedervi consiglio a mani vuote ». « Questo sì, — ripigliò il Santo, illuminandosi nel volto — questo sì! Ho una grazia, una sola e mi sta molto a cuore: pensate al vostro fine ». L’imperatore promise che avrebbe approfittato di quel ricordo. E fortunato lui, perché a ventidue anni appena, quando l’attendevano grandiosi trionfi politici, quando la sua promessa sposa, che veniva di Grecia, navigava verso l’Italia portandogli in dote tesori e terre, egli a Paternò moriva. Una grazia sembra che Gesù da questo Vangelo chieda a noi pure: pensiamo al nostro fine, perché troppo infelici saremmo se la morte ci sorprendesse mentre viviamo una vita senza scopo. Ma per conoscere il nostro fine è necessario prima conoscere il nostro principio. Donde veniamo? Questa vita chi ce la diede? Cento anni fa il mondo esisteva: ma vi erano gli uomini, le città, gli stati. Ma noi non eravamo ancora. Chi ci ha creati? Dio. «Le tue mani, o Signore, mi hanno fatto e plasmato tutto intiero ». Così è scritto anche nel libro di Giobbe (X, 8). Egli si è servito dei nostri genitori per darci la vita come si serve della terra per portarci, dell’aria per vivificare i nostri polmoni, dell’acqua per dissetarci. E infatti possono i genitori prolungare la vita dei loro figliuoli o impedirne la morte? No, perché non essi sono i creatori della vita. Ma se Dio è il nostro Creatore, noi siamo cose sue. L’utensile non è di colui che l’ha fabbricato con le proprie mani? E Iddio ci ha fabbricati con le sue mani dal fango della terra e ci ha soffiato sul volto un soffio di vita; perciò, Egli è il nostro padrone. Il campo non è di colui che l’ha comperato col proprio danaro e l’ha dissodato con il proprio sudore? E Dio appunto ci ha comperati col proprio sangue dalla schiavitù del demonio in cui eravamo caduti e ci ha santificati con la sua grazia; perciò, Egli è il nostro Salvatore. Ma perché Dio ha creato e redento l’uomo? Forse perché accumulasse ricchezze? L’avaro lo crede ma s’inganna. Forse perché insuperbisse negli onori? L’ambizioso lo pensa, ma cade in errore. Forse perché s’abbandonasse ai piaceri del senso? Il voluttuoso lo dice, ma si perde. No, Dio non ha potuto creare le cose che per se stesso. « Sono io il Signore — Egli dice — Io che ho creato i cieli e li ho distesi, che ho forgiato la terra e ciò che in essa germina; che dò il respiro a quelli che abitano in essa, e la vita a quelli che si muovono sopra di essa. Sono Io il Signore, tale è il mio nome, Io non darò la mia gloria ad un altro » (Is. XLII, 5). « Per me, per me solo opererò; ascoltami Giacobbe, ascoltami Israele! Sono io il primo e l’ultimo; io il principio, io la fine! » (Is., XLVII, 11-12). – Dunque l’uomo è creato per la gloria di Dio. Ma in qual modo possiamo noi dar gloria a Dio? Salvando l’anima nostra con l’osservanza dei comandamenti. Così, raggiungendo la nostra felicità eterna, noi raggiungiamo il fine ultimo che è la gloria di Dio. « Ascoltiamo tutti insieme, — dice lo Spirito Santo nell’Ecclesiastico, — l’ultima parola di ogni cosa: temi il Signore e osserva i suoi comandamenti perché questo è tutto l’uomo ». Hoc est enim omnis homo (Eccl., XII, 13). – TENDERE AL NOSTRO FINE. In una famiglia, il padre stava male. La madre angosciata manda il figlio di dieci anni a chiedere il medico. Il giovanetto parte. Mentre il malato si aggrava, si aspetta con ansietà, due ore, tre ore, quattro ore… e non arriva nessuno. Quando ritorna è già sera. « Figlio mio, — esclama la madre, — perché hai tardato tanto? È il medico, dov’è? ». « No, non l’ho veduto. — Risponde ingenuamente il figlio — Io ero partito per andare in cerca di lui; ma, strada facendo, ho veduto farfalle dalle ali bianche chiazzate d’oro e d’azzurro, e così belle che io non ho potuto trattenermi dal perseguirle di fiore in fiore, senza mai venire a capo. Per questo ho fatto tardi. Madre mia, quanto erano belle quelle farfalle! ». La condotta di questo fanciullo che si diverte a correre dietro alle farfalle, invece di cercare il medico per il padre agonizzante, ci desta un fremito d’indignazione. Ma ritorciamo contro di noi il nostro sdegno. Dio ci manda sopra la terra per trattare un affare importantissimo, anzi l’unico importante: si tratta di dare a Lui la sua gloria e di assicurare a noi la nostra felicità. Se ci comanda, è perché ne ha diritto, giacché noi Gli apparteniamo come cosa tutta sua. Orbene, che cosa facciamo noi spesse volte? Come quel fanciullo noi ci trastulliamo a correr dietro a farfalle tutta la giornata. In verità non sono come farfalle quei divertimenti, quei piaceri, quelle mode, quegli onori e tutti i beni effimeri di questa vita? Quo vadis? Dove vai? « A colui che mi ha mandato » rispose Gesù; e a Dio che ci ha creati, dobbiamo rispondere noi. Ma tende davvero al suo fine quel padre di famiglia che fa sentire tante cattive parole ai suoi figli nei momenti di collera, e che a loro non dà mai il buon esempio di accostarsi ai Sacramenti? Tende proprio al suo fine quella madre che alle figlie insegna più la vanità che il timore di Dio e che si fida di esse come se al mondo non vi fossero pericoli? Tende al suo fine quel giovane che non ascolta mai un po’ di parola di Dio e che non pensa ad altro fuor che a divertirsi nel giuoco e nei piaceri? Quo vadis? Ciascun di noi faccia i suoi conti, e interroghi se stesso, dove egli vada, correndo per quella strada che ha già intrapresa. –  Quando Loth doveva separarsi da Abramo, gli fu detto « Guarda tutta la terra d’intorno: tu sei padrone di scegliere la destra o la sinistra ». Loth alzò gli occhi e vide una contrada fertile, dolce, amabile, ridente, tal quale il suo cuore la sognava. Subito lasciò ad Abramo la regione che gli parve meno deliziosa ed egli con i suoi armenti discese in basso ad abitare i paesi di Sodoma. Et habitavit in Sodomis (Gen. XIII,12). Ben presto però, osserva S. Ambrogio, dovette pentirsi della sua imprudenza: sopra le sue terre vennero dei re nemici e lo fecero prigioniero; e appena riuscì a sfuggire dalle loro mani, ecco che una pioggia di fuoco discese dal cielo e distrusse le sue possessioni. È questo appunto che avverrà a molti Cristiani che nella vita han voluto scegliere la parte dorata e ridente dei piaceri e hanno trascurato la parte aspra del loro dovere. Il fuoco della morte distruggerà a loro ogni cosa. Se anche noi stiamo in questo numero e, dimenticando il fine per cui siamo stati creati, abbiamo soltanto pensato a vivere più comodamente che ci fosse stato possibile, oggi che la grazia di Dio ha aperto i nostri occhi, ripetiamo il gemito di Giobbe « … Signore! Dammi ancora un po’ di tempo perch’io pianga il mio sbaglio e lo ripari prima che mi tocchi d’andare senza ritorno nella regione tenebrosa e caliginosa della morte ». Antequam vadam et non revertar ad terram tenebrosam ed opertam mortis caligine.

