LO SCUDO DELLA FEDE (73)

LO SCUDO DELLA FEDE (73)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO VIII

OTTAVA FRODE. METTERE IN MALA VISTA IL SACERDOZIO

I nemici della S. Fede, dopo di avere malignato sopra le cose, passano a malignare sopra le persone: ed ecco un altro laccio, che tendono alla vostra semplicità per ingannarvi. Vi mettono davanti agli occhi i Sacerdoti vostri e vanno scovando tutti i loro difetti, tutti i loro vizi e peccati, e poi dopoché hanno fatto un gran quadro di scandali e disordini d’ogni maniera, come può essere buona, dicono, una Religione che ha Sacerdoti tanto viziosi? Miei cari, sentite bene la verità e vedrete quanto siano sciocchi quelli che così parlano. Io vi concedo prima che anche tra i Sacerdoti ve ne abbia dei cattivi e degli scandalosi. Sì, anche i Sacerdoti sono uomini, sonocomposti di carne, e possono mancare. Dunque la bontà della Religione dipende dalla bontà dei Sacerdoti? Oh quanto sarebbe sciocco chi ragionasse così! La Religione è buona, è santa perché è stabilita da Gesù Cristo. Se alcuni Sacerdoti non la osservano, tanto peggio per loro, perché ne saranno castigati a mille doppi di più che non i secolari; ma non per questo essa perde nulla della sua intrinseca bellezza e bontà. Se la Religione autorizzasse la malizia, la perversità dei suoi Ministri, allora avreste ragione di attribuirne la colpa alla Religione: ma mentre essa non solo non autorizza le colpe loro, ma le condanna con ogni maggior rigore, che colpa ne ha? Ebbene voi lo sapete; la Religione intima chiaro, che se voi secolari morite in peccato, sarete condannati al fuoco eterno, ma che se muoiono in peccato i Sacerdoti patiranno una dannazione molto più grave della vostra: saranno per loro i tormenti più acuti, gli strazi più crudeli, le carneficine più spietate dentro l’inferno: vedete dunque che la Religione non ha colpa dei loro traviamenti. Fingete per un momento che voi abbiate un figliuolo discolo e malvagio: voi per ridurlo sul buon sentiero, l’avvisate, lo riprendete; lo minacciate, mettete mano al castigo, fate tutto quello che potete. Ora se questo rimanesse sempre caparbio ed ostinato al solito, potrebbe qualcuno rigettarne la colpa sopra di voi, che avete fatto tutto il possibile per ridurlo? Ebbene, questo che voi trovate ingiusto, se sia praticato a vostro riguardo, voi lo fate poi con la Religione. Anche essa ha sgridato, ha minacciato ed a suo tempo castiga il Sacerdote scandaloso: perché dunque recarglielo a colpa? Io vi ho concesso che anche tra i Sacerdoti ve ne sono dei cattivi e degli scandalosi, ma vi debbo poi osservare che per grazia di Dio sono poi moltissimi i buoni. Quanti poveri Parrochi che non si risparmiano né dì né notte per accorrere in tutti i vostri bisogni! Quanti Sacerdoti che sono indefessi ad assistere le lunghe ore nei Confessionali! Quanti assistono i poveri ammalati le notti intere! Quanti che secondo le loro forze non lasciano di aiutare anche con limosine i poverelli! Chi sono quelli che lasciando la loro patria volano a paesi barbari in mezzo ad infiniti pericoli, attraverso i mari ed i deserti, per insegnare la S. fede ai Gentili ed ai selvaggi? Sono i Sacerdoti. Chi sono quelli che si affaticano anche nei nostri paesi nelle S. Missioni? Sono i Sacerdoti, sia secolari, sia regolari. Chi sono quelli che si struggono il cervello negli studi sacri per comporre libri di pietà e di edificazione per i popoli? Sono i Sacerdoti. Chi sono quelli che sostentano con le loro fatiche, contro tutti i nemici della vostra anima, il vero vostro vantaggio temporale ed eterno? I Sacerdoti. Sapete perché in confronto dei cattivi i buoni non paiono tanti? Perché i cattivi fanno come la ruota peggiore del carro, stridono di più. si fanno vedere su tutti i mercati, in tutte le adunanze, perfino nelle taverne, nei giuochi e sono un pruno negli occhi di tutti; laddove i buoni stanno più ritirati, più raccolti, occupati o coi libri, o nelle Chiese a fare del bene, e così fanno meno rumore e perciò paiono pochi anche che sieno molti. Vedete dunque quale ingiustizia sia il calunniare tutti i Sacerdoti, come fanno cotesti maestri d’iniquità, dicendo che sono tutti d’una stampa. No, non sono tutti così: ve ne sono dei buoni, se ve ne sono anche dei cattivi. Trovereste giusto che si condannassero tutti gli uomini di una professione, perché alcuni in quella professione sono rei? Tra i contadini senza dubbio alcuni rubano la roba del padrone: sareste contenti che fossero tutti i contadini chiamati ladri? Tra gli artieri ed operai ve ne sono alcuni che non fanno bene l’arte loro: sarebbe giusto che si chiamassero tutti guastamestieri? Tra le fanciulle e le maritate ve ne sono alcune civette ed infedeli al loro Sacramento? Si potrà dunque fare l’onore a tutte le donne anche alle vostre mogli ed alle vostre figliuole di chiamarle mondane? Come dunque chiamate cattivi tutti i Sacerdoti, perché ve ne sono tra essi alcuni cattivi? Dovreste piuttosto (e sia detto qui di passaggio) rispettarli tutti, giacché la loro augustissima dignità non vien meno per qualunque colpa essi commettano. Se essi fanno del male, il fanno per sé, a noi non recano danno. La parola che annunziano è parola di Dio, e questa parola non s’imbratta anche passando per una bocca indegna. L’assoluzione che essi ci danno nel Tribunale di Penitenza è buona lo stesso. La S. Messa ha per noi che l’ascoltiamo lo stesso valore, è buona altresì la S. Comunione che ci amministrano e così dite dell’Estrema Unzione e di tutto quello che ci prestano nel loro Ministero. La loro autorità non scema in vista della loro indegnità. Se però Iddio stesso mantiene loro quell’autorità che ha loro donata, malgrado la loro malvagità, perché non la rispetteremo noi? Ah guai a quei Cam maledetti che invece di ricoprire pietosamente i falli dei Sacerdoti loro padri, li rivelano e li aggravano! Che Iddio prenderà a suo tempo le loro vendette! Il grande Imperatore Costantino era solito dire: Io per me se vedessi con gli occhi miei un Sacerdote a commettere una colpa, lo andrei a ricoprir con la mia porpora imperiale, perché nessuno la risapesse: tanto comprendeva egli il rispetto che si deve all’immensa loro dignità! Che se volete sapere quale sia poi il castigo più tremendo che Dio manda sopra quelli che insultano e sparlano dei ministri di Dio, io ve lo dirò: a quelli che hanno tanto insultato i Sacerdoti in vita, Dio permette che manchino talvolta i Sacerdoti in morte. In quest’ultima ora se venissero intorno al vostro letto tutti i Principi, tutti gl’Imperatori, tutti i Sapienti dell’Universo, qual bene potrebbero fare alla vostr’anima? Potrebbero pregare per voi, ma niuno potrebbe sciogliervi dal minimo dei vostri peccati. Il Sacerdote solo è quello che ha l’autorità di assolvervi, o buono o cattivo che egli sia, e quello che egli scioglie in terra sarà sciolto in cielo, quello che egli lega qui sarà legato anche lassù. E se per giusto giudizio di Dio egli vi mancasse in quell’ora, e voi vi trovaste aggravato di peccati mortali, che sarebbe di voi? Nel secolo passato un famoso empio si burlò tutta la sua vita dei ministri di Dio; all’ultima ora, quando si vedono le cose diversamente da quello che si veggono in vita, mandò a chiamare il Sacerdote. Ma che? I suoi stessi amici non glielo lasciarono entrare mai nella stanza ed egli urlando e bestemmiando morì disperato. Questi esempi si sono ripetuti altre volte, e guai se si ripetessero anche in noi! Ma ritornando ora al punto principale, stampatevi bene in mente che la Religione è sempre buona lo stesso, ancorché alcuni Sacerdoti siano cattivi, e che non è altro che un errore gravissimo quello di rifondere sopra la Religione quella colpa che la Religione proibisce con tutto il rigore. Un’altra tristizia adoperano ancora costoro contro i Sacerdoti del Signore, per metterveli in disistima e disamore, e sapete qual è? Ve li dipingono come interessati. E non vedete, dicono ossi, che vogliono denaro per la Messa, per la Predica e per ogni ministero spirituale? Sentite dunque una parola di risposta, ma imprimetevela bene in mente. Che siano proprio i Protestanti a farvi questa difficoltà, questo è prendersi gabbo di voi e della vostra semplicità. Per amor del Signore aprite gli occhi. I loro ministri o Sacerdoti che li vogliate chiamare sono essi disinteressati? Hanno delle prebende tanto pingui che, secondo il calcolo fatto, la setta Anglicana sola ha per i suoi ministri più denaro di quello che abbia tutto il clero Cattolico sparso in tutta la terra. Non lo impiegano poi pei poverelli, giacché hanno da mantenere il lusso alla propria moglie, hanno da far la dote alle figliuole, hanno da provvedere ai loro figliuoli. E che cosa fanno poi pel popolo, mentre godono entrate sì pingui? Non confessano, non assistono gli ammalati, non celebrano messa, tutto il loro grande affare si riduce ad un poco di predica la festa, che per ignoranza o per pigrizia non sanno neppure a mente, ma vanno a leggere in pubblico. Ora che costoro abbiano poi coraggio di chiamare interessato il Clero Cattolico è un vero orrore. Del resto che cosa fa poi il Clero Cattolico? Si fa pagare forse le Messe, le Prediche e simili come scioccamente, per non dir peggio, parlano alcuni? nulla meno: non si fa pagare né la Messa né la Predica, perché se si dovesse pagare quel gran Sacrifizio o la divina parola, non solo voi, ma neppure tutti i Principi della terra avrebbero tanto nel loro erario da poterla pagare. I loro ministeri li esercitano gratuitamente, perché non si vendono né le Messe, né le prediche, né i Sacramenti. Solo si riceve una limosina, perché è necessario che anche i Sacerdoti vivano. E ciò conformemente alla Santa Scrittura, la quale ci fa sapere dei Sacerdoti antichi che per divina disposizione, oltre alle decime che ricevevano da tutte le tribù, avevano ancora molte offerte e regali in varie occasioni: anzi anche conformemente al nuovo Testamento, nel quale S. Paolo ci fa sapere che i Sacerdoti meritano anzi per la dignità del loro ufficio un doppio onorario (I Tim V. 17), e che non è gran cosa che quelli che vi somministrano il cibo dell’anima, ricevano poi da voi il cibo del corpo (1 Cor. IX, 11): perché finalmente chi serve all’altare deve vivere dell’altare (Ibid. 13). – Quello poi che dicono alcuni, che gli antichi sacerdoti campavano del lavoro delle proprie mani, è parte vero, parte falso. È vero che in alcune occasioni per togliere ai Gentili l’occasione di mormorare dei sacerdoti, quasi predicassero il Vangelo per interesse, si alimentavano col lavoro delle proprie mani, e questo lo fanno anche al presente molte volte i nostri missionari tra i Gentili per lo stesso motivo; è falso che il facessero sempre, perché dove erano stabilite le Cristianità essi si occupavano dei ministeri spirituali e ricevevano dai Fedeli il loro sostentamento: come si vede chiaro da quel che fece S. Pietro e gli altri Apostoli, che non si vollero neppure occupare troppo della distribuzione delle limosine per non rubare il tempo agli esercizi spirituali, e che per questo ufficio elessero dei diaconi, come si racconta negli atti degli Apostoli (Act. VI, 2). Del resto cominciando dal nostro Gesù sommo Sacerdote, il quale era mantenuto nelle sue predicazioni divine dalle limosine di Giovanna, di Maddalena, di Susanna e di altre ricche persone, come ricorda il s. Vangelo (Luc. VIII, 2,3), i Sacerdoti hanno sempre campato con le limosine dei Fedeli; e questo è sommamente giusto, perché i Sacerdoti non possono attendere alle anime dei Fedeli, ed esercitare tutto insieme una professione per vivere: e guai a quei figliuoli disamorati ed irreverenti che hanno il coraggio di malignare sopra i Padri delle loro anime e di contare quasi i loro bocconi; perché Iddio dissimulerà per qualche tempo le offese loro fatte, ma poi farà conoscere che è stato contro di Lui commesso l’affronto che si fa ai suoi ministri.

SALMI BIBLICI: “DEUS DEUS MEUS, RESPICE IN ME” (XXI)

SALMO 21: ” Deus. Deus meus, respice …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS …

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo XXI

In finem, pro susceptione matutina. Psalmus David.

[1] Deus, Deus meus, respice in me:

quare me dereliquisti? Longe a salute mea verba delictorum meorum.

[2] Deus meus, clamabo per diem, et non exaudies; et nocte, et non ad insipientiam mihi.

[3] Tu autem in sancto habitas, laus Israel.

[4] In te speraverunt patres nostri; speraverunt, et liberasti eos.

[5] Ad te clamaverunt, et salvi facti sunt; in te speraverunt, et non sunt confusi.

[6] Ego autem sum vermis, et non homo; opprobrium hominum, et abjectio plebis.

[7] Omnes videntes me deriserunt me; locuti sunt labiis, et moverunt caput.

[8] Speravit in Domino, eripiat eum: salvum faciat eum, quoniam vult eum.

[9] Quoniam tu es qui extraxisti me de ventre, spes mea ab uberibus matris meae.

[10] In te projectus sum ex utero; de ventre matris meae Deus meus es tu;

[11] ne discesseris a me, quoniam tribulatio proxima est, quoniam non est qui adjuvet.

[12] Circumdederunt me vituli multi; tauri pingues obsederunt me.

[13] Aperuerunt super me os suum, sicut leo rapiens et rugiens.

[14] Sicut aqua effusus sum; et dispersa sunt omnia ossa mea.

[15] Factum est cor meum tamquam cera liquescens in medio ventris mei.

[16] Aruit tamquam testa virtus mea, et lingua mea adhaesit faucibus meis, et in pulverem mortis deduxisti me.

[17] Quoniam circumdederunt me canes multi; concilium malignantium obsedit me.

[18]Foderunt manus meas et pedes meos, dinumeraverunt omnia ossa mea.

[19] Ipsi vero consideraverunt et inspexerunt me. Diviserunt sibi vestimenta mea, et super vestem meam miserunt sortem.

[20] Tu autem, Domine, ne elongaveris auxilium tuum a me; ad defensionem meam conspice.

[21] Erue a framea, Deus, animam meam, et de manu canis unicam meam.

[22] Salva me ex ore leonis, et a cornibus unicornium humilitatem meam.

[23] Narrabo nomen tuum fratribus meis; in medio ecclesiae laudabo te.

[24] Qui timetis Dominum, laudate eum; universum semen Jacob, glorificate eum.

[25] Timeat eum omne semen Israel, quoniam non sprevit, neque despexit deprecationem pauperis;

[26] nec avertit faciem suam a me: et cum clamarem ad eum exaudivit me.

[27] Apud te laus mea in ecclesia magna; vota mea reddam in conspectu timentium eum.

[28] Edent pauperes, et saturabuntur; et laudabunt Dominum qui requirunt eum; vivent corda eorum in sæculum sæculi.

[29] Reminiscentur et convertentur ad Dominum universi fines terrae;

[30] et adorabunt in conspectu ejus universæ familiæ gentium;

[31] quoniam Domini est regnum, et ipse dominabitur gentium.

[32] Manducaverunt et adoraverunt omnes pingues terræ; in conspectu ejus cadent omnes qui descendunt in terram.

[33] Et anima mea illi vivet; et semen meum serviet ipsi.

[34] Annuntiabitur Domino generatio ventura; et annuntiabunt cæli justitiam ejus, populo qui nascetur, quem fecit Dominus.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XX

Preghiera di Cristo in croce intorno la sua passione e risurrezione. Il titolo riguarda la risurrezione che avvenne il mattino, e per mano di Dio che quasi ricevè e trasse Cristo dal sepolcro per darlo all’aura di vita.

Per la fine; per l’aiuto del mattino, salmo di Davidde.

1. Dio. Dio mio, volgiti a me; perché mi hai tu abbandonato? la voce de’ miei delitti allontana la mia salute da me.

2. Dio mio, io griderò il giorno, e tu non mi esaudirai: griderò la notte, e non per mia colpa.

3. E tu pure nel luogo santo risiedi, o gloria di Israele.

4. In te sperarono i padri nostri; sperarono, e tu gli liberasti.

5. A te alzarono le loro grida, e furon salvati; in te sperarono, e non ebber da vergognarsi.

6. E io sono un verme e non un uomo, l’obbrobrio degli uomini e il rifiuto della plebe.

7. Tutti coloro che mi vedevano, mi schernivano; borbottavano colle labbra, e scuotevano la testa.

8. Pose sua speranza nel Signore, egli lo liberi; lo salvi, dacché lo ama.

9. E sei pur tu, che fuor mi traesti dall’utero, speranza mia fin da quando io suggeva il latte materno.

10. Dall’utero io fui rimesso nelle tue braccia; dal seno della madre tu sei il mio Dio.

11. Non allontanarti da me; Perocché la tribolazione è vicina: perocché chi soccorra non è.

12. Mi han circondato un gran numero di giovenchi, da grossi tauri sono assediato.

13. Spalancaron le loro fauci contro di me, come leone che agogna alla preda e ruggisce.

14. Mi son disciolto come acqua, e le ossa mie sono slogate.Si è liquefatto come cera il mio cuore in mezzo alle mie viscere.

15. Il mio vigore è inaridito come un vaso di terra cotta, e la mia lingua è attaccata al  mio palato, e mi hai condotto sino alla polvere del sepolcro.

16. Una frotta di cani mi si è messa d’intorno; una turba di maligni mi ha assediato. Hanno forate le mie mani e i miei piedi.

17. Hanno contate tutte le ossa mie. Ed eglino stavano a considerarmi e mirarmi.

18. Si divisero le mie vestimenta, e la veste mia tirarono a sorte.

19. Signore, non allontanar da me il tuo soccorso; accorri in mia difesa.

20. Libera dalla spada, o Signore, l’anima mia, e dalla violenza del cane l’unica mia.

21. Salvami dalla gola del leone: e dalle corna degli unicorni la mia miseria.

22. Annunzierò il nome tuo ai miei fratelli; canterò laude a te in mezzo alla Chiesa.

24. O voi che temete il Signore, lodatelo: seme di Giacobbe, quanto tu sei, rendi a lui gloria.

25. Lo temano tutti i posteri d’Israele, perché non disprezzò né ebbe a vile l’orazione del povero:

26. Né da me rivolse i suoi sguardi; e quando alzai a lui le mie grida, mi esaudì.

27. Da te le laudi, ch’io ti darò nella Chiesa, grande in presenza di color che lo temono, scioglierò i miei voti.

28. I poveri mangeranno, e saranno satollati; e al Signore daranno lodi quei che lo cercano; vivranno i loro cuori in eterno.

29. Si ravvederanno, e si convertiranno al Signore tutte l’estreme parti della terra.

30. E davanti a lui porteranno le adorazioni tutte quante le famiglie delle genti.

31. Imperocché del Signore è il regno, ed Egli sarà il dominatore delle nazioni.

32. Hanno mangiato, e hanno adorato lui tutti i potenti della terra; dinanzi a lui si prostreranno tutti quelli che scendono nella terra.

33. E l’anima mia per lui viverà, e la mia stirpe a Lui servirà.

34. Sarà chiamata col nome del Signore la generazione che verrà, e i cieli annunzieranno la giustizia di Lui al popolo che nascerà, cui fece il Signore.

Sommario analitico

Questo salmo che, si è detto, è piuttosto una cronaca che una profezia della Passione del Salvatore e della sua Resurrezione, indicata dal titolo: « per il soccorso del mattino ».

SEZIONE I.

I. – Nostro Signore Gesù Cristo, circondato da una folla di nemici crudeli e furiosi, e piombato in un abisso di sofferenze, chiede a suo Padre perché Lo abbia così abbandonato, e ne indica la causa nei crimini del genere umano che Egli ha fatto suoi e che sollecitano la vendetta divina (1).

II. – Contro questa moltitudine di nemici, contro questo diluvio di male, non c’è che una sola risorsa, e non oppone che un’arma sola: la preghiera perseverante notte e giorno, e presenta a Dio cinque ragioni pressanti per essere esaudito (2).

1) La santità, o, se si vuole, la misericordia di Dio, o ancora la sua potenza che dall’alto dei cieli, ove Egli risiede, può distruggere o annientare i suoi nemici (3);

2) La bontà paterna con la quale ha esaudito le preghiere dei suoi padri secondo la carne (4, 5);

3) L’eccesso dei suoi dolori e delle sue ignominie: 1. Egli è come un verme di terra; 2. Egli è l’obbrobrio degli uomini ed il rifiuto del popolo (6); 3. è un oggetto di scherno ed oltraggi per i suoi carnefici e i criminali crocifissi con lui (7); 4. questi oltraggi ricadono su Dio stesso (8);

4) I benefici dei quali Dio lo ha colmato in precedenza:

1. è Dio stesso che lo ha estratto dal seno di sua madre, in modo ammirevole (9);

2. dalla sua prima infanzia ha riposto in Dio tutta la sua fiducia (10);

3. egli Lo ha servito ed onorato fedelmente come suo Dio durante tutta la sua vita (10);

4) la grandezza e l’eccesso delle sue sofferenze, delle quali fa l’numerazione: 1. la tribolazione è la più stringente; 2. nessuno può soccorrerlo, tutti lo hanno abbandonato (11); 3. è attaccato da ogni sorta di nemici: a) dal popolo, figurato dalla folla di giovani buoi; b) dai sacerdoti e dai dottori, figurati dai tori (13), c) dai grandi ed i principi, figurati dai leoni (14); –

Non c’è una sofferenza di cui il suo corpo non sia l’oggetto: a) il suo sangue sparso come acqua; tutte le sue ossa dislocate; c) il suo cuore fuso come la cera; d) la sua forza essiccata come l’argilla (15); la sua lingua incollata al palato; f) tutta la sua forza vitale dissipata (16); g) le sue orecchie afflitte dalle bestemmie dei suoi nemici (17); h) i suoi piedi e le mani perforati; i) tutte le membra lacerate (18), j) egli è diventato uno spettacolo, un oggetto di derisione e di ludibrio per i suoi carnefici; k) vede i suoi vestiti contesi, la sua veste sorteggiata (19).

SEZIONE II.

I. Dopo aver esposto a Dio i motivi più urgenti perché Egli esaudisca la sua preghiera, il Salvatore lo supplica di inviargli i suoi potenti soccorsi per resuscitarlo dai morti, e difenderlo dopo la sua morte contro i demoni pronti a gettarsi su di Lui come preda sicura:

1) Egli domanda a Dio di non lasciarlo uscire solo dalla vita, privato di ogni soccorso divino (20);

2) descrive gli sforzi dei demoni pronti a piombare su di Lui come un branco di animali furiosi (21, 22).

II. – Il Salvatore percorre ed enumera i frutti della sua resurrezione:

1) la sua liberazione ed il suo trionfo si volgeranno interamente a gloria di Dio, a) per se stesso, Egli farà conoscere il suo nome a tutti i suoi fratelli, agli Apostoli (23); b) per gli Apostoli, che Egli invierà in tutte le nazioni, e per la bocca dei quali loderà Dio in mezzo all’assemblea dei popoli (24);

2) Egli esorta tutti quelli che temono Dio a lodarlo con i loro canti, le loro opere, e con timore tutto filiale, e offre loro una ragione per cui Dio non disprezza la preghiera del povero, al quale Egli ha prestato orecchio per le sue suppliche, che non ha allontanato da lui la sua faccia, che ha esaudito la sua preghiera (24-26).

3) Il Salvatore, come riconoscenza di così grandi benefici, promette di lodare Dio in una assemblea numerosa, la sua Chiesa (27), e di compiere voti in presenza di coloro che temono il Signore: il primo voto è quello dell’istituzione dell’Eucarestia, che deve durare fino alla fine del mondo, e dei quali espone i multipli effetti: a) l’anima saziata senza disgusto; b) la lode di Dio, seguita della gioia spirituale prodotta da questo Sacramento; c) la vita senza paura della morte (28); d) la riconoscenza per il beneficio della Passione (29); e) l’adorazione del vero Dio (30); f) la sottomissione libera e spontanea delle Nazioni, come ricambio di questa grazia sì segnalata (31); g) la devozione di tutti i fedeli; h) la consolazione per coloro che, prima di morire, si nutrono del celeste viatico (32).

– Il secondo voto è quello per il quale Gesù Cristo promette, non solo di dare il suo corpo nell’Eucaristia, ma di consacrare la sua anima al servizio di suo Padre (33). – Il terzo voto è quello con il quale Egli consacra a Dio, per tutta la durata dei secoli, tutti i fedeli che sono suoi figli, concepiti, formati ed animati dal suo sangue e, affinché nessuno dimentichi, Egli promette di inviare degli uomini apostolici che ricorderanno gli obblighi di questo voto (34).

Spiegazioni e Considerazioni

SEZIONE I.

