TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (12)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (12)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa: Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur :Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO DECIMO

L’ABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME GIUSTE

Secondo il Vangelo di san Giovanni, la grazia è la vita stessa di Cristo che comincia, quaggiù, in colui che riceve il Battesimo, e si sviluppa in esso durante tutta la sua esistenza terrena (Joan, cc. II e VI). La perfezione di tale vita è nell’amore di Dio (Joan. Cc. XIV, XV, XVI). Il Cristo comunica questa vita mandando il Suo Spirito, cioè lo Spirito Santo (Joan. C. XVI). Questa dottrina del Vangelo secondo san Giovanni, è pure quella delle lettere di san Paolo, poiché per lui la perfezione cristiana consiste nell’imitare Cristo, vivendo della Sua stessa vita (Gal. II, 19-20; Filipp. 1, 21). Questa vita, è lo Spirito di Cristo, cioè lo Spirito Santo che la stabilisce e la sviluppa in ciascuno di noi. Per questo, Egli viene ad abitare in noi (Rom, V, 5; 8, XI-14; I Cor. III, 16; VI, 17, 19). Che se uno non ha lo Spirito Santo, egli non è cristiano (Rom. VIII, 9). Così, secondo la dottrina del Nuovo Testamento, la grazia santificante consiste nella comunicazione della vita stessa di Cristo, fatta dallo Spirito di Cristo,. che per creare tale disposizione, viene realmente ad abitare in noi. Ora, tutti i Padri greci spiegano la grazia santificante nella medesima maniera. Le conclusioni alle quali essi giungono, sembrano non essere che il risultato di una lunga meditazione, fatta sopra il Vangelo di san Giovanni e le lettere di san Paolo. Essi considerano sempre la grazia in modo concreto, cioè vedono in essa lo Spirito di Nostro Signore che trasforma l’anima del fedele. Perciò nella loro dottrina si riconosce senza difficoltà che la grazia consiste in un duplice dono: un dono increato che è la Persona dello Spirito Santo, unitamente con le due altre Persone, e un dono creato, che è l’insieme delle disposizioni che lo Spirito Santo produce in noi. Per mettere un po’ d’ordine in questa lezione, esamineremo prima di tutto il compito dello Spirito Santo nella nostra santificazione, e quindi ciò che lo Spirito Santo opera in ciascuno di noi.

1.

Consideriamo prima di tutto il compito dello Spirito Santo nella nostra santificazione. I Padri greci riavvicinano sempre il dogma della grazia a quello della Santissima Trinità. Nella loro teologia il mistero della grazia segue immediatamente il mistero della Santissima Trinità. È in qualche modo il prolungamento della vita divina nel tempo e nello spazio: è la vita trinitaria che viene nell’uomo. Così, è necessario ricordare innanzi tutto come i Padri greci concepiscono il dogma della Santissima Trinità. Ciò che essi vedono prima di tutto in Dio, sono le tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Queste tre Persone sono unite in un rapporto così stretto che non possono essere l’una senza l’altra. Il Padre infatti non è nient’altro se non Colui che genera il Figlio. Il Figlio non è niente altro se non Colui che è generato dal Padre. Dal Padre, in quanto genera il Figlio, e dal Figlio, in quanto è generato dal Padre, risulta o procede necessariamente lo Spirito Santo. – La vita divina o la Santissima Trinità, è dunque una sola e medesima vita, infinita, che è riconcentrata in tre focolari particolarmente intensi. È un movimento che parte dal Padre per terminare allo Spirito Santo, passando dal Figlio. Ma questo movimento non si arresta allo Spirito Santo: ritorna al Padre passando per il Figlio. Questa relazione attiva di una Persona all’altra, tale che ciascuna Persona chiama le altre due mentre se ne distingue, περικώρησις [= pericoresis] o circumsessio, costituisce la vita divina o la Trinità. Tuttavia è necessario notare, con la massima cura, che se tutte le opere che si compiono al di fuori della vita divina sono fatte dallo Spirito Santo, sono egualmente compiute dalle altre due Persone. Lo Spirito Santo, infatti, non è nient’altro se non Colui che procede dal Padre per il Figlio e che ritorna al Padre per il Figlio. Perciò, nelle opere che sono fatte, non è lo Spirito Santo che agisce ad esclusione delle altre Persone; l’azione è fatta dallo Spirito Santo che procede dal Padre per il Figlio; è dunque tutta la Trinità Santa che agisce. Se l’operazione è attribuita più specialmente allo Spirito Santo, ciò avviene perché lo Spirito Santo è il termine della vita divina. Tale è il compito dello Spirito Santo in tutte le opere esteriori della Santissima Trinità. Ma in qual mondo esso compie questa missione, quando si tratta della santificazione delle anime? Secondo i Padri greci, lo Spirito Santo santifica le anime dandosi a loro, cioè unendosi ad esse, come un profumo viene ad unirsi e ad associarsi a un altro profumo. La sostanza fondamentale della grazia, ὕλη [= ule] – dice Origene – è la Persona stessa dello Spirito Santo (Comm. in Jo. T. 2,62; P. G. 14, 129). Didimo (De Spiritu Sancto, 4; P.G. 39, 1035), san Basilio (Adv. Eunom. L 5; P. G. 29 772), e soprattutto san Cirillo. Alessandrino (De Trinit. dial. 7; P.G. 75, 1085), che è stato soprannominato il Dottore della grazia santificante, parlano nel medesimo modo. Ed è per questo che lo Spirito viene da essi chiamato il Dono, e questo nome indica non soltanto la grazia prodotta, cioè l’effetto, ma anche la causa stessa, cioè la Persona dello Spirito Santo. Così lo Spirito Santo santifica le anime per il fatto che è loro dato, e dato personalmente. Tuttavia, siccome lo Spirito Santo non può essere senza il Figlio, che è generato dal Padre, con lo Spirito Santo, anche il Padre ed il Figlio vengono nell’anima nostra; tutta la Trinità viene in noi, L’inabitazione, diciamo almeno nel nostro povero linguaggio, l’inabitazione passiva, appartiene. egualmente alle tre Persone. L’atto dell’inabitazione o l’inabitazione attiva, sola, sembra appartenere specialmente allo Spirito Santo, in questo senso che, essendo Egli la terza Persona della Trinità santa, termine della vita divina, se la Trinità agisce in noi per inabitare in noi, sarà specialmente per mezzo dello Spirito Santo che questa inabitazione avrà luogo. Così, nel mistero dell’Incarnazione, come indicano abbastanza chiaramente i testi (La Vergine Maria interroga l’ Arcangelo Gabriele che le ha proposto il mistero dell’Incarnazione. E l’Angelo le risponde: « Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà » – Lc. 1, 35), solo il Verbo di Dio si unisce ipostaticamente alla nostra natura umana; ma l’Incarnazione, l’atto d’incarnare, è opera specialmente dello Spirito Santo, termine della vita divina. Di qui questa definizione, audace forse, ma giusta, della grazia santificante. La grazia santificante è la Santissima Trinità, che abita in noi, per opera dello Spirito Santo, e conforma l’anima nostra all’anima santa del nostro Maestro e Signore Gesù, mediante l’azione incessante del Santo divino Spirito. Se adesso si chiede ai Padri greci perché la santificazione si compie mediante la comunicazione dell’augusta Trinità, per lo Spirito, con lo Spirito, nello Spirito, la ragione che essi ne danno è l’amore di Dio per gli uomini. Dio ha tanto amato gli uomini che ha voluto comunicarsi ad essi (Cfr. BASILIO, De Spiritu Sancto, 39; P.G. 30, 140). Questa chiara visione, nella gloria, fa la felicità degli eletti. L’idea che ne è senza dubbio data ai dannati, ne forma l’infelicità; essi comprendono che la loro vita si è sviluppata in opposizione al piano di Dio sul mondo, interamente ispirato dall’amore infinito del nostro Dio per gli uomini.  – Vediamo adesso ciò che lo Spirito Santo opera nell’anima che Egli santifica.  Quanto precede, mostra che, nella santificazione, tutta la Trinità viene ad abitare nell’anima giusta.  Però l’inabitazione attiva è più specialmente opera dello Spirito Santo. Ma l’azione più particolare del divino Spirito non si arresta a questo semplice compito. Didimo chiama lo Spirito Santo il sigillo del Figlio. La Sua missione, soggiunge è di fissare in noi l’impronta del Figlio, e sotto il nome di Figlio intende il Verbo Incarnato (De Spiritu Sancto, 22; P. G. 39, 1052). Sant’Atanasio tiene il medesimo linguaggio (Ad Serapion, 3, 3; P. G. 25, 630). Dio, scrive san Cirillo Alessandrino, ci fa partecipare alla Sua natura, mostrandoci il suo Santo Spirito. Questo divino Spirito ci rende partecipi della natura divina, rendendoci conformi al Figlio e dandoci così il diritto di essere chiamati figli di Dio e dèi noi stessi (De Trinit. dial. 7; P.G. 75, 1098). Così l’operazione dello Spirito Santo quando viene ad abitare in noi, è imprimere nell’anima nostra l’impronta del Figlio e renderci conformi o simili al Figlio, cioè al Verbo Incarnato (Cfr. Th. De Regnon, Ètudes sur la Sainte Trinité, XXVI, pagg. 484-485.).. – Qual è il senso di tale espressione? Mentre il Verbo si univa ipostaticamente alla Sua umanità, la santificava. Ma questa santificazione Egli la compiva per mezzo dello Spirito Santo che procede da Lui, nel medesimo tempo che dal Padre. Questo divino Spirito creava così nell’anima del Salvatore tutte le disposizioni soprannaturali che essa era suscettibile di ricevere. Tali disposizioni si riducono tutte al più perfetto amore di Dio Padre e al più assoluto distacco dai beni di questo mondo. L’anima umana del Salvatore così trasformata era trasportata dal medesimo movimento vitale, che è quello che costituisce lo Spirito Santo. Essa era dunque portata interamente al Verbo e, per il Verbo, al Padre. Ora, volendo santificare l’uomo, il Cristo, o il Verbo Incarnato, segue un procedimento esattamente simile. Il principio santificatore immediato è sempre lo Spirito Santo. Questo divino Spirito produce nell’anima del discepolo, delle disposizioni simili a quelle che realizzò nell’anima del Maestro. In seguito a tale trasformazione l’anima del discepolo, come l’anima del Maestro, è trasportata dal medesimo movimento vitale, che è quello che costituisce lo Spirito Santo. Essa è dunque trascinata interamente verso il Verbo Incarnato e, per il Verbo Incarnato, verso il Padre, e completamente ricondotta prima al Figlio e, per il Figlio, al Padre. – In tal modo il Cristiano è, secondo il linguaggio di san Giovanni e di san Paolo, colui che vive di una vita che è la stessa vita di Gesù. Da un lato infatti lo Spirito che santifica l’anima umana di Gesù è anche quello che trasforma l’anima del Cristiano; dall’altro, lo Spirito di Gesù, santificando l’anima del fedele, non ha altro scopo che realizzarvi le disposizioni di unione a Dio e di rinuncia che Egli produce in tutta la pienezza nell’anima di Gesù (Mons. Gay, Della Vita e delle Virtù cristiane, t. II, Della carità, pagg. 247 e segg.). – Allora ci si può fare un’idea di una semplice creatura giunta alla più alta santità. La Trinità intera abita in quest’anima. Ma lo Spirito Santo che procede dal Padre, per il Verbo Incarnato, ne intraprende la santificazione. Questo divino Spirito la santifica in tutta la pienezza, cioè nella misura in cui può essere santificata. Ora lo Spirito Santo è il medesimo Spirito che santifica l’anima santa di Gesù. Per conseguenza tutta la vita divina che vivifica l’anima del fedele, è la vita stessa di Gesù. Siccome questa comunicazione avviene nel modo più perfetto possibile, è Gesù che vive nell’anima del Suo discepolo. In maniera più esplicita, è Gesù vivente nel Suo discepolo, col Suo Spirito di santità, con la pienezza della Sua potenza, la perfezione delle Sue vie, la comunicazione dei Suoi divini misteri. Assai più, è anche il fedele vivente in Gesù. Infatti, come lo Spirito Santo viene dal Padre per il Figlio, così ritorna al Padre per il Figlio; tale è l’ordine della vita divina. Perciò l’anima del fedele, interamente trasformata dallo Spirito che viene dal Padre per il Figlio, ritorna, nel movimento della più affettuosa contemplazione, verso il Figlio e, per Esso, verso il Padre. Ed è innanzi tutto sul Figlio unico del Padre, incarnato nel tempo per salvare tutti gli uomini, che si posa lo sguardo di questa felice creatura. Tutta la vita divina che la anima e la trasforma le viene dunque da Gesù e la riconduce a Gesù. Tale è la dottrina della teologia greca sul compito dello Spirito Santo nella nostra santificazione, e sull’effetto di grazia che opera in ciascuno di noi. Essa ha il grande vantaggio di darci, della grazia santificante, un’idea facile a comprendersi. La grazia è pienamente realizzata nell’anima santa del Cristo. Noi siamo invitati ad imitare il nostro modello, abbandonandoci allo Spirito che Egli ci manda (Vedere le nostre Lecons de théologie dogmatique, t. II, L’homme, III parte, La gràce, cap. II, art. 11, La gràce justifiante, § 1, che riproduciamo, completandole, meno l’erudizione). – Secondo le indicazioni di J.J. Olier, il pittore Lebrun ha disegnato e dipinto una specie di schema teologico, per illustrare tale dottrina. Una colomba, simbolo dello Spirito Santo, posa sul petto della Vergine Maria, mostrando che la Santissima Vergine possiede, in tutta la pienezza, lo Spirito che viene dal Figlio. Mediante l’azione di questo divino Spirito, Maria è interamente trasformata; Ella è in qualche modo divinizzata. Ma questo movimento della vita divina che la anima ed altro non è se non lo Spirito Santo, che crea e mantiene in Lei una nuova vita, come viene dal Padre per il Figlio, così ritorna al Padre per il Figlio. Infatti Maria, nell’atteggiamento di una contemplazione infinitamente beata, guarda il monogramma di Gesù Cristo, JHS (Jesus hominum Salvator), che simboleggia il Verbo incarnato, per mezzo del quale Ella va al Padre.

(Sant’Ambrogio e sant’Agostino conobbero la dottrina dei Padri greci e seppero ispirarsene. Anch’essi videro, nella grazia, un duplice dono: un dono increato che è tutta la Santissima Trinità, e un dono creato che è ciò che lo Spirito Santo opera nell’anima. Cfr. Agostino, De Trinit. 1. 15, 46; P.L. 42, 1093. A poco a poco le controversie pelagiane abituarono gli spiriti a considerare nella grazia giustificante prima di tutto la grazia creata, ossia l’opera dello Spirito Santo, considerata in modo astratto. Fu studiata e analizzata appellandosi, per far questo, alla filosofia aristotelica. Tale dottrina ricevette, al tempo di san Tommaso d’Aquino, grazie all’intervento di questo santo Dottore, uno sviluppo notevole. Vedere le nostre Lecons de théologie dogmatique, t. II – L’homme, 1 parte: La grace, cap. III, art. 11: La grace justifiant § 2. Nei secoli seguenti la teologia speculativa si volse interamente da questo lato al punto di trascurare lo studio dello Spirito Santo, lo studio del dono increato. La teologia spirituale, almeno quella che non si era lasciata trascinare nello studio del dono creato, continua a studiare lo Spirito Santo. Essa reagisce con forza, nella teologia dei Padri dell’Oratorio, sotto l’impulso del Cardinale De Berulle, de P. de Condren e di Jean-Jeaques Olier. Cfr. soprattutto Cathéchisme chrétien, 1 parte, lezione I; II parte, lezione V).

