IL MERITO NELLA VITA SPIRITUALE (3)

IL MERITO NELLA VITA SPIRITUALE (3)

[E. Hugon: Le mérite dans la vie spirituelle, – LES ÉDITIONS DU CERF JUVISY — SEINE-ET-OISE – 1935]

V.

IL RUOLO DELL’IMPERFEZIONE NELLA VITA SPIRITUALE

Un’obiezione viene spontanea alla mente; se nei giusti tutti gli atti sono meriti o peccati veniali, non c’è più spazio per l’imperfezione! Su questo tema dell’imperfezione sono state costruite molte teorie che eviteremo qui di discutere. Ecco come i nostri principi tomistici ci autorizzano a concepire l’imperfezione. È lecito innanzitutto definire indeliberati gli atti di imperfezione che non siano né cattivi né meritori, e di cui potremmo diminuire la quantità se fossimo più attenti. Quanti atti ogni giorno ci sfuggono, ed impediscono la nostra riflessione, la nostra deliberazione, la nostra libertà! Ma proprio perché non sono umani, non sono degni di alcuna sanzione, punizione o ricompensa, e non contano nella nostra storia. Tuttavia, fermano o interrompono la trama della perfezione, impediscono che la nostra vita sia completamente piena, mettono il vuoto nei nostri giorni… – L’anima di Nostro Signore non ha mai conosciuto un atto indeliberato, non più di quanto non sia stato sottoposto all’ignoranza (vedi il nostro libro Il mistero dell’Incarnazione, p. 265 ss.; e il decreto del Sant’Uffizio, Acta Apostolicæ sedis, 1° luglio 1918). Allo stesso modo, molti teologi considerano certo che non c’è mai stata nella Beata Vergine alcuna azione indeliberata, almeno durante il tempo di veglia. Perché, allora, i nostri atti impediscono il controllo dell’intelligenza e dell’impero della volontà? È grazie all’ignoranza, alla concupiscenza. Niente del genere in Maria. La sua scienza infusa la garantisce contro ogni imprevedibilità, e la sua Immacolata Concezione, con il privilegio dell’integrità assoluta, le assicura l’immunità dalla concupiscenza e dalle tempeste dei sensi (cf. Maria piena di grazia, p. 117.). I Santi, senza riuscire a sopprimere tutti gli atti indeliberati, avanzano nella perfezione nella misura in cui li diminuiscono. Sono quelle che si possono chiamare imperfezioni, né colpevoli né meritorie, ma che la santità si sforza di rendere sempre più rare, quando geme di non poterle eliminare completamente. – La nostra dottrina si applica ad atti che sono veramente umani; per questi, nei giusti, non esiste una via di mezzo: o il merito o il peccato veniale. L’imperfezione può quindi essere intesa come un atto buono, onesto, persino lodevole in sé, ma che rimane un po’ non coronato perché avrebbe potuto essere migliore. Gli esempi qui sono numerosi e familiari; si accetta una soddisfazione consentita, come rinfrancarsi al di fuori dai pasti, fumare o prendere il tabacco da fiuto per puro piacere e senza necessità; si prolungano conversazioni utili ma che avrebbero potuto essere accorciate; si permette agli occhi di vedere, alle orecchie di sentire, quando sarebbe opportuno mortificare la curiosità, ecc. ecc. Tutto questo, pur rimanendo nella cerchia di ciò che è lecito, rimane anche nella cerchia di ciò che è meritorio; ma quanto più velocemente si sarebbero compiuti progressi e quanto più intenso sarebbe stato il merito se fosse stata scelta l’altra alternativa! Questo non obbliga, tranne forse in alcune circostanze particolari, dove il rifiuto sarebbe resistenza alla grazia e ingratitudine a Dio; facendo uso della propria libertà, si fa ancora del bene: ma non si sale fino alle regioni dell’ideale soprannaturale. Possiamo dire di questi atti che siano poco coronati, e quindi, delle imperfezioni che i Santi si rifiutano di concedersi (anche senza aver fatto il voto del perfetto o del più perfetto), ma che non sono private di alcuna ricompensa. – Così il tomismo evita ogni esagerazione: pur facendo risuonare il più spesso possibile il sursum corda nelle orecchie dei giusti, non scoraggia nessuno; dice alle buone volontà che ciò che non è peccato veniale, anche se rimane imperfetto, è comunque degno dell’eternità: Habentibus caritatem omnis actus est meritorius vel demeritorius.

VI.

