LA CHIESA IN ESILIO NELLA PROFEZIA SUI PAPI DI SAN MALACHIA
[P.S.D.]
San Malachia di Armagh
Malachia O’Morgair, in gaelico irlandese Maelmhaedhoc O’Morgair, in medio gaelico irlandese Máel Máedóc Ua Morgair (Armagh, 1095, – Abbazia di Clairvaux, 2 novembre 1148), è stato un abate e arcivescovo cattolico irlandese, titolare dell’arcidiocesi di Armagh; egli fu proclamato santo da Papa Clemente III il 6 luglio 1190.
Con buona pace dei suoi detrattori ed in genere di coloro che, ricorrendo ad una semplificazione esasperata, adattano le cose a ciò che fa ad essi più comodo, San Malachia ci ha lasciato un’opera a dir poco straordinaria, un’elencazione che, con precisione sorprendente, individua i Pontefici suoi contemporanei e quelli che sarebbero seguiti a questi, in un rigore cronologico che lascia stupiti. – Egli ha infatti scritto la Profezia sui Papi, un elenco di tutti i Pontefici della Chiesa Cattolica che, a partire da Celestino II (eletto nel 1142), si snoda descrivendo tutti coloro che, uno dopo l’altro, si sarebbero avvicendati sul soglio petrino. – La “Profezia sui Papi” consiste nella successione di 112 brevi frasi in latino in qualche modo associate a tutti coloro che, uno dopo l’altro, sarebbero stati considerati i successori di Pietro, senza far riferimento alla loro effettiva validità come Papi regolarmente eletti, alla loro eventuale decadenza in quanto macchiatisi di eresia o ancora alla loro impostura in quanto risultati i papi eletti nel corso di Conclavi irregolari.
E’ bene partire da queste considerazioni per avere piena consapevolezza del fatto che nell’elenco di San Malachia si ritrovano Papi ed antipapi, dei quali la storia avrebbe poi rivelato l’eresia, senza che sia sempre rinvenibile, nella Profezia sui Papi di San Malachia, una chiara indicazione del loro essere estranei alla Chiesa cattolica e, in quanto tali, antipapi.
Seguendo i motti di San Malachia, il presente lavoro parte dal Conclave del 1958 per proseguire lungo la cronologia ben esposta nella Profezia sui Papi diramandosi in due filoni: quello dalla gerarchia apparente e quello della Gerarchia reale, che, ad un esame più approfondito di quello che comunemente viene fatto, sembrerebbero essere state entrambe esposte nella Profezia. Ma, mentre la prima è evidente, la seconda sembra essere, anche nella Profezia sui Papi, quasi occultata, nascosta; esattamente come la “Chiesa eclissata”, che sta forse vivendo in questi tempi gli ultimi anni del suo esilio.
Nella tabella che segue è riportata, nelle colonne indicate con il numero (1), la reale successione dei Papi successivi a Pio XII; in quelle indicate con il numero (2) è riportata la cronologia delle successioni “papali” così come questa ci è stata indicata.
1 | 2 | |||
Data | Evento | “Motto” di San Malachia con relativa numerazione | Evento | “Motto” di San Malachia con relativa numerazione |
9 ottobre 1958 | Morte di S.S. Pio XII | 106 “Pastor Angelicus” | ||
25 ottobre 1958 | Indizione del Conclave per la designazione del successore di Pio XII | |||
26 ottobre 1958 | “Un Papa è stato eletto”. Elezione di Giuseppe Siri, Papa della Chiesa eclissata, in esilio, il quale assunse il nome di Gregorio XVII | 107 “Pastor et nauta” | Svolgimento del conclave per la designazione del successore di Pio XII | |
28 ottobre 1958 | “elezione” di A. Roncalli quale primo “papa” della pseudo-chiesa conciliare | 107 “Pastor et nauta” | ||
21 giugno 1963 | Conferma dell’elezione di S.S. Gregorio XVII al soglio pontificio | 107 “Pastor et nauta” | “elezione” di G. B. Montini quale secondo “papa” della pseudo-chiesa conciliare | 108 “Flos florum” |
26 agosto 1978 | “elezione” di A. Luciani quale terzo “papa” della pseudo-chiesa conciliare | 109 “De medietate lunæ” | ||
14-16 ottobre 1978 | Conferma dell’elezione di S.S. Gregorio XVII al soglio pontificio | 107 “Pastor et nauta” | “elezione” di K. Wojtyla quale quarto “papa” della pseudo-chiesa conciliare | 110 “De labore solis” |
2 maggio 1989 | Morte a Genova di S.S. Gregorio XVII in esilio | |||
3 giugno 1990 | Indizione del Conclave segreto per la nomina del successore di S.S. Gregorio XVII | |||
3 maggio 1991 | Elezione di S.S. Gregorio XVIII, Papa della Chiesa eclissata, in esilio | “Petrus romanus” | ||
2005 | “elezione” di J. A. Ratzinger quale quinto “papa” della pseudo-chiesa conciliare | 111 “De gloria olivæ” | ||
2013 | “elezione” di J. M. Bergoglio “sesto” papa della pseudo-chiesa conciliare |
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Tabella 1: gli eventi succedutisi nella “vera” Chiesa (1) e nella pseudo-chiesa conciliare (2) a partire dall’ottobre 1958.