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (13)

CRISTO REGNI (8)

CRISTO REGNI (8)

 P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori) TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur Mediolani, die 4 febr. 1926 Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR – In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 – Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

Capitolo secondo

IX. – Conclusione

Privilegiate del Cristianesimo, non parlate d’esagerazioni, voi sapete di abusi incalcolabili delle grandi città, i delitti sociali; i delitti d’immoralità che amareggiano da ogni parte il Cuore di Gesù, con un oceano di fiele e di orribile ingratitudine; ma a voi che siete gli amici, incombe di gridare alla riparazione e fare un’ammenda onorevole piena di amore, piuttosto che trovare nelle proteste dei vostri Vescovi e nei loro insegnamenti, un tema di critica. Babilonia, oggi sembra sventuratamente rinascere dalle sue ceneri più che secolari. E se l’abuso dei sensi pervertiti provocò il diluvio, quale non dovrebb’essere oggi la collera della giustizia vendicatrice che l’indecenza dei costumi moderni ammassa sul nostro capo senza un assalto prodigioso d’amore misericordioso e redentore? Questi molteplici Babilonesi che irritano il Cielo e gli gettano una sfida di sacrilega insolenza, dovrebbero accorare i fedeli: l’ardore e la sincerità della loro fede dovrebbe provocare in essi una recrudescenza d’amore, che a sua volta dovrebbe tradursi in una vita più casta, più austera, più profondamente e socialmente cristiana. – Amici del gran Re oltraggiato e flagellato, non osiamo chiedervi di portare il cilicio ma vi chiediamo, meglio ancora, un cuor contrito, un’anima penitente, una vita sociale purificata dall’infetto paganesimo che ci avvelena. –  Fate della vostra vita, Cattolici praticanti, una grande riparazione d’amore. Madri e spose cristiane, giovanette pie, amate con cuore sincero e con coraggio Maria, il cui titolo più radioso e prezioso è quello d’Immacolata. Non dimenticate che è Lei che vi ha riscattate con la sua vittoria: è per Lei che voi avete questa dolce regalità sociale della Chiesa cristiana, di cui voi godete. Non dimenticate che Gesù ve l’ha voluta come Madre, la sua Vergine Madre! Conservate dunque la santa e legittima fierezza della vostra dignità e della vostra beltà cristiana, difendete questi tesori con una santa collera nell’anima. Rassomigliate per amore e purezza, per candore e modestia, a colei che ha potuto dire a Bernardina: «Io sono l’Immacolata Concezione » Non fate arrossire vostra Madre. Pensate a Lei, nel salotto e sulla spiaggia, nella strada e a teatro. Non velate di lagrime il suo sguardo, che vi segue sempre con materna tenerezza. Non l’obbligate ad allontanarsi con dolore da una figlia poco delicata e poco pudica! Dimostrate a Maria che voi siete le sue figlie di gloria. Ella vi mostrerà che è la Regina potente e fedele. – « O Regina dell’amore, copri con un manto di giglio e di neve, quelle fanciulle che il serpente del mondo cerca strapparti ! »

Il lamento del Cuore di Gesù

« Voi siete tutti puri oggi, ma non lo siete sempre. Tra coloro che seggono alla mia tavola, che mangiano al mio banchetto, che bevono nel mio calice, che sono perciò i miei figli, i miei amici, i miei fratelli, i miei cari discepoli, ve ne sono di quelli che mi straziano e mi trafiggono crudelmente il Cuore. Nell’ascoltarmi, non guardate gli stolti, gli ignoranti che non sanno quel che si fanno, quando bestemmiano il mio Nome. Non sono essi i più colpevoli. Sono quei disgraziati che si dicono Cristiani, ma che m’oltraggiano odiosamente nelle manifestazioni della loro vita nel mondo. Oh! come sono dolorosi i colpi che Io ricevo da questi Cattolici mondani, colpi che riaprono tutte le mie ferite e mettono le mie ossa allo scoperto. Come potrebbero non flagellarmi queste anime cristiane, che di mattina si comunicano, professandomi la loro fedeltà e di sera osano condurmi nel fango?… Dimenticano dunque che io sono la Santità?.. Sì, voi vi ingannate, miei piccoli figlioli, nel proclamare, contro ogni principio della coscienza cristiana, che l’immoralità è autorizzata dall’arte, dall’igiene… scusando così le indecenze della moda, e lo scandalo del teatro moderno. Io ho schiacciato Venere ed il paganesimo, ho maledetto ogni impurità, ho maledetto ogni licenza, tutte le provocazioni al male, Io le maledico sempre. Io sono l’Eterno Presente! – Il mio Cuore è amaramente angosciato da tutti quelli che amo e che discutono la mia Legge, disprezzando i consigli miei e della Chiesa e condannandoli come un’esagerazione di scrupoli troppo puerili. Io piango per i miei figli, i miei amici, che contribuiscono con il loro talento, con il loro denaro, colla loro bellezza, allo sviluppo di questa moda rilasciata, di queste lubricità provocanti, e che sono stimolo alle passioni. Essi adducono come pretesto i loro obblighi sociali, le esigenze moderne!… Che fanno essi della mia Legge Divina con i suoi obblighi e i suoi doveri, assunti verso di me, col Battesimo? Non disprezzate i carnefici del Calvario, perché questi infedeli mi hanno eretto un nuovo calvario di cui essi sono i carnefici. Non parlate della vigliaccheria dei soldati che sono di guardia alla prigione; altri mi flagellano più crudelmente ancora e mi sputano sul viso. Non pensate al tradimento di Giuda. Guardate piuttosto tutti questi nuovi Giuda, che abbandonano il loro Maestro ed Amico, per la soddisfazione dei loro sensi. Tutto quel denaro che essi lasciano alla porta dei teatri, è per il mio Cuore, come i trenta denari di un continuo tradimento. Il vostro Gesù tradito, il vostro Gesù flagellato e crocifisso ; il vostro Gesù col Cuore trafitto dalla impudicizia sociale, vi supplica di aver pietà di Lui. Abbiate pietà di Lui, voi che vivete nel fasto e nel piacere e nelle raffinatezze dei sensi! Abbiate pietà di Me, voi che col vostro nome, colla fortuna, col credito, coll’esempio, reagite contro lo scatenarsi delle passioni. Fate servire alla mia gloria l’influenza che voi esercitate nella società! Respingete come illegittimo, ogni basso e indegno divertimento, ogni abitudine anti-cristiana, ogni trovata del raffinato sensualismo, ogni piacere equivoco e pericoloso. Guardatevi, guardatevi, che la vostra responsabilità un giorno non vi schiacci. Gesù, flagellato dall’impudicizia della società, vi supplica di aver pietà di Lui. – Abbiate pietà di Me, voi i cui salotti non dovrebbero mai tollerare libertà di vestiti, di balli, di linguaggio! Io ho fatto in pezzi gli idoli pagani. Voi che vi accostate alla Comunione, oserete restaurarli? I tempi cambiano — dite voi, Io che sono la Legge ed il Giudice, Io non cambio mai. Gesù flagellato dall’impudicizia della società, vi supplica di aver pietà di Lui. Abbiate pietà di Me, voi madri e spose che Io ho nobilitato! La vostra influenza è grande e spesso decisiva sull’animo dei vostri, per lo spirito che potete far regnare nel vostro focolare. Se vi ho riscattate, era mio intento di fare di voi, col senso più delicato che avete di ogni dovere e di ogni diritto, un centro di luce. Diventereste voi invece una sorgente di scandalo e di tenebre? Conservate; oh! conservate la mia Legge di purezza, con il riflesso della bellezza immacolata della Madre mia, la vostra Regina! Vigilate sulla modestia cristiana dei vostri fanciulli e delle vostre fanciulle. Non desiderate per essi che la splendente e radiosa beltà del candore. Difendete, dal mondo perverso e corruttore, la soglia della vostra dimora. Il Maestro, il solo Maestro in casa vostra sono Io, il vostro Dio tutto amore, il vostro Re-Amico. Non lo dimenticate, lottate con Me, per Me, Io sono lo stesso Gesù, il supremo e giusto Legislatore della vita privata e della vita sociale. – Gesù flagellato dall’impudicizia del mondo, vi supplica di aver pietà di Lui. E. voi, i gaudenti della vita, anime affievolite, così facilmente sedotte dalle sirene del piacere, dalla dea volubile e menzognera, la vanità; anime malaticce, assetate di sensazioni, prese dalle vertigini del mondo, cuori buoni, ma che un facile carattere ed una virtù poco solida, rendono così compiacenti; coscienze troppo facili e sensibili ad ogni mutamento della moda e delle dottrine, arrestatevi nella vostra corsa verso l’abisso. Questo mondo corruttore, che vi attira e vi piace, è il vestibolo dell’inferno; arrestatevi! Il mio Vangelo non vi inganna. La vostra salvaguardia è la mia Legge. La vostra saggezza è la saggezza della Chiesa. Di grazia, arrestatevi! Non calpestate con la vostra vita mondana, la mia Croce sanguinante! Nessuno, fuori di me, vi ama di un amore vero. Io vi tendo, le braccia. Dimentico i vostri traviamenti; amatemi alla vostra volta, di un amore intero e leale! Perché voi entriate nell’intimità del mio Cuore, vi apro la ferita del mio Costato. Entrate, prendetevi tutto per voi, il Cuore di un Dio, ardente di voi! Venite, abbiate pietà di Me! Gesù tradito, Gesù flagellato, Gesù crocifisso, Gesù dal Cuore trafitto, vi supplica di aver pietà di Lui!

CRISTO REGNI (9)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (11)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (11)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia: Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa – Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur: Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO NONO

LE MISSIONI DELLO SPIRITO SANTO

La teologia dà, della missione divina, questa definizione e questa classificazione. La missione divina è: Processio unius personæ divinæ ab alia, quatenus concipitur relationem habere ad terminum temporalem.La missione divina implica così una duplice relazione,quella della Persona che è mandata alla personaoppure alle altre due Persone congiunte che mandano;quella della persona che è mandata alla creaturaverso la quale essa è mandata.La missione è visibile o invisibile, secondo cheessa è o non è accompagnata da un segno esterno.La missione dello Spirito Santo nell’anima che Egli santifica è ordinariamente invisibile; quella dello Spirito Santo sull’anima degli Apostoli il giorno di Pentecoste, fu visibile. Questa missione visibile o non fa che manifestare un effetto della grazia già prodotto, ed essa in tal caso è detta puramente rappresentativa, per esempio, lo Spirito Santo che appare sotto forma di colomba, al Battesimo del Salvatore; oppure questa missione visibile ha anche per effetto di produrre la grazia e allora è detta rappresentativa e attiva. Di più, la missione è detta accidentale o sostanziale, cioè ipostatica, secondo che essa ha per termini l’unione del tutto accidentale delle Persone divine coll’uomo, oppure l’unione ipostatica di una Persona divina, cioè la Persona del Verbo, con la nostra natura umana. – Tale definizione della missione divina, che può sembrare astratta ma che in realtà è una conclusione dei fatti rivelati, e questa classificazione che essa riceve, ci guideranno.

1.

Dio creò l’uomo, non perché vivesse solo, e molto meno perché vivesse in opposizione col suo Dio. Dio creò l’uomo perché vivesse col suo Dio come un amico vive col proprio amico, in una grande intimità, destinata a divenire sempre più perfetta ed intima. In origine, fu così. Per vivere coll’uomo nella più grande intimità, Dio lo aveva costituito nello stato di giustizia originale; elevato allo stato di grazia e perfezionato nella sua natura umana. Ma Dio volle che l’uomo restasse libero di amare il suo Dio o di non amarlo, di corrispondere al suo destino o di non corrispondervi. Ed è questa la spiegazione della nostra deplorevole storia. Abusando della propria libertà, l’uomo disobbedì a Dio, ricusando così di riconoscerlo come suo Signore e aggiungendo alla sua disobbedienza la più abominevole ingratitudine, Dio punì l’uomo ritirandosi da lui e privandolo della grazia di cui lo aveva colmato. Gli fece prender coscienza della gravità della sua colpa e dell’abominazione della sua ingratitudine. Lo avrebbe lasciato in questo stato? La misericordia infinita di Dio ebbe il sopravvento. – Il libro del Genesi ci riferisce tutte queste cose in maniera figurata. Rivolgendosi al tentatore, cioè al demonio che aveva spinto la prima donna al peccato, Dio gli disse: « Perché hai fatto questo, una donna verrà e ti schiaccerà il capo, e invano cercherai di morderle il calcagno ». Tutta la Tradizione ha visto, in questo testo, che considera come il Protovangelo, come il riscontro del Vangelo di san Luca, l’annunzio del Messia Redentore e Salvatore. Tale annunzio è la prima missione dello Spirito Santo. Tutta la storia del popolo d’Israele è dominata dalla speranza e dall’attesa del Messia. Questa speranza è mantenuta dalle Missioni dello Spirito Santo. Poi, ecco i profeti. Illuminati, condotti dallo Spirito Santo, annunziano il Messia, Redentore e Salvatore. Giungono fino a predire il tempo, il luogo ove nascerà, la nobile povertà che sarà tutta la Sua ricchezza, tutta la santità di cui vorrà circondarsi. La Vergine Maria nasce a Nazaret. È tutta santa, tutta bella, immacolata nella Sua Concezione. Trascorre la Sua giovinezza quasi interamente nel Tempio. All’età di tre anni sceglie il Signore quale porzione della Sua eredità: si consacra a Dio; non amerà che Lui, non servirà che Lui, sarà interamente sua, senza riserva, senza divisione. Così vuole lo Spirito Santo che la illumina, la ispira, la guida in ogni suo passo, mediante l’insigne missione che Egli compie. Ecco l’Arcangelo Gabriele, il mandato di Dio, che le dice: « Salute, o piena di grazia, il Signore è teco. Benedetta tu fra le donne! » E siccome la Santissima Vergine si turba: «Non temere, Maria, prosegue l’Angelo; perché hai trovato grazia presso Dio; ecco tu concepirai nel seno e partorirai un Figlio, e gli potrai nome Gesù. Questi sarà  grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; e il Signore Dio gli darà il trono di David, suo padre; e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe; e il suo regno non avrà mai fine ». Allora Maria dice: « Come avverrà questo ? » E l’Angelo risponde: « Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà, per questo il Santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio» Maria esclama allora: « Ecco l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola ». Il Figlio di Dio si fa uomo nel seno della Santissima Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. È contemporaneamente la grande missione del Figlio unico di Dio nel mondo, e la grande missione dello Spirito Santo. E siccome sono unite in una misteriosa unità, bisogna dire che è la grande missione del Figlio unico di Dio nel mondo, che Egli compie pet mezzo della grande missione dello Spirito Santo. Quanto alla vita della Vergine Santa, che adempie qui ad un tempo la divina missione di Sposa dello Spirito Santo e di madre, secondo la carne, del Figlio unico di Dio, sarà quel che è sempre stata, fin dall’inizio, una missione continua dello Spirito Santo. Così comincia la grande missione del Figlio unico di Dio nel mondo. Concepito di Spirito Santo, nasce dalla Santissima Vergine Maria. Il Dio Bambino è adorato dagli Angeli, dai pastori, dai Magi. A dodici anni, è a Gerusalemme, nel tempio in mezzo ai Dottori, che lo interrogano e ammirano la sapienza delle Sue risposte. Lo Spirito Santo è visibilmente in Lui: è lo Spirito Santo che parla per bocca Sua. Giovanni Battista sulle rive del Giordano annunzia la venuta di Colui che battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco. E nel momento in cui Gesù riceveva il battesimo da Giovanni, il cielo si apre, lo Spirito Santo scende sopra di Lui, sotto forma di colomba e una voce si fa udire: « Ecco il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo ». È una missione dello Spirito Santo, solo rappresentativa, per significare che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo. – La missione del Figlio di Dio fatto uomo si afferma sempre più, per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo. Gesù sceglie i Suoi Apostoli; pronunzia il sermone sulla montagna, codice del Vangelo; moltiplica i miracoli. Giovanni Battista è stato da poco decapitato per ordine di Erode del quale aveva denunziato la cattiva condotta. Le inquietudini del tiranno hanno per oggetto Gesù. Ma Gesù continua la Sua missione, senza farne caso, per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo. Ecco l’istituzione della Santissima Eucarestia e quindi, al Getsemani, l’agonia. Poi, il tradimento di Giuda, la Passione, il Calvario, la crocifissione, la sepoltura. Quindi la risurrezione per lo Spirito Santo. Il mattino del primo giorno della settimana seguente, è l’apparizione di Gesù risorto alla Maddalena. La sera del medesimo giorno, mentre i discepoli erano radunati nel Cenacolo, Gesù venne, e presentandosi in mezzo a loro, disse: « Pace a voi!» Dopo aver parlato così, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli furono pieni di gioia vedendo il Signore. Egli disse loro una seconda volta: « Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’Io mando voi ». Dopo queste parole alitò sopra di loro dicendo: « Ricevete lo Spirito Santo. Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete e ritenuti a chiunque li riterrete ». Questo soffio è simbolo della comunicazione ancora parziale, dello Spirito Santo, che riceveranno in tutta la pienezza il giorno della Pentecoste (Gv. XX, 19-23). Sono le missioni divine. La missione centrale. la missione del Figlio di Dio fatto uomo, venuto in questo mondo per salvare e riscattare tutti gli uomini dalla schiavitù del peccato. Tutte le missioni dello Spirito Santo si riferiscono alla missione del Figlio di Dio fatto uomo. Esse sono tutte, come si suol dire, ordinate alla missione del Figlio di Dio fatto uomo, per annunziarla, prepararla, realizzarla effettuarla, compierla. – Allora si può fare una domanda ed è stata fatta Che cosa sarebbe avvenuto delle missioni divine se in origine, non vi fosse stato il peccato? Per quanto è possibile giudicarne, se non fosse stato commesso il peccato originale il Verbo di Dio si sarebbe incarnato lo stesso, il Padre avrebbe egualmente mandato il Suo Figlio in mezzo agli uomini. Egli sarebbe venuto non per salvarli, né  per riscattarli, ma per santificarli, divinizzarli maggiormente, renderli sempre più simili a Sé, senza che avessero. bisogno per questo, di passare dall’esperienza del male e del peccato, per vivere con loro, Lui in essi, essi in Lui, nella più grande amicizia, un’amicizia perfetta, profondissima, molto stretta. – Dio ha creato l’uomo, abbiamo detto all’inizio di questa Lezione, non perché vivesse solo, e molto meno perché vivesse in opposizione con Dio. Dio ha creato l’uomo perché vivesse col suo Dio come un amico vive col proprio amico nella più grande e più viva amicizia. Così il Verbo di Dio si sarebbe incarnato, nella pienezza dei tempi, assumendo la nostra natura umana, ma impassibile e immortale. Tutte le cose sarebbero state annunziate, preparate, realizzate, continuate, compiute attraverso le missioni dello Spirito Santo. Ci saremmo mossi nel piano di una santificazione, di una divinizzazione del mondo, per mezzo della missione del Verbo Incarnato, che si sarebbe compiuta mediante le missioni dello Spirito Santo, per lo Spirito, con lo Spirito, nello Spirito. Se alle origini non vi fosse stata la colpa, le missioni divine avrebbero avuto luogo, ma secondo un altro piano. – Aspettiamo la vita eterna per darci alla meditazione di tutte le grandezze, e torniamo al nostro soggetto.

2.

