LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (6)

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (6)

Mons. ALBAN GOODIER S.J. (Arcivescovo di Hierapolis)

Morcelliana Ed. Brescia 1935

Traduzione di Bice Masperi

CAPITOLO II

LA VITA IN GESÙ CRISTO

2. – Applicazione.

Accettata questa dottrina come una verità viva, è logico ch’essa influisca su tutta la nostra concezione della vita. Vero è che abbiamo esposto un ideale, e non a tutti è dato di realizzare l’ideale; tuttavia, anche per l’essere più meschino che pure ancora crede la luce è lì che splende e gli illumina il cammino. Quando tutto intorno è grigio e desolato egli trova anche sulla terra uno scopo alla vita, ed è cosa assai più preziosa di quanto di meglio il mondo possa mai offrire. In grazia di questo ideale tutte le cose di quaggiù acquistan nuovo valore e nuove proporzioni, e il mondo stesso appare in una prospettiva affatto diversa. E s’illuminano di luce nuova gli articoli della fede cristiana che alcuni credono di avvilire chiamandoli dogmi, e la ragione trova un altro punto di partenza, maggiori argomenti e orizzonti nuovi che da sé sola non avrebbe mai potuto scoprire. –  Prendiamo ad esempio un punto fra i tanti: che cosa intende il cattolico per vita sacramentale. Per chi crede nella presenza di Gesù Cristo i sacramenti sono assai più di quanto appare dal loro rito esteriore. Sono l’innesto nel corpo, sono le articolazioni delle membra, sono le vene per le quali il sangue di Cristo circola in ogni parte dell’organismo. Siccome Egli stesso li ha istituiti e ha conferito loro efficacia, per essi si inizia il movimento di quella vita che la loro azione successiva alimenta ed accresce. Così, l’importanza del Battesimo determina in certo modo quella dei sacramenti che lo seguono. Per virtù sua propria, secondo la promessa di Cristo e senza alcun merito nostro, esso ci inserisce nel corpo e nella vita di Lui, e l’azione degli altri sacramenti, indipendentemente da noi, per virtù propria accresce in noi quella medesima vita. Ciò è vero soprattutto della Santa Eucarestia, quello che il Cattolico devotamente chiama il Santissimo Sacramento e che è il cibo per la vita dell’anima. Ma la vita ch’esso viene ad alimentare altro non è che la vita di Cristo presente in noi, e quella non può esser nutrita se non dal Cristo vivo che viene a noi. Non occorrono incitamenti al cattolico perché sia devoto dell’Eucaristia. È la sua gloria, il pegno  dell’amore di Dio, l’alimento quotidiano di quella sua vita soprannaturale che gli è assai più cara della stessa vita materiale. È la visita dall’amico per eccellenza che penetra nel suo cuore, o meglio, lo attira in un Cuore che ama come nessun altro sa amare. Come potrebbe il Cattolico non desiderare ardentemente che anche altri conoscano questa Via, questa Verità, questa Vita e di essa come lui si glorino? –  Ma non sono i sacramenti l’unico mezzo con cui si accresce in noi la vita di Cristo. Ogni atto meritorio che compiamo, dopo essere stati per il Battesimo uniti a Cristo, ci ottiene un aumento di vita divina e ci unisce a Lui ancor più intimamente. E così è soprattutto se viviamo, ci muoviamo, operiamo in unione con Lui, quando ci lasciamo guidare da Lui, quando aspettiamo da Lui l’impulso vitale che ci occorre, quando lo invitiamo a vivere in noi e a operare per mezzo nostro, non secondo la nostra ma secondo la sua volontà. Allora noi siamo davvero membra sue, tralci della vite resi fecondi dalla sua stessa linfa vitale. Quando la sua volontà si compie in noi e per noi, allora Egli vive davvero in noi in modo reale, e noi lo esperimentiamo sempre meglio, a ciascun atto che compiamo in unione con Lui. “Colui che dimora in me e nel quale io dimoro porta abbondanti frutti”. (Giov. XV, 5). Questo è quindi pel Cattolico nella vita pratica, come conseguenza della abitazione di Cristo in lui, il secondo ideale che si sforza di raggiungere. E proponendosi di coltivare sempre più la sua unione col Cristo vivo, egli sa di perseguire lo scopo essenziale della sua esistenza. Darà a Dio la lode, la reverenza, il servizio che gli deve, e con ciò farà in questo mondo e nell’altro l’essere perfetto che Dio vuole egli sia. Non lascerà passare nessuna giornata senza offrirla al suo Dio in unione a Cristo che vive in lui. Nell’alzarsi al mattino vorrà subito unirsi a Cristo e con Lui offrirsi