DOMENICA DI QUINQUAGESIMA [2019]
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus Ps XXX: 3-4
Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me. – [Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guidami e assistimi.]
Ps XXX:2
In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me. – [In Te, o Signore, ho sperato, ch’io non resti confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e sàlvami.]
Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me. – [Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guídami e assistimi.]
Orémus. Preces nostras, quaesumus, Dómine, cleménter exáudi: atque, a peccatórum vínculis absolútos, ab omni nos adversitáte custódi. [O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le nostre preghiere: e liberati dai ceppi del peccato, preservaci da ogni avversità.
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.
1 Cor XIII: 1-13
“Fratres: Si linguis hóminum loquar et Angelórum, caritátem autem non hábeam, factus sum velut æs sonans aut cýmbalum tínniens. Et si habúero prophétiam, et nóverim mystéria ómnia et omnem sciéntiam: et si habúero omnem fidem, ita ut montes tránsferam, caritátem autem non habúero, nihil sum. Et si distribúero in cibos páuperum omnes facultátes meas, et si tradídero corpus meum, ita ut árdeam, caritátem autem non habuero, nihil mihi prodest. Cáritas patiens est, benígna est: cáritas non æmulátur, non agit pérperam, non inflátur, non est ambitiósa, non quærit quæ sua sunt, non irritátur, non cógitat malum, non gaudet super iniquitáte, congáudet autem veritáti: ómnia suffert, ómnia credit, ómnia sperat, ómnia sústinet. Cáritas numquam éxcidit: sive prophétiæ evacuabúntur, sive linguæ cessábunt, sive sciéntia destruétur. Ex parte enim cognóscimus, et ex parte prophetámus. Cum autem vénerit quod perféctum est, evacuábitur quod ex parte est. Cum essem párvulus, loquébar ut párvulus, sapiébam ut párvulus, cogitábam ut párvulus. Quando autem factus sum vir, evacuávi quæ erant párvuli. Vidémus nunc per spéculum in ænígmate: tunc autem fácie ad fáciem. Nunc cognósco ex parte: tunc autem cognóscam, sicut et cógnitus sum. Nunc autem manent fides, spes, cáritas, tria hæc: major autem horum est cáritas.”
Omelia I
ECCELLENZA DELLA CARITÀ
[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]
S. PAOLO
“Fratelli: Se parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, e non ho carità, sono come un bronzo sonante o un cembalo squillante. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutto lo scibile, e se avessi tutta la fede così da trasportare i monti, e non ho la carità, non sono nulla. E se distribuissi tutte le mie sostanze in nutrimento ai poveri ed offrissi il mio corpo a esser arso, e non ho la carità, nulla migiova. La carità è paziente, è benigna. La carità non è invidiosa, non è avventata, non si gonfia, non è burbanzosa, non cerca il proprio interesse, non s’irrita, non pensa al male; non si compiace dell’ingiustizia, ma gode della verità: tutto crede, tutto spera, tutta sopporta. La carità non verrà mai meno. Saranno, invece, abolite le profezie, anche le lingue cesseranno, e la scienza pure avrà fine. Perché la nostra conoscenza è imperfetta, e imperfettamente profetiamo; quando, poi, sarà venuto ciò che è perfetto, finirà ciò che è imperfetto. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, giudicavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma diventato uomo, ho smesso ciò che era da bambino. Adesso noi vediamo attraverso uno specchio, in modo oscuro; ma allora, a faccia a faccia. Ora conosco in parte; allora, invece, conoscerò così, come anch’io sono conosciuto. Adesso queste tre cose rimangono: la fede, la speranza, la carità; ma la più grande di esse è la carità”. (1. Cor. XIII, 1-13).
I diversi doni spirituali, di cui erano stati abbondantemente arricchiti i fedeli di Corinto, dovevano essere tenuti tutti nel medesimo pregio. Se alcuni avevano doni più appariscenti degli altri, li avevano avuti da Dio, che distribuisce le grazie come a lui piace. Questi doni poi, come le membra di un sol corpo, dovevano concorrere a vicenda nel promuovere il bene comune, della Chiesa. Nessuno, dunque, deve invidiare i doni degli altri. Del resto c’è un bene molto più desiderabile di tutti questi doni: la carità. Di questa l’Apostolo dimostra l’eccellenza nell’epistola di quest’oggi. Essa, infatti.
1. È necessaria più di tutti i doni,
2. È l’anima di tutte le virtù,
3. Dura nella vita eterna.
1.
