LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (11)

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (11)

Mons. ALBAN GOODIER S.J. (Arcivescovo di Hierapolis)

Morcelliana Ed. Brescia 1935

Traduzione di Bice Masperi

CAPITOLO IV

LA VITA DELL’UOMO IN SE STESSO

.1. – Perfezione.

Qualche cosa è stato detto nei capitoli precedenti sull’ideale cattolico e sui mezzi che i fedeli hanno a disposizione per raggiungerlo. Ammettiamo francamente che non è un ideale di questo mondo, sebbene non per ciò contrasti con nessuno dei più nobili ideali umani: i più grandi Santi, compresi rettamente, sono i più grandi eroi e, per la reciproca, in ogni eroe che il mondo venera si riscontra qualcosa di affine alla santità. Un ricco ben di rado è un eroe, ma sovente può esserlo un povero. Un uomo cui arrida la fortuna può di quella appagarsi e non farsi alcun merito personale, mentre sotto il peso dell’insuccesso non di rado l’uomo diventa un vero eroe. Può darsi che un individuo senza alcuna preoccupazione meriti di esser compassionato, mentre quello la cui esistenza è intessuta di pene si conquista sovente la considerazione dei più. “Beati i poveri. Beati i mansueti, Beati quelli che piangono”. Per confermare ed illustrare queste affermazioni, per mostrare che in realtà l’ideale cattolico contiene tutto ciò che il mondo stesso, in cuor suo, non può a meno di onorare e di riverire, qualunque sia l’atteggiamento che ostenterà contro di esso, sarà bene considerarlo a parte. Osserviamo quell’ideale, e i mezzi atti a raggiungerlo, da un altro angolo visuale, da quello soggettivo dell’uomo stesso: nell’idea chiara di un uomo perfetto o di una vita perfetta secondo Nostro Signore troveremo felicemente riassunto ed applicato quanto è stato detto fin qua. L’uomo, anche se considerato solo nell’ordine della natura, è fatto per Iddio. Da Lui viene, in Lui e per Lui vive e si muove e ha l’esser suo; a Lui infine ritorna. Per quanto in debole minoranza, alcuni ancora ne dubitano e forse trovano per ciò ragioni soddisfacenti; per conto nostro, mai siamo riusciti a trovarne. Alla maggior parte dell’umanità pensante, ad ogni uomo normale che non sia illuso i fatti della vita parlano con una logica e con una evidenza loro proprie. Finché l’uomo vive quaggiù egli è interamente nelle mani di Dio, assai più che nelle proprie; quando giunge la fine, è chiaro che nulla al mondo potrà avere seria importanza se non la relazione in cui verrà in quel momento a trovarsi con Dio. Venendo da Dio, essendo creatura sua, l’uomo è di necessità creato pel fine al quale l’ha destinato lo stesso Dio onniveggente e amorosissimo. E ciò dovrebbe dirsi anche se l’uomo andasse considerato come semplice creatura, mero strumento nelle mani di Dio; ma quanto più ora che sappiamo di quale eterno amore Egli lo ha amato e con quali vincoli lo ha unito a Sé! Inoltre, anche come semplici creature, ci è facile scorgere come Dio sia la nostra meta ultima. Essendo Dio quello che è, il Summum Bonum, perfezione assoluta, principio e coronamento di tutto ciò che è eccellente e perfetto, raggiunger Lui o anche solo avvicinarsi a Lui è il fine più nobile di ogni creatura: poiché è la conquista di tutta la pienezza dell’essere a noi consentita, e un fine meno nobile di quello, conosciuta la grandezza e la generosità e l’amore sconfinato di Dio, conosciuto l’uomo, creatura meravigliosa malgrado tutto, e conosciute le sue magnifiche possibilità, apparirebbe indegno di Dio e dell’uomo insieme. La natura stessa proclama che l’uomo è fatto per Iddio. La sopra-natura conferma questa asserzione e dice ancor di più, che cioè l’uomo è fatto non solo per raggiunger Dio come suo ultimo fine, ma anche per vivere la sua stessa vita, per essere non solo una creatura che ha degli obblighi, ma un figlio con doveri e diritti di figlio, un amico, un intimo che l’amore ha innalzato al privilegio di una certa