Dopo aver studiato nella loro profonda unità le missioni del Figlio unico di Dio, che continua nel tempo e nell’eternità, e le missioni dello Spirito Santo che la circondano, ci sarà possibile studiare separatamente, diciamo astrattamente, le missioni dello Spirito Santo? Il Verbo di Dio, generato dal Padre da tutta l’eternità, è presente con la Sua umanità glorificata nel cielo, in mezzo agli eletti, dei quali forma la gioia e la gloria. Ma il Verbo di Dio, generato dal Padre di tutta l’eternità, vuole pure abitare in ogni anima riscattata con la Sua Passione e Morte. E le ha riscattate tutte senza eccezione. Per renderle degne di ciò, non cessa di mandar loro il Suo Spirito Santo, che le illumina, le invita al pentimento delle proprie colpe le santifica e, una volta santificate, le aiuta a santificarsi maggiormente. Di qui, l’attività immensa prodigiosa, infinita, delle missioni dello Spitito Santo. Questa attività santificante è la proprietà dello Spirito Santo? – L’Incarnazione è la proprietà del Figlio unico di Dio. Solo il Figlio unico di Dio, solo il Verbo eterno del Padre si è fatto uomo. Se il Padre e lo Spirito Santo dimorano nella santa umanità del Salvatore, soltanto il Verbo si è unito sostanzialmente, cioè ipostaticamente, a questa umanità e l’ha fatta Sua. La santificazione delle anime è anch’essa, in un certo senso, la proprietà dello Spirito Santo? – Un teologo eminente, il P. Petau, lo ha affermato. Egli fa della santificazione delle anime una funzione talmente speciale dello Spirito Santo, che assume tutti i caratteri di una proprietà. « Sic, in homine justo, tres utique Personae habitant. Sed solus Spiritus Sanctus quasi forma est sanctificans, et adoptivam reddens, sui communicatione, filium. Senza dubbio nell’uomo giusto abitano le tre divine Persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ma solo lo Spirito Santo è come la forma che fa, dell’uomo giusto, il figlio adottivo di Dio » (De Trinitate, 1. VIII, c. VI, 8). – Non si faccia dire al P. Petau ciò che non ha mai detto o scritto. Secondo lui, come secondo tutti i teologi, l’unione della Trinità santa con l’anima giusta non può essere che una unione accidentale. Ma, egli afferma, è l’unione speciale dello Spirito Santo con l’anima giusta che fa dell’uomo giusto il figlio adottivo di Dio. Petau afferma che tale dottrina è proprio la dottrina dei Padri greci. In verità la dottrina dei Padri greci ci sembra ad un tempo molto più semplice e luminosa. Essi affermano che lo Spirito Santo è più specialmente il principio della nostra santificazione perché, nella rivelazione che ci è stata fatta del mistero di Dio, lo Spirito Santo è il termine della vita divina, è in qualche modo la Persona divina volta verso gli uomini e, per conseguenza, il principio immediato di tutte le opere ad extra, Colui per mezzo del quale il Padre ed il Figlio, il Padre per il Figlio, intervengono. Nell’opera della nostra santificazione, il Padre ed il Figlio agiscono egualmente, ma per mezzo dello Spirito Santo. I teologi della Scolastica non hanno mai potuto risolversi a dire che la santificazione delle anime sia un attributo più speciale dello Spirito Santo. Per essi la santificazione delle anime appartiene alle tre Persone, al medesimo titolo. È vero, dicono, che nella Sacra Scrittura, la santificazione delle anime è sempre attribuita allo Spirito Santo; ma ciò è a motivo della relazione che esiste tra questa operazione e il nome personale o distintivo dello Spirito Santo. Si tratta di un’attribuzione fondata sopra una semplice appropriazione. Coraggio, un po’ di audacia! Lo Spirito Santo lo vuole!

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (12)

CRISTO REGNI (7)

CRISTO REGNI (7)

 P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur: Mediolani, die 4 febr. 1926 Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

Capitolo secondo

VIII. – Rimedi

E per chiudere questo capitolo, tanto penoso a  scriversi, eppure tanto necessario per essere letto e meditato, noi faremo, in forma di corollari, alcune flessioni importanti. – La prima sarà pet scusare in parte, un gran numero di questi colpevoli. Come spiegarsi infatti, la resistenza d’un nucleo tanto vasto di Cristiani alle prescrizioni della Chiesa, relative alla immodestia delle mode e ai divertimenti disonesti? La donna cristiana, in generale, tanto casta e pura, non vede e non può vedere quel che non comprende. Essa ha gli occhi limpidi e giudica con questa limpidezza il cuore e lo sguardo altrui. – L’innocenza è una celestiale beltà; ma essa è un grave rischio senza la docilità. La disobbedienza alle severe leggi della modestia, nasce dunque dal fatto che la donna e la giovanetta non comprendono il perchè di tal severità, e la giudicano una « pia esagerazione ». Esse cedono alla vanità, al rispetto umano; fanno come le altre, forse con qualche piccolo rimorso, ma spesso senza la minima malizia. Questo è evidente. Ma non è meno evidente che il male cagionato da questa infantile incoscienza, da questa mancanza di sommissione alla Chiesa, è immenso e positivo, intorno ad esse e loro malgrado. Per discrezione, è impossibile dimostrarlo loro; chè si può entrare in certi particolari che offenderebbero la loro delicatezza. Ma occorre affermar loro decisamente, in nome di un’autorità divina, che esse debbono obbedire in coscienza ed integralmente. Io posseggo la copia di una lettera curiosissima e molto interessante. È firmata da una persona conosciuta ed è scritta da una giovinetta dall’anima molto onesta e retta: « lo sono giovane, ho venti anni; sono molto gaia ed amo pazzamente la moda ed i balli. Ho sempre considerato fino a questo momento le condanne lanciate contro i balli moderni e le mode attuali, come invettive esagerate e ridicole di gente bacchettona, di vecchie zitellone e di persone maliziose. Avendo sentito commentare la pastorale dell’Arcivescovo, sull’immoralità dei nostri odierni divertimenti, ho voluto leggerla, per curiosità. Questo le proverà che io non sono una cattolica praticante; non ho ancora fatto la prima Comunione. Ho dunque letto la Pastorale. Mi pareva molto strano che un prelato reputato così saggio e santo, potesse condannare severamente quel che ci diverte tanto comunemente. Ebbene, tutto quel che afferma questa Pastorale, è profondamente vero. Le dirò come ne sia stata pienamente convinta, in modo semplice e assolutamente inatteso. « Ero in viaggio: sentendomi poco bene, andai nel corridoio e là, in un vicino compartimento di lusso, sentii la conversazione di un gruppo di giovani della nostra società. Essi si scambiavano le loro riflessioni e le loro impressioni sopra i nostri balli, le nostre acconciature vaporose, le nostre mode poco modeste. Ho ascoltato sì, coi miei stessi orecchi, quel che non avrei mai creduto, se me lo avessero raccontato: in che modo, cioè, essi interpretavano e giudicavano maliziosamente le nostre maniere, i nostri atteggiamenti, le nostre innocenti famigliarità, la nostra libertà. Parlavano e ridevano forte, designando e nominando di quando in quando l’una o l’altra delle mie amiche. Con mio stupore, sentii nominare e giudicare ed accusare anche me, mentre la coscienza non mi aveva mai nulla rimproverato. « Quel viaggio decise del mio avvenire. Non soltanto non ballerò più e mi terrò discosta da una società di cui là, in quel vagone, era raccolto il fior fiore… ma da oggi decido d’istruirmi nella dottrina della Chiesa che veglia tanto amorosamente sul bene spirituale e l’onorabilità dei figli suoi. Sì, io mi avvicinerò ad essa; e diventerò la sua figlia sommessa e riconoscente per sempre. Ho compreso a che cosa portano le leggerezze; ho sentito cosa si poteva pensare di noi, ed eccomi convinta. Ah, se potessi mettere in guardia altre fanciulle imprudenti, candide, spensierate e incredule come me! » – Insistiamo sulla risoluzione finale: « Diventerò una figlia sottomessa e riconoscente alla Chiesa ». Ecco il solo rimedio, poiché la saggezza e l’amore della nostra Santa e dolce Madre, la Chiesa, fanno della sua direzione, una regola sicura e indefettibile di onore, di pace, di salute. Se la Chiesa, ed essa sola, ha il potere di dar l’assoluzione, essa sola in conseguenza è giudice nella determinazione di quel che è immorale e pericoloso. – Ah! se essa potesse, rompendo il suggello del segreto sacerdotale, divulgare le abominevoli conseguenze quotidiane prodotte dalla licenza sempre crescente! Se i Sacerdoti potessero dire tutto, come confonderebbero i più incuranti, i più increduli, i più ingenui di questa questione estremamente grave e delicata dei costumi e delle mode anticristiane. « Io vi faccio i complimenti per la vostra sincerità apostolica » mi diceva il dottore di una grande clinica, « ma se io dovessi giudicare, io direi tre volte di più, senza violare il segreto professionale ». – Crediamolo: coloro che gridano contro la malizia, quando noi tocchiamo questa questione, sono ordinariamente i più grandi, i più raffinati maliziosi!… Essi vogliono godere con disonestà a detrimento delle anime candide, in cui cercano provocare la rivolta contro l’autorità, a loro profitto. Ipocriti! Si scandalizzano essi, gli scandalosi, della nostra indignazione e perché noi vogliamo prevenire lo scandalo di cui essi godono e approfittano!… Ecco sempre coloro che accusano la Casta Susanna… per vendicarsene. – Un Cardinale Arcivescovo, cosciente dei suoi doveri e delle sue responsabilità, parlava molto chiaramente di questa questione in una recente ordinanza. Un giornale poco degno, nonostante, o forse a cagione della sua grande popolarità, osò rispondere,, domandando in tono ironico, come mai il Cardinale poteva essere al corrente degli abusi e dei misfatti condannati. In verità bisogna essere o molto povero di spirito o disonesto più che altro per fare questa domanda. Come mai noi siamo al corrente degli abusi scandalosi, se viviamo lontani dagli scandali? La risposta è semplicissima. Ad ogni istante, i feriti gravi, raccolti sotto l’infuriar delle mitraglie, vengono condotti dai portaferiti, nell’ospedale più vicino al campo di battaglia. Il capo dell’ospedale, un grande chirurgo, dopo lunghe e penose ore di lavoro, esclama sfinito: « Che orribile battaglia! che sanguinoso combattimento ». Un ufficiale gli dice: « che ne sa Lei dottore? Noi veniamo dal campo di battaglia e noi potremmo dirlo, ma lei, come può affermarlo? Ohimè, risponde tranquillamente il chirurgo, io lo so meglio di lei. Lei non ha visto forse che le sue ferite e quelle di coloro che le sono caduti vicino; mentre che centinaia di poveri resti umani sono passati per le mie mani… mutilati dalla mitraglia… alberi sradicati dalla spaventosa tempesta. Per tutto questo, per il fatto di essere sempre occupato e dover pensare a curare orribili ferite, io posso giudicare meglio di lei del furore… dell’uragano, della asprezza della battaglia. È il nostro caso: meglio dei mondani distratti, storditi, troppo abituati alle malsane mondanità, noi siamo in condizione ci comprendere a distanza, dal numero delle vittime curate nelle nostre « ambulanze e cliniche morali » quale è la potenza infausta e mortale dell’immortalità del nostro secolo. Nessuno meglio di noi è in istato di portare un giudizio equo sulla moralità sociale. Noi siamo la riva, dove approdano tanti poveri malati morali, tanti naufraghi, di tutte le età e di tutte le condizioni! Si viene a noi, con l’anima straziata, la confessione sincera sulle labbra, e con le lagrime che bruciano il cuore e gli occhi. Ma non si viene a noi mai troppo tardi, lasciatemelo dire! Non che il male deplorato non sia molto grave, ma perché il Cuore di Gesù è l’Onnipotenza di resurrezione morale. – Dopo quello di perdonare, noi abbiamo sempre il dovere di prevenire tanti mali, comunque dispiaccia al mondo, predicandone coraggiosamente i rimedi. Questo nostro dovere è tanto più urgente, quanto più ovunque si soffre, per mancanza di lume soprannaturale. Difatti è questo un segno evidente che si impone in questa crisi di pudore. Il senso morale della modestia e della purezza si affievolisce di giorno in giorno, diventa pressoché nullo. Gli occhi del Cristiano, ed a poco a poco la sua coscienza, s’abituano allo spettacolo del male, fino al punto di non esserne più turbati. Il pericolo è grave: insinuandosi nel cuore, può prenderci tutti. Già molti dei buoni blandamente addormentati dall’abitudine della rilassatezza sociale e degli spettacoli immorali, sono giunti all’indifferenza. Io ho anche trovato delle scuole cattoliche dove si era abituati a vedere i fanciulli con i loro vestiti poco modesti, la cui indecente acconciatura, non urtava più le maestre cristiane… – Se mancano i controllori della virtù, le sentinelle deste e zelanti, noi toccheremo il fondo dell’abisso. Non è vero, per esempio, che alcune mode, che qualche anno fa sarebbero state condannate, soltanto se viste in figurino, sono oggi accettate, generalizzate, a cagione di una tolleranza che degenera in abitudine? Uno dei più sicuri e caratteristici sintomi della lebbra è l’insensibilità degli organi. L’insensibilità morale è un sintomo reale della lebbra morale che ci invade vittoriosamente. « Guai! » ha detto il Signore, « a colui che scandalizza! » Se con piena giustizia, noi abbiamo osservato che la grande maggioranza delle donne e delle giovinette hanno una scusa, quella della loro ignoranza del male, sottolineiamo però molto chiaramente che le loro responsabilità restano gravi, dal momento soprattutto che esse hanno per guidarle, la materna difesa della Chiesa. Esse non potranno, con questo, scusarsi interamente delle loro colpe davanti al Tribunale del Dio di ogni purezza e di ogni giustizia, che ha affidato appunto alla Chiesa la cura delle nostre anime. Quante Cristiane deplorano i deviamenti e la mancanza di sottomissione nei loro mariti? Quante donne si lamentano della libertà di pensiero, della politica pericolosa degli uomini? Quante si indignano, perché i consigli della Chiesa non sono ascoltati nella scelta delle letture, nelle direttive delle idee filosofiche e sociali! Ora, che fanno esse del resto, per provare questa sottomissione alla Santa Chiesa, ch’esse vorrebbero invece tanto trovare nei loro fratelli? Riconoscono esse questa autorità, che i loro mariti misconoscono? Tuttavia, se la Chiesa esagera nel difendere le mode indecenti, perché non esagera nel proibire alcune letture o nel respingere alcune dottrine di filosofia pericolose? Le donne non agiscono in modo diverso dagli uomini. La Chiesa non ha due misure: questi e quelle debbono ubbidire. – Una signora di eleganza tutta moderna, e poco modesta, mi viene a visitare, per confidarmi la sua pena: « Come, come convertire mio marito ? » « Col convertire se stessa, Signora », le rispondo… Comprese? Lo spero; ma perché lamentarsi della colpa altrui e portare inconsideratamente in sé il peccato? – « Perché » mi dice una giovanetta, bianca come un fiocco di neve, ma molto dedita per vanità a seguire tutte le mode, « Perchè lei ha predicato così severamente contro le mode attuali? Non veggo dove sia il gran pericolo, né per me, né per gli altri. Voglia compiacersi spiegarmelo più chiaramente, e le prometto, uniformerò la mia linea di condotta alla sua. « Mi promette Lei » le rispondo, « di accettare una sola osservazione molto grave, che io le farò come risposta definitiva ai suoi dubbi e alla sua curiosità? ». « Glielo prometto, padre ». Ascolti: « Se in un’acconciatura poco modesta, con vesti troppo corte ed una scollatura esagerata, lei fa una passeggiata di molte ore, nel centro della città, volendo, per semplice vanità, attirar l’attenzione sulla sua persona, creda pure che, tornando a casa sua, lei avrà probabilmente la responsabilità di qualche peccato grave, forse di molti, che lei avrà fatto commettere… – « Voglio rispettare il suo candore, ma le debbo questa risposta severa; e ora, da fanciulla veramente pia, sia docile, e bandisca ogni frivolezza esteriore ». – Ella ne fu molto colpita, e si mantenne, nonostante il suo ambiente, di una modestia ammirabile. Bisogna far cadere le scaglie, senza aprire gli occhi. Molte Cristiane, come questa giovinetta, peccano per vanità, cedendo alla sconvenienza della moda. La loro responsabilità rimane, a motivo dei reiterati ed imperativi avvertimenti della Chiesa, alla quale Nostro Signore ha detto: « Chi ascolta voi, ascolta me ». E nello stesso modo che i genitori comandano, senza spiegare ai loro figli, le ragioni degli ordini che danno: così la Chiesa, nostra Madre, non è obbligata a dirci il motivo delle sue prescrizioni. Veramente; noi ci domandiamo d’altronde, come una donna o una fanciulla intelligente, e Cristiana possa credere che l’insieme della Chiesa docente, che tutti i Vescovi, assolutamente d’accordo, su questo punto, col Nostro Santo Padre, il Sommo Pontefice, s’ingannino ed esagerino tutti, parlando unanimemente in favore della modestia, condannando decisamente gli abusi e la licenziosità moderna. Non è dunque, se non per la via della sommissione perfetta, che si otterrà una coscienza tranquilla, in tutti gli atti della vita e soprattutto nelle ore angosciose dell’agonia. – Meditate questa fine infinitamente triste d’una donna mondana. Nella sua giovinezza, e durante i lunghi anni della sua vita, la signora *** è stata frivola e leggera, nonostante la sua educazione, e la tradizione della sua famiglia; ed ha sempre sorriso degli anatemi della Chiesa. Ma quando l’età e soprattutto la malattia l’hanno paralizzata, essa fece di necessità virtù, e nel suo letto, sembrò almeno a riparare le sue follie. Non le si è nascosta la gravità del suo male, tanto che s’è spesso confessata, ha avuto qualche scrupolo, ed ha ricevuto gli ultimi Sacramenti. Ma ecco che una sera, ella si ridesta di soprassalto da un sonno leggero, e, spalancando gli occhi con spavento, mostra il Crocifisso a quelli che la circondano e grida: « Guardate! Oh, guardate come il Cristo è coperto del sangue della flagellazione che io gli ho fatto subire con le mie mondanità!… Guardate come questo sangue gronda… e cade sopra di me! Ascoltate come questo Cristo mi maledice!… Le si fa osservare che si è confessata, ma ella insiste: « Egli mi maledice, perché ho scandalizzato le mie figliole le quali, mondane come me, formeranno i loro figli alla scuola del peccato. E queste responsabilità sono mie, e mi schiacciano. Guardate, oh, guardate il sangue di Cristo, flagellato dalle mie follie! Che orrore! Ho tradito l’educazione delle mie figliole, scandalizzandole col cattivo esempio. Guardate, il Cristo mi maledice, e il suo Sangue cade sopra di me… » E si abbatté, estenuata: qualche sospiro ancora… ella era dinanzi al suo Giudice! Vorreste voi agonizzar così?

