LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (2)

LA CATENA D’ORO DEI SALMI: NOTE INTRODUTTIVE (2)

La catena d’oro dei SALMI

o I SALMI TRADOTTI, ANALIZZATI, INTERPRETATI E MEDITATI CON L’AIUTO DI SPIEGAZIONI E RELATIVE CONSIDERAZIONI, RICAVATE TESTUALMENTE DAI SANTI PADRI, DAGLI ORATORI E SCRITTORI CATTOLICI PIU’ RINOMATI.

Da M. l’Abbate J.-M. PÉRONNE,

CANONICO TITOLARE DELLA CHIESA “DE SOISSONS” , Professore emerito di sacra Scrittura e di Eloquenza sacra.

TOMO PRIMO.

Capitolo III.

I. TITOLI DEI SALMI

-I- Sembra assai inutile, a prima vista, occuparsi in dettaglio di questa parte dei Salmi, in apparenza così poco certa nella sua autenticità ed oscura nel suo significato. Supponiamo comunque che l’autenticità ed il significato della maggior parte di questi titoli possa essere sufficientemente provata per conoscere immediatamente gli autori e gli argomenti dei Salmi, giustificando così questo capitolo. Ora la maggior parte dei santi Dottori hanno sempre rispettato i titoli dei Salmi e li hanno considerati molto importanti per acquisire la conoscenza dell’oggetto dei Salmi, dello scrittore e della sua intenzione. San Girolamo li definisce la chiave dei Salmi (quid est titolus nisi clavis?(pæf. Comm. Psal.). second Sant’Agostino essi ne sono come l’annunzio: Præco psalmi est titulus psalmi. È dal titolo – dice il santo Dottore – che dipende tutto il contesto del salmo. Colui che conosce ciò che è scritto sul frontespizio di una casa, può entrarvi senza nulla temere, e quando sarà entrato non si smarrirà perché ha visto già dall’entrata cosa occorre fare per non smarrirsi al suo interno. (Ps. LIII e passim). S. Crisostomo insegna espressamente che i titoli dei Salmi sono stati dettati dallo Spirito Santo, e li compara alle statue che i re elevano a coloro che hanno ottenuto le vittorie (in tert. Psalm.). vediamo quindi cosa pensare di questa questione i cui risultati possono essere preziosi per la perfetta intelligenza dei Salmi. Le risorse della critica moderna ci danno il diritto di essere più severi degli antichi, sull’autenticità ed il significato dei titoli dei Salmi, ma non di disdegnarli con il pretesto che qualche titolo sia evidentemente sopraggiunto o intellegibile (si veda il sommario di P. Bethier sul salmo III).

II. — AUTENTICITA’ DEI TITOLI.

Le regole di una sana espressione critica ci consigliano qui di tenerci lontano dalle due opinioni estreme sull’autenticità dei titoli dei Salmi; l’una pretende che tutti i titoli siano autentici nel tenore stesso della loro espressione, senza eccettuare anche i titoli particolari che si trovano nei “Settanta”, la Vulgata e la versione siriaca; l’altra rigetta tutti i titoli senza eccezione e sostiene che essi non sono che aggiunte fatte in tempi posteriori. L’unica opinione che abbia una fondata ragione è quella che ammette, in principio, tutti i titoli che si trovano sia nel testo ebraico che nei “Settanta”. Questa opinione ha dalla sua parte: 1°- L’autorità della sinagoga e della Chiesa cristiana, sebbene la Chiesa cristiana non li ritenga come facenti parte dei salmi; 2°- L’autorità dei Padri greci e latini che hanno rispettato questi titoli come autentici; 3°- L’autorità del Bossuet che dopo aver citato su questo punto il Teodoreto aggiunge: « tali espressioni testimoniano molto bene quanto sia venerabile tutto ciò che questi antichi interpreti abbiano tradotto dall’ebraico e che non c’è meno autorità nei titoli rispetto ai salmi stessi. È potuto succedere che qualche copista zelante abbia trasportato qualche nota ai margini nel corpo dell’opera, ma questo non nuoce alla questione del titolo. Nessuno tra gli antichi Dottori ha mai posto un problema di autorità in quello che si trovava nei libri originali ». (Diss. c. VIII P XXIII.).

4°- La vetustà di questi titoli, vetustà fondata sia sull’accordo generale dell’ebraico con i “Settanta”, sia sul modo inesatto in cui l’hanno tradotto talvolta i “Settanta”, poiché questa tradizione inesatta prova che i Settanta” non comprendevano questi titoli e che di conseguenza essi erano ben più antichi di loro.

Ciononostante, queste autorità e queste ragioni così forti non sono sufficienti a dimostrare che si debbano ammettere come autentici, senza eccezioni e nel tenore rigoroso della loro espressione, tutti i titoli che si trovano nei testi ebraici e nei “Settanta”. In effetti la Chiesa non ha mai definito l’autenticità dei titoli, perché il Concilio di Trento, che ha dichiarato canonici tutti i libri contenuti nel canone, mette nel suo decreto un correttivo: “Tali come si leggono nella Chiesa”. Ora la Chiesa non legge né canta i titoli dei Salmi. Pertanto se il decreto comprendeva i titoli, occorreva dire che esso comprendeva tutti quelli della Vulgata, di cui molti non si leggono più in ebraico e portano il marchio dei tempi posteriori. Ora possiamo dire che i motivi che hanno determinato il Santo Concilio di Trento a dichiarare la Vulgata autentica, senza far menzione dei titoli che non ha preteso né approvare né rigettare assolutamente, sono apparentemente da un lato la certezza o almeno la grande probabilità che nei Salmi esistano dei titoli canonici, e dall’altro canto, l’impossibilità di distinguerli sempre dagli apocrifi.