Se parlassi le lingue degli. uomini e degli Angeli e non ho carità, sono come un bronzo sonante o un cembalo squillante.
I doni che qui enumera S. Paolo sono di grandeimportanza. Parlar lingue sconosciute; parlar come parlano tra loro gli Angeli in cielo; predire il futuro;intendere i misteri, spiegarli e persuaderli agli altri; avere il dono d’una fede, che all’occorrenza operi prodigi strepitosi, come il trasporto delle montagne; aver l’eroismo di distribuire tutte le proprie sostanze, di gettarsi nel fuoco o di sacrificare, comunque, la propria vita persalvare quella degli altri, non è certamente da tutti. Ilpossedere uno solo di questi doni, il compiere una soladi queste azioni, basterebbe a formare la grandezza diun uomo.S. Paolo, che doveva conoscer bene tutti questi doni, da quello di parlar lingue straniere a quello di voler sacrificarsi per il prossimo, afferma che. son superati daun altro bene: la carità. È tanto grande la carità, che senza di essa tutti gli altri doni mancano di pregio. È vero che questi doni non sono inutili per coloro, in cui il favore di Dio li concede; ma sono inutili, senza la carità,per il bene spirituale di chi li possiede. Sono come il danaroche uno distribuisce agli altri, non serbando nulla persé. Arricchisce gli altri, ed egli si trova in miseria. Che giova a Balaam predire, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, la grandezza d’Israele, quando egli si fa ispiratore di prevaricazioni abominevoli, perché sopra Israele cadano i tremendi castighi di Dio? (Num. XXIV, 2 ss.) Che giova a Giuda aver avuto il mandato di predicare il regno di Dio e di risanare gli infermi? Anche coi doni più eccellenti, anche con le azioni più eroiche non cessiamo di essere iniqui agli occhi di Dio, se ci manca la carità. Gesù Cristo ci fa sapere che molti nel giorno del giudizio diranno: «Signore, non abbiamo noi profetato nel nome tuo, e non abbiamo nel tuo nome cacciato i demoni, e nel nome tuo non abbiam fatto molti prodigi?» Ma Gesù dirà loro: «Non v’ho mai conosciuti: ritiratevi da me, operatori d’iniquità» (Matt. VII, 22-23). Come possono essere operatori d’iniquità, coloro che compiono tali prodigi nel nome di Dio? Intanto uno è iniquo, in quanto non possiede la carità. «Chi non possiede la carità è senza Dio» (S. Pier Grisol. Serm. 53). E lontani da Dio non si può esser che suoi nemici, meritevoli della sua maledizione. Anche senza doni straordinari, anche senza l’opportunità di compiere atti eroici, a tutto basta, a tutto supplisce la carità. «Io credo — dice S. Agostino — che questa sia quella margherita preziosa, della quale sta scritto nel Santo Vangelo che, un mercante, trovatola dopo una lunga ricerca, vendette tutte le cose che aveva per poterla comperare. Questa preziosa margherita è la carità, senza la quale nulla ti giova di quanto possiedi: questa sola, se l’hai, ti può bastare. ((2) In Ep. Ioa. Tract. 5, n. 7).
2.
La carità è paziente, è benigna. La carità non è invidiosa, non è avventata, ecc. – L’Apostolo, dopo aver dettoche la carità è più eccellente di qualsiasi dono, passaa mostrarne i caratteri. S. Gerolamo, riportata questadescrizione, conchiude : «La carità è la madre di tuttele virtù » (Ep. 82, 11 ad Theoph.). Per la carità noi amiamo Dio per se stesso e il prossimo per amor di Dio. Questo amore dev’essere necessariamente l’anima di tutte le nostre azioni, sia che riguardino Dio, sia che riguardino il prossimo. Così, la città spinse gli Apostoli alla conquista del mondo, e li rese forti e costanti a traverso tutte le difficoltà. La carità sostenne fino all’ultimo i martiri, rendendoli trionfatori dei più raffinati tormenti. La carità rese prudenti i confessori contro tutte le insidie, e li fece perseverare nella via retta dei comandamenti. La carità fa vivere sulla terra angeli in carne, e adorna questa misera valle di lagrime dei fiori d’ogni virtù. Essa stacca da questa terra il cuor dell’uomo e lo accende del desiderio di unirsi a Dio così da poter dire con l’Apostolo: «Bramo di sciogliermi dal corpo per essere con Cristo» (Filipp. 1, 23). Nelle relazioni col prossimo la carità ci fa esercitare la mansuetudine, la pazienza, la mortificazione dell’amor proprio, l’umiltà, il disinteresse. Essa ci spinge a toglier disordini, ad allontanare scandali, a sopprimere abusi, a evitar liti, a estinguere odi. Se tutti gli uomini nelle loro relazioni fossero guidati nella carità, non ci sarebbero più tribunali. La carità, insomma, indirizza, perfeziona, innalza, avvalora, santifica tutte le nostre azioni. Ecco perché i Santi cercavano di progredire sempre più nella carità, anteponendola, nella stima, a tutte le grande azioni. Un giorno si vollero fare congratulazioni al Beato Bellarmino per tutto quello che aveva fatto in servizio della Chiesa. Ma il Beato respinge prontamente la lode con queste belle parole: «Una piccola dramma di carità val più di quanto io possa aver fatto» (Raitz. von Frentz. Der ehrw. Kardinal Rob. Bellarm. Freiburg, 1923, p. 141).