Analizzando i motti di San Malachia ed interfacciandoli con gli eventi effettivamente avvenuti e con altri motti dello stesso San Malachia, si delinea un quadro molto interessante, di cui l’Arcivescovo irlandese sembra aver voluto lasciare una traccia “nascosta”, che fosse possibile verificare solo dopo il succedersi degli eventi. In tal modo, alla luce di una chiave di lettura che dà modo di fornire un’interpretazione esaustiva, emergono particolari che, in un primo momento invisibili e apparentemente non uniti da correlazione, forniscono ulteriori elementi una volta appaiati e messi in condizione di fornire indicazioni più precise.
S.S. Pio XII
106 – S.S. Pio XII, “Pastor angelicus”
L’ultimo Papa del secolo scorso per il quale c’è concordanza fra la gerarchia della Chiesa e la pseudo-gerarchia “apparente” è Pio XII, indicato da San Malachia con il motto “Pastor angelicus” preceduto dal numero progressivo 106.
S.S. Gregorio XVII
107 – S.S. Gregorio XVII, “Pastor et nauta”
Questo motto è il successivo di quello con cui San Malachia individua il Pastor Angelicus che fu Pio XII, nato Eugenio Pacelli. – Per la seconda volta in due motti consecutivi San Malachia ripete la parola Pastor, “pastore”. Emblematicamente, San Malachia userà il verbo “pascere”, dal quale deriva il termine “pastor” poco più avanti, nel motto relativo all’ultimo Pontefice, quello non preceduto da alcun numero, di cui si dirà dopo; ora, poiché il Pastore è colui che pasce le pecore, San Malachia ha voluto quindi indicare una correlazione esclusiva, una continuità diretta che inizia dal Pontefice da lui indicato al numero 107 e che lungo un filo nascosto ed invisibile giunge all’ultimo dei Pontefici della sua serie, a quel Petrus Romanus di cui si dirà in fine di questo lavoro.
Una cosa che si evidenzia nel leggere il motto n° 107 è la congiunzione “et”. – Oltre che in questo, San Malachia ha usato questa congiunzione nei motti relativi ad altri quattro Pontefici: quelli indicati ai numeri 56, 57, 81 e 98. Per ognuno di questi motti la congiunzione indica due attribuzioni diverse della stessa persona, come brevemente indicato di seguito [Con la premessa che è evidentemente arduo affermare che sia sufficiente la semplice presenza di questa congiunzione per indicare una correlazione fra i vari motti riportati in tabella, invito a rilevare alcuni particolari interessanti. Fra questi, i motti n° 56 e 57, relativi ad un Pio (II) e ad un Paolo (II), esattamente come i nomi assunti da coloro i quali hanno rispettivamente preceduto (S.S. Pio XII) e seguito (G. B. Montini) Roncalli sul soglio pontificio della Chiesa prima e poi della pseudo-chiesa “apparente”. – I motti 81, 98 e 107, che sono riferiti a Papi regnanti dopo la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, al quale si accennerà appena più avanti, mettono in relazione, volta per volta: due vegetali, due animali, due esseri umani. – Circa il simbolismo dei vari animali citati, caratterizzati da corna (capra) o palchi (cervo), dallo “strisciare sul proprio ventre e mangiare polvere per tutti i giorni della vita”, o ancora dall’essere cani (empi) o (super)predatori, lascio al lettore lo spunto per trovare gli innumerevoli agganci.]
