Continuiamo nella lettura di questa lettera enciclica straordinaria di Papa Pio XII. Di passaggio, segnaliamo il fatto che essa, scritta dall’ultimo Papa dei tempi moderni libero di esprimersi e non impedito, praticamente riassume in modo dettagliato e preciso, tutto il pensiero della Tradizione apostolica, delle sacre Scritture e del Magistero della “vera” Chiesa Cattolica dei millenni precedenti, ed è una pietra tombale, essendo documento infallibile ed irreformabile, per ogni eresia e scisma, per ogni “chiesetta”, monastero virtuale, fraternità e conventicola pseudo-tradizionalista varia, indebitamente eretta senza legittimità apostolica, vere cattedre di pestilenza, ove si proclama, a cominciare dal satanico “novus ordo” dei marrani adoranti il “signore dell’universo”, con sofismi vari fanta-teologici, la perdizione dell’anima ed ogni congerie di blasfemie ed errori. Ma non perdiamoci in ovvie ed inutili considerazioni, leggiamo con somma attenzione.
LA CHIESA È IL CORPO «DI CRISTO»
Fin qui, Venerabili Fratelli, abbiamo visto con particolareggiata trattazione come la Chiesa è talmente costituita da potersi paragonare ad un corpo; rimane ora da esporre chiaramente ed accuratamente per quali motivi essa deve essere dichiarata non un corpo qualsiasi, ma il Corpo di Gesù Cristo. Questo si deduce dall’essere Nostro Signore il Fondatore, il Capo, il Sostentatore e il Conservatore di questo mistico Corpo.
Cristo fu il «Fondatore» di questo Corpo
Cominciando a esporre brevemente in che modo Cristo fondò il suo Corpo sociale, Ci sovviene questa sentenza del Nostro Predecessore Leone XIII di f. m.: “La Chiesa, che già concepita, era nata dallo stesso costato del secondo Adamo dormente in Croce, si presentò per la prima volta agli uomini in maniera luminosa quel giorno solennissimo della Pentecoste” (Enc. “Divinum illud“). Infatti il divin Redentore iniziò la costruzione del mistico tempio della Chiesa, quando predicando espose i suoi precetti; lo ultimò, quando crocefisso, fu glorificato; lo manifestò e promulgò, quando mandò in modo visibile lo Spirito Paraclito sui discepoli.
a) Predicando il Vangelo
Mentre infatti sosteneva l’ufficio di predicatore, eleggeva gli Apostoli e li mandava come Egli stesso era stato mandato dal Padre (Jo. XVII, 18), cioè come dottori, rettori, creatori della santità nel ceto dei credenti, indicava il loro Principe e suo Vicario in terra (cfr. Matth. XVI, 18-19); manifestava loro tutte quelle cose che aveva ascoltato dal Padre (Jo. XV, 15, coll. XVII, 8 et 14); designava anche il Battesimo (cfr. Jo. III, 5), con il quale coloro che avrebbero creduto sarebbero stati inseriti nel Corpo della Chiesa; e finalmente, giunto al termine della vita, istituiva durante l’ultima cena il mirabile sacrificio e mirabile sacramento dell’Eucaristia.