3.
L’eccellenza della carità risalta ancor più dal fatto che durerà eternamente. La carità non verrà mai meno. In cielo non ci saranno più profezie, non ci sarà più il dono delle lingue, non essendovi alcuno che abbia bisogno di essere istruito. Ci sarà ancora, invece, la carità. Su questa terra abbiam bisogno della fede, della speranza e della carità, che sono come i tre organi essenziali della vita cristiana, e sono, quindi, indispensabili per la nostra santificazione. Ma la fede e la speranza cesseranno nell’altra vita, L’Angelo sveglia S. Pietro nell’oscurità del carcere, lo guida a traverso le tenebre e le guardie, e scompare. L’Angelo Raffaele fa da guida a Tobia nel viaggio a Rages, lo libera nei pericoli, lo sostiene nella sua opera, ma un giorno dice: « Ora è tempo che io torni a Colui che mi ha mandato » (Tob. XII, 20). – La fede ci fa da guida in questa vita, mostrandoci la via che conduce al cielo. La speranza ci preserva dallo scoraggiamento, e, mostrandoci i beni della patria celeste, accende la nostra carità, la quale, a traverso a qualunque ostacolo, ci fa pervenire alla meta sperata. Qui, il compito della fede e della speranza è finito. Quando vediamo ciò che la fede insegna, essa cessa di sussistere: quando possediamo ciò che si sperava cessa la speranza. Solamente la carità non si ferma alla soglia della seconda vita. Essa vi entra con noi, ed entra nel regno suo proprio. Alla fede sottentrerà la visione di Dio; alla speranza sottentrerà la beatitudine: ma nulla sottentrerà alla carità, la quale, anzi, vi avvamperà maggiormente. Se quaggiù, non conoscendo Dio che per la fede, lo amiamo; quanto più deve crescere il nostro amore quando lo vedremo svelatamente? Quando contempleremo la sua bellezza che supera la bellezza delle anime più giuste e più sante; che supera la bellezza di tutti gli spiriti celesti più eccelsi; che supera tutto ciò che di bello e di buono si può immaginare, la nostra carità non avrà più limiti. Tutti gli ostacoli che quaggiù si oppongono alla carità, lassù saranno tolti. Tutto, invece, servirà ad accenderla. Se Dio non ci ha dato doni straordinari; se non abbiamo un forte ingegno, un’istruzione profonda: se non possediamo beni di fortuna: se la salute non è di ferro; se il nostro aspetto non è gradevole: non siamo inferiori, davanti a Dio, a tutti quelli che posseggono questi doni, qualora abbiamo la carità. Anzi siamo a essi immensamente superiori, se tutti questi loro doni non sono accompagnati dalla carità. Noi dobbiam curare di essere accetti agli occhi di Dio. In fondo, è un niente tutto quel che non è Dio. « Dio è Carità » (1 Giov. IV, 8). In questa fornace ardente accendiamo i nostri cuori qui in terra, se vogliamo andare un giorno a inebriarci in Dio su nel Cielo.
Graduale:
Ps LXXVI:15; LXXVI:16
Tu es Deus qui facis mirabília solus: notam fecísti in géntibus virtútem tuam. . [Tu sei Dio, il solo che operi meraviglie: hai fatto conoscere tra le genti la tua potenza.]
Liberásti in bráchio tuo pópulum tuum, fílios Israel et Joseph
[Liberasti con la tua forza il tuo popolo, i figli di Israele e di Giuseppe.]
Tratto: Ps XCIX:1-2
Jubiláte Deo, omnis terra: servíte Dómino in lætítia, V. Intráte in conspéctu ejus in exsultatióne: scitóte, quod Dóminus ipse est Deus. V. Ipse fecit nos, et non ipsi nos: nos autem pópulus ejus, et oves páscuæ ejus.