I. — 1, 2.

ff. 1. –  Questo salmo è stato definito a giusto titolo il Vangelo della Passione. Ma che dire? Il Vangelo non è più completo né più esaustivo, non avendo visto gli Apostoli più dei dolori divini di Davide che li ha contemplati alla luce della profezia? Spesso anche il salmista non ha fatto penetrare oltre le angosce dell’uomo del dolore e completa con vari tratti la recita troppo sobria del Vangelo, ed è nella passione di Gesù Cristo, ancor più della sua incarnazione e della sua vita mortale, che san Tommaso ha potuto dire che i salmi, descrivendola, sembrano piuttosto un Vangelo che una profezia. – È soprattutto in questo salmo XXI, che tutte le principali scene della Passione, l’abbandono di Dio, l’abbandono delle creature, l’odio, l’insulto, l’oltraggio, l’orribile insieme di tutti i dolori, sono intrecciati tra i colori più vivi e le sfumature più circostanziate. – Caricato dei peccati del mondo, Gesù Cristo, che voleva farci sentire che questo divino salmo era tutto per Lui dalla prima all’ultima parola, lo cominciò sulla croce con un gran grido, per farci apprendere a continuarlo nello stesso senso, e per così dire, sullo stesso tono, spingendo fino al cielo nel suo nome che Gli sembrava implacabile, questo pianto: mio Dio, mio Dio, etc. (Bossuet). – Queste parole contengono anche in compendio, tutto l’essenziale del suo supplizio nel personaggio di un peccatore che allora impersonava, perché la punizione propria di un peccatore, è quella di essere abbandonato da Dio, che egli ha per prima abbandonato per essere consegnato poi ai suoi nemici e a se stesso. – Ma come Gesù Cristo, la santità stessa, è potuto diventare peccatore? Egli non lo è diventato per una santa finzione, ma secondo la verità di questa parola: « Dio ha messo su di Lui l’iniquità di tutti noi » (Isaia, LIII, 6); ed ancora: « Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia » (I Piet. II, 24); o ancora: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. » (II Cor. V, 21). – Chiunque si rende garante, si rende veramente debitore: Gesù Cristo è obbligato ad acquistarci mediante la giustizia di Dio, di modo che non sarà rimesso alcun peccato del quale non sarà scontata la pena; né alcun peccatore riconciliato, se non per coloro per i quali egli avrà, non solo corrisposto, ma anche pagato il debito secondo il rigore della giustizia. Così Egli ha espresso tutto il fondo del suo supplizio quando ha gridato con tanta forza: « … perché mi hai abbandonato? », e queste parole significano che viene consegnato ai suoi nemici ed a se stesso. Egli è debitore: è caricato di tutti i peccati del mondo; Egli è peccatore in questo senso veramente; tutti i peccati degli uomini sono suoi; Egli è vittima per il peccato, tutto penetrato di peccato, peccato Egli stesso, per così dire. Non meravigliamoci quindi se noi vediamo Gesù Cristo abbandonato dall’esterno e nel di dentro; dall’esterno alla crudeltà dei suoi nemici; al di dentro, alle sue passioni, di cui aveva la vivacità ed il sentimento, benché non ne avesse il disordine, vale a dire una tristezza mortale, ai suoi terrori, al suo spavento terribile, ad una lunga ed sfibrante agonia, ad una desolazione totale che noi possiamo ben chiamare scoraggiamento in rapporto a questo coraggio sensibile che sostiene l’anima tra le sofferenze: tali sono le piaghe interiori di Gesù Cristo, ben più rudi e per così dire più insopportabili di quelle delle sue mani e dei suoi piedi. (Bossuet). – Gesù Cristo ci insegna a temere la morte, perché essa è la pena del peccato, di cui non si può avere che troppo orrore. Egli ci mostra che non bisogna mai abbandonare Dio, anche quando sembra che Lui ci abbandoni, perché Colui che dice « mio Dio, mio Dio, perché mi avete abbandonato »?, non lascia, malgrado questo abbandono, di ricordare che questo Dio che lo abbandona, è suo Padre, poiché torna a Lui dicendo: « Mio Padre, nelle vostre mani rimetto il mio spirito. » (Bossuet, Expl. du Ps. XXI).

ff. 2. –  Lo stato di abbandono è deplorevole: nell’approssimarsi della morte, passa il giorno e la notte a reclamare il soccorso di un Dio irritato; Egli non ottiene nulla con le sue grida, e sulla croce si sente talmente abbandonato da Dio, che non osa più chiamarlo suo Padre, come prima, e non Lo chiama se non come suo Dio: « Dio mio, Dio mio »! Questi non è più Colui che diceva: « Padre mio, Io so che Voi mi ascoltate sempre » (Giov. XI, 42); è un Dio offeso che rifiuta di ascoltare, privando di qualsiasi assistenza (Bossuet). L’esempio di Gesù Cristo che prega senza essere esaudito, è di grande istruzione per i Cristiani affranti che cercano presso Dio il rimedio ai loro mali, ma si meravigliano e si tormentano quando le loro preghiere non siano esaudite subito come essi desiderano. Occorre gettare gli occhi sulla croce, imparare da Gesù Cristo che tutto ciò che ha passato Lui, dobbiamo passarlo anche noi. – Dio agisce così perché noi possiamo avere la saggezza di chiedere ciò che Egli vuole. San Paolo ha gridato per ottenere che il pungiglione gli fosse tolto dalla carne, ma si è sentito rispondere: « … ti basta la mia grazia, perché la potenza di Dio si manifesta in proporzione alla debolezza umana ». L’Apostolo dunque non è stato esaudito, non a suo detrimento, ma affinché acquisisse una saggezza più grande (S. Agost.).

II. — 3-18.

ff. 3-5. –  Gesù rigettato da suo Padre, abbandonato da Lui senza soccorso né difesa ai furori dei suoi nemici, rende giustizia a se stesso; Egli è colpevole, è sacrificato a tutte le espiazioni e merita tutti i supplizi: « Voi, o mio Dio, abitate la santità », Voi siete Santo, siete la santità stessa, e io? « Io non sono che un verme di terra, non sono più un uomo ». – Santità di Dio, così dolce per i giusti, e terribile per i peccatori. Essa è infinitamente lontana dal peccato, e da tutto ciò che ne porta le apparenze, essa lo persegue ovunque lo incontri, fosse anche nella Persona del Figlio (Dug.). – Dio, il Santo dei Santi, è il soggetto perpetuo delle lodi del suo popolo che non cessa di celebrare le sue misericordie; tutte le preghiere confluiscono a Lui dalle estremità della terra e dai mari più lontani; tutti i Patriarchi vi hanno ricorso e non certo inutilmente; Gesù è il solo che Egli non vuole ascoltare. – Rappresentiamoci nelle nostre preghiere la condotta che Dio ha tenuto riguardo ai suoi amici, i benefici dei quali li ha colmati, il soccorso che ha dato loro nel tempo della loro afflizione.

ff. 6-8. –  Gesù Cristo è simile ad un verme nella sua passione, a causa della umiltà sovrana; Egli è stato come un verme ed un oggetto di orrore per tutti coloro che lo vedevano. « Noi l’abbiamo visto, era irriconoscibile e lo abbiamo desiderato, disprezzato dagli uomini, l’ultimo degli uomini, uomo dei dolori, che conosce l’infermità » (Isaia LIII, 2). – Come un verme schiacciato dai piedi non getta alcun grido, così Gesù Cristo non ha fatto sentire alcun pianto. « Quando Lo si malediceva, non rispondeva con ingiurie; quando Lo si maltrattava, non minacciava, ma si abbandonava al potere di colui che Lo giudicava ingiustamente » (I Pietro, II,22). – Egli non risponde quando Lo si accusa; non mormora quando Lo si batte; e finanche questo grido confuso che forma il gemito ed il pianto, triste ed unica risorsa della debolezza oppressa, per cui fa intenerire i cuori ed arrestare con la pietà ciò che non ha potuto impedire con la forza, Gesù non vuole permetterselo. Tra tutte queste violenze, non si ode un mormorio, e non si sente la sua voce; in più Egli non si concede che di girare soltanto la sua testa dai colpi. Eh! Un verme di terra schiacciato dai piedi, fa ancora qualche sforzo per svincolarsi, mentre Gesù rimane immobile, e non cerca di sottrarsi ai colpi neppure con il minimo movimento (Bossuet, I, Serm. P. le vend. Saint, 2° P.). – Annientamento prodigioso! Questo Dio si allinea, assume una forma, dice delle parole, concepisce pensieri che saranno oggetto di stupore per la terra ed il cielo. Il primo uomo pretende l’onore sacrilego di ritenersi un dio, il Dio espiatore non vuole più chiamarsi un uomo. « Io sono un verme di terra, e non più un uomo ». – Avvicinare con questi eccessi di umiliazione la dignità suprema del Figlio di Dio, del Creatore di tutte le cose, del Giudice sovrano dei viventi e dei morti: ecco fino a qual punto il Figlio di Dio si è annientato per salvare gli uomini. – Come coloro che sono in realtà dei vermi di terra, potrebbero pretendere di aver parte alla salvezza, cercando di elevarsi, di divenire i primi fra tutti? – Un verme che arranca ai miei piedi, mi fa orrore. Ma io stesso arranco e sono orribile davanti a Dio, ancora più di quanto un verme che si arrampichi sia orrendo davanti a me. Come lui, io ho attaccato alla radice piante ben utili; ma egli cerca la sua vita, mentre io non cercavo la mia vita; ma egli non ha distrutto nessuna specie di pianta, mentre cosa ne so io se non ho fatto morire più di un’anima? (L. Veuill. Rome e Lorette). – « Tutti quelli che mi vedevano mi hanno insultato ». Chi non ha rivolto il suo insulto a Gesù Cristo nella sua Passione? Chi non Lo ha coperto dei propri improperi, dei suoi detti ingiuriosi, dei suoi propositi di derisione e di oltraggio? – Dio ha permesso che Davide non vedesse in spirito tutta la sostanza delle bestemmie che queste bocche empie vomitavano contro Gesù Cristo; ma lo Spirito Santo, ha voluto che Davide ne componesse un riassunto, e le ascoltassero vari secoli prima di Gesù Cristo, nel libro della Sapienza (II, 16-18). Dio ha voluto che i giusti antichi che hanno preceduto Gesù Cristo, ascoltassero queste crudeli bestemmie come l’espiazione per i loro crimini, e per essere loro di consolazione nelle proprie sofferenze (Bossuet). – Essere appeso ad un legno infame, avere i piedi e le mani perforati, sostenersi sulle proprie piaghe, contrarre le mani dilaniate dal peso del suo corpo cedente e abbattuto; avere tutti gli arti fratturati e slogati da una sospensione violenta; sentire nel contempo la lingua e le viscere disseccate, sia per la perdita di sangue, sia per il lavorio terribile dello spirito e del corpo, e non ricevere per dissetarsi che un miscuglio di fiele ed aceto; tra questi indicibili dolori, vedere un popolo infido che si beffa, che scuote la testa, che ne fa oggetto di risa così estremamente deplorevole; avere due ladri ai propri fianchi, dei quali uno furioso e disperato muore vomitando mille blasfemie. Questo spettacolo in verità è spaventoso, questo cumulo di mali fa orrore; ma né la crudeltà del supplizio, né tutti gli altri tormenti non sono che un sogno, e un dipinto, in confronto ai dolori, all’oppressione, all’angoscia che soffre l’anima divina di Gesù, sotto la mano di Dio che Lo percuote (Bossuet, Serm. p. le vent. Saint.).

ff. 9, 10. –  Chi mai aveva ricevuto tante prove nella sua infanzia della protezione divina che Gesù Cristo, e chi fu così mai più abbandonato alla fine della sua vita? – Felice colui che nell’uscire dal seno di sua madre è gettato tra le braccia della provvidenza paterna di Dio e posto nel seno della Chiesa Cattolica per non esserne mai più ritratto! – Felice chi, fin da questi primi inizi, mette tutte le sue speranze in Dio, senza mai riporle nelle creature. Felice chi, con il latte materno, succhia il miele della pietra, cioè la Sapienza increata di cui nutrirsi durante tutta la sua vita! (Duguet).

ff. 11. –  È motivo della necessità di ricorrere a Dio quando è vicina la tribolazione, e che non ci si può attendere il soccorso da altri; è motivo di bontà in Dio il sovvenirsi di questi incontri, ed avvertire che è solo Lui che può salvare (Dug.). – A chi ricorriamo nelle grandi prove? Non esauriamo tutte le risorse della nostra immaginazione nel tentare il soccorso umano? Se noi ricorriamo a Dio, non è forse con una mezza speranza che si avvicina molto al dubbio ed alla mancanza di fede?

ff. 12-17. –  Il dramma diventa terrificante. Tutto ha abbandonato la vittima spirante, il Calvario risuona dei clamori della folla, delle grida forsennate dei carnefici, delle atroci risate dei farisei e degli scribi. « Nessuno che lo soccorra ». Quale immagine renderà l’accanimento di questa moltitudine? Come dipingere la forza, l’agilità, la petulanza, l’odio, l’avidità di queste bestie selvagge che si scagliano sulla tenera ed inoffensiva vittima? Colpito infine da tanti colpi, prosciugato di sangue e privo di forze, l’agnello espiatore non ne può più di soffrire, la croce è testimone dei suoi supremi mancamenti e degli ultimi dolori (Doublet, Psaumes, etc.). I nemici di Gesù erano tutti gli ipocriti e tutti i malvagi, cosicché mai odio più forte fu così aspro, né più acceso del loro, ed è per questo che egli li rappresenta con queste figure raccapriccianti (Bossuet). Persecuzioni nascoste che squarciano in segreto la reputazione, figurate da cani che mordono lacerando; persecutori potenti in autorità, che opprimono apertamente, figurati da giovani buoi e da tori grassi. Il nemico capitale ed irreconciliabile dell’uomo, cioè il demonio, rappresentato da un leone fascinoso e ruggente che gira per ogni dove cercando chi divorare (Dug.). Sono queste le circostanze dolorose della passione di Gesù Cristo. Egli si è disciolto come l’acqua nel sudore che versò nel giardino; sulla croce il suo sangue si mescolò con l’acqua e le sue ossa furono slogate nella crocifissione. Il suo cuore era come cera fusa quando piombò in una tristezza mortale, e tutte le sue forze erano come ritirate nell’intimo dell’anima, mentre il resto fu lasciato allo spavento, alla debolezza, allo scoraggiamento, alla desolazione. – Davide non dimentica questo prodigioso disseccarsi che si produce in coloro che sono condannati al supplizio della croce, in un corpo svuotato dal sangue e con gli arti slogati dalla tortura e da una violenta sospensione; da qui viene la sete bruciante che Davide esprime con queste parole: « la mia lingua è attaccata al mio palato »; è forse il più grande tormento dei crocefissi e la più certa disposizione alla morte. Gesù Cristo ha voluto sentirla quando gridò: « ho sete », e rese l’anima un attimo dopo (Bossuet). L’uomo di per se stesso è simile all’acqua che cola, a meno che non sia contenuta in un vaso, e che da se stessa non abbia alcuna consistenza. Egli non ha più forza di colui le cui ossa sono slogate, o della la cera che fonde avvicinandosi al fuoco. È lo stato di un’anima dalla quale Dio si allontana e volta per un certo tempo da una condotta piena d’amore, benché severa; o di un’anima che ha interamente abbandonato a causa dei suoi peccati. Essa non è più irrorata dalle acque della grazia, è sterile di buone opere. La sua lingua attaccata al suo palato, non si scioglie che per proferire parole inutili o cattive, e spesso è condotta fino alla polvere della tomba, perseverando fino alla morte in questo stato funesto (Dug.). – Rappresentare un giusto in mezzo ad una truppa di malfattori che non cercano se non di perderlo, che tentano di sorprenderlo nelle sue parole, che spiano tutte le sue azioni per dar loro le interpretazioni peggiori che possano ricevere. La giustizia ha tradito Gesù Cristo, più della folla, più dei grandi e dei principi, più di coloro che Egli aveva ricolmato di beni. Ogni genere di iniquità mai fu commesso nello stesso tempo dai tribunali di Gerusalemme; mai in alcuna causa e per nessuna vittima, fu violato al tal punto il pudore stesso delle giustizia.

ff. 18, 19. – Nulla è più espressivo di questo smembramento di ossa in un corpo disincarnato e che non era più che uno scheletro, per significare questa violenta estensione delle membra sospese che poggiavano sulle stesse loro piaghe, e non potevano, per così dire, che dislocarsi da se stesse per il proprio peso. È così che l’abbandono fu spinto all’estremo; Egli è infine sulla croce, e vede, tra gli orrori dell’ultimo supplizio, le sue vesti sorteggiate e divise; e dopo una sì sanguinosa esecuzione, sembra che non resti alcuna risorsa all’umanità desolata; ma non è così, e ad contrario è li che iniziano le meraviglie di Dio nella seconda parte di questo divino salmo (Bossuet). – Che l’Apostolo dica ora: « Io sono sulla croce con Gesù Cristo » (Gal. II, 19), non meraviglia affatto, ogni vero Cristiano dovrebbe pensare lo stesso; che Dio dica per mezzo del suo profeta che Egli spanderà lo spirito di grazia e di preghiera su tutti quelli che Lo hanno perforato con i chiodi (Zac. XII, 10), è una sequela di questo amore ineffabile che ha stabilito il grande sacrificio sulla croce come la fonte di tutte le grazie. Tutto ciò che è accaduto al Cristo, deve pure avverarsi nei suoi fedeli servitori; bisogna  – che siano divisi i loro vestiti sia prima che dopo la morte, – che i loro beni siano sottratti dall’ingiustizia, – che siano loro tolti parenti, amici, protettori, – siano privati di forza e di salute, – e alla morte la spartizione assoluta e senza ritorno (Berthier). – Felice colui che alla morte, non ha da dividere altri beni che i suoi vestiti; egli può morire in un sentimento più profondo di pace e di applicazione a Dio. – Gesù Cristo, spogliato di tutto, sulla croce, ci insegna soprattutto a fare la divisione tra l’uomo vecchio con l’uomo nuovo.

II — 23-34.

ff. 23. – Prima di spirare, Gesù Cristo annunzia al mondo la potenza della sua morte e la Gloria del suo sepolcro. Durante il calvario e fino alla croce, Gesù Cristo annunzia solennemente l’imperituro trionfo della sua Resurrezione e della sua vita gloriosa: « … o voi che temete il Signore, etc. ». Tale fu la preghiera suprema di Gesù sulla croce; lo notte oscura che avvolgeva il calvario si rischiarò, l’avvenire appariva con le sue glorie; Gesù, dopo essersi visto schiacciato dai colpi della giustizia, estendeva le sue promesse di gloria e le assicurazioni di immortalità (Doublet, Psaumes, de.). – Gesù Cristo resuscitato dice alle sante donne: « Andate, annunciate la mia Resurrezione ai miei fratelli, e quando andranno in Galilea, essi mi vedranno ». Egli dice alla Maddalena: andate verso i miei fratelli e dite loro: « Io salgo verso mio Padre e vostro Padre, verso il mio Dio e vostro Dio ». E l’Apostolo San Paolo, dal suo canto dice: « Colui che santifica e colui che è santificato hanno tutti uno stesso principio; è per questa ragione che Egli non disdegna di dare loro il nome di fratelli quando dice: Io farò conoscere il vostro nome ai miei fratelli » (Ebr. II, 12). Gesù Cristo sembra prendere una cura tutta particolare nel confermarci questo dolce nome di fratelli, qualche tempo prima della sua Ascensione, come se Egli ci dicesse: mio Padre è vostro Padre così come Lo è il mio, e voi siete miei fratelli, siete dunque suoi figli, i suoi figli diletti, come lo sono anch’Io! Ma se noi siamo i figli di Dio – conclude San Paolo – siamo dunque anche i suoi eredi, eredi di Dio e coeredi di Gesù Cristo, ma a condizione di soffrire con Lui, per essere glorificati con Lui (Rom. VIII, 17). – Gesù Cristo ha dei fratelli da far conoscere al Padre, e per formare con essi un’assemblea, che è la Chiesa, che ne canta eternamente le lodi.

ff. 24-26. – Tre sono i doveri indispensabili per tutti i membri della Chiesa della terra, significati qui dalla razza di Giacobbe e dalla posterità di Israele: lodare, glorificare, temere il Signore. – Tre sono le ragioni di questo obbligo: 1) « Egli non ha disprezzato né rigettato l’umile preghiera del povero »; 2) « Non ha allontanato il suo volto da sopra il povero », lo ha guardato con occhio favorevole, lo ha fatto uscire dalla tomba. 3) « Egli ha esaudito il povero ». Quale fondo inesauribile di istruzione e di consolazione per tutti quelli che soffrono, che sono afflitti, poveri come Gesù Cristo! – Il Re-Profeta ci fa assistere alla nascita ed alla fondazione della Chiesa; egli ne ha contemplato le prime assise, e ci descrive i suoi fondamenti. I diseredati di questo mondo vi sono chiamati per primi. « I poveri mangeranno e saranno saziati ».

ff. 27. –  Questa grande assemblea, questa grande chiesa, è l’unione di tutti i fedeli disseminati in tutto l’universo, sotto il medesimo Capo invisibile che è Gesù Cristo, e sotto uno stesso Capo-visibile, che è il Sovrano Pontefice, Vicario di Gesù Cristo. Questa grande Assemblea è sparsa su tutta la terra, ma unita dai legami di una stessa fede, dalla partecipazione agli stessi Sacramenti, e governata da Pastori che formano un corpo visibile ed indivisibile. Ora, la Chiesa Cattolica è la sola nella quale questi caratteri si conservano e si perpetuano. – La Chiesa si proclama essere una società universale ove debbano riunirsi tutte le generazioni umane. Essa sa che, come società pubblica, deve a Dio un culto pubblico, solenne, ove tutte le voci e tutti i cuori si fondano in un unico sentimento di rispetto, di adorazione e di amore. Le sue riunioni, le sue assemblee popolari, sono l’adempimento di questa suddetta sacralità, di questo dovere dell’universo cristiano. È la legge degli esseri collettivi, legge non meno imperiosamente necessaria di quella dell’individuo. Così il Profeta, che lasciava tanto frequentemente evadere il suo cuore nel silenzio del ritiro, e sfogava la sua anima come l’acqua solitaria, aggiunge: « Io racconterò la gloria di Dio ai miei fratelli, e loderò il Signore in una grande assemblea ». – «Io renderò le mie voci, etc. ». è soprattutto il Crocifisso ed il Resuscitato che parla, è Lui che rende le sue voci. Rendere le sue voci secondo la Scrittura, era offrire a Dio un sacrificio di azione di grazia o di Eucaristia, quando si è ottenuto ciò che si domandava. È quello che fa Gesù Cristo dopo la Resurrezione, ed è proprio di questo Sacrificio l’essere un banchetto sacro, e il Profeta lo designa anche nel suo carattere (Bossuet).

ff. 28. – Una parte essenziale del culto pubblico che deve essere reso nella Chiesa, con Gesù Cristo e per Gesù Cristo, ed il primo che Gesù Cristo annunzia, è il culto della divina Eucaristia. Nel culto di questa Chiesa, di questa assemblea nella quale Gesù Cristo deve glorificare suo Padre, e compiere i suoi voti, è nessun’altra tavola se non quella dell’Eucaristia; e sono i poveri o gli uomini miti, umili di cuore, modesti, che devono usare questa carne per essere saziati. Partecipandovi « … essi lodano il Signore », e nel modo in cui « essi Lo ricercheranno », cioè se si porteranno davanti a Lui con sincerità e con ardore « il loro cuore vivrà eternamente », ciò che è, secondo lo stesso Vangelo, il frutto immediato dell’Eucaristia (Berthier). – I poveri, gli umili di cuore mangeranno; cosa mangeranno se queste non sono, secondo il costume, le carni immolate nel Sacrificio dell’Eucaristia, che sono in effetti quelle di Gesù Cristo? Perché per noi non ci sono altre vittime che Questa. « Ed essi saranno saziati »: da cosa se non dagli obbrobri, dalle sofferenze di Gesù Cristo e dalle sue umiliazioni? Ma essi non devono per questo mormorare, scoraggiarsi per questo Sacrificio, perché è a causa degli obbrobri di Gesù Cristo che noi dobbiamo aver parte alla sua vita ed alla sua gloria, ed in effetti il salmo dice loro nel nome di Gesù Cristo: « I vostri cuori vivranno nei secoli dei secoli, e voi avrete parte al nutrimento del quale Io ho già detto: « chi mi mangia vivrà per me, e non morirà. » (Bossuet).

ff. 29-32. –  La prima e più antica conoscenza del genere umano è quella della divinità: l’idolatria, sparsa in tanti secoli per tutta la terra, non era altra cosa che un lungo e profondo oblio di Dio: rientrare in questa conoscenza, e tornare in se stessi dopo un assopimento mortifero, per riconoscere Dio che ci ha creati, è ciò che Davide chiama il ricordarsi, e spiega in questi tre versetti che questa doveva essere la felice e prossima sequela della crocifissione di Gesù Cristo (Bossuet). – Era questo uno spaventoso oblio di Dio, nel quale vivevano tutte le nazioni della terra prima della venuta di Gesù-Cristo, come se Dio non fosse stato il loro creatore. – Ma l’oblio di Dio è non meno terribile, per un gran numero di Cristiani, che vivono come se in realtà non ne avessero mai inteso parlare (Dug.). – L’Eucaristia, è considerata come il viatico dei morenti, di coloro i cui sensi si spengono, nei quali la vita svanisce, e che stanno per discendere nella terra dove il corpo di Gesù Cristo sarà per il proprio corpo un pegno sicuro di resurrezione.

ff. 33. 34. – Il frutto principale dell’Eucaristia è vivere la vita di Gesù Cristo. « Gesù Cristo è morto per tutti, affinché coloro che vivono non vivono più per se stessi, ma per Colui che è morto e resuscitato per essi » (II Cor. V, 15). – « Io vivo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me » (Galat. II, 19, 20). – Questa posterità che deve venire, erano i Cristiani che il Profeta distingue qui dai giudei. Ma oggi, in cui è così grande il numero dei Cristiani che non lo sono che di nome, e che vivono una separazione completa da Dio e da ogni pratica religiosa, c’è da desiderare che una nuova generazione si formi, cresca e si ingrandisca alla scuola di queste verità eterne ed imprescrittibili, di cui la Chiesa Cattolica custodisce il deposito, e provi che la Francia non abbia cessato di essere a Dio con la sua fede, il suo cuore, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, le sue tradizioni, le sue speranze; che non abbia cessato di essere la Francia del Cristo, e la figlia primogenita della sua Chiesa.

15 AGOSTO: ASSUNZIONE DELLA B. V. MARIA (2019)

15 AGOSTO.

Assunzione della B. V. M.

[D. G. LEFEBVRE O. S. B.: Messale romano – L.I.C.E. –R. BERRUTI, TORINO 1936]

Doppio di I classe con Ottava Comune – Paramenti bianchi.

In questa festa, la più antica e la più solenne del Ciclo Mariano (VI secolo), la Chiesa invita tutti i suoi figli sparsi nel mondo a unire la loro gioia (Intr.), la loro riconoscenza (Pref.) a quella degli Angeli che lodano il Figlio di Dio, perché sua Madre è entrata in questo giorno, con il corpo e con l’anima, nel cielo (All.). Nella Basilica di Santa Maria Maggiore si celebra a Natale il Mistero, che è il punto di partenza di tutte le glorie della Vergine ed ancora si celebra oggi l’Assunzione, che ne è l’ultimo. Maria, porta in sé l’umanità di Gesù al momento dell’incarnazione del Verbo; oggi è Gesù, che riceve a sua volta il corpo di Maria in cielo. Ammessa a godere le delizie della contemplazione eterna, la Madre ha scelto ai piedi del suo divin Figlio la miglior parte, che non le sarà giammai tolta (Vang., Com.).