.- « Quando verrà lo Spirito Santo convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia, al giudizio ».Queste severe parole — che or ora ho letto nel Vangelo, — Gesù le pronunziòche si faceva già sera, l’ultima sera di sua vita terrena. Nel cenacolo grande, ingiro alla mensa stavano gli Apostoli: il Figlio di Dio, nel mezzo, parlava tristemente. Non gli restavano che poche ore, e poi l’agonia, la cattura, il processo, lamorte. Egli sapeva tutto ed esclamò: « È meglio che me ne vada; perché se non vo, non discenderà lo Spirito Santo: appena me ne sarò andato, ve lo manderò. Maquando Egli verrà, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia, al giudizio »Il peccato era quello dei Giudei che invece di riconoscere in lui il Figlio di Dio, lo  chiamarono ossesso; la giustizia era quella che il Sinedrio e il Pretorio avrebbero. conculcato uccidendo barbaramente l’innocente Figlio dell’Uomo; il giudizio era l’infame sentenza con cui il tribunale di Caifa e di Pilato avrebbe condannato alla croce. Gesù Cristo, sentenza così infame che non poteva essere provocata se non da satana, principe di questo mondo. Ma egli è già giudicato (Cfr.: J. LAGRANGE, L’Evangelo di Gesù Cristo, Morcelliana, pag. 515). Disse ancora il Maestro divino: «Lo Spirito Santo ben saprà glorificarmi ». Ille me clarificabit. E con questo pensiero, senza esitare mosse incontro alla passione. crudele, alle umiliazioni brutali, agli insulti demoniaci che il mondo gli aveva. preparato.Il mondo e lo Spirito Santo! il primo disconosce, accusa, condanna Cristo; ma il secondo rovescerà il mondo in eterna rovina e Cristo, per Lui, sarà difeso, amato e glorificato dagli eletti. A meglio farvi comprendere le parole del Vangelo, mi son posto in cuore di svilupparvi due pensieri: che cosa è il mondo e perché dobbiamo. fuggirlo. – CHE COSA È IL MONDO. Ritornato Cristoforo Colombo dall’America, tosto si diffuse in tutta Europa la notizia di quella regione meravigliosa ove i frutti ingrossavano fino a schiantar le piante per troppo peso, ove ogni montagna nascondeva oro e ogni fanciullo si trastullava con perle. Accorsero allora uomini bramosi di godimento e di ricchezza. Con molte lusinghe avvicinavano gli indigeni e, ingannandoli, barattavano campanelli, specchietti, trastulli con verghe d’oro e d’argento. E se taluno, più accorto, non voleva cedere la sua ricchezza vera per quelle cianfrusaglie, con violenza veniva costretto ed ucciso. Il fremito d’indignazione che sentite a tali ignobili scaltrezze e crudeltà, vi può aiutare a comprendere che sia il mondo. Il mondo è un mercato diabolico. Satana conosce che per i meriti di Gesù Cristo Salvatore, noi siamo diventati possessori di inestimabili ricchezze; conosce anche la nostra ingenuità che spesse volte ci rende simili agli antichi selvaggi d’America, incapaci a valutare i nostri tesori. Ed egli, il maligno e il rapace, s’aggira sulla piazza del mondo per i suoi infernali baratti: quanti per la passione d’un momento gli cedono la gioia eterna! quanti per un piatto di lenticchie, per un pugno di orzo, per un bicchiere di vino, rinunciano al convito divino del Paradiso! Quanti ancora per l’amicizia con una donna pericolosa, con un uomo scostumato, si distaccano dall’amicizia di Gesù!… Povera gente, apri finalmente gli occhi! Non vedi che il mondo fin ora non ha fatto che illusi, infelici, vittime? Non vedi che te pure tradisce con i suoi specchietti, con i suoi campanelli, con le sue cianfrusaglie di cui non una ti verrà buona nel momento della morte? Ma se proprio vogliamo farci un’idea del mondo, ascoltiamo la parola di Gesù: Nel mondo non c’è verità. « Pregherò il Padre che mandi a voi lo Spirito della verità, che il mondo non può né ricevere, né conoscere » (Giov., XIV, 17). Non meravigliatevi dunque se vedrete tante frodi e tante ingiustizie, se udrete tante bestemmie e tante eresie. Nel mondo non c’è amore: « Siccome voi non siete del mondo, il mondo vi odia: egli non ama che i suoi » (Giov.; XV, 19). Ma anche i suoi ama per rovinarli eternamente. Nel mondo non c’è pace. « Dono e lascio a voi la mia pace: non io faccio come il mondo! » (Giov., XIV, 27). Provate, Cristiani, a pensare quando avete gustato la pace vera nella vostra vita dal giorno della prima Comunione: forse dopo i divertimenti del mondo, forse dopo aver ceduto ai desideri del mondo? No! ma solo quando lontani dal mondo, vi siete stretti a Gesù con una buona Confessione e Comunione. Nel mondo non c’è salvezza. È certo che nessuno si può salvare, se non per Gesù Cristo. Or bene Gesù Cristo ha escluso il mondo dalla sua redenzione. « Per il mondo io non prego!» (Giov., XVII, 9). Il mondo dunque non è la società in cui vivete, ma quella parte di società che vive nemica a Cristo e al suo Vangelo: dimentica di Dio, aggiogata alle passione, inebriata di piacere sensuale. A parlare propriamente il mondo è l’armento di satana: satana n’è il pastore e il principe. – FUGA DAL MONDO. S. Anselmo, rapito in estasi; vide un giorno un immenso fiume che travolgeva tutte le immondizie della terra, di modo che nessuna cloaca si trovò più schifosa di quella. Sulle nere e schiumose onde della fiumana, trasportati in rapina, biancheggiavano molti cadaveri di uomini, donne, ragazzi, ricchi, poveri, coi ventri rigonfi di melma. Avendo il Santo domandato che significasse quella visione, così gli fu risposto: «Il fiume è il mondo; e gli annegati sono i suoi amatori ». Vivesse ancora S. Anselmo, la sua visione non muterebbe, anzi si presenterebbe più spaventosa. Per questo è mio dovere alzare la voce, e ripetere il grido del profeta Geremia: « Fuggite da questa Babilonia, se volete salvare l’anima vostra » (LI, 6). In questa fuga, vi conforteranno i seguenti pensieri: 1) L’amore di Dio e l’amore del mondo non possono coabitare in uno stesso cuore; non si può con un occhio guardare l’azzurro del cielo e con l’altro il fango della terra. O il dovere glorioso o il piacere vergognoso! O Cristo o satana! S. Paolo, S. Giovanni, gli Apostoli e i loro successori hanno sempre predicato contro il mondo, i suoi teatri, le sue danze, le sue feste; con grande fermezza respingevano ogni neofito che non avesse voluto rinunciare ai piaceri del mondo. Quanta fede, quanta forza noi ammiriamo in quei primi Cristiani che rompevano assolutamente ogni relazione cogli idolatri, sfidavano l’odio dei tiranni, la rabbia dei carnefici! O secoli dei martiri, quanto siete lontani da noi! 2) Non basta fuggire il mondo, ma ciascuno deve industriarsi di mettere nell’amore di Dio e delle cose pudiche e sante quella smania che prima aveva per le cose mondane e peccaminose. « Risanate il vostro amore; — esclama S. Agostino –  e quell’impeto che prima vi spingeva al mondo, ora vi trasporti al Creatore del mondo » (In Ps., XXXIV). 