P. RODOLFO PLUS S. J.
L’IDEA RIPARATRICE (1)
[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J. dalla 25° edizione originale]
Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926
Imprimi potest.
P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.
Visto: Nulla osta alla stampa.
Torino, 26 Maggio 1925.
Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.
Imprimatur.
Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.
(30) PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).
LIBRO I
Perché riparare?
DUE PAROLE DI PRESENTAZIONE AI LETTORI ITALIANI
L’opuscolo che offriamo a pascolo delle anime pie della nostra Italia, fu scritto più che dalla penna dal cuore di un apostolo infiammato di amore verso Dio e verso il prossimo, mentre Cappellano militare dell’armata francese nell’ultima guerra, seguiva i suoi amati poilus sui diversi campi di battaglia della Francia. Non è a stupire quindi se la trattazione di un soggetto così simpatico all’autore si presenti con un apparato di guerra: tutto è fiamma e fuoco; quindi anche il successo incontrato in patria… la prima edizione del 1918 fu esaurita in poche settimane; nel 1921, ( « nel breve giro di due anni, l’opuscolo ha raggiunto la nona edizione » (Civ. Catt.,1921. Vol. I . p. 156). La nostra versione italiana è fatta sulla 25a francese del 1923.
Questa rapida diffusione è senza dubbio un elogio assai lusinghiero e significativo, – contìnua l’autorevole periodico citato – per un libro che svolge un argomento a cui le passioni non possono fare buon viso. L‘idea riparatrice è la negazione più recisa dell’amor proprio. Ma le anime accese di carità sono irresistibilmente condotte alla riparazione. Dirigere queste anime, stimolarle, accenderle, dopo averle solidamente istruite intorno alle basi teologiche e dogmatiche della riparazione, è l’intento di questa operetta. Il che fa l’autore con sana e profondadottrina, con doviziosa messe di esempi e di testimonianze. – Siamo certi che anche in Italia non mancano « anime accese di carità », vere devote del SS. Cuore di Gesù, desiderose di praticare intensamente la riparazione. Leggano, meditino queste pagine ardenti; le facciano leggere e meditare anche da altre, da molte anime. Crescano in fervore e si moltiplichino le anime riparatrici ce n’è tanto bisogno nel mondo e il S. Cuore di Gesù non aspetta altro per versare sulla terra le sue benedizioni sempre più abbondanti.
L’EDITORE.
NOTA DELL’AUTORE ALLA 3a EDIZIONE FRANCESE
Quest’opuscolo, scritto durante la guerra, a sbalzi, in fondo alle trincee o nei posti avanzati della fronte nei brevi tempi liberi dalle funzioni di cappellano militare, si risente qualche poco dell’agitazione dell’armi. Male, si dirà? — Potrebbe essere. Ce ne spiace, ma un pensiero viene a consolarci. Se la vita d’ogni Cristiano già per se stessa viene detta un combattimento, quanto più lo dovrà essere quando l’Idea Riparatrice la pervada tutta quanta. Vogliamo quindi sperare che l’andatura un po’ marziale di questo scritto non ne diminuisca per nulla la desiderata unzione, anzi vi aggiunga ancora qualche po’ di forza e di persuasione che ci auguriamo irresistibile, vittoriosa.
PREFAZIONE
Chi vuole riparare?