In altri tempi si leggeva il Vangelo della Vigilia, dopo quello del giorno, a fine di dimostrare che la Madre di Gesù è la più fortunata tra tutte, perché meglio d’ogni altra, « Ella ascoltò la parola di Dio ». Questa Parola, questo Verbo, questa Sapienza divina che stabilisce, sotto l’Antica Legge, la sua dimora nel popolo d’Israele (Ep.), è discesa sotto la Nuova Legge in Maria. Il Verbo si è incarnato nel seno della Vergine e ora negli splendori della celeste Sion egli l’ha colmata delle delizie della visione beatifica. Come Marta, la Chiesa sulla terra si dedica alle sollecitudini delle quali necessita la vita presente ed ancora come Marta, la Chiesa reclama l’aiuto di Maria (Or., Secr., Postc). Una processione fu sempre fatta nel giorno della festa dell’Assunzione. A Gerusalemme era formata dai numerosi pellegrini che andavano a pregare sulla tomba della Vergine e contribuirono così all’istituzione di questa solennità. Il clero di Costantinopoli faceva anch’esso nel giorno della festa dell’Assunzione di Maria una processione. A Roma, dal VII al XVI secolo, il corteo papale, al quale prendevano parte le rappresentanze del Senato e del popolo, andava in quel giorno dalla chiesa di San Giovanni in Laterano a quella di Santa Maria Maggiore. Questo si chiamava fare la Litania.

Assunzione della Beata Maria Vergine.

[Appendice al Messale ut supra]

Doppio di classe con Ottava Comune. – Paramenti bianchi.

La credenza nell’Assunzione corporea di Maria SS. era già radicata da secoli nel cuore dei fedeli, profondamente persuasi che la Vergine, sin dal momento del suo transito da questa terra al Cielo, era stata glorificata da Dio anche nel corpo, senza che dovesse attendere che questo risorgesse, insieme con quello di tutti gli altri, alla fine del mondo. Cosi La festa dell’Assunzione, celebrata già verso il 500 in Oriente, costituì la più antica e la maggiore solennità dell’anno in onore di Maria SS. Tuttavia la realtà dell’Assunzione corporea di Maria in Cielo non fu oggetto di una solenne definizione da parte del Papa se non il 1° novembre 1950. In tale giorno, il Sommo Pontefice Pio XII proclamò dogma di fede che « Maria, terminata la carriera della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste quanto all’anima e quanto al corpo. – Questa definizione, maturata lentamente, ma incessantemente nei diciannove secoli che seguirono al beato transito di Maria da questa terra, ha ed avrà un’eco incalcolabile nella dottrina come nella vita cristiana. – Una delle sue conseguenze pratiche sarà quella di attirare vieppiù l’attenzione dei fedeli sulla futura glorificazione nostra non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo. Come Adamo ci rovinò nell’una e nell’altro, così Gesù ci redense non solo quanto all’anima, ma anche quanto al corpo, cosicché l’anima del giusto è destinata ad una beatitudine immensa mediante la visione beatifica di Dio, ed il corpo alla sua volta verrà risuscitato, trasformato e configurato a quello glorioso del Cristo. Per Maria SS. la glorificazione corporea avvenne alla fine della sua carriera mortale; per gli altri giusti non avverrà che alla fine del mondo; ma se devono attenderla, non possono però dubitarne; la loro redenzione è certissima e sarà completa e perfetta (Rom. VIII, 23; Ef. IV, 30). Avendo già realizzato pienamente in se stessa il disegno divino della nostra redenzione, Maria SS. è per noi, colla sua Assunzione corporea, un altro modello, oltre quello di Gesù, della divinizzazione dell’anima mediante la visione beatifica e della glorificazione del corpo cui tutti siamo chiamati e che tutti dobbiamo meritare con le buone opere e con le sofferenze di questa vita cristianamente sopportate. Come del Cristo, così saremo coeredi di Maria SS., se soffriremo con Lei e come Lei (Rom. VIII, 17). – D’altra parte l’Assunta non soltanto ci ricorda quale sia la nostra meta soprannaturale e la via per raggiungerla, ma ci presta anche il suo validissimo aiuto. A quel modo che una buona mamma mira sempre a rendere partecipi della sua felicità tutti i suoi figli, così la Madre nostra celeste regna in Paradiso sempre sollecita della salvezza di tutti gli uomini. S. Paolo ci rappresenta Gesù che vive alla destra del Padre, sempre pregando per noi (Rom. VIII, 34; Ebr. VII, 25); la Chiesa, alla sua volta, ci dice che la Vergine è stata assunta in cielo, affinché fiduciosamente s’interponga presso Dio per noi peccatori (Segreta della Vigilia).

Affine di perpetuare anche nella Liturgia il ricordo della definizione del dogma dell’Assunzione di Maria SS., la Santa Sede ha pubblicato una nuova Messa in onore dell’Assunta, ordinando di inserirla nel Messale il giorno 15 d’agosto, in luogo di quella antica (A. A. S. 1950, pag. 703-5).

Introitus

Ap XII: 1
Signum magnum appáruit in cœlo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim [Un gran segno apparve nel cielo: una Donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].
Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quóniam mirabília fecit. Cantate al Signore un càntico nuovo: perché ha fatto meraviglie.
Signum magnum appáruit in coelo: múlier amicta sole, et luna sub pédibus ejus, et in cápite ejus coróna stellárum duódecim [Un gran segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i piedi, ed in capo una corona di dodici stelle].

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui Immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui genitrícem, córpore et ánima ad coeléstem glóriam assumpsísti: concéde, quǽsumus; ut, ad superna semper inténti, ipsíus glóriæ mereámur esse consórtes.
Onnipotente sempiterno Iddio, che hai assunto in corpo ed ànima alla gloria celeste l’Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Figlio: concédici, Te ne preghiamo, che sempre intenti alle cose soprannaturali, possiamo divenire partecipi della sua gloria.

Lectio

Léctio libri Judith.
Judith XIII, 22-25; XV:10
Benedíxit te Dóminus in virtúte sua, quia per te ad níhilum redégit inimícos nostros. Benedícta es tu, fília, a Dómino Deo excelso, præ ómnibus muliéribus super terram. Benedíctus Dóminus, qui creávit coelum et terram, qui te direxit in vúlnera cápitis príncipis inimicórum nostrórum; quia hódie nomen tuum ita magnificávit, ut non recédat laus tua de ore hóminum, qui mémores fúerint virtútis Dómini in ætérnum, pro quibus non pepercísti ánimæ tuæ propter angústias et tribulatiónem géneris tui, sed subvenísti ruínæ ante conspéctum Dei nostri. Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri.
[Il Signore ti ha benedetta nella sua potenza, perché per mezzo tuo annientò i nostri nemici. Tu, o figlia, sei benedetta dall’Altissimo piú che tutte le donne della terra. Sia benedetto Iddio, creatore del cielo e della terra, che ha guidato la tua mano per troncare il capo al nostro maggior nemico. Oggi ha reso cosí glorioso il tuo nome, che la tua lode non si partirà mai dalla bocca degli uomini che in ogni tempo ricordino la potenza del Signore; a pro di loro, infatti, tu non ti sei risparmiata, vedendo le angustie e le tribolazioni del tuo popolo, che hai salvato dalla rovina procedendo rettamente alla presenza del nostro Dio. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gloria di Israele, tu l’onore del nostro popolo!]

Graduale

Ps XLIV: 11-12; XLIV: 14
Audi, fília, et vide, et inclína aurem tuam, et concupíscit rex decórem tuum. [Ascolta, o figlia; guarda e inclina il tuo orecchio, e s’appassionerà il re della tua bellezza.]

V. Omnis glória ejus fíliæ Regis ab intus, in fímbriis áureis circumamícta varietátibus. Allelúja, allelúja. V. Tutta bella entra la figlia del Re; tessute d’oro sono le sue vesti. Allelúia, allelúia.
V. Assumpta est María in cælum: gaudet exércitus Angelórum. Allelúja.  [Maria è assunta in cielo: ne giúbila l’esercito degli Angeli. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:41-50
“In illo témpore: Repléta est Spíritu Sancto Elisabeth et exclamávit voce magna, et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi ut véniat mater Dómini mei ad me? Ecce enim ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum; et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes. Quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus, et misericórdia ejus a progénie in progénies timéntibus eum.”

[In quel tempo: Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo, e ad alta voce esclamò: Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno! Donde a me questo onore che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, infatti, che appena il tuo saluto è giunto alle mie orecchie, il bimbo ha trasalito nel mio seno. Beata te, che hai creduto che si compirebbero le cose che ti furono dette dal Signore! E Maria rispose: L’ànima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato all’umiltà della sua serva; ed ecco che da ora tutte le generazioni mi diranno beata. Perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente, e santo è il suo nome, e la sua misericordia si estende di generazione in generazione su chi lo teme.]

OMELIA

[Segue il Sermone Del Curato d’Ars]

CREDO ...

Offertorium

Orémus
Gen III:15
Inimicítias ponam inter te et mulíerem, et semen tuum et semen illíus.[Porrò inimicizia tra te e la Donna: fra il tuo seme e il Seme suo.]

Secreta

Ascéndat ad te, Dómine, nostræ devotiónis oblátio, et, beatíssima Vírgine María in coelum assumpta intercedénte, corda nostra, caritátis igne succénsa, ad te júgiter ádspirent.
[Salga fino a Te, o Signore, l’omaggio della nostra devozione, e, per intercessione della beatissima Vergine Maria assunta in cielo, i nostri cuori, accesi di carità, aspirino sempre verso di Te.]

Communio

Luc 1: 48-49
Beátam me dicent omnes generatiónes, quia fecit mihi magna qui potens est. [Tutte le generazioni mi diranno beata, perché grandi cose mi ha fatto colui che è potente.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salutáribus sacraméntis: da, quǽsumus; ut, méritis et intercessióne beátæ Vírginis Maríæ in coelum assúmptæ, ad resurrectiónis glóriam perducámur.
[Ricevuto, o Signore, il salutare sacramento, fa, Te ne preghiamo, che, per i meriti e l’intercessione della beata Vergine Maria Assunta in cielo, siamo elevati alla gloriosa resurrezione.]

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 15 AGOSTO – FESTA DELL’ASSUNZIONE DELLA SS. VERGINE

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

15 Agosto

FESTA DEL L’ASSUNZIONE DELLA SS. VERGINE.

SULLE GRANDEZZE DI MARIA.

Quia respexit humilitatem ancillæ suæ.

[Perché il Signore ha riguardato la bassezza della sua ancella].

(S. LUCA I, 48).

[I Sermoni del B. GIOVANNI B. M. VANNEY, trad. It. di Giuseppe D’Isengrad P. d. M. – vol. IV, Torino, Libreria del Sacro Cuore – 1908- imprim. Can. Ezio Gastaldi-Santi, Provic. Gen., Torino, 8  apr. 1908]

Se noi vediamo, fratelli miei, la SS. Vergine abbassarsi nella sua umiltà al di sotto d’ogni creatura, vediamo pure quest’umiltà innalzarla al di sopra di tutto ciò che non è Dio. No, non i grandi della terra l’han sollevata al sommo grado di dignità nella quale abbiamo oggi la lieta ventura di contemplarla. Le tre Persone della SS. Trinità l’han posta su quel trono di gloria; l’han proclamata Regina del cielo e della terra, facendola depositaria di tutti i tesori celesti. No, miei fratelli, non riusciremo mai ad intender sufficientemente le grandezze di Maria, e il potere conferitole dal suo divino Figliuolo; non potremo mai conoscer bene quanto desidera di farci felici. Ci ama come figli: e si rallegra del potere datole da Dio, perché può così giovarci di più. Sì, Maria è nostra mediatrice; essa presenta tutte le nostre preghiere, le nostre lacrime, i nostri gemiti al suo divin Figlio; Ella attira su noi le grazie necessarie alla nostra salute. Lo Spirito santo ci dice che Maria è, tra tutte le creature, un prodigio di grandezza, un prodigio di santità e un prodigio d’amore. Quale felicità per noi, miei fratelli, e quale speranza per la nostra salute! Ravviviamo dunque la nostra fiducia in questa buona e tenera Madre, considerando: 1° la sua grandezza; 2° il suo zelo per la nostra salute; 3° ciò che dobbiam fare per piacerle e meritarne la protezione.

I. — Parlar delle grandezze di Maria, miei fratelli, è voler impicciolire l’idea grande che ve ne fate; poiché dice S. Ambrogio che Maria è innalzata a sì alto grado di gloria, d’onore e di potenza, cui neppur gli Angeli son capaci di comprendere: ciò è riservato a Dio solo. Quindi concludo che quanto potrete udire, sarà nulla o quasi nulla a confronto di ciò che è Maria agli occhi dì Dio. Il più bell’elogio, che possa farcene la Chiesa, è dirci che Maria è Figlia dell’eterno Padre, Madre del Figliuol di Dio salvatore del mondo, e Sposa dello Spirito santo. Se l’eterno Padre ha scelto Maria qual sua Figlia privilegiata, qual torrente di grazie non dovette Egli versar nell’anima sua? Ella sola ne ricevette più che tutti insieme gli Angeli e i Santi. Innanzi tutto la preservò dal peccato originale, grazia concessa soltanto a Lei. L’ha confermata in questa grazia, con piena certezza che mai la perderebbe. Sì, miei fratelli, l’eterno Padre l’arricchì de’ doni celesti a proporzione dell’alta dignità, a cui doveva innalzarla. Ne formò un tempio vivo delle tre Persone della SS. Trinità. – Diciamo meglio ancora: fece per essa quanto poteva farsi per una creatura. Se l’eterno Padre ebbe sì gran cura di Maria, sappiamo che lo Spirito Santo scese pure ad abbellirla in tal grado, che, fin dall’istante del suo concepimento, divenne oggetto delle compiacenze delle tre divine Persone. Maria soltanto ha la bella sorte d’esser Figlia privilegiata dell’eterno Padre, ed ha pur quella d’esser Madre del Figliuolo e Sposa dello Spirito Santo. Per tale dignità incomparabile si vede congiunta alle tre divine Persone per formare il corpo adorabile di Gesù Cristo. Di Lei Dio doveva servirsi per abbattere e rovinare l’impero del demonio. Di Lei si valsero le tre Persone divine per salvare il mondo dandogli un Redentore. Avreste pensato mai che Maria fosse un tale abisso di grandezza, di potenza e d’amore? Dopo il Corpo adorabile di Gesù Cristo Essa è il più bello ornamento della corte celeste. Possiam dire che il trionfo della SS. Vergine in cielo è il compimento di tutti i meriti di quest’augusta Regina del cielo e della terra. In quell’istante ricevette l’ultimo ornamento della sua incomparabile dignità di Madre di Dio. Dopo aver per qualche tempo tollerato le molteplici miserie della vita e incontrato poi le umiliazioni della morte, andò infine a godere della vita più gloriosa e più felice di cui possa godere una creatura. Talora ci meravigliamo che Gesù, il quale amava tanto sua Madre, l’abbia lasciata dopo la sua resurrezione così a lungo sulla terra. La ragione fu che voleva con questo ritardo procurarle maggior gloria; d’altra parte gli Apostoli avevano ancor bisogno di Lei per essere consolati e guidati. Maria infatti rivelò agli Apostoli segreti più grandi della vita nascosta di Gesù Cristo. Maria pure spiegò il vessillo della verginità, ne fece conoscere tutto lo splendore, tutta la bellezza, e ci mostra l’inestimabile premio riserbato a uno stato sì santo. Ma rimettiamoci in via, fratelli miei, e continuiamo a seguire Maria fino al momento, in cui abbandona questo mondo. Gesù Cristo volle, che, prima d’essere assunta al cielo, potesse anche una volta rivedere gli Apostoli. Tutti, eccetto S. Tommaso, furono miracolosamente trasportati intorno al suo povero letto. Per un atto profondissimo di quell’umiltà, che aveva spinto sempre al più alto grado, Maria volle baciare a tutti i piedi, e chiese loro la benedizione. Quest’atto era apparecchio all’altissima gloria, a cui il suo Figliuolo doveva innalzarla. Quindi Maria diede a tutti la sua benedizione. È impossibile far intendere quante lacrime abbiano allora versato gli Apostoli per la perdita che stavano per fare. Dopo il Salvatore la SS. Vergine non era loro unica felicità, loro sola consolazione? Per mitigare un po’ la loro pena, Ella promise che non li dimenticherebbe dinanzi al suo divino Figliuolo. Si crede che l’Angelo medesimo, da cui le era stato annunziato il mistero dell’Incarnazione, venisse a indicarle, a nome del suo Figliuolo, l’ora della sua morte. La SS. Vergine rispose all’Angelo: « Ah! qual felicità! E come desideravo questo momento! » Dopo sì lieta notizia volle fare il suo testamento che fu presto fatto. Aveva due vesti e le diede a due vergini, che da lungo tempo la servivano. Si sentì allora infiammata di tanto amore, che l’anima sua, simile ad accesa fornace, non poté più rimanere nel corpo. Beato momento! È possibile, fratelli miei, considerar le meraviglie, che accompagnarono tal morte, e non sentir ardente desiderio di viver santamente per santamente morire? Certo non dobbiamo aspettarci di morir d’amore, ma almeno abbiamo speranza di morir nell’amor di Dio. Maria non teme punto la morte, poich’essa la metterà a possesso della perpetua felicità. Sa che l’aspetta il paradiso, e ch’Ella ne sarà uno de’ più belli ornamenti. – Il suo Figliuolo e tutta la corte celeste si fanno anzi per celebrare così splendida festa; i santi e le sante del cielo aspettano solo gli ordini di Gesù, per venir in cerca di questa Regina e condurla trionfalmente nel suo regno. In cielo tutto è apparecchiato per riceverla; essa riceverà onori superiori a quanto può immaginarsi. Per uscir da questa vita Maria non ebbe a soffrir malattia, perché esente da peccato. Non ostante la sua età, il suo corpo non fu mai deperito, come quello degli altri mortali, anzi sembrava prendere nuovo splendore a misura che si avvicinava alla fine. S. Giovanni Damasceno ci dice che Gesù Cristo in persona venne in cerca della Madre sua. Così spariva questo bell’astro, che per settantadue anni aveva rischiarato il mondo. Sì, miei fratelli, Maria rivide il suo Figliuolo, ma in aspetto ben diverso da quello in cui l’aveva visto, quando, tutto coperto di sangue, era confitto alla croce. O Amor divino, ecco la più bella delle tue vittorie e delle tue conquiste! Non potevi far di più, ma neppure avresti potuto far di meno! Sì, miei fratelli, se la Madre d’un Dio doveva morire, non poteva morire che in un impeto d’amore. O bella morte! o morte beata! o morte desiderabile! Ah! Ella è pur compensata di quel torrente d’umiliazioni e di dolori, di cui la sua sant’anima fu inondata nel corso della sua vita mortale! Sì, essa rivede il suo Figliuolo, ma ben diverso da ciò che era il giorno in cui l’aveva visto nel tempo della sua dolorosa passione, tra le mani de’ suoi carnefici, sotto il peso della croce senza poterlo sollevare. Oh! no: non lo vede più in sì triste apparato, capace di annichilare una creatura un po’ sensibile; ma lo vede, dico, splendente di tanta gloria, ch’è la gioia e la felicità del cielo: vede gli Angeli e i Santi che lo circondano, lo lodano, lo benedicono e l’adorano fino ad annientarsi dinanzi a Lui. Sì, rivede quel tenero Gesù, esente da tutto ciò che può farlo patire. Ah! chi di noi non vorrà lavorare per andare a raggiungere Madre e Figlio in quel luogo di delizie? Pochi momenti di combattimento e di patimenti sono larghissimamente ricompensati. – Ah! miei fratelli, che morte beata! Maria non teme nulla, perché ha sempre amato il suo Dio: non rimpiange nulla, perché non possedette mai altro che il suo Dio. Vogliamo morire senza timore? Viviamo nell’innocenza come Maria; fuggiamo il peccato, ch’è nostra sola sventura nel tempo e nell’eternità. Se avemmo la grande sventura di commetterlo, piangiamo, conforme all’esempio di S. Pietro, fino alla morte, e il nostro dolore termini solo colla vita. Imitando l’esempio del santo re David, scendiamo nella tomba versando lacrime: e nell’amarezza del nostro pianto laviamo le anime nostre (Ps. VI, 7). Vogliamo, come Maria, morire senza rammarico? Viviamo com’Ella senza attaccarci alle cose create; facciamo com’eElla, amiamo Dio solo, Lui soltanto desideriamo, e cerchiamo unicamente di piacergli in tutto ciò che facciamo. Beato il Cristiano, che non lascia nulla e ritrova tutto!… Accostiamoci ancora un momento a quel povero letticciuolo, che ha la bella sorte di reggere questa perla preziosa, questa rosa sempre fresca e senza spine, questo globo di luce e di gloria, che deve dare nuovo splendore a tutta la corte celeste. Gli Angeli, si dice, intonarono un cantico d’allegrezza nell’umile casetta ov’era il sacro corpo, ed essa era imbalsamata d’odore sì gradito, che pareva vi fossero scese tutte le dolcezze del paradiso. Andiamo, fratelli miei, accompagniamo questo sacro corteo; teniam dietro a questo tabernacolo in cui l’eterno Padre aveva rinchiuso tutti i suoi tesori, e che, per qualche tempo starà nascosto, come fu nascosto il corpo del suo divino Figliuolo. Il dolore e i gemiti resero senza parola gli Apostoli e i fedeli venuti in grandissimo numero a vedere anche una volta la Madre del loro Redentore. Ma, riavutisi, cominciarono a cantare inni e cantici per onorare il Figlio e la Madre. Degli Angeli una parte sali al cielo per condurre in trionfo quest’anima senza pari; l’altra restò sulla terra per celebrar le esequie del suo corpo. Or vi chiedo, fratelli miei, chi potrà esser capace di dipingerci sì bello spettacolo? Da una parte s’udivano gli spiriti celesti usar tutto la loro arte di paradiso per manifestare la gioia ond’erano pieni per la gloria della loro Regina; dall’altra si vedevano gli Apostoli e gran numero di fedeli levare anch’essi le loro voci per accompagnare le armonie di quei divini cantori. S. Giovanni Damasceno ci dice che, prima di mettere nel sepolcro il santo corpo, tutti ebbero la sorte felice di baciare quelle mani sacrosante, che avevan tante volte portato il Salvatore del mondo. In quell’istante non vi fu infermo che non fosse guarito; non vi fu alcuno in Gerusalemme, che non chiedesse a Dio qualche grazia per intercessione di Maria e non l’ottenesse. Dio volle così per farci intendere che tutti coloro, i quali poi avrebbero ricorso a Lei, erano certi di tutto ottenere. Poiché ciascuno, dice il medesimo santo, ebbe soddisfatto alla sua pietà, e ottenuto ciò che chiedeva, si pensò alla sepoltura della Madre di Dio. Gli Apostoli, secondo l’usanza de’ Giudei, ordinarono che si lavasse e s’imbalsamasse il sacro corpo. Incaricarono di quest’ufficio due vergini, ch’erano ai servizi di Maria. Queste, per miracolo, non poterono veder, né toccare il santo corpo. Si credette riconoscere in questo il volere di Dio, e il corpo fu sepolto con tutte le sue vesti. Se Maria fu sulla terra umile in guisa che non ebbe pari, anche la sua morte e la sua sepoltura non ebbero eguale per la grandezza delle meraviglie che vi accaddero. Gli Apostoli in persona portarono quel prezioso deposito, e il sacrosanto corteo traversò la città di Gerusalemme fino al luogo della sepoltura, ch’era nel borgo di Gethsemani nella valle di Giosafat. Tutti i fedeli l’accompagnarono con fiaccole in mano, molti si univano per via a quella pia folla, che portava l’arca della nuova alleanza e la conduceva al luogo del suo riposo. Dice S. Bernardo che gli Angeli facevano anch’essi la loro processione, precedendo e seguendo il corpo della loro Sovrana con cantici d’allegrezza: tutti gli astanti udivano il canto degli Angeli, e, dovunque passava, quel sacro corpo spandeva una fragranza deliziosa, come se tutte le dolcezze e i profumi celesti fossero discesi sulla terra. Vi fu, aggiunge il santo, un disgraziato Giudeo, che, consumato dalla rabbia nel vedere che si rendevano sì grandi onori alla Madre di Dio, si scagliò sul santo corpo per farlo cadere nel fango; ma appena l’ebbe toccato, ambe le mani gli caddero inaridite. Pentito pregò S. Pietro a farlo accostare al corpo della SS. Vergine; e nell’atto in cui lo toccava, le sue due mani si rimisero a posto da sé in modo che pareva non fossero state mai separate dal braccio. Il corpo della Madre di Dio essendo stato rispettosamente deposto nel sepolcro, i fedeli tornarono a Gerusalemme; ma gli Angeli continuarono a cantar per tre giorni le lodi di Maria, gli Apostoli venivano, gli uni dopo gli altri, ad unirsi agli Angeli che se ne stavano sopra la tomba. In capo a tre giorni S. Tommaso, il quale non aveva assistito alla morte della Madre di Dio, chiese a S. Pietro la consolazione di vedere anche una volta quel corpo verginale. Andarono dunque al sepolcro; ma non vi trovarono più che le vesti. Gli Angeli l’avevano trasportata in cielo, poiché non si sentivano più i loro canti. Per farvi una fedele descrizione della sua entrata gloriosa e trionfante in cielo, bisognerebbe, fratelli miei, ch’io fossi Dio medesimo, che in quel momento volle prodigare alla Madre sua tutte le ricchezze del suo amore e della sua riconoscenza. Possiam dire che allora raccolse quant’era capace di abbellirne il celeste trionfo. « Apritevi, porte del cielo, ecco la vostra Regina che abbandona la terra per adornare i cieli colla grandezza della sua gloria, coll’immensità de’ suoi meriti e della sua dignità ». Quale stupendo spettacolo! Il cielo non aveva visto mai entrare nel suo recinto creatura sì bella, sì compita, sì perfetta, sì ricca di virtù. « Chi è costei, dice lo Spirito Santo, che s’innalza dal deserto di questa vita ricolma di delizie e d’amore, appoggiata al braccio del suo Diletto?… » (Cant. C. VIII, 5). Avvicinatevi: le porte del cielo si schiudono, e tutta la corte celeste si prostra dinanzi a Lei come a sua Sovrana. Gesù Cristo in persona la conduce in mezzo alla gloria del suo trionfo, e le fa sedere sul più bel trono del suo regno. Le tre Persone della SS. Trinità le mettono in capo una splendente corona e la rendono depositaria di tutti i tesori del cielo. Oh! miei fratelli, qual gloria per Maria! Ma insieme quale argomento di speranza per noi saperla elevata a sì alta dignità, e conoscer quanto ardentemente desideri di salvare le anime nostre!

