DOMENICA VI dopo PENTECOSTE

Introitus

Ps XXVII:8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum. [Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.] Ps XXVII:1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum. [O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.] Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum. . [Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias. [O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VI:3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

Omelia I

[Mons. Bonomelli: Omelie, Torino 1899, impr. -Omelia XIII]

“Tutti quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte. Noi dunque siamo stati con Lui seppelliti per il battesimo, a morte; affinché, come Cristo è risuscitato dai morti per la gloria del Padre, similmente noi pure camminiamo nella vita nuova: perché se siamo stati innestati con Cristo alla conformità della sua morte, certo lo saremo ancora a quella della sua risurrezione. Sapendo questo, che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con Lui, affinché il corpo del peccato sia annullato, sicché noi non serviamo più al peccato, perché chi è morto è sciolto dal peccato. Ora se noi siamo morti con Cristo, crediamo che vivremo altresì con Lui. Sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più signoria sopra di Lui. Perché quanto all’essere morto per il peccato, Egli morì una volta: quanto al vivere, Egli vive a Dio. Così anche voi fate conto di essere bensì morti al peccato, ma di vivere a Dio in Gesù Cristo Signor nostro „ ( Ai Rom. VI, 3-11).

– Delle quattordici lettere di S. Paolo, per sentenza unanime degli interpreti, la più importante e più difficile ad intendersi è quella indirizzata ai Romani, perché in essa il grande Apostolo tratta diffusamente della vocazione alla fede, della grazia divina e della sua gratuità, della rinnovazione che si opera per il santo battesimo, del peccato originale e d’altri punti capitalissimi di dottrina cristiana. Il brano, che vi ho recitato, si legge nel capo sesto di questa epistola ai Romani. Esso riguarda ai doveri, che hanno i battezzati di morire al peccato e di vivere a Cristo, nel che si compendia tutta la sapienza pratica del Vangelo. È un argomento della più alta importanza, ma non facile a spiegarsi, attesa la forma concisa e serrata propria dell’Apostolo. La vostra attenzione renda a me più agevole la chiusa delle sentenze riportate ed a voi più fruttuoso l’apprenderne il senso. “Tutti quanti siamo stati battezzati in Cristo, fummo battezzati nella morte di Lui. „ Punto principalissimo della dottrina di Cristo, svolto in tutte le forme da san Paolo, è questo: noi siamo riconciliati a Dio per la fede in Gesù Cristo, e questo è dono totalmente gratuito, al quale, per nessun titolo avevamo diritto; e la larghezza di questo dono apparisce mirabilmente più grande se consideriamo lo stato di colpa universale, in cui tutti, senza eccezione, Giudei e Gentili ci trovavamo. Ora noi siamo battezzati, che è quanto dire siamo passati dallo stato di morte allo stato di vita, e tutto ciò per Gesù Cristo. Ma che vuol dire questa frase di san Paolo, ” fummo battezzati nella morte di Cristo? „ Noi sappiamo che al tempo degli Apostoli e dopo essi per molti secoli, cioè fino al tempo di S. Tommaso, il battesimo solevasi amministrare quasi sempre per immersione: la persona tutta era immersa nell’acqua, anche il capo: in quest’atto o rito il battezzato rappresentava la morte e la sepoltura di Cristo, come nell’atto e nel rito di uscire dall’acqua rappresentava la sua risurrezione. Cristo, morendo sulla croce, cessò di vivere alla vita di prima, cioè al peccato del quale era schiavo; Cristo, uscendo dal sepolcro, rivive, ma di una vita nuova, immortale; così il battezzato uscendo dall’acqua deve ricominciare una vita nuova, spirituale, santa. Come Cristo lasciò nel sepolcro, a così dire, la vita sua passibile e mortale, così il battezzato lascia nell’acqua del battesimo il peccato e tutte le opere del peccato. – È ciò che S. Paolo più chiaramente sviluppa nel versetto seguente: “Fummo sepolti con Cristo nel battesimo, affinché come Cristo risuscitò dai morti, a gloria del Padre, così noi pure camminassimo in una vita nuova. „ Chi è desso il cristiano? domandava a se stesso Tertulliano, e rispondeva con frase ardita sì, ma vera ed incisiva: Alter Christus. Egli è un altro Cristo, una copia fedele di Cristo in ogni cosa. Tutto ciò che avvenne in Cristo, dice S. Agostino, ragguagliata ogni cosa, deve ripetersi nel suo vero discepolo: Cristo morì in