Quest’invito, come le pagine che seguono, è per quelli che hanno due occhi aperti in fronte e un cuore ardente in petto. Per essi soli e non per altri. Chi non si sentisse di esser generoso è meglio chiuda il libro, non legga più innanzi. Noi parliamo a quelli che hanno visto mettere in croce Gesù Cristo, la sua Chiesa, anzi le stesse nazioni nostre; non già a quelli che di questa triplice crocifissione non si sono accorti per nulla. A quelli che dinanzi ad una simile scena di morte hanno compreso la necessità di uno sforzo per tornare alla vita; non già a quelli che dinanzi a questo spettacolo, al cadavere di un Dio, ai milioni di cadaveri di anime, a tutta una distesa di cadaveri non hanno sentito una voce che li interrogava, che li rimproverava, come già un tempo Elia: « Quid hic agis, Elia? Elia, versogna!che fai tu là?… Tanta desolazione…e tu rimani inerte, indifferente, immobile?Et vos, hic sedebitis? ».Van der Meer de Walcheren, nel suo Journal d’un Converti, così descrive un Revival a Londra: Due missionari giunti dall’America per parlare a grandi masse di popolo, hanno preso in affitto l’immenso Albert-hall. Più di quindici mila persone si affollano colà per ascoltarli. Uno dei predicatori, dopo aver spiegato come chiunque sentisse il desiderio di venir a Dio avrebbe dovuto scender nel bel mezzo dell’arena, con voce altissima rivolge a tutti il grande invito: « Who will come to theLord? Chi vuol venire a Dio? ». A tutta prima un lungo, ansioso e impressionante silenzio domina tutto lo sterminato uditorio; poi un primo grido echeggia tra la folla: « I will. Io lo voglio ». E immediatamente da ogni banda si ripete il medesimo grido: « I will, I will, I will. Io lo voglio, io lo voglio, io lo voglio ». E mentre discendono lentamente verso l’arena quelli che già avevano risposto, i missionari vanno ripetendo a gran voce il loro invito e protendendo le loro braccia ai mille e mille che rispondono senza interruzione: « I will, I will, I will. Io lo voglio, io lo voglio, io lo voglio ».
Siffatte arti più o meno teatrali non fanno per noi. Abbiamo l’invito di Gesù Cristo: « Si quis vult. Se il volete » . . . e ci basta. Si cercano dei « volontari ». Vogliam dire delle anime che scendano spontaneamente in campo e sul campo della lotta non sappiano indietreggiare. O Gesù, fatene spuntar molte di queste anime illuminate dalla fede sì che comprendano la natura e la necessità della Riparazione, e nobili di cuore tanto da dedicarsi ad essa interamente, ciascuna secondo il suo potere. – Ve n’hanno già di queste anime e non poche. Ma il loro numero deve raddoppiarsi, triplicarsi, moltiplicarsi al possibile. Allora il mondo avrà pace quando in mezzo a noi sia proporzionato al bisogno il numero delle anime riparatrici. Prima, non è possibile. V’ha dunque chi si presenta?… Rifletta che se v’hanno imprese meno nobili di questa a cui dedicarsi, non ve n’ha certo che sia più oscuramente gloriosa e più imperiosamente necessaria.
« Si quis vult venire… Se alcuno vuol venire… ». C’è chi veramente il voglia? — « Eccomi, o Signore. I will! Io lo voglio! Datemi luce, datemi forza. Fin d’ora io sono ai vostri cenni. Io lo voglio! ».
Dal campo, nella festa nell’Addolorata.
22 marzo 1918.
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INTRODUZIONE
Riparare vuol dire rimettere in buono stato; un edilizio cade in rovina e diventa inabitabile: ripararlo vorrà dire ricostruirlo. Accade talora che la cosa danneggiata per ciò stesso sia ridotta al nulla: riparare in tal caso ha il senso di compensare, restituire una cosa equivalente. – Nell’ordine morale, per riparare un’ingiustizia fatta, l’equivalente non potrà darsi dall’offensore che per mezzo della sua stessa persona. Nessun oggetto materiale può compensare un danno morale: come si ristabilirà l’ordine? con una pena che subirà o che s’imporrà chi ha recato il danno. Egli si era procurata una soddisfazione indebita, anormale, ingiusta. È giusto — come ognuno può comprendere anche senzaentrare nella questione teorica sollevata dal problema della giustizia vendicativa — che come castigo gli si infligga una pena proporzionata che ristabilisca l’equilibrio. Questo equivalente verrà detto espiazione e potrà esser offerta dal delinquente stesso, come nel caso precedente, o da altri che, innocente del delitto, accetta di mettersi al posto del colpevole.
Riparare nel senso cristiano della parola, significato nel quale noi sempre l’adopreremo, comprende le tre suddette applicazioni: ristorare, compensare, espiare.
Ricordate così queste nozioni generali, noi vorremmo dimostrare brevemente:
1° Perché dobbiamo riparare;
2° Chi deve riparare;
3° Come si debba riparare.
LIBRO I
Perché riparare?