3) Non scordiamoci di essere stranieri e pellegrini sulla terra: «Io vi avviso o fratelli, il tempo è breve: quelli adunque che sono sposati vivano mortificandosi come se non lo fossero; quelli che piangono come se non piangessero; quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano cose come se non possedessero; quelli che si servono del mondo come non se ne servissero: tutto passa e svanisce come un’ombra » (I Cor., VII, 29-31). – La regina Elisabetta d’Inghilterra aveva tra i nobili della sua corte uno splendido ballerino di nome Tommaso Pondo. Come egli danzava, tutti, in un delirio di applausi, gridavano: « Replica ancora la danza! Almeno una volta ancora! ». Ma un giorno era così stanco, che le forze non lo ressero ad un altro sforzo. Eppure anche la Regina diceva: « Replica! Replica! ». E Tommaso per compiacerla danzò; ma negli ultimi giri, la vertigine l’incolse. E cadde. Tutti risero. E la Regina disse anch’essa: « Alzati bue! ». Egli udì l’insulto: si morse le labbra e s’alzò. Al giorno dopo fuggì a casa sua lontano tra i monti: e più nessuno lo vide alla corte. Le ricompense del mondo sono sempre simili a queste. Fin tanto che la giovinezza, l’ingegno, il danaro ci sorreggono, mille lodi e mille sorrisi: ma appena una disgrazia, una malattia, un dissesto finanziario ci abbatte, non altro dobbiamo aspettarci che l’abbandono e l’insulto amaro: « Alzati bue! ». – « O mondo! — diceva un’anima piena di nobile sdegno — tu prometti ogni bene e non dài che mali; assicuri vita e rechi morte; annunci gioia e concedi amarezza: offri dei fiori, ma sono fiori sgualciti che avvizziranno senza lasciare frutto. Guai a chi si confida in te! felice chi ti contrasta! più beato chi può lasciarti senza ferita! » (Serm., XXX, nelle Op. S. Aug.). – « È necessario per voi ch’io vada; perché s’io non vado, il Paracleto non verrà » — Lo Spirito Santo non poteva venire prima della morte di Cristo perché gli uomini erano ancora schiavi del peccato originale; era necessario che Gesù morendo ci redimesse, affinché lo Spirito Santo, che non abita in un corpo soggetto al peccato, potesse venire in noi. « È  necessario per voi ch’io vada: perché vi possa preparare un posto, e quando lo avrò preparato, ritornerò da voi, e vi prenderò con me; e starete per sempre dove sarò io ». Noi in Paradiso, prima della morte di Cristo, non potevamo andare: era necessario che Gesù morendo entrasse per il primo e ce lo aprisse, perché anche noi dietro a lui vi potessimo entrare. Dunque, com’è stato buono, più che una mamma, Gesù. con noi! Prima di partire ha pensato a noi, per la nostra vita e per. la nostra morte. Per la nostra vita ci ha promesso lo Spirito Santo; per la nostra morte ci ha promesso che tornerà Lui a prenderci e a portarci dove Egli sta. Ciò che importa, adesso, è sapere quello che dobbiamo fare perché lo Spirito Santo abiti in noi in questa vita, e perché nell’ora della nostra morte venga Gesù a prenderci e condurci in Cielo. – PERCHÈ LO SPIRITO SANTO ABITI IN NOI. La Vergine siracusana, santa Lucia, fu accusata al governatore Pascasio perché rifiutava la mano d’un giovane idolatra. Essa si difese e disse: « Non ho promesso fedeltà a nessun uomo, ma solo a Dio ». Il governatore, adirato, comandò: « Fra i tormenti la si costringa a tacere! A lui rispose Lucia: « Le parole non mancheranno mai sulle labbra dei servi di Dio. L’ha detto Gesù: Quando vi troverete davanti ai re ed ai magistrati, non angustiatevi per le cose che dovete dire; lo Spirito Santo che è in voi vi suggerirà tutto » – « Dunque, lo Spirito Santo è in te? ». « Sì: coloro che vivono casti e pii sono templi dello Spirito Santo ». Allora il governatore maligno aggiunse: « Penserò a farti cessare di essere casta e pia e non sarai più il tempio dello Spirito Santo ». Ma la vergine, levate le mani e gli occhi al cielo, pregava. Ecco, o Cristiani: perché lo Spirito Santo abiti in noi è necessario vivere pii e casti. Pii: con la frequenza dei Sacramenti, con la preghiera in casa ed in chiesa. Casto: con l’onestà della vita, con la fuga dalle occasioni cattive, con l’amore alla propria famiglia. È vicina la Pentecoste, la grande festa che ricorda la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli: prepariamo i nostri cuori con una vita casta e pia. E se alcuno sentisse pesare sulla sua coscienza una grave colpa, si purifichi con la santa Confessione, altrimenti lo Spirito Santo non verrà in lui e non sentirà gli effetti della sua presenza. « Quando verrà lo Spirito consolatore — ha detto Gesù — egli v’insegnerà ogni verità ». Beate le anime caste e pie, perché da Lui saranno consolate! In ogni dolore, in ogni croce proveranno una soave dolcezza, perché lo Spirito Santo presente in loro, ascolterà ogni gemito e preparerà per essi una ricompensa eterna. Beate le anime caste e pie, perché da Lui saranno ammaestrate, e comprenderanno come tutte le cose di quaggiù non sono altro che un inganno, e non val la pena d’attaccare il cuore nostro ad esse. – PERCHÈ GESÙ RITORNI NELL’ORA DI NOSTRA MORTE. L’ora più terribile della vita è quella di nostra morte. Soffrire i mali dell’agonia che ci strapperanno stille di freddo sudore; chiuder gli occhi e non riaprirli più a vedere le persone e le cose amate; andar via da questo mondo senza portar via niente con noi, neppure un soldo, neppure un frustolo di pane; e non sapere dove si va e come sarà… Al di là della morte chi verrà a prenderci? Gesù o il demonio? Oh, se fossimo sicuri che verrà Gesù a condurci dove Egli è, a star sempre con Lui, a non morir più, a godere eternamente, come sarebbe dolce la morte! Sarebbe il termine d’ogni dolore, anzi l’inizio della gioia senza confine. Ebbene, Gesù ha promesso che tornerà a prendere i suoi discepoli per dare ad essi quel posto che si sono guadagnati in Paradiso. Quando il cappellano entrò nella stanza della santa di Lisieux morente, cercò di confortarla ad accettar la morte con rassegnazione. « Padre! — rispose santa Teresa, — non c’è bisogno di rassegnazione se non per vivere. A morire io provo gioia: perché Gesù stesso verrà a prendermi. E quando si è con Gesù non si muore ma si entra nella vita ». Beati quelli che muoiono bene! Morire bene: ecco lo scopo di tutto il nostro vivere. Ma noi sappiamo che nulla s’impara se non con l’esercizio e con la pratica Come s’impara a fabbricare? fabbricando. Come s’impara a morire? morendo. « Ogni giorno io muoio », diceva San Paolo; ed ogni giorno moriva al mondo, ai piaceri, alle lusinghe del demonio e delle passioni. Da questo si spiega com’egli potesse scrivere: « Io bramo di morire per trovarmi con Cristo ». Cupio dissolvi et esse cum Christo. «Io bramo di morire perché la morte è un guadagno per me » (Filip., I, 21,23). Sulla tomba di Scoto, filosofo francescano, fu scritto « Semel sepultus bis mortuus ». Fu sepolto una volta sola e morì due volte: la prima, mentre viveva facendo penitenza e rinnegando se stesso. Se vogliamo morir bene, anche noi ogni giorno dobbiamo imparare a morire: devono morire nella nostra mente i cattivi pensieri; devono morire sulle nostre labbra le parole cattive di bestemmia, di impurità, di odio, di mormorazione; devono morire nella nostra vita le opere cattive, solo deve vivere in noi la volontà di Dio. Solo così Gesù ritornerà a prenderci nell’ora di nostra morte. – Moriva un bambino di sei anni: s’accorgeva di morire, ma non aveva paura. Volgendosi alla mamma che singhiozzava, ingenuamente le chiedeva: « Mamma, domani, quando sarò in cielo e mi verrà sonno, Gesù a dormire mi metterà nella cuna o mi prenderà sulle sue braccia? ». Sulle braccia di Gesù tu dormi ora, o piccolo innocente! Ma anche noi se sapremo conservare il nostro cuore buono e puro come quello di un bambino, anche noi Gesù prenderà sulle sue braccia, nell’ora di nostra morte. E sia così.