Così la Chiesa ha lasciato una grande libertà di omettere, di cambiare questi titoli o di introdurne di nuovi o variati dalle antiche versioni. 2°- i Padri della Chiesa non ammettono tutti questi titoli senza eccezioni. Sant’Agostino, S. Ilario ritengono che alcuni titoli che si leggono sia nel testo ebraico che nei “Settanta” e nella Vulgata siano contrari all’oggetto letterale del salmo (S. Ilario Ps. LIX, LXIII – S. Agos. Ps. LXIX, LXXXIX). Essi cercano di spiegarli nel senso spirituale, ma senza essere soddisfacenti. 3°- Abili teologi non hanno difficoltà a rigettarne un gran numero. 4°- Dal punto di vista di una sana critica, è molto difficile sostenere che tutti i titoli ebraici nella forma in cui li leggiamo siano l’opera di autori sacri e questo per le seguenti ragioni:

a) ci sono dei titoli che attribuiscono alcuni salmi ad autori che difficilmente possono averli composti, visto che le circostanze storiche del salmo, lo stile che vi domina, indicano un’epoca posteriore rispetto ai supposti autori.

b) Alcune di queste iscrizioni comprendono titoli onorifici che gli autori non hanno potuto attribuirsi verosimilmente da se stessi (Moyses vir Dei; David servus Jehova).

c) Le parole che sembrano designare i diversi generi di poesia lirica, si trovano applicati a dei salmi ai quali non convengono, e talvolta associati nello stesso salmo che porta quindi due titoli diversi.

d) Vi sono titoli tanto caricati di parole che è chiaro come queste addizioni siano state imposte da aggiunte estranee. (Ps. LXXXVII.). e) Non è verosimile che le parti delle iscrizioni concernenti gli strumenti, risalgano tutte ai tempi della composizione del cantico sacro. Vari Salmi possono essere stati composti prima di essere adattati all’uso del tempio, epoca nella quale ha dovuto essere prescritta la designazione degli strumenti. È ciò che sembrano provare i Salmi XIII e LII che non differiscono affatto se non nell’iscrizione.

Sono queste le ragioni principali che ci conducono a non ammettere tutti i titoli del testo ebraico riprodotto nei “Settanta” se non quando questi titoli non siano opposti né all’argomento del Salmo, né alla persona alla quale il titolo l’attribuisca, né alle circostanze storiche enunciate dal salmo, e che non portino il marchio di una qualsiasi sovrapposizione di tempi posteriori.

III. — SIGNIFICATO DEI TITOLI

Sarebbe troppo lungo e fastidioso riportare tutte le spiegazioni sia letterarie che spirituali che i Padri, gli interpreti ed i rabbini hanno dato ai titoli dei Salmi. Diverse sono ridicole e sono veri mostri di interpretazione. Un gran numero sono completamente mancanti di prove e di verosimiglianza. In una materia così oscura e controversa, ecco che ci sembra più soddisfacente per spiriti che, senza essere curiosi all’accesso, vogliono comunque avere una visione molto chiara delle iscrizioni poste all’inizio dei Salmi. Tutti i titoli dei Salmi possono ridursi a nove capi ed in generale si può dire che sono l’espressione o dell’autore del salmo, o il soggetto di cui tratta, o l’occasione del salmo, o il tempo della sua composizione o la determinazione che ne viene fatta per certi usi, o il maestro del canto, il prefetto della musica, il capo del coro dal quale deve essere eseguito o gli strumenti particolari di musica, a corde o a fiato che devono accompagnare il canto o l’aria del salmo o il genere di poesia al quale appartiene il salmo.

#1- Come si può giungere a trovare il vero significato dei titoli?

Tutte le difficoltà vengono da: 1) dal valore delle preposizioni ebraiche che precedono le parole; 2) dal vero senso delle stesse parole; ecco qualche principio che estrapoliamo dalle osservazioni sugli autori ed i titoli dei Salmi dell’abate Bondit (Tit. des Ps.,t.1). Questi principi ci dispenseranno dal tornare, nella spiegazione deiSalmi, sul significato dei titoli particolari.

#Proposizioni: 1° la particella che designa in ebraico il genitivo, quando è messa davanti al nome proprio, designa sempre l’autore del salmo. Così, psalmus Davidis o semplicemente Davidis, psalmus David, nella Vulgata, o anche ipsi Davidi, indicano sempre che David è l’autore del salmo. 2° La particella che indica il dativo (che è la stessa per il genitivo, e le altre parti del testo la designano come dativo), messa davanti al nome proprio, indica colui al quale è stata affidata l’esecuzione del salmo (Pæcentori), o il gruppo musicale che deve eseguirlo (Filiis Core), l’oggetto del salmo (Salomoni, ps. LXXII, tradotto secondo l’ebraico). 3° Le particelle in e ad (be ed esh)designano sempre gli strumenti musicali sui quali il salmo debba essere eseguito. Si può dire la stessa cosa della particella super (al). Quest’ultima particella si antepone alle aree sulle quali il salmo deve essere cantato.