II. — Quale amore non ha Maria per noi? Ci ama come figli; se fosse stato necessario, sarebbe stata pronta a morire per noi. Rivolgiamoci a Lei con grande fiducia, e saremo sicuri che, per quanto siamo meschini, ci otterrà la grazia della conversione. Ha tanta cura della salute delle anime nostre, e desidera tanto la nostra felicità!… Nella vita di S. Stanislao, devotissimo della Regina del cielo (Ribadeneira: 15 Agosto), leggiamo che, mentre un giorno pregava, chiese alla SS. Vergine che volesse una volta lasciarsegli vedere insieme al bambino Gesù. Tale preghiera riuscì così gradita a Dio, che nell’istante medesimo Stanislao vide apparirgli dinanzi la SS. Vergine, la quale teneva tra le braccia il santo Bambino. Un’altra volta, essendo infermo e in casa di luterani che non volevano permettergli di ricevere la Comunione, si rivolse alla SS. Vergine e la pregò di procacciargli tanta felicità. Finita appena la sua preghiera vide venire un Angelo, che gli recava l’Ostia santa, accompagnato dalla SS. Vergine. L’istesso gli accadde in circostanza quasi simile: un Angelo gli recò Gesù Cristo e gli diede la santa Comunione. Vedete, fratelli miei, quanta cura ha Maria della salvezza di chi confida in Lei? Siam pur felici d’aver una Madie che ci ha preceduto nella pratica delle virtù, di cui dobbiamo essere adorni, se vogliamo piacere a Dio e giungere al cielo! Ma badiamo bene di non far poco conto di Lei e del culto che le si rende! S. Francesco Borgia ci narra che un gran peccatore sul letto di morte non voleva udir parlare né di Dio, né d’anima, né di confessione. S. Francesco, ch’era allora nel paese di quel disgraziato, si mise a piegare Iddio per lui; e, mentre pregava piangendo, udì una voce che gli disse: « Va, Francesco, va a portar la mia croce a quest’infelice, esortalo alla penitenza ». S. Francesco corse presso il malato ch’era già in braccio alla morte. Ohimè! aveva già chiuso il cuore alla grazia. S. Francesco lo scongiuro’ d’aver pietà dell’anima sua, di chiedere perdono a Dio; ma no: per lui tutto era perduto; il santo udì ancor due volte la stessa voce che gli disse: « Va, Francesco, a portar la croce a questo sciagurato ». Il santo gli mostrò ancora il suo crocifisso, che si trovò tutto coperto di sangue, il quale grondava da ogni parte; disse al peccatore che quel sangue adorabile gli otterrebbe il perdono, purché volesse chieder misericordia. Ma no: per lui tutto fu vano; e morì bestemmiando il nome di Dio. – La sua sventura veniva di qui che aveva schernita e spregiata la SS. Vergine negli onori che le si rendono. Ah! fratelli miei! badiamo bene di non dispregiar nulla di ciò che si riferisce al culto di Maria, di questa Madre sì buona, così inclinata ad aiutarci alla minima confidenza che si riponga in Lei. Ecco alcuni esempi, dai quali apparirà manifesto che, se saremo fedeli anche alla più piccola pratica di devozione verso la SS. Vergine, Ella non permetterà mai che moriamo in peccato. – È riferito nella storia che un giovane libertino si abbandonava senza rimorso a tutti i vizi del suo cuore. Una malattia venne ad interrompere i suoi disordini. Per quanto libertino non aveva lasciato mai di dire ogni giorno un’Ave Maria: era la sua sola preghiera, ed anche mal fatta: era ormai una mera abitudine. Quando si seppe che la sua malattia era disperata, si andò in cerca del Curato che venne a visitarlo e l’esortò a confessarsi. Ma il malato gli rispose, che, se aveva da morire, voleva morir com’era vissuto; e che, se riusciva a scamparla, voleva continuare a vivere com’era vissuto fino allora. Egual risposta diede a tutti coloro che vollero parlargli di confessione. Tutti erano grandemente costernati: niuno osava più parlargliene per timore d’essergli occasione di vomitar le stesse bestemmie e le stesse empietà. Frattanto uno de’ suoi compagni, ma più assennato di lui, e che l’aveva spesso ripreso de’ suoi disordini, venne a trovarlo. Dopo avergli parlato di varie altre cose, gli disse senza giri di parole: « Compagno mio, dovresti pur pensare a convertirti ». — « Amico, rispose l’infermo, sono troppo gran peccatore: sai bene qual vita ho menato ». — « Ebbene, prega la SS. Vergine, ch’è rifugio de’ peccatori ». — « Ah! ho ben detto ogni giorno un’Ave Maria; ma son qui tutte le preghiere che ho fatto. Credi forse che questo debba giovarmi a qualche cosa? » — « Eccome, replicò l’altro: ti gioverà per tutto. Non le hai chiesto che preghi per te all’ora della morte? Adesso dunque pregherà per te ». — « Poiché credi che la SS. Vergine preghi per me, va a cercare il signor Curato perch’io faccia una buona confessione ». Così dicendo cominciò a versare torrenti di lacrime. « Perché piangi? » gli chiese l’amico. « Ah! potrò pianger mai abbastanza, rispose, dopo aver menato una vita così peccaminosa, dopo aver offeso un Dio così buono, che vuole ancora perdonarmi? Vorrei poter piangere a lacrime di sangue per mostrare a Dio quanto mi duole d’averlo offeso: ma troppo impuro è il mio sangue e non è degno d’essere offerto a Gesù Cristo in espiazione dei miei peccati. Mi consola il pensare che Gesù Cristo ha offerto il suo al Padre per me: in Lui è posta la mia speranza ». L’amico, udendo queste parole e vedendo le sue lacrime grondare copiose, cominciò a pianger di gioia con lui. Tale cangiamento era sì straordinario che l’attribuì alla protezione della SS. Vergine. In quell’istante tornò il Curato, e, meravigliato assai di vederli piangere ambedue, chiese che cosa fosse accaduto. — « Ah! Signore, rispose il malato, piango i miei peccati! Ohimè! Ho cominciato a piangerli troppo tardi! Ma so che sono infiniti i meriti di Gesù Cristo e che senza confini è la sua misericordia; perciò spero che Dio avrà ancora pietà di me ». – Il prete, stupito, gli chiese chi avesse operato in lui sì gran cangiamento. « La SS. Vergine, rispose l’infermo, ha pregato per me; e ciò m’ha fatto aprire gli occhi sul misero mio stato ». — « Volete ben confessarvi? » — « Oh! sì, Signore, voglio confessarmi, e pubblicamente; poiché ho dato scandalo con la mia vita cattiva, voglio che tutti siano testimoni del mio pentimento ». Il Sacerdote gli disse che ciò non era necessario; ma bastava, per riparazione dello scandalo, che si sapesse com’egli aveva ricevuto i Sacramenti. Si confessò con tanto dolore e tante lacrime, che il sacerdote dovette più volte fermarsi per lasciarlo piangere. Ricevette i Sacramenti con segni sì grandi di pentimento, che si sarebbe creduto ne dovesse morire. – Non aveva ragione S. Bernardo di dire che, chi è sotto la protezione della SS. Vergine è sicuro; e che non s’è vista mai la SS. Vergine abbandonare chi ha fatto in suo onore qualche atto di pietà? No, miei fratelli, ciò non s’è visto e non si vedrà mai. Vedete in che modo la SS. Vergine ha ricompensato un’Ave Maria che quel giovine aveva detto ogni giorno? E come la diceva! Tuttavia avete visto che fece un miracolo, anziché lasciarlo morire senza confessione! Qual felice sorte è per noi invocare Maria, poich’Ella ci salva così e ci fa perseverare nella grazia! Qual motivo di speranza è il pensare che, non ostante i nostri peccati, si offre continuamente a Dio per implorarci il perdono! Sì, miei fratelli, Maria ravviva la nostra speranza in Dio. Ella presenta a Lui le nostre lacrime, e ci trattiene dal cadere nella disperazione alla vista delle nostre colpe. – S. Alfonso de’ Liguori racconta che un suo compagno prete vide un giorno entrare in una chiesa un giovane, il cui aspetto rivelava un’anima straziata da’ rimorsi. Il prete s’accostò al giovane e gli disse: « Volete confessarvi, amico mio? » Egli rispose di sì, ma ad un tempo chiese che la sua confessione fosse ascoltata in luogo recondito, perché va esser lunga. Quando furono soli, il nuovo penitente parlò così: « Padre mio, son forestiero e gentiluomo; ma credo di non potere esser mai oggetto delle misericordie d’un Dio, che ho tanto offeso con una vita così colpevole. Per tacere gli omicidi e le infamie, di cui sono reo, vi dirò, che, disperando della mia salvezza, mi sono lasciato andare ad ogni maniera di colpe, meno per contentare le mie passioni, che per oltraggiare Iddio e far pago l’odio mio contro di Lui. Portavo indosso un crocifisso, e l’ho gettato via per disprezzo. Questa mattina istessa mi sono accostato alla sacra Mensa per commettere un sacrilegio, ed era mia intenzione calpestar l’Ostia santa, se non me ne avesse trattenuto la presenza degli astanti »; e così dicendo, consegnò al sacerdote l’Ostia consacrata che aveva conservata in una carta. « Passando dinanzi a questa chiesa, continuò, mi son sentito muovere ad entrarvi a segno che non ho potuto resistere: ho provato rimorsi così violenti, e straziavano talmente la mia coscienza, che, di mano in mano ch’io m’accostava al vostro confessionale, cadeva in grandissima disperazione. Se non foste uscito per accostarvi a me, me ne sarei andato via di chiesa: non so davvero come sia andata ch’io mi trovi adesso a’ vostri piedi per confessarmi ». Ma il prete gli disse: « Avete forse fatto qualche opera buona che vi abbia meritato tal grazia? Avete forse offerto qualche sacrifizio alla santissima Vergine, o implorata l’assistenza di Lei, poiché tali conversioni sono, d’ordinario, effetto della potenza di questa buona Madre? » — « Padre mio, siete in errore: avevo un crocifisso, e l’ho gettato via per disprezzo ». — « Eppure… riflettete bene, questo miracolo non s’è compiuto senza qualche ragione ». — « Padre, disse il giovane accostando la mano al suo scapolare, quest’è quanto ho conservato ». — « Ah! mio buon amico, gli disse il prete abbracciandolo, non vedete che la SS. Vergine appunto v’ha ottenuto la grazia, v’ha tratto in questa chiesa a Lei consacrata? ». A quelle parole il giovane ruppe in amaro pianto; narrò tutti i particolari della sua vita di peccato, e, crescendo sempre il suo dolore, cadde come morto ai piedi del confessore: riavutosi, terminò la sua confessione. Prima d’uscir di chiesa promise che avrebbe narrato dappertutto la misericordia che Maria aveva ottenuto dal suo Figliuolo per lui.

III. — Siam pure avventurati, fratelli miei, d’avere una Madre sì buona, e così intenta a procurare la salute delle anime nostre! Tuttavia non bisogna contentarsi di pregarla, bisogna altresì praticare tutte le altre virtù, che sappiamo essere gradite a Dio. Un gran servo di Maria, S. Francesco di Paola, fu un giorno chiamato da Luigi XI, che sperava di ottener da lui la guarigione. Il santo riconobbe nel re ogni maniera di pregi: attendeva a molte buone opere e preghiere ad onor di Maria. Diceva ogni giorno il Rosario, faceva molte limosine per onorare la santissima Vergine, portava indosso parecchie reliquie. Ma sapendo che non era abbastanza modesto e riserbato nel parlare, e che tollerava presso di se gente di mala vita, S. Francesco di Paola gli disse piangendo: « credete forse, o principe che tutte codeste vostre devozioni siano gradite alla SS. Vergine? No, no, principe: imitate innanzi tutto Maria, e sarete sicuro che vi porgerà la mano ». Invero avendo fatto una buona confessione generale, ricevette tante grazie ed ebbe tanti mezzi di salute, che morì d’una morte edificantissima, dicendo che Maria con la sua protezione gli era valsa il cielo. Il mondo è pieno di monumenti che attestano le grazie ottenuteci dalla SS. Vergine; vedete tanti santuari, tanti quadri, tante cappelle in onor di Maria. Ah! miei fratelli, se avessimo una tenera devozione verso Maria, quante grazie otterremmo tutti per la nostra salute? Oh! padri e madri, se ogni mattina metteste tutti i vostri figli sotto la protezione della SS. Vergine, Maria pregherebbe per loro, li salverebbe e salverebbe voi con essi. Oh! il demonio come teme la devozione alla SS. Vergine!… Un giorno si lamentava altamente con S. Francesco che due classi di persone lo facevano soffrire assai: prima quelli che concorrono a diffondere la divozione alla SS. Vergine, e poi quelli che portano il santo Scapolare. Ah! miei fratelli, non basta questo per ispirarci grande fiducia nella Vergine Maria e desiderio vivo di consacrarci interamente a Lei, mettendo tra le sue mani la nostra vita, la nostra morte e la nostra eternità? Quale consolazione per noi ne’ nostri affanni, nelle nostre pene, sapere che Maria vuole e può soccorrerci! Sì, possiam dire che chi ha la lieta ventura d’aver gran fiducia in Maria ha assicurato la sua salute; e mai non si udì né si udirà dire che sia andato dannato colui che aveva posto la sua salvezza nelle mani di Maria. All’ora della morte riconosceremo guanti peccati ci abbia fatto sfuggire la Vergine SS., e quanto bene ci abbia fatto fare, che senza la sua protezione non avremmo fatto. Prendiamola per nostro modello, e saremo sicuri di camminar veramente per la via del cielo. Ammiriamo in Lei l’umiltà, la purezza, la carità, il disprezzo della vita, lo zelo per la gloria del suo Figliuolo e per la salute delle anime. Sì, miei fratelli, diamoci tutti e consacriamoci a Maria per l’intera nostra vita. Beato chi vive e muore sotto la protezione di Lei! Il paradiso è per lui assicurato: il che vi desidero.

SALMI BIBLICI: “DOMINE IN VIRTUTE TUA LÆTABITUR REX” (XX)

Salmo 20: “Domine in virtute tua lætabitur rex

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS, PAR …

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XX

In finem. Psalmus David.

[1] Domine, in virtute tua lætabitur rex,

et super salutare tuum exsultabit vehementer.

[2] Desiderium cordis ejus tribuisti ei, et voluntate labiorum ejus non fraudasti eum.

[3] Quoniam prævenisti eum in benedictionibus dulcedinis; posuisti in capite ejus coronam de lapide pretioso.

[4] Vitam petiit a te, et tribuisti ei longitudinem dierum in sæculum, et in sæculum sæculi.

[5] Magna est gloria ejus in salutari tuo; gloriam et magnum decorem impones super eum.

[6] Quoniam dabis eum in benedictionem in sæculum sæculi; lætificabis eum in gaudio cum vultu tuo.

[7] Quoniam rex sperat in Domino; et in misericordia Altissimi non commovebitur.

[8] Inveniatur manus tua omnibus inimicis tuis; dextera tua inveniat omnes qui te oderunt.

[9] Pones eos ut clibanum ignis in tempore vultus tui: Dominus in ira sua conturbabit eos et devorabit eos ignis.

[10] Fructum eorum de terra perdes, et semen eorum a filiis hominum,

[11] quoniam declinaverunt in te mala; cogitaverunt consilia quæ non potuerunt stabilire.

[12] Quoniam pones eos dorsum; in reliquiis tuis præparabis vultum eorum.

[13] Exaltare, Domine, in virtute tua; cantabimus et psallemus virtutes tuas.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI. Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XX

Rendimento di grazie a Dio della vittoria riportata;

e nel senso letterale, ringraziamento della Chiesa a Dio della vittoria

riportata da Cristo sulle potestà infernali.

Per la fine, salmo di David.

1. Signore, nella tua possanza riporrà il re la sua consolazione; e nella salute, che vien da te, esulterà grandemente

2. Tu hai adempiuti i desideri! del suo cuore, non hai renduti vani i voti delle sue labbra.

3. Imperocché tu lo hai prevenuto colle benedizioni di tua bontà; hai posta a lui sulla testa una corona di pietre preziose.

4. Egli domandò a te la vita, e tu gli hai dato lunghezza di giorni pei secoli in sempiterno.

5. Gloria grande egli ha nella salute avuta da te; di gloria o di splendore grande lo ammanterai.

6. Perocché tu lo farai benedizione per tutti i secoli; lo letificherai col tuo gaudio nel tuo cospetto.

7. Imperocché il re ha la sua fidanza nel Signore; e sopra la misericordia dell’Altissimo poserà sempre immobile.

8. Incappino nella tua mano tutti i tuoi nemici; incappino nella tua destra tutti coloro cheti odiano.

9. Li ridurrai come ardente fornace, allorchè ti farai conoscere; il Signore nell’ira sua li conquiderà, e li divoreranno le fiamme.

10. I loro frutti sperderai dalla terra, e la loro posterità (torrai) dal numero dei figliuoli degli uomini.

11. Perocché ei li caricarono di mali; formarono dei disegni, ai quali non poterono dar sussistenza.

12. Tu farai loro volgere il dorso; degli avanzi che tu lascerai, preparerai alle percosse la faccia.

13. Innalzati, o Signore, secondo la tua possanza; noi celebreremo con cantici ed inni le tue meraviglie.

Sommario analitico

Questo salmo è legato al precedente. Ciò che il popolo chiedeva per il suo re, ciò che prevedeva, lo ha ottenuto, e ne testimonia a Dio la sua gioia e riconoscenza. Nel senso letterale lo si può intendere di Davide, rappresentante la figura di Gesù Cristo, al Quale solo convengono i tratti più salienti di questo salmo. In senso tropologico, si può applicare al giusto, sia vivendo ancora sulla terra, e unito a Dio con legami di amore, sia slegato dai legami della sua mortalità ed ammesso nel riposo del Signore.

Il popolo cristiano, per bocca di Davide, rende grazie a Dio:

I – Per le vittoria riportata da Gesù Cristo, suo re,

a) liberato dai suoi nemici dalla potenza divina (2);

b) in possesso della vittoria che aveva desiderato (3);

c) ricolmo di tutte le benedizioni divine;

d) la fronte cinta da una corona preziosissima (4);

e) circondato da una gloria luminosa (6);

f) ricolmo di felicità tutta celestiale e pieno di vita eterna nella visione di Dio (7);

g) ottenente tutti questi favori per la speranza (8) che ha messo in Dio.

II- Per il castigo con il quale Dio ha percosso i suoi nemici:

1) nel giorno del giudizio, a) essi saranno afferrati dalla destra di Dio, b) e condotti davanti al suo tribunale e pieni di turbamenti e di spavento in sua presenza (9); c) precipitati nelle fiamme dell’inferno;

2) nell’inferno essi saranno tormentati: 1) dal ricordo del passato; 2) in considerazione dei mali presenti (13): a) la loro ricchezza perduta, b) i loro figli morti (10), c) l’inutilità dei loro sforzi contro Dio ed i suoi servitori;

3) per la prospettiva dei mali futuri: a) i loro tormenti eterni, b) la giustizia di Dio (12), c) la gioia dei giusti (14).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-8.

ff. 1. –  Gesù Cristo è veramente questo re che dice di se stesso, in un altro salmo: « Per me, sono stato stabilito re da lui, su Sion, la sua santa montagna, affinché io annunzi i suoi precetti » (Sal. II, 6). – « Benedetto sia il re d’Israele che viene dal Signore », gridava la folla alla sua entrata a Gerusalemme (Giovanni, XII, 13). Che cos’era per questo re dei secoli il divenire il re degli uomini? Gesù Cristo non fu re d’Israele per imporre tributi, per formare ed armare truppe, per combattere i suoi nemici visibili, ma è Re d’Israele per governare le anime, difendere i loro interessi eterni e condurre nel Regno dei cieli coloro che hanno riposto in Lui la fede, la loro speranza, il loro amore. – Questa non è un’elevazione per Lui, ma un atto di bontà per noi, una testimonianza di misericordia piuttosto che un accrescimento di potenza (S. Agost.). – Il re che trova la sua gioia nel libero dispiegarsi della forza divina, nel libero esercizio dei diritti superiori di Gesù Cristo, il re che trassale con ardore quando l’opera di salvezza degli uomini si compie nei suoi Stati, il tipo della vera realtà, e della realtà battezzata e consacrata in Gesù Cristo. Anche se disatteso, reietto, rigettato, questo programma nondimeno resta il programma di ogni potere regolare in seno alle nazioni cristiane (Mgr. Pie, 3^ Instruct. Synod. V, 183). – Gioire si deve quindi, non nella propria forza, che non è che una vera debolezza, ma nella forza di Dio, che sola può procurare la salvezza a coloro che fanno ricorso ad essa (Dug.).

ff. 2. –  I desideri del giusto sono sempre accolti, perché non desidera mai nulla che Dio non voglia. – La preghiera delle labbra non viene mai rigettata quando viene da un’anima che merita che Dio esaudisca i desideri del suo cuore (Dug.).

ff. 3. –  Le benedizioni delle quali Dio Padre ha prevenuto il Cristo sono: 1) l’unione ipostatica delle due nature in una sola Persona divina, è la fonte dalla quale sono usciti come la sorgente del Paradiso terrestre, i quattro fiumi che bagnano la terra; 2) l’impeccabilità; 3) l’abbondanza e la pienezza delle grazie; 4) l’abbondanza della gloria  e la visione beatifica; 5) la molteplicità delle grazie e dei doni che da Gesù Cristo discendono su tutta la Chiesa di cui è il Capo. – Noi abbiamo bisogno di tre specie di benedizioni: una benedizione che ci previene, una benedizione che ci aiuta, una benedizione che ci conferma e continua l’opera della nostra salvezza; la prima è una benedizione di misericordia; la seconda di una benedizione di grazia; la terza, una benedizione di gloria (S. Bern.). – La grazia di Dio ci previene e ci chiede ciò che essa vuole ottenere da noi; ed in questo consiste una delle differenze tra la grazia e la legge: la legge comanda, la grazia invita; la legge minaccia, la grazia attira; la legge costringe, e la grazia impegna (S. Prosper.). – Le benedizioni di Dio, sono sorgente feconda di ogni bene, soprattutto della vera dolcezza che gustano i giusti. – La corona dei Santi, che è Gesù Cristo stesso, è infinitamente più ricca e più brillante di tutte le pietre preziose, e preferibile a tutte le corone della terra (Dug.).

ff. 4. –  Gesù Cristo ha domandato ed ottenuto la vita, quando vicino alla sua Passione offriva preghiere a Colui che poteva salvarlo dalla morte (Ebr. V) e Dio Gli accordò dei giorni prolungati nei secoli dei secoli, cioè la vita eterna; perché il Cristo, risuscitando dai morti non muore più, e la morte non ha più potere su di Lui (Rom. VI). – Questa vera vita ci è stata meritata e data da Gesù Cristo, che ci ha detto: « Io sono la resurrezione e la vita; colui che crede in me vivrà, anche se sarà morto;  chiunque vive e crede in me non morrà per sempre. » (Giov. XI, 25, 26). Noi domandiamo spesso a Dio, nelle nostre prove, nelle nostre malattie o nelle malattie di coloro che ci sono cari, di prolungare di qualche anno, di qualche giorno questa vita deperibile e mortale, che è piuttosto una morte continua che una vita vera. Noi non cessiamo di tormentarci, noi facciamo tante cose per morire più tardi. Cerchiamo piuttosto di intraprendere qualche cosa di considerevole per non morire mai (S. Agost.).

ff. 5-7. –  La gloria, l’onore, la maestà, sono state per Gesù Cristo la sequela, il coronamento di questa felice eternità. « Dio Lo ha glorificato e Gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù Cristo si pieghi ogni ginocchio nel cielo, sulla terra e negli inferi, e che ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria del Padre » (Filip. II, 10, 11). – Salvezza eterna, è accompagnata da una splendida gloria, con la quale ogni gloria del mondo non può essere comparata. – Sono le benedizioni eterne, le sole degne dei nostri desideri e della nostra speranza. Le benedizioni dei giusti, nel cielo, vengono figurate dalle benedizioni date a Giacobbe da suo padre Isacco (Gen. XXVII, 28). – Protezione eterna contro il fuoco delle tentazioni, è la costanza inamovibile nella virtù, nessuna mancanza nel bene, l’oblio di tutte le miserie, l’impero su tutte le creature, l’onore e la gloria, il trionfo su tutti i nemici, una gioia ineffabile alla vista stessa di Dio. – Colui che spera unicamente nel Signore, è più forte di tutte le forze della terra; la misericordia di Dio lo rende granitico, bisognerà vincere Dio per vincerlo. – « Il vostro compito sarà il trovare tutti quelli che vi odiano ». La giustizia divina riveste una duplice perfezione, di cui la giustizia umana non può che parzialmente gioire. Le sue ricerche sono sempre vittoriose, i suoi colpi sono sempre inevitabili e sempre sicuri; il suo sguardo non può essere evitato, il suo braccio non può mai tradirlo ».

ff. 8. –  I peccatori, come i bambini, immaginano che quando hanno gli occhi chiusi e non vedono nessuno, nessuno li veda; ma ovunque si nascondano, la mano di Dio li troverà e saprà loro far ben sentire il peso di questa destra onnipotente (Dug.). – « La mia mano potente ha rovesciato dai loro troni i re più elevati; la forza delle nazioni è stata per me come un nido di deboli uccelli; Io come si raccolgono le uova abbandonate, così ho raccolto tutta la terra; non vi fu battito d’ala, nessuno apriva il becco o pigolava » (Isaia X, 14). – « Cosa orribile, dice San Paolo, è cadere nelle mani del Dio vivente »; tra queste mani ove tutto è azione, ove tutto è vita, non c’è nulla che non si indebolisca, non si rilasci, e non rallenti! (Bossuet).

ff. 9, 10. –  Quale differenza tra le benedizioni della dolcezza di Dio, di cui viene a parlare il Re-Profeta, e queste orride maledizioni dalle quali sono minacciati i suoi nemici: … un giorno ardente, la collera del viso di Dio, lo sconcerto di cui questa vista li assalirà, il fuoco che li divorerà senza mai spegnersi, le loro ricchezze perse, i loro beni, le loro dignità tra le mani dei fanciulli, gli eredi ingrati od invidiosi; la loro famiglia, la loro posterità sparita tra gli uomini! Con la morte, i nemici di Dio perdono tutto, i loro beni, i loro parenti, i loro amici, le loro speranze, e cosa trovano in questa regione eterna? L’assenza di tutti i beni, l’accumulo di tutti i mali, il non vedere mai Dio, l’essere eternamente con i propri nemici, senza poterlo amare in eterno, ed essendo eternamente odiato da Lui.

ff. 11, 12. –  I mali che i peccatori fanno ricadere sui giusti, raggiungono Dio stesso, ed Egli se ne vendica come di un’ingiuria fatta alla Persona sua stessa. – I nemici di Dio, sono puniti anche per i progetti che non hanno mai potuto eseguire: Dio vede il fondo del loro cuore e condanna non solo le azioni cattive, ma le intenzioni perverse. – « Essi hanno formato dei progetti che non potevano realizzare ». È l’eterna aberrazione dei poteri, il formare progetti contro Cristo e contro la sua Chiesa … Essi tramano nell’ombra i complotti, sono astuti, abili, riuniscono dei congressi e per fini politici vi parlano e vi persuadono che la salvezza dell’Europa è legata alla sconfitta del Papato. Nel salmo secondo invece di queste parole « essi hanno formato dei progetti », il Profeta ne impiega queste non meno espressive: « essi hanno meditato fandonie ». Parola ammirevole! Queste assemblee deliberanti, questi congressi sì pomposamente riuniti e le cui profonde risoluzioni dovrebbero cambiare il mondo, questi consigli dei re, questi spettacoli dei popoli … « hanno meditato ». Chi non si aspetterebbe grandi cose? Chi non profetizzerebbe ampi risultati? Ora, ciò che essi meditano così sapientemente sono stupidaggini: meditano l’impossibile, vogliono l’irrealizzabile, chiedono cose che nessuna forza al mondo darà loro mai: l’abdicazione di Dio, il suo allontanamento dalle cose umane, la decadenza di Gesù Cristo, la distruzione della Chiesa. « Stupidaggini! » Essi dunque hanno formato progetti che non potevano mai realizzarsi (Doublet, Psaumes, 11, 307). – Impotenza degli empi e dei malvagi: essi si rivoltano contro la potenza, l’autorità, la grandezza, la forza, la Maestà e sono schiacciati sotto i piedi di queste divine ed eterne perfezioni. – Insolenti, arditi contro Dio soli, essi osano ora attaccarlo perché Egli taccia, ma verrà un giorno in cui Egli farà loro voltare il dorso, affinché siano esposti agli ultimi colpi della sua giustizia.

ff. 13. –  Dio è ugualmente adorabile nella punizione dei malvagi e nelle ricompensa dei buoni, quando fa risplendere la sua potenza, o quando mantiene il silenzio tra i disordini del genere umano e vuole sembrare debole, soffrendo con pazienza gli oltraggi dei peccatori. È bene celebrare anche la sua bontà, la sua longanimità nell’attendere il peccatore, e la potenza della sua giustizia nel punire (Duguet).