eguaglianza col suo Dio. – E ancora, essendo Dio perfezione infinita e, per ciò stesso, la sorgente di ogni perfezione, ne segue che più l’uomo riesce a rassomigliargli e più comunque partecipa alla perfezione divina, tanto più perfetto sarà in se stesso anche in quanto uomo. “Siate dunque perfetti — disse Cristo — com’è perfetto il Padre vostro celeste”. Ecco la spiegazione della fame insaziabile del più e del meglio insita in ogni uomo: qualunque cosa conquisti quaggiù, non è mai soddisfatto; egli desidera sempre di più; i beni che ha non gli bastano, sono un nulla. “Ci hai fatti per Te, Signore — diceva S. Agostino dopo aver gustato tutti i piaceri senza rimanerne appagato — ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore non conoscerà riposo finché non riposi in Te”. – Lo stesso pensiero esprime S. Tomaso con la precisione del suo linguaggio teologico: “fine ultimo dell’uomo è il Bene increato, ossia Dio stesso. Egli solo può, con la sua infinita liberalità, appagare perfettamente il desiderio dell’uomo”. (1-2, III, I) Di conseguenza, qualunque altra cosa l’uomo, sia chiamato a compiere, o elegga egli stesso a scopo particolare della sua vita, in qualsiasi direzione essa lo porti, in definitiva, oltre a tutto e al disopra di tutto egli dovrà preoccuparsi di Dio e tendere a Lui con tutte le sue forze, se vorrà fare della sua esistenza una cosa perfetta e se vorrà conoscere la vera gioia di vivere. La conoscenza di Dio supera ogni altra conoscenza, l’amore di Dio accolto e ricambiato sorpassa ogni altro amore, il servizio leale e devoto prestato a Dio è il più meritevole fra tutti, la vita in Dio, con Dio e per Iddio trascende ogni altra vita, la gloria resa a Dio è la più nobilitante e irradia la sua luce anche su chi a Lui la offre. – Ecco lo scopo della vita, della stessa vita naturale sia dell’uomo che di tutta la creazione, ecco il principio della vera perfezione e della stessa perfezione naturale. L’uomo veramente perfetto è colui che maggiormente lo è agli occhi di Dio, comunque possa apparire agli occhi del mondo; e perfetto secondo Dio sarà chi più chiaramente lo conosce e più ardentemente lo ama, rendendogli perfetto servizio con tutto il cuore. E se ciò è vero dell’uomo nell’ordine naturale, considerato nella sua semplice condizione umana, tanto più sarà vero dell’uomo considerato nell’ordine soprannaturale. Notiamo che nel parlare del soprannaturale noi non intendiamo affatto di eliminare il naturale, ma solo di innalzarlo ad una sfera più elevata. Gesù Cristo non venne a distruggere ma a perfezionare: in Se stesso, nel suo carattere, nella sua vita e nella sua personalità, pur essendo essenzialmente soprannaturale, si mostrò per ciò stesso uomo naturale essenzialmente perfetto. Nell’ordine soprannaturale, come abbiamo tentato di spiegare, l’uomo è stato innalzato da un Dio che lo ama e lo vuole per Sé ad uno stato che trascende quello della natura, oltre i bisogni, le aspirazioni, gli ideali dell’uomo naturale, oltre i suoi sogni e le sue possibilità, tanto oltre, con un orizzonte così vasto e così chiaro aperto d’intorno a sé ch’egli può facilmente dimenticare quanto sta dietro a lui in uno slancio sublime verso ciò che gli sta dinanzi. È stato invitato a vivere, e gliene sono stati offerti i mezzi, in modo tale da potere un giorno godere la visione beatifica di Dio stesso; anzi, sebbene non veda ora che in uno specchio ed in maniera oscura, egli già pregusta, nella vita attuale della grazia, il possesso di quella visione. Ecco perché i Santi di Dio sono gli uomini più felici della terra: essi hanno avuto la visione e pregustato la gioia della vita vera, e ormai nessuna sofferenza, nessuna sconfitta, nessun disprezzo, nessuna ingiustizia potrà separarli dall’amore di Dio ch’essi possiedono in Cristo Signore. È questo l’ideale che il Cattolico ha dinanzi a sé quando parla di uomo perfetto, è questa