croce alla vita naturale del corpo, e tu devi morire nel battesimo al peccato, alle passioni, ai piaceri illeciti della carne, cioè devi essere a tutte queste cose quello che è un morto, che non se ne cura, non le vede, non le ama. Cristo risuscitò, rifiorente d’una immortale giovinezza: e tu devi uscire dalle acque del battesimo rifatto, nei pensieri, nelle parole, nelle opere uomo nuovo, nuova creatura; e camminare per la via nuova della virtù e della santità. Cristo risuscitò e colla sua risurrezione ci provò la santità della sua dottrina e manifestò la gloria sua e la gloria del Padre, che l’aveva mandato: così tu, rinnovato nel battesimo, colla tua vita, modellata su quella di Cristo, farai in te stesso testimonianza alla santità della dottrina, che professi, e renderai gloria a Dio, giacché gli uomini, come dice altrove Gesù Cristo stesso, vedendo le opere tue buone ed affatto nuove, frutto della tua fede, riconosceranno la grandezza e santità di Colui, del quale sei discepolo, e glorificheranno Dio. In altre parole più brevi e forse più chiare, per il battesimo (l’Apostolo parlava ad adulti) deve cessare in noi il peccato e la vita antica, vita schiava delle passioni, e deve cominciare la grazia e la vita nuova, la vita di Cristo. – Oh piacesse a Dio, che queste maschie verità penetrassero negli animi nostri e informassero la nostra condotta! Persuadiamocene bene, o dilettissimi, che il bisogno è grande in ogni classe di persone: la vera vita cristiana non sta in parole, in proteste, in pratiche esterne, in novene, in tridui, in processioni, in luminarie, in feste, in pellegrinaggi clamorosi, ma nelle opere della vita cristiana, nell’imitazione di Gesù Cristo, l’eterno modello di ogni perfezione. Tutte quelle pratiche esterne sono buone, commendevoli senza dubbio, ma sono mezzi e non fine, e intanto si hanno da fare in quanto ci conducono al fine, cioè alla pratica delle virtù cristiane. Se in noi non appare la vita di Gesù Cristo, cioè se in noi non risplendono le virtù di Gesù Cristo, tutte quelle pratiche religiose non giovano a nulla, sono una contraddizione manifesta e in qualche modo sono la nostra condanna. Ribadisco questa grande verità perché mi sembra che grande ne sia il bisogno. – S. Paolo ribadisce questa verità nel versetto che segue, scrivendo: “Se siamo stati innestati alla conformità della morte di Cristo, lo saremo eziandio a quella della risurrezione. „ Scopo dell’Apostolo è sempre quello di stabilire la unione intima di Cristo e dell’anima per Lui rigenerata e quella identità di vita, che forma la vera nostra grandezza, e che il divino Maestro espresse stupendamente allorché nel discorso dell’ultima Cena disse: Io sono la vite e voi siete i tralci: come il tralcio non può dare frutto alcuno, se non rimane unito alla vite, così voi pure se non rimarrete uniti a me. Osservate, dice S. Paolo, ciò che avviene nell’albero: se sopra quest’albero si inseriscono rami d’altri alberi, questi rami succhiano l’umore dell’albero, su cui sono innestati, di esso vivono e vigoreggiano e formano con l’albero stesso una sola cosa: così deve avvenire anche di noi, rami inseriti nell’albero della vite divina, che è Gesù Cristo. Inseriti in Lui per il santo battesimo, siamo simili in ogni cosa a Lui, viviamo a Lui e con Lui, e produciamo i suoi frutti stessi. Che avverrà? Morti all’albero antico, da cui siamo tagliati, cioè all’uomo vecchio, ad Adamo peccatore per il battesimo e inseriti nell’albero della vita divina che è Cristo, con Cristo vivremo e risorgeremo: Si enim complantati facti sumus dsimilitudini mortis ejus, sìmul et resurrectionìs erimus. Vedi: d’inverno l’albero si spoglia dell’ammanto delle sue frondi, e coll’albero i rami, che sembrano morti: ritorna la bella stagione: l’aria si intepidisce, il sole vibra più ardenti i suoi raggi, l’albero si desta dalla sua morte apparente, rifonde la vita nei rami, che tosto si ricoprono di foglie e di fiori e albero e rami insieme rivivono: così avverrà a noi, o cari, se saremo inseriti nell’albero della vite vera, che è Gesù Cristo; come Egli già risuscitò, noi puro risusciteremo e con Lui vivremo eternamente. Oh la bella e consolante dottrina dell’Apostolo! Inseriti in Cristo, risuscitiamo prima alla vita della grazia e per la grazia abbiamo in noi il germe felice della finale risurrezione anche del corpo: Sìmul et resurrectionis erimus. – Troppo preme all’Apostolo far comprendere ai fedeli di Roma il mistero della morte nostra per il battesimo, e quindi della conseguente nostra risurrezione in Cristo, e perciò