IL CREDO

Offertorium


Orémus.
Ps LXV:1-2; LXXXV:16
Jubiláte Deo, univérsa terra, psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja.

[Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: venite e ascoltate, tutti voi che temete Iddio, e vi narrerò quanto il Signore ha fatto all’ànima mia, allelúia.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrifícii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes effecísti: præsta, quǽsumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur.

[O Dio, che per mezzo degli scambi venerandi di questo sacrificio ci rendesti partecipi dell’unica somma divinità: concedici, Te ne preghiamo, che come conosciamo la tua verità, così la conseguiamo mediante una buona condotta.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann XVI:8
Cum vénerit Paráclitus Spíritus veritátis, ille árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício, allelúja, allelúja.

[Quando verrà il Paràclito, Spirito di verità, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio, allelúia, allelúia]

Postcommunio

Orémus.
Adésto nobis, Dómine, Deus noster: ut per hæc, quæ fidéliter súmpsimus, et purgémur a vítiis et a perículis ómnibus eruámur.

[Concédici, o Signore Dio nostro, che mediante questi misteri fedelmente ricevuti, siamo purificati dai nostri peccati e liberati da ogni pericolo.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (203)

LO SCUDO DELLA FEDE (203)

DIO GI LIBERI CHE SAPIENTI!. CI VORREBBERO FAR PERDERE LA TESTA! (6)

PER Monsig. BELASIO

TORINO, 1878 – TIPOGRAFIA E LIBRERIA SALESIANA San Pier d’Arena – Nizza Marittima.

§ III.

Il terzo inganno è il voler darsi d’intendere che gli uomini sono nati dalle bestie molti secoli e secoli prima che li creasse con amore Dio benedetto.

 (I PREISTORICI).

(2)

La parola preistorico vuol dire esistente prima della storia. In questo senso si posson dire quegli abitatori in mezzo ai laghi, preistorici per loro: perché essi non voglion credere alla storia dell’origine di tutti gli uomini. Già per tutte le nazioni che non credono alla Parola santa di Dio, i primi uomini che le formarono, debbono essere tutti preistorici. Poiché senza il lume della nostra santa fede, intendetelo, tutte e tutte le origini delle nazioni del mondo antico sono involte nelle tenebre tra le nebbie di incredibili racconti favolosi: e quindi quegli uomini che esistettero prima che si scrivesse la loro storia, sono per loro preistorici. Per noi credenti, grazie a Dio, non vi sono uomini preistorici in quel senso. Perché Dio stesso si fece scrivere da Mosè nella Scrittura Sacra la Storia del principio di tutto il genere umano. È inutile vantarsi di non credere. Ormai tutti i più dotti uomini del mondo colla loro giudiziosa e sana critica riconoscono che la Scrittura Sacra nostra contiene le più antiche memorie e tradizioni di tutto il genere umano. Fatta scrivere dal Signore molto tempo prima di tutte le vere storie del mondo. Essa sola dà il filo in mano che guida i dotti a cavarsela dal laberinto della confusione di tanti errori favolosi (Lenormand nel — Manuale di storia antica dell’Oriente — Opera coronata dall’Accademia di Francia). Sicché la Sacra Scrittura è il Libro che contiene più verità storiche antiche che non tutti libri, storie, frammenti, di tutta l’antichità. Essa sola ha il racconto dell’origine del mondo che più soddisfa la ragione. Le scoperte poi delle scienze lo vanno sempre più confermando.

Spez. Finalmente intendo anche io come in fatto non vi sieno stati mai uomini preistorici, prima cioè dalla Storia Sacra fatta scrivere da Dio. Il primo uomo che fu creato è Adamo, di cui ci è dato di conoscere la vera storia. – Ora a noi: che cosa si ha da dire adunque di queste abitazioni che già da tanto tempo erano in mezzo alle acque; e che si chiamano lacustri?