n° progr. | Motto | Papa | Spiegazione del motto |
56 | De capra et albergo | Pio II (1458-1464) | Enea Silvio Piccolomini fu segretario dei Cardinali Capranica e Albergatti. |
57 | De cervo et leone | Paolo II (1464-1471) | Pietro Barbo era stato Cardinale di San Marco Evangelista (che ha per simbolo un leone alato) e Commendatario della Chiesa di Cervia. |
81 | Lilium et rosa | Urbano VIII (1623-1644) | Lo stemma di Maffeo Barberini era animato da api che volano su gigli e rose. |
98 | Canis et coluber | Leone XII (1823-1829)
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Annibale della Genga fu definito dai suoi collaboratori fedele alla causa della Chiesa come il cane ed allo stesso tempo prudente nei suoi attacchi come un serpente. |
107 | Pastor et nauta | Gregorio XVII | Vedasi appresso |
“Giovanni XXIII” | Vedasi appresso |
Tabella 2 – Motti di San Malachia in cui compare la congiunzione “et”.
A differenza che nei primi tre motti, i n° 56, 57 e 81, in cui la congiunzione “et” è riferita a due elementi diversi che sono in possesso (reale o figurato) della persona cui si riferisce il motto, nel n° 98 essa si riferisce a due elementi chiaramente allegorici che rappresentano simbolismi a cui la persona stessa viene associata; si tratta, in tutti i casi, di elementi estranei alla persona stessa, essendo attributi che si limitano ad indicarla. – Nel motto 107, invece, la congiunzione “et” separa quelli che appaiono essere due mestieri (o compiti, o missioni che dir si voglia) della persona: pastore e marinaio. Se evidentemente nessun essere umano può essere nella realtà una capra, un cervo, un leone, un cane o un colubro, egli può ben essere “pastore e marinaio”. Ora, un pastore potrebbe in teoria essere evidentemente anche un marinaio: in questo caso si tratterebbe della stessa persona, per cui la congiunzione “et” si riferisce alle due attività diverse che farebbero capo alla stessa persona. – Oppure potrebbe trattarsi di due persone diverse, delle quali una fa il pastore e l’altra il marinaio. Ma … c’è forse, ancora, una possibilità. – Da un punto di vista religioso, è evidente che pastore (di anime) [1] e marinaio, o forse meglio pescatore (di uomini) [2], potrebbero essere la stessa persona.
[1]“In partic., guida spirituale: p. d’anime, il sacerdote; e assol., il p., il parroco e più spesso il vescovo: Se ’l pastor di Cosenza, che alla caccia Di me fu messo … (Dante); ma anche, in genere, chi esercita la missione sacerdotale: Quello da Cui abbiam la dottrina e l’esempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitare l’ufizio, mise forse per condizione d’aver salva la vita? (Manzoni: sono parole del cardinal Federigo a don Abbondio); sommo o supremo p., o p. dei p., o p. della Chiesa, il Papa; il Buon p., figura largamente diffusa nell’antica iconografia cristiana come immagine di Cristo, ispirata forse dalla parabola evangelica del buon pastore, pronto a lasciare il gregge per ritrovare la pecorella smarrita. Nelle chiese protestanti, il ministro del culto. “ (da Treccani, Vocabolario online http://www.treccani.it/vocabolario/pastore/).
[2] … Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini»
Viceversa, in senso materiale, si tratta di due mestieri così differenti che è impossibile che chi sappia fare bene uno sappia fare anche bene l’altro. Chi dovesse dichiarare di essere contemporaneamente pastore e pescatore sarebbe un bugiardo, in quanto potrebbe essere l’uno o potrebbe essere l’altro (non entrambi) o, nella peggiore delle ipotesi, né l’uno né l’altro: un impostore, quindi. – Pertanto, il motto di San Malachia potrebbe lasciar suggerire che esso sia riferito: –1° ad un vero Papa nel caso in cui questi, in possesso del mandato divino, sia possessore di entrambe le prerogative; –2° oppure potrebbe suggerire, nel caso materiale di un papa nominato tale ma non legittimamente eletto, che si tratti di un impostore.