b) Soffrendo sulla croce
Che poi Egli avesse completato la Sua opera sul patibolo della Croce, lo attesta una serie ininterrotta di testimonianze dei Santi Padri, i quali osservano che la Chiesa nacque sulla Croce dal fianco del Salvatore a guisa di una nuova Eva, madre di tutti i viventi (cfr. Gen. III, 20). Dice il grande Ambrogio trattando del costato trafitto di Cristo: ” Ed ora è edificato, ed ora è formato, ed ora… è figurato, ed ora è creato… Ora la casa spirituale si erge in sacerdozio santo” (Ambros. In Luc., 11, 87; Migne, P. L., XV, 1585). Chi religiosamente approfondirà questa veneranda dottrina, senza difficoltà potrà vedere le ragioni sulle quali essa si fonda. – Anzitutto, con la morte del Redentore, successe il Nuovo Testamento alla Vecchia Legge; allora la Legge di Cristo, insieme con i suoi misteri, leggi, istituzioni e sacri riti, fu sancita per tutto il mondo nel sangue di Gesù Cristo. Infatti, mentre il divin Salvatore predicava in un piccolo territorio, non essendo stato inviato se non alle pecorelle della casa d’Israele ch’erano perite (cfr. Matth. XV, 24), avevano contemporaneamente valore la Legge e il Vangelo (cfr. S. Thom., I-II, q. 103, a. 3 ad 2); sul patibolo della Sua morte poi Gesù pose fine alla Legge (cfr. Eph. II, 15) e con i suoi decreti, affisse alla Croce il chirografo del Vecchio Testamento (cfr. Col. II, 14), costituendo nel sangue, sparso per tutto il genere umano, il Nuovo Testamento (cfr. Matth. XXVI, 28; I Cor. XI, 25). ” Allora — dice San Leone Magno, parlando della Croce del Signore — avvenne un passaggio così evidente dalla Legge al Vangelo, dalla Sinagoga alla Chiesa, dalla molteplicità dei sacrifici ad una sola ostia, che, quando il Signore rese lo spirito, quel mistico velo che con la sua interposizione nascondeva i penetrali del tempio e il santo segreto, si scisse con improvvisa violenza da capo a fondo” (Leo M., Serm., LXVIII, 3; Migne, P. L., LIV, 374). – Nella Croce dunque la Vecchia Legge morì, in modo da dover tra breve esser seppellita e divenir mortifera (cfr. Hier. et August. Epist., CXII, 14 et CXVI, 16; Migne, P. L.,XXII, 924 et 943; S. Thom. I-II, p. 103, a. 3 ad 2; ad. 4 ad 1; Concil. Flor., pro Jacob.: Mansi, XXX.7, 1738), per cedere il posto al Nuovo Testamento, di cui Cristo aveva eletto gli Apostoli come idonei ministri (cfr. II Cor. III, 6): e il nostro Salvatore, pur essendo stato già costituito Capo universale dell’umana famiglia fin dal seno della Vergine, esercita pienissimamente nella sua Chiesa l’ufficio di Capo appunto per la virtù della Croce. “Infatti — secondo la sentenza dell’angelico e comune Dottore — Egli meritò la potestà e il dominio sopra le genti per la vittoria della Croce” (cfr. S. Thom. III, q. 42, a. 1); per la medesima, aumentò immensamente per noi quel tesoro di grazia che ora, regnando nel cielo, elargisce senza alcuna interruzione alle Sue membra mortali; per il Sangue sparso sulla Croce fece sì che, rimosso l’ostacolo dell’ira divina, potessero scorrere dalle fonti del Salvatore per la salvezza degli uomini, e specialmente per i fedeli, tutti i doni celesti, soprattutto quelli spirituali, del Nuovo ed eterno Testamento; sull’albero della Croce finalmente si conquistò la Chiesa, cioè tutte le membra del suo mistico Corpo, poiché non si sarebbero unite a questo mistico Corpo col lavacro del Battesimo, se non per la virtù salutifera della Croce, nella quale già sarebbero appartenute alla pienissima giurisdizione di Cristo. – Che se con la Sua morte il nostro Salvatore, secondo il pieno ed integrale significato della parola, è diventato Capo della Chiesa, non altrimenti la Chiesa, per il Suo Sangue, si è arricchita di quella abbondantissima comunicazione dello Spirito, con la quale, in seguito all’elevazione e glorificazione del Figlio dell’uomo sul Suo patibolo del