Par. Vi dirò che corsi anch’io a visitare quei laghi; e dovetti, come chiunque, essere bene persuaso, che quegli uomini che le costruirono in lontanissimi tempi, erano tutt’altro che selvatici. Mi pare anzi che vivessero proprio nei tempi stessi delle nazioni, di cui noi conosciamo la storia, come vi dirò. Avreste a vedere come furono ben costruite. In alcuna, come nel Lago di Zurigo, si contano fino a quattro mila travi conficcate in fondo al lago tra macigni ben gettati come si fa dai nostri ingegneri nelle costruzioni dentro il mare, per formarvi i moderni porti; sicché resistettero per migliaia d’anni a tutte le burrasche. Potete ben immaginarvi come sopra quelle palafitte dovettero sicuramente aver formato le travate e i parapetti, perché fino i figliuoli: almeno non sprofondassero nelle acque. E pensare che quegli antichissimi non avevano i nostri ferri, né gli altri stromenti! dovremo dire che coloro diedero prova di perizia, e son più da ammirare che i costruttori delle antiche città che avevano tanti mezzi. Intanto vi dirò che se son da dire preistorici e selvatici quegli uomini, perché costrussero le loro abitazioni in mezzo ai laghi, si dovranno da lor dire preistorici e selvatici quei signori che fabbricarono le delizie delle isole Borromeo; preistorici e selvatici fino i Vescovi che edificarono il Seminario sul lago d’Orta; preistorici e selvatici poi fino quei prodi Italiani che nelle lagune della Venezia fabbricarono sulle palafitte quei marmorei palagi per difendersi dai barbari come quegli antichi per difendersi dalle fiere e dai nemici di quel tempo.

Spez. Eppure quei miserabili ridon di Mosè e della Santa Scrittura.

Par. Ma il ridere di ciò che non si vuole studiare, perché non si vuole conoscere per non volere far bene, è segno di superba ignoranza e di corruzione del cuore. Tenete sempre in mente poi quel che vi dissi già, che coloro che non vogliono credere in Dio col vagare orgogliosi dietro alle lor fantasie, vanno a terminare in un abisso di confusione da non intender più niente. Invece, per la santa Parola di Dio è dato ai dotti veri di conoscere in fondo alle false religioni in cui furono confusi coi favolosi racconti, gli avanzi della verità che Dio aveva in sul principio fatto rivelare a tutta l’umana famiglia. Siccome poi quando una inondazione passò attraverso a un edifizio e lo rovinò, se si levano via le ghiaie e il fango di mezzo, si vedono ancora i ruderi che mostrano coi loro avanzi in qualche modo qual doveva essere in prima il bell’edifizio; così se si levano via dalle false religioni, dai lor racconti favolosi tutto ciò che gli ingannatori e la superstizione vi misero dentro di falso e di cattivo o di irragionevole affatto, si viene a conoscere e si deve ammettere che è vero ciò che racconta la storia di Mosè nella Scrittura Sacra dettata da Dio medesimo. Ma il Signore faceva raccontare la storia del genere umano, affine di far conoscere la storia delle sue misericordie, con cui voleva salvare gli uomini col mandare il suo Figliuolo, il nostro Divino Gesù; perciò, quando ebbe raccontato come Egli, il Signore castigò l’orgoglio di quegli antichi che pretendevano innalzare una torre, stolti! per toccar fino al cielo, colla confusione delle lingue, a quel punto cessa la Parola di Dio di raccontare la storia delle altre nazioni, e parla solamente in modo particolare del popolo ebreo, a cui affidava la promessa di venire a salvare il mondo, nascendo uomo nella famiglia d’Abramo. Delle altre nazioni dice solo: che si divisero e andarono in dispersione per le varie parti della terra. Come però narra ancora che tutta la gran famiglia del genere umano era divisa in tre rami dai discendenti dei tre figliuoli di Noè di Sem, di Cam e di Iafet; così la Parola di Dio dà ancor un filo per giungere in quella oscurità di tempo a capir qualche cosa della storia delle altre nazioni antiche. Ora tutte le scoperte che si van facendo da tanti secoli, provano proprio che i discendenti di Sem restarono nell’interno dell’Asia intorno alla torre di Babele, la Babilonia. I discendenti di Cam dall’Asia andarono diffondendosi nell’Egitto e nelle altre parti dell’Africa; mentre i figliuoli di Iafet emigrarono nei più lontani paesi, per estendersi nell’Europa nostra. Eccovi la ragione, che par giusta, per cui, massime presso agli abitatori dispersi in Europa, erano in uso stromenti ed armi, utensili di osso e di pietra; mentre tra i discendenti di Sem, di Cam che là fermatisi formarono subito grandi nazioni, erano in quel tempo stesso in uso le armi e gli stromenti di bronzo e ferro.

Spez. Dica, dica che io la spiegherò ai miei, che spero farà loro piacere ad udirla; perché quei miei buoni amici dicono sol quel che lor si mette senza pigliarsi la briga di studiare se sia la verità.

Par. Ebbene vi dirò quel che pare solamente ragionevole assai, perchéne abbian tante prove. Adunque i figliuoli di Iafet emigrando in lontani paesi forse prima di aver conosciuto come si lavorassero già i metalli, certo là sulle creste degli altissimi monti che dividono l’Eutopa dall’Asia, non trascinavano seco le fucine per fondere, e lavorare i metalli, né poi là avevan in pronto le cave conosciute da estrarli.

Spez. Questo mi par ragionevole e mi fa già intendere una qualche cosa.

Par. Quando poi si trovarono tra le montagne dove abitarono in prima, tra quelle orride foreste di cui vi sono ancora gli avanzi, là in quelle selve dei nostri in mezzo a quelle belve feroci, fu una bella grazia per loro aver trovato le caverne da rifugiarsi dentro e farne le loro abitazioni. Là trovarono in pronto le ossa da poter lavorare, con le pietre focaie da formar ancor ben affilati stromenti. Di metalli non vi dovette neppur venire un pensiero. E mentre abitavano in quelle grotte nella pace delle loro famigliole, facevano in osso ed in pietre quei loro lavoretti. Se ne trovano armi e utensili di cucina, anzi fin oggetti di lusso così belli che è grazia a vederli ancora nei nostri musei. Si direbbe che furono diligentati con amore e buon gusto d’arti. Quasi si direbbe che sin d’allora lasciarono in eredità l’arte di far quei gentili lavori ai Germani e Svizzeri de’ nostri dì, in legno ed osso. Per vivere poi insieme quasi in piccole borgate studiaron bene di costruirsi in mezzo all’acqua al sicuro le loro abitazioni lacustri. Per poco che, visitandole, vi giriamo in quelle col pensiero, come s’aggirano ancora gli Europei su quelle abitazioni e giardini pénsili che i Cinesi vanno estendendo sull’acque del mare. Che ne dite or voi? Eran barbari questi uomini, eran selvatici come gli orsi e preistorici da milioni di secoli?