vi torna sopra nei versetti seguenti: “Questi ben sapendo, che il nostro vecchio uomo è stato con Lui (Cristo) crocifisso, affinché il corpo del peccato sia annientato. „ Voi, o fedeli, sapendo queste cose, cioè che noi siamo per il battesimo morti al peccato, inseriti Cristo e che dobbiamo vivere una vita nuova, la vita stessa di Cristo, dovete anche sapere che il nostro uomo vecchio è crocifisso con Cristo. E che è questo uomo vecchio, del quale qui ed altrove si parla dall’Apostolo? Lo dissi altra volta, ma non sarà inutile ripeterlo qui. L’uomo vecchio, l’uomo fuor d’uso, l’uomo esterno, espressione che si trova nel solo S. Paolo, è detto per opposizione all’uomo nuovo, ossia rinnovato per Cristo. Il nuovo fu quello, che uscì pel primo dalle mani di Dio, come nuova dicesi quella casa, appena fabbricata dall’architetto: uomo vecchio è quello che vien dopo, che per ragione di tempo o per altre cause è guastato, come dicesi vecchia la casa, che ha bisogno d’essere ristorata. Adamo innocente era l’uomo nuovo: Adamo peccatore è l’uomo vecchio e uomo vecchio è ogni peccatore, che viene da lui con il peccato d’origine e cogli altri peccati a quello aggiunti. Il vecchio uomo pertanto qui importa ogni uomo, guasto dal peccato originale, schiavo delle passioni e delle malvagie abitudini contratte. Or bene, dice san Paolo, sappiatelo bene: quest’uomo corrotto fu confitto alla croce con Cristo, cioè ucciso con Cristo nel battesimo, e lo deve essere giorno per la grazia di Cristo, in quanto ché ogni giorno noi dobbiamo combatterlo, crocifiggendo, e se fosse possibile, uccidendo tutte le sue perverse voglie. Che cosa deve fare ogni giorno il vero discepolo di Gesù Cristo? combattere e soggiogare le proprie passioni: ecco che cosa vuol dire crocifiggere con Cristo l’uomo vecchio; come Cristo confisse il suo corpo alla croce, così noi dobbiamo mettere in croce le nostre passioni : è tutta qui la sapienza di Cristo, l’insegnamento del Vangelo. E se ciò faremo, quale ne sarà la conseguenza? “Il corpo del peccato sarà annientato, „ Ut evacuetur corpus peccati. Questo corpo del peccato, di cui parla S. Paolo, può significare il cumulo dei peccati, onde ciascuno è aggravato, o meglio il corpo stesso in quanto che in esso si annida la concupiscenza, radice di tutti i peccati, e in questo senso è lo strumento ed anche l’incentivo dei peccati stessi. – Forse che s’intende che il corpo debba essere distrutto? No, per fermo, giacché l ‘Apostolo in altro luogo vuole che il corpo serva alla giustizia, a Dio, come prima ha servito all’iniquità: il corpo del peccato si dice dover essere annientato, cioè il corpo, ora strumento di peccato, deve essere sciolto da questo servaggio, diventando strumento della virtù: “Ut evacuetur corpus delinquentiæ per emendationem vitæ, non per interitum substantiæ”, disse sapientemente Tertulliano (De Besurr. Carnis, c. 47, apud A Lapide). Quando avremo crocifisso l’uomo vecchio, e annientato il corpo del peccato, che è la stessa cosa, allora noi non serviremo al peccato: “Et ultra non serviamus peccato”. Il nostro corpo, lo disse il maggiore dei filosofi pagani, è simile ad un destriero: questo ubbidisce a chi lo cavalca, e va dove esso vuole che vada. Se l’anima è rigenerata da Cristo, informata dalla sua grazia, il corpo ubbidisce ad essa e si presta alle opere di vita: se per contrario l ‘anima e in balia delle passioni e serva del peccato, il corpo fa opere di peccato. E qui l’Apostolo in una sentenza piena di energia compendia tutta la dottrina esposta in questi versetti, dicendo: “Chi è morto è sciolto dal peccato. „ Noi, nel battesimo, dando il nostro nome a Cristo e venendo innestati in Lui, non abbiamo più nulla a fare col peccato: in faccia al peccato siamo come i morti rispetto alle cose, che li circondano: per essi sono come se non fossero. E per tenerci all’altra immagine di S. Paolo, noi siamo rami tagliati da un albero per essere innestati nell’albero della vita, che è Gesù Cristo. Questi rami tagliati dall’albero sono morti totalmente all’albero stesso, né più possono produrre frutti innestati in un altro albero possono vivere e fruttificare, ma vivono e fruttificano del nuovo albero. Similmente noi; dopo il battesimo non dobbiamo più vivere di Adamo, cioè dell’uomo peccatore e far le opere sue, ma vivere di Cristo e fare le opere di Cristo. Questa sentenza sì profonda e sì forte dell’Apostolo ci stia fitta nell’animo. – Rigenerati in Cristo, viventi di Lui, non dobbiamo curarci del mondo, né dei suoi piaceri: tra noi e lui non ci debbono essere rapporti: egli è morto a noi e noi a lui. Il ramo che è innestato in un albero e vive di esso ed in esso, cerca e gli forse di separarsi da questo per ritornare ancora all’albero antico, da cui fu reciso? Certamente no, e se lo facesse, per esso varrebbe quanto il disseccare ed il perire. Questa è la dottrina dell’Apostolo ed il succo del Vangelo: noi, che ora apparteniamo a Gesù Cristo per il battesimo, dovremmo essere come morti all’amore sregolato del mondo e delle mondane cose: questo il nostro dovere. È così anche nel fatto? La nostra condotta è conforme alla nostra vocazione? Ohimè! quanto siamo lontani da questo sublime ideale del vero cristiano tratteggiato da S. Paolo. Col pensiero, coll’affetto sempre volti alle cose della terra, queste amiamo, queste cerchiamo, per queste viviamo, in queste collochiamo le nostre gioie, il nostro fine: a Gesù Cristo ed alle cose del cielo, noi, cristiani, raramente pensiamo, se pure qualche volta vi pensiamo. Quasi continuamente intesi ad accarezzare il corpo ed appagarne le voglie malnate, dimentichiamo il dovere che abbiamo di crocifiggerlo, di farlo morire al peccato! Eppure a questo si riduce tutta la vocazione e l’opera del cristiano, e se non lo facciamo, non siamo cristiani che di nome. – “Se dunque siamo morti con Cristo, crediamo, eziandio che vivremo insieme con Cristo. ,, È la conclusione naturale delle cose sopra accennate: se saremo imitatori di Cristo, nel far morire il nostro corpo ai piaceri terreni, avremo comune con Cristo la vita futura. Voi vedete che l’Apostolo con la somma cura, con cui cerca porci sotto gli occhi i sacrifici che dobbiamo fare per la virtù, per l’imitazione di Cristo, ci ricorda anche il premio e la corona riserbata, e come tutto Egli consideri sempre in rapporto a Cristo. – “Sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più signoria sopra di Lui .. Quest’altro versetto si lega col primo e vuol dire che vivremo con Cristo. Quanto? Por sempre, perché Cristo è risorto per non ricadere più mai in potere della morte, che ha vinto. E prosegue, svolgendo meglio questo pensiero: Perché quanto all’essere morto per il peccato, Cristo morì una sola volta al peccato, una sola volta per sempre: così noi, morti una volta al peccato; fatta una volta la rinuncia al mondo e alle opere sue, dovremmo essere morti per sempre, e la rinuncia fatta una volta al mondo non dovrebbe più aver bisogno d’essere rinnovata; e come Cristo, risorto una volta, è risorto per sempre e sempre vivrà nella gloria, così noi pure, resuscitati a Dio colla grazia, viventi in Cristo, dovremmo vivere in Lui per sempre e non ricadere più mai in balia della morte, ritornando al peccato. Eccoci all’ultimo versetto della nostra epistola: “Così ancor voi fate conto d’essere morti al peccato, ma di vivere a Dio in Gesù Cristo Signor nostro. „ Dopo avere esposta la dottrina evangelica, sì teorica, come pratica in genere, l’Apostolo si rivolge direttamente e particolarmente ai fedeli, ai quali scrive e dice: “Ora a voi, o carissimi, applicare l’insegnamento, che vi ho dato. Secondo le vostre forze studiatevi d’essere sempre morti al peccato e sempre vivi soltanto a Dio, ad imitazione di Gesù Cristo, o forse meglio, mercé l’aiuto di Gesù Cristo S:gnore nostro. „ – S. Paolo in tutti questi versetti, che abbiamo commentati, con linguaggio poetico ci rappresenta la virtù e il vizio, come due esseri v iventi, che combattono tra loro, e si contendono tra loro la signoria del cuore dell’uomo. Questo sta in mezzo ai due contendenti, libero di darsi all’uno od all’altro; se si getta dal lato del vizio, diventa schiavo delle passioni, che militano nel corpo, vive della vita del corpo e muore per sempre a Dio; se per contrario si mette dalla parte della virtù, della santità, di Cristo, diventa figlio di Dio, muore al mondo e vive per sempre a Cristo. La scelta è inevitabile, e così l’uomo è l’artefice della propria sorte, o eternamente infelice col peccato, o eternamente beata colla virtù in Cristo. O morire a Dio per vivere col peccato; o morire al mondo per vivere con la grazia: non c’è via di mezzo, e tra i due è forza scegliere. A quale dei due, che domandano l’ingresso del nostro cuore, porgeremo noi le chiavi? Al peccato od alla virtù? Al mondo o a Cristo? A chi col piacere presente ci porta la morte eterna, o a chi col dolore passeggero ci offre la vita eterna? Voi non potete stare in forse un solo istante; la vostra scelta è fatta: voi vi schierate sotto la bandiera della virtù, che è la bandiera di Gesù Cristo, perché con Lui solo vi è la vita