dolore, viene essa stessa divinamente illustrata. Allora infatti, come avverte Agostino (cfr. De pecc. orig., XXV, 29; Migne, P. L., XLIV, 400), squarciatosi il velo del tempio, avvenne che la rugiada dei carismi del Paraclito (discesa fino allora soltanto sul vello di Gedeone, cioè sul popolo d’Israele), essiccato ed abbandonato il vello, irrigasse tutta la terra, cioè la Chiesa Cattolica, la quale non sarebbe circoscritta da nessun termine di stirpe o di territorio. Come dunque, nel primo momento della incarnazione, il Figlio dell’Eterno Padre ornò con la pienezza dello Spirito Santo la natura umana che s’era sostanzialmente unita affinché fosse un adatto strumento della divinità nell’opera cruenta della Redenzione, così nell’ora della Sua morte preziosa volle la Sua Chiesa arricchita dei più abbondanti doni del Paraclito, affinché, nella distribuzione dei divini frutti della Redenzione, divenisse valido e perenne strumento del Verbo incarnato. Infatti, sia la missione giuridica della Chiesa, sia la potestà d’insegnare, di governare e di amministrare i Sacramenti, in tanto hanno forza e vigore soprannaturale per edificare il Corpo di Cristo, in quanto Gesù Cristo pendente dalla Croce aprì alla Sua Chiesa la fonte di quei doni divini, grazie ai quali essa non avrebbe mai potuto errare nell’insegnare agli uomini la sua dottrina, li avrebbe guidati salutarmente per mezzo di Pastori illuminati da Dio e li avrebbe colmati in abbondanza di grazie celesti. – Se poi consideriamo attentamente tutti questi misteri della Croce, non ci sono più oscure le parole con le quali l’Apostolo insegna agli Efesini che Cristo con il Suo Sangue fuse insieme i giudei e i gentili “annullando… nella Sua carne… la parete intermedia” con la quale i due popoli eran divisi; e che abolì l’Antica Legge “per formare in se stesso di due un solo uomo nuovo”, cioè la Chiesa, ed entrambi li riconciliasse a Dio in un Corpo per mezzo della Croce (cfr. Eph. II,14-16).
c) Promulgando la Chiesa nel giorno della Pentecoste
E quella Chiesa che fondò col suo sangue, la fortificò nel giorno della Pentecoste con una peculiare virtù scesa dall’alto. Era asceso al cielo, dopo aver solennemente costituito nel suo ufficio colui che già aveva designato quale Suo Vicario: e sedendo alla destra del Padre, volle manifestare e promulgare la Sua Sposa, nella discesa visibile dello Spirito Santo, con il rumore di un vento veemente e con lingue di fuoco (cfr. Act. II,1-4). Infatti, come Egli stesso, nell’iniziare la Sua missione apostolica, fu manifestato dal Padre Suo per mezzo dello Spirito Santo che discese e rimase su di Lui in forma di colomba (cfr. Luc. 111, 22; Marc. 1, l0) così ugualmente quando gli Apostoli stanno per iniziare il sacro ministero della predicazione, Cristo Signore mandò dal cielo il Suo Spirito, il quale, toccandoli con lingue di fuoco, indicasse loro come un dito divino, la missione e il compito soprannaturale della Chiesa.
Cristo è il «Capo» del Corpo
In secondo luogo, che il Corpo mistico della Chiesa si fregi del nome di Cristo, lo si rivendica dal fatto che in realtà egli da tutti debba essere per speciali ragioni ritenuto Capo della medesima. “Egli stesso — dice l’Apostolo — è il Capo del Corpo della Chiesa” (Col. I, 18). Egli è il Capo dal quale tutto il Corpo, convenientemente organizzato, cresce ed aumenta nella propria edificazione (cfr. Eph. IV, 16 coll.; Col. II, 19). – Sapete certamente, Venerabili Fratelli, con quali belli e luminosi pensieri abbiano trattato questo argomento i Maestri della teologia scolastica, e specialmente l’angelico e comune Dottore; vi è senza dubbio noto che gli argomenti da lui apportati corrispondono fedelmente al principi dei Santi, i quali d’altronde non riportavano altro nei loro commenti e dissertazioni, se non il divino linguaggio della Scrittura.