CRISTO REGNI (8)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (10)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (10)

TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia – Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO OTTAVO

LO SPIRITO SANTO PROCEDE DAL PADRE PER IL FIGLIO

Amico lettore, aguzza bene la tua mente per renderla il più possibile penetrante. Vorrei qui esporti e farti comprendere, un poco, il mistero della vita divina e, in questa vita divina, vorrei farti afferrare il mistero della processione dello Spirito Santo. Per maggior semplicità e chiarezza, procederò sotto forma di Lezione, come in un corso.

1.

Cominciamo dall’analisi di noi stessi.

L’atto proprio del nostro spirito è di concepirsi, mentre concepisce gli oggetti esterni. Se egli giunge a concepirsi il più perfettamente possibile, non è per questo diviso: resta uno. Tuttavia, in esso vi è come lo spirito-padre del pensiero e questo medesimo concetto, che è come il pensiero-figlio dello spirito. Ma ben presto lo spirito che si conosce e si contempla nel concetto che si è formato di se stesso, si sente attratto verso questo pensiero da un movimento di compiacenza e di amore. Supponiamo un istante che tale pensiero, invece di essere fuggevole, inconsistente, si sia potuto elevare a un grado di perfezione sufficiente per poter sussistere in se stesso: si volgerebbe spontaneamente con compiacenza ed amore verso lo spirito che lo ha concepito. E questo duplice movimento di amore, risultato misterioso di questa duplice corrente affettiva che andrebbe e verrebbe dal primo al secondo termine, unendoli assieme, loro reciproco amore, costituirebbe un terzo termine, distinto dal primo e dal secondo. Giungeremmo di colpo all’idea più elevata che noi uomini ci possiamo formare della Santissima Trinità.

2.

Riprendiamo la nostra analisi.

L’atto proprio del nostro spirito è di concepirsi, di esprimersi e dire se stesso, nel medesimo tempo che concepisce, esprime e dice gli oggetti esterni. Manteniamo solamente questo verbo: che esso dice. In tale dottrina abbiamo bisogno delle parole, sì, della vacuità delle parole, ed anche della loro sonorità, per elevarci spiritualmente alle grandi idee. Così, dunque se il nostro spirito giunge a dire se stesso il più perfettamente possibile, non è per questo, diviso, resta uno. Si possono tuttavia distinguersi in esso:

il principio che dice se stesso: dicens,

l’atto col quale dice se stesso: dictio,

il termine che è detto: dictum.

Questo dictum, secondo la filosofia platonica, a cui evidentemente il Vangelo di san Giovanni s’ispira, per la terminologia, è chiamato in greco λόγος [= logos], ciò che in latino si traduce con la parola verbum, il verbo.

Riferiamo a Dio.

Da tutta l’eternità Dio dice se stesso, perfettamente, adeguatamente. Dicendo se stesso così, produce il Suo Verbo. Non è per questo diviso: resta uno. Ma in Lui vi è:

Colui che dice se stesso: Dicens: è Dio Padre;

l’atto col quale Dio Padre dice se stesso dictio: è la generazione eterna del Figlio, del Verbo;

Colui che è detto: Dictum seu Verbum; è il Figlio di Dio, il Verbo eterno del Padre.

Così Dio Padre è la sostanza divina che dice se

stessa. Dio Figlio, Dio Verbo, è la sostanza divina che è detta. Questa dictio del Padre al Figlio, quando Gli dice: Tu sei mio Figlio: oggi ti ho generato, è la generazione eterna del Figlio, del Verbo. Di qui non solo la solitudine, ma l’identità della sostanza del Padre e del Figlio, la loro consustanzialità.

3.

Torniamo all’analisi di noi stessi.

L’atto proprio del nostro spirito è di concepirsi, mentre concepisce gli oggetti esterni. Se esso giunge a concepire se stesso il più perfettamente possibile non è per questo diviso, resta uno. Tuttavia in esso vi è lo spirito che si concepisce e il concetto che di se stesso si fa. Poi vi è l’atto della concezione. – Di qui derivano questi termini di « principio che concepisce », di « concezione », di « concetto », che s’incontrano in tutte le filosofie, e sono stati presi in prestito dalla generazione umana. Usiamo tali termini e cerchiamo, con essi, di afferrare il pensiero divino che racchiudono. – La generazione viene definita: Productio viventis a vivente conjuncto ad efformandam naturam specifice similem, vi productionis. Vi è generazione, quando mediante la comunicazione della propria sostanza, un vivente produce un altro vivente, che gli è specificamente simile, di una similitudine che risulta dalla produzione stessa. È ciò che avviene quando noi pensiamo. Il nostro spirito esprime se stesso più o meno completamente, E, come lo indica la parola, questa espressione è simile allo spirito che esprime se stesso. Inoltre, essa è della medesima natura spirituale. Poi, la similitudine risulta dalla stessa conoscenza. Quindi è con ragione che nell’analisi che noi facciamo del nostro pensiero, parliamo dell’intelletto come di un principio che concepisce, del pensiero come di un concetto, e chiamiamo « concezione » l’atto di pensare.

Riferiamo a Dio.

Da tutta l’eternità Dio si pensa. Dio si concepisce. E si concepisce perfettamente. Di qui, similitudine tra il principio che si pensa e il concetto che Egli si fa di se stesso. Tale similitudine viene dalla comunicazione di tutta la sostanza del principio che si pensa al concetto che di se stesso si fa. Di qui, generazione nel significato trascendente. E veramente il principio che si pensa dev’essere chiamato « Padre »; e il concetto che di se stesso si fa, dev’essere chiamato « Figlio ».

Così la generazione eterna del Verbo è trascendente, e sorpassa tutto ciò che possiamo rappresentarci. Essa non introduce, in Dio, nessuna inferiorità dal Figlio al Padre, come avviene nelle generazioni umane. Il Padre ed il Figlio sono egualmente Dio, sono egualmente il nostro solo vero Dio. Questa generazione è eterna. Essa è, è sempre stata; sempre sarà. Né cessazione o arresto: è una generazione eterna. O mistero del nostro Dio!

4.

Torniamo ancora una volta all’analisi di noi stessi.

Ma tosto, lo spirito che conosce se stesso e si contempla, nel concetto che di sé si è formato, si trova trascinato da un movimento di compiacenza e di amore verso questo pensiero. Supponiamo un istante, dicevamo, che tale pensiero invece di essere fuggevole, incostante, abbia potuto elevarsi a un grado di perfezione sufficiente per poter sussistere in se medesimo: esso si volgerebbe, spontaneamente, con compiacenza ed amore, verso lo spirito che lo ha concepito. E questo duplice movimento di amore, risultanza misteriosa di questa duplice corrente affettiva che andrebbe e verrebbe dal primo al secondo termine, unendoli assieme, loro reciproco amore, costituirebbe un terzo termine, distinto dal primo e dal secondo.

Riferiamo a Dio.

Da tutta l’eternità, Dio si pensa. Dio si concepisce. Da tutta l’eternità, in Dio, il Padre genera il Figlio. E generando il Figlio, è trascinato verso il Figlio da un movimento di compiacenza e d’amore. E, per avvicendamento, il Figlio ritorna verso il Padre con eguale movimento di compiacenza e d’amore. È lo Spirito Santo. – Quest’amore del Padre e del Figlio, del Figlio e del Padre, risulta dalla generazione eterna del Figlio dal Padre. Esso è in questa stessa generazione, a tal punto che la generazione del Figlio dà luogo all’amore reciproco del Padre e del Figlio, talmente che l’origine dello Spirito Santo è nella generazione eterna del Figlio dal Padre.

O Santo Spirito del mio Dio!

Per il mio Signor Gesù,

vieni in me,

prendimi, e conducimi a Lui!

5.

Ecco adesso la tradizione e, su questo punto preciso, anche la teologia dei Padri della Chiesa. Come si vede, lo Spirito Santo procede dal Padre come dal Figlio. Essendo il risultato della generazione eterna del Figlio, si dice che viene dal Padre per il Figlio. Egli procede. da entrambi, come diceva san Cirillo Alessandrino, ἐξ ἀμφοίν [= ex amfoin]. Ciò significa, soggiunge, che viene dal Padre per il Figlio (De recta fide, 21; P.G. 76, 1408). Sant’Agostino traduce: Spiritus Sanctus a Patre Filioque procedit (De Trinitate, l. 15, c. 17, 29; P.L. 1081).

Il Concilio di Toledo 447 introduce il Filioque nel simbolo di Nicea;

Nell’809, a Costantinopoli, dei monaci latini, cantando il simbolo in latino, accentuano assai il Filioque. Alcuni monaci greci rivolgono loro dei rimproveri. Ne segue una lotta: la cosa s’inasprisce. Carlomagno impone il Filioque in tutto l’impero. Non era questo il mezzo adatto. Infatti, non è con la forza che s’impongono le idee, anche se questa forza è quella di un imperatore cristiano potentissimo. La forza che si esercita imponendo le idee, conduce alle divisioni; in tale circostanza l’intervento di Carlomagno non fece che precipitare lo scisma greco, nel secolo IX, quella deplorevole divisione degli spiriti, se non del tutto delle credenze, nella grande famiglia cristiana. Le idee s’impongono mediante la luce che da esse emana e che su di esse facciamo riflettere, e, almeno altrettanto, per mezzo dell’amore, quell’inclinazione del cuore che suscitano nelle anime. Allora soltanto si ammettono e vi si crede.

Conclusione.

Crediamo in un solo Dio, Padre, nel significato trascendente.

Crediamo in un solo Dio, Figlio, nel significato trascendente.

Dalla generazione trascendente del Figlio, risulta o procede lo Spirito Santo. È quanto affermiamo col Filioque. – E questa risultanza, questa processione nell’amore, della generazione eterna del Figlio dal Padre, dà lo Spirito Santo.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (11)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLI GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO VI – “IGNOTÆ NEMINI”

Questa breve Lettera Enciclica fu scritta in occasione delle persecuzioni e della cacciata di prelati francesi dalle loro sedi, dai rabbiosi lupi rivoluzionari il cui unico vero scopo era quello di danneggiare la Chiesa Cattolica e, se possibile, rovinarla completamente. Il Santo Padre Pio VI, che doveva egli stesso subire una lunga prigionia ed un esilio forzato ingiuntogli dallo “Sterminatore” francese, un nemico di Cristo e della sua Chiesa, incoraggiava tutti i popoli viciniori – in particolare i Vescovi – ad accogliere gli esuli fuggitivi e salvarli dalla morte e dalla fame. È uno scenario ripetuto tante volte negli ultimi due secoli di storia della Chiesa in ogni parte del pianeta, in ogni continente. La Chiesa, che sembrava soccombere, con l’aiuto di Do, si è sempre rialzata ed i suoi nemici si sono dissolti nell’infamia, per una morte violenta o miserrima, esempio indelebile – uno per tutti – quella dello stesso “Sterminatore”, strumento del demonio, in un’isola sperduta nell’oceano, ivi relegato e sprofondato nel nulla dalla stessa piovra massonica che lo aveva esaltato al massimo grado e sostenuto nelle sue sanguinose battaglie che avevano spazzato via intere generazioni di giovani europei. Dopo un’apparente breve tregua, le stesse condizioni di persecuzione, per religiosi, laici cattolici e finanche per il Santo Padre si stanno ripetendo ed ingrandendo, fino ad ingigantirsi come non mai, fino all’apparire prossima del falso messia che verrà a dirigere la nuova falsa religione unica mondiale, dalla quale sarà totalmente bandito il Cristianesimo. Teniamoci pronti ad accogliere gli esuli cattolici di tutto il mondo ognuno secondo le proprie possibilità, nell’attesa certa che il Signore Gesù arriverà presto a bruciare, con il soffio della sua bocca, l’uomo della perdizione e dell’inganno, scaraventato nello stagno di fuoco insieme con i falsi profeti della falsa chiesa dell’uomo del Novus Ordo, con la bestia delle sette segrete ed il drago infernale.

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Pio VI
Ignotæ nemini

.1. A nessuno sono sconosciute, né si possono ricordare senza lacrime le cause per le quali gli Arcivescovi, i Vescovi, i parroci, i sacerdoti, i chierici, le sacre vergini e moltissimi fra i regolari del regno delle Gallie, rese pubbliche le prove della loro fede, furono costretti a lasciare le sedi, le abitazioni e i beni e a cercare rifugio in diverse regioni, sia cattoliche, sia non cattoliche nelle quali poterono più facilmente emigrare chiedendo agli stranieri quegli aiuti che non potevano ottenere dai loro. – Questa dispersione del nobile clero in varie parti non poté non commuovere tutti gli animi: noi dobbiamo lodare grandemente non solo i principi, i pastori e i popoli cattolici che, ammaestrati dal Vangelo e infiammati di spirito di vera carità, accolsero benevolmente questi confessori della fede e a proprie spese li mantennero; siamo riconoscenti anche verso i principi e i popoli non cattolici, e fra questi specialmente l’illustre re della Gran Bretagna e la nobile nazione di quel regno che, spinti da un sentimento di umanità verso tutti i propri simili, come dice Sant’Ambrogio, fornirono aiuti ai medesimi imitando la gloria degli antichi Romani “ai quali sembrava molto conveniente aprire le case di uomini illustri agli ospiti illustri, e tornare ad onore dello Stato che quegli uomini stranieri non mancassero nella nostra città di questo genere di liberalità“.

2. Per quanto spetta a Noi che, benché indegni, adempiamo l’ufficio di Pastore universale e di padre di tutti i fedeli, abbiamo creduto di essere stretti da maggior impegno degli altri nel portare un pronto aiuto a questi infelici che si sono gettati fra le Nostre braccia. – Siamo pienamente convinti che in nessuna occasione più giusta né in alcun tempo si possano assegnare aiuti più nobilmente che a coloro i quali, per la causa di Cristo, sopportarono la perdita di tutti i beni e, cacciati dalle loro sedi con ingiuria e violenza, si aggirano per diverse regioni, costretti a vivere fra sconosciuti e quasi nella solitudine. Sin dall’inizio della crudele persecuzione esprimemmo palesemente vivi sentimenti di pietà ai Galli, sia ecclesiastici, sia laici, e li abbracciammo con ogni benevolenza e affetto.

3. Questi esuli, pieni di affanni, certamente speravano di condurre una vita se pur meno comoda, tuttavia priva di preoccupazioni e tranquilla in quei luoghi dove erano approdati, ma improvvisamente l’invasione dei soldati Galli, specialmente nella Savoia e nella città di Nizza e dintorni, li costrinse ad una nuova e più dolorosa fuga. – Noi, perseveranti nei medesimi sentimenti di carità e volontà di bene, pur fra le angustie delle cose nelle quali Ci troviamo, abbiamo raccomandato e ordinato che questi nuovi esuli siano accolti e mantenuti non solo nella Nostra città (Roma) ma anche nelle province della Nostra giurisdizione; per questa stessa causa con Lettera Enciclica del 10 ottobre testé trascorso Ci siamo dati premura di stimolare i Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi dello Stato pontificio affinché ciascuno di loro col proprio clero e le pie associazioni della propria diocesi partecipasse all’opera di misericordia e assecondasse le Nostre paterne preoccupazioni. – Perciò è avvenuto che non solo i sopra ricordati Venerabili Fratelli e il clero secolare e regolare, ma anche molti laici di qualsiasi condizione, a gara, imitando il Nostro esempio, si sono adoperati, tanto che è aumentato il numero dei nuovi ospiti accolti dopo l’occupazione della Savoia e di Nizza sino a giungere a duemila.

4. Sappiamo che parecchi altri ecclesiastici del regno della Gallia col favore del carissimo figlio Nostro in Cristo Francesco, eletto imperatore dei Romani, passarono in Germania dove non erano affatto necessarie le Nostre raccomandazioni per procurare mezzi di sussistenza a questi esuli. Non è ignoto, o Venerabili Fratelli e diletti Figli, che quanto a pietà e carità superate di gran lunga l’antica gloria dei vostri antenati. È stato tramandato che essi erano miti e cortesi verso gli ospiti: ai pellegrini, infatti offrivano spontaneamente ospitalità e gareggiavano fra di loro per i servizi propri dell’ospitalità.

5. Per la verità, alcuni Nostri fratelli degni di ammirazione, come l’Arcivescovo di Parigi e i Vescovi di Saint-Bertrand, Nimes, Maclovien, Tresent e Langres, con lettera del 1¡ di questo mese a Noi indirizzata, continuando lodevolmente ad esercitare quell’ardore di carità con il quale essi stessi, esuli nella città di Costanza, e altri ecclesiastici Galli furono accolti in due abbazie prossime a quella città, Petershausen e Oreutzlingen, Ci hanno chiesto di intervenire presso i presuli, i prelati, gli abati e i capitoli della Chiesa germanica e di raccomandare i sacerdoti della Gallia, profughi per la fede apostolica e tanto provati per l’unità cattolica. Così Noi, volendo accogliere le loro giuste preghiere, volentieri mandiamo a Voi questa lettera affinché possiamo continuare a lodare sempre più quanto da parte Vostra si è già cominciato a fare, e possiamo raccomandare ancora una volta questi atleti di Cristo, che per la causa che hanno valorosamente sostenuto e per i loro distinti meriti di per sé si raccomandano.