Graduale

Ps LXXXIX:13; LXXXIX:1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos. V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja. [Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi. V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX:2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja. [Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Marcum. R. Gloria tibi, Domine! Marc VIII:1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos. [In quel tempo: Radunatasi molta folla attorno a Gesú, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano. E gli risposero i suoi discepoli: Come potremo saziarli di pane in questo deserto? E chiese loro: Quanti pani avete? E risposero: Sette. E comandò alla folla di sedersi a terra. E presi i sette pani, rese grazie e li spezzò e li diede ai suoi discepoli per distribuirli, ed essi li distribuirono alla folla. Ed avevano alcuni pesciolini, e benedisse anche quelli e comandò di distribuirli. E mangiarono, e si saziarono, e con i resti riempirono sette ceste. Ora, quelli che avevano mangiato erano circa quattro mila: e li congedò.]

Omelia II

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

– Soccorso ai Poveri.-

Questa turba famelica (così Gesù Cristo ai suoi discepoli, come narra S. Marco nell’odierno Vangelo) desta nel mio cuore sensi di commiserazione e di pietà: “Misereor super turbam”. Sono ormai tre giorni che mi va seguitando in queste diverse solitudini, e non ha con che sfamarsi, ed Io rimando costoro così digiuni alle loro case, verranno meno nel cammino per alcuni disastroso, per altri lontano. Quanti pani avete con voi? Sette, risposero, ed Egli benedicendoli insieme a pochi pesciolini, ordinò che si distribuissero, e rese con quelli ristorata e sazia una moltitudine di quasi quattromila persone e degli avanzi ne furono pieni sette capaci canestri. Anche noi siamo circondati tutto dì da una turba di affamati, di pezzenti, di bisognosi. Oh se nel nostro cuore si svegliasse una commiserazione simile a quella del pietoso nostro Redentore! La nostra mano allora dispenserebbe ad essi il necessario ristoro, e quella povera turba resterebbe provveduta, ristorata, contenta. A destare in voi, uditori umanissimi, questa pietà, ad ottenere quest’intento io venni quassù, e per riuscirvi risponderò alle scuse di quei restii, che d’ogni pretesto si prevalgono per esimersi dal soccorrere i poveri, e farò vedere le ricompense promesse ai limosinieri. Sciolte così le scuse, e proposte le ricompense, spero si muoverà il vostro cuore, si apriranno le vostre mani a soccorso degl’indigenti vostri fratelli. Diamo principio.