a) Per motivo di eccellenza
Ci piace quindi trattarne brevemente per comune profitto. E dapprima, è evidente che il Figlio di Dio e della Beata Vergine deve chiamarsi Capo della Chiesa per uno specialissimo motivo di preminenza. Chi infatti è posto in luogo più alto di Cristo Dio, il quale, essendo Verbo dell’Eterno Padre, deve ritenersi “primogenito di ogni creatura”? (Col. 1, 15). Chi mai e situato in un vertice più alto di Cristo Dio, il quale, nato da una Vergine senza macchia, è vero e naturale Figlio di Dio e, per la prodigiosa e gloriosa resurrezione, è il “primogenito dei morti” (Col. I, 18; Apoc. I, 5), avendo trionfato della morte? Chi mai infine e stato collocato in sommità più eccelsa di colui che, come “unico mediatore di Dio e degli uomini”, (I Tim. II, 5), congiunge in modo davvero ammirevole la terra col cielo; che, esaltato sulla Croce come su di un soglio di misericordia, attirò a Sé tutte le cose (cfr. Jo. XII, 32); e che, eletto a figlio dell’uomo tra miriadi, e amato da Dio più di tutti gli uomini, di tutti gli angeli, di tutte le cose create? (cfr. Cyr. Alex. Comm. in Joh.: Migne, P. G., LXXIII, 69; S. Thom. I, q 20, a. 4 ad 1).
b) Per motivo di governo
Poiché Cristo occupa un posto tanto sublime, a buon diritto Egli solo regge e governa la Chiesa; e perciò anche per questo motivo deve essere assomigliato al capo. E infatti, come il capo (per servirCi delle parole di Ambrogio) è il “regale baluardo” del corpo (Hexæm., VI, 55; Migne, P. L., XIV, 265), e da esso, perché fornito delle doti migliori, vengono naturalmente dirette tutte le membra, alle quali è sovrapposto appunto affinché abbia cura di loro (cfr. August. De Agon. Christ., XX, 22, Migne P. L., XL, 301); così il divin Redentore tiene il supremo governo del Cristianesimo. E poiché il reggere una società di uomini non vuol dire altro che dirigerli al loro fine con provvidenza, con mezzi adeguati e con retti principi (cfr. S. Thom., I, q. 22, a. 14), è facile discernere come il nostro Salvatore, che si presenta come forma ed esemplare dei buoni Pastori (cfr. Jo. X, 1-13; I Petr. V, 1-5), eserciti in maniera davvero mirabile tutte queste funzioni. – Egli, infatti, mentre dimorava sulla terra, con leggi, consigli, ammonimenti, c’insegnò quella dottrina che mai non tramonterà e che sarà per gli uomini d’ogni tempo spirito e vita (cfr. Jo. VI, 63). Inoltre partecipò agli Apostoli e ai loro successori una triplice potestà: di insegnare, di governare e di condurre gli uomini alla santità, costituendo tale potestà, ben definita da precetti, diritti e doveri, come legge primaria della Chiesa universale.
… arcano e straordinario
Ma il nostro divin Salvatore dirige e governa anche direttamente da Sé la società da Lui fondata. Egli infatti regna nelle menti degli uomini, e al suo volere piega e costringe anche le volontà ribelli. “Il cuore del re è in mano a Dio, ed Egli lo piega a tutto ciò che vuole” (Prov. XXI, 1). E con questo governo interno Egli “pastore e vescovo delle anime nostre” (cfr. I Petr. 11, 25), non soltanto ha cura dei singoli, ma provvede anche alla Chiesa universale, sia quando illumina e corrobora i suoi governanti a sostenere fedelmente e fruttuosamente le mansioni proprie di ciascuno; sia quando (specialmente nelle circostanze più difficili) suscita dal grembo della Madre Chiesa uomini e donne che, spiccando col fulgore della santità, siano di esempio agli altri cristiani e di incremento al suo Corpo mistico. Inoltre, dal cielo Cristo guarda con amore peculiare alla sua Sposa intemerata, che s’affatica in questa terra d’esilio; e quando la vede in pericolo, la salva dai flutti della tempesta o per sé direttamente, o per mezzo dei suoi angeli (cfr. Act. VIII, 26; IX, 1-19; X, 1-7; XII, 3-10), o per opera di Colei che invochiamo Aiuto dei Cristiani ed anche degli altri celesti protettori; e, una volta sedatosi il mare, la colma di quella pace “che supera ogni senso” (Phil. IV, 7).