Spez. La ringrazio; ella mi dice cose, che questa gente che non pensa mai bene, poiché dimenticato il catechismo che hanno gustato da fanciulletti, bevon giù alla grossa ciò che gli increduli dan loro ad intendere.

Par. Voi dunque potete a loro far capire chiaramente, che poterono quegli antichi abitatori della montagna usare le pietre per formarsi i loro stromenti; sicché si può chiamare in buon senso quel tempo, l’epoca della pietra; mentre nell’istesso tempo nelle nazioni dell’Asia e nell’Egitto in Africa si lavoravan già tanto bene i metalli. – Ne abbiam le prove più chiare che questi usi erano contemporanei nel gran Libro delle verità storiche più sicure. Diffatto, si legge egli è vero, che Abramo comprò una grotta da seppellirvi la sua Sara; ma vi sborsò fin d’allora sicli d’argento ben sonanti. Sefora moglie di Mosè, poi Giosuè, usavan nel circoncidere i coltelli di pietra; ma Mosè nello stesso tempo scelse gli artisti più stimati per lavorare il bronzo, l’argento e l’oro pel Tabernacolo di Dio. Anche Davidde non sapeva usar altr’arme che i sassi del torrente; ma Golia aveva la spada con cui Davidde gli tagliò la testa. Eppoi eppoi anche ai di nostri, salite sulle cime degli Appennini, là vedrete. che quei buoni montanari han tutti gli utensili di legno, di osso e fino le pentole di pietra; ma dalla vetta dei loro monti potete veder Genova, in cui si lavora l’oro e l’ argento a finissima filigrana. Immaginatevi adesso che un figliuol di quei mandriani, mandato a Genova alle scuole, diventasse fino un gran ministro dello Stato. Se costui ritornasse poi al nativo monte per respirare aria più pura, la sua cugina pastorella, a lui solito a centellare il caffè in dorate porcellane, presenterebbe il latte con bel garbo in una ciottola di legno. Ebbene, potranno dire coloro che la pastorella è preistorica o almen selvatica?.. Però se avessi da dir io qual è fra questi due la persona di più pulita civiltà… non esiterei un sol momento!… Non è dunque da credere che le epoche della pietra, del bronzo e del ferro fossero divise da secoli l’una dall altra; quando abbiam tante prove che eran contemporanee.

Spez. Oh! che le spiegassero un po’ bene, massime nelle nostre Scuole Tecniche, queste cose, se però prima le avessero studiate i maestri! Verrebbe su la nostra gioventù ben più sodamente istruita, e quindi meglio educata! Ma son tanto nuove per noi queste osservazioni, che vorrei mi faceste ancor meglio intendere come queste tre epoche, che si menan sempre per bocca da chi meno profondamente studia, potessero esser vicine, anzi, come avete detto, contemporanee in diversi luoghi.

Par. Potrei darvene le tante prove; ma vi dirò che si provano ravvicinate queste epoche da tante scoperte, di cui mi accontenterò di accennarvi almeno le principali, fatte nella nostra Italia. La crosta terrestre continuamente si muta. Le alluvioni e le eruzioni dei vulcani ebber coperto le tante volte di nuovi strati di terra i terreni primitivi. Ebbene, nella caverna detta di Tiberio tra Imola e Faenza, sì eran trovati cocci di vasi mal composti e mal fatti; mentre sì sarebbe detto da chi ha la smania di gridar subito: ecco una prova contro la Storia di Mosè; ecco le prime prove di quegli uomini che cominciavano appena ad incivilirsi; poiché vi si son trovati fin cultri di selce. Ebbene si trovarono subito appresso antiche monete romane, anzi anche una statuetta di bronzo! Si direbbe poi che la Provvidenza abbia voluto conservare sotto depositi alluvionali vicino al lago Sabbatino un vero piccol museo, per mostrar come tanto si avvicinano le tre epoche tra loro. Si trovarono degli oggetti in ordine di tempo deposti. Dalle acque. In basso stromenti di selce lavorati, poi oggetti di bronzo, poi anche monete ben coniate, fin monete e vasi dei tempi dei romani imperatori. Ora dirassi che gl’imperatori romani fossero preistorici?… Però dovranno credere anche gl’increduli che sieno nati un qualche anno almeno dopo Adamo! – Tenetelo ben fisso in mente che tutte le scoperte col tempo vengono sempre a dimostrare la verità della nostra santa Religione; e così le vere scienze e il tempo vanno sempre a terminare per render più splendido il trionfo della nostra santa fede. Voglio aggiungere una osservazione tutta mia, ed è: che siccome nelle abitazioni lacustri, nelle alluvioni, e sotto le eruzioni vulcaniche si è trovato che l’uso della pietra, poi del bronzo e poi del ferro erano così vicini nel tempo: così quegli oggetti sono prova che i così detti tempi preistorici erano vicini assai agli storici contemporanei. Ecco un anello fra loro. Bene appare questo da una scoperta di un’abitazione lacustre in questa Lombardia, in cui si sono trovati fino ami, aghi, una spilla di ornamento. Laonde vorrei dire: che per la vicinanza della Toscana, queste nostre provincie, gli antichi abitanti delle montagne e dei laghi nostri furono dei primi ad avvicinarsi ai Pelasgi, e agli Etruschi. Tra lor trovato l’uso di quel metallo, se ne sarebbero provveduti degli oggetti più utili pei laghisti, gli ami e i primi oggetti di lusso per le lor donne. — Pregheremo il Signore di concedere che si vada innanzi nelle scoperte; perché è vicino il tempo in cui i loro tempi preistorici diverranno storici anche per loro, come sono storici per grazia della Parola di Dio tutti i tempi del genere umano. La santa Religione nostra sola ha la storia dell’umanità; e per saper qualche cosa bisogna cominciare a credere in Dio.

Spez. Permettetemi ancora questa. Mi mostrano stampato che ancora adesso vi sono degli uomini che restarono sempre selvaggi; e che quindi tali bestie-uomini sono di una razza alle bestie superiore appena per un grado: e che i tentativi di noi uomini per farli più civili finiscono collo sterminarli.