6. Questa Nostra lettera vi dimostra chiaramente da quanta consolazione siamo confortati tra le gravi angustie dalle quali siamo afflitti da ogni parte per l’indubbia speranza che nutriamo nel profondo dell’animo, che voi, Venerabili Fratelli Arcivescovi e Vescovi, terrete sempre presente l’aurea sentenza di San Paolo, “È necessario che il Vescovo sia ospitale“: quella sentenza che sia i Santi Padri sia gli stessi Concilii grandemente lodano. Infatti, come scrive San Girolamo, “la casa del Vescovo deve essere l’ospizio comune di tutti; e se il laico accoglie uno o due o pochi, adempie il dovere dell’ospitalità; se il Vescovo non avrà accolto tutti, sarà da lui considerato inumano“. Sono parole del VI Concilio di Parigi. Abbiamo la fondata speranza che anche voi, diletti figli, abati e abbadesse, terrete in mente e compirete con l’opera ciò che San Benedetto insegnò ai monaci, cioè che l’abate ogni giorno debba avere ospiti alla propria mensa e le abbadesse poi, secondo il Sinodo di Aquisgrana, abbiano ospiti davanti alla porta del monastero. Infine siamo certi che Voi, capitoli ed ecclesiastici di qualunque grado della nobile Chiesa germanica, considererete che tornerà a vostra gloria se vi sarà dato di seguire quelle esortazioni con cui il sacrosanto Sinodo Tridentino ammonisce: “Chiunque tiene benefici ecclesiastici, sia secolari, sia regolari, deve abituarsi a compiere prontamente e amorevolmente il dovere dell’ospitalità, spesso raccomandato dai Santi Padri, secondo le proprie possibilità, memore che coloro i quali amano l’ospitalità, negli ospiti ricevono Cristo“. – Come il medesimo Sinodo Tridentino si diede premura di affidare ai Vescovi l’onere di questo tipo di carità, così siamo certi che Voi, Venerabili Fratelli, non solo cogli esempi ma anche con le parole e le esortazioni vi adoprerete a procurare a questi infelici sacerdoti francesi gli aiuti anche maggiori di quelli che per mezzo vostro si poterono procacciare, fin tanto che discenderanno su di Noi il giorno della consolazione e il tempo della pace; come disse Alessandro III, Nostro predecessore, mentre raccomandava alcuni ecclesiastici che i nemici della fede perseguitavano.

7. Moltissimi sono i premi che Dio ottimo e massimo ha promesso e che sempre ha dato a coloro che si sono distinti per il generoso servizio dell’ospitalità; noi confidiamo che quest’opera di misericordia congiunta a preghiere pubbliche Ci porterà quanto prima quella consolazione e quella pace che vivamente desideriamo.

Intanto, Venerabili Fratelli e diletti Figli, con sommo affetto impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 21 novembre 1792, anno diciottesimo del Nostro Pontificato.

FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA (2022)

DOMENICA I DOPO EPIFANIA (2022)

FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA.

Doppio maggiore. – Paramenti bianchi.

« Non conviene forse – dice Leone XIII – celebrare la nascita regale del Figlio del Padre Supremo? Non forse la casa di David, e i nomi gloriosi di questa antica stirpe? È più dolce per noi ricordare la piccola casa di Nazaret e l’umile esistenza che vi si conduce: è più dolce celebrare la vita oscura di Gesù. Lì il Fanciullo Divino imparò l’umile mestiere di Giuseppe e nell’ombra crebbe e fu felice di essere compagno nei lavori del falegname. Il sudore – egli dice – scorra sulle mie membra, prima che il Sangue le bagni; che questa fatica del lavoro serva d’espiazione per il genere umano. Vicino al divino Fanciullo è la tenera Madre; vicino allo Sposo, la Sposa devota, felice di poter sollevare le pene agli affaticati con cura affettuosa. O voi, che non foste esenti dalle pene e dal lavoro, che avete conosciuto la sventura, assistete gl’infelici che l’indigenza affligge e che lottano contro le difficoltà della vita  » (Inno di Mattutino). – In questa umile casa di Nazaret Gesù, Maria e Giuseppe consacrarono, con l’esercizio delle virtù domestiche, la vita familiare (Or.). Possa la grande Famiglia che è la Chiesa ed ogni focolare cristiano esercitare in terra le virtù che esercitò la Sacra Famiglia, per meritare di vivere nella sua santa compagnia in cielo (Or.). – Benedetto XV, volendo assicurare alle anime il beneficio della meditazione e dell’imitazione delle virtù della Sacra Famiglia, ne estese la solennità alla Chiesa universale e la fissò alla Domenica fra l’Ottava dell’Epifania o al sabato che la precede.

Incipit

In nómine Patris, ✝et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Prov XXIII: 24; 25
Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te.

[Esulti di gaudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato].


Ps LXXXIII: 2-3
Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit et déficit ánima mea in átria Dómini.

 [Quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore degli eserciti: anela e si strugge l’ànima mia nella casa del Signore]

Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te.

[Esulti di gàudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato].

Oratio

Orémus.
Dómine Jesu Christe, qui, Maríæ et Joseph súbditus, domésticam vitam ineffabílibus virtútibus consecrásti: fac nos, utriúsque auxílio, Famíliæ sanctæ tuæ exémplis ínstrui; et consórtium cónsequi sempitérnum:

[O Signore Gesú Cristo, che stando sottomesso a Maria e Giuseppe, consacrasti la vita domestica con ineffabili virtú, fa che con il loro aiuto siamo ammaestrati dagli esempii della tua santa Famiglia, e possiamo conseguirne il consorzio eterno].

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 1-59
Fratres: Obsecro vos per misericórdiam Dei, ut exhibeátis córpora vestra hóstiam vivéntem, sanctam, Deo placéntem, rationábile obséquium vestrum. Et nolíte conformári huic sǽculo, sed reformámini in novitáte sensus vestri: ut probétis, quæ sit volúntas Dei bona, et benéplacens, et perfécta. Dico enim per grátiam, quæ data est mihi, ómnibus qui sunt inter vos: Non plus sápere, quam opórtet sápere, sed sápere ad sobrietátem: et unicuique sicut Deus divísit mensúram fídei. Sicut enim in uno córpore multa membra habémus, ómnia autem membra non eúndem actum habent: ita multi unum corpus sumus in Christo, sínguli autem alter alteríus membra: in Christo Jesu, Dómino nostro.
[Vi esorto, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrificio vivo, santo, accettevole a Dio: ad offrire il vostro culto ragionevole. Non vi conformate a questo secolo; anzi riformatevi, rinnovando il vostro spirito, affinché conosciate quale sia la volontà di Dio buona, accettevole e perfetta. Perciocché in virtù della grazia concessami, io dico a tutti voi di non farla da savi più di quello che conviene, ma di essere savi con modestia secondoché Dio dà a ciascuno la misura della fede. Poiché come in un corpo abbiamo molte membra, ma non tutte le membra hanno la stessa operazione, così in molti siamo un corpo solo in Cristo, e ciascuno è membro l’uno dell’altro „]

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

COME SI TRATTA IL CORPO.

… Le parole con cui San Paolo esorta i Romani a trattare il loro corpo per trattarlo cristianamente sono tali da stupire più di uno fra coloro che le leggono per la prima volta o per la prima volta le ascoltano. « Vi scongiuro, o fratelli, in nome della misericordia che Dio ci ha usata, di offrire i vostri corpi come un’ostia viva, santa, che piace al Signore ». E in realtà queste parole senza essere menomamente strane, sono mirabilmente nuove nella storia del pensiero morale dell’umanità. La quale non ha mai potuto e non può eliminare il problema del corpo, della materia. Che fare di questo povero corpo? come trattarlo? C’è un trattamento igienico del corpo che non si può dire epicureo, che non si può neanche dire vizioso e non è virtuosamente eroico, eroicamente virtuoso. Consiste nel far star bene il corpo nel conservarlo sano. « Mens sana in corpore sano ». È un programma tutt’altro che ignobile. Fu il programma classico dell’antichità. Noi lo ripetiamo ancora talvolta ai nostri giovani. E Dio volesse che la preoccupazione almeno della salute, dell’igiene, fosse sempre viva e vittoriosa nell’anima della nostra gioventù! Quanti peccati e quante vergogne essa ci risparmierebbe. Ma quando la preoccupazione dello star bene, igienicamente bene, diventi suprema; diventa la grande ispiratrice, la sola e non ci solleva molto in alto, può anche essere egoisticamente bassa. Siamo in un epicureismo sottile e cauto, senza la imprudenza dell’epicureismo volgare: più intelligente dunque dell’epicureismo comune, non più nobile. Più cristiana certo l’austerità scettica di cui abbiamo una traccia, una formula, anche in San Paolo quando ci dice: « castigo corpus meum et in servitutem redigo ». Voglio dominare, è fiero, dignitoso, alto. Programma imperiale, non dell’imperialismo di esportazione, dell’imperialismo di importazione; non esteriore, ma intimo, che è il più vero. E il mezzo è bellicoso: tratto male il mio corpo: lo picchio, lo fo digiunare, gli misuro avaramente la bevanda dolce, gli interdico il più inebriante (abstinuit vino). È tutto un decalogo austero che sa di stoicismo. Non è stoico nel senso che lo riassorbe anche il Cristianesimo, è stoico nel senso che anche lo stoicismo ci era giunto e vi ci si era fermato. Il Cristianesimo va più in su. Arriva al misticismo. Il corpo penetrato di spiritualità ma in nome e per amore di Dio. Lì è la discriminante, nella finalità suprema, definitiva. Perché siano salvi i diritti dell’uomo, è la finalità stoica. Perché sia salva la dignità dell’uomo la quale non si salva per certo capovolgendo i rapporti tra il corpo e lo spirito, condannando questo alla schiavitù, verso di quello. Bella figura umana la figura di chi serve collo spirito alla carne! di chi si anticipa con quella attitudine la morte! Il corpo deve servire, esso deve spiritualizzarsi, e non lo spirito materializzarsi, ma, nel Cristianesimo tale processo deve compiersi nel Nome e per la gloria di Dio. Per offrire a Lui in questo corpo radiosamente spiritualizzato un’Ostia nuova, Ostia viva e non come quella dei vecchi sacrifici che erano carogna, cadavere: Ostia santa, qualche cosa di più che semplicemente buona; santa, tale da piacere a Dio. Il trattamento religioso, divino del corpo! Non si può andare né più in là, né più in su. E tutto questo non è riservato a pochi eletti, ma messo alla disposizione di tutti… ecco il Cristianesimo. Ma è il nostro, fratelli?…

Graduale

Ps XXVI: 4
Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ.


[Una sola cosa ho chiesto e richiederò al Signore: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita.]

Alleluja

Beáti, qui hábitant in domo tua, Dómine: in sǽcula sæculórum laudábunt te. Allelúja, allelúja,

[Beati quelli che àbitano nella tua casa, o Signore, essi possono lodarti nei secoli dei secoli. Allelúia, allelúia.]

Isa XLV: 15
Vere tu es Rex abscónditus, Deus Israël Salvátor. Allelúja.

[Tu sei davvero un Re nascosto, o Dio d’Israele, Salvatore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
S. Luc II: 42-52
Cum factus esset Jesus annórum duódecim, ascendéntibus illis Jerosólymam secúndum consuetúdinem diéi festi, consummatísque diébus, cum redírent, remánsit puer Jesus in Jerúsalem, et non cognovérunt paréntes ejus. Existimántes autem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Jerúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos et interrogántem eos. Stupébant autem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis ejus. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit Mater ejus ad illum: Fili, quid fecísti nobis sic? Ecce, pater tuus et ego doléntes quærebámus te. Et ait ad illos: Quid est, quod me quærebátis? Nesciebátis, quia in his, quæ Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis. Et Mater ejus conservábat ómnia verba hæc in corde suo. Et Jesus proficiébat sapiéntia et ætáte et grátia apud Deum et hómines.

[Quando Gesù raggiunse i dodici anni, essendo essi saliti a Gerusalemme, secondo l’usanza di quella solennità, e, passati quei giorni, se ne ritornarono, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, né i suoi genitori se ne avvidero. Ora, pensando che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, dopo di che lo cercarono tra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a cercarlo a Gerusalemme. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, mentre sedeva in mezzo ai Dottori, e li ascoltava e li interrogava, e tutti gli astanti stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vistolo, ne fecero le meraviglie. E sua madre gli disse: Figlio perché ci ha fatto questo? Ecco che tuo padre ed io, addolorati, ti cercavamo. E rispose loro: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi di quel che spetta al Padre mio? Ed essi non compresero ciò che aveva loro detto. E se ne andò con loro e ritornò a Nazareth, e stava soggetto ad essi. Però sua madre serbava in cuor suo tutte queste cose. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia innanzi a Dio e agli uomini].

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA FAMIGLIA DI GESÙ E LA NOSTRA

Gli occhi di un mondo corrotto e crudele erano rivolti a Roma dove Ottaviano Augusto e dove Tiberio governavano tutta la terra soggiogata all’impero romano. Gli occhi di Dio invece erano rivolti altrove: sulla povera casa incavata nella pietra della collina, confusa tra le altre che s’addossavano a formare la borgatella di Nazareth. – Per chi non sa vedere che le apparenze, niente v’era quivi di straordinario: un operaio, un’umile donna, un fanciullo. L’operaio aveva nome Giuseppe: uno dei tre o quattro falegnami del paese. Chi lo vedeva nella sua bottega lavorare in pace da mane a sera, chi lo vedeva per la strada curvo sotto il peso di qualche asse, certo non immaginava ch’egli avesse avuto frequenti colloqui con gli Angeli, e che nella sua casa tirava grande il Figlio di Dio, e insegnava il mestiere al Creatore del cielo e della terra. Proprio a lui, cui nel suo lavoro non toccava mai che meschini affari di poche decine di lire, era stato confidato il secreto e l’affare più grande di tutta la storia umana: quello della redenzione. – La donna si chiamava Maria. Quando la vedevano alla fontana o al lavatoio, a chi poteva passar per la mente che essa era vergine, e che aveva generato il Messia per opera dello Spirito Santo? Filava la tela, cuciva le vesti, preparava il cibo, faceva pulizia: e tutti i giorni da capo così. Eppure era Quella a cui l’Angelo rivolse un saluto unico al mondo: « Ave, o piena di grazia; il Signore è con te, tu sei la benedetta fra tutte le donne… ». Era Quella che, accesa di Spirito Santo, davanti a sua cugina Elisabetta esclamò: « Tutte le generazioni mi proclameranno beata! ». – Il fanciullo si chiamava Gesù. Era molto buono, ed era anche molto intelligente. Ma non si manifestava così da rilevare il suo essere straordinario. Al suo paese c’erano altri, della sua età, che sembravano buoni e intelligenti come lui. Solo una volta, l’anno dodicesimo di sua vita, avendolo i suoi condotto a Gerusalemme, sua madre lo ritrovò nel tempio che ascoltava e interrogava i Maestri della Sacra Scrittura; e dava risposte tanto assennate che tutti ne stupivano. Tornato però a casa, riprese la vita consueta: lavorava nella bottega con suo padre, ubbidiva, cresceva di statura e di grazia presso Dio e presso gli uomini. A sua madre l’Arcangelo aveva annunziato: « Avrai un figlio che sarà grande: sarà chiamato figlio dell’Altissimo, e Dio gli darà il trono di Davide, ed il suo regno non avrà fine». Ora ella, ogni sera, lo vedeva rientrare nella povera cucina stanco, come sono stanchi tutti gli operai dopo una giornata di lavoro; e non lo vedeva già sopra un trono, ma accoccolato su di uno sgabello, accanto alla cenere del focolare. Era quello il figlio dell’Altissimo? il Messia atteso da secoli? Il re e giudice dei vivi e dei morti? Era Quello; e Maria e Giuseppe l’adoravano, e nella pace della loro casa meditavano in silenzio i misteri del Signore. Ecco com’era la Sacra Famiglia, la famiglia di Dio. La società nostra estremamente bisognosa di una rinnovazione che parta dal focolare domestico, deve rivolgersi ad essa ed imitarla. Sotto due aspetti è specialmente necessario che la famiglia moderna si rispecchi nella famiglia di Nazareth: nel santo timor di Dio, nel santo amore vicendevole.

1. NEL SANTO TIMOR DI DIO

Nella casa di Nazareth prima di tutto e soprattutto, ad ogni costo, la volontà del Padre che sta nei cieli. Sia che la Volontà del Padre imponga sacrifici ordinari: il digiuno; la santificazione del sabato con la frequenza alla Sinagoga; il pellegrinaggio annuale per la Pasqua fino a Gerusalemme, cioè 280 chilometri di strada tra l’andata e il ritorno. Sia che la Volontà del Padre imponga sacrifici straordinari: il censimento in Betlemme, la fuga, l’esilio. Gesù stesso, a Giuseppe e a Maria che gli muovevano rimprovero d’esser rimasto senza dir nulla a Gerusalemme, mentr’essi erano già partiti, rispose: « Non dimenticate che bisogna far sempre ciò che desidera il Padre ». E per conoscere la Volontà del Padre, Maria e Giuseppe facevano tesoro di ogni circostanza, raccoglievano ogni parola che Gesù dicesse e le meditavano in cuor loro, lungamente.