 I.- A chi ha poco buona volontà non mancano scuse. Io, dice taluno, mangio il pane del mio sudore, e vivo a stento; e che volete ch’io dispensi ai poveri? Vi compatisco; sentite però quel che al suo figliuolo diceva il buon Tobia: “figlio, fa’ di buon animo limosina ai poveri; se avrai molte sostanze, molto ancora darai con generosità ed abbondanza, se poche, di quel poco non tralasciare di darne un altro poco a chi ha più bisogno di te”: “Sì multum tibi fuerit abundanter tribue, si exiguum ... etiam exiguum libenter impertiri stude” (cap. IV, 2). Altrettanto io dico a voi: la provvidenza dispone che poco sia il vostro avere, ma si danno tanti casi, nei quali con un tozzo di pane, con poche frutta, con pochi erbaggi, potete levare la fame a un miserabile. Fatelo per pietà, e sarà più a Dio gradito quel piccolo atto di carità, che le larghe limosine dei più facoltosi. Quella povera donna, che pose nel Gazofilacio del tempio due quattrini, fu da Gesù Cristo più encomiata, che quei facoltosi che diedero argento ed oro. – Un’altra scusa si ascolta più di frequente in bocca di molti. Non vedete, dicono essi, come le annate corrono sterili, il commercio è languido, la famiglia è numerosa, le spese son molte, i guadagni son pochi? Non si può, per conseguenza dividere quel che c’è necessario. – Prima di rispondere datemi licenza di entrare in questo momento nelle vostre case. In alcune vedo e sento augelletti da canto, ed altri riservati per l’uccellagione; in altre osservo cagnolini da vezzo, o cani da caccia. Il Signor benedice i vostr’innocenti piaceri; ma in grazia per l’annuo mantenimento di questi animali non vi à difficoltà né di campagne sterili, né di scarsi guadagni; questi motivi però solo si fan valere per non sborsare un danaruzzo, per non dare un tozzo di pane, una veste rimessa, uno straccio a sovvenimento dell’altrui miseria? Udite: si narra nel libro primo dei Re come ai tempi d’Elia, in quella straordinaria siccità, che durò più di tre anni, Acabbo re d’Israele in vista della estrema calamità e universale desolazione, chiama Abdia suo economo, e che facciam noi? gli dice. Non vedi tu i nostri cavalli e i nostri muli, che per mancanza di pascolo non si reggono più in piedi? Corriamo dunque su per le valli, se tu andrai a destra, io andrò a sinistra, se per avventura ci riuscisse trovar fieno o erba qualunque, perché non periscano questi nostri giumenti: “Si forte possumus invenire herbam, et salvare equos et mulos” (V, 5) . Come, o re malvagio, tante famiglie, tante vedove, tanti orfani, tutti in fine i tuoi sudditi ridotti all’estremo per la fame non ti commuovono? Solo la tua sollecitudine è ristretta ai cavalli e ai muli? Io non vorrei che lo scritturale confronto facesse arrossire alcun di noi; ma non è egli vero che per animali di puro sollazzo e per cento altri minuti piaceri tutta si ha la premura, e per i poveri tutta la dimenticanza? Più e ancor di peggio: per l’osteria, pel giuoco, per quell’amicizia ci vuol danaro, e si