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-7B-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (7B)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO SETTIMO

Beati pacifici: quoniam filii Dei vocabuntur.

[Beati i pacifici perché saran chiamati figli di DIO]

III

IL SEGRETO DELLA NOSTRA PACE

DISTACCO

Chi tiene il cuore avvinto ai beni di questa terra non può aver pace. Se giovane, è insaziabile di soddisfazioni, di ambizioni, di piaceri; se vecchio, è intollerabile e disperato per tutti gli acciacchi inerenti alla sua età intermedia, spasima fra quello che sfugge e quello che non può raggiungere ed è infelice. L’uomo, così fremente d’insani desideri e di avidità incomposte, si trova in una condizione in cui nessuna cosa al mondo lo può saziare. Il sogno supera sempre la capacità di acquisto. È quindi in un tormento che non lascia requie, che logora la fibra fisica e deprime le energie morali. Qui è giocoforza richiamare le parole del Signore intorno al seme, che per svilupparsi ha bisogno di essere messo nel solco e di morirvi. Soltanto allora cesserà di essere solo e si moltiplicherà. Così l’uomo, il quale con gesto deciso della sua volontà, si stacca dai sentimenti, che lo fanno schiavo delle circostanze della vita, dai suoi comodi, dalle sue ambizioni, dai suoi sogni e si decide di vivere con la maggiore docilità alla volontà di Dio, volgendosi dove Lui vuole, desiderando di fare ciò da Lui gli viene indicato, sarà in pace con se stesso e con la vita. Nulla giustifica la schiavitù degli uomini soggetti alle cose; e neppure si può lecitamente parlare di stoicismo e di buddismo a proposito della rinuncia cristiana. Quelli sono una spinta egoistica di liberazione da tutte le sollecitudini presenti, questa è al contrario suggerita al fine di adempiere con scioltezza i più ardui e difficili doveri ad onore del Signore e a bene del prossimo. Fare per Lui è un titolo che ci eleva, fare secondo il suo beneplacito è una condizione spirituale che ci garantisce contro ogni slittamento verso l’ignobile interesse. Appare chiaro, che, per lo schiavo volontario e abituale dei piaceri mondani, non ci sia via di salvezza, senza il sorgere nel suo cuore d’un nuovo oggetto d’amore, che faccia scendere sotto l’orizzonte della sua vita l’antico pianeta. Ma esso deve riuscire talmente attraente e splendido da non poter essere che Dio e la sua gloria. A questa condizione l’uomo sarà salvo.

INDIPENDENZA

Chi è responsabile d’una famiglia ha il dovere di provvedervi. Ma forse, che occorra per questo farsi ligi e incatenati alle cose materiali? Queste han da servire noi, non viceversa. E l’amore di Dio è veramente prodigioso nel darci l’indipendenza perfetta anche nel possesso d’ogni bene. « Nihil habentes et omnia possidentes ». La scioltezza e la libertà dei movimenti, anche fra gli interessi più urgenti, sono prerogativa delle anime care al Signore e che al Signore mantengono la loro fedeltà. Tutto basta e a tutto hanno attitudine; sembrano concentrate nelle cose di Dio e ti sanno trattare i più disparati affari della terra. Non è così dei religiosi e delle religiose, sovente? Ma questo accade anche tra le nostre migliori mamme e i nostri Cristiani solidi e più uniti al Signore con isacramenti. Il senso giusto della pietà, conferisce anche quello giusto dei doveri della vita presente. Osserva pure i Santi fondatori. Sono gli uomini più pratici e produttivi che si conoscano. San Vincenzo de’ Paoli? San Carlo Borromeo? Don Bosco! Potevano dare molti punti ad industriali di grande nome. È vero, che anche più generosa era la Provvidenza divina con questi amici, fiduciosi in lei sino all’inverosimile. Ma anche le situazioni più scabrose essi seppero superare in serenità stupenda. Dio c’è bene per tutti, se vogliamo confidare in Lui. Si tratta di chiedergli questa magnifica virtù, propria dei figli di Dio. La pace allora ravvolge tutta l’azione nostra e ci fa tetragoni alle vicende più strane. Non si meraviglia dell’odio, che divora tanto sovente gli uomini; ma sa, che per questo essi vivono nel disaccordo e nella tribolazione. Dice san Giovanni Crisostomo, che « colui il quale attende a pacificare i fratelli, fa nella terra o città sua l’officio che la natura ha dato ai nervi del corpo, cioè di unire le membra e trarre l’uno all’altro per la loro salute. Ma questa virtù non ha forza se non in quei che prima vivono quietamente con se stessi. Altrimenti darebbe da ridere alla gente colui che volesse persuadere ad altri la mansuetudine e la tranquillità della mente, ed esso fosse veduto per ogni minima ragione adirarsi ».

LA PREGHIERA DI FAMIGLIA

Se la indipendenza dalle preoccupazioni eccessive della vita materiale è condizione di pace, non bisogna fermarsi tuttavia a questa, poiché è condizione solo negativa. Il segreto della pace dello spirito è l’unione con Dio. La quale è naturale attraverso la preghiera Che potenza d’azione abbia in sé la unione col Signore, quale forza di reale progresso sia la invocazione animosa e costante del divino aiuto, e come per suo mezzo l’anima religiosa si affini, si rassodi, si confermi nei propositi di bene, ognuno sa. La famiglia trova la sue serenità in questo appoggiarsi di tutti i giorni, di tutte le speranze, in tutte le angustie, sia con la preghiera privata e individuale, che con la collettiva, sul petto di Dio. La madre pia è il maggior tesoro della casa. Pia nel senso di una alta capacità di stare con Dio, di respirare con Lui, di abbandonarsi in Lui in tutte le contingenze della vita. Pia per una abbondante cognizione degli elementi fondamentali della fede e dei nostri doveri verso Dio, centro dei cuori e delle menti. Una moglie e madre pia, in tal senso luminoso e attraente, è una energia, una guida, un vessillo, che i familiari seguono con devota riconoscenza. Dove è intelligenza e soprattutto cuore ed equilibrio si va con fiducia, con rispetto e gratitudine lieta. Nessuno può a ragione parlare di bigottismo, nessuno di superfettazione o di gravame sullo spirito dei piccoli; poiché lì è l’anima più ariosa e serena, la parola più sensata e prudente, l’iniziatrice dei diporti che danno respiro nel compimento del dovere particolare. La donna che si raccoglie intorno la famiglia per la preghiera, è il centro d’una scena che non si circoscrive al momento, ma rimane e si svolge durante tutta la giornata e, vorrei dire, la notte. Ciascuno sul lavoro o nel riposo si sente parte di quel gruppo familiare e oggetto di quella energia materna (poiché anche il marito è da questo lato spirituale un poco il figlio di sua moglie) che non sospende mai il suo incarico di plasmatrice delle coscienze dei suoi. E vivono in questa atmosfera e dentro quella luce e in quella dolce temperie d’affetto. La preghiera così non è psittacismo vano e noioso, ma vibrazione di tutta l’anima e nutrimento di tutti gli strati della coscienza. Chi può ardire di spregiarla? Bisognerebbe disprezzare l’educazione stessa. Poiché la madre cristiana tutti gli aspetti della vita fa servire ad alimentare il senso del divino presente e attivo: nella natura, che in città è meno sentita, ma possibile con qualche accorgimento; nel cuore individuale, dove il giovinetto già avverte un mondo di cose in fermento: nell’intelletto, di cui Dio col suo Figlio Gesù, il rivelante, è stimolatore e guida in ogni lato provvida; nella stessa vita sociale, iniziale nel piccolo, m a influente sugli altri, Dio è rilevabile assai utilmente, con l’occhio del cuore d’una madre accorta e vivace. Sentire Dio è adorarlo, è servirlo, è diventarne apostolo. Sulle ginocchia di codeste madri, davvero si formano i figli atti a consolarne in seguito gli anni dell’inerzia forzata, ma nei quali si gode il gradito frutto della passata fatica. Di questa chiara pietà, che noi veneriamo nelle nostre mamme, riconosciamo il potente riformatore nella preghiera liturgica, dove parla di continuo Dio con la voce della Chiesa, maestra di pensieri, di fervori, di sentimenti equilibrati, di alte aspirazioni morali. L’ascoltare la Messa per la madre diventa un giornaliero arricchimento dello spirito e un colpo di leva di tutte le capacità educatrici.

IV

I PACIFICI SOMIGLIANO A DIO

L A PACE DI DIO

Perché mai ognuno di noi è preso dall’ammirazione per colui che offre il tipo d’una vita serena e tranquilla? La serenità è manifestazione di una padronanza di sé, che non si incontra frequentemente fra gli uomini. La serenità, intendiamo, che non è incoscienza e difetto di comprensione delle responsabilità della vita; ma quella la quale, malgrado il peso e le difficoltà di ogni giorno, ci rende atti a reprimere gli impeti della natura impaziente e ribelle al disagio e ci mantiene calmi, consapevoli e costanti. È la saggezza maggiore, quella per cui uno sa dire a se medesimo con sicurezza, che a tutto v’è rimedio. Viene dalla retta coscienza, nella quale la difficoltà non ha avuto origine colpevole; viene dall’innocenza in cui sta la ragione della attesa tranquilla, nella fiducia che gli avvenimenti si svolgeranno così da porre in rilievo la rettitudine. Dio è in pace con se stesso infinitamente; nessuna vicenda umana o dell’universo lo sorprende né lo turba; tutto gli rimane esteriore, essendo dentro di sé sconfinatamente pacifico e coerente. La sua unità fa sì che in Lui non sieno complicazioni di sorta; non si possano verificare contrasti o collisioni fra sentimenti opposti; non avvengano frizioni, né esitazioni di giudizio; non si rivelino incertezze nelle decisioni, le quali sgorgano da una intelligenza che è volontà, da una intuizione che è verità o aderenza perfetta ad una realtà ben nota in tutti i suoi intimi meandri, nelle sue stratificazioni e nelle sue esterne manifestazioni. L’unità di Dio esclude tutto ciò che può, in qualche misura e in determinati momenti, provocare squilibri o disaccordi. È pertanto una sola armonia la sua vita intima e misteriosa. Le tre Persone Santissime sono della medesima natura e sostanza. Le manifestazioni, che interessano noi, non hanno in sé possibilità di conflitti.  Tutto è concepito, esaminato e voluto nella più limpida omogeneità di un pensiero, che è completo e semplice, comprensivo nel senso più vasto, compatto e armonico. L’armonia di Dio nasce dall’amore che lo alimenta. Essendo tutto amore, Dio non può subire effetto di contrasti, di dissapori, di gelosie, di disparità di vedute, di dissimiglianza di gusti, di aspirazioni dissonanti, di sogni disuguali. L’amore è la forza unitiva, senza altri elementi che esso medesimo, svolgentesi nelle mille direzioni, che importano la ricchezza della sua vita interiore e delle sue espressioni vitali nel mondo umano e universale.

LA LEZIONE ALLE MADRI

Anche la immutabilità di Dio è coefficiente della sua intima pace. Perché noi facilmente mutiamo? Perché son pochi gli intelletti così vivamente intuitivi atti a cogliere con tutta prontezza il punto della verità e così coerenti da non subire influssi distraenti dal centro d’interesse. La nostra incapacità ci induce a diffidare di noi, anche quando avremmo ragione di rimanere tranquilli; la nostra instabilità ci porta a tremare ed esitare anche allorché potremmo ragionevolmente essere fermi nella scelta fatta e nella decisione fissata. Ma poiché in Dio non sono codeste incertezze e sarebbero irragionevoli in Lui, ecco la inconcussa pace e perfetta linearità e l’immutabile armonia nella sua vita molteplice e unica, milliforme e costante, sconfinatamente ricca e compatta. Il Signore è ammirabile. Eppure noi dobbiamo studiarci di imitarlo. Nessuna vanità in noi, ma neppure alcuna pusillanimità. Nessuna ragione di orgoglio in tanta nostra miseria, ma neanche puerile in certezza. Dio ci vuole riflessivi, poiché siamo fragili e parecchio ottusi, ci vuole umili, ricercatori modesti di consiglio dalla saggezza di chi ci guida, ma più dalla invocazione dello Spirito Santo. Fiduciosi e sereni, sino ad un totale abbandono in Dio e nella sua protezione. Il Signore può ben insegnare alla buona mamma come resistere contro la indisciplina interiore, che porta a mutar decisione ad ogni difficoltà. Chi governa ha il dovere d’essere molto lento a prendere certi provvedimenti senza lasciarsi impressionare, intimidire, turbare; ma preso che l’abbia, deve restare fermo e calmo nell’attuazione. Le esitazioni irragionevoli, le incertezze che vengono dai nervi tesi, non sono fatte per ispirare fiducia nei familiari. L’educatrice possegga un poco della fissità di Dio, come è tenuta a tornirsi della sua preveggenza. Il Signore soccorre la fatica della buona madre e la illumina. Come saprebbe superare certe giornate di angosciosa trepidazione? Durante una malattia, in un periodo di ribellione di un figliolo, nel turbamento cagionato dagli affari del marito, in un esperimento amoroso d’una ragazza: la madre mantiene il dominio su di sé e con mano ferma segue il corso dell’incidente, o lo gira oppure lo sconvolge e annulla come la prudenza le suggerisce. Ma il centro d’ispirazione rimane unico, immoto, sicuro, frutto di prove più o meno fortunate, ma tali da aprire l’animo alle suggestioni della saggezza. Lo Spirito Santo ha la sua funzione. Chiediamola a Lui, il quale, sollecito del nostro bene temporale ed eterno, ci richiama i suoi dettami di vita. E anche Gesù Signore è con noi. Non forse ci invitò sin dalla sua comparsa quaggiù ad avere fiducia, che egli provvederà al alleviare il nostro bisogno? « Jugum meum suave est, et onus meum leve » (Mt., X I , 30). Se sappiamo trasformare il disagio in titolo di merito per aderire a Lui, ecco che Egli lo allevia e lo rende gradito e soave. Sicché ciò che costituiva motivo di affanno e di pena, diviene vincolo più intimo e valido a servizio del bene. E dove era urto di sentimenti e più acerbo attrito di considerazioni, apparisce come per prodigio, una ragione di aderenza al Signore.

IMITARE DIO

Questo è secondare la sua santa volontà e renderci simili a Lui. Infatti la somma azione di Dio sulla nostra esistenza presente è la mutazione del male in bene; in questo settore della nostra prova ci facciamo a Lui somiglianti. Per altro sappiamo, che la nostra pace sta nella capacità di fare il suo volere. Nel quale è conforto e requie. Figli di Dio sin d’ora pertanto. Figli del suo potere e del suo dolore. Figli della sua volontà di perdono e del suo generoso amore. Noi passiamo sul medesimo sentiero della sua vita terrena e lo imitiamo nell’opera di redenzione delle anime nostre e dei fratelli. Nella atmosfera di pace in cui respiriamo così, noi solleviamo i nostri cuori dalle miserie che ci fasciano tutt’intorno e ascendiamo su verso le regioni del sereno perpetuo. Per altro non possiamo vivere isolati da Lui. La sua paternità opera sempre e noi non siamo in grado di scostarci. Figli suoi dobbiamo essere. Perché mai sottrarsi ad un amore tanto benigno e consolante? Quale vantaggio potremmo avere dal contrastare con Lui? Il Signore ci vuol possedere per nostra fortuna. « Nemo enim nostrum sibi vivit et nemo sibi moritur. Sive enim vivimus, Domino vivimus, sive morimur, Domini morimur. Sive ergo vivimus, sive morimur, Domini sumus » (Rom., XIV, 7-8). – Non mai siamo indifferenti per il Signore; poiché Egli ci ha fatto per Lui e non mira ad altro, che a conquistare la nostra libera decisione. La via sua abituale è quella dell’amore; e noi saremmo ben scarsi di intelletto se lo costringessimo ad usare, a suo dispetto, la via dell’asprezza e del castigo. Queste non si confanno al suo gusto. Siamo figli amorosi d’un Padre infinitamente amabile. Siamo dunque ansiosi di servirlo, di vivere per Lui; siamo fedeli agli impegni da Lui impostici, alla obbedienza da Lui intesa, alla rettitudine giustamente pretesa e la prodigalità del suo cuore ci farà sperimentare quanto bene ci voglia. Dio entra in ogni individuo per una porta diversa. Ma perché impedirgli di entrare? Che guadagno ne ricaveremmo? Non lo Tediamo ogni giorno? E non vale meglio la pace del cuore, che non ogni fatuo e illusorio bene del mondo? Facciamo pace in noi, teniamo pace con Dio, diventiamo sempre più figli suoi. A che disperdiamo il nostro tempo nel rincorrere le cose di questa povera esistenza? Non vediamo quanto poco esse hanno da offrirci e come il poco è vano? E come non avvertire, dopo alcuni esperimenti, che tutte insieme non riescono ad appagare la insaziabile fame dei nostri cuori? Perché non cercare ciò che si proporziona a questa fame? La mancanza di pace di tanta umanità viene da questo errore. Non vogliamo in noi almeno correggerlo?

V.

LA VIRTÙ SECONDO L’INDOLE DEL GIOVANE

I PACIFICI

Dapprima questi sono indotti ad amarla come per istinto di natura. Sono inesperti e quindi timidi. Osservano con curiosità la vita e vedono che è infestata da pericoli da ogni lato. Nella scuola, sul lavoro, nella compagnia dei discoli e dei violenti. La stessa vigilanza dei genitori e dei superiori suggerisce loro il desiderio d’essere sempre in pace con essi. È bello. Risulta anche utile. Dà soddisfazione a tutti. Perché impennarsi nell’alterco e destare conflitti? In pace si è sereni, si lavora, si è ilari. La coscienza dice, che in questo stato si meritano anche le benedizioni del Signore. – L’esempio dei grandi serve loro di confronto. Dove incontrano bizze, risentimenti, vendette, malignità sentono d’istinto la repugnanza d’ogni animo gentile; dove scorgono dominio di sé, benevolenza, generosità di perdono, cura della serenità con tutti, prudenza di rapporti soprattutto con i più sanguigni spargono gioia così da travolgere anche i meno pacifici. I giovani tendono a vedere la vita con la letizia di cui hanno inondata l’anima e le sorridono perché per essi è una grande promessa di felicità. Non si convincono delle parole che mirano a metterli in guardia contro le facili illusioni. Sorridono, quasi, delle pitture fatte a tinte fosche che loro narrano le delusioni, i tradimenti, gli inganni seminati dovunque, i trabocchetti disposti ai piedi di ogni esistenza giovanile. Rimangono un poco scettici, e par che dicano: Vedrete, che io non vi cascherò! Tutto armonia, bellezza, promesse di riuscite e di vittoria. L’ingegno è pure un fattore di speranze senza fine. La ricchezza o l’agiatezza vi coopera. La salute florida ne è un elemento principe. Pare al giovine, che potrà conquistare e trionfare senza grandi difficoltà. Pacificamente. Serenamente. Pare frutto della incoscienza dell’età, ma lo è, se mai, della natura.

MILITIA EST VITA HOMINIS SUPER TERRAM

Se non che viene l’ora della rivelazione. Gli scontri si effettuano; gli urti si impongono; bisogna, talvolta, per raggiungere la pace col prossimo, accettare la guerra e vincerla con calma, Nascondersi la realtà non è da saggio; e il giovine, senza esserlo ancora, s’avvede di uno svegliarsi di sentimenti non mai provati per l’innanzi. Si desta lo spirito di lotta e la sua intima consapevolezza prende nuove forme. Non è un risveglio gradito, sicuramente. Non può garbare allo animo retto e sincero la scoperta della necessità di lottare contro i doppi e gli ipocriti, o, comunque contro gli ambiziosi, gli irrequieti e i litigiosi. Il giovine non aveva per anco esperimentato l’esistenza di questa necessità nella vita. Ne è seccato. Ha una segreta tentazione di sbarazzarsene definitivamente. Liberarsene per sempre. Ma non è possibile. Bisogna subire  le condizioni della esistenza. Non v’è dunque il pericolo, che appunto queste condizioni corrompano nel giovine la visione della convivenza sociale e lo precipitino d’un colpo nella sfiducia e nella mediocrità? La tentazione è possibile e molte volte vince la inesperta resistenza di chi è sfornito di altri appoggi nella grazia e nella ispirazione superiore della coscienza. Giovani assenti alle pratiche religiose non sono generalmente in grado di superare la prova. Diventano scettici e si abbandonano a quella, che credono ormai essere la legge della convivenza umana. Non credere che all’interesse. Sono giorni neri questi. Un rivolgimento funesto si va come assestando a dispetto della educazione e dello stato d’animo anteriore. Semi di rivolta si sviluppano nel fondo dell’animo, che non aveva conosciuto se non l’adesione calma e schietta dalla disciplina. S’aderge di dentro perfino un senso di avversione a tutto il complesso educativo dal quale ebbe la sua formazione. Un sollevamento pauroso di mal umori, di dispetti, di antipatie, di intolleranze. Il cuore della madre, che deve essere guida in tali momenti, non dovrà dimenticare all’ultimo posto le voci della fede. Lo affidi il suo figliolo al ministro di Dio; glielo presenti con compiutezza di informazione; gli dia i suggerimenti opportuni affinché Egli possa penetrare l’anima scossa e darle quel soccorso caritatevole ed accorto, che sia proporzionato al caso. La crisi morale è crisi di coscienza e di fede. Tutta la vita interiore è compromessa. Ma la vittoria non è né impossibile né difficile. Se il giovine capisce la sua condizione e si serve dei mezzi che la grazia gli offre, potrà uscirne non soltanto bene, ma con profitto vero. Il suo passo si farà più celere sul sentiero del bene e la pace ritornerà nel cuore. La esperienza nuova lo avrà rassodato nell’apprezzamento del valore delle forze spirituali e della religione. Saprà, che l’anima s’arricchisce nel crogiolo della prova. Non la temerà per l’avvenire, quando immancabilmente tornerà. Ma dovrà trovare condizioni ben differenti; poiché la pace fatta di conquista, ha un pregio assai superiore a quella sussidiata solo dall’ambi ente. È una armonia acquistata passo passo, briciola per briciola con l’animo. Il quale sente fermentare dentro una pena acuta e salutare, tendendo con ogni cura all’alto, in una serena speranza di riuscita. Grazie a questo atteggiamento di umile fiducia il giovane, anche in seguito alla vittoria, si manterrà consapevole della sua lunga battaglia e delle proprie debolezze, supplite dalla attiva presenza del divino. L’umiltà e la diffidenza di sé accordata alla fiducia in Dio, lo salveranno.

IL CUORE CHE VINCE

Poiché egli rapidamente si orienta poi e riprende contatto con il suo mondo con sicuro ardire e col sorriso dell’animo, che aveva conosciuto le trepidazioni e le angosce. Fortunate le madri, che sanno essere così vicine e benefiche alle loro creature! Esse veramente sono di continuo rigeneratrici e sostegni, con abnegazione senza limiti e riposo. Il loro cuore vede, sente, compassiona e riesce a scoprire la via della energia, che si moltiplicherà e manterrà la saldezza dell’azione. Chi si scontra con un simile giovane potrà essere causa di disagio, ma non più di irritazione e di conflitto. La pace lo rese pacificatore. Gli somministrò gli elementi per rasserenare ogni spinto o almeno per renderlo innocuo. Tanta è la interna armonia che non può ammettere di smarrirla per cause  comuni. Al più, un avvenimento grave e preoccupante lo farà pensieroso e gli darà il tono severo delle grandi sollecitudini; non mai lo farà agitato e convulso, irritato e intollerante. Sappiamo, che soltanto colui il quale non ha il cuore avvelenato dalle eccessive cure del mondo, degli averi e del piacere, dispone della forza che vince queste battaglie. Ha la mente fissa ne’ suo proposito di equa considerazione delle cose e degli interessi di quaggiù. Non se ne lascerà smovere. Perché mai giocherebbe la sua pace per la perdita di qualche cosa di un pregio così limitato? E l’esempio suo avrà effetto e farà scuola intorno. La forma d’apostolato, che gli si offre, è più di fatti che di parole. Convincerà ognuno, che sia sincero, della santità delle sue idee, mostrando la pace e il dominio di sé, di cui è capace. C’è in fondo a codesti spiriti una tensione verso le cose celesti. E sono pertanto anime eroiche. Personali, costruttrici, ferme, ricche di risorse per fazione, ornate di una robusta volontà, e utili a sé ed ai loro prossimi.

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-7A-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (7A)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO SETTIMO

Beati pacifici: quoniam filii Dei vocabuntur.