Per tre ragioni:
— è un obbligo fondamentale per ogni Cristiano;
— è un desiderio espresso di N. S. Gesù Cristo;
— è una necessità ineluttabile nelle presenti circostanze.
CAPO PRIMO
LA RIPARAZIONE, OBBLIGO FONDAMENTALE PER OGNI CRISTIANO.
Perché venne sulla terra Cristo Nostro Signore? Per riparare, non per altro. Per rimettere la sua opera divina in quello stato dacui era decaduta pel peccato dell’uomo; per restituire all’uomo la vita soprannaturale ch’egli aveva perduta; per compensare per mezzo dei suoi meriti infiniti l’ingiuria recata al Padre nel Paradiso terrestre e le altre ingiurie che la malizia degli uominiva ripetendo e moltiplicando ogni giorno; espiare colle sue sofferenze — il presepio, la vita nascosta, la Croce — l’amore disordinato di se stessi che domina fra gli uomini fin da principio attraverso ai secoli. – Nostro Signore poteva compiere quest’opera di Riparazione senza di noi: i suoi meriti hanno valore infinito. Invece volleavere dei cooperatori e questi sono tutti gli uomini senza eccezione, prima d’ogni altro ciascun Cristiano, ciascuno di noi. Questo è il punto che noi dobbiamo ben comprendere, la base di tutta la dottrina della Riparazione. – S. Paolo, spiegando ai primi Cristiani la loro dignità sovreminente per esser fatti partecipi della stessa vita del Figlio di Dio, diceva loro: « Una stessa vita, la vita del Padre celeste passa in Gesù ed in voi, in Gesù per natura poiché Egli è il capo, invoi per adozione poiché voi siete, le membra
che dal capo ricevono la vita, dal capo il quale in virtù del suo sacrifizio vi ha divinizzati ». Non vi ha perfetta unione senza la continuità tra le membra ed il capo, tra il capo e le membra. La Persona di Gesù Cristo, ecco il capo; ciascuno di voi le membra, il suo corpo mistico. Questa è la dottrina cattolica secondo le parole dell’Apostolo — e dello stesso divin Salvatore: Io sono la vite e voi i tralci… — Il Cristo personale, cioè la Persona adorabile di N. S. Gesù Cristo che visse un tempo a Betlemme, a Nazaret, a Gerusalemme, che ora è nei santi tabernacoli sotto i veli eucaristici, e in cielo nella gloria dei suoi eletti alla destra del Padre, non forma, così volendo Egli stesso, un Cristo completo. Il Cristo completo risulta dall’unione della sua Umanità, il Cristo personale, il capo, con ciascuno di noi, sue membra, suo corpo mistico. -Da una stretta unione della nostra vita con quella di Gesù Cristo viene per legittima conseguenza la nostra intima collaborazione con Lui nella sua impresa, unico scopo della sua venuta fra noi, la Redenzione. Diciamolo ancora una volta: il Salvatore tutto avrebbe potuto fare senza di noi. Egli non ha bisogno di noi per aggiunger forza ai suoi propri meriti, ma vuol servirsi di noi per aumentare i meriti nostri. Egli è il Cristo e noi Cristiani — come altrettante ripetizioni di Lui — alter Christus. Convien che lavoriamo uniti. La Redenzione non si compirà che per il volere del Salvatore, il Cristo principale, preso insieme al volere di ciascuno dei Cristiani, gli altri Cristi. Certo il valore delle parti spettanti a Lui e a ciascuno di noi è ben lungi dall’esser uguale: la sua ha per se stessa un peso infinito, quindi più che sufficiente allo scopo. La nostra non era affatto necessaria. Egli ce la domanda soltanto perché ci ama. – All’offertorio della S. Messa il celebrante, dopo aver posto nel Calice il vino da consacrarsi, deve