[Acclama a Dio, o terra tutta: servite il Signore in letizia. V. Entrate alla sua presenza con esultanza: sappiate che il Signore è Dio. V. Egli stesso ci ha fatti, e non noi stessi: noi siamo il suo popolo e il suo gregge.]
Evangelium
Luc XVIII:31-43
“In illo témpore: Assúmpsit Jesus duódecim, et ait illis: Ecce, ascéndimus Jerosólymam, et consummabúntur ómnia, quæ scripta sunt per Prophétas de Fílio hominis. Tradátur enim Géntibus, et illudétur, et flagellábitur, et conspuétur: et postquam flagelláverint, occídent eum, et tértia die resúrget. Et ipsi nihil horum intellexérunt, et erat verbum istud abscónditum ab eis, et non intellegébant quæ dicebántur. Factum est autem, cum appropinquáret Jéricho, cæcus quidam sedébat secus viam, mendícans. Et cum audíret turbam prætereúntem, interrogábat, quid hoc esset. Dixérunt autem ei, quod Jesus Nazarénus transíret. Et clamávit, dicens: Jesu, fili David, miserére mei. Et qui præíbant, increpábant eum, ut tacéret. Ipse vero multo magis clamábat: Fili David, miserére mei. Stans autem Jesus, jussit illum addúci ad se. Et cum appropinquásset, interrogávit illum, dicens: Quid tibi vis fáciam? At ille dixit: Dómine, ut vídeam. Et Jesus dixit illi: Réspice, fides tua te salvum fecit. Et conféstim vidit, et sequebátur illum, magníficans Deum. Et omnis plebs ut vidit, dedit laudem Deo.” –
Omelia II
[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino, 1921] SPIEGAZIONE XIV
In quel tempo prese seco Gesù i dodici Apostoli, e disse loro: Ecco che noi andiamo a Gerusalemme, e si adempirà tutto quello che è stato scritto da1 profeti intorno al Figliuolo dell’uomo. Imperocché sarà dato nelle mani de’ Gentili, e sarà schernito e flagellato, e gli sarà sputato in faccia, e dopo che l’avran flagellato, lo uccideranno, ed ei risorgerà il terzo giorno. Ed essi nulla compresero di tutto questo, e un tal parlare era oscuro per essi, e non intendevano quel che loro si diceva. Ed avvicinandosi Egli a Gerico, un cieco se ne stava presso della strada, accattando. E udendo la turba che passava, domandava quel che si fosse. E gli dissero che passava Gesù Nazareno. E sclamò, e disse: Gesù figliuolo di David, abbi pietà di me. E quelli che andavano innanzi lo sgridavano perché si chetasse. Ma egli sempre più esclamava: Figliuolo di David, abbi pietà di me. E Gesù soffermatosi, comandò che gliel menassero dinnanzi: E quando gli fu vicino lo interrogò, dicendo: “Che vuoi tu ch’Io ti faccia? E quegli disse: Signore, ch’io vegga. E Gesù dissegli: Vedi; la tua fede ti ha fatto salvo. E subito quegli vide, e gli andava dietro glorificando Dio. E tutto il popolo, veduto ciò, diede lode a Dio. (Luc. XVIII, 31-43).
Il divin Redentore era ormai giunto al termine della sua vita privata e pubblica. Quanti sublimi esempi aveva egli dato agli uomini! Quante verità aveva loro insegnato! E quanti benefizi aveva loro compartiti! Eppure molti lo odiavano e lo cercavano a morte. Anzi in Gerusalemme i pontefici ed i farisei avevano mandato un ordine che chi sapesse dove si fosse, ne desse avviso, affine di averlo nelle mani. Tuttavia Gesù, sapendo che l’ora sua non era ancor venuta, si teneva nascosto in luogo appartato, dedicandosi interamente alla coltura de’ suoi discepoli. Ma avvicinandosi la festa di Pasqua, vedendo Gesù come pure avvicinavasi il tempo del suo sacrificio, con ferma risoluzione e con magnanima intrepidezza si mise in via per recarsi a Gerusalemme. E fu appunto in questo viaggio che il divin Redentore pronunziò le parole ed operò il miracolo, che si riferiscono nel Vangelo di questa mattina, e che noi considereremo alquanto per nostro ammaestramento.