[Beati i pacifici perché saran chiamati figli di DIO]

I

I PACIFICI PORTANO PACE

La definizione di Sant’Agostino è classica, perché compiuta e perfettamente chiara. « Pax omnium rerum, tranquillitas ordinis— la pace d’ogni cosa è il riposo nell’ordine » (De civ. Dei, XIX, 13). Occorre pertanto un doppio elemento: l’ordine e il riposo in esso. Chi nutrisse un segreto istinto a sconvolgere l’ordine in cui vive, non possederebbe la pace, né saprebbe diffonderla. Essa impone tre gradini l’uno atto ad introdurre nell’altro: la pace nell’individuo, quella col prossimo, quella con Dio. Ma la radice è al terzo posto. Solo da Dio si inizia ogni lavoro fecondo. L’osservanza della legge nei confronti di Lui ci dà i mezzi per salire alla pace con i nostri simili e per renderci di Dio efficaci collaboratori.

« Pax multa diligentibus legem tuam — molta pace a coloro che amano la tua legge » (Sal., CXVIII). Non può sussistere ordine senza legge. E una legge, priva di autorità e di base chiara e sicura, non ha intima energia. Dio è pertanto l’elemento principe della pace; per questo, che Dio ne è la sorgente, così si chiamano « figli di Dio », in un senso sommamente onorevole, quanti sanno dargli mano nello stabilirla tra i suoi redenti. L’opera di pacificazione si inizia dall’individuo e si compie nella società, Il singolo deve riuscire ad armonizzare, quanto meglio sa, i movimenti dell’animo e deve assoggettarli alla ragione, che ha il diritto di guidare e di sorvegliare tutti gli appetiti inferiori. Così si stabilisce il regno spirituale dell’ordine, come mè voluto da Dio. Tutto un lavoro di rinuncia di repressione, di sorveglianza attiva è necessario. Ubbidire e rinunciare a tutto ciò che contrasta con la volontà di Dio, con la luce della quale occorre rischiarare la ragione nostra. Le coscienze illuse, che amano di mantenere un impossibile equilibrio tra la legge di Dio e quella del mondo, dettata da satana, e cercano di inchinare quella e di sorridere a questa, sciupano la loro i pocrita fatica.

LA VERA PACE

Saranno sempre nel turbamento e recheranno con sé, non la pace, ma la loro sottile contraddizione. Un senso di disagio creeranno fra coloro ai quali si vorranno rivolgere, per seminare il dono di Dio. La parola « pace » possiede una vera magìa all’orecchio dell’uomo. Come vivere perpetuamente in contrasto, in litigi, in alterchi? La vita diventa intollerabile all’uomo normale. Perciò ciascuno si proponga di seguire la volontà di Dio. Dall’osservanza di essa nell’obbedienza, promanano beni senza numero. Non è l’obbedienza l’espressione della nostra fiducia nelle disposizioni della Divinità? È il riconoscimento della sua volontà buona e del suo amoroso interessamento per il nostro felice avvenire. Dalla pace non si moltiplicano le più preziose opere dell’ingegno? La civiltà nelle sue forme meglio apprezzabili e universalmente utili, quelle che interessano il lato positivo del vivere civile, non nascono nei periodi turbati dalle diverse forme del sovvertimento, ma nel dominio della pace. Regolata dallo spirito dell’ordine, la vita produce. Nella discordia anche l’animo individuale è sterile per le attività costruttive. Il turbamento contrae l’iniziativa del pensiero e del cuore e isterilisce la volontà. V’è nondimeno chi osa accusare la pace e la difesa di essa come una confessione di debolezza, di acquiescenza davanti al male, di incoraggiamento al disordine e alla sopraffazione. Basta richiamare come il Signore Gesù amò l’ordine e la pace e come li tutelò. Ma è un vezzo condannevole quello di rappresentare i santi più amati per la loro mitezza, come inetti a far valere le ragioni del diritto. Non sarebbero devoti alla volontà di Dio; non amerebbero la sua legge; né agirebbero in conformità alla volontà della sua Chiesa. Come dentro di sé il Cristiano lotta e reprime al fine di difendere l’ordine della legge minacciato dai fermenti del male; così nella vita esterna e sociale egli è tenuto a non sottrarsi al dovere di correggere e anche di punire, per amore di quiete, per desiderio di piacere e di mantenere la pace. Che cosa è una famiglia in cui difetti questo nerbo di energia, imposto dal dover e di incoraggiare il bene e ostacolare il disordine? La pace da Gesù detta fonte di beatitudine non è inerzia e accidia. Essa ama l’ordine e sa difenderlo come imporlo. Il precetto cristiano è equilibrio; instabile ma progressivo; vigilato e deciso. Così nella famiglia l’autorità si esercita e si afferma con un senso di delicata responsabilità. In essa è una forza paterna di bene. E nella stessa Chiesa l’autorità mantiene la pace nell’ordine non senza sanzioni. Poiché essa deve esprimersi fuori nella vita sociale, occorre sia conservato il rispetto della legge, che per far trionfare il bene è costretta a reprimere ogni fomite del male. – Ma con questo siamo ben lontani dall’odio; giacché la pace nell’odio è la ipocrisia più nera. L’autorità secondo Dio deve saper raggiungere la difesa del diritto e della pace, senza ombra di fiele. « Vergine vereconda, scrisse san Bernardo (Modus vivendi ad Sororem, XXXV) ascolta; l’odio separa l’uomo dal paradiso, lo toglie al cielo. L’odio non si cancella per patimenti, per martirio non si purga, non si lava per effusione di sangue; non gli uomini dobbiamo odiare, ma i vizi. Chi odia il fratello è omicida. Chi odia il fratello è nelle tenebre. Non ama Dio, chi odia l’uomo. Tra l’ira e l’odio corre la stessa differenza, che tra la pagliuzza e la trave. L’odio è ira invecchiata; quella turba l’occhio della mente, questa acceca l’occhio del cuore. Sorella amatissima in Cristo; ascolta quel che dico. Se ti avviene di contristare una tua sorella, rendile soddisfazione. Se hai mancato contro di lei, mostrale il tuo pentimento. Se hai dato cattivo esempio, chiedi perdono. Va in fretta a riconciliarti. Non ti addormentare, se prima non hai dato soddisfazione, non ti riposare, prima di esser tornata alla pace ».

PERDONA !

« Se il tuo nemico è umiliato, non te ne rallegrare, onde a te non succeda lo stesso. Ma ti sia dolce dolerti con chi soffre. Compatisci alle altrui miserie, piangi con chi piange. Sorella venerabile, non esser dura e inesorabile. Se alcuno ti offende non gli render secondo la sua colpa, giacché il giudizio di Dio scenderà anche su di te. Perdona per essere perdonata… ». Non di meno il Cristiano, che ama la pace, la deve ottenere senza sacrificio della giustizia e del bene. Il suo compito non è sempre agevole. Talora si preferisce la tranquillità, anziché la reazione, che è difesa della verità e del retto. Sant’Ignazio di Loyola è esempio di questo senso di giustizia. La difesa della sua persona non lo scomodava; ma quella dell’Ordine nascente, sì. E allorché occorse ricorrere ai Tribunali, lo fece senza esitazione e non tollerò compromessi, ma volle arrivare alla piena dimostrazione dell’innocenza. L’indulgenza di fronte a una tiepida ritrattazione sarebbe stata più tardi abusata dai malevoli, per coprire di calunnie la Compagnia, la quale non avrebbe potuto servire utilmente la causa della verità, se non con un nome intemerato. I contrasti pertanto, che fossero imposti dalla tutela del bene, è un dovere affrontarli. L’indolenza nella difesa non è amor di pace, ma preparazione di disordini e di conflitti. È chiaro, che tutta questa prontezza nella reazione contro l’assalto del male, non esime dall’amore del prossimo.

« Uccidete l’errore, amate gli erranti » è la formula giusta e chiara. Non è da tutti certamente questa condotta; non tutti sono in grado di dominare gli impulsi del disordine interiore. Tuttavia è l’insegnamento del Signore, verso il quale è dover nostro di andar conformando la nostra condotta. Per questa via noi ci manteniamo aderenti all’amore del prossimo e non compromettiamo la divina figliolanza che tanto ci onora. Chi ama vivere nella pace e diffonderla largamente, sarà chiamato figlio di Dio. Infatti il Signore è nella pace, perché è nell’ordine. Perfetto l’ordine, perfetta e solenne la pace. La quale in Dio è sommamente attiva e feconda. Dobbiamo tendere verso codesto ordine, per rendere produttiva la nostra vita presente. Purtroppo noi siamo appassionati di pace; ma poiché difettiamo d’equilibrio, abbiamo l’animo sempre tendente alla guerra.

II

PORTARE LA PACE CON LE OPERE

LE OPERE DELLA PACE

Quando tu vuoi sapere quali sieno le convinzioni del tuo prossimo, puoi interrogarlo. Ma la parola non basta a dar garanzia di veracità. C’è un mezzo più aderente e sicuro; quello di osservare il tono delle sue opere. Se opera correttamente e con fine onesto, allora non v’è dubbio. L a sua coscienza è retta e ci si può affidare senza tema. I fatti sono garanti. I sacrifici delle opere buone sono testi che non soffrono smentite. Sono appunto queste che recano con sé la pace. Nell’individuo sono pacificatrici perché gli danno la prova della sua reale o fittizia armonia con il dovere e con Dio; e nei rapporti sociali offrono modo di accorciare le distanze, di dare la mano a chi è caduto, di accentuare il sorriso dei cuori schietti e devoti. Nella mia personale coscienza mi pacifico davvero, se so di poter dare a me medesimo il documento della mia coerenza. Qualunque sia la ragione del turbamento, l’uomo allora sa di camminare sulla via del giusto e dell’onesto. Se qualche motivo di umiliazione sussiste, ognuno ha i mezzi per riprendersi e ricalcare il sentiero della virtù. Le opere sono davvero impegnative per lui e con efficacia implorano da Dio quegli aiuti straordinari, che fossero necessari. Chi fa il bene « ama » secondo il senso di sant’Agostino e si trova in condizione di rimanere tranquillo e fiducioso. – Le deficienze sfumeranno via via al sole ardente della carità. Io non finisco di lodarmi della funzione delle Conferenze di san Vincenzo, perché vi scopro sempre meglio uno stupendo strumento di bonifica spirituale e di santificazione. I confratelli e le consorelle portano la pace e la moltiplicano dentro di sé. Sono essi gli apostoli della verità nelle opere e i facitori di Dio col sacrificio. Nel silenzio e nella umile prestazione appaiono sempre meglio veicoli di benedizione per le famiglie nelle quali vien dato modo di agire. La serenità dello spirito, la condiscendenza benevola, la comprensione del bisogno la quale è frutto di esperienza talvolta vasta e sicura, la rinuncia al proprio comodo a servizio del povero, la grazia di Dio emanante dal contegno rispettoso e modesto, imprimono nell’azione del Confratello e della Consorella il segno indelebile della pace e così comunicano il massimo tesoro.

FIDUCIA NELLA PROVVIDENZA

Quali dovranno essere le condizioni di spirito necessarie a condurre a buon termine il lavoro di apostolato, pur essendo estranei alla gerarchia ecclesiastica? Credo, sia la fiducia nella Provvidenza. Non spaventarsi e non spaventare. È chiaro, che noi ci troviamo davanti a prospettive mai pensate. Come sarà per risolversi questa crisi, non siamo i n grado di prevedere. Siamo tuttavia sicuri, che lo sarà nel senso voluto da Dio. Ebbene questa certezza è tale da farci sereni e tranquilli. La storia ci insegna qualcosa. Tutti gli attacchi diretti contro il diritto di adorare che è nell’uomo furono per lui altrettanti preludi di vittoria. Pensiamo ai secoli barbari, allorché scendendo dal settentrione le torme dei soldati, avidi di bottino e di sole, stupiti di bellezza nel nostro paese, abbattevano ogni resistenza con la più paurosa devastazione. – Come risulta dai discorsi di san Gregorio Magno, pareva prossima la fine del mondo. Non era tutto ciò che l’inizio del medioevo, l’epoca del massimo trionfo sociale del Cristianesimo di Roma. Quando Dio spezza un mondo invecchiato lo fa per costruirne uno nuovo e giovane, nutrito di succhi vitali e di speranze. L’apostolo deve sentire questa sicurezza del divino soccorso, anzi della divina azione a servizio della sua civiltà in questo mondo umano, che è suo, che rimane ognora la ragione delle sue manifestazioni esterne e dei suoi diversi interventi nelle cose umane. Come è consolante questa certezza e quanto bene ci fa, mentre la vita scorre agitata e senza un’apparente meta! Da questo senso della presenza di Dio negli avvenimenti umani sgorga il modo e il metodo dell’azione verso gli avversari del proprio pensiero religioso. L’apostolo non è mosso da puntigli personali, da rivendicazioni limitate al proprio interesse; se dunque agisce e soffre per l’attuazione del pensiero divino, soltanto la carità fraterna può essere la forza motrice nei suoi rapporti sociali. La storia ci insegna, che il Cristiano dimentico del precetto della carità risulta inetto alla conquista, seppure sia ricco di talenti. L’ingegno ha un valore secondario, quello che assolutamente pesa è l’amore. Un amore aperto e cordiale, schietto nella opposizione all’errore, quanto rispettoso dell’errante, deciso nel combattere contro ogni forma d’ignoranza, ma con il garbo suggerito dal senso della comune fragilità e incompiutezza. Il rispetto delle forme e la interpretazione favorevole delle parole, conducono alla riuscita, attraverso la convinzione dell’avversario e la sua conquista alla verità alfine riconosciuta. Dove al contrario entra l’orgoglio o il semplice amor proprio, l a verità viene negata e vilipesa.

CARITÀ CORTESE

L’apostolo cristiano deve guardare all’umanità contemporanea come il samaritano del Vangelo. Essa, incamminata verso le mete indicate da Cristo, fu assalita dai ladroni, che la ferirono gravemente e la derubarono dei suoi tesori più apprezzabili, quelli contenuti nella fede cristiana. Quando i sacerdoti di Cristo, veri ministri di Dio, le si sono avvicinati per aiutarla, ella nel delirio li respinse con male parole, con ingiurie e villanie. La nostra missione è d’accostarla di nuovo, di esaminarne le ferite, di versare su di esse l’olio delle fraterne parole, dell’incoraggiamento cordiale. Può darsi, che essa, aperti gli occhi, e resasi consapevole dell’errore, o, comunque, scorgendo al suo fianco facce diverse e benigne, ci accolga cortesemente e ci ascolti. È possibile, che l’apostolo, cresciuto in una famiglia religiosa, si senta urtato se venga a contatto di certi ambienti e gruppi sociali? Egli incontra orgoglio fra la gente istruita, fatuità nella gente del mondo, ossessione del godimento brutale dei sensi nel povero popolo. M a sta appunto nel sacrificio del sentimento personale e del proprio gusto, un titolo di gran valore per possedere i n cambio l’anima del prossimo. Minore è la personale soddisfazione e maggiore sarà la probabilità di riuscita. L’umiltà dell’apostolo lo fa superiore e vittorioso. Che se la difficoltà è per il momento insuperabile, se la nostra fatica pare annullata e vuota di efficacia, sappiamo, che Dio tien conto d’ogni sforzo e lo fa fruttare sicuramente, allorché la sua misura sia stata raggiunta. In ogni caso sia larga la seminagione della verità. Sia appoggiata ad una vita coerente e fedele, generosa e schietta. Gli spiriti testimoni della solare lealtà d’una vivace fede personale, sono destinati a diventare il migliore sussidio dell’apostolo. Essi si comunicheranno le loro impressioni, le loro esperienze, le conclusioni delle loro indagini, e, vinto il senso di repulsione, imposto dal pregiudizio di parte, a grado a grado verso la verità. E Dio ha vinto. L’affermazione che oggi dobbiamo saper propagare deve essere la certezza sperimentale che il Cristianesimo è insostituibilmente necessario all’umanità.

[continua … ]

SALMI BIBLICI: “EXAUDIAT TE, DOMINUS, IN DIE TRIBULATIONIS” (XIX)

Salmo 19: “Exaudiat te, Dominus in die …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XIX

[1] Exaudiat te Dominus in die tribulationis;

protegat te nomen Dei Jacob.

[2] Mittat tibi auxilium de sancto, et de Sion tueatur te.

[3] Memor sit omnis sacrificii tui, et holocaustum tuum pingue fiat.

[4] Tribuat tibi secundum cor tuum, et omne consilium tuum confirmet.

[5] Lætabimur in salutari tuo; et in nomine Dei nostri magnificabimur.

[6] Impleat Dominus omnes petitiones tuas; nunc cognovi quoniam salvum fecit Dominus christum suum.

[7] Exaudiet illum de cælo sancto suo, in potentatibus salus dexteræ ejus.

[8] Hi in curribus, et hi in equis; nos autem in nomine Domini Dei nostri invocabimus.

[9] Ipsi obligati sunt, et ceciderunt, nos autem surreximus, et erecti sumus.

[10] Domine, salvum fac regem, et exaudi nos in die qua invocaverimus te.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XIX.

Preghiera del popolo a Dio per Davide, affinché dalla battaglia ritornasse vincitore.

Per la fine, salmo di David.

1. Ti esaudisca il Signore nel giorno di tribolazione, e sia tua difesa il nome del Dio di Giacobbe.

2. Egli spedisca a te aiuto dal luogo santo, e da Sionne ti porga sostegno.

3. Siangli graditi tutti i tuoi sacrifizi, e sia accettevole il tuo olocausto.

4. Dia a te quello che brama il cuor tuo, e adempia tutti i tuoi disegni.

5. Noi sarem lieti della salute che tu ci darai, e trionferemo nel nome del nostro Dio.

6. Adempia il Signore tutte le tue richieste; adesso ho conosciuto come il Signore ha salvato il suo Cristo.

7. Ei lo esaudirà dal cielo, dal suo santuario; nella potente mano di lui sta la salute.

8. Quelli parlano di cocchi, e questi di cavalli; ma noi il nome del Signore Dio nostro invochiamo.

9. E furono presi al laccio, e dieder per terra; ma noi ci rialzammo e fummo ripieni di vigore.

10. Signore, salva il re, ed esaudisci la nostra orazione nel di in cui ti invochiamo.

Sommario analitico

Questo salmo sembra essere una preghiera composta da Davide, che il popolo doveva recitare quando il suo re marciava per andare a combattere contro i suoi nemici. La maggior parte dei Padri e degli interpreti l’applicano in senso allegorico, a Gesù Cristo, ed alle vittorie che Egli ha riportato contro i nemici della salvezza.

Il popolo prega Dio perché accetti il proprio re:

I. – A causa di Dio stesso, che è:

a) il Signore del popolo di Israele;

b) il suo capo, il cui nome è sui suoi stendardi (1);

c) il suo re, che ha posto il suo trono in Sion (2).

II. – A causa del re, a) dei sacrifici che egli offre (3), b) delle preghiere che indirizza a Dio; c) dei saggi disegni che egli ha concepito (4).

III. – A causa del popolo di Dio,

a)che gioiràdella vittoria accordata al suo re (5);

b) che prega per lui prima del combattimento;

c) che presagisce il felice esito della guerra, a causa dell’unzione santa che ha ricevuto il re, a causa della potenza di Colui che risiede nell’alto dei cieli (7);

 d) che predice la sconfitta dei nemici di Davide, perché essi sono arroganti, e non pongono la loro fiducia nella forza delle loro armi, mentre Davide ed il suo popolo la mettono solo in Dio (8, 9);

e) esso rinnova le sue suppliche e le sue preghiere (10).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1, 2. –  Il giorno della tribolazione per Gesù Cristo è stato soprattutto il tempo della passione, in cui avendo offerto a Colui che poteva salvarlo dalla morte le sue preghiere e le sue suppliche con forti grida e lacrime, è stato esaudito a causa del suo umile rispetto per suo Padre (Ebr. VII). – Il giorno della tribolazione per noi, è a ben vedere, tutta la nostra vita, che non è che un giorno, e meno di un giorno comparato all’eternità; ma in questo breve spazio di tempo che ci è dato vivere, quante tristezze, quanti dolori, quante prove ci si presentano una dopo l’altra! « L’uomo, nato da donna, breve di giorni e sazio di inquietudine » (Giob. XIV, 1). – Il nome di Dio rappresenta qui Dio stesso. Quando noi invochiamo il suo santo Nome, è Lui stesso che invochiamo; quando noi profaniamo il suo santo Nome, è Lui stesso che offendiamo; quando il suo Nome santo ci protegge, è Lui stesso che ci copre con la sua protezione. – Il combattimento che noi dobbiamo sostenere, « non contro la carne ed il sangue, ma contro i principati, contro le potenze, contro i principi di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti di malizia disseminati nell’aria » (Efes. VI, 12). –  a noi è impossibile resistere a questi nemici il cui numero è prodigioso, il cui potere è così terribile, il regno così esteso, gli artifici sì sottili, la malizia sì consumata, se Dio non ci invia il suo soccorso dal suo luogo santo e non si costituisce nostro difensore (Duguet). –

II. — 3, 4.

ff. 3, 4. –  Il sacrificio che Gesù Cristoha offerto, sono le sofferenze che ha patito durante tutta la sua vita per la gloria di Dio, e l’olocausto, il sacrificio di tutto Se stesso con la morte in croce. – Quale più bell’augurio si può fare ad un prete che continua tutti i giorni ad offrire sull’altare il Sacrificio, l’olocausto che Gesù Cristo ha offerto una volta sulla croce? – Occorrono a Dio dei sacrifici, degli olocausti, una scelta di vittime; occorre che il cuore sia il ministro di questa immolazione, bisogna che i nostri progetti, i nostri disegni siano degni di essere protetti da Dio, e consumati sotto i suoi auspici (Berthier). – Il sacrificio di cui Dio si sovviene e che è gradito, è il sacrificio del cuore: « anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo » (I Piet. II, 5). – Augurare a qualcuno che Dio gli dia tutto ciò che il suo cuore desidera, è un augurio legittimo, è un augurio fortemente legittimo riguardo ad un cuore puro, ma che sarebbe funesto per un cuore corrotto. Dio mostra la sua misericordia quando compie i disegni dei giusti; Egli esercita la sua giustizia quando esaudisce quelli dei malvagi, che Egli abbandona ai desideri del loro cuore (Duguet).

III — 5-10.

ff. 6, 7. –  L’effetto della carità, è gioire della felicità di altri come se fosse la propria. Effetto dell’invidia, è il rattristarsi per la prosperità degli altri e gioire dei loro mali. Glorificarsi in Dio, è la sola vera gloria. Non bisogna glorificarsi mai né nelle ricchezze, né nelle qualità dello spirito e del cuore, né nei doveri che si compiono, ed ancor meno nelle buone opere, ma in Dio solo (Duguet). Il Signore esaudisce sempre le richieste dei giusti, perché essi non domandando mai se non ciò che è a supporto della gloria di Dio e della loro salvezza, di Dio, che conosce meglio di loro ciò che conviene all’uno e all’altro, li esaudisce sempre, anzi spesso in un senso più elevato di ciò che essi intendono. – La salvezza temporale, qualunque essa sia, è sempre un effetto dell’onnipotenza di Dio, ma che cos’è nei confronti della salvezza eterna per la quale ci sono tanti e sì potenti ostacoli da vincere (Duguet). – « La salvezza che opera la sua destra è di una forza invincibile ». La nostra forza è nella salvezza che ci viene dalla sua misericordia, quando ci soccorre in mezzo alle nostre tribolazioni; di modo che la nostra stessa debolezza diventa la causa della nostra forza. Ma la salvezza che l’uomo riceve non dalla destra di Dio, ma dalla sua sinistra, è vana; essa non serve che a gonfiare di folle orgoglio i peccatori che la ricevono in modo passeggero (S. Agost.).

ff. – 7-9. –  La felicità, per la maggior parte degli uomini, è darsi una grande esistenza. Ma per essi questa grande esistenza è il corpo, sono i falsi beni che dipendono dal corpo e che periscono con lui. – Tutto ciò che brilla, tutto ciò che sorride agli occhi, tutto ciò che sembra grande e magnifico, diviene l’oggetto dei nostri desideri e della nostra curiosità. Quest’uomo crede di ingrandirsi con i suoi beni che aumenta, con i suoi appartamenti che amplia, con il suo territorio che estende, questa donna ambiziosa e vana crede di valere molto quando è carica di oro, di pietre e di mille altri vani ornamenti (Bossuet, Prof. De La Vall.). – Si ha un bell’essere a circondarsi di carri, di cavalli, di tutto questo apparato di forza e difesa in cui il mondo mette la sua fiducia e la sua gloria, si è di una estrema debolezza quando si è privi della forza di Dio.  C’è una forza invincibile nell’invocazione del Nome di Dio Salvatore. « perché nessun altro nome sotto il cielo è stato dato agli uomini per mezzo del quale dobbiamo essere salvati » (Act. IV). – Gli uni sono trascinati dalla rapida mobilità dei beni temporali, gli altri sono gonfi di orgoglio a causa degli onori in cui ripongono la loro gioia; noi al contrario, fissando la nostra speranza nei beni eterni, e dimentichi di ogni gloria, mettiamo la nostra gioia nel nome del Signore (S. Agost.). – L’effetto infallibile della fiducia nelle proprie forze e nel soccorso puramente umano, è come un legarsi ed incatenarsi senza aver affatto la libertà nei movimenti. L’effetto ugualmente infallibile della fiducia in Dio solo, è di elevarci, di ergerci al di sopra dei nostri nemici (Duguet).

ff. 10. –  Le nostre preghiere devono effondersi per tutti gli uomini, ma devono avere specialmente come oggetto i sovrani, quelli che sono costituiti in dignità, che San Paolo chiama « le potenze più elevate ». È un dovere il pregare specialmente per i depositari dell’autorità pubblica, perché essi contribuiscono all’ordine della società, che è buono in se stesso e che è voluto e stabilito da Dio.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO VII – “DIU SATIS”