aggiungere, sotto pena di colpa grave, qualche goccia di acqua. Ecco un simbolo che ci può far meglio comprenderela relazione che passa tra le parti nostre e quelle di N. Signore nella riparazione, il valore relativo del nostro concorso al suo fianco. Il solo vino per sé è la materia della Consacrazione: è obbligato però il Sacerdote ad aggiungervi le gocce d’acqua che con tutto il resto, in forza delle parole divine, saranno poi mutate nel Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. La parte che ci spetta nella redenzione del mondo è certo infinitesimale — che volete che valga una goccia d’acqua? — ma il Signore la vuole, e questo piccolo atomo, unito all’offerta infinita di Cristo, Egli lo transustanzierà. Questo « nulla » diventerà onnipotente, della potenza stessa che Dio gli comunica (Il paragone non va preso con rigore. La goccia d’acqua non è richiesta per la validità, ma solo per la liceità del Sacrifizio della Messa – però se non c’è liceità, si commette sacrilegio! Ndr.-). In virtù di questo « nulla » diventato qualche cosa, le anime sono riscattate dalla colpa. Senza di questo « nulla », insignificante per sé ma prezioso per la sua unione con Cristo, le anime, forse molte anime, andranno perdute. Il mondo ha bisogno di tutti i suoi salvatori, di Gesù che è il primo di tutti, il Salvatore per eccellenza, e di ciascuno di noi chiamati a collaborare con Lui nel riscatto del genere umano: « Il quale — dice Lacordaire (Conf. 66 sulla riparazione) — non si era perduto che per ragione di solidarietà, per effetto cioè di comunanza sostanziale e morale con Adamo suo capostipite: era dunque conveniente che potetesse esser salvato nella misura e nella maniera della sua rovina, cioè per ragione di solidarietà… Là dove la solidarietà del male aveva recato la rovina, la solidarietà del bene apporti il rimedio, la ristorazione ». Chi non conosca questo nostro dovere di partecipare all’opera redentrice per renderla efficace, si può ben dire che ignora il meglio della grandezza del Cristiano. Chi conoscendolo cerca di sfuggire dall’obbligo, vien meno ad un suo dovere non meno nobile che indispensabile. – Ma conviene entrare ancor più addentro nella nostra considerazione. Qual è il mezzo scelto da Cristo per compiere la riparazione?
Il dolore, il sacrifizio.
Ma questo è un mistero! Il Figlio di Dio per riparar le rovine del peccato — instaurare omnia — non era tenuto ad imporsi una vita stentata, disprezzata, afflitta da ogni sorta di dolori. Eppure Egli quella ha voluto scegliere per sé e non altra. Riparare col soffrire. Tenuti a partecipare alla sua missione per la nostra solidarietà con Lui nell’unità del Corpo mistico, eccoci tenuti a partecipare alla sua passione, e cosi si spiega perché l’Apostolo nell’inculcarci la necessità di collaborare all’opera redentrice di Gesù Cristo, non dice « compiere la missione », ma « la passione sua: adimpleo ea quæ desunt passioni Jesu Christi ». L’una cosa è impossibile senza dell’altra; le due cose si confondono in una stessa. Noi dobbiamo riparare unitamente a Gesù Cristo, e non dobbiamo credere di poterlo fare altrimenti che col nostro sacrifizio unito al suo. « Gesù Cristo — dice Bossuet (Serm. Per la Purific. della V. SS.) — per salvare gli uomini ha voluto esserne la vittima. Or per l’unità del Corpo mistico col Capo che si è immolato, tutte le membra debbono esser “ostie viventi” ».