la sostanza dei tanti libri che furono scritti sulla perfezione cristiana. Non si deve credere che il Cattolico apprezzi meno per ciò i beni naturali; il fatto è ch’egli ne ha scoperti altri di assai maggior valore. È quel perfezionamento apportato all’ideale naturale da Nostro Signore Gesù Cristo: a coloro che erano nelle tenebre è apparsa la luce e in quella luce si è capovolta tutta la prospettiva umana. Quelli che l’hanno vista si son trovati mutati, son divenuti “pazzi per amore di Cristo”, e per seguir Lui hanno dato via a piene mani ciò che gli altri considerano essenziale alla vita. Alla vita stessa hanno rinunciato volentieri e a tutte le sue vanità, liberamente e gioiosamente, contando per nulla il sacrificio, per assicurarsi le cose “ottime”, la pace e la gioia che Cristo solo può dare in misura piena e traboccante, la verità della vita, la trasparenza dell’anima, l’ardore del cuore, la generosità della mano, la rettitudine dei passi, che sono la ricompensa anche su questa terra di coloro che tutto hanno dato per Lui. E il risultato, anche secondo la misura dei criteri umani, è insuperabile, sia che lo si consideri nell’uomo in sé o nella influenza da lui esercitata sui fratelli, in un S. Bernardo o in un S. Francesco d’Assisi o in un S. Francesco Saverio, in una Santa Teresa, come in un S. Francesco di Sales o in un S. Vincenzo de’ Paoli. Lo stesso mondo pagano aveva nobili ideali che però, messi alla prova, ben di rado potevano resistere e mai produssero tipi paragonabili ai Santi sunnominati. Con tutte le sue idealità e la sua filosofia, con tutta la sua arte e la sua bellezza, l’antico mondo pagano è un mondo di aspirazioni mancate, di delusioni che sfociano nella disperazione. Anche il mondo pagano moderno vanta ideali e campioni altrettanto nobili; ma saranno questi più resistenti di quelli? È un mondo agitato che con gran clamore invoca la pace e non la possiede mai, che va brancolando nel deserto in cerca d’acqua viva e non ne trova. Vuol esser felice ad ogni costo e contro ogni evidenza, vuol godere anche quando la città è in fiamme; la sua miseria è soffocata, non vinta. Considerato spassionatamente, a giudicare dai suoi frutti, il paganesimo moderno è condannato non meno, anzi più, dell’antico. Cristo solo ha “vinto il mondo”. Egli solo ha risolto il problema dell’inquietudine umana e ha detto: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi, e io vi ristorerò.” Non ha rinnegato nulla di quanto di meglio il mondo può offrire; ha preso questo meglio e lo ha reso perfetto. Sopra di esso ha costruito un mondo nuovo, e ne è risultata una cosa trascendentalmente diversa. Ma perché ci sia possibile raggiungere questo mondo nuovo, dato che da noi nulla possiamo, — “Nessuno va al Padre se non per me” — si è fatto Egli stesso “la Via” che sola può ad esso condurci, “la Verità” che ce lo farà conoscere, “la Vita” che ce lo farà vivere. Ecco perché seguir Cristo è per il Cattolico via ad ogni perfezione; e l’imitazione, la riproduzione di Cristo in noi, il vivere non più noi, ma Cristo in noi, è l’ideale più alto e più nobile cui possiamo tendere, è l’incarnazione dell’uomo perfetto.

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (12)