Dopo le burrascose vicende che caratterizzarono il Pontificato di S. S. Pio VI,  il suo successore, Papa Pio VII Chiaramonti, appena eletto, fa il punto della drammatica situazione in cui versa la Santa Sede, attaccata con terribili colpi portati dai facinorosi massoni delle rivoluzioni, in particolare contro la figura del Vicario di Cristo, garante del deposito della fede cristiana, principio di unità e santità della Chiesa di Cristo, e Pastore universale al quale è stata affidata la cura ed il pascolo delle anime redente da Gesù Cristo in vista della loro salvezza. Il Santo Padre, dopo una breve rievocazione del comportamento eroico del suo predecessore, Papa Braschi, si abbandona alla volontà ed alla Provvidenza divina, come anche la storia dimostrerà dalle vicende che lo vedranno lungamente perseguitato, cacciato dalla Sede romana, prigioniero ed infine provvidenzialmente restaurato nella sua Sede Apostolica. Ricordando Papa Martino I, altro Pontefice Romano martire, cacciato ed impedito nelle sue funzioni, egli accomuna queste vicende a quelle del suo predecessore, ma in realtà sono parole profetiche anche per se stesso, ché dovrà seguire un analogo doloroso cammino di persecuzioni. Questo dimostra come già all’epoca le forze del demonio erano scatenate contro la Chiesa di Cristo, ed in particolare contro il suo Capo visibile, il successore del Principe degli Apostoli. Oggi la persecuzione del Vicario di Cristo è ancor più crudele di quella dei Papi Martino, Pio VI e VII, perché il Vicario attuale è prigioniero ed impedito materialmente, tradito da tutti i prelati, più o meno finti, oltretutto oltraggiato dalle eresie ultra-moderniste della setta del novus ordo, dei sedevacantisti finti tradizionalisti, e dei fallibilisti disobbedienti eredi invalidi del cavaliere kadosh di Lille. Ma la stessa lettera si chiude con parole di speranza per tutti noi, noi sferzati dalle persecuzione delle eresie pestilenziali dei modernisti adoratori del signore dell’universo, degli scismatici di numerose sette, oltre che dalle eresie ben note degli empi protestanti delle migliaia di sette sparse per ogni dove a servizio di satana: « … Soprattutto è nostro dovere “mantener saldamente e difendere tale unità”, come ammonisce Cipriano (Dell’unità della Chiesa); guardando e ammirando questa, continua a pregare Gesù Cristo, “… il mondo abbia fede che sei Tu che mi hai mandato”. Perciò, fiduciosi nell’aiuto di Cristo che Ci assiste e non si allontana mai dal Nostro fianco e Ci dà forza con queste parole: “Non sia turbato il vostro cuore e non tema; come credete in Dio, così credete anche in me“, dedichiamoci, riunendo il nostro zelo e la nostra alacrità, alla comune salute …». Sono queste parole forti che devono spingere il “pusillus grex” a non temere, a non atterrirsi davanti alle ciclopiche difficoltà materiali e spirituali, a resistere nella certezza della vittoria finale di Nostro Signore che spegnerà con il soffio della sua bocca, ogni incendio suscitato dall’anticristo e dai suoi accoliti … et portæ inferi non prævalebunt … et IPSA conteret caput tuum…

Pio VII
Diu satis

Ci sembra di aver taciuto abbastanza a lungo con voi: ora sono trascorsi già due mesi di inquietudini e di fatiche, da quando Dio impose alla Nostra debolezza questo peso così grande, mettendoCi a capo di tutta la sua Chiesa; e Noi dobbiamo, non tanto per la consuetudine invalsa fin dai più antichi tempi, quanto per l’amore che vi portiamo (amore che, incominciato già da molto per i frequenti rapporti di collegio, sentiamo ora straordinariamente accresciuto e completo) parlarvi almeno per lettera; e nulla può esserCi più soave e gradito. A far questo Ci stimola con forte spinta la natura di quello che è il Nostro particolare dovere, natura così bene espressa dalle parole: “Conforta i tuoi fratelli”. E infatti, in questi tristi tempi di scompiglio, Satana, più che mai, “ci cerca tutti per vagliarci come grano”. Tuttavia, chi è tanto stolto e tanto avverso a Noi da non capire e vedere che Cristo Signore, anche in simili circostanze difficili e ostili, fece ciò che si può constatare, poiché aveva promesso di “pregare per Pietro, affinché non venisse meno la fede in lui”? I posteri certo saranno meravigliati per la sapienza, la grandezza d’animo e la costanza di Pio VI, al quale Noi siamo subentrati nel potere; così gli fossimo succeduti anche in quella virtù, che non poté essere distrutta né fiaccata dall’impeto di nessuna avversità né dall’accumularsi delle sciagure. Possiamo dire che egli rinnovò la forte e fedele difesa della verità e la fermezza nel sopportare affanni e stenti di quel Martino dal quale un giorno provenne così grande lode alla Nostra Sede; infatti, ferocemente cacciato dalla sua città a dalla sua Sede, spogliato di ogni autorità, onore e bene di fortuna, spinto a emigrare altrove appena gli sembrava di aver trovato un posto tranquillo; condotto in terre così lontane, sebbene fosse vecchio e ammalato da non poter fare il viaggio a piedi, sentiva per soprappiù le minacce di un esilio più crudele, e non avrebbe avuto di che nutrire sé e il suo esiguo seguito se qualche anima generosa non lo avesse soccorso; nonostante che ogni giorno la sua solitudine e la sua debolezza fossero messe a dura prova, tuttavia non venne mai meno a sé stesso, non si lasciò ingannare da nessuna frode, né turbare da alcun timore, né lusingare da speranze, né fiaccare da disagi e pericoli; e i suoi nemici non poterono cavargli fuori né una lettera né una parola che non provasse a tutti che Pietro “era vissuto fino a questo tempo nei suoi successori e rendeva giustizia, il che è non dubbio per nessuno ed è più che noto fin dalla prima età” come disse un autore assai quotato nel Concilio di Efeso. Si deve considerare di molta importanza e ricordare con animo grato il fatto che a Pio VI fu da Dio donata la morte (bisogna infatti dire così piuttosto che parlare di vita tolta) in un tempo nel quale più nulla ormai impediva che si eleggesse il suo successore secondo il rito.

Ricordatevi, Venerabili Fratelli, come eravamo preoccupati e trepidanti quando i Cardinali della Santa Romana Chiesa, cacciati anch’essi dalle loro sedi, in gran numero imprigionati, in parte uccisi, moltissimi costretti a attraversare il mare con un tempo orribile, spogliati dei loro beni, poveri, i più separati fra loro da grandi distanze, senza il permesso (poiché le strade erano occupate dal nemico) né di corrispondere fra loro per lettera, né di andare dove volevano e dovevano, davano a pensare che in nessun modo avrebbero potuto riunirsi per rimediare alla vedovanza della Chiesa secondo gli antichi costumi e usanze, se per caso Pio VI, che di giorno in giorno, a quel che sentivamo dire, era in pericolo di vita, avesse dovuto soccombere. Chi allora, in così sciagurate e quasi disperate circostanze, avrebbe osato sperare, in base solo a possibilità umane spirituali e materiali, ciò che doveva avvenire per singolare benevolenza divina, che cioè Pio VI non avrebbe lasciato questa vita prima che, stabiliti i comizi pontifici da tenersi dopo di lui, calmata quasi tutta l’Italia, riordinato tutto il Veneto, moltissimi Cardinali potessero trovarsi presenti a votare a favore e protezione del carissimo Nostro figlio in Cristo Francesco, nominato Apostolico Re d’Ungheria, illustre Re di Boemia e Imperatore dei Romani? – Riconoscano da ciò gli uomini che invano si tenterebbe di rovesciare la “Casa di Dio”, che è la Chiesa costruita su Pietro; il quale è Pietra di fatto e non solo di nome; e che contro questa Casa di Dio “le porte dell’Inferno non potranno prevalere, perché ha le fondamenta sulla pietra”. Tutti coloro che furono nemici della Religione cristiana, combatterono anche una nefanda guerra contro la Cattedra di Pietro, e finché questa resisteva, quella non poteva vacillare né indebolirsi: “e per l’ordinazione e la successione dei suoi Pontefici”, proclama a tutti Sant’Ireneo “venne fino a noi quella che è la proclamazione della verità e la più chiara dimostrazione che unica e identica è la Fede vivificatrice, che nella Chiesa fu conservata dai tempi degli Apostoli fino a ora, e tramandata in spirito di verità”. – Certamente per questa strada sono passati anche coloro che nella Nostra epoca cercarono di sostituire non so quale pestifera infezione di falsa filosofia a quella filosofia (come chiamano benissimo la dottrina cristiana soprattutto i Padri greci) che il Figlio di Dio con la sua eterna sapienza portò giù dal Cielo e impartì agli uomini. E benissimo contro di loro si scaglia con queste parole Paolo: “Sta scritto: accuserò la sapienza dei sapienti e disapproverò la prudenza dei prudenti; dove un sapiente, dove uno scriba, dove un ricercatore in questo secolo? Non fece Dio stolta la sapienza di questo mondo?”. Tanto più volentieri ricordiamo queste parole, Venerabili Fratelli, in quanto ristorano straordinariamente lo spirito e lo elevano e lo infiammano a non evitare nessuna fatica e nessuna lotta per la Chiesa di Cristo, che Egli consegnò e raccomandò a Noi (a Noi che non solo non osavamo desiderare questo, ma neppure Ci pensavamo, e anzi eravamo alquanto intimoriti), perché la governassimo proteggendola, la onorassimo e la ingrandissimo. Ed Egli sicuramente “farà sì che Noi siamo adeguati ministri del Nuovo Testamento, cosicché l’elevazione deriverà dalla virtù di Dio e non da Noi”. Per la qual cosa “cerco ora di commuovervi sinceramente” o Venerabili Fratelli (ciascuno dei quali sarà certamente inquieto e premuroso per conto suo), affinché siate d’accordo con Noi e portiate all’opera la vostra zelante e diligente collaborazione. – Abbiate sempre presente nell’anima quel che Gesù Cristo implorò da suo Padre: “Padre santo, conservali nel tuo nome, affinché siano una sola cosa, come noi… non solo per loro (cioè per gli Apostoli), ma anche per coloro che attraverso le loro parole crederanno in me, io prego che tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, in me e io in te; che essi tutti siano una cosa sola in Noi”.

Soprattutto è nostro dovere “mantener saldamente e difendere tale unità”, come ammonisce Cipriano (Dell’unità della Chiesa); guardando e ammirando questa, continua a pregare Gesù Cristo, “il mondo abbia fede che sei Tu che mi hai mandato”.

Perciò, fiduciosi nell’aiuto di Cristo che Ci assiste e non si allontana mai dal Nostro fianco e Ci dà forza con queste parole: “Non sia turbato il vostro cuore e non tema; come credete in Dio, così credete anche in me”, dedichiamoci, riunendo il nostro zelo e la nostra alacrità, alla comune salute. – Città, castelli, campagne, distretti, province, regni, nazioni, già da tanti anni saccheggiati, torturati, immiseriti, rovinati, bramano un rimedio che li ristori: e questo non dobbiamo sperare di trovarlo altro che nella dottrina di Cristo. E possiamo ora con maggiore fiducia incitare quelli che ne sono ancora lontani, con le parole di Agostino: “Diano un esercito di soldati quali la dottrina di Cristo comandò che fossero, diano provinciali, mariti, mogli, genitori e figli, padroni e servi, re e giudici, infine contribuenti del fisco ed esattori come la dottrina di Cristo prescrive che siano”, e non potendo ottenere ciò “non esitino a proclamare che questa sarebbe la più sicura salvezza dello Stato, se si obbedisse”. – È dunque Nostro dovere, Venerabili Fratelli, soccorrere gli uomini e le popolazioni in angustie e scacciare dalle teste di tutti i mali che incalzano e minacciano e il pensiero dei quali Ci fa piangere; infatti “Gesù Cristo diede pastori e dottori per il compimento degli atti sacri, per il ministero e l’edificazione del corpo di Cristo: fino a che tutti siano giunti all’unità della Fede e della conoscenza del Figlio di Dio”. – E se qualcosa per caso distogliesse o impedisse alcuno di Noi dal diligente compimento di tale opera, di quale vergognoso delitto si renderebbe egli colpevole! Pertanto, o Venerabili Fratelli, vi preghiamo prima di tutto e scongiuriamo ed esortiamo e ammoniamo e inoltre vi ordiniamo di non trascurare nessun atto di vigilanza, di diligenza, di fatica per “custodire il deposito” della dottrina di Cristo; poiché sapete bene quali cospirazioni e da chi siano state fatte per perderlo. – E non annoverate nel Clero nessuno; non affidate a nessuno “l’amministrazione dei misteri di Dio”; non tollerate che nessuno riceva le confessioni o parli al pubblico dei fedeli; non date a nessuno alcuna funzione o incarico prima di avere attentamente esaminato, indagato e accuratamente provato se la sua anima sia conforme a Dio. Poiché “così non avessimo imparato per esperienza che grande quantità di pseudo-apostoli si sono diffusi in quest’epoca, pseudo-apostoli che sono subdoli lavoratori i quali si fanno passare per Apostoli di Cristo”, dai quali, se non facciamo attenzione, certamente “saranno corrotti i fedeli, come Eva fu sedotta dal serpente con l’astuzia, e decadranno dalla semplicità cristiana”. E bisogna che voi “badiate bensì a tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo vi pose come Vescovi”; ma soprattutto i fanciulli e gli adolescenti reclamano la vigile, zelante, attiva opera del vostro paterno amore e della vostra benevolenza: i fanciulli e gli adolescenti che Gesù Cristo così caldamente raccomandò a Noi, sia con l’esempio che con le parole; e coloro che tentano di rovesciare le istituzioni pubbliche e private e di mettere sottosopra tutti i diritti umani e divini, hanno fatto ogni sforzo per avvelenare e corrompere le loro tenere anime, sperando così di compiere i loro premeditati misfatti. E infatti non ignoriamo che essi sono simili a cera molle e possono essere facilmente maneggiati, piegati da tutte le parti e plasmati: e una volta assunta una forma, crescendo induriscono in questa e la mantengono molto tenacemente, respingendone ogni altra; donde quel proverbio che va per le bocche di tutti: “Chi segue una data via nell’adolescenza, anche invecchiando non se ne allontanerà”. Non fate in modo, dunque, Venerabili Fratelli, “che coloro che si occupano di cose mondane siano più saggi di coloro che seguono nella loro vita giustizia e verità”. Considerate attentamente a quali uomini siano affidati i fanciulli e gli adolescenti nei seminari e nei collegi, in quali discipline siano istruiti, quali maestri siano scelti nei licei, che lezioni si tengano; sorvegliate assiduamente, indagate, esplorate ogni cosa; scacciate e tenete lontani “i lupi rapaci che non risparmiano” il gregge degl’innocenti agnelli; e se per caso si sono introdotti in qualche luogo spingeteli fuori e sterminateli immantinente, “secondo il potere che Dio vi diede per l’edificazione”. – La salute stessa della Chiesa, dello Stato, dei Principi e di tutti i mortali, salute che dobbiamo considerare molto più cara e più importante della nostra vita, esige che questo potere sia tutto da Noi esplicato nel distruggere quel mortale flagello dei libri. – Questo argomento trattò largamente e a fondo con voi il Nostro Predecessore Clemente XIII di felice memoria in una sua Lettera direttavi il 25 Novembre 1766. E non parliamo soltanto di strappare dalle mani degli uomini, di distruggere completamente bruciandoli quei libri nei quali si dà contro la dottrina di Cristo apertamente; ma anche e soprattutto bisogna impedire che arrivino alle menti e agli occhi di tutti quei libri che operano più nascostamente e più insidiosamente. Per riconoscerli “non c’è bisogno”, dice Cipriano (Dell’unità della Chiesa),di un lungo trattato e di argomentazioni; in breve, vi è una facile prova di verità: Dio dice a Pietro: Pascola le mie pecore”. Dunque le pecore di Cristo debbono ritenere salutare per loro quel pascolo nel quale le ha poste la voce autorevole di Pietro, a esso debbono dedicarsi e con esso nutrirsi: e stimare assolutamente peccaminose ed esiziali le cose dalle quali tale voce li richiami e li distolga; e non debbono lasciarsi attrarre da alcuna apparenza né travolgere da alcuna seduzione. Coloro che non si mostrano così obbedienti, non si possono certo annoverare fra le pecorelle di Cristo. Su questo punto, Venerabili Fratelli, non possiamo chiudere gli occhi, né tacere, né essere troppo indulgenti: se infatti non è frenata e repressa così grande libertà di pensiero e di parola, di leggere e di scrivere, sembrerà che per tanto tempo siamo stati sollevati dal male che da così lungo tempo ci affligge, per il senno e le forze dei più sapienti e potenti re e duci; ma che, scomparsa ed estinta la loro stirpe (inorridiamo nel dirlo, pure bisogna dirlo) quello dilagherà di più e acquisterà forza abbracciando tutta la terra, né per l’avvenire basteranno a distruggerlo o ad allontanarlo legioni di soldati, guardie, sentinelle, munizioni di città e fortificazioni di imperi. Ognuno di noi, Venerabili Fratelli, si sente commosso ed esaltato dal fatto che Dio ci assegnò il Profeta Ezechiele: “O figlio dell’uomo, io ti ho posto come vedetta nella casa di Israele: tu udrai dalla mia bocca la mia parola e l’annuncerai loro. Se quando io dico all’empio: morrai di morte, tu non glielo annuncerai… l’empio morrà nella sua malvagità: e io esigerò da te il suo sangue”. Queste parole, lo confessiamo, Ci vanno stimolando giorno e notte, e non Ci permetteranno mai di essere incerti o esitanti nell’adempimento del Nostro dovere; e vi promettiamo e garantiamo che non solo saremo il vostro collaboratore e fautore, ma anche il primo e il capo. – E inoltre vi è, Venerabili Fratelli, un altro “deposito da custodire” e da difendere con animo più che mai saldo e costante, quello cioè delle più sante leggi della Chiesa, sulle quali essa stabilì quella sua disciplina in cui sta il potere, per le quali fioriscono la pietà e la virtù, e per le quali la Sposa di Cristo “è forte come un esercito schierato in campo”; e la maggior parte delle quali sono gettate come fondamenta a sostenere il peso della Fede, per servirCi delle parole di San Zosimo.

Nulla può essere più vantaggioso e glorioso per i capi di città e per i re che “lasciare”, come l’altro valorosissimo e sapientissimo Predecessore Nostro San Felice prescriveva all’Imperatore Zenone, “lasciare… che la Chiesa Cattolica si serva delle sue leggi, e non permettere che alcuno si opponga alla sua libertà… Infatti è certamente salutare per i loro interessi che, trattandosi di cose divine, secondo la sua legge, cerchino di subordinare la loro regia volontà ai sacerdoti di Cristo, non di anteporla”. – Per quel che riguarda “il deposito” dei beni della Chiesa, “le quali ricchezze sono i voti, il sacro denaro, la sostanza delle cose sante, le cose di Dio”, come spiegano esplicitamente i Padri, i Concili e le Sacre Scritture, che cosa mai, Venerabili Fratelli, potremmo prescrivervi ora che la Chiesa è miserabilmente spoglia e priva di essi? Una cosa sola: di adoperarvi e di sforzarvi affinché tutti comprendano e si imprimano nell’anima ciò che un tempo il Concilio di Aquisgrana rinserrò in questa breve e chiara e meditata sentenza conclusiva: “Chiunque abbia portato via o abbia macchinato di portar via le cose che altri fedeli abbiano recate, prendendole fra i loro beni, per onorare Dio e ornare la sua Chiesa e per uso dei ministri di questa, allo scopo di risanare le loro anime: certamente ha trasformate in pericolo per l’anima sua le cose che gli altri hanno date”. – Abbiamo tutte le ragioni di affermare quanto segue col Nostro Precursore Sant’Agostino: “Non certamente da ostinata ricerca di vantaggi secolari, ma dalla considerazione del giudizio divino siamo spinti a ridomandare quelle cose che abbiamo l’ordine di amministrare con fedeltà e prudenza”. È chiaro che i re cristiani non lasciano vane le Nostre preghiere, esortazioni, ammonimenti o atti d’autorità, e così pure i capi di Stato, che affermano giustamente di essere stati chiamati da Isaia “balii” della Chiesa, e tali si vantano di essere; e la loro pia devozione, la loro giustizia e sapienza e fede, Ci danno tanta speranza e destano in Noi una così fiduciosa aspettativa, che riteniamo cosa sicura che essi faranno in modo che siano restituite immediatamente “a Dio le cose di Dio”, e che non correranno il rischio di sentir risonare alle loro orecchie queste parole di lamento di Dio: “Avete preso il mio argento e il mio oro, e le cose mie più belle e desiderabili”. – E non saranno diversi dai grandi Costantino e Carlo, dei quali andò famosa la generosità e l’equità verso la Chiesa: uno dei due confessò “di aver conosciuto molti regni e di aver visto i loro re cadere per aver spogliata la Chiesa”; per la qual cosa dichiara e imprime nell’anima ai suoi figli e a coloro che in seguito reggeranno lo Stato: “Per quanto è in nostro potere, in nome di Dio e di tutti i benefici dei Santi, proibiamo e impediamo che essi facciano tali cose, e che diano il loro consenso a coloro che le vogliono fare, ed esigiamo che siano con tutte le loro forze collaboratori e difensori della Chiesa e del culto divino”. E non bisogna nascondervi, o Venerabili Fratelli, alla fine di questa lettera “che grande è la mia tristezza e non ha tregua il dolore del mio cuore”, per i figli Nostri, che sono i popoli di Francia e tutti gli altri presso i quali non è ancora raffreddata la stessa furente pazzia. Che cosa potremmo desiderare di più che dare la vita per loro, se la loro salvezza potesse essere pagata con la Nostra morte? Non neghiamo, anzi teniamo sempre presente, che a diminuire e a sollevare il Nostro acerbo dolore molto valgono l’invitta forza d’animo e la costanza che moltissimi di voi hanno dimostrata, che ogni giorno abbiamo in mente e che uomini di ogni genere, età, classe sociale hanno seguito con meraviglioso impeto: uomini che hanno preferito patire ogni specie d’ingiurie, di pericoli, di supplizi, persino incontrare la morte, e hanno stimato tutto ciò più nobile per loro, che lasciarsi imbrattare da illeciti e delittuosi sacramenti, vincolarsi al delitto e disobbedire ai decreti e ai precetti della Sede Apostolica. A memoria Nostra, sono rinnovate tanto la virtù che la crudeltà dei primi tempi. E non vi è nessun popolo, in nessuna parte, che non sia compreso nel Nostro pensiero e nel Nostro paterno vigile amore; nessuno per il quale non Ci rattristiamo e non Ci affliggiamo crudelmente a causa del suo dissidio da Noi e dalla verità, e al quale non verremmo con esultanza in aiuto.

Unitevi a Noi nelle Nostre preghiere, affinché dopo tante e lunghe agitazioni “la Chiesa abbia pace, affinché sia edificata nel timor di Dio e nella consolazione dello Spirito Santo, e nulla ormai impedisca che di tutte le nazioni si faccia un solo ovile ed un solo pastore”.

Frattanto, a voi che siete così ben disposti e pronti e al Gregge che governate, con tutta l’anima impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Venezia, dal Monastero di San Giorgio Maggiore, il 15 Maggio 1800, anno I del Nostro Pontificato.

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LIII: 6-7.
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine. [Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]
Ps LIII: 3
Deus, in nómine tuo salvum me fac: et in virtúte tua libera me.
[O Dio, salvami nel tuo nome: e líberami per la tua potenza.]
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.
[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]

Oratio

Orémus.
Páteant aures misericórdiæ tuæ, Dómine, précibus supplicántium: et, ut peténtibus desideráta concédas; fac eos quæ tibi sunt plácita, postuláre.
[Porgi pietoso orecchio, o Signore, alle preghiere di chi Ti supplica, e, al fine di poter concedere loro quanto desiderano, fa che Ti chiedano quanto Ti piace.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.
1 Cor X: 6-13
Fatres: Non simus concupiscéntes malórum, sicut et illi concupiérunt. Neque idolólatræ efficiámini, sicut quidam ex ipsis: quemádmodum scriptum est: Sedit pópulus manducáre et bíbere, et surrexérunt lúdere. Neque fornicémur, sicut quidam ex ipsis fornicáti sunt, et cecidérunt una die vigínti tria mília. Neque tentémus Christum, sicut quidam eórum tentavérunt, et a serpéntibus periérunt. Neque murmuravéritis, sicut quidam eórum murmuravérunt, et periérunt ab exterminatóre. Hæc autem ómnia in figúra contingébant illis: scripta sunt autem ad correptiónem nostram, in quos fines sæculórum devenérunt. Itaque qui se exístimat stare, vídeat ne cadat. Tentátio vos non apprehéndat, nisi humána: fidélis autem Deus est, qui non patiétur vos tentári supra id, quod potéstis, sed fáciet étiam cum tentatióne provéntum, ut póssitis sustinére.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,

IL TIMOR DI DIO

“Fratelli: Non desideriamo cose cattive, come le desiderarono quelli. Non diventate idolatri, come furono alcuni di loro, secondo sta scritto: «Il popolo si sedette a mangiare e bere; poi si alzarono a tripudiare. Né fornichiamo, come fornicarono alcuni di loro, e caddero in un giorno 23 mila. Né tentiamo Cristo come lo tentarono alcuni di loro, e furono uccisi dai serpenti. Né mormorate come mormorarono alcuni di loro, ed ebbero morte dallo sterminatore. Or tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi, che viviamo alla fine dei tempi. Colui, pertanto che si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha sorpreso se non umana. Dio, poi, che è fedele, non permetterà eh siate tentati sopra le vostre forze: ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla”. (I Cor. X, 6-13).

Essere Cristiani non vuol dire essere esenti dalla vigilanza, e da una attenta vigilanza. Nell’Epistola della Domenica di Settuagesima abbiam visto come l’Apostolo per incoraggiare i Corinti alla perseveranza, oltre il proprio esempio, portò l’esempio dei Giudei, i quali, quantunque usciti in gran numero dall’Egitto, dopo aver ricevuto grandi benefici dal Signore, solamente in numero di due poterono entrare nella terra promessa. L’Epistola di quest’oggi continua quel brano. Vi sono enumerate alcune prevaricazioni degli Ebrei e i castighi, che ne seguirono, e si esortano i Corinti a non imitarne l’esempio; poiché quanto avvenne agli Israeliti sarà figura di quanto avverrà a noi Cristiani, se abuseremo delle grazie del Signore. – E noi non abuseremo certamente delle grazie del Signore, se avremo il timor di Dio, il quale:

1 Ci fa evitare il peccato,

2 Ci rende diffidenti di noi,

3 Ci lascia calmi e fiduciosi in Dio, durante le prove.

1.