… in modo visibile e ordinario attraverso il Romano Pontefice
Non bisogna tuttavia credere che il Suo governo venga assolto soltanto in maniera invisibile (cfr. Leone XIII, Lettera Enciclica “Satis cognitum“) e straordinaria; mentre al contrario il divin Redentore governa il suo Corpo mistico anche in modo visibile e ordinario mediante il suo Vicario in terra. Sapete infatti, Venerabili Fratelli, come Cristo Dio, dopo aver governato in persona il “piccolo gregge” (Luc. XII, 32) durante il suo viaggio mortale, dovendo poi lasciare presto il mondo e ritornare al Padre, affidò al Principe degli Apostoli il governo visibile di tutta la società da Lui fondata . Da sapientissimo quale Egli era, non poteva mai lasciare senza un capo visibile il Corpo sociale della Chiesa che aveva fondata. Né ad intaccare una tale verità si può asserire che, per un primato di giurisdizione costituito nella Chiesa, un tale Corpo mistico sia stato provveduto di un duplice capo. Pietro infatti, in forza del primato, non è altro che un Vicario di Cristo: e in tal guisa si ha di questo Corpo un solo capo principale, cioè Cristo, il quale, pur continuando a governare arcanamente la Chiesa direttamente da Sé, visibilmente però, la dirige attraverso colui che rappresenta la Sua Persona, poiché, dopo la Sua gloriosa ascensione in cielo, non la lasciò edificata soltanto in Sé, ma anche in Pietro, quale fondamento visibile. Che Cristo e il Suo Vicario costituiscano un solo Capo, lo spiegò solennemente il Nostro Predecessore Bonifazio VIII d’immortale memoria con la sua Lettera Apostolica “Unam Sanctam” (cfr. Corp. Jur. Can., Extr. comm. I, 8, 1), e la medesima dottrina non cessarono mai di ribadire i suoi Successori. – Si trovano quindi in un pericoloso errore quelli che ritengono di poter aderire a Cristo, Capo della Chiesa, pur non aderendo fedelmente al suo Vicario in terra. Sottratto infatti questo visibile Capo e spezzati i visibili vincoli dell’unità, essi oscurano e deformano talmente il Corpo mistico del Redentore, da non potersi più ne vedere né rinvenire il porto della salute eterna.
… nelle singole Chiese attraverso i Vescovi
Ciò che qui abbiamo detto della Chiesa universale deve asserirsi anche delle comunità particolari dei cristiani, sia orientali, sia latine, le quali costituiscono una sola Chiesa cattolica. Poiché anch’esse sono governate da Gesù Cristo con la voce e l’autorità del Vescovo di ciascuna. Perciò i Vescovi non soltanto devono esser tenuti quali membra più eminenti della Chiesa universale, perché sono uniti al divin Capo di tutto il Corpo con un vincolo veramente singolare (onde con diritto son chiamati “le principali parti delle Membra del Signore” (Greg. Magn., Moral., XIV, 35, 43; Migne P. L., LXXV, 1062), ma anche in quanto riguarda la propria Diocesi, son veri pastori che guidano e reggono in nome di Cristo il gregge assegnato a ciascuno (cfr. Conc. Vat., Const. de Eccl., cap. 3). Ma mentre fanno ciò, non son del tutto indipendenti, perché sono sottoposti alla debita autorità del Romano Pontefice, pur fruendo dell’ordinaria potestà di giurisdizione comunicata loro direttamente dallo stesso Sommo Pontefice. Perciò essi, come successori degli Apostoli per divina istituzione (cfr. Cod. Jur. Can., can. 329,1), devono essere venerati dal popolo; e ai Vescovi, ornati del carisma dello Spirito Santo, più che ai governanti anche più elevati di questo mondo, si addice il detto: “Non toccate i miei unti” (I Paral. XVI, 22; Psal. CIV, 1.5). – Sicché Ci addolora sommamente, quando Ci viene riferito che non pochi Nostri Fratelli nell’Episcopato, sol perché son veri modelli del gregge e custodiscono (cfr. I Petr. V, 3), con strenua fedeltà il sacro “deposito della fede” (cfr. I Tim. VI, 20) loro affidato, sol perché sostengono con zelo le santissime leggi scolpite da Dio negli animi umani e conforme all’esempio del supremo Pastore difendono dai lupi rapaci il gregge loro affidato, subiscono persecuzioni e vessazioni scagliate non soltanto contro di loro, ma (quel che è per essi più crudele e più grave) anche contro le pecorelle affidate alle loro cure, contro i loro compagni di apostolato e financo contro le vergini consacrate a Dio. Pertanto, reputando diretto contro di Noi stessi un tale affronto, ripetiamo la grande sentenza del Nostro Predecessore Gregorio Magno d’immortale memoria: “Il Nostro onore e l’onore della Chiesa universale; il Nostro onore e il solido vigore dei Nostri Fratelli; e allora Noi ci sentiamo veramente onorati, quando il debito onore non viene negato a ciascuno d’essi” (cfr. Ep. ad Eulog., 30; Migne, P. L., LXXVI, 993).