Abbiamo quindi la progressione — si direbbe più esattamente l’equazione —: esser Cristiani, esser salvatori, esser « ostie ». E non sembri nuova o strana la parola « ostia ». È questa una dottrina antica quanto il Vangelo, che costituisce la sostanza stessa della predicazione di S. Paolo, dei primi Padri e di tutta la Chiesa attraverso ai secoli, predicazione che l’Apostolo riassumeva in questa frase abbastanza chiara ai Cristiani di Roma: « Obsecro vos, io vi scongiuro; fate dei vostri corpi altrettante ostie viventi, sante, gradite a Dio, ut exhibeatis corpora vestra hostiam viventem, sanctam, Deo placentem» (Rom. XII, 1) (Pratt: Théol. de St. Paul, passim). Dirsi Cristiano e cercar di condurre una vita di comodità al termine della quale si passi tranquillamente e senza urti dalla terra, ove si ebbe felice dimora, al cielo ove si troverà una condizione perfettamente beata, ad un cielo meritato con una vita in cuila principale cura fu di lasciare ad altri il pensiero laborioso di faticare con Gesù Cristo alla redenzione del mondo, è cosa che non può darsi. Col Vangelo del Maestro non si concilia un siffatto programma ed è ben altro quello che Bossuet definisce: « Terribile serietà della vita umana ». – « È un fatto purtroppo — scrive nel consueto suo tono amaro, e questa volta ben giustificato, l’autore dell’introduzione Journal d’un Converti, da noi già citato nella Prefazione -— è un fatto noto il trovarsi in gran numero certi animali detti ragionevoli che hanno tutta l’apparenza di vivere sessanta e anche ottant’anni e poi si portano al cimitero prima che mai siano usciti dal loro nulla… Si contentano delle cose sensibili, tutto il resto non esiste per essi ». Per fortuna — aggiunge poi — abbiamo anche dei « veri uomini, veri viventi, quelli che non hanno ricevuto invano l’anima propria ». E il convertito alla sua volta — egli era allora in cammino verso il bene — : « Io sono sempre più meravigliato nel vedere che quasi tutti gli uomini continuino a vivere tranquilli, senza inquietarsi, senza spaventarsi di nulla, un bel sorriso brilla sui loro volti paffuti e non s’accorgono degli abissi che ci stanno ai fianchi » (J. d’un converti, di P. Van der Meer de Walcheren). Si, abbiamo presso di noi degli abissi, l’abisso del peccato dell’uomo e l’abisso dell’amore del Salvatore: questo secondo collocato da Dio vicino al primo. E noi posti in mezzo all’uno e all’altro con un incarico imperioso, urgente e del tutto preciso. Il vero discepolo di Gesù Cristo si riconosce a questo segno: che egli si è accorto di questi abissi e in conseguenza vive agitato sotto l’impero d’una inquietudine che non sa frenare, l’inquietudine della salvezza del mondo, dell’efficacia del sangue di Cristo frustrata, e della propria parte di responsabilità nella storia della vita divina in mezzo agli uomini.
Necessità di riparare insieme con Nostro Signore venuto sulla terra unicamente a questo fine, poiché con Lui noi formiamo una cosa sola. Necessità di riparare nel modo che Egli stesso ha preferito, cioè nel dolore. Son purtroppo numerosi i Cristiani che di questa duplice necessità pare neppure sospettino l’esistenza e si direbbero convinti — almeno nella pratica — che propriamente due sono le maniere di comprendere la sua legge: l’una che accetta la sofferenza,l’altra che fa di tutto per evitarla;l’una che si organizza per lasciarsi mortificare,l’altra che si mette in posizione di difesa contro ogni sorta di pena. In unaparola, un Cristianesimo facile, comodo ealla buona per la moltitudine; e un Cristianesimo grave ed austero pei pochi, per le anime di carattere più cupo o guadagnate da un’attrattiva speciale, per altro strana, di perfezione. Che un Sacerdote santo come il Curato d’Ars scriva: « Tutto ci parla della Croce. Noi stessi siamo fatti a forma di croce. La croce trasuda balsamo e traspira dolcezze: più ci uniamo ad essa, più la stringiamo tra le mani e contro il petto e più ne spremeremo l’unzione di cui è colma; essa è il libro più dotto che noi possiamo leggere; quelli che non lo conoscono questo libro sono degli ignoranti quand’anche conoscessero tutti gli altri libri; non sarà veramente dotto se non chi lo ami, lo consulti, lo studi a fondo. Benché amaro, questo libro, non v’ha maggior gaudio che nell’immergersi nelle sue amarezze; quanto più si va alla sua scuola, tanto più a lungo vi si vorrebbe trattenere: il tempo passa senza noia alcuna ». — Che in siffatta maniera parli un Curato d’Ars, non c’è a stupirne, è un santo! – Nel noviziato delle Suore Francescane di Maria SS. al Canada si cercano sei religiose per la cura dei lebbrosi in Cina. Quaranta sono le novizie e quaranta rispondono desiderose di partire. — Oh! si dice, questa è la loro vocazione! E questi esempi che dovrebbero muovere i Cristiani e far loro comprendere che, se non si domanda loro un siffatto eroismo, almeno qualche cosa di simile anch’essi sono tenuti a fare, questi esempi diventano per loro un futile pretesto per credersi liberi da ogni obbligazione. – V’hammo monaci e religiose che passano la notte a’ pie’ degli altari o si alzano alle due del mattino?… Ecco una buona ragione per restar essi tranquillamente e a lungo tra le coltri d’un letto ben soffice. — Quelli danno molto tempo alla preghiera?… questo appunto li dispensa da un obbligo noioso sovra ogni altro. — Quelli si privano del cibo?… così sarà loro concesso di godersi ogni sorta di ghiottoneria nei loro pasti.