trova; per il teatro, pel ballo, per la moda, per il lusso, per i vizi in fine e per il peccato tutto si trova, e per un poverello non si trova nel cuore di taluno una stilla dì pietà, che lo muova a dargli un soccorso. “Heu grandis crudelitas!” direbbe qui S. Agostino. – Ma la limosina, direte voi, per tanti e tanti è un fomento di poltroneria: sono di buona età, son robusti, e perché non si danno al travaglio? Il sovvenirli è un confermarli nella vita oziosa col pregiudizio di altri poveri, vecchi, infermi, impotenti. – Ottima è la vostra riflessione. Il re Salmista chiama beato colui che sa discernere tra povero e povero. “Beatus vir, qui intelllgit super egenum et pauperem” (Ps. XL, 1). Certamente che i ciechi, gli storpi, i vecchi, gl’infermi, incapaci a guadagnarsi il pane, devono preferirsi, ma si danno certi tempi, nei quali o per pioggia, o per neve, o per altro accidente non si trova travaglio; e perciò in questi casi non ha più luogo il vostro riflesso; e la limosina sarà sempre un atto meritorio, quand’anche venisse data a chi attualmente non ne abbisogna. – La limosina, dicono altri men colti, è un atto di supererogazione, che si può omettere e supplire con tante altre opere buone. – Errore, miei cari. La limosina a’ poveri non è atto di supererogazione, è un atto di rigorosa giustizia. Avrete più volte sentito da persone poco istruite e poco cristiane: “Dio non ha fatto le cose giuste: a chi tanto, a chi nulla, tanti ricchi fino al sommo, e tanti poveri fino all’estremo”. Ohimè! Questo parlare racchiude un’eresia, ed una bestemmia. Iddio “bene omnia fecit”, Iddio è giusto, ed è un tratto della sua sapienza, che nell’umana società vi siano e poveri e facoltosi, perché i poveri han bisogno de’ ricchi, ed a vicenda i ricchi han bisogno dei poveri. Ma se fosse vero, che non vi fosse una stretta obbligazione di soccorrere i nostri bisognosi fratelli, quella proposizione ereticale sarebbe vera. Ma no; che Dio, Padre universale di tutti, ha fatto, e fa espresso comandamento ai benestanti, di far parte delle loro sostanze ai bisognosi, i quali hanno un positivo diritto alle comuni facoltà: comando, che ha i suoi gradi di obbligazione minore o maggiore a misura de’ gradi dell’altrui miseria; così che se i poveri si trovano in una necessità comune ed ordinaria, come sono i pezzenti, che van mendicando, siamo obbligati a sovvenirli de’ nostri beni superflui: se sono in grave necessità siamo tenuti a soccorrerli con qualche parte del necessario al nostro stato: se finalmente la loro necessità è estrema, dobbiamo aiutarli con quel che avanza alla necessità di nostra sussistenza. Come dunque si può asserire senza errore e senza empietà, che la limosina è un’opera non comandata e di mera elezione? Se fosse tale, come potrebbe Cristo giudice dire ai reprobi nel giorno estremo: andate maledetti al fuoco eterno, Io nella persona de’ poveri aveva fame e non mi avete pasciuto, pativa sete e non mi avete ristorato, ero ignudo e non mi avete coperto.