c) Per motivo di bisogni scambievoli
Né tuttavia bisogna credere che Cristo Capo, essendo posto in luogo così sublime, non voglia l’aiuto del Corpo. Si deve infatti asserire di questo Corpo mistico ciò che Paolo afferma del composto umano: “Il capo non può dire… ai piedi: voi non mi siete necessari” (1 Cor. XII, 21). Appare chiaramente che i cristiani hanno assolutamente bisogno dell’aiuto del divin Redentore, poiché Egli stessero ha detto: “Senza di me non potete far nulla” (Jo. XV, 5), e, secondo la dottrina dell’Apostolo, ogni incremento di questo Corpo mistico per la propria edificazione, dipende dal Capo Cristo (cfr. Eph. IV, 16; Col. II, 19). Tuttavia bisogna anche ritenere, benché a prima vista possa destar meraviglia, che anche Cristo ha bisogno delle Sue membra. Anzitutto perché la Persona di Gesù Cristo è rappresentata dal Sommo Pontefice, il quale per non essere aggravato dal peso dell’ufficio pastorale, deve rendere anche altri in molte cose partecipi della sua sollecitudine, e deve essere ogni giorno alleggerito dall’aiuto di tutta la Chiesa supplicante. Inoltre il nostro Salvatore, governando da Se stesso la Chiesa in modo invisibile, vuol essere aiutato dalle membra del Suo Corpo mistico nell’esecuzione dell’opera della Redenzione. Ciò veramente non accade per Sua indigenza e debolezza, ma piuttosto perché Egli stesso così dispose per maggiore onore dell’intemerata sua Sposa. Mentre infatti moriva sulla Croce, donò alla Sua Chiesa, senza nessuna cooperazione di essa, l’immenso tesoro della Redenzione; quando invece si tratta di distribuire tale tesoro, Egli non solo comunica con la Sua Sposa incontaminata l’opera dell’altrui santificazione, ma vuole che tale santificazione scaturisca in qualche modo anche dall’azione di lei. Mistero certamente tremendo, né mai sufficientemente meditato: che cioè la salvezza di molti dipenda dalle preghiere e dalle volontarie mortificazioni, a questo scopo intraprese dalle membra del mistico Corpo di Gesù Cristo, e dalla cooperazione dei Pastori e dei fedeli, specialmente dei padri e delle madri di famiglia, in collaborazione col divin Salvatore. – Ai motivi esposti, dai quali risulta che Gesù Cristo deve essere chiamato Capo del suo Corpo sociale, bisogna aggiungerne altri tre, i quali si connettono tra loro con intimi vincoli.