# Significato delle parole: i nomi propri degli autori che devono eseguire il salmo, non offrono alcuna difficoltà. Diamo, in poche parole, il significato probabile di certe espressioni più oscure:

-1) Abbiamo detto ciò che significa la parola psalmus che si trova in 75 titoli, canticum, psalmus cantici (Ps. XXIX, LXVI, LVII, LXXXVI, XCI) canticum psalmi (Ps. XLVII, LXV, LXXII, LXXXVII, CVII).

-2) la parola ebraica Lamnatseak che si trova nei titoli di 54 Salmi, è stata tradotta con eis telos dai “Settanta” e con in finem nella Vulgata. Se si adotta questa traduzione basata su un gran numero di autori, questo titolo significherà che questi salmi devono essere cantati molto frequentemente in tutta la posterità, o che essi contengono delle verità che sussisteranno sempre, o ancora che nella sinagoga erano cantati alla fine del sabbat e degli altri sei giorni di festa; o infine che questi Salmi annunziano la fine dei tempi, e cioè il regno del Messia. Ma, senza criticare i Settanta e la Vulgata per essersi fermati al significato: in finem, noi crediamo, con gli interpreti moderni, che questo senso non convenga né all’etimologia della radice Natsah, che significa in particolare: distinguersi, precedere, vincere, superare; né all’oggetto dei Salmi in cui si trova questa espressione. Di conseguenza noi traduciamo questa parola, con S. Girolamo, con: Victori, Præcentori, præposito cantorum, che significa che questi Salmi devono essere inviati al cantore più abile, o al maestro del coro, a colui che dirige il canto, significato, questo, conforme al contesto, riferendosi a questioni musico-strumentali, ed alla composizione della maggior parte di questi canti che iniziano con parole che il corifeo recitava da solo invitando il popolo ed i cantori ad unirsi a lui.

-3) Canticum graduum, in ebraico scir hammaaloth, nella Vulgata è una espressione comune a 15 Salmi dal CIX al CXIII. Qualche rabbino, seguito da un gran numero di commentatori, hanno preteso di dover tradurre “cantico di elevazione o delle salite”, perché questi 15 Salmi si cantavano in tono molto alto, opinione che trae qualche probabilità dal fatto che nei Paralipomeni, cap. XX-19, i leviti cantavano le lodi del Signore “voce magna in excelsum”. Senza parlare di altre interpretazioni arbitrarie che si possono catalogare come vane e frivole congetture, noi crediamo con la maggioranza che si possa tradurre cantico dei gradi o delle salite, che significao che questi Salmi fossero cantati nelle tre grandi feste dell’anno, a Pasqua, a Pentecoste, nella festa dei Tabernacoli, perché allora, in tutte le contrade della Terra Santa, si andava o, secondo lo stile della Scrittura, si saliva a Gerusalemme; o i leviti cantavano questi Salmi sui gradini del tempio; o infine, secondo una opinione generalmente molto accettata, che questi canti fossero eseguiti sulla fine della cattività, quando i Giudei avevano la speranza di un prossimo ritorno, o anche nell’epoca in cui si misero in marcia per tornare a Gerusalemme. Il contenuto di alcuni di questi Salmi merita l’appoggio di quest’ultima opinione. Questi Salmi graduali sono salmi di gioia, di riconoscenza e di dolore.

-4) Intellectus, ad intellectum et intelligentiae della Vulgata, in ebraico Maskil, si trova nei titoli di 13 Salmi: XXXI, XLI, XLIII, LI, LII, LIII, LIV, LXXIII, LXXVII, LXXXVII, LXXXVIII, CXLI. Queste espressioni ed altre simili si ritrovano tutte nei Salmi istruttivi. « Questo titolo – dice Bossuet – ci invita ad elevare il nostro spirito e cercare nel salmo qualche verità importante per modificare i nostri comportamenti ». Si è sottolineato – dice il P. Berthier – che i Salmi che trattano di prove, persecuzioni, in una parola sono oggetto di tristezza, portano il titolo di Intellectus, come per far capire che bisogna leggerli e cantarli in vista di imparare a sopportare le traversie, a rivolgersi a Dio per invocarne il soccorso (Ps. LIV). Il termine letama, ad docendum, o, secondo i “Settanta”, “eis diaken” in doctrinam, che si legge nel titolo del Salmo LIV, può servire a fissare il senso della parola maskil.

-5) Bineghinoth è tradotto in tre modi nella Vulgata, cioè nei Salmi IV, VI, LIII, LIV con in carminibus; nei Salmi LX, LXVI con in hymnis; nel Salmo LXXV con in laudibus. La radice nagan significa suonare uno strumento a corde, il derivato può significare l’azione di suonare uno strumento a corde, o il suono che ne deriva, o ciò che si canta su questo strumento, o lo strumento stesso o ciò che si suona. Così questa iscrizione: Lamnatseak beneghinoth può tradursi con: a colui che canta degli inni su strumenti a corde, o al maestro della musica sui suonatori di strumenti.