II.- Sciolte le scuse, vediamo le ricompense. Son queste d’ogni genere, temporali, spirituali ed eterne. Temporali primamente. Bisogna restar persuasi che ciò che si dà a’ poverelli non è perduto, ma è messo a traffico e a certo guadagno. L’arte più facile e più sicura per moltiplicare i propri averi è la limosina. “Ars quæstosissima” la chiamano i santi Padri. Voi, diceva un sant’uomo, date un pezzo di pane dalla porta e Iddio ve lo restituisce dalle finestre. Le case per ordinario hanno una porta sola, le finestre sogliono essere più numerose. Oltre a ciò Dio ve lo manda dalle finestre, cioè per vie straordinarie, per vie da voi mai pensate: vi libera a cagion d’esempio da una lite che sarebbe la vostra rovina, salva dal naufragio le vostre merci, dal gelo i vostri aranci, dalla grandine le vostre vigne, dai ladri le vostre sostanze, dalle malattie i vostri corpi, da mille altri infortuni la vostra famiglia. Date, dice S. Pier Crisologo, date al povero, perché date a voi stessi, “da pauperi, ut des tibi” (Serm. 8, de ieiun. et eleemos.). Se mai per le limosine agli indigenti aveste timore d’impoverire, vi assicura lo Spirito Santo, che questo non avverrà giammai : “Qui dat pauperi, non indigebit” (Prov. XXIII, 27). – La limosina nelle divine Scritture si chiama semente. Quando seminate il frumento e lo seppellite sotterra, lo gettaste forse a perdere? Non già, voi sapete che a suo tempo lo vedrete spuntare in erba, poscia biondeggiare in spiga, per mieterlo in fine moltiplicato in manipoli. Dice altrettanto l’Apostolo: limosinieri, Iddio moltiplicherà la vostra buona semente e accrescerà come biade feconde l’opere della vostra pietà, che insieme sono opere di grazia. “Multiplicabit semen vestrum, et augebit incrementa frugum iustitiæ vestræ” (I Cor. IX, 12). Ecco fra tante altre le temporali ricompense promesse ai benefattori dei poveri.- I beni spirituali poi prodotti dalla carità versi i bisognosi sono senza numero. La limosina, dice lo Spirito Santo nel libro di Tobia, libera dalla morte : “Eleemosyna . . . a morte liberat” (IV, 11), non dalla morte corporale, ma dalla morte dell’anima e dalla morte eterna. Ecco come: voi siete in grazia di Dio? Fate limosina, e questa vi libererà dal cadere in peccato mortale, ch’è la morte dell’anima. Siete per vostra sventura in peccato mortale? Fate limosina e questa muoverà il cuore di Dio a darvi le grazie necessarie per uscire da questo stato di morte, e liberarvi dal pericolo di eterna morte. “Eleemosyna ab omni peccato, et a morte liberat, et non patietur anìmam ire in tenebras”. – Nascono talora in un cuore cristiano temente Iddio taluni dubbi e contristanti incertezze: che sarà di me in punto di morte? Farò io la preziosa morte de’ giusti, o la pessima dei peccatori? Che sarà dell’anima mia al divin tribunale? Avrò sentenza di morte o consolazione di vita? Che parte mi toccherà nella gran valle, la destra o la sinistra? A queste funeste apprensioni, ecco il rimedio, la limosina, la carità ai poverelli: osserviamolo nelle divine Scritture. – Per il punto di morte, dice il re Profeta: “Beato chi sa intendere che gran tesoro è il dar soccorso al povero, all’indigente, nell’ultimo de’ giorni suoi, nelle sue agonie avrà Iddio, Iddio stesso assistente, che lo libererà dalle angosce della morte, dalle angustie della coscienza, dalle tentazioni dell’infernale nemico”: “Beatus qui ìntelligit super egenum et pauperem, in die mala liberabit eum Dominus (Ps. XL, 1). Anzi come un’affettuosissima madre, ch’è tutta in movimento per porgere aiuto all’infermo moribondo figliuolo, così si adoprerà Iddio pietoso l’agonizzante limosiniere. “Dominus opem ferat illi super lectum doloris eius, universum stratum eìus versasti in infìrmìtate eius” ( Ps. XL, 3). – Al divin tribunale poi, oh con qual fiducia potrà presentarsi un amico de’poveri: “Dispersit, dice il Salmista , dedit pauperibus” (Ps. CXI, 9), ha egli distribuite le sue sostanze a favor dei miserabili, potrà dunque andar preparando le sue ragioni a produrre in quel giudizio: “Disponet sermones suos in iudicio” (Ps. CXI, 5). E quali? Signore usate verso di me quella misericordia, che ho usato verso de’ vostri poveri, misuratemi colla vostra misura che ho adoperata verso de’ meschini miei fratelli: “Dicturus causam, conchiude il Crisologo, in judicio Dei, patronam libi misericordiam. Per quam liberari possis, assume” (Ser. ut sup.). – Nella gran valle in fine non avrà a temere l’amico de’ poveri. Chi sarà alla sinistra co’ reprobi? I duri di cuore, i capretti che non hanno pensato che a pascere se stessi. Chi sarà cogli eletti alla destra? L’ anime caritatevoli, che somiglianti a docili pecorelle han dato volentieri la lana a sovvenimento de’ bisognosi. A queste rivolto Gesù Cristo, “venite, dirà, benedette dal Padre mio, venite a ricevere la ricompensa del bene che fatto mi avete. Io nella persona de’ poverelli pativa fame, e voi mi avete pasciuto; soffriva nudità e mi avete coperto”: “esurivi, et dedisti mihi manducare, nudus eram, et operuisti me” (Matth. XXIII, 33-36 ), venite a possedere l’a voi preparato eterno regno, “possidete paratum vobis regnum”, che Iddio ci conceda.

Credo …

Offertorium Orémus Ps XVI:5; XVI:6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine. [Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa risplendere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur. [Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.]

Communio

Ps XXVI:6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino. [Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore.]

Postcommunio

Orémus. Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio. [Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concédici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

 

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.