d) Per motivo di similitudine
Incominciamo dalla conformità che osserviamo tra il Corpo e il Capo, essendo essi della medesima natura. A questo proposito bisogna avvertire che la nostra natura, benché inferiore all’angelica, tuttavia per bontà di Dio vince la natura degli angeli. “Cristo infatti — come osserva l’Aquinate — è Capo degli angeli. Poiché Cristo è al di sopra degli angeli, anche secondo l’umanità… E anche in quanto uomo illumina gli angeli e influisce in essi. Riguardo poi alla conformità della natura, Cristo non è Capo degli angeli, perché non assunse la natura degli Angeli, ma (secondo l’Apostolo) assunse il seme di Abramo” (Comm. in ep. ad Eph., cap. I, lect. 8; Hebr. II, 16-17). E non solo assunse la nostra natura, ma Cristo si fece anche nostro consanguineo in un corpo fragile e capace di soffrire e morire. Ora se il Verbo “si esinanì prendendo la forma di servo” (Phil. II, 7), ciò fece anche per rendere partecipi della divina natura (cfr. II Petr. I, 4) i suoi fratelli secondo la carne, sia nell’esilio terreno con la grazia santificante, sia nella patria celeste col possesso della beatitudine eterna Perciò l‘Unigenito dell’eterno Padre volle essere figlio dell’uomo affinché noi divenissimo conformi all’immagine del Figliuolo di Dio (cfr. Rom. VIII, 29) e ci rinnovassimo secondo l’immagine di Colui che Ci ha creati (cfr. Col. III, 10). Sicché tutti coloro che si gloriano del nome di Cristiani, non solo considerino il nostro divin Salvatore come il più alto e più perfetto esemplare di tutte le virtù, ma ne riproducano la vita e la dottrina nei propri costumi mediante una diligente fuga dal peccato e un diligentissimo esercizio della virtù, affinché quando apparirà il Signore, divengano simili a Lui nella gloria, vedendolo com’Egli è (cfr. I Jo. III, 2). – Gesù Cristo, come vuole che le singole membra siano simili a Lui, così anche il Corpo della Chiesa. Ciò certamente avviene quando essa, seguendo le vestigia del Suo Fondatore, insegna governa e immola il divin sacrificio. Essa inoltre, quando abbraccia i consigli evangelici, riproduce in sé la povertà, l’ubbidienza, la verginità del Redentore. Essa, per molteplici e varie istituzioni di cui si orna come di gemme, fa vedere in certo modo Cristo che contempla sul monte, che predica ai popoli, che guarisce gli ammalati e i feriti, che richiama sulla buona via i peccatori, che fa del bene a tutti. Nessuna meraviglia dunque se la Chiesa, finché rimane su questa terra, debba subire ad imitazione di Cristo persecuzioni, sofferenze e dolori.
e) Per motivo di pienezza
Inoltre Cristo deve ritenersi Capo della Chiesa, perché, eccellendo nella pienezza e nella perfezione dei doni soprannaturali, il Suo Corpo mistico attinge dalla Sua pienezza. Infatti (osservano molti Padri), come il capo del nostro corpo mortale gode di tutti i sensi, mentre le altre parti del nostro composto usufruiscono soltanto del tatto, così le virtù, i doni, i carismi, che sono nella società cristiana, risplendono tutti in modo perfettissimo nel suo Capo Cristo. “In Lui piacque (al Padre) che abitasse ogni pienezza” (Col. I, 19). Lo adornano quei doni soprannaturali che accompagnano l’unione ipostatica, giacché lo Spirito Santo abita in Lui con tale pienezza di grazia da non potersene concepire maggiore. A lui è stato conferito “ogni potere sopra ogni carne” (cfr. Jo. XVII, 2); copiosissimi sono in Lui “tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col. II, 3). E anche la visione beatifica vige in Lui talmente, che sia per ambito sia per chiarezza supera del tutto la conoscenza beatifica di tutti i Santi del cielo. E infine Egli è talmente ripieno di grazia e di verità, che della sua inesausta pienezza noi tutti riceviamo (cfr. Jo. I, 14-16).
f) Per motivo di influsso
Queste parole poi del discepolo prediletto di Gesù Ci muovono a trattare dell’ultima ragione per cui siamo in modo particolare costretti ad asserire che Gesù Cristo è il Capo del suo Corpo mistico. Come i nervi si diffondono dal capo in tutte le membra del nostro corpo, e danno loro facoltà di sentire e di muoversi, così il nostro Salvatore infonde nella Sua Chiesa la Sua forza e virtù, onde avviene che le cose divine siano dai fedeli più chiaramente conosciute e più avidamente desiderate. Da Lui scaturisce nel Corpo della Chiesa tutta la luce con cui i credenti sono illuminati da Dio, e tutta la grazia con cui divengono santi come è santo Egli stesso.