-6) Sei Salmi, XVI, LVI, LVII, LVIII, LIX, LX, portano come titolo ebraico la parola “michtam” dorato, o di oro molto puro, sempre congiunto con il nome di David. Letteralmente in ebraico è come se si dicesse: Aureum carmen, senso che i Settanta rendono con “etelegraphia”, iscrizione su una colonna, e gli autori della Vulgata con “Tituli inscriptio ipsi David”, o: “in tituli inscriptionem” , cioè Salmo degno di essere inciso in perpetuosu un ceppo, una colonna o, secondo Bossuet, “Psalmus monumento æterno inculpendus”, senso che non contraddice affatto l’ebraico. Tuttavia noi preferiamo la spiegazione che lascia alla parola mitchtam il suo significato proprio senza costringerci a ricorre ad un senso figurato, che è la risorsa di vari interpreti, e preferiamo tradurre questo titolo con “Salmo dorato”, così chiamato sia perché questo salmo veniva scritto con lettere d’oro, sia per la stima che se ne aveva. È così che gli arabi, molto tempo prima di Maometto, sospendevano alla volta del tempio della Mecca dei poemi scritti sui papiri egiziani a caratteri d’oro. Ora si conosce la grande analogia che esisteva tra gli usi degli antichi arabi e quelli dei Giudei. Ciò che riferisce Burdor dei costumi degli scrittori orientali conferma questo significato. « Secondo d’Herbelot – scrive questo autore nel tomo I dei suoi “Costumi orientali” – le opere dei sette migliori poeti arabi erano chiamate almodhaebat, che significa “dorate”, perché erano scritte a lettere d’oro, su un papiro egiziano. I sei Salmi che sono così distinti, non potrebbero aver ricevuto questo nome perché in qualche occasione non siano stati scritti a caratteri d’oro o appesi nel santuario? Un tal titolo sarebbe di gusto orientale, e d’Herbelt parla di un libro intitolato il “braccialetto d’oro” ». In Oriente si continua a scrivere con lettere d’oro (Maillet, Lettre XIII, 189). Jahn ci fa sapere nella sua “Archeologia biblica” che gli orientali davano spesso ai loro libri dei titoli allegorici come Bocciolo di rose, giardino di anemoni, leone della foresta, stella brillante. Questo uso è arrivato fino a noi e vari libri antichi che comprendono varie preghiere si chiamano “Specchio dell’animo”, “chiave del cielo”, “giardino dell’anima cristiana”. Questi titoli ci fanno risalire ai costumi antichi dell’Oriente che possono quindi servire a spiegare il titolo oscuro di qualche Salmo.

-7) Quattro Salmi (XLIV, LIV, LXIII, LXXXIX) hanno nel loro titolo, secondo la Vulgata, l’espressione: “pro iis qui commulabuntur”, tradotta dall’ebraico “al schosckannim, cioè, secondo gli interpreti “coloro che saranno mutati da gentili in credenti”. Si poteva dire più letteralmente con il P. Berthier “pro iis qui variantes sunt”, o con Bellenger “pro iis qui diversis alternantibus cœchoris canunt”. Questo primo senso è fondato sulla presunta etimologia della parola ebraica “schoschannin” che può venire da chana, mutari, variari, ma questa parola può derivare anche verosimilmente da schouschan, lys, o da schesch, “sei” e significare o uno strumento a sei corde o pro lilli (S. Girolamo), che sarebbe quindi uno dei titoli allegorici di cui sopra. I Salmi LIX e LXVIII, a motivo della forma di questa parola ebraica, non sono suscettibili del senso dei Settanta e della Vulgata “pro iis qui commutabuntur” e devono ricevere uno dei due ultimi significati.

-8) Il titolo ne disperdas” o “ne corrumpas” si trova in capo ai Salmi LVI, LVII, LVIII, LXIV; è tradotto letteralmente dall’ebraico thaschket. La maggior parte considera questa parola come una preghiera che fa il salmista: “non mi stermina”; altri lo considerano un avviso dell’autore: « guardatevi dall’alterare questo cantico! » noi crediamo che più probabilmente queste parole indichino che il Salmo debba essere cantato sull’aria “non mi stermina”.

-9) “Pro torcularibus”, “per i torchi”, si trova all’inizio dei Salmi VIII, LXXX, e LXXXIII. È tradotto dall’ebraico al hagghithith. Ci appare inverosimile, per non dire ridicolo, che questi tre Salmi fossero cantati principalmente nella festa dei Tabernacoli, dopo aver portato i frutti della vendemmia ai torchi, e noi pensiamo, secondo i principi sul significato delle particelle propositive riportate nei titoli, che questo titolo significhi che questi tre Salmi vadano cantati sull’aria dei Torchi, oppure su uno strumento che veniva suonato nel tempo in cui si portavano i grappoli d’uva ai torchi.

-10) Ai titoli dei Salmi LII e LXXXVII si trova aggiunto, nei Settanta e nella Vulgata: pro Maheleth, riproduzione della parola ebraica “ al makalath”. S. Girolamo traduce questa parola con: “Per chorum”. Alcuni credono che questa parola indichi il nome generico di tutti gli strumenti a fiato; Rosenmuller pensa che si tratti di una specie di flauto, e Genesio di una sorta di chitarra.

-11) Il titolo “Pro octava”, o secondo S. Girolamo, “Super octava”, “al scheminith”, che si legge nel titolo dei Salmi VI e XI e che gratuitamente viene considerato come ottava di qualche grande festa, o come l’indicazione di un tono superiore o inferiore degli otto gradi (Roediger, Thes. Ges. p. 1439), significa, secondo l’opinione più verosimile e la più generalmente accettata, una chitarra ad otto corde.