E per aver la forza di eseguirla pienamente e fedelmente, ogni giorno c’era la preghiera. Non sempre la sega strideva e il martello batteva nel laboratorio di Giuseppe: ad una certa ora cominciava il riposo serale, si chiudevano le finestre e la porta, e tutti e tre si raccoglievano a rinnovare le forze del corpo con lo stesso pane, e sollevare le forze dello spirito con la stessa preghiera. Nella stagione migliore, secondo il costume dei Giudei, salivano sul tetto a terrazza della loro casa, e pregavano insieme a Gesù! Se parla suo Figlio, come Dio potrà non ascoltare?… Ora osserviamo se nella famiglia moderna, prima di tutto e soprattutto, ad ogni costo, si teme il Signore e si fa la sua volontà. In quante famiglie, invece che la legge di Dio, domina la legge della carne e della passione impura. Così l’atmosfera della famiglia è perennemente inquinata dal fetore del peccato, ed in quell’aria ammorbata da satana forse ci si illude che gli scarsi figli crescano pii ed ubbidienti… Il punto fondamentale è qui: tutto il resto, verrà di conseguenza. Verrà di conseguenza anche la fedeltà alle leggi della Chiesa, la santificazione della domenica con la S. Messa e la Dottrina e il riposo festivo. La Madonna e S. Giuseppe raccoglievano e meditavano ogni parola di Gesù: e Gesù parla ancora ai genitori con la bocca del parroco e dei sacerdoti. Se la predica non è ascoltata seriamente, non è meditata lungamente, non è meraviglia che la volontà di Dio sia misconosciuta nelle famiglie moderne. Infine occorre la quotidiana preghiera, non la preghiera dei singoli, ma quella di tutta la famiglia raccolta assieme: il Rosario. Uniti non appena per il boccone ma anche per l’orazione. S’eleverà allora. da ogni casa la gloria di Dio Padre. Pater noster! Padre di quelli che hanno dato la vita, Padre di quelli che l’hanno ricevuta; Padre la cui gloria riluce sulla fronte dei genitori. Padre la cui immagine è impressa nell’anima dei figli. Padre di tutti noi, figli adottivi e Padre del suo Unigenito Gesù che in quel momento prega con noi.

2. NEL SANTO AMORE VICENDEVOLE

Amore non significa cercare il proprio bene ed il proprio piacere; ma donare se stessi per il vero bene per la gioia degli altri. Nella casa di Nazareth ciascuna persona vive per le altre dimentica di sé. Infatti, S. Giuseppe lavora per mantenere Gesù e Maria: si affanna e soffre per custodire salvo il Figlio di Dio e la verginità di sua Madre. Quando il suo compito è finito, non aspetta quaggiù ricambio e ricompensa, ma chiude gli occhi nel sonno della morte. – Maria non vive che per Gesù e per lo sposo castissimo. I suoi pensieri, i suoi atti, il suo lavoro, la sua giornata è per loro. Che nulla a loro manchi; che trovino la casa pulita, riposante, ristoratrice… Gesù par che dimentichi d’essere il Creatore e si fa suddito delle sue creature: attento ai loro cenni, premuroso in ogni cosa, attento a prevenire i loro desideri. Nella famiglia moderna, nella nostra famiglia vi è davvero questo dono generoso di sé per il bene e la gioia degli altri? Purtroppo, capita che il padre comincia ad essere il despota egoista che vuol essere servito, e vuol godere. Se lavora, una larga parte del guadagno è prelevata per i suoi divertimenti e per i suoi capricci. Capita che la madre, per protesta, si rivendichi la sua parte di libertà, la sua parte di godimento. Di qui i contrasti, la discordia; non due cuori si fondono, ma due egoismi vengono a conflitto. E così i figli sono allevati, non già rispettando in loro i diritti di Dio che ha posto col Battesimo in loro il suo sigillo, ma per la vana soddisfazione dei genitori. Da piccoli accarezzati, viziati, considerati come idoletti, da giovani divengono ribelli, insofferenti, crudeli. – Le persone della famiglia di Nazareth amavano la loro casa. Gesù trent’anni su trentatré volle rimanere nella sua casa. Dove c’è vicendevole e santo amore è bello restare. Invece al tempo nostro molte case sono come un albergo. Non ci si ritrova che per mangiare e per dormire, manca l’amore. – C’è una leggenda assai gentile che merita d’essere ricordata nel giorno della Sacra Famiglia. Stava, una sera afosa, la Vergine Maria, seduta alla porta con il Bambino addormentato sulle ginocchia. Passò un coro di giovani allegri che andavano a divertirsi: e il Bambino dormendo non li udì. Passò un corteo di nozze con fiaccole e gridi festosi: e il Bambino dormendo non li udì. La Vergine Maria pensava in quel momento alla parola che Simeone, il vecchio del tempio, le aveva detto; a quella spada pensava che le avrebbe trapassato il cuore. Intanto una lacrima le tremò sospesa un poco tra le ciglia, e poi le scivolò giù per la guancia. Il Bambino sobbalzò nel sonno, e aprì gli occhi. « Che hai, piccino! » le disse curvandosi maternamente: « Mamma! ho udito un tonfo come di qualche cosa che mi cadesse in cuore ». Tra i tumulti del mondo, le lagrime silenziose delle madri di famiglia, dei padri di famiglia, ancora fanno sobbalzare il cuore del figlio di Dio.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
S. Luc II:22
Tulérunt Jesum paréntes ejus in Jerúsalem, ut sísterent eum Dómino.

[I suoi parenti condussero Gesú a Gerusalemme per presentarlo al Signore.]

Secreta

Placatiónis hostiam offérimus tibi, Dómine, supplíciter ut, per intercessiónem Deíparæ Vírginis cum beáto Joseph, famílias nostras in pace et grátia tua fírmiter constítuas.

[Ti offriamo, o Signore, l’ostia di propiziazione, umilmente supplicandoti che, per intercessione della Vergine Madre di Dio e del beato Giuseppe, Tu mantenga nella pace e nella tua grazia le nostre famiglie.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

S. Luc. II: 51
Descéndit Jesus cum eis, et venit Názareth, et erat súbditus illis.

[E Gesú se ne andò con loro, e tornò a Nazareth, ed era loro sottomesso.]

Postcommunio

Orémus.
Quos cœléstibus réficis sacraméntis, fac, Dómine Jesu, sanctæ Famíliæ tuæ exémpla júgiter imitári: ut in hora mortis nostræ, occurrénte gloriósa Vírgine Matre tua cum beáto Joseph; per te in ætérna tabernácula récipi mereámur:

[]O Signore Gesú, concedici che, ristorati dai tuoi Sacramenti, seguiamo sempre gli esempii della tua santa Famiglia, affinché nel momento della nostra morte meritiamo, con l’aiuto della gloriosa Vergine tua Madre e del beato Giuseppe, di essere accolti nei tuoi eterni tabernacoli.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (187)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXIV)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

IV. — L’Eucaristia.

D. Hai detto che il sacramento centrale, sacramento per eccellenza, è l’Eucaristia?

R. Ne ho detto la ragione, ed è che esso ha per scopo la nostra nutrizione spirituale, e la nutrizione, per un vivente, non solo è la funzione più importante, ma in certo modo, anche la funzione unica. Una creazione organica non è che la nutrizione e la segmentazione di un germe; uno sviluppo è una nutrizione che prosegue; un funzionamento è una nutrizione che implica una disassimilazione consecutiva, che sprigiona della forza e l’adopera; la morte non sarà che una denutrizione non compensata, come ogni malattia, ogni indebolimento non è che una denutrizione parziale, o una nutrizione deviata, o ipertrofica.

D. Un tale raffronto tra la vita fisica e la vita spirituale è rigoroso?

E. Vi è solo una differenza, essenziale, è vero; ed è che la nutrizione fisica assorbe l’alimento nel nostro corpo; la nutrizione eucaristica fa il rovescio; essa incorpora noi a Cristo, per unirci a Dio. L’alimento è qui il più forte: alimento vivo, simile a una preda che divora il suo cacciatore, ma per portarlo a uno stato di vita a cui è bene salire, poiché noi non cresciamo e non possiamo definitivamente vivere se non a patto di riallacciarci al divino.

D. Dunque Eucaristia ha per te un effetto generale: la vita?

E. Sì, la vita, sia nel suo sostentamento, sia nella sua gioia, nel suo progresso, nella sua riparazione, nel suo compimento, fino alla vita eterna.

D. La nutrizione non impedisce la morte.

R. La nutrizione spirituale impedisce la morte, perché essa non disassimila niente, tranne il male; perché essa ci fa crescere incessantemente e ci spinge solo avanti, capace, con Dio, di vincere la morte a beneficio del corpo stesso. Io sono la risurrezione e la vita; colui che crede in me, quand’anche fosse morto, vivrà, e colui che vive e crede in me, non morrà in eterno.

D. Tu hai dato questo come l’effetto dell’incarnazione e della redenzione.

R. Per questo l’Eucaristia è una incarnazione e una redenzione continuate nello stesso tempo che figurate in simboli. In grazia della presenza reale, Gesù è lì, misteriosamente. Per lui, l’Essere degli esseri e l’Anima delle anime, lo Spirito Santo, si unisce a noi. L’opera della redenzione si realizza corpo a corpo, se posso dire così, ed è veramente questo, poiché il corpo di Cristo è qui lo strumento del suo Spirito per l’opera perpetua e per sé immortale di questo Spirito. Non vi è come condizione altro che l’espropriazione dell’io peccatore; vi lavora Lui stesso.

D. L’Eucaristia è dunque un rito individuale?

R. È un rito essenzialmente sociale, ma dove l’individuo ritrova se stesso, come una patria felice forma la felicità del buon cittadino.

D. Qual è l’aspetto sociale dell’Eucaristia?

R. È d’incorporarci a Cristo insieme, nel nome della carità, vincolo del gruppo, e di una carità non puramente sentimentale, ma organica.

D. L’effetto dell’Eucaristia sarebbe così la vostra società stessa!

R. È quello che dice S. Tommaso, perché l’effetto di questo sacramento è l’unità del corpo mistico di Cristo, cioè della Chiesa. – Toccando Dio, io tocco tutto l’universo umano; l’umile punto bianco è dovunque il centro.

D. Gli effetti individuali derivano di lì, o è l’opposto?

R. Dire che è l’opposto, sarebbe un essere protestanti. La Chiesa è prima. Non già perché degli individui si amano prima in Cristo, e poi si costituiscono in Chiesa; ma essi ubbidiscono alla legge di quest’organismo spirituale che è la legge dell’amore, appunto perché formano una Chiesa in Cristo. L’Eucaristia è una Comunione, e tu sai qual è per noi il largo senso di questa parola.

D. Il simbolismo del pane e del vino non indica questo.

R. Lo indica. Il pane è fatto della moltitudine dei grani che la farina mescola e il fuoco unisce; il vino, della moltitudine degli acini che il tino raccoglie e la cui fermentazione non forma più che una sola cosa. Ecco il simbolo dei Cristiani uniti a Cristo, fermento vivente della massa umana. Non siamo che un solo pane noi tutti che partecipiamo allo stesso pane e allo stesso calice (S. PAOLO). Aggiungi che l’idea del Banchetto eucaristico accentua questo simbolismo, liberandolo da ogni sottigliezza.

D. Tutto questo è solo relativo al presente. L’Eucaristia non è anch’essa e prima di tutto una commemorazione?

R. Relativamente al passato, l’Eucaristia è di fatto la commemorazione e, più ancora, il rinnovamento mistico della Passione del Salvatore e delle sue preparazioni universali, come si vede nella Messa. Appunto per questo si chiama un sacrifizio.

D. In che modo è un sacrifizio e nello stesso tempo un ricordo?

R. È un ricordo che si ripete, come in un giorno di anniversario si rinnova l’amore. È dunque un sacrifizio reale, benché puramente spirituale, spoglio di ogni apparato sanguinoso e ridotto alle realtà dell’anima. Cristo si offre lì di nuovo a suo Padre, e anche noi lo possiamo offrire. La redenzione, ti dicevo, ricomincia per ciascuno di noi, cioè raggiunge i suoi partecipanti e si applica nominatamente a ciascun’anima, come al gruppo attuale delle anime.

D. E si tratta anche dell’avvenire?

R. Relativamente all’avvenire, l’Eucaristia presagisce, prepara e anticipa l’unione definitiva degli eletti con Dio, per Cristo, nella Chiesa eterna. Sotto questo aspetto essa si chiama viatico, parola che si applica specialmente ai morenti, ma che vale per tutti.

D. In che modo presagisce?

R. Facendo venire incontro a noi, sulla via, Colui verso il quale noi camminiamo.

D. In che modo prepara?

R. Con grazie di buona vita, mezzo della beata vita eterna.

D. E in che modo anticipa?

R. Dando già a noi, benché sotto forma nascosta e inattesa, quel pane del cielo del quale siamo affamati senza saperlo, vale a dire Dio.

D. L’Eucaristia è così per te una specie di cielo?

R. In ogni luogo del mondo dove c’è un tabernacolo, e in ogni anima comunicante con disposizioni convenienti, vi è un cielo.

D. Vi sono tabernacoli e comunicanti da per tutto.

R. Dunque da per tutto vi è il cielo. La nostra terra è nel cielo. La nostra terra è un cielo. Con l’aurora, ininterrottamente, la nostra messa gira attorno al globo; essa lo desta al soprannaturale, lo rischiara, lo imbalsama, lo commuove, lo trascina dolcemente, ed è, spiritualmente, l’Eucaristia « che fa girare la terra» (LEONE BLOY).

D. Viviamo dunque tra le meraviglie?

R. Ma che meraviglie di accecamento ci nascondono.

D. Come mai un tale accecamento è possibile in credenti?

R. Noi siamo povere creature terrene, e il nostro attacco alla terra fangosa oppone il nostro spirito stesso a questa invasione del cielo.

D. Per lo meno i santi hanno il sentimento del mistero?

R. Il curato d’Ars disse: «Se si sapesse che cosa è la Messa, si morrebbe ».

D. Ma ancora, voi tutti, se avete la fede, potete qui restare calmi, e potete voi peccare, dopo il bacio tenero e puro della Comunione?

R. Ancora una volta, l’essere umano è un abisso d’incoscienza, di miseria, d’instabilità interiore, di oblio. La « distrazione » pascaliana e le insidie di questo mondo riescono a trionfare di una fragile fede.

D. Ecco; io ti ho lasciato dire; ma quante difficoltà arrestano la mente di fronte a tali invenzioni!

R. Sono invenzioni « divine », e che si cada in stupore davanti ad esse non dovrebbe essere che per riconoscenza e per ammirazione.

D. Questa invenzione « divina » non si trova più o meno in tutte le religioni, in cui l’unione al dio mediante un rito di manducazione è comune?

R. Fai bene a parlarne con precauzione; perché sono tali le differenze tra una religione e l’altra, e sono così fondamentali, tra tutte le altre e la Cattolica, che non si ha il diritto né di trovare qui una legge, né soprattutto di applicarla ai riti eucaristici.

D. Tuttavia, se questa legge esistesse

R. Si potrebbero costruire sopra di essa due ipotesi: o la legge ha giocato affatto da sola presso i primi Cristiani e ha fatto loro inventare l’Eucaristia; o questa legge, fondata in natura, è stata per questa ragione soprannaturalmente soddisfatta da Cristo che istituiva l’Eucaristia.

D. Chi dirà quello che è?

R. I testi e i fatti. I Vangeli sussistono, e fuori di essi nessuno può dire in quale momento e per chi l’Eucaristia sarebbe stata inventata. Ciò dovrebbe essere al più tardi vent’anni dopo la morte di Gesù; infatti fin da quel momento, in quel gruppo, si crede alla presenza reale. Questo gruppo è composto di Giudei, che provano tutte le pene e le difficoltà possibili distaccarsi dai riti mosaici, dalle credenze mosaiche: chi crederà che abbiano essi stessi, e così presto, operato una tale rivoluzione?

D. È una così grande rivoluzione?

R. È la fondazione di una religione nuova. Il Cristianesimo con o senza l’Eucaristia, come con o senza l’Incarnazione, non si riconosce più.

D. Il Cristianesimo cattolico è dunque per te essenzialmente eucaristico.

R. Così è veramente, poiché, come ti ho già detto, il frutto dell’Eucaristia è la stessa organizzazione cattolica.

D. Allora come va che la materia dell’Eucaristia non è punto cattolica, se cattolico vuol dire universale? Il pane e il vino sono prodotti mediterranei, ai quali si sostituiscono altrove, come alimento comune, il riso, le patate, le banane, la birra, il latte e l’acqua chiara.

R. Non hai tolto questa difficoltà da Paolo Valery?

D. Sì, e mi sembra seria.

R. Fortunatamente per lui, Paolo Valery disse cose più serie. Non bisogna forse che un rito, per quanto universale debba diventare, cominci in qualche parte, e sotto una certa forma? Se il Cristianesimo fosse nato nelle Indie, è probabile che la materia dell’Eucaristia sarebbe stata diversa, e sarebbe nondimeno il simbolo dell’alimento spirituale, scelta col medesimo spirito di semplicità, di volgarità, e nella sua doppia forma.

D. Essa non converrebbe maggiormente a tutto l’universo,

R. Perché? E come va che un tale ostacolo, di fatto, non è risentito in nessun luogo? Non si consacra forse nelle Indie, nella Cina, nella Lapponia, dovunque, con del pane e del vino? Si porta la mitra solamente in Persia o il pallio solamente a Bisanzio? Come Cristo fu Giudeo, ciò che non gl’impedisce di essere uomo universale, così il pane e il vino, simboli tolti dal paese d’origine del Cristianesimo, non ripugnano affatto a diventare, per l’uso religioso, usanza generale. Essi hanno allora il vantaggio di ricordare costantemente a tutti gli uomini la culla della loro credenza, come i Mussulmani pregano rivolgendosi verso la Mecca, come noi stessi ci riserbiamo in Cina un parlare latino, Sotto pretesto di universalità, ci si vorrebbe forse imporre, nel rito, un volapuk o un esperanto?