— Quelli si contentano d’una cella povera, disadorna, i cui mobili, come al Carmelo, si riducono ad un Crocifisso, un acquasantino, un teschio e una disciplina?… tutto questo perché essi possano adornare i loro appartamenti con mille oggetti superflui e procurarsi tutte le comodità moderne. — Quelli si privano del necessario riscaldamento?… si è per concedere ad essi una dolce temperatura procurata con ingegnosi metodi di riscaldamento delle camere e dei corridoi. — Quelli dormono sugli assi o sopra un duro saccone?… per questo essi dovranno negarsi le molli coperte di seta e le soffici trapunte ricamate? — Quelli posseggono un solo gioiello, la Croce?… essi potranno quindi portare ciondoli, collane di perle preziose a profusione. È vero che alla vita religiosa si addice un lusso di austerità a cui non è tenuta la vita ordinaria del Cristiano. Ma come si potrà supporre che questa vita anche ordinaria, quando sia illuminata e sincera, si concili con la …a ricercatezza irrequieta e del tutto pagana delle comodità della vita, quali un tristo materialismo moderno cerca di imporre — e riesce pur troppo e con gran facilità ad imporre — a tanti discepoli del Salvatore? – E che? forse il Cristo non è per tutti il medesimo? Nonne divisus est Christus? Ve ne sarebbero forse due. L’uno crocifisso, che non si può seguire senza crocifiggere se stessi; l’altro tutto comodità, che si seguirà facilmente anche senza negarci delizia e piacere alcuno? S. Paolo diceva di non conoscere che un solo Cristo, il Crocifisso. Christum et hunc crucifixum. Da S. Paolo a noi ci fu tempo a cambiare. Ora se ne conoscono due. Il primo, il vero, non era più sufficiente e se n’è inventato un secondo. Un Cristo senza Croce, senza teorie austere, senza quelle due traverse di legno che gettano un’ombra che atterrisce, che impressiona; un Cristo le cui massime si risolvono finalmente nel motto: venite pure a vostro piacimento io vi prometto l’intera eternità a questa sola condizione, che nell’ultimo istante della vostra esistenza mi concediate « l’adesione di un « pensiero incerto, il pentimento d’una volontà illanguidita e la carità del vostro ultimo respiro » (1).
(1) [Quanti Cristiani abbiamo noi purtroppo che seguono praticamente un siffatto programma di vita! Claudio Lefilleul (alias: Filippo Gonnard, professore al Liceo di Lione, caduto poi in guerra), nelle sue Réflexions et Lectures, p. 204, con fine ironia bolla a fuoco una simile condotta: « All’ultimo istante anche voi vi convertirete come tanti altri; voi speculerete sulla bontà di Dio eDio è sì buono che forse la vostra speculazione riuscirà ed Egli vi riceverà, in quell’estremo momento, in compenso d’una povera lagrima di pentimento, per una lagrimetta, come disse già il nostro antico Dante. Ma siete ben certi che il colpo riuscirà? E poi, io vi domando,dov’è la vostra generosità la vostra fierezza… scroccare così a buon prezzo la vostra eternità? A Dio che vi ha concesso anche qui in terra tante profonde soddisfazioni (anche più profonde se voi avete fede), a Dio chese voi non vi frapponete ostacolo vuol ricolmarvi di felicità per tutta una eternità, è forse generoso il dare incompenso per parte vostra non altro che l’adesione diun vago pensiero, il pentimento di una volontà illanguiditae la carità del vostro ultimo respiro? »]. Un siffatto Cristo, ad uso dei Cristiani che rifuggono dal dolore, non esiste. Il discepolo non è più grande del Maestro. Il divin Salvatore ha tanto sofferto. Se non vuol rinnegare il proprio nome di Cristiano, venire meno ai suoi impegni, ogni battezzato non potrà non essere in una qualunque maniera — che noi meglio diremo in seguito — un amico del dolore necessariamente e per sempre. – Un celebre uomo di Stato del Belgio aveva preso come suo monito : Riposo? Non qui, ma più innanzi. Verrà il giorno della felicità, e un tal giorno, che forse non è lontano, non avrà più fine. Il tempo che ci separa da un tal giorno ci è dato per meritare « il gaudio del Signore — Intra in gaudium Domini tui ». Entrerà nel gaudio del Signore solo chi avrà avuto il coraggio di mettersi quaggiù a parte dell’olocausto del Signore. Gesù Cristo pel primo ha voluto soffrire per entrar poi nella gloria. « Il Golgota non è soltanto una figura di retorica ». Per noi è la legge che non transige. Oportuit… pati, et ita intrare in gloriam.[è necessario patire, e così entrare nella gloria]. Vogliamo essere con Lui nel trionfo? Siamo prima con Lui nel combattimento.