1. Camminava adunque Gesù verso di Gerusalemme, e lungo la via sembrava più pensieroso del solito. Spesso camminava solo, davanti ai suoi discepoli; e questi lo seguivano spaventati senza osare di avvicinarlo ed interrogarlo. – Ma Gesù ad un tratto appressati a sé i dodici Apostoli, prese a dir loro: Ecco che noi andiamo a Gerusalemme, e si adempirà tutto quello che è stato scritto dai profeti intorno al Figliuolo dell’uomo. Imperciocché sarà dato nelle mani dei Gentili, e sarà schernito e flagellato, e gli sarà sputato in faccia: e dopo che l’avran flagellato, lo uccideranno, ed ei risorgerà il terzo giorno. –Così parlava Gesù durante il suo cammino. Non era certamente quella la prima volta che Gesù annunziava ai suoi discepoli i suoi patimenti e la crudeltà degli uomini che lo avrebbero fatto morire. Ma poiché il tempo della sua morte si avvicinava, Egli volle ancor un’altra volta entrare nei particolari, ridire le circostanze della sua passione, e fermare il pensiero sopra della morte che avrebbe incontrata. Egli per tal modo dava una importante lezione anche a noi. Egli ci insegnava ad occuparci anche noi della morte nostra, affinché con questo pensiero nella mente attendiamo a prepararvici in modo da assicurarci la beata eternità. Che se questo pensiero è salutarissimo in ogni tempo, quanto più lo è in questi giorni, in cui il mondo cerca di trascinare gli uomini nelle più pazze e nei più rei disordini! Ed è appunto perciò che la Chiesa, come a far cessare simili traviamenti, di questa settimana prendendo tra le sue mani le ceneri benedette e ponendocele sulla fronte ci invita a considerare la morte. E noi entrando nelle sue mire consideriamola un istante fin d’adesso. E per ben considerare che cosa sia la morte, andiamo col pensiero intorno al letto di un moribondo e in presenza di lui leggiamo il decreto, che Dio fa sentire a tutti gli uomini per bocca dell’Apostolo S. Paolo: È stabilito che tutti gli uomini debbano una volta morire. Tutti quelli che vissero dal principio del mondo fino adesso, tutti dovettero sottoporsi a questo decreto. Non vi è né scienza, né potenza, né sanità, né robustezza che possa resistere alla morte. Dice S. Agostino che si resiste al ferro, al fuoco, all’acqua, ma chi può resistere alla morte? Andiamo a cercare chi esista ancora di tanti re, monarchi, imperatori, che vissero ne’ tempi passati; tutti mutarono paese e se ne andarono all’eternità. Di essi più non rimane se non qualche iscrizione sopra la loro tomba, e se apriamo gli stessi loro sepolcri altro più non vediamo che un pugno di cenere, che in breve sarà dispersa coll’altra polvere della terra. Dice S. Bernardo: Dimmi, dove sono gli amatori del mondo? Ed egli medesimo risponde: Niente rimase di loro se non vermi e polvere. Almeno sapessimo il luogo e l’ora di nostra morte: ma no, dice il Salvatore, essa verrà quando meno ve lo pensate. Può essere che la morte ci sorprenda nel nostro letto, sul lavoro, per istrada od altrove. Una malattia, una febbre, un accidente, qualche cosa che cada addosso, un colpo di assassino, un fulmine, sono tutte cose che tolsero a tanti la vita e possono torla egualmente a noi. Ciò può essere da qui ad un anno, da qui ad un mese, ad una settimana, ad un giorno, ad un’ora, ad un’istante. Miei cari, se la morte ci colpisse in questo momento che sarebbe dell’anima nostra? Guai a noi, se non ci teniamo preparati; chi oggi non è preparato a morir bene, corre grave pericolo di morir male. Forse potremo lusingarci, che la morte non venga per noi? Niuno fu mai così stolto da credersi esente dalla morte. Il decreto di morte è per tutti. L’ora della nostra morte verrà, essa è certa. Verrà quel giorno, quella sera, in cui ci troveremo anche noi stesi su di un letto. Se Dio ci concederà un tal favore, avremo un sacerdote a noi vicino, il quale col santo Crocifisso in mano verrà raccomandandoci l’anima al Signore. I parenti e gli amici ne faranno corona piangendo. Oh se noi potessimo presentemente riflettere sui pensieri, che correranno alla nostra mente in quell’ultimo istante di vita! Ora il demonio per indurci a peccare copre e scusa le colpe, ma in morte ne scoprirà la gravezza e ce le metterà innanzi. Ma che fare in quel terribile momento, in cui dobbiamo incamminarci per la eternità? Terribile momento, da cui dipende la nostra eterna salute, o la nostra eterna dannazione. Vicini a quell’ultimo chiuder di bocca ci sarà accesa una candela quasi per far lume all’anima nostra ad intraprendere il cammino dell’eternità. Due volte ci si tiene accesa innanzi una candela: quando siamo battezzati e al punto di morte. La prima volta vediamo i precetti della legge di Dio; la seconda volta conosceremo se furono da noi osservati. Perciò, o miei cari, alla luce di questa candela vedrete se avete amato il vostro Dio, oppure se l’avete disprezzato; se avete avuto in onore il suo santo nome, o lo avete bestemmiato; vedrete lo scandalo dato, la roba non restituita, l’onore del prossimo non riparato; vedrete le confessioni fatte senza dolore, o senza proponimento… Ma oh Dio! tutto vedrete in un momento, nel quale agli occhi vostri si aprirà la vita dell’eternità. O punto, o momento, da cui dipende un’eternità di gloria o di pena! Capite, o miei cari? D a quel momento dipende l’andar per sempre in Paradiso, o per sempre all’Inferno; o sempre contenti o sempre afflitti; o sempre figli di Dio o sempre schiavi del demonio; o sempre godere con gli Angioli e coi Santi in cielo, o gemere ed ardere per sempre coi dannati all’inferno.