D. Vi è però qui una difficoltà.

R. Ed è quella di quel buon negro, che non capiva che gli si volesse imporre un Dio bianco.

D. Ma vi è ancora qualche altra cosa. Questa idea di sostanza che voi introducete nel dogma eucaristico, appartiene a una filosofia particolare, a un modo di pensare che non è quello di tutti gli uomini, sotto tutte le latitudini.

R. L’idea di sostanza non s’introduce in alcun modo nel dogma a titolo d’ingrediente filosofico, d’idea speciale per chicchessia, ma il titolo più corrente e comune a tutti. Tutto il mondo, praticamente distingue tra il pane e le apparenze del pane, tra il vino e le apparenze del vino. Devi ammettere che dopo la consacrazione non vi è più del pane e del vino altro che le apparenze, e che al posto, per una sostituzione totale — che si chiama transustanziazione, perché bisogna bene adoperar parole — vi è il corpo e il sangue di Cristo, ecco tutto quello che ti si domanda. Il resto è interpretazione, sistema, linguaggio, non più il dogma imposto alla fede.

D. In realtà, questa parola sostanza fu tolta da una filosofia.

R. È questa una questione di storia, non una questione di dogma. La Religione si vale delle parole di scuola come delle altre parole, ma senza infeudarsi alle scuole; non si tratta che di comodità di espressione, e tu non hai bisogno di sapere quello che Aristotile pensi della sostanza, per concepire esattissimamente il mistero dell’Eucaristia,

D. Come puoi tu credere davvero a una tale sostituzione di realtà tangibili, a un tale gioco di apparenze, in una parola, a una tale fantasmagoria?

R. Non vi è nessuna fantasmagoria; le apparenze, prima e dopo, sono perfettamente reali, della realtà che conviene alle apparenze; i nostri sensi non sono dunque ingannati; la nostra ragione, avvertita, non essendo parimenti ingannata, non vi è inganno di sorta. Vi è solo un miracolo.

D. Tutta una serie di miracoli, e dei meno credibili.

R. Scusa, caro incredulo, ma ecco l’idea di Pascal: « Come abomino queste sciocchezze, di non credere l’Eucaristia, ecc. Se il Vangelo è vero, se Gesù Cristo è Dio, che difficoltà vi è qui?».

D. Tuttavia dici tu stesso che Dio non può realizzare le contradittorie. E non è contradittorio che uno stesso corpo sia nello stesso tempo qui e là? Se è qui, non è là.

R. Potresti spiegarmi che cosa è qui e là, che cosa è realmente lo spazio, e quale relazione precisa mantiene l’essere allogato col suo luogo? Ignori tu che nessuno al mondo ha mai detto nulla qui di perentorio e che tutti possano ammettere? Ora come sai tu che Dio non può collocare una cosa in due luoghi, se non sai né che cosa è collocare, né che cosa è un luogo? Non ammetti anche tu che un corpo, se non può essere qui e là simultaneamente, può esserci successivamente? E puoi tu dire che cosa è successione, che cosa è simultaneità, nozioni che i nostri più sottili filosofi si sono recentemente arrovellati a definire senza riuscire a mettersi d’accordo? Del resto, noi non diciamo che il corpo eucaristico sia posto qui e là, ma diciamo che vi è presente, e ciò non è la stessa cosa. La presenza non utilizza necessariamente lo spazio, pur manifestandosi nello spazio. La presenza eucaristica è indefinibile per noi; essa ci dà a pensare che il Creatore della materia e dello spirito dà qui alla materia qualche cosa delle proprietà dello spirito. Ma che importano le nostre supposizioni o le nostre ignoranze? Per quanto misteriosa essa rimanga, ci basta che la presenza reale sia reale, perché noi ne abbiamo la consolazione e il benefizio.

D. Io non posso trattenermi dal pensare che l’abitudine ti accechi e non veda più quello che vi è di strano in espressioni come questa: « ricevere il buon Dio », o « dare il buon Dio ».

R. Queste espressioni sono per noi vere d’una verità letterale, e che non dev’essere attenuata. Ma forse l’accecamento non è dove si pensa, e forse qui un’altra « abitudine » si ha da denunziare. Quanto facilmente noi ci assuefacciamo alle cose quotidiane! Noi tracanniamo i misteri come acqua. Eppure, mangiando un frusto di pane ordinario, respirando il profumo d’un fiore, non siamo noi veramente e intimamente al contatto di Dio? Dio è da per tutto; Dio è in tutto. Se nell’Eucaristia egli è più che altrove, perché vi è più della sua azione, chi s’incaricherà di definire questo più, non potendo definire il meno, e chi pretenderà di obiettare a proposito di questo più, non avendo nessuna norma da proporre per distinguerlo dal meno, dunque per giudicare qui del possibile e dell’impossibile? « O presuntuoso »! ci direbbe sempre Pascal.

D. Finalmente, voi credete di possedere Dio?

R. Dio si fa possedere da noi come noi possediamo le cose, e assorbire nell’intimo della nostra carne mortale come noi mangiamo il pane.

D. È una bella confidenza nei suoi sentimenti!

R. I suoi sentimenti, come pure la sua potenza, ci furono mostrati nella sua creazione, nella sua redenzione, nella sua vita temporale, nella sua morte, e non spetta a noi di segnar loro dei limiti.

D. Non sarebbe sufficiente una bella commemorazione e un ricco simbolo? I protestanti se ne accontentano.

R. I protestanti si accontentano di troppo poco, e si permettono di dare delle lezioni al Vangelo. Spetta forse a noi d’interpretare secondo la nostra convenienza — che qui conviene così poco — delle parole solenni? Un simbolo, per quanto ricco sia, non è una realtà, né un pasto commemorativo, una presenza. La presenza reale di Cristo in mezzo a noi non può mancare di avere degli effetti che non produrrebbe affatto quello che il Grande Arnauld chiamava l’Assenza reale. Lì sta veramente, come dice Gerbert, il « dogma generatore della pietà cattolica » e la sorgente degli effetti di santità che io ti additavo.

D. Anche i simboli hanno effetto.

R. Noi lo riconosciamo e ce ne serviamo; è una parte dell’effetto sacramentale; ma a parità di disposizioni, potresti tu paragonare l’effetto d’una comunione cattolica, anzi d’una «visita al SS. Sacramento » fatta con la certezza d’una divina presenza, all’effetto d’una metafora e d’un pio ricordo? Noi siamo, anzitutto, esseri di sensibilità, e solo dopo siamo esseri d’immaginazione. Per raccogliere tutte le nostre forze in vista di un vantaggio spirituale così difficile e così necessario, quale invenzione meglio adatta e più evidentemente divina che questa! – «La Santa Ostia, per la quale l’uomo partecipa alla Divinità ed è obbligato a mostrarsene degno, mi sembra di una così inconcepibile bellezza, di una potenza così enorme, che stabilisce nello stesso tempo la superiorità del Cattolicismo e la sua ispirazione soprannaturale » (RENATO SOHWOB). Non senti tu quello che vi è di ammirabile e di ben degno di una religione dell’uomo, nel fare così di Dio un’intima e quotidiana realtà?

D. Questa realtà è troppo umana per un Dio.

R. Dal momento che si è dato all’umanità, il nostro Dio va sempre a fondo, e gli estremi dell’amore sono per Lui una specie di necessità, come lo sono per noi stessi. Chiunque ha amato intensamente lo comprende.

D. Dunque attribuisci l’Eucaristia all’amore?

R. Essa è la stravaganza dell’amore.

D. La stravaganza, in Dio?

R. La stravaganza è il mistero dell’amore. L’amore è il mistero di Dio. Tutto si compendia in queste semplici parole di S. Giovanni: Noi crediamo all’amore divino.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (50)

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IL SACRO CUORE (50)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ- [Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

CAPITOLO IV.

LA DIVOZIONE NEL XVII SECOLO

II.

DIFFUSIONE IN FRANCIA

In Francia incontriamo da per tutto la divozione fra le persone del mondo; alla Corte, come nei chiostri, essa s’identifica con le tendenze spirituali le più diverse, a quelle del de Bérulle e di Olier, come a quelle dei Gesuiti; si ritrova perfino tra i Giansenisti, ed è così familiare alle anime che Bossuet per dare la formula della perfezione cristiana, ci dà la formula stessa della divozione al sacro Cuore. – Alla testa di questo movimento, troviamo san Francesco di Sales, uno di quelli la cui spiritualità è maggiormente impregnata dal sacro Cuore. Da lungo tempo si sono segnalati i principali passi che parlano di questo cuore divino. Ma è nelle sue lettere, soprattutto, che la sua divozione si esprime con una tenerezza di pietà, che rapisce le anime devote. Vi torneremo sopra quando cercheremo alla Visitazione le prime tracce della divozione al Cuore di Gesù.

Il cardinale de Bérulle (1575-1629) ha qualche riflessione sottile, ma penetrante, sul cuore di Gesù. « San Giovanni solo, come discepolo prediletto, fa menzione della ferita da cui furono aperti il costato e il cuore di Gesù. Essendo ella una ferita d’amore, era conveniente che ci fosse rilevata dal discepolo del cuore e dell’amore di Gesù. Notiamo ancora che il cuore di Gesù è trafitto d’amore; perciò questa trafittura della lancia è riservata al suo cuore morto come se, prima della morte, il ferro non avesse potuto trafiggerlo di più, tanto lo era per l’amore. Il suo cuore è eternamente aperto, eternamente trafitto; la sua gloria non cancella questa piaga, perché è una piaga d’amore; questa trafittura della lancia, non è che un segno della vera, interna trafittura del cuore, Ringraziamo l’eterno Padre che ha voluto questa piaga per dare a noi una dimostrazione nel suo cuore, nell’eternità ». Egli scriveva a una persona provata e tentata: « Si ricordi che il Figlio di Dio, per i dolori e le piaghe del suo cuore, ci ha preparato in quel cuore stesso, un rifugio nelle nostre pene e tentazioni; gli renda grazie di questa sua cura e di questo suo amore per noi, come pure di questo sacro rifugio che Egli vuole che noi abbiamo e troviamo in Lui. Ma ella è indegna di farvi dimora, e non sta a lei di entrarvi e non deve tentarlo. Non dimentichi dunque che, essendo Egli quello che è ed ella non deve neppur osare di pensarlo; ma nello stesso tempo, essendo Egli quello che è per lei, per sua grazia e per sua misericordia, ciò che ha voluto essere per i peccatori, e per lei, e perché ha voluto esser trafitto nel suo cuore di dolore e di ferite; per tutto questo, lo preghi con vera umiltà che si compiaccia alloggiarla Egli stesso in questo santo ritiro, nella tempesta che la travolge…; e nel frattempo, stia raccolta con tutte le sue potenze in questo santo cuore del Figlio di Dio, abbeverato di dolori per la nostra salute ».

Da parte sua Olier scriveva a una pia signora: « Si annienti mille volte al giorno in quell’ammirabile cuore, verso il quale ella si sente così profondamente attratta. Là entrerà Nel godimento di tutto quello che egli è, anche nelle corrispondenze e comunicazioni scambievoli, che si passano fra Lui e il Padre suo. È il rifugio privilegiato il cuore del Figlio di Dio; è la pietra preziosa del gabinetto particolare di Gesù; è il tesoro di Dio stesso, dove Egli riserva tutti i suoi doni e comunica tutte le sue grazie. In questo sacro Cuore, e in questo adorabile interno di Gesù si cominciarono a operare tutti i misteri; ivi si svolgono le sue più intime comunicazioni, si esprimono perfettamente tutti i suoi divini misteri ». Egli scriveva ancora: « Che dire della gloria che la grandezza di Dio riceve dal cuore di Gesù Cristo? Egli solo rende a Dio maggiori lodi e rispetto di tutti i santi insieme, poiché tutti gli angioli e tutti i santi che cos’altro possono fare, se non che esprimere i sentimenti interiori che si racchiudono nel cuor di Gesù? O cuore magnifico che contiene tutto l’amore, tutto il rispetto, tutte le lodi di tutti i santi insieme! ». – Fra le donne che, al principio del XVIII secolo, edificarono l’alta società per la pietà loro, dobbiamo ricordare in modo speciale, per la sua divozione al cuore di Gesù, la signora de Neuvillars (1571-1616). Susanna de la Pomélie, signora de Neuvillars, era nata nel Calvinismo. Convertita a ventitrè anni, non visse più che per Iddio e fu favorita di grazie insigni, fra le quali la manifestazione e il dono del sacro Cuore: « Pensando, ella scrive, ai peccati della mia vita passata, e volendo nascondermi sotto terra…, nostro Signore mi presentò il suo costato aperto, e mi disse che era il luogo dove voleva vedermi nascondere e dove doveva star nascosta tutta la vita. Io mi gettai tosto in esso con gran gioia: ho cercato sempre di rimanervi, il meglio che mi è stato possibile ». Nel gennaio 1615, dopo la santa comunione, le mostrò l’apertura del suo sacro costato e le comandò di accostarvi la bocca. « Ciò io feci, dice ella, e vi portai pure il mio cuore che io non ritrassi di là: ma vi fu trattenuto. con promessa di nostro Signore, che un’altra volta, mi darebbe il suo. Ciò che mi riempì di confusione. Ed egli mi sollecitò spesso questa domanda, assicurandomi che non mi sarebbe rifiutata ». Malgrado tutto questo, Susanna non osava fare la domanda; ma infine, si decise. « Un giorno prostrata ai piedi di nostro Signore facevo con la sua divina Maestà dei colloqui pieni d’affetto, baciavo teneramente quei sacri piedi, quando Egli mi rimproverò la mia poca confidenza, con queste precise parole: « Nessuno si sarebbe rifiutato di accettare il mio cuore se Io glielo avessi offerto, come ho fatto con te ». E, tuttavia io continuavo a non aver coraggio di fare questa richiesta che mi sembrava indebita, a causa della mia indegnità ». Ma, finalmente, il 15 giugno 1615 « nostro Signore, ella dice, si presentò improvvisamente dinanzi ai miei occhi, e, rispondendo al mio pensiero, disse: « Vedo bene, che tu diffidi di me. Ma non lo farai più d’ora innanzi. Ecco il cuore che ti avevo promesso; tu vi troverai abbondantemente tutto quello che vi potresti desiderare ». «lo non voglio già ricercare, dice lo storico, in qual modo si fece questo ammirabile commercio di cuore a cuore… Mi limiterò a dire che… il seguito mostrò che si erano fatti dei grandi cambiamenti nell’anima di questa serva di Dio ». Un altro giorno, verso la fine della sua vita, « nostro Signore le scoprì a nudo le sue sacre piaghe, e fece uscire dal suo costato come un torrente di fiamme divine: ella se ne sentì come bruciare: e, conoscendo che era quello il suo elemento e il suo soggiorno naturale, si slanciò, più volte e con fervore ammirabile, in mezzo a quelle fiamme, non potendo sperare di trovare luogo più adatto a mantenere il suo amore se non quella fornace d’amore ». – La divozione al sacro Cuore penetrava, frattanto, sino alla corte di Luigi XIII, trasportatavi da diverse influenze, fra le quali si deve ricordare quella di una Carmelitana. Il Carmelo della via san Giacomo era visitato molto di frequente dalle dame di corte; la regina stessa vi andava tratto tratto; la duchessa di Longueville vi era di continuo. Tutto quel gran mondo amava respirare il profumo del chiostro austero. Fra le sante Carmelitane che vi si trovavano, la ven. Madre Maddalena di san Giuseppe (1578-1637) nell’anima aveva il dono meraviglioso d’insinuare la pietà. Ora, devotissima essa stessa del cuor di Gesù, si sforzava d’ispirare agli altri la stessa divozione. Questa testimonianza le fu resa dalla duchessa di Longueville nella sua deposizione. « Ella mi ha qualche volta raccomandato in particolare, d’onorare il cuore di nostro Signore Gesù Cristo, di domandargli che voglia santificare tutti i movimenti del mio cuore con quelli del suo così santo e divino, e ho conosciuto, da tutto quello che ella me ne ha detto, che aveva una divozione e una applicazione particolarissima a questo sacro cuore del Figlio di Dio ».