-12) Il titolo del Salmo LXXIX porta nella Vulgata: “pro iis qui commutabuntur testimonium” ed in ebraico “edouth”, da cui viene “Testimonium” si trova aggiunto alle stesse parole nel titolo del Salmo LIX, cosa che induce a concludere che “schouschan edouth” si riferisca ad un’aria di canzone volgare o al nome di uno strumento; non si può letteralmente dire infatti, secondo Berthier, che questo Salmo richiuda la testimonianza della fede e di fiducia dei prigionieri.

-13) All’inizio del salmo V si leggono queste parole: “pro ea quæ haereditatem consequintur, alhanekiloth, che i santi Padri hanno applicato alla Chiesa che ha ereditato delle promesse. Ora non si può affatto rigettare questa interpretazione, che è quella di diversi dottori giudei e che è molto fondata sulla radice della parola ebraica nakal, “eredità”; tuttavia noi crediamo che occorra intendere la parola ebraica nekilozth in rapporto a strumenti a fiato, giocando sulla radice “killel”, “suonare il flauto”.

-14) Si leggono nel titolo del Salmo IX queste parole: “in finem, pro occultis filii”, tradotte dall’ebraico “al mouth labben” con cui non hanno alcun rapporto, e che quindi non hanno un senso compiuto. S. Girolamo: “pro morte dilii”(David), è una congettura che poco si concilia con il dolore che David prova per la morte di Assalonne. È meglio quindi tradurre con D. Galmet: Psaume de David a Ben, o Bananias, presidente della 7ˆ banda composta da giovani musicisti, (secondo Paralip. 1, XV, 18-20), maestro di musica della banda dei ragazzi. – Il titolo del Salmo XLV recita: “pro arcanis”, tradotto con la medesima parola ebraica “pro occultis”; noi gli diamo lo stesso senso.

-15) Il Salmo XXI ha come titolo in ebraico “al aieleth haschakar” che la Vulgata traduce dai “Settanta” con: “pro susceptione matutina”, per implorare il soccorso di Dio al mattino. San Girolamo nel suo Salterio secondo l’ebraico, traduce con: “pro cervo matutino” o “cerva diluculi” (Dunkp, 276), cervo o cerbiatta del mattino che potrebbe designare il Messia perseguitato e cacciato dai Giudei come una biscia da una muta di cani. Ma è meglio vedere in questo titolo un gruppo di musicisti chiamati la biscia del mattino, o l’inizio di un’aria volgare sulla quale cantare questo Salmo.

-16) Il titolo del Salmo LV può dividersi in due parti. La prima: “pro populo qui a sanctis longe factus est” non ha gran ché rapporto con l’ebraico “al iounath alam rakoqim” che gli ebraizzanti traducono con “canto della colomba gabbiano in lontananza” termine enigmatico che potrebbe applicarsi a David rifugiato presso il re Achis, o significare semplicemente l’inizio di una canzone popolare.

I° E’ inutile ricordare tutte le opinioni più o meno probabili riferite alla parola ebraica “selah” (Danko 277) ripetuta 70 volte nel libro dei Salmi. La Vulgata non l’ha tradotta, i “Settanta” la rendono con “diapsalma”, cambiamento di ritmo, pausa. M. Stolberg crede che sia evidentemente l’indicazione di una pausa, oppure – egli dice – che i cantori ricevano così l’avvertimento di tacere (S. Girolamo, Ep. XXVIII ad Marcel.; Calm. diss. sulla parola “sela” ; Smits. Psalt. Eluc. Prol. I art. 2, p. 52; Genesius in Thes. p. 956) mentre gli strumenti continuavano da soli a farsi sentire, o che strumenti e voce dovessero fermarsi a questo segno.

Sembra strano che il Salterio della Vulgata, nella traduzione dei titoli, offra tante differenze con le traduzioni fatte sull’ebraico. Occorre allora ricordare che la versione dei Salmi che si legge nelle nostre Bibbie, è stata fatta da S. Girolamo non dal testo ebraico, ma da quello greco dei “Settanta”, che era il più stimato, per cui si è conservato il testo latino della prima versione fatta dai “Settanta”. Successivamente, poiché il testo dei “Settanta” non si accordava sempre con l’ebraico, S. Girolamo tradusse nuovamente tutto il Salterio dal testo originale. Se questa versione non è stata ricevuta come quella degli altri libri dell’Antico Testamento, è senza dubbio perché fu difficile disabituare il popolo da un Salterio ai quali erano avvezzi fin dall’infanzia; l’inesattezza può però servire da modello! Così la Chiesa, lungi dal rigettare o negligere gli originali, ne ha costantemente raccomandato o incoraggiato lo studio. Occorre dunque, come un tempo ebbero a dire i sapienti dottori, leggere i Salmi come si fa nella Chiesa, senza pertanto ignorare ciò che contiene la verità ebraica, e far differenza tra ciò che bisogna cantare nella Chiesa rispettando l’uso antico, e ciò che bisogna conoscere per avere l’intelligenza della scrittura (Epist. ad Suniam et ad Fratellam.).

-II- Quali sono i Salmi i cui titoli sono autentici secondo le regole precedenti?

1°- Dei 154 Salmi: due sono anepigrafi o senza titolo nella Vulgata ed in ebraico, e sono l’1 e l’11 – ventitrè solo nell’ebraico, e cioè i Salmi XXIII, XLII, LXX, XC, XCIII, XCIV, XCV, XCVI, XCVII, XCVIII, CIII, CIV, CVI, CXIII, CXIV, CXV, CXVI, CXVII, CXVIII, CXIX, CXXXV, CXXXVI, CXLVII. I rabbini per tale motivo li chiamavano i “Salmi orfani”.