Quindi, il motto di San Malachia lascia aperte possibilità diverse agli estremi delle quali troviamo, da una parte, un pastore di anime e pescatore di uomini e, dall’altra, nella migliore delle ipotesi un millantatore. – E forse il motto vuole indicare entrambi, come quella congiunzione “et”, al di là dell’attribuzione di caratteristiche diverse, potrebbe suggerire.
Pastor et nauta, pastore (di anime) e marinaio 1° – Le analogie con il pontificato di Giuseppe Siri, che, eletto canonicamente nel corso del conclave del 1958, divenne Papa con il nome di Gregorio XVII, sono sorprendenti. – Giuseppe Siri fu Arcivescovo di Genova (pastor), una delle città marinare (et nauta). Le analogie potrebbero fermarsi qua, risultando abbastanza tenui, ma ce n’è una a dir poco sorprendente che fa di Giuseppe Siri il naturale destinatario del motto n° 107 di San Malachia. – Giuseppe Siri nacque infatti a Genova il 20 maggio 1906, esattamente 4 secoli dopo la morte dell’altrettanto genovese Cristoforo Colombo, il marinaio per eccellenza che certo non ha alcun bisogno di presentazione, morto a Valladolid il 20 maggio 1506.
“pastore e marinaio” 2° – Per il “papa” della pseudo-chiesa conciliare cui viene comunemente attribuito questo motto di San Malachia, le analogie si limitano alla prima riportata per Giuseppe Siri, essendo stato il Roncalli arcivescovo di Venezia; davvero un po’ poco, il che renderebbe conto alla vaghezza di cui alcuni recenti detrattori dell’opera “Profezia sui papi” accusano qua e là lo stesso Malachia.
Eloquente immagine di S.S. Gregorio XVII tra il cardinale che, alla sua destra (sinistra per chi guarda), tiene un dito davanti alla bocca ed il cardinale Roncalli che, alla sua sinistra (destra per chi guarda), tiene la mano al centro del petto.
Si potrebbe aggiungere che al Roncalli andrebbe ascritta anche l’opera di traghettatore della Chiesa fino a farle raggiungere approdi molto lontani dai suoi porti di sempre, ma questo, lungi dal fare di lui un marinaio, ne farebbe un semplice traghettatore, non dissimile da quel Caronte che traghettava le anime sull’Acheronte nell’Ade, gli inferi pagani.
108 – “Flos florum”
S.S. Gregorio XVII e, di bianco vestito , il “patacca” G.B. Montini
Nel corso del conclave avvenuto nel 1963, alcune fonti affermano che si sarebbe verificata una riconferma – peraltro inutile – del Papa eletto nel corso del Conclave precedente, di pari passo alla conferma degli eventi che già avevano portato all’ “impedimento” forzato al Papato dopo la rituale accettazione.
lo stemma di “flos florum”
In merito al “papa” conciliare incaricato, che, indicato con il motto di “flos florum”, ha risposto al nome di G. B. Montini, non si ritiene qui né utile né opportuno soffermarsi con una parola di più; il motto è qui incardinato sullo stemma ‘papale’ del suddetto, stemma che pare non essere una sua ideazione originale, bensì la copiatura pedissequa dello stemma della città natale di questo, ossia Concesio, che riporta gli stessi tre gigli. – Un importante richiamo al fiore del giglio si troverà poco più avanti a proposito del motto n° 110.
109 – “De medietate lunæ”
Nel 1978, l’anno dei due “falsi” conclavi, un primo conclave portò all’elezione di Albino Luciani, il quale restò in carica 33 giorni con il nome di “Giovanni Paolo I”, cui è associato il motto n° 109 che recita “De medietate lunæ”. – Il mese lunare ha una durata media di 28 giorni, molto prossima a quella della durata dello pseudo-pontificato di Luciani. – Inoltre, Luciani proveniva da Canale d’Agordo, in provincia di Belluno, città veneta il cui suffisso (Bell-luno) ricorda molto il nome “luna”. – Lo stesso nome, Albino, indica un chiarore che nel linguaggio comune si accorda più con i “chiari di luna” che con la luce abbagliante del sole: a questo avrebbe pensato il suo successore nel prosieguo conciliare. Molto simile al nome Albino il termine “albedo lunare”, che indica il chiarore diafano tipico della luna.