IMPORTANZA DI QUESTA DOTTRINA DI SAN TOMMASO PER LA VITA SPIRITUALE

Si vedrà ancora una volta come la vera spiritualità debba essere basata su una sana teologia. Questo insegnamento del Dottore Angelico non ha lo scopo di promuovere il quietismo o l’indolenza spirituale. Al pensiero che uno dei propri atti non sia diretto all’ultimo fine, o sia disordinato, guastato dal demerito, l’uomo giusto si sforzerà di rivolgersi a Dio molto spesso, di orientare tutta la sua giornata verso di Lui fin dal mattino con una sorta di patto che intende fare tutto per la gloria divina, e con ogni sua azione, dolore o gioia procurare al Signore tutta la lode che gli Angeli e i Santi gli procurano nell’eternità benedetta. E poiché il grado dell’amore è il grado del merito, egli rinnoverà frequentemente gli atti di carità con il dolce patto che ha già dato l’impulso e lo slancio soprannaturale alle opere ed ai doveri di stato. Egli rimarrà anche molto attento a diminuire la somma degli atti indeliberati o imperfetti e a dare alla sua esistenza quella pienezza di merito che è, in senso pieno, la vita feconda, la vita intensa. – D’altra parte, quanto è consolante dire a se stessi che la giornata non è sprecata, che una carriera è riempita nella misura in cui è tenuta libera dal peccato veniale! Tutte le azioni sono allora piene di eternità e le parole di San Paolo si realizzano in tutta la loro portata: « … il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria » (II Cor., IV, 17). Guardate come l’Apostolo ricorre ad antitesi e superlativi per darci un’idea del valore meritorio: ciò che è momentaneo quaggiù, produce l’eterno; ciò che è leggero vale una quantità immensa; ciò che è tribolazione nella vita presente produce gloria per l’aldilà; e tutto questo senza limiti, in una sublimità che sfida il nostro linguaggio e le nostre concezioni. – Ma cerchiamo di capire ancora meglio e consideriamo i tre principali capi che moltiplicano i nostri titoli per la ricompensa. Prima di tutto la carità; poiché è essa il principio del merito, la ricompensa dovuta ad atti di carità supera incomparabilmente la ricompensa dovuta all’oggetto (“Præmium respondens merito ratione caritatis, quantum cumque sit parvum, est majus quolibet prœmio respondente actui ratione sui generis“. (S, Tommaso, IV Sent, dist. 49, q. 5, ad 5). Perciò, in cielo, il giusto che ha più carità è posto più in alto, qualunque sia il numero di anni trascorsi quaggiù. – In secondo luogo, l’eccellenza delle opere. Così come c’è una gerarchia nelle virtù, c’è un ordine nelle azioni, e quando la carità è uguale da entrambe le parti, la preminenza appartiene indiscutibilmente all’opera il cui oggetto è più nobile, così come la verginità supera la continenza coniugale e la contemplazione attiva prevale sulla mera vita attiva. San Tommaso (San Tommaso, Quodlib. VI, a. n; Comm. in I Cor., c. II, Lezione II) dà altri esempi più suggestivi: come l’architetto è meglio pagato del semplice operaio, anche se l’operaio soffre di più, così nell’ordine soprannaturale chi lavora ad opere più alte, più nobili, più squisite, come Vescovi, i Dottori, se la carità non ne è inferiore, ha diritto ad una ricompensa migliore. Ecco perché le opere della Beata Vergine erano più meritorie dei tormenti dei martiri, non solo per la maggiore carità eroica, ma anche per l’oggetto e il termine più alto e perfetto a cui erano dirette. L’unico consenso dato al messaggio di Gabriele: Fiat mihi secundum verbum tuum, aveva più valore, dice San Bernardino da Siena (San Bernardino, Œuvres, t. II, sermone 51, cap. 12), che gli atti più meravigliosi degli Angeli e dei Santi. – In terzo luogo, la difficoltà o la quantità delle opere. È ovvio che se il lavoro è costato più fatica, è durato più a lungo, debba essere ripagato più abbondantemente. Tuttavia, questo punto di vista è solo secondario e guarda solo alla ricompensa accidentale, mentre la ricompensa essenziale viene sempre dal lato della carità. Supponiamo che due uomini giusti in cielo abbiano lo stesso grado di carità, ma uno di loro abbia faticato più a lungo, ha sofferto tormenti maggiori, è passato attraverso il martirio: la ricompensa essenziale, la visione beatifica e l’amore, saranno uguali, ma il martirio avrà in aggiunta questa aureola, maggiori gioie e glorie accidentali. – Si ricava da questo una conclusione molto chiara per la vita spirituale: occorre sviluppare sempre più la carità, cercare delle opere squisite, affrontare le lotte del dovere, superare le difficoltà, per avere un’eternità più piena e dare a Dio più gloria.

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