Laborare mecum, fa dire a Gesù S. Ignazio nella « Contemplazione del Regno di Cristo ». Pizzarro, uno dei conquistatori dell’America del Sud, presa terra, getta la sua
spada sul terreno e grida ai suoi soldati: « Se alcuno di voi ha paura, resti al di qua di questa spada, i coraggiosi vengano con me! » Queste parole sono dure e benché la teoria sia chiarissima, di fatto alla presenza di una vita di rinunzia, che si impone come un’obbligazione sacra per ogni Cristiano, molti dànno indietro.
— « Oh! quanto spavento m’incutono quelle due traverse in croce che si drizzano sul Calvario! Vorrei piuttosto nascondermi dietro di esse che lasciarmi configgere sopra di esse ».
— « Oh sì! il legno è duro. Ma oltre il legno che non vedete? Su quelle traverse voi scorgete confitto un uomo. Il legno non sa che di morte, ma chi è confitto sul legno è ben vivo. Guardate attentamente — come si conviene — e le due traverse svaniscono, scompaiono, non si veggono più, e vi resta sotto il vostro sguardo unicamente quel corpo sospeso e nel bel mezzo di esso raggiante di luce attraverso ad una ferita il Cuore. Lo dicono: Il Crocifisso. Non è esatto; par si voglia indicare un oggetto. Conviene dire: Colui che è confitto in Croce, così si indica un uomo ».
« Un uomo?… Sì, un uomo e nello stesso tempo un Dio. Oh! mio Dio, e siete voi ch’io vedo su questa Croce? ».
— Sì, son io, il tuo Dio ».
— Mi pare d’incominciare a comprendere meglio… anzi comprendo quasi consuetamente… io soffrirò insieme con Voi, Signore, ma Voi soffrirete con me. Con Voi non avrò paura, andrò innanzi risolutamente ».
— « Per animarti a maggior coraggio ancora, mettiti ai piedi della Croce e getta uno sguardo sul mondo. Mira questa gente che scende dalla vetta del Calvario, sono i miei carnefici; e a Gerusalemme, sepolta nel sonno, le turbe che non s’accorgono di nulla. Ho bisogno dei tuoi sacrifizi per far giungere fino a loro la mia Redenzione. Così io voglio aver bisogno di te: ti chiamo in mio aiuto e con te posso tutto, come posso nulla senza di te. Vuoi tu che insieme uniti salviamo il mondo? o preferisci andartene e passare anche tu tra quelle turbe, coi miei carnefici? ».
— « E voi parlate così a me, Signore? Non sapete voi chi sono io? ».
— Tu sei uno dei miei cari. Non basta forse perché io ti inviti a faticare con me, a soffrire con me? Tu lo vedi, l’impresa è immensa. Credilo, val la spesa per essa incontrare qualche sacrifizio, fosse pure questo sacrifizio — nella condizione e stato di vita in cui ti ha posta la mia Provvidenza — una intera oblazione di te quale ostia vivente… con me ».
— « Se voi credete che io lo possa fare… Con voi, Signore, in ostia vivente oh! sì, con tutta l’anima eccomi, prendetemi ».
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