… illuminando
Cristo illumina tutta la sua Chiesa, come dimostrano quasi innumerevoli luoghi della Sacra Scrittura e dei Santi Padri. “Nessuno ha veduto mai Dio: il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, ce l’ha fatto conoscere” (cfr. Jo. I, 18). Venendo da Dio in qualità di Maestro (cfr. Jo. III, 2) per rendere testimonianza alla verità (cfr. Jo. XVIII, 37), illuminò talmente con la Sua luce la primitiva Chiesa degli Apostoli, che il Principe degli Apostoli esclamò: “Signore, da chi andremo? tal hai parole di vita eterna” (cfr. Jo. VI, 68), dal cielo assistette gli Evangelisti in modo che essi scrissero, come membra di Cristo, quasi sotto la dettatura del Capo (cfr. August. De cons. evang., I, 35, 54; Migne, P. L., XXXIV, 1070). Egli tuttora è l’Autore della nostra Fede in questa terra d’esilio, come ne sarà il consumatore nella patria celeste (cfr. Hebr. XII, 2). Egli infonde nei fedeli il lume della Fede; Egli arricchisce divinamente i Pastori e i Dottori, e specialmente il suo Vicario in terra, dei doni soprannaturali della scienza, dell’intelletto e della sapienza affinché custodiscano fedelmente il tesoro della Fede, lo difendano strenuamente, e pienamente lo spieghino e diligentemente lo ravvivino; Egli infine, sebbene non visto, presiede e guida i Concili della Chiesa (cfr. Cyr. Alex., Ep. 55 de Symb; Migne, P. G., LXXVII, 293).
… donando la santità
Cristo è causa prima ed efficiente della santità, giacché non vi può essere nessun atto salutare se non promani da Lui come da fonte suprema: “Senza di Me, Egli ha detto, voi non potete far nulla” (cfr. Jo. XV, 5). Se, per i peccati commessi, il nostro animo è mosso dal dolore e dalla penitenza, se con timore e speranza filiale ci rivolgiamo a Dio, è sempre la Sua forza che ci spinge. La grazia e la gloria nascono dalla inesausta pienezza. Il nostro Salvatore arricchisce di continuo tutte le membra del Suo Corpo mistico e specialmente le più eminenti, con i doni del consiglio, della fortezza, del timore e della pietà, affinché tutto il Corpo aumenti sempre di più nella santità e nella integrità della vita. E quando dalla Chiesa vengono amministrati con rito esteriore i Sacramenti, è Lui che produce l’effetto interiore (cfr. S. Thom. III, q. 64, a. 3). È Lui che nutrendo i redenti con la propria Carne e con il proprio Sangue, seda i moti concitati e turbolenti dell’animo. È Lui che aumenta la grazia e prepara alle anime e ai corpi il conseguimento della gloria. – Siffatti tesori della divina bontà, li partecipa alle membra del Suo Corpo mistico, non solo perché li impetra dall’eterno Padre quale Vittima eucaristica sulla terra e quale Vittima glorificata nel cielo, col pregare per noi e mostrare le Sue piaghe, ma ancora perché Egli stesso sceglie, determina e distribuisce a ciascuno le grazie “secondo la misura del dono di Cristo” (Eph. VI, 7). Ne segue che dal divin Redentore come da fonte principale “tutto il corpo ben composto e connesso per l’utile concatenazione delle articolazioni efficacemente, nella misura di ciascuna delle sue parti, compie il suo sviluppo per la edificazione di se stesso” (Eph. IV, 16; Col. II, 19).