-2° Quattordici Salmi portano nel titolo le addizioni anche considerevoli fatte ai titoli ebraici, addizioni che non hanno conseguentemente alcuna autenticità, e sono i Salmi XXIII, XXIV, XXVIII, L, LXIV, LXV, XCXVII, CXI, CXLII, CXLIII, CXLV.

-3° Tutti gli altri titoli dei Salmi o sono tradotti letteralmente dall’ebraico, o non offrono che lievi differenze, o possono essere ricondotti al loro significato più probabile, secondo le spiegazioni particolari date nell’articolo I. Questi titoli sono dunque i soli verosimilmente autentici, salvo le eccezioni che abbiamo indicato alla fine dell’articolo II.

IV- REGOLE DA SEGUIRSI PER SCOPRIRE I DIVERSI AUTORI DEI SALMI

O i Salmi hanno titoli autentici, o sono anepigrafi.

– Regole per i Salmi che hanno titoli.

Bisogna generalmente considerare, come autori dei Salmi, coloro i cui nomi si trovano nel titolo, a meno che non vi sia nel salmo qualcosa che non possa conciliarsi con questo titolo, perché infatti è meglio sacrificare un’iscrizione che contraddire formalmente il contenuto di un Salmo. Secondo questa regola: 1°) noi consideriamo Davide come l’autore della maggior parte dei Salmi che portano il suo nome, senza essere impediti da queste parole che si leggono dopo il salmo LXXI: “Defecerunt laudes David filii Jesse”, atteso che i Salmi non siano stati enumerati secondo l’ordine dei tempi, per cui effettivamente il salmo LXXI può essere stato realmente composto per ultimo; o forse perché questo salmo conclude una prima raccolta fatta da David stesso, e che poi in seguito il Re-santo abbia composto altri salmi, una nuova raccolta fatta dopo la sua morte senza che abbia eliminato l’epilogo che chiudeva la prima raccolta. Si vedono in effetti dei Salmi, come il CIX ed altri sicuramente di David benché si trovino dopo il LXXI. 2°) bisogna pure considerare Asaf come l’autore della maggior parte dei Salmi che portano il suo nome, per le ragioni indicate sopra. 3°) diversi Salmi portano il nome dei figli di Core, di Idithun. Ora noi crediamo di poter dire che questi nomi indichino non gli autori dei salmi, bensì i musicisti a cui David affidava il canto dei suoi inni. La ragione è: 1- per i figli di Core, l’iscrizione al plurale designa più particolarmente i cantanti piuttosto che l’autore, poiché un pezzo ispirato non poteva avere vari autori; il loro ufficio di cantori inoltre è ben chiaramente annotato nel libro II dei Paralipomeni (XX, 19); ed ancora il loro nome è unito ad un altro, che sembra essere quello dell’autore (ps. LXXXVII). – 2- per Idithun, è il titolo che da il III libro dei Paralipomeni, (cap. XV-10,17 e XXV-1,6)al capo della musica religiosa, nonché la circostanza che nei tre salmi che potrebbero essere suoi, il suo nome si trovi affiancato a quello di Asaf e di Davide. Bisogna non di meno convenire con D. Galmet che, poiché la scrittura associa Idithun ad Asaf ed Héman, ai quali da il titolo di veggenti, egli avrebbe potuto anche comporre dei Salmi. 4°) Il salmo LXXXVII porta nel titolo Héman Esraita, ed il salmo LXXXVIII Ethan Esraita. Questo Héman sembra essere lo stesso dei III Libro dei Re (IV, 31) di cui non si ha conoscenza, forse uno tra i quattro fratelli di Salomone, dei quali uno si chiamava pure Ethan Esraita. Ora il salmo LXXXVII potrebbe venire da questo Héman Esraita, ma il LXXXVIII può avere difficilmente come autore suo fratello Ethan, poiché viveva sotto David e Salomone, e questo salmo sembra datarsi 400 anni dopo, e cioè all’inizio della cattività babilonese, cosa che ci porta a credere che esso sia stato composto in questa epoca da uno dei suoi discendenti, poiché gli interpreti sono dell’avviso che gli autori dei sacri cantici hanno più volte sostituito al loro nome quello di autori antichi. – 5°) ° I salmi che recano il nome di Salomone non possono appartenergli, ma essergli indirizzati; benché questo principe abbia scritto un gran numero di cantici, non sarebbe inverosimile che ne sia stato inserito qualcuno tra i salmi. – 6°) Il salmo LXXXIX porta il nome di Mosè ma non può essere messo in conto al celebre legislatore. In effetti indipendentemente da altre ragioni, come Mosè avrebbe potuto dire che la durata della sua vita umana sia di 70 o 80 anni al più, egli che visse fino all’età di 120 anni e che vedeva intorno a lui vegliardi ultracentenari? Non parliamo nemmeno di Aggeo, Zaccaria i cui nomi non si leggono nell’ebraico. Pertanto è una contraddizione aggiungere Geremia ed Ezechiele a David, come fa la Vulgata al salmo LXIV.