Par. Amico! fa troppo male al cuore che quei nostri a noi sì cari sempre lontani dalla Chiesa senza mai una parola che loro inspiri un buon pensiero, leggano tutto che si manda per le stampe a loro dinanzi, colla più fina astuzia preparato per ingannarli; e poi lo dicono su alla spensierata. Così le povere pecorelle lontane dal pastore pascolano le erbe avvelenate ed appestano anche le altre! Lasciatemi sfogar del cuore: mi salgono le fiamme dello sdegno al volto nel leggere in certi libri che si fan girare in mano a tutti, sotto una scienza apparente con maligna moderazione come si danno orribili insegnamenti. Anche voi lo avete detto, che si vuol far credere che vi sieno razze d’uomini selvaggi poco diverse dalle bestie, e di un grado appena superiore, e come una razza degli altri mammiferi un po’ più fina. Oh i tristi! altro che abolire ai nostri dì, si potrebbe metter su la schiavitù più dura; e questa loro teoria giustificherebbe le più atroci crudeltà! E perché i Romani credevano poter fare sgozzare a lor dinanzi nei conviti l’un coll’altro i loro servi? ed ahi! al misero che cadeva trafitto barcollando, dicevano col bicchiere in mano: «Fatti in là, bestia, che non mi brutti la tunica di sangue!… » È perché leggevano scritto nei loro libri, come in questi libri ai nostri di, che gli schiavi eran d’una razza diversa inferiore alla nostra! Perché quei pagani crudelmente cavavano fino gli occhi agli schiavi, affinché facessero girare più quieti le loro macine da mulino? E perchè insegnavano nelle scuole che gli schiavi erano cose, e come bestie da lavoro! Se quei poveri selvaggi fosser bestie solo d’una razza un po’ più fina, potranno dunque i celada (chiamano celada quei pezzi di galera, udite, udite, che me lo raccontano tante volte i moretti e le morette riscattati) potranno quegli orribili celada andare a dare loro la caccia tra le povere capanne e sulle rive dei ruscelli, abbrancar per la gola quei poveri fanciulletti, e pigiarli dentro un sacco per portarli a vendere sui mercati di carne umana! Eh via! che la scienza moderna di quei tali scrittori insegnerebbe che sono scimmie di una razza un po’ più fina! E quegli uomini scampa-forche, che si dicono mercanti della tratta degli schiavi, possono ancora sguinzagliare alla vita dei selvaggi i grossi cani, per raccoglierli a torme in sulle spiagge e stiparli nelle stive dei bastimenti, e così far buoni affari! Ahi! che l’intendon la lezione certi padroni che fan lavorare i poveri sudditi nelle campagne senza lasciare un dì di festa da sentirsi dire che anch’essi hanno ancora un Padre in cielo! E si Stampa sopra un libro: che questo è il risultato della scienza! Ah! maledetta questa scienza, con cui forse si vuol preparare il popolo a lasciarsi trattare come le bestie… Se questi empi la vincessero, non credendo né a Dio, né all’anima, né alla povera umanità, potranno ammazzarci come bestie! E potran fare!… (vel voglio dire: quel che fecero coloro che nella grande rivoluzione passata proclamarono che non esiste Iddio!…) potranno far conciare certe pelli!.. come più morbide di tutte quelle delle bestie di una razza alla nostra inferiore! E ci dicono che scrivono da filantropi per istruire il popolo!

Spez. DIO CI LIBERI DA QUESTI FILANTROPI!  FAN L’AMORE AI POPOLI.. COI DENTI! … Ma in quei libri si dà per certo che molte orde di selvaggi sono tali per natura sempre state per tutti i secoli selvatici d’allora che apparvero sulla terra.

Par. Vedete come la danno da bere a coloro che pretendono d’essere istruiti senza avere studiato, e credon tutto ciò che leggono nei libri stampati apposta per ingannarli! Le tradizioni, le storie, i monumenti e tutto dimostra, che quel miserabile stato di selvatichezza in cui si trovano, è uno stato di decadimento. – Questi poveri. popoli selvaggi conservano ancora le memorie dei loro antenati, che erano tanto più di loro civili: cui tengono sino come figliuoli dei loro sognati Dei. – I nomi poi conservati dalle storie degli antichi regni tanto fiorenti in quei paesi, in cui van ora vagolando misere nazioni mezzo selvatiche, mostrano che in prima furono fondati proprio fin dai figliuoli di Noè, come la santa Scrittura ricorda. I Persiani, detti anche Elamiti, discesero da Elam, gli Assiri da Assur, i Lidii da Lut, tre figlivoli di Sem. Da Canan gli antichi Cananei, da Misraim gli abitanti d’Egitto, detto anticamente Misraim; gli Etiopi, detti anche anche Cussiti, da Cus, figliuoli di Cam. I quali discepoli di Noè eran tutt’altro che selvatici, ma erano colti di quella civiltà primitiva, che si mostrò così grande nelle grandi opere eseguite subito nei primordi dei loro regni. Diffatto, in Asia nel nostro tempo i Persiani e gli Arabi nell’Africa, gli Etiopi ed anche molti Egiziani, van errando sui ruderi di antichissime città e rizzano le lor catapecchie sui palazzi e templi, le cui grandiose rovine si van tuttora scoprendo; e quando gli Europei scoprirono il Nuovo Mondo, si credeva che le orde di quegli indigeni fosser sempre state selvagge; ma si scoprirono e si scoprono ancora presentemente gli avanzi di antichissime città e dimostrano come gli Americani selvaggi, ora è ormai certo, discesero dagli Asiatici dell’antichissima civiltà. Questi, e si può dire tutti i popoli selvaggi, adunque sono decaduti da una primitiva ed antichissima civiltà.

Spez. Ma com’è adunque, mi diranno, che son diventati selvaggi così?

Par. Son contento che me lo domandate, poiché mi porgete occasione di dirvi cose che mi pesano sul cuore. Sono tre le cause che fecero e che farebbero diventar selvaggio tutto il genere umano, se non lo conservasse civile la bontà di Dio. La prima è pur troppo il perdere l’idea di Dio Creatore e Padre, che creò gli uomini per farli seco beati. La seconda, la tirannia dei conquistatori. La terza, la corruzione dei costumi. Voi siete uomo di buon giudizio; e lascio pensare a voi a queste tre cause se non fan diventare peggio che selvatici anche certi increduli dei nostri dî, che par sentano tanto la brama d’imbestialirsi, affannandosi a far credere che siamo figliuoli di bestie.

Spez. Ma perdonatemi; essi si mostrano filantropi e compiangono i poveri selvatici perché non si possa render migliore la lor condizione; poiché tutti i tentativi per civilizzarli, non fanno che sterminarli.