A. Luciani riceve la stola da G. B. Montini
Il paragone scelto da San Malachia per indicare Albino Luciani fa ricorso a questo astro che brilla di luce riflessa, come di luce riflessa era brillato Albino da cardinale in quanto futuro falso-papa, quando, nel corso di un suo viaggio a Venezia, G. B. Montini gli aveva fatto indossare la propria stola papale – forse ad indicarlo come suo successore designato -. Come di luce riflessa aveva deciso di brillare questo strano finto ”papa”, che aveva scelto come nome da papa i nomi dei due “papi” precedenti, con l’aggiunta per di più di un numero ordinale nella consapevolezza che sarebbe stato seguito da un secondo. Cosa che in effetti sarebbe avvenuta in brevissimo tempo.
110 – “De labore solis”
S.S. Gregorio XVII e, bianco-vestito, K. Wojtyla.
Dopo la luna, San Malachia indicò il sole, dotato questo di luce propria, nel motto che fa ricorso al lavoro di questo astro che sorge da oriente. – Come da oriente veniva Wojtyla, a suo tempo indicato come “arcivescovo di Cracovia”, per il quale fu preparato in Vaticano un posto che sarebbe durato dall’ottobre del 1978 fino al mese di aprile del 2005. – Ma le similitudini con il sole non si fermano a quella appena indicata. Il 18 maggio 1920, nello stesso giorno in cui nacque Karol Wojtyla, ci fu un’eclissi parziale di sole nell’emisfero australe, da dove sarebbe giunto, ad occupare il suo stesso posto, quel Bergoglio da lui stesso “creato” cardinale il 21 febbraio 2001. – L’8 aprile 2005, appena sei giorni dopo la sua morte, avvenne un’altra eclissi di sole, stavolta totale.
Ra, il dio egizio del sole che governava ogni parte del mondo: il cielo, la terra e l’oltretomba.
Fra le altre cose, Wojtyla ha lasciato i “misteri” che, come i raggi solari, egli stesso chiamò “misteri luminosi”; detti “misteri” si aggiungono ai Misteri Gaudiosi, ai Misteri Dolorosi e ai Misteri Gloriosi del Rosario, modificando profondamente la struttura dello stesso e rendendone impropria la dicitura “Salterio”, fino a prima di Wojtyla del tutto analoga. – Siamo ben lontani, come si vede, dal tenue albedo lunare del, forse sprovveduto, Albino: l’aggiunta apportata da Wojtyla, un vero e proprio stravolgimento, scardina il concetto stesso del Rosario che, sognato da San Domenico da Guzman, al quale apparve la Madonna che recava una corona fatta da 150 rose (le Ave Marie) e 15 gigli (i Pater Noster), aveva un canone prestabilito che, come tante altre cose, all’uomo non sarebbe stato dato di modificare. Fra i molti motivi per cui le “Ave Maria” del Rosario devono essere 150, il Beato Alano della Rupe scrisse i seguenti:
“RAGIONE MISTICA: Nella Sacra Bibbia, molte volte si riscontra il numero 150: sia nelle misure nella costruzione dell’Arca, del Tabernacolo di Mosè e del Tempio di Salomone, sia nel calcolo e nella forma del Nuovo Tempio, che Dio rivelò in visione ad Ezechiele. E se questo numero 150 si ritrova nel Rosario, tale numero possiede anche la sacralità biblica delle antiche figure. Così, nel Rosario di Gesù e di Maria, il numero 150, prefigurato dal Salterio di Davide, viene ora confermato nella sua verità.” (da: Beato Alano della Rupe – IL SALTERIO DI GESU’ E MARIA”)
111 – “De gloria olivæ”
Lo stemma dello Stato di Israele, rappresentato da una menorah affiancata da due ramoscelli d’olivo
La gloria a cui si riferisce San Malachia, correlata a J. A. Ratzinger, non è quella dell’albero di olivo, le cui radici superficiali e molto estese in ampiezza sono ben assestate nel terreno anche arido dal quale riescono a ricavare l’acqua anche nel corso delle stagioni più aride; non è l’albero maestoso il cui tronco contorto e a volte straordinariamente imponente dà un’eccezionale sensazione di stabilità; non è la pianta dall’eccezionale longevità che riesce a sopravvivere quasi indefinitamente riuscendo a passare attraverso svariati millenni. – No, niente di tutto questo: la gloria a cui si riferisce San Malachia non è la gloria dell’albero di olivo: è la gloria “della” oliva, il prodotto principale dell’albero, un prodotto tutto sommato effimero che, se non raccolto e debitamente conservato, si esaurisce nel giro dei pochi mesi che vanno dall’autunno della produzione fino all’inverno, senza riuscire a giungere incorrotto all’estate e nemmeno alla primavera successiva all’emissione.