– Regole per i Salmi che non hanno titoli. San Girolamo e Sant’Ilario, come i rabbini, danno come regola, quando i Salmi sono anepigrafi, attribuirli agli autori i cui nomi sono indicati nei Salmi precedenti. Ora questa regola non è fondata, perché innanzitutto il Salmo n. anepigrafo si dovrebbe attribuire all’autore del primo, ma il primo è anch’esso anepigrafo, e la regola non può osservarsi. Inoltre, supponendo che il Salmo LXXXIX venga da Mosè, evidentemente i dieci Salmi anepigrafi che seguono, non sono suoi, attesa la questione di Samuele nel XCVIII. Diciamo allora che per i Salmi che sono senza iscrizioni, ci sono spesso gravi ragioni, estrapolate sia dall’autorità, sia dalla natura trattata in questi cantici, sia dallo stile che autorizzano ad attribuirli a David o ad altri scrittori sacri, qualunque sia l’autore designato nei Salmi precedenti. Sostenendo che tutti i Salmi non vengano da David, noi siamo ben lontani dall’opinione prevalente nei critici tedeschi, opinione completamente inammissibile:

-1° Perché in questa opinione, la maggior parte dei Salmi non sarebbero del Re profeta, cosa contraria al sentimento delle chiese giudaiche e cristiane, che hanno sempre creduto che David fosse il principale autore del Salterio.

-2° perché questi critici tolgono, senza motivazioni sufficienti, agli autori designati nei titoli, parecchi dei loro Salmi. È per loro sufficiente la circostanza dei tempi futuri per rinviare la composizione di questi inni sacri ad un’epoca molto antecedente. Così Asaph, Eman, Ethan secondo loro non avrebbero composto alcun salmo della nostra collezione, cosa opposta al sentimento dei Giudei, così come l’autenticità dei titoli che essi fanno comunque professione di rispettare.

-3° Perché pur ammettendo che qualche salmo sia stato composto durante la cattività (cosa che a motivo della loro forma, sembrano troppo distanti dal genere profetico), noi non crediamo che si sia in diritto di negare a David e ai profeti contemporanei tutto ciò che si riconduca alla cattività e dubitare che Dio abbia potuto rivelare a David questo grande avvenimento.

-4° Perché la supposizione che vari Salmi non risalgono se non ai tempi dei Maccabei (Bertkoldt nella sua introduzione) è insostenibile. Questa asserzione, falsa e temeraria è contraddetta da autori la cui autorevolezza in materia di critica è ben nota: Jahn, Eichorn, de Wette, Gesenius, Hassler, assicurano che il canone delle Scritture dovevano essere all’epoca già chiuso. Pertanto, non solo la tradizione è in opposizione formale con una tale opinione, ma ancora tutti i caratteri intrinseci di questi Salmi che si voglio ricondurre al secolo dei Maccabei, e che si denominano pertanto Salmi Maccabeici, mostrano fino all’evidenza, agli occhi dei critici senza prevenzione, che essi appartengano ad epoche molto anteriori.

Capitolo IV

Cori dei Salmi

Noi rinviamo alle opere specializzate ogni questione inerente alla misura del canto dei Salmi e agli strumenti musicali di cui ci si serviva. Qui ci accontentiamo di offrire qualche nozione sui cori del Salmi, potendo, queste nozioni, servire alla perfetta comprensione di questi canti sacri.

-I) I cori per il canto dei Salmi, erano alternati presso gli Ebrei come nei Cristiani? – Numerosi passaggi mostrano chiaramente, dice Lowth, che era un costume consoli-dato negli Ebrei cantare questi inni sacri a cori alterni. Il dottore anglicano aggiunge che nei primi secoli, la Chiesa cristiana apprese dalla religione giudaica l’uso dei canti alternati (Lez. XIX°). Comunque non bisogna prendere alla lettera queste parole, perché ne seguirebbe che la maniera in cui noi cantiamo i Salmi, è esattamente quella che seguivano gli ebrei, cosa completamente falsa, perché noi distribuiamo questi cantici in un certo numero di versetti che si cantano alternativamente e secondo un numero invariabile, per ciascuno dei due cori. Ma non era così presso gli Ebrei, poiché secondo lo stesso Lowth, si era stabilito l’uso « ut sacros hymnos sæpe alterius choris invicem cantarent ». In effetti la distribuzione dei salmi, ed in generale di tutta la Sacra Scrittura, in versetti, non è molto antica, e vediamo che alcune parole, che non sono altro che un titolo o un’indicazione indirizzata ad un corifeo, sono marcate nel testo ebraico sotto il n° 1, mentre il cantico non comincia che veramente al versetto secondo, cosa che deriva senza dubbio dal fatto di essere classificati sotto una cifra le differenti parti di ciascun salmo, ignorando che le prime parole di qualche versetto non erano che un titolo o un’indicazione.

– 2° Inoltre nella divisione adottata dalla Vulgata, sembra che ci si sia curati meno di conformarsi al senso, piuttosto che di stabilire dei versetti composti, finché possibile, da un numero piccolo e quasi simile di parole. Ora questo non sembra essere stato il metodo degli Ebrei, e sembra più probabile: 1°) che ogni coro ebraico terminasse il periodo che aveva iniziato; 2°) che uno recitava rispondendo all’altro un maggior numero di parole di quelle comprese in un nostro versetto, e che pertanto un solo versetto dovesse al contrario essere attribuito ai due cori dei quali ognuno recitava una parte.