2. Ma ritornando ora al Santo Vangelo, vi troviamo scritto che gli Apostoli nulla compresero di quanto Gesù Cristo aveva detto riguardo alla sua passione, morte e risurrezione; che un tal parlare era oscuro per essi e non intendevano quel che loro
si diceva. Ora, come mai, si domanda S. Giovanni Crisostomo, gli Apostoli non intendevano quel cheloro diceva il Divin Maestro? Ecco, risponde lo stesso santo Padre: gli Apostoli vedevano bene, perché il Figliuol di Dio diceva loro che doveva morire; ma non vedevano ancora né il mistero di questa morte, né il bene che doveva derivarne a tutto l’universo; ben sapevano che dei morti potevano essere risuscitati da viventi, ma non capivano che un morto potesse risuscitare se stesso, e risuscitarsi per non più morire. Non sapevano quale doveva essere il genere della sua morte: ed oltreché questo parlare di morte li turbava in generale, le particolari circostanze di scherni, oltraggi e sferzate vieppiù li sorprendevano; è perciò che si trovavano in una grande angustia di spirito, ed ora credevano, ora non credevano, e non potevano ben capire ciò chelor si dicesse. Ma sapete, o miei cari, la gran difficoltà che arrestava gli Apostoli ed impediva lorol’intelligenza delle parole del Divin Maestro e lidava in balla ad una profonda tristezza? Era l’avversione che avevano al patire. Volentieri domandavano un trono al lato di Gesù nella gloria: ma il suo calice d’amarezza, ma le umiliazionie i suoi patimenti non si sentivano il coraggio di incontrarli. – Or ecco la ragione per cui tanti giovani e tanti Cristiani rifuggono dall’intendere e riconoscere l’importanza della pietà cristiana; perché la sua pratica va incontro agli insulti, agli oltraggi, alle persecuzioni del mondo. Sì, certo, il disprezzo, l’insulto, la persecuzione è cosa che come a veri Cristiani non ci può mancare. Gesù Cristo, come predisse la sua passione, così predisse ancora quella, che sarebbe toccata ai suoi seguaci. Egli lo ha detto chiaro agli Apostoli, e nella persona degli Apostoli a tutti : « Vos in mundo pressuram habébitis: voi nel mondo patirete pressure (Joan. XVI, 33). Vi malediranno,vi perseguiteranno, vi metteranno le mani addosso, ve ne faranno d’ogni sorta: non est discipulus super magistrum (Matt. X, 24); il discepolo non sarà trattato diversamente dal maestro; e come ora i maligni si scagliano contro di me, così un giorno si scaglieranno contro di voi ».Così ha parlato Gesù Cristo, epperò l’Apostolo S. Paolo non è altro che l’eco fedele di Lui, quando dice « che tutti quelli che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo soffriranno persecuzioni: Omnes qui pie volunt vivere in Christo Iesu persecutionem patìentur (2 Tim. III, 12). » E difatti che non si dice contro quel giovane, quel Cristiano, perché frequentano la Chiesa e i Sacramenti, non bestemmiano e non partecipano a cattivi discorsi ed a male azioni? Che sono gente devota, imbecille, ignorante e mille altre cose. Ma intanto che accade in ciò? che molti giovani e molti Cristiani abborrendo da simili disprezzi, lasciano eziandio, non ostante la voce della coscienza, la pratica della cristiana pietà. Che ciò non avvenga mai di alcuno di noi. Riflettiamo bene: Gesù Cristo, che fu in su la terra il primo disprezzato, è ora in cielo il primo esaltato. E dopo Gesù sono pur anche per questa ragione esaltati i Santi, i quali, credetelo, se in cielo potessero ancora desiderare qualche cosa, desidererebbero certamente di poter venire ancora in terra per patire ed essere disprezzati di più di quel che lo siano stati. Or bene quella sarà pure la nostra sorte, se soffriremo ora volentieri le ingiurie, i disprezzi, le persecuzioni dei cattivi. Gesù Cristo lo ha detto, ed Egli non falla: « Beati qui persecutionem patiuntur propter iustitiam, quoniam