Le prevaricazioni degli Ebrei, dopo la loro uscita dall’Egitto, ebbero da parte di Dio la meritata punizione. La storia di questa punizione e dei conseguenti castighi, deve servire di esperienza, perché tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi. Dunque, le punizioni di Dio, prefigurate in ciò che accadde agli Ebrei, devono attendere anche i Cristiani che, invece di mostrarsi grati a Dio per i benefici ricevuti, e che ricevono quotidianamente, lo offendono con i peccati. – E lo offendono, perché non temono il Signore. «Il timor di Dio fa odiare il male» (Prov. VIII, 13). L’uomo che ha tanto paura di commettere cosa che possa offendere il suo simile, mortale come lui, ludibrio degli eventi; oggi forte, domani debole; oggi stimato, domani disprezzato, abbandonato; come potrebbe indursi a commettere il male sotto gli occhi di Dio, se pensasse che quel Dio che lo vede, lo giudicherà? Non si pensa a Dio, e si opera come se Dio non esistesse. E da questo errore ne consegue un altro: si fa il male senza badare alle sue conseguenze. Si pecca, ma non si tien conto che «Agli empi e ai peccatori Dio renderà il loro castigo» (Eccli. XII, 4). I servi non osano commettere mancanze alla presenza del loro padrone. Se avvengono degli alterchi, avvengono quando e dove il padrone non li sente: «Noi invece — dice il Crisostomo — tutto osiamo in faccia a Dio, che vede e che sente. Essi hanno sempre davanti agli occhi il timor del padrone; noi, il timor di Dio non l’abbiamo mai» (In 1. Epist. ad Thim. Hom. 16, 2).«Chi teme Dio rientra in se stesso» ((4) Eccli XXI, 7). Può egli continuare a vivere in peccato, se da un momento all’altro può capitare nelle mani del suo giudice? Il peccatore può mettersi a letto pieno di sanità e di vita, e prima dello spuntar del giorno trovarsi davanti al tribunale di Dio. Può alzarsi la mattina, e prima di sera esser già giudicato. Ma il pericolo di ricevere una condanna egli può evitarlo. Se teme il castigo ne tolga la causa. Faccia penitenza dei suoi peccati, e cominci una vita nuova. Chi teme Dio non dice: Dio è buono, dunque non mi punirà. Se Dio è buono devi amarlo, invece di offenderlo. Tu offendi Dio perché è buono. «Questa è dunque la retribuzione che rendi al Signore?… Non è Egli il tuo Padre, che ti ha posseduto, che ti ha fatto, che ti ha creato?» (Deut. XXXII, 6). – Egli è buono, immensamente buono, ma è anche giusto; la sua bontà non può andar scompagnata dalla sua giustizia. «Presso Dio non vi è pietà senza giustizia, né giustizia senza pietà» (S. Pier Grisos. Serm,. 145). – Se tutti gli uomini avessero il timore di Dio e non solo il timore delle leggi umane, nessuno commetterebbe il male, neppur per breve tempo.

2.

Nessuno può tenersi sicuro di poter perseverare sino alla fine nello stato di grazia e di tenersi conseguentemente, certo della propria salvezza. Nessuno può esser sicuro di questo, senza una speciale rivelazione. Pertanto, chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Caddero gli Angeli che si trovavano in cielo; caddero i nostri progenitori che si trovavano nel paradiso terrestre; noi soli vogliam presumere di andar esenti da cadute? La Sacra Scrittura ci pone davanti agli occhi abbondante materia di seria riflessione su questo punto. Essa ci fa passare innanzi re, giudici, sapienti, sacerdoti, profeti, Apostoli, che precipitarono dalla loro altezza nell’abisso del peccato. Dopo simili esempi, nessuno troverà esagerata l’ammonizione dell’Apostolo: Pertanto chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Quando la nebbia è fitta, il viandante cammina con la più grande precauzione. Le nostre passioni sono come una nebbia fitta, che non ci lascia ben distinguere ove mette fine il nostro cammino. Abbiamo bisogno di essere illuminati, guidati. Il santo timor di Dio è il lume che ci guida. «Non voler essere saggio ai tuoi propri occhi; — dice Salomone — temi Dio e allontanati dal male» (Prov. III, 7). – Il timor di Dio ci insegna ad allontanarci dal male. Ci dice ove è il pericolo; ove bisogna far sacrificio d’una nostra tendenza; ove c’è una passione incipiente da estirpare, ove c’è un’occasione da evitare. Chi disprezza la voce del timor di Dio, un momento o l’altro si trova trascinato là ove non avrebbe né creduto né voluto. Chi non teme, non si guarda; chi non si guarda, si perde. – Non contano le battaglie spirituali vinte altre volte. Il cavaliere che ha vinto cento corse, che ha saltato migliaia di ostacoli, sempre saldo in sella, in un momento di distrazione o di troppo fiducia è sbalzato a terra. Il navigante che ha passato e ripassato i mari, superando furiose tempeste, affonda con la nave per un imprevisto incidente qualsiasi. L’aviatore che ha valicato catene di monti e attraversato mari tra le bufere, e sempre felicemente, precipita col velivolo quando, sicuro di sé, non vede davanti agli occhi che gli onori, che coroneranno le sue imprese. A questo mondo non si è mai al sicuro dalle sorprese; e il Cristiano non è mai al sicuro dalle sorprese delle passioni, del demonio, del mondo. Nulla trascuri per mettersi al riparo contro di esse: «Chi teme Dio non trascura cosa veruna» (Eccle. VII, 19).

3.

Dio, poi, che è fedele non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze; ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla. Diffidare di noi stessi, temere la nostra debolezza, non vuol dire avvilirsi e perdersi di coraggio nelle umiliazioni, nelle tentazioni, nelle prove della vita. Noi siamo fragili, ma Dio è potente. Lasciarsi abbattere, mormorare nelle difficoltà, è un dubitare della bontà, sapienza e potenza di Dio. Egli non comanda mai cose impossibili, e non nega mai la sua grazia a quelli che a Lui ricorrono fiduciosi. Con la sua grazia potremo resistere a tutte le tentazioni e superar tutte le prove, uscendone vittoriosi, ornati di meriti, rassodati nel bene. Chi teme Dio accetta, calmo e fiducioso nell’aiuto di Lui, tutte le prove che Egli gli manda.Il timor di Dio non consiste nel prostrarsi innanzi a Lui tremanti, nell’esser presi dallo sgomento. « Il timor del Signore — dice lo Spirito Santo — ha corona di sapienza e di piena pace e di frutti di salute» (Eccli. I, 22). Il timor di Dio consiste nel non far nulla di quanto a Dio dispiace, nel chiedergli la grazia di fare ciò che Egli comanda, nel non ribellarci quando la sua mano ci sottopone alle prove. Il timor di Dio non turba la pace, anzi ne è la salvaguardia. Chi teme Dio è da Lui protetto e difeso. Egli può ripetere con tutta verità le parole del Salmista: «Ecco, Dio è colui che mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’anima mia» (Salm. LIII; 6. – Introito). – « I suoi precetti sono più dolci del miele e di ciò che stilla dai favi» (Salm. XVIII, 11 – Offertorio). Perciò li osserva, e nell’osservarli ha grande ricompensa; arricchisce la sua corona di frutti di salute. Il timore e l’amore sono gli sproni della vita: non solamente della vita materiale, ma anche, e più, della vita spirituale. Il timore e l’amore spingono l’uomo a risorgere dal peccato, e a ritornare al più amante dei padri. Se il peccatore dovesse guardare solamente ai propri demeriti, come potrebbe innalzare la fronte a Dio, e dirgli: «Perdona?» Ma egli sa con chi ha da fare; egli può rivolgersi a Lui e ricordargli con tutta fiducia: «So che tu sei un Dio clemente, e misericordioso e paziente, e molto compassionevole e che perdoni il mal fare» (Gion. IV, 2). – Chi ben si guarda, scudo si rende. Questa norma fu dimenticata da Sansone, il forte d’Israele, che, fidando troppo in sé stesso, si prese gioco del pericolo, e finì con perdere la libertà, la vista, la forza prodigiosa; finì col perdere Dio, che si allontanò da lui. Ma nel misero stato in cui è ridotto non si dimentica che Dio è clemente, misericordioso, paziente, molto compassionevole, e si rivolge a Lui con umiltà, fede e fiducia : «Signore Iddio, ricordati di me» (Giud. XVI, 28). E Dio ascolta l’umile e fiduciosa preghiera del pentito Giudice d’Israele. Chissà quante volte abbiamo imitato Sansone nello scherzare con le occasioni, con la conseguenza di rimanerne vittima! Imitiamolo anche nel ricorrere con fiducia a Dio per rialzarci dalle nostre cadute. Il timor di Dio, senza la fiducia nella sua misericordia non è un timore buono. «Tu lo placherai, se speri nella sua misericordia» (En. In Ps. CXLVI), dice S. Agostino. Sperando nella sua misericordia, risorgiamo, dunque, e subito. «Risorgiamo, o cari, sebben tardi, e stiamo saldamente in piedi» (S. Giov. Cris. In Epist. I ad Cor. Hom. 23, 4).

Graduale 

Ps VIII: 2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in universa terra!
[Signore, Signore nostro, quanto ammirabile è il tuo nome su tutta la terra!]
V. Quóniam eleváta est magnificéntia tua super cœlos. Allelúja, allelúja
[Poiché la tua magnificenza sorpassa i cieli. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps LVIII: 2
Alleluja, Alleluja

Eripe me de inimícis meis, Deus meus: et ab insurgéntibus in me líbera me. Allelúja.  [Allontànami dai miei nemici, o mio Dio: e líberami da coloro che insorgono contro di me. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIX: 41-47
“In illo témpore: Cum appropinquáret Jesus Jerúsalem, videns civitátem, flevit super illam, dicens: Quia si cognovísses et tu, et quidem in hac die tua, quæ ad pacem tibi, nunc autem abscóndita sunt ab óculis tuis. Quia vénient dies in te: et circúmdabunt te inimíci tui vallo, et circúmdabunt te: et coangustábunt te úndique: et ad terram prostérnent te, et fílios tuos, qui in te sunt, et non relínquent in te lápidem super lápidem: eo quod non cognóveris tempus visitatiónis tuæ. Et ingréssus in templum, coepit ejícere vendéntes in illo et eméntes, dicens illis: Scriptum est: Quia domus mea domus oratiónis est. Vos autem fecístis illam speluncam latrónum. Et erat docens cotídie in templo”.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXXVII.

 “In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di lei, e disse: Oh? se conoscessi anche tu, e in questo tuo giorno, quello che importa al tuo bene! ma ora questo è a’ tuoi occhi celato. Conciossiachè verrà per te il tempo, quando i tuoi nemici ti circonderanno di trincera, e ti serreranno all’intorno, e ti stringeranno per ogni parte. E ti cacceranno per terra te, e i tuoi figliuoli con te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra; perché non hai conosciuto il tempo della visita a te fatta. Ed entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro che in esso vendevano, e comperavano, dicendo loro: Sta scritto: La casa mia è casa di orazione; e voi l’avete cangiata in spelonca di ladri. E insegnava ogni giorno nel tempio” (Luc., XIX, 41-46).

Sei giorni prima della sua morte il nostro divin Redentore entrava in Gerusalemme quale re in trionfo, accompagnato da’ suoi discepoli e da una moltitudine immensa di gente, che pur vi accorreva per la vicina solennità della Pasqua. Gli uni stendevano le proprie vesti sul passaggio di Lui, altri tagliavano rami dagli alberi e ne coprivano la strada, e l’aria risuonava di lietissimi cantici ad onore di Gesù, poiché tutta quella turba, ricordando i prodigi, ch’Egli aveva operato, ad alta voce andava ripetendo: Benedetto il Re, che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli. Ora, in vista di quel trasporto di gioia, in vista di quelle acclamazioni che cosa faceva Gesù? Ce lo dice il Vangelo di questa mattina. Ascoltate.

1. In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di essa. Sì, o miei cari, ben diversamente da quello che avrebbe fatto un qualche gran capitano, che avesse dovuta far l’entrata trionfale in qualche città, Gesù in tale circostanza piangeva. Alla pubblica gioia, che stava per manifestarsi, Gesù mandava innanzi i suoi sospiri e le sue lagrime. Ma perché questo pianto? – Il Signore aveva fatto al popolo ebreo un numero immenso di segnalatissimi benefizi. La liberazione dalla schiavitù di Egitto, il passaggio del Mar Rosso, la colonna di nube che gli servì di guida all’uscire dal deserto, la manna che per quarant’anni cadeva per lui abbondante e feconda, le acque che scaturirono dalle viscere della rupe, il Giordano passato a piede asciutto da un’armata innumerevole, le mura di Gerico cadute al suono delle trombe, la vittoria su tutti i popoli del paese di Canaan, il sole che si arrestò alla voce del capitano che voleva compiere il suo trionfo, il pieno possesso di quella terra che scorreva latte e miele, e poi tutti que’ profeti che lo istruirono nelle vie del bene e lo richiamarono più volte da quelle del male, e finalmente poi quel re dei profeti, quel Gesù ch’era stato segnalato come il Principe della pace, quel Figliuolo di Dio disceso dal cielo per recare coll’adorabile sua presenza i doni più preziosi dell’amor suo, furono altrettanti prodigi di bontà divina operati in favore di quel popolo privilegiato fra tutti gli altri. Gesù inoltre amava di special amore gli abitanti di Gerusalemme, come la prima porzione del gregge, che il divin Padre gli aveva affidata. Egli desiderava di farsi da essi riconoscere pel loro Messia, pel loro Pastore; bramava che eglino abbracciassero la sua Religione, e così abbandonando il peccato riavessero la vita dell’anima, formassero la sua Chiesa, continuassero ad essere dal Cielo benedetti, ed infine acquistassero l’eterna salute. Ma, per quanto Egli dicesse e facesse, non aveva potuto riuscire nell’amoroso intento, e l’infelice città nella sua gran maggioranza rimaneva ostinata nei vizi. Anzi Ei già vedeva come tra pochi giorni quei figli ingrati, mettendo il colmo ai propri misfatti, avrebbero commesso il più grande dei delitti, dandogli la morte. Ora peccati così enormi gridavano vendetta al cospetto di Dio, e l’ultimo delitto avrebbe costretta la divina Giustizia a versare su quei deicidi il calice dei più spaventevoli castighi. Epperò Gesù in quel giorno del suo trionfo, nell’entrare in Gerusalemme si vide schierare innanzi agli occhi della sua mente divina, da una parte tutti gli immensi benefizi fatti da Dio a quella città e le sue gravissime infedeltà ed orribili ingratitudini, e dall’altra tutte le sciagure, che per conseguenza sarebbero tra poco piombate sopra di lei. Vide come quella, che era la regina delle città, sarebbe tra non molto diventata un mucchio di rovine e il sepolcro de’ suoi abitanti. E alla vista di tanti mali il buon Gesù fu intenerito sino alle lagrime, ed esclamò: « Oh! Gerusalemme, Gerusalemme, se almeno in questo giorno, che è tuttavia per te giorno di grazia, tu sapessi conoscere le cose, che ti potrebbero dare la salute e la pace! Ma ohimè! tutto questo è nascosto agli occhi tuoi. Ed ecco che giorno verrà, in cui i tuoi nemici ti circonderanno d’assedio, ti chiuderanno d’intorno e stringeranno da tutte le parti. Essi ti rovesceranno a terra, non lasceranno più in te pietra sopra pietra, e sotto le tue rovine periranno i tuoi abitatori, perché non hai voluto conoscere la visita, che il Signore ti ha fatta.»  Ecco adunque il perché delle lagrime di Gesù in quella circostanza; perché  sul popolo ebreo pesava la maledizione divina e la più spaventevole delle sciagure a cagione delle sue ingratitudini verso Dio. Ma qui, o miei cari, anziché adirarci contro l’ingrata Gerusalemme, che costrinse Gesù a piangere sopra di lei e a profetare contro di lei i più terribili castighi, rivoltiamo pure il nostro sdegno contro di noi, perciocché non saremo già stati ancor noi tante volte cagione di lagrime a Gesù? Anche noi siamo stati colmati de’ suoi benefizi nell’ordine della natura e nell’ordine della grazia; ma vi abbiamo noi corrisposto meglio del popolo ebreo? Anche noi siamo stati visitati da Dio tante volte, ora con le prosperità, ora eziandio con le disgrazie; ma noi abbiamo riconosciuto meglio di Gerusalemme il tempo della visita del Signore? Ma se pur troppo dobbiamo confessare che per il passato non ci siamo diportati diversamente da quella città, risolviamo senz’altro di por fine a sì ingrata condotta. Da questo punto mettiamoci a corrispondere col massimo impegno alle grazie ed alle ispirazioni di Dio; perché se non lo facessimo, dovremmo temere che Iddio, sdegnato giustamente contra di noi, pronunzi anche per noi la sentenza terribilissima del suo abbandono. Ed allora che avverrebbe di noi? Vedete quel giovane, quell’uomo che non mette più piede in chiesa, che non vuole più sentire a parlar di Dio, di Religione, che bestemmia con un accanimento infernale? Egli aveva pur ricevuto il Battesimo, era pur stato allevato cristianamente, aveva pur fatto più volte la Comunione… sì, egli aveva ricevuto tutte queste grazie; ma egli le disprezzò villanamente, e Dio lo abbandonò. Il suo intelletto si è oscurato, la sua fede è morta, egli cammina nelle tenebre, i demoni già circondano l’anima sua per impadronirsene, non appena Iddio reciderà a questo infelice il filo della sua vita. Ecco la tremenda sciagura che accade a tanti Cristiani, i quali disprezzano i benefizi del Signore, le sue visite di misericordia. Che Iddio ne scampi! Ma intanto per scamparne davvero non lasciamo di fare noi la parte nostra.

2. Prosegue il Vangelo di questa mattina a dirci che il Redentore dopo di aver pianto sopra la città di Gerusalemme entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro, che in esso vendevano e compravano. Per ben intendere questo fatto del divin Redentore dovete sapere che nell’antica legge si facevano a Dio dei sacrifici per mezzo di animali, di farina, di olio, di incenso e simili, e che tutto ciò, che era necessario a questi sacrifici, a Gerusalemme dapprima vendevasi sul mercato della città. Ma poscia i sacerdoti ebrei, sotto pretesto della comodità del popolo, in realtà però per soddisfare la loro avarizia, trasportarono il mercato nel recinto esterno del tempio. Quel recinto era chiamato l’atrio dei Gentili, perché tutte le nazioni profane potevano entrarvi, e vi si erano stabiliti gli stessi mercatanti, i quali pagavano un enorme prezzo pel posto che occupavano, ed intervenivano tutti i giorni per attendere al loro commercio. Ora, essendo vicina la festa di Pasqua, eravi colà una gran moltitudine d’uomini e di animali, ed una tumultuosa agitazione turbava la calma, che conviene alla casa del Signore. Gesù, indignato di questa profanazione, pigliò delle funi, ne fece un flagello, e con forza scacciò e venditori e compratori; e tutti innanzi a Lui fuggirono senza opporre la più lieve resistenza, perciocché, come ci fa sapere S. Girolamo, dagli occhi di Gesù usciva un fuoco brillante e terribile, e lo splendore della sua maestà divina rifletteva sul suo volto. Gesù adunque con questa manifestazione di zelo e con questa severità di correzione ci ha fatto chiaramente intendere che per coloro, che sono costituiti in autorità, è un dovere assoluto il correggere chi non fa bene, e che in certe occasioni bisogna pur correggere con severità. Dal che, o cari giovani che mi ascoltate, dovete comprendere che i vostri genitori e i vostri superiori correggendovi non operano di loro capriccio, ma compiono un dovere gravissimo, che hanno dinnanzi a Dio, e che Iddio ripetutamente e persino con minacciò ha loro imposto. Epperò sappiate che chi vi rimprovera e vi correggo dei vostri difetti, o errori, o vizi, è un angelo inviato dal cielo, un ministro santo che a nome di Dio vi annunzia la sua volontà e stacca l’anima vostra dalla terra. Sappiate che quanto egli fa è d’un prezzo infinito per voi, e per conseguenza a voi corro obbligo di riceverlo con rispetto, con amore, con riconoscenza. A quel modo che un infermo in pericolo della salute ascolta e osserva tutto quel che ordina il medico, per quanto duro e penoso gli paia il metodo della cura; così dice S. Basilio, chi è umile e desidera veracemente la salvezza dell’anima propria, ascolta e pratica, non pur senza difficoltà, ma con gioia, la correzione ancorché acerba e tagliente. Quanto è buona cosa pentirsi, allorché si riceve una riprensione! esclama l’Ecclesiastico, poiché s’evita per ciò il peccato volontario. Quelli che accolgono le correzioni, i rimproveri, i consigli con umiltà, pazienza, riconoscenza e amore, compariranno al tribunale di Dio, in faccia all’universo, risplendenti di luce simile a quella dei martiri, dicendo Sant’Agostino che un certo qual genere, e non inglorioso, di martirio, è sopportar lieti chi ci rimprovera. Ricevete adunque le riprensioni con riconoscenza e gioia, perché così facendo voi onorerete in perfetto modo Iddio, e gli offrirete un accettevolissimo sacrifizio; perché umiliandovi profondamente e sopportando pazientemente, riuscirete vittoriosi di voi medesimi, che è la più bella, la più gloriosa ed importante delle vittorie; perché la correzione è grazia segnalata di Dio, con la quale accerterete la vostra salute e vi riscatterete dalle pene dell’inferno; e finalmente perché porgerete altrui l’esempio ed il modello d’una grande virtù. Al contrario chi soffre di mal animo d’essere ripreso e corretto, costui offende Dio, è un orgoglioso, una copia del demonio, va di male in peggio, perde quanto aveva di virtuoso, dà grave scandalo, e si prepara orribili tormenti nell’inferno. Chi vuole operare affidato ai soli suoi lumi, opera da empio, dice la Sacra Scrittura.

3. Aggiunge da ultimo il Vangelo che percuotendo i mercatanti e rovesciando i loro banchi, il Salvatore diceva: Sta scritto: La mia casa è casa di orazione, e voi ne fate una spelonca di ladroni. E ben a ragione, perché quel tempio eretto in onore di Dio, comandava la venerazione ed il raccoglimento. Ivi il Signore rendeva i suoi oracoli ed il popolo doveva presentarvisi per adempiere al debito della preghiera. Ma che direm noi delle nostre chiese? Non sono esse per eccellenza la casa di Dio? Senza dubbio, giacché in esse più che l’arca dell’alleanza, più che le tavole della legge, più che la manna miracolosamente conservata, più che i sacrifici dell’antica legge, sacrifici che non erano altro che ombre e figure, voi trovate l’eucaristico Sacrificio, la immolazione quotidiana di Colui, che per noi è morto su della croce; trovate la reale presenza di Gesù Cristo nel suo SS. Sacramento; trovate tutti i soccorsi che può richiedere l’anima vostra per compiere la sua salute. E che ci vuole di più per ispirarci profondo rispetto e religiosa venerazione verso di esse? Entrando in questi sacri luoghi, non dovremmo esser presi da un sacro timore, ed esclamare come un antico Patriarca: Terribile è questo luogo! è la vera casa di Dio, la porta del cielo? Sì, i templi sono un nuovo cielo, ove Iddio abita cogli uomini, poiché chi dimora nell’augusto tabernacolo è lo stesso Iddio che i Santi adorano in cielo. Di modo che noi dovremmo al pari di loro annientarci colla mente e col cuore innanzi alla divina maestà. Nelle chiese essa, è vero, rimane velata; ma non è meno degna delle profonde nostre adorazioni. Come dunque si osa entrare nelle chiese senza rispetto? come starvi senza modestia e raccoglimento, e spesso anche con uno scandaloso dissipamento? Per di più nel tempio ogni cosa ci parla dei benefizi di Dio; il sacro fonte, ove insieme con la vita della grazia abbiamo ricevuto l’inestimabile diritto alla celeste eredità; i tribunali di penitenza, ove spesso ci siamo mondati delle nostre colpe, e abbiamo guarite le nostre piaghe; la croce, sulla quale per noi moriva Gesù Cristo; e finalmente l’altare, su cui ogni giorno si sacrifica l’Uomo-Dio per applicarci il frutto de’ suoi patimenti, ed ai cui piedi ricevemmo lo Spirito Santo nella Cresima, e riceviamo Gesù Cristo nel santissimo Sacramento. Tutte queste cose dovrebbero riempire la nostra mente di bei pensieri, e il nostro cuore di pii sentimenti, e farci caro il soggiorno in questo luogo santo! E come avviene che vi si va talora con ripugnanza, che vi si sta con disgusto, e occupati di pensieri vani, per non dire anche colpevoli? Tanti monumenti della bontà divina non dicono nulla al nostro cuore? Quale ingiuria è mai corrispondere con una sì colpevole indifferenza a bontà sì grande! I Turchi hanno tale rispetto ed amore per le loro moschee, che non vi passano mai dinnanzi senza darne un esteriore contrassegno: un cavaliere che passando davanti ad esse non scendesse da cavallo sarebbe punito rigorosamente. Essi vi entrano scalzi, ovvero con pianelle a ciò solo destinate: e vi stanno col più profondo raccoglimento: il loro contegno e la loro modestia sono tali da farli sembrare piuttosto religiosi di un convento che uomini infedeli. Molte volte chinano la fronte al suolo per umiliarsi alla presenza di Dio: e quando pregano, nessuno vi ha che giri intorno lo sguardo. Il volgere la parola ad un altro in quell’atto, è giudicato un delitto; onde non mai avviene di vedere durante la preghiera un turco parlare con un altro. E se qualche cosa a lui si dice, non risponde: se anche lo si ingiuriasse, non guarderebbe chi è che l’ingiuria. Or questi infedeli non saranno un dì la confusione di coloro i quali vanno tanto di rado in chiesa, e quando vi vanno, pregano con sì poca attenzione e con tanta irriverenza? D’ora innanzi, o miei cari, procuriamo di essere sempre ben compresi del rispetto che si deve alla casa di Dio. Veniamo in essa volentieri a pregare il Signore, essendo essa la casa dell’orazione; e Iddio non mancherà di ascoltare le nostre suppliche e ci farà uscire dalla sua casa, come dice la Chiesa, lieti di avere impetrato quanto a Dio abbiamo nella sua casa richiesto.

Credo …

Offertorium

Orémus
Ps XVIII: 9-12
Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulcióra super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea.
[La legge del Signore è retta e rallegra i cuori, i suoi giudizii sono piú dolci del miele e del favo: e il servo li custodisce.]

Secreta

Concéde nobis, quǽsumus, Dómine, hæc digne frequentáre mystéria: quia, quóties hujus hóstiæ commemorátio celebrátur, opus nostræ redemptiónis exercétur. [Concedici, o Signore, Te ne preghiamo, di frequentare degnamente questi misteri, perché quante volte si celebra la commemorazione di questo sacrificio, altrettante si compie l’opera della nostra redenzione.]

Communio

Joann VI: 57
Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo, dicit Dóminus.
[Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, ed io in lui, dice il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Tui nobis, quǽsumus, Dómine, commúnio sacraménti, et purificatiónem cónferat, et tríbuat unitátem.
[O Signore, Te ne preghiamo, la partecipazione del tuo sacramento serva a purificarci e a creare in noi un’unione perfetta.]