Un’altra carmelitana la « Carmelitana di Beaune » come vien designata abitualmente, esercitava dal suo Carmelo una simile influenza che si sparse per tutta la Francia. La ven. Margherita del SS.mo Sacramento (1619-1648), è celebre soprattutto per la sua divozione alla santa Infanzia, ma il sacro Cuore occupa pure un posto considerevole nella sua vita. Nostro Signore, dice il suo storico, P. Amelote, « le fece vedere il suo cuore come una vasta, immensa fornace d’amore, e ve la rinchiuse giorno e notte, per lo spazio di tre settimane o d’un mese. Là attinse ogni sorta di grazie alla loro propria sorgente, e i suoi progressi apparivano più grandi in un giorno, che non in anni intieri per lo innanzi. Ora questo fuoco divino la bruciava tutta come un fuoco vivo e consumava le sue imperfezioni; ora vi era lavata come in una fontana di purezza… Ella notò questo doppio movimento d’elevazione e di compressione, che è pur stato conosciuto da altri santi, nel cuore di Gesù, e comprese che questo cuore si restringeva affine di riempirsi del divino Spirito per se stesso, per amare Dio Padre, per offrirsi a Lui in sacrificio, per annientarsi innanzi alla sua divina maestà, per unirsi alle sue adorabili perfezioni, e per rendergli quell’amore che gli è dovuto; e, in pari modo, si dilatava affine di spandere il suo spirito in tutte le sue membra, di comunicare alla sua Chiesa, che è il suo corpo, il calore vitale che aveva prodotto. Ella scorse in questo cuore un oceano senza fondo e senza sponde d’amore per Iddio Padre; un possesso e un godimento grande della sua divina bontà; il riposo nella sua infinita beatitudine; una calma e una pace che sorpassano ogni intelligenza; un tesoro incomprensibile di tutte le virtù. Tuttavia, fra tante ricchezze e tanta felicità, ella vide che questo cuore amabilissimo, era stato annegato in profondi abissi di dolore e di amarezza. Ma… ella conobbe in questo Cuore un sì ammirabile trasporto d’amore per quelli che gli avevano cagionato tanti mali, che il suo coraggio sopravanzava d’assai il timore… Ella vide questo sacro Cuore, come il palazzo in cui erano nati ed erano stati nutriti tutti gli affetti di Gesù, tutti i suoi desideri, tutte le sue divozioni, tutte le sue gioie e le sue tristezze… Ella non toccava quasi cibo ed, in compenso, trovava in questo sacro Cuore di Gesù Cristo un nutrimento soprannaturale che la sosteneva senza mangiare, e che, più nobilmente che non avrebbe fatto il frutto della vita, le rendeva tutte le sue forze. Qualche volta le sembrava che si versasse da questo Cuore divino nel suo corpo, un sacro liquore, ora come un olio dolce e penetrante, ora come un latte purissimo, ora come un balsamo pieno d’odore celeste, ora come un succo animato, ora come una manna gradevole, che non la fortificava solo nel corpo, ma che produceva pure nell’anima sua degli effetti meravigliosi. Qualche volta Gesù la nascondeva nel suo Cuore e le diceva: « Io ti lavo di purità, ecc… ». « Un giorno nostro Signore le fece comprendere che voleva prendere l’anima sua per il suo giardino di delizie, e che avrebbe avuto cura di coltivarlo da se stesso. Egli cominciò, dunque, a spandere nell’anima sua delle nuove virtù…, e qualche tempo dopo le aprì il suo Cuore divino e ne fece uscire un ruscello d’acqua viva, con cui inondò la sua anima. E nello stesso tempo, sentì un rinnovamento di vigore nello spirito che le fece abbracciare queste virtù con un rapimento di gioia ». – Si sa che la Francia attribuì, in parte la nascita di Luigi XIV alle preghiere dell’umile Carmelitana. Ma quello che si conosce meno si è che ella ebbe a questo proposito, una manifestazione speciale del sacro Cuore. « Un giorno nostro Signore l’incoraggiò a chiedergli delle grazie per le anime, in nome della sua divina Infanzia e le fece sperare che le sarebbero accordate. Allora Egli le mise in cuore un impulso forte di pregarlo affinché si compiacesse di dare un Delfino a quel regno… Il santo Bambino si mise fra le sue braccia, così piccolino come era al momento che venne al mondo, e aprendole il suo cuore divino: « Attingi, le disse, tutto quello che vuoi nel mio cuore, niente ti sarà rifiutato. Io ti accordo il Delfino che chiedi ».

Santa Luisa di Marillac (signorina Legras) fondatrice delle Figlie della Carità (morta nel 1659), sembra essere stata devota, ella pure, del sacro Cuore. Alla casamadre, nella rue du Bac, a Parigi, si conserva un quadro, dipinto da lei. Nostro Signore vi è rappresentato con un cuore raggiante sul petto; Egli mostra le sue due mani trafitte e sembra invitare tutti gli uomini, come se dicesse loro: « Venite tutti a me ». In uno dei suoi scritti si legge: « Avendo letto il Vangelo del buon Seminatore, ho sentito gran desiderio di seminare nel cuor di Gesù tutto quello che produce l’anima mia e le azioni del mio corpo, affinché, arricchendomi dei suoi meriti, io non operi più che per Lui e in Lui ». – Non vi ha paese, non vi ha condizione umile, dove Gesù non trovi degli amici del suo cuore e non si riveli ad essi. A Vannes moriva nel 1671 una povera domestica Armella Nicolas, venerata anche oggidì nell’antica cappella detta delle Orsoline, attigua al collegio di san Francesco Saverio e che ha preso il nome di « cappella della buona Armella ». Ella era nelle relazioni più familiari col divin Cuore; vi entrava e ne usciva come fosse casa sua, e diceva ai suoi amici: « Se voi volete trovarmi, non mi cercate altrove che nel cuore del mio divino Amore ». Ella vi trovava un rifugio contro i suoi nemici e vi riceveva dal divin Maestro ammirabili comunicazioni. Si trovano tracce di questa divozione persino nei centri che sembrerebbero più refrattari; e Gazier scriveva nella « Revue bleue » (15 agosto 1908, t. X, pagg. 199-202), un articolo intitolato: Le sacré Coeur à Port-Royal en 1627. Il titolo non dice tutto quello che si trova nell’articolo, nel quale si trovano dei particolari curiosi. Gazier attribuisce « senza l’ombra di dubbio » alla Madre Angelica Arnauld un opuscolo estremamente raro pubblicato a Parigi nel 1627, col titolo: Élévations de coeur et prières è N. S. J. C. sur les mystères de de sa passion (Io mi riporto, per questo punto, all’autorità di Grazier, la cui convinzione deve appoggiarsi a buone ragioni; ma si sarebbe desiderosi di saperle, non foss’altro per dissipare i dubbî che fanno nascere quelle ragioni che dà, e che sembrano insufficienti). Ecco ciò che vi legge « in seguito ad una lunga elevazione per il venerdì » : « O sacro cuore di Gesù! O sorgente di grazia! O fornace d’amore! permettimi di entrare in questa fornace ardente e che mi consumi là dentro, del fuoco della carità. Sì, io mi nasconderò lì, come la sposa nella cavità della pietra; io riposerò sul tuo cuore, io vi stabilirò la mia dimora e non temerò nulla quand’anche il mondo e l’inferno si sollevassero contro di me. O Gesù, o Dio del mio cuore, lascia che io mi attacchi al tuo Cuore sacratissimo, che mi inebri a questa viva sorgente e che non cerchi mai consolazione altrove ». Più avanti, in una Elevazione su la ferita del costato di nostro Signore: « Datemi la grazia che mi è necessaria per partecipare con frutto ai vostri sacramenti, e, poiché voi mi avete aperto l’ingresso nel vostro cuore per quella piaga d’amore che vi avete ricevuta, aiutatemi, vi prego, ad avvicinarmi ad esso, e che io stabilisca la mia dimora e il mio riposo in questo luogo di rifugio, dove voi invitate la vostra sposa, quando le dite di ritirarsi nel cavo della pietra, nelle capanne, nelle caverne che son le vostre piaghe sacratissime ». Si ritrova qui il più puro linguaggio della tradizione, e possono meravigliarsi di trovarlo a Port-Royal solo quelli che attribuiscono al passato le preoccupazioni delle lotte che seguirono. – Negli studi di Cousin su la signora Longueville, si trovano moltissimi passi dello stesso carattere. Molto tempo dopo nelle sue Elevazioni a Gesù Cristo nostro Signore su la sua passione e morte, pubblicate nel 1676, il P. Quesnel trova qui pure il Cuore nella piaga del costato. « Questa piaga sacratissima del vostro costato è la porta di quell’altra divina, che ci dà ingresso nel vostro cuore, per esservi al riparo nel tempo della vendetta… Questa apertura è veramente l’entrata del vostro cuore e questo cuore è la scuola della scienza, della croce e della carità, ed è colà che io desidero studiare per tutta la vita. È la porta del tempio del vostro cuore, ove io spesso desidero di adorare Dio in spirito e in verità, come nel vero santuario. Non chiudetemi, o Gesù, questa arca, questa scuola e questo tempio, ma fate, al contrario, che io vi entri spesso per mezzo della fede… Create dunque e formate in me un cuor puro, un cuore ardente di carità, affinché sia degno di essere introdotto nel santuario del vostro cuore.». Qui ancora siamo in piena corrente di tradizione. Il simbolismo del cuore è poco accertato; tuttavia non siamo di fronte a una semplice metafora. – Gazier avrebbe potuto citare altri casi e ben più notevoli. Per esempio, quello di Maria di Valernod, signora d’Herculais (1654). Ella fu, in un ambiente tutto impregnato di spirito giansenista, una grande devota del sacro Cuore. Un giorno il suo confessore le proibisce di comunicarsi per 6 mesi; « io mi risentii moltissimo per quella proibizione, ella scrive…; mentre pregavo, il mio Salvatore mi mostrò il suo costato aperto, ed io vidi, con gli occhi dell’anima mia, il suo cuore ardente di amore. Questa vista addolcì la desolazione estrema in cui era caduta. Mi rivolsi a quel cuore tanto amante: « Sarà in questo rifugio sacro, o mio Gesù, che io entrerò per ricevere un po’ di sollievo al mio male? Oserò di aver tanto ardire da penetrare in quel Sancta Sanctorum, dove non ricevete che le anime pure e perfette? ». Un altro giorno ch’ella si rassegnava, per obbedienza, a privarsi ancora di Lui, nostro Signore le apparve di nuovo. « Mi mostrò, ella scrive, il suo petto tutto ardente per le fiamme del suo amore. La mia anima, gli disse quanto essa soffriva lontano da Lui e gli chiese di riposare sul suo cuore ». Una voce le assicurò ch’ella sarebbe ricevuta. Infine un giorno, nel quale ella chiedeva a Dio dove potrebbe ricambiare ciò che aveva ricevuto da Lui, le apparve nostro Signore, che, portando la mano al petto, le mostrò il suo cuore (dove il sangue « bolliva con ardori di fuoco ») come il tesoro da cui ella doveva attingere. « O amore, o sacro Cuore, esclama, quanto vi debbo! ma come largamente mi date di poter soddisfare tutti i miei debiti! ». – Tutto ciò avveniva avanti il 1643, epoca in cui si arresta la relazione. Ma alcuni frammenti dei suoi ringraziamenti, nel 1652, ce la mostrano tutta piena del pensiero del sacro Cuore. « O mio Salvatore, voi che riposate, ora, nel mio cuore, fatemi riposare nel vostro… O mio tutto, mio generoso amore, raddoppiate i nodi per cui legate a voi il mio cuore, o, piuttosto, fate, amore caro, che questo cuore non sia più che una sola cosa col vostro. O amore, amore, che la vostra forza riduca tutti i cuori in un solo per sacrificarlo al mio Gesù, in espiazione di tutto il disprezzo in cui è tenuta la sua Persona adorabile: che tutti i cuori siano consumati nel cuor di Gesù, con il mio… O amore, che ti comunichi a me così amorosamente, fai fondere e riversare tutto il mio cuore nell’incomparabile dolcezza che mi hai data, versandomi tutta nel cuore del mio adorabile Gesù. Fa che non mi ritrovi più in me stessa, e che, essendo tutta nel cuor del mio Dio, io mi nutrisca in questo cuore santissimo, della sua pura vita e, nello stesso tempo, che mi riposi in Lui e che mi nutrisca di Lui, che io comunichi al prossimo la sua incantevole dolcezza, che inebri tutti i cuori del suo amore, e che li unisca a questo divino, per la gloria della sua Maestà! O cuore amatissimo, o mio tutto, riempimi della tua virtù, uniscimi a te, e cambiami tutta in te ». – Abbiamo incontrato fin qui, delle belle preghiere al sacro Cuore e belli slanci d’amore, ma ben poche, mi pare, rendono un suono così puro e bello. Infine, pochi mesi avanti la sua morte, in un colloquio con le religiose della Visitazione, essa diceva loro: « Mie care sorelle, Dio, prendendovi per sue spose, vi ha segnato con un segno speciale: ha messo l’anima sua nell’anima vostra; e il suo cuore come un sigillo sul vostro, affine di suggellarlo, perché ne rimanga il padrone assoluto e l’unico possessore ». – È probabile che, cercando bene, si possano trovare molti testi analoghi. Io ho segnalato il caso della signora Longueville. Gazier indica, a pagina 201, in nota, delle effusioni molto simili in un altro lavoro di Quesnel, intitolato Pietà verso Gesù, pubblicato a Rouen nel -1697, specialmente a pag. 259. Arnaldo d’Andilly, evidentemente, non vedeva nulla da riprendere nel passo del B. Giovanni d’Avila sul sacro Cuore che noi abbiamo citato più sopra, nella sua traduzione. Soltanto quando la divozione sarà presentata da san Eudes, da Mons. Languet, dai Gesuiti e in condizioni tutte nuove, i Giansenisti ne diverranno i nemici accaniti. Frattanto, essa usufruiva, come lo nota Gazier, a pagina 202, d’una specie di culto profano del cuore umano, che non era certo nuovo nel XVII secolo, ma che si propagò molto in quel tempo a causa delle influenze combinate di una psicologia raffinatissima dei sentimenti e di una psicologia rudimentale che li riferiva al cuore (Gazier cita il caso di Enrico IV e Luigi XIV, che legarono il loro cuore ai Gesuiti; di M.me di Longueville e d’Arnauld che legarono i loro a Port-Royal. Egli ricorda anche Mascaron, il quale svolse in tre punti della sua orazione funebre della duchessa d’Orleans, pronunziata al Val-de-Grace nel 1670, «le qualità di quel cuore che era effettivamente sotto il catafalco »; Bossuet, che pronunzia alla Visitazione di Chaillot, quella della regina d’Inghilterra e parla di quel cuore « che si risveglia, benché non sia che polvere, e diventa sensibile, anche sotto il drappo mortuario, al nome di uno sposo tanto caro ». Avrebbe potuto aggiungere l’orazione funebre del Principe di Condé, di Bourdaloue, che pure si svolge tutta sulle qualità del cuore che era lì.). Non potrebbe anche questa diffusione del culto profano esser considerata come una delle provvidenziali preparazioni al culto del sacro Cuore?

ANNO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA (2022)

L’ANNO LITURGICO 2022

1 Gennaio – Circoncisione di Gesù

2 SS. Nome di Gesù

6 Gennaio – Epifania

9 Gennaio – Sacra Famiglia   (Domenica entro l’Ottava dell’Epifania)

16 Gennaio – 2a Domenica dopo l’Epifania

23 Gennaio – 3a Domenica dopo l’Epifania.

30 Gennaio – 4 a Domenica dopo l’Epifania

6 Febbraio – 5 a Domenica dopo l’Epifania

– Festa dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato della B. V.  Maria SS.

13 Febbraio – Domenica di Settuagesima

20 Febbraio – Domenica di Sessuagesima

27 Febbraio – Domenica di Quinquagesima

2 Marzo – Mercoledì delle CENERI  – Inizio della Quaresima    

6 Marzo – 1a Domenica di Quaresima 

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

13 Marzo – 2a Domenica di Quaresima

20 Marzo – 3a Domenica di Quaresima

27 Marzo – 4a Settimana di Quaresima

3 Aprile  – I DOMENICA DI PASSIONE

10 Aprile – II DOMENICA DI PASSIONE – DELLE PALME

17 Aprile – DOMENICA DI PASQUA

24 Aprile – Domenica in Albis

1 Maggio – 2a Domenica dopo Pasqua

8 Maggio – 3a Domenica dopo Pasqua

15 Maggio – 4a Domenica dopo Pasqua

22 Maggio – 5a Domenica dopo Pasqua

23 a 25 Maggio – Giorni delle Rogazioni

26 Maggio – Giovedì in Ascensione Domini

29 Maggio – Domenica entro l’Ottava dell’Ascensione

5 Giugno  – Domenica di Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

12 Giugno – Domenica della SS. Trinità

16 Giugno – Corpus Christi

19 Giugno – 2a Domenica dopo Pentecoste

24 GiugnoSACRATISSIMO CUORE DI GESÙ

(Venerdì dopo l’Ottava del Corpus Christi)

26 Giugno – 3a Domenica dopo Pentecoste

3 Luglio  – 4a Domenica dopo Pentecoste

10 luglio – 5a Domenica dopo Pentecoste

17 Luglio – 6a Domenica dopo Pentecoste

24 Luglio  – 7a Domenica dopo Pentecoste

31 Luglio  – 8a Domenica dopo Pentecoste

7 Agosto – 9a Domenica dopo Pentecoste

14 Agosto – 10a Domenica dopo Pentecoste

21 Agosto – 11a Domenica dopo Pentecoste

28 Agosto – 12a Domenica dopo Pentecoste

4 Settembre  – 13a Domenica dopo Pentecoste

11 Settembre – 14a Domenica dopo Pentecoste

18 Settembre – 15a Domenica dopo Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA)

25 Settembre – 16a Domenica dopo Pentecoste

2 Ottobre – 17a Domenica dopo Pentecoste

9 Settembre – 18a Domenica dopo Pentecoste

16 Ottobre – 19a Domenica dopo Pentecoste

23 Ottobre – 20a Domenica dopo Pentecoste

30 Ottobre – 21a Domenica dopo Pentecoste  

    FESTA DI CRISTO RE

6 Novembre – 22a Domenica dopo Pentecoste

13 Novembre –  22a Domenica dopo Pentecoste

20 Novembre – 24° Domenica dopo Pentecoste

27 Novembre – 1a Domenica di Avvento

4 Dicembre – 2a Domenica di Avvento

11 Dicembre – 3a Domenica di Avvento

 (GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

18 Dicembre – 4a Domenica di Avvento

25 Dicembre – GIORNO DI NATALE

26 Dicembre – SANTO STEFANO,  Primo Martire

27 Dicembre – SAN GIVANNI, Apostolo ed Evangelista

28 Dicembre – SANTI INNOCENTI

31 Dicembre – SAN SILVESTRO I, Papa.

1st GENNAIO 2020 – CIRCUMCISIONE DI NOSTRO SIGNORE

2 Gennaio – SANTISSIMO NOME DI GESÙ

6 Gennaio – FESTA DELL’EPIFANIA