ipsornm est regnum cœlorum (Matt. V, 10). Beati quelli che soffriranno persecuzioni per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli ». Ora noi siamo i derisi, i disprezzati, i perseguitati, e i nostri avversari ridono, sghignazzano, trionfano. Ma verrà un giorno, nel quale le sorti saranno ben mutate. E sarà il giorno dell’universale giudizio, in cui i malvagi trovandosi alla sinistra e vedendo noi alla destra diranno: Ecco là coloro, che noi insensati chiamavamo stolti; le loro opere ci sembravano una vergogna; la vita, che essi menavano ci metteva orrore, tanto appariva miserabile agli occhi nostri; tenevamo per vili le loro persone e credevamo disonorarci coll’entrare in loro compagnia. Ma ora il fatto prova, che i saggi erano essi, e gli stolti noi, caduti adesso nella disperazione e nella infelicità. Disgraziati che siamo! Oh se fossimo stati virtuosi anche noi! Se anche noi avessimo fatto il bene come quei fortunati! Ma noi li abbiamo beffati in mezzo alle nostre passate delizie, ed ora eccoli essi circondati di fiori e coronati di gloria in mezzo ai Santi: « Nos insensati, vitam illorum æstimabamus insaniam et finem illorum sine honore: ecce quomodo computati sunt inter fllios Dei et inter Sanctos sors illorum est (Sap. V , 4) ». E mentre noi, se avremo patito volentieri le persecuzionie le maledizioni del mondo, ci sentiremo a benedire da Dio ed a invitare da Lui al possessodel regno dei cieli: « Venite, benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi (Matt. XXV, 34): i malvagi si sentiranno invece da Dio medesimo a maledire per sempre: Discedite a me, maledicti, in ignem æternum. (Ibid.41) ». In quel giorno adunque, in cui noi siamo insultati e perseguitati per la nostra fede, a somiglianza dei Santi « rallegriamoci, pensando che in Paradiso ci sta preparata una gran mercede per i nostri patimenti: Gaudete et erultate in illa die, quoniam merces vestra copiosa est in coelis (Matt. V, 12)».
3. Passa quindi il Vangelo a narrarci un bel miracolo operato da nostro Signore nelle vicinanze di Gerico. Ed avvicinandosi egli a Gerico, un cieco se ne stava presso della strada, accattando. E udendo la turba che passava, domandava quel che si fosse. E gli dissero che passava Gesù Nazareno. Esclamò, e disse: Gesù Figliuolo di David, abbi pietà di me. E quelli che andavano innanzi, lo sgridavano, perché si chetasse. Ma egli sempre più sclamava: Figliuolo di David, abbi pietà di me. E Gesù soffermatosi, comandò che glielo menassero dinanzi. E quando gli fu vicino lo interrogò, dicendo: Che vuoi tu ch’Io ti faccia? E quegli disse: Signore, ch’io vegga. E Gesù dissegli: Vedi; la tua fede ti ha fatto salvo. E subito quegli vide, e gli andava dietro glorificando Dio. E tutto il popolo, veduto ciò, diede lode a Dio. – In questo fatto del santo Vangelo è certamente ammirabile il desiderio grande, che quel cieco di Gerico aveva di guarire dalla sua cecità, tanto che saputo che presso a lui passava Gesù, e credendo con vivissima fede che poteva guarirlo, si pose a gridare forte: Figliuolo di David, abbi pietà di me; e non lasciò di gridare mai, benché i circostanti gli dicessero di tacere, finché Gesù lo fece condurre a sé e lo guarì con la sua onnipotente parola. Ora questa brama così viva in questo cieco di guarire dalla sua cecità è uno strano contrasto con tanti altri ciechi, che si trovano in una cecità molto più deplorevole e dalla quale pensano poco o nulla a guarire. Questa cecità è quella cagionata in un’anima che si abbandona abitualmente al peccato. S. Giovanni Crisostomo arreca a questo proposito l’esempio scritturale di Giona. Egli riceve l’ordine da Dio di recarsi a Ninive; ma egli rifiuta di obbedire e quindi pecca. Il misero allora che risolve? S’imbarca a Ioppe per farsi trasportare