Par. Ah che dite? tutti i tentativi! Vi dirò io quali si fecero e si fanno tentativi da certi filantropi, per civilizzare i poveri selvatici! Quando questi filantropi mercanti toccano qualche spiaggia abitata da’ selvaggi, la prima cosa vi fabbrican i loro forti per pigliar di là il possesso del paese; e se quei miserabili abitanti accorrono a difender le loro terre, predicano loro la civiltà da’ fortilizii colla bocca dei cannoni. Con quei terribili catechisti, come v’ho detto, che sono i lor grossi mastini, invece di raccoglierli intorno ad una cappelletta (come facevano quei monaci nostri per ammansare i barbari in Europa che convertirono nelle più civili e floride nazioni del mondo) li spinsero sui bastimenti per poi venderli in sui mercati. Quando appena poterono comandare, a far subito leggi per togliere ai selvaggi il possesso dei loro terreni che coltivavano alla meglio… misero fino la taglia: « Avrà tanto di mercede chi porterà la testa d’un Indiano; »  e si spesero delle grandi somme per toglier quelle teste, invece di farle battezzare. Ah! sì, che vel dico io, che con questi tentativi non si fece che sterminarli. Deh! si lascino almeno andar in pace i Missionari di Gesù Cristo, e non si corra appresso a perseguitarli sin in mezzo alle Missioni! Dite anche ai vostri signori che li aiutino almeno colle loro preghiere. – Quando adunque vediamo stampato che, p. es., gli Indiani dell’America hanno un carattere selvaggio e fiero, che resistono a tutti i tentativi di civilizzazione, noi gridiamo altamente: è indegna questa ingiuria fatta a quei poveri nostri fratelli che sono ancora selvaggi. Se con certi tentativi non si fa che sterminarli, vi sono altri tentativi che danno i più consolanti risultati. Più che tutte le spedizioni commerciali e le scientifiche; più che tutte le colonie stabilite da avventurieri trafficanti, ha potuto un povero frate, san Francesco Solano. Ma egli non andava tra i selvaggi a rubare il loro oro, ma offriva tutto se stesso, e col coraggio da eroe per proteggere i suoi convertiti in un’invasione di altri selvaggi correva incontro a quelle orde col petto ignudo e col Crocifisso in mano: e ammansatili colla carità, li convertiva a milioni. Il dir che gl’Indiani d’America non possano rendere civili è una calunnia contro cui protestano tutti gli Americani inciviliti più che forse molti Europei. Ora mentre tutte le nazioni civili distruggono tutte le barriere che dividono l’umana famiglia sparsa sulla faccia della terra, per formare la gran famiglia nell’unione della civiltà cristiana Universale, si debbon ricordare quegli scienziati che stamparono questi libri ai nostri dì, che già altri scienziati in Europa tenevano le orde di abitanti del Paraguay in conto di uomini-bestie. Ebbene, pochi Gesuiti obbedendo alla Parola di Gesù Salvatore che comanda d’istruire tutte le genti per salvare tutti, si cimentarono tra quelle orde di feroci e li ammansarono colle industrie di carità. Essi là a lavorare per mostrare a lavorare, essi là a piantare alberi fruttiferi e coltivare erbaggi per lasciar cogliere ai selvaggi; essi là a conciar pelli, a tessere le lane; essi là mutati in sarti, calzolai, falegnami, fabbri, muratori; poi far da medici e sempre a far da padri con tutti. Così mentre gli scienziati qui disputavano seriamente se fosser uomini da battezzare, essi avevano quei selvatici educati a tal modello di civiltà, da far dire ad un letterato con una sublime espressione: «Ecco là nel Paraguay il Cristianesimo felice. » – Ancora adesso, mentre tanti Missionari di varii Ordini religiosi consumano la vita in ignorati benefizi e..riescono così bene nei tentativi benedetti da Gesù Cristo, udite ciò che mi scrivono gli amici Salesiani fino dai Pampas: « Oh quanto sono disposti, quanto sono capaci, anzi proprio desiderosi di diventare migliori e buoni cristiani, questi poveri selvaggi !… ».

Spez. Dio la rimeriti, mio buon signor Parroco! Mi pare proprio di esser con lei come.col padre della nostra grande famiglia, a trattare degl’interessi di tutti i nostri fratelli, anche di quelli che noi abbiamo tanto lontani! Ma io non posso capire quali ragioni possano avere ancora da far contro la fede in Dio?

Par. Mio carissimo, ne hanno due ragioni, contro cui non valgono le verità delle ragioni della fede: e sono l’orgoglio della mente e la corruzione del cuore che rendono gli uomini amanti sol di se stessi, nemici di Dio, e crudeli coi loro fratelli. Io ho il cuor troppo pieno, ed ho bisogno di sfogarmi con voi che m’intendete così bene. Ben vi ricorderete, che quando il demonio soffiò nell’orgoglio di quei superbi dell’antico tempo, che vollero costruire la grande Torre per tentare di elevarsi in cielo fino a Dio, essi tirarono sopra di sè il castigo della confusione delle lingue; e dovettero andare dispersi? Ora ecco che vi sono degli uomini altrettanto superbi, ma di coloro più vili, i quali, anch’essi dal diavolo, e maggiormente tentati di propria concupiscenza, così perdutamente guasti che tutt’altro che cercare di alzarsi al cielo sino a Dio, si abbassano ad avvoltolarsi nel fango, © tutti ingolfati in putridume, niente più agognano che d’imbestiarsi colle bestie, vantandosi di esser nati da loro. Però almen quegli antichi si mostrarono grandi fin nell’audacia del loro delitto; e con quel resto di sentimento della loro grandezza raggranellarono ancora i fratelli dispersi e formarono grandi nazioni da regnarvi quasi come déi: ma questi increduli moderni senza cuore e vili da schifo si studiano di sbrancare la famiglia umana quasi noi fossimo torme di bestie per poco dalle altre diverse. E che? vorranno forse tosarci come pecore matte e farne carne? Eh lo darebbero da sospettar col preparare come fanno l’Internazionale e la Comune! Così se quei superbi col tentare di farsi eguali a Dio fabbricarono la Babele della confusione delle lingue; questi vili coll’imbestiarsi vorrebbero buttarci nella Babele della distruzione. Pigliamo animo, o caro. Poiché se tutti che fanno guerra a Dio van vagabondando nella Babele, noi che l’amiamo come figliuoli, siamo nella Pentecoste; perché il miracolo della Pentecoste conrinua ancora per noi. Vi voglio partecipare una mia consolazione che provai proprio questo anno nel di di S. Giovanni in Torino. Nell’Oratori dei Salesiani, come gli apostoli nel Cenacolo raccolti intorno a Maria Ausiliatrice, quei buoni giovani per festeggiare il dì onomastico del loro pio istitutore accorrevano da tutte le parti a leggergli i più cari indirizzi, in tante lingue diverse; italiani, francesi, inglesi, irlandesi, scozzesi, tedeschi, polacchi, spagnoli, americani e fin cogli accenti dei selvaggi, degli Indii, Pampas e Patagoni: allora io in uno scoppio di pianto esclamava « ecco il miracolo della Pentecoste! » Ebbene, ebbene udii allora D. Bosco, questo uomo provvidenziale colle mani al cielo esclamare come il Salvatore: oh quanto è abbondante la messe! preghiamo il padrone ci mandi tanti operai: affinché si possa dare pane di vita eterna agli uomini nostri fratelli di tutti i colori che il Padre nostro invita al convitto del figliuol suo Gesù … ed io ripetevo singhiozzando: Oh, gran Padre della misericordia, affrettatevi a far di tutti gli uomini come un solo ovile di pecorelle sotto un solo buon Pastore! Oh amico, voi tante volte con ragione esclamavate: DIO CI LIBERI DA QUESTI SAPIENTI, DA QUESTI FILANTROPI!.. Deh! deh! Esclamate pregando con me: Dio salvi tutti gli uomini per Gesu Cristo suo Figliuolo unico Salvatore del mondo.