« Ammettiamo, in effetti per un momento, dice qui l’autore della distinzione primitiva dei Salmi (da cui noi siamo ben lontani dall’adottare tutte le opinioni), che i cantici del santo re, fossero suddivisi, ai tempi degli antichi Ebrei, come tra i moderni o tra noi, in versetti di estensione quasi uniforme, senza avere a volte riguardi per il senso della frase; ammettiamo che il loro canto non fosse tra essi, come tra i Cristiani, che la ripetizione dell’intonazione del primo versetto; sarebbe necessario a questi discepoli fare apprendere almeno centocinquanta intonazioni. Occorrevano quindi tanti anni, tanti allievi e tanti istitutori (11 anni, 4.000 allievi, 288 maestri) per una scienza così strutturata, senza contare anche gli anni per la costruzione del tempio? Ammettiamo al contrario che la costituzione primordiale dei Salmi fosse diversa dalla nostra e da quella degli Ebrei moderni; che la composizione e l’esecuzione musicale di questi cantici non avesse nulla in comune con i nostri due cori costantemente alternativi; che i loro canti non fossero meno variati in uno stesso salmo, mentre nei nostri è monotono ed invariabile; ammettiamo ancora che la sola loro intonazione fosse insufficiente per dirigere i leviti; ben lontani dall’essere sorpresi da tutte le disposizione del Re-profeta, nei suoi ultimi momenti, per la formazione dei canti da eseguire nel tempio futuro, noi concepiremo una grande e giusta idea della sua alta saggezza ». Possiamo qui citare diversi Salmi come prova diretta di quanto sosteniamo, ma non ci contenteremo qui che di citarne uno dei più brevi, il CXXXIII: “Ecce nunc benedicite Dominum”, ove si vede nei primi versetti una voce sola che si indirizza ad una pluralità, ai fedeli rappresentati dal coro dei leviti, nell’ultimo versetto, ad una voce sola dopo aver terminato l’invito a benedire l’Onnipotente. Ora è certo che questa distribuzione renda il salmo più intellegibile e più animato della coppia dei versetti della Vulgata, che confonde tutto facendo cantare a più voci riunite e successive ciò che non appartiene che ad una voce isolata. Quando il dottor Lowth dice che la Chiesa cristiana ha preso dagli Ebrei l’uso che essa segue nel canto di questi cantici, forse egli ha voluto parlare degli Ebrei dei tempi più moderni, e degli usi osservati nelle sinagoghe che avevano abbandonato i costumi antichi, ai quali allora era impossibile conformarsi esattamente come nei riti primitivi.

II) Come si può presumere il modo in cui i Salmi fossero cantati? Si può ammettere come certuni, secondo quanto i libri santi ed i costumi degli Ebrei ci fanno conoscere sull’esecuzione dei loro canti sacri, che i loro cantici fossero cantati sia da una voce sola, sia da più voci riunite sotto l’intervento del coro dei cantori, ciò che si potrebbero chiamare “monologhi completi”; sia con l’introduzione di uno o più cori, cosa che ne fa un monologo incompleto, sia che il cantico fosse dialogato a più voci isolate e quasi sempre con l’intervento dei cori. Così il salmo L è un monologo completo; i salmi XXXIII e XL possono passare per monologhi incompleti ed il salmo LXVII può essere considerato come un dialogo a più voci come dimostreremo a suo tempo. L’intervento dei cori è chiaramente designato in diversi Salmi. Per citarne uno qui, nel CVI secondo la Vulgata, è facile vedere che i primi trentadue versetti sono divisi in quattro parti, con la ripetizione di uno stesso versetto che non è cantato se non da cori. Tutti gli interpreti sono d’accordo a questo riguardo.

III) Segni distintivi dell’interruzione e del non intervento dei cori nel canto dei Salmi. Ecco alcuni segni attraverso i quali si possono distinguere i salmi “monologo”, da quelli in cui l’intervento dei cori esiste benché non sia sempre manifesto.

Un salmo può ricevere la denominazione di monologo quando utilizza nel suo insieme la prima persona singolare, eccetto quando la sua composizione, decelando più voci, obblighi a porli nella classe dei dialoghi. Si può dire che i Salmi nei quali Davide si esprime a suo nome, o che parli per lui solo, o che parli per il Messia, sono di questo genere (Salmo XXXIX, Ps. XL all’ultimo versetto, Ps. XLI). un salmo è monologo incompleto quando l’autore si esprime nella prima persona singolare, e vi si scopre comunque l’uso di un ritornello o l’intervento dei cori. Quando nessun passaggio dei Salmi si riporti alla prima persona singolare, si tratta di dialoghi; questo principio non ha eccezioni, qualunque ne sia la brevità o la lunghezza. In assenza di qualsiasi riferimento positivo a questo riguardo, noi pensiamo di poter dire in generale, che c’è l’intervento del corifeo o di uno dei cori o di due cori riuniti, 1°) quando c’è ripetizione di uno stesso pensiero espresso spesso in parole poco dissimili (Ps. XVIII, Ps. XX); 2°) parla cambiando la direzione del discorso, che improvvisamente sembra essere indirizzato al personaggio che fin là aveva parlato; 3°) quando c’è l’intervento di uno o più versetti (Ps. LXIX) che comprendono una preghiera o una riflessione il cui soggetto era preciso; 4°) quando si incontra la parola Selah, che non compare nel testo se non quando il senso indica un riposo o la successione di un’idea ad un’altra.