a Tarso e fuggire dalla taccia del Signore. Possibile?! un profeta può cadere in errore sì grossolano? Doveva pur sapere che era cosa impossibile sottrarsi dalla vista e dalle mani dell’Onnipotente. Non aveva mai considerate quelle parole del Salmista: « Ove andrò io per nascondermi al vostro spirito, ed ove fuggirò per togliermi dalla vostra vista? .Nelle viscere della terra? Ma essa è tutta sotto il dominio del Signore. Mi sprofonderò negli abissi dell’inferno? Ma anche colà voi siete presente, o mio Dio. M’ingolferò nei gorghi del mare? Ma voi dappertutto tenete estesa la vostra mano sopra di me ». Tutto questo non poteva ignorare Giona; eppure fugge e calcola di sottrarsi dalla vista e dalla potenza di Dio sdegnato. Perché un’ignoranza tanto incredibile? Il misero è in uno stato di cecità prodotta dal suo peccato. Chi fa il male, dice Gesù Cristo, odia la luce. Come in una profonda oscurità non si distinguono gli oggetti, così nel peccato non si vede più nulla; tutto è tenebre e confusione; il peccatore si trova come in uno stato di ebbrezza. Non vede il pericolo di dannazione eterna che gli sovrasta, l’inferno che sta spalancato ai suoi piedi, la spada ultrice della divina giustizia, che pende sopra il suo capo e che da un istante all’altro può scaricare l’ultimo colpo. La fede è languida e fiacca, e va sempre più indebolendosi, finché a lungo andare si perde totalmente. Pur troppo questo è lo stato di cecità, a cui giungono certi peccatori, che si abusano della divina bontà. E quel che è peggio si è che giunti a questo stato non pensano punto a guarirne. Così vanno innanzi talora i mesi e gli anni senza darsi alcun pensiero della loro miserabile condizione. È bensì vero che Gesù si degna ancora di passar loro vicino con qualche ispirazione, con qualche buon suggerimento e persino alle volte con le turbe dei buoni Cristiani che, partecipando alle grandi manifestazioni religiose, fanno sentire la presenza di Gesù in mezzo agli uomini, contuttociò essi non si commuovono punto e non si risolvono di ricorrere a chi può ridonar loro la vista. Oh se caso mai vi fosse qui tra noi chi si trovasse in sì deplorevole stato di cecità, non tardi più a sollevare con viva fede e con umiltà profonda la sua voce sino a Gesù Cristo e a chiedergli che ne lo liberi e lo faccia vedere. E se vorrà davvero guarire dalla sua infermità, Gesù infinitamente buono non mancherà d’aiutarlo, di aprirgli la intelligenza per conoscere il suo stato, pentirsene e riacquistare la luce della grazia. Tutti poi domandiamo spesso al Signore che ci faccia vedere i doveri che abbiamo da eseguire, le virtù che abbiamo da praticare, i pericoli che dobbiamo temere, affinché tra gli splendori della sua luce, possiamo camminare diritti a quella meta, cui siamo destinati.
Credo …
Offertorium
Orémus Ps CXVIII: 12-13
Benedíctus es, Dómine, doce me justificatiónes tuas: in lábiis meis pronuntiávi ómnia judícia oris tui. [Benedetto sei Tu, o Signore, insegnami i tuoi comandamenti: le mie labbra pronunciarono tutti i decreti della tua bocca.]
Secreta
Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet. [O Signore, Te ne preghiamo, quest’ostia ci purifichi dai nostri peccati: e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]
Communio Ps LXXVII: 29-30
Manducavérunt, et saturári sunt nimis, et desidérium eórum áttulit eis Dóminus: non sunt fraudáti a desidério suo. [Mangiarono e si saziarono, e il Signore appagò i loro desiderii: non furono delusi nelle loro speranze.]
Postcommunio
Orémus. Quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui coeléstia aliménta percépimus, per hæc contra ómnia adversa muniámur. Per eundem … [Ti preghiamo, o Dio onnipotente, affinché, ricevuti i celesti alimenti, siamo muniti da questi contro ogni avversità.]