al Padre per fare la sua volontà. “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra” è l’offerta mattutina di ogni vero Cristiano. E nel resto della sua preghiera il Cristo gli sarà ancora modello e ispirazione. Se fa meditazione, cerca una guida nel suo Maestro, studia la verità e la virtù e gli ideali di tutta l’umanità come in Lui si manifestano, a Lui chiede luce per poter vedere il meglio e forza per eseguirlo. E se vuole di più, la santa Messa è ogni giorno a sua disposizione. Assistervi quotidianamente non è per lui una singolarità né un eccesso di devozione: è cosa naturale per chi crede che Gesù Cristo suo Signore è morto per lui, che la sua immolazione si rinnova ogni giorno sull’altare e che, inginocchiato dinanzi alla croce che lo sovrasta, egli può meglio associarsi a quel sacrificio d’amore e ottenere il perdono dei suoi peccati e la grazia e la provvidenza di Dio per sé e per tutti. Né egli si contenta della Messa quotidiana. Sa che gli è possibile, se vuole, anche la Comunione quotidiana; e si contano a migliaia, grazie a Dio, anche solo in Inghilterra, coloro che di tale possibilità approfittano. Così iniziano la giornata con la Comunione, cantando il loro Magnificat, e rinnovano col loro Signore e Maestro quel patto di unione che vorranno mantenere ad ogni costo. Nella Comunione si svolge la prima conversazione della loro giornata con Colui il cui orecchio è sempre disposto ad ascoltarli, e gli espongono i loro bisogni non solo, ma anche quelli di tutti gli uomini, della Chiesa intera. E si partono dall’altare con una luce nuova negli occhi, e nel cuore quella calma, quella pace che il mondo non può dare né può togliere. – Come potrà un giorno iniziato così essere un giorno sprecato o soltanto futile? Come potrà una nazione, in cui ciò si verifichi quotidianamente, non essere benedetta agli occhi di Dio e degli uomini? Così vorrà dunque il Cattolico fervente dar principio alla sua giornata, se non sempre di fatto almeno in ispirito, e quand’anche la pratica della Messa e Comunione quotidiana non gli sia abituale né  possibile, per lo meno non la troverà strana negli altri. E così preparato, si avvierà al lavoro. Anche l’umile contadino può sapere non solo che Cristo fu Egli operaio, ma ch’Egli stesso oggi lavora in lui. Può rammentare a se stesso che nell’attendere a qualsiasi occupazione egli fatica in unione con Cristo quale membro attivo del corpo di Lui, per il bene di tutti. Può mangiare, bere, riposare, sapendo che anche Cristo conobbe e soddisfece la fame, la sete. la stanchezza, e prese il necessario riposo qualche volta in luogo deserto e appartato, qualche volta presso i suoi amici; e quanto fece allora fa adesso in coloro che sono membra attive del suo corpo. Durante il giorno possiamo vedere in ogni Chiesa e ad ogni ora, quasi dappertutto e come cosa naturale, il Cattolico che entra a visitare il suo grande amico per intrattenersi con Lui sia pur brevi istanti e rinnovare con Lui l’intesa reciproca. Le parole: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi e io vi ristorerò” hanno per lui un significato pratico nella vita d’ogni giorno; e nell’ora del bisogno non dimentica Colui che “può salvare perfettamente coloro che per via di Lui si accostano a Dio, sempre essendo da poter intercedere in loro favore. “Ebr. VII, 25). –  E se l’unione con Cristo determina ed orienta così l’anima e l’atteggiamento dei Cattolici per quel che riguarda il ritmo ordinario della vita privata, altrettanto farà dei loro rapporti col prossimo. Anche senza rendersene conto esplicitamente, il Cattolico non potrà mai dimenticare che Nostro Signore Gesù Cristo vive in tutti gli uomini o almeno desidera di vivervi, e che tutti come lui sono chiamati a esser membri di quel Corpo mistico che è Cristo al quale egli appartiene. Da questo pensiero fa derivare la propria concezione dell’autorità e il proprio atteggiamento verso di essa. Non dimentica che per legittima autorità il Maestro disse: « Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me » (Luca X, 16) e che anche di un’autorità indegna della sua fiducia poté dire: “Sulla cattedra di Mosè stan seduti gli Scribi e i Farisei. Fate dunque e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non imitate le loro opere » (Matt. XXIII, 3). Perciò, quando obbedisce a un padrone legittimo che gli comanda un qualsiasi atto