De gloria olivæ (J. A. Ratzinger) con, ben visibile sulla mitra, la stella di David!
L’associazione con l’oliva risiede con ogni probabilità non tanto nel fatto che, come asseriscono i più, gli Olivetani siano una branca dei Benedettini (il sacerdote Ratzinger, consacrato non-vescovo secondo il rito blasfemo “rinnovato” del Novus Ordo, e “creato” non-cardinale dal Montini [in quanto falsa autorità], una volta eletto “papa”, ha scelto il nome di Benedetto XVI), ma più verosimilmente nel fatto che nello stemma di Israele due rametti di olivo, quelli che recano le olive, fiancheggiano la menorah. – E con Ratzinger, di ascendenze ebraiche, la gloria di Israele è giunta per mezzo delle molteplici affermazioni che quest’uomo ha fatto su suoi libri, in merito alla permanenza dell’Antica Alleanza fra l’uomo e Dio (in realtà infranta dal Peccato), alla “non necessità per gli Ebrei di passare attraverso la Chiesa per salvarsi”; si è manifestata nel suo copricapo papale con la stella a sei punte; ha visto la sua apoteosi nell’eliminazione anche dall’effigie papale del triregno che segna l’alleanza fra l’uomo e Dio.
L’effigie non-papale di J. A. Ratzinger
L’effigie pseudo-papale di J. A. Ratzinger è caratterizzata da un complesso simbolismo di non immediata comprensione. – Vi si notano la presenza dal moro di Frisinga, dell’orso, della conchiglia; brilla per la sua assenza la tiara, che rappresentava l’unione fra l’uomo e Dio, che un infausto dì il Montini (“Flos florum”: da un fiore ha origine l’oliva…..) alienò materialmente, ma che continuò a permanere nelle effigi di A. Luciani e di K. Wojtyla. In Ratzinger invece la tiara viene eliminata definitivamente anche dalla rappresentazione anti-papale.
Il kazaro Adam Weishaupt, fondatore degli “Illuminati di Baviera”
La conchiglia riprende l’ “annuncio” di Adam Weishaupt, fondatore degli Illuminati di Baviera, il quale ebbe a dire che gli “Illuminati” si sarebbero infiltrati nella Chiesa ad avrebbero scavato dall’interno fino a quando non l’avessero ridotta ad una conchiglia vuota, un simulacro visibile dall’esterno ma privo di ogni santità (si parla, non è forse neanche il caso di specificarlo, della pseudo-chiesa apparente, non della Vera Chiesa di Cristo). –
Duomo “terremotato” di San Benedetto a Norcia, icona perfetta della chiesa-conchiglia effigiata sullo stemma del sedicente Benedetto XVI
E, come se si fosse fino ad allora restati in attesa del segnale convenuto, è stato nel corso dell’era ratzingeriana che è venuto fuori il sig. Bergoglio, che, ordinato non-sacerdote” secondo i riti del “novus ordo” e parimenti non-consacrato “vescovo”, è un perfetto semplice laico secondo i canoni della Chiesa di N. S. Gesù Cristo.
Di questo personaggio non compare infatti traccia alcuna nella Profezia sui papi di San Malachia.
PETRUS ROMANUS
Davanti all’ultimo Pontefice le parole di San Malachia da Armagh si fanno grandiose, imponenti e tremende, come non può che essere quando ci si riferisce a qualcuno che è destinato ad essere artefice o testimone di accadimenti di immensa portata.
“In persecutione extrema Sanctae Romanæ Ecclesia sedebit Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus iudicabit populum suum. Finis” [“Nella persecuzione estrema della Santa Chiesa Romana siederà Pietro il Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.”]
C’è qui ben poco da aggiungere che non sia stato già detto dall’autore della Profezia dei Papi: ogni allegoria cede qui il posto alla chiara realtà, per la quale non c’è alcun bisogno di chiarimenti o di ipotesi. – Qualche parola si può però dire a proposito di Petrus Romanus, di questo ultimo Pontefice che appare privo del riferimento progressivo che ha contrassegnato prima di lui tutti gli altri Papi, nessuno escluso. – Ci si può chiedere per quale motivo egli non sia stato indicato dalla numerazione, cosa che potrebbe apparire priva di logica, essendo Petrus Romanus l’ultimo dei pontefici elencati da San Malachia ed essendo pertanto con ogni logica posteriore a tutti quelli già indicati con un numero che ne precede il relativo motto: per quale motivo la numerazione è stata sospesa proprio in corrispondenza dell’ultimo Papa?
– Una spiegazione plausibile, del tutto in linea con la situazione di fatto presente nella Chiesa, è la seguente: il numero di Petrus Romanus non è stato indicato non già perché non fosse nota la sua collocazione cronologica (la datazione precisa) o temporale (il suo posto nella successione papale), ma perché, come si è detto all’inizio, San Malachia non ha fatto alcuna distinzione fra Papi legittimi ed illegittimi e pertanto, una volta attribuita una numerazione omnicomprensiva che comprende sia chi è al suo posto che, progressivamente, chi è dove non dovrebbe essere, in periodo di due “Chiese” [una falsa ed una autentica] distinte e separate l’inserimento di un Pontefice che fa parte di un’altra successione temporaneamente oscurata (eclissata) creerebbe motivo di confusione, che richiederebbe precisazioni ulteriori le quali, in periodi di Chiesa eclissata, non potrebbero sussistere, pena l’esplicitazione di ciò che la Chiesa in esilio sta vivendo e pertanto la divulgazione dello stato di fatto.
– Quella stessa confusione di cui si è qui parlato a proposito di “Pastor et nauta”, nel cui motto è insita la parola Pastor – di derivazione dal latino pastor, da pascère: pascolare – sembra qui lasciare un’altra traccia della sua presenza. E, in un’accezione che qui ricompare e che potrebbe indicare una consequenzialità diretta fra i due, segue un filo logico che parte da quel Pastor et nauta che qui è stato indicato con il numero 1, cioè Giuseppe Siri, Gregorio XVII, il Papa in esilio, e che conduce direttamente a Petrus Romanus, Gregorio XVIII, scavalcando in silenzio tutti coloro che sono stati rappresentati dai motti dal n° 107 (per quel che si riferisce al “traghettatore”) al n° 111.
– “In persecutione extrema” indica chiaramente che la persecuzione cui la Chiesa di Cristo è soggetta, benché percepibile dappertutto in maniera sempre meno velata, raggiungerà il suo culmine nel corso del Pontificato dell’attuale Pontefice, che perdura già da oltre 26 anni.
Per ultimo, il nome, Petrus Romanus, indica che sarebbe il nuovo Pietro, quello che, fedele alla dettato della Chiesa, ricostituirebbe la Sancta Romana Ecclesia secondo lo schema che le è proprio e che nessun uomo può modificare, più bella e Santa che mai.
Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Egli gli rispose: “Sì, Signore, tu sai che io ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Di nuovo gli domandò: “Simone di Giovanni, mi ami tu ?”. Gli rispose: “Sì, Signore, tu sai che io ti amo.” Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Per la terza volta gli chiese: “Simone di Giovanni, mi ami tu ?” Pietro s’attristò perché gli aveva detto per la terza volta: “Mi ami tu ?”. Ed esclamò: “Signore, tu sai ogni cosa, tu sai che io ti amo”. Gli disse (Gesù): “Pasci le mie pecore. In verità, in verità ti dico: quando tu eri più giovane ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le mani e un altro ti cingerà e ti porterà dove non vorrai”. Disse questo per indicare con quale morte avrebbe reso gloria a Dio. E detto ciò, gli soggiunse: “Seguimi”.
San Pietro
Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam.
Et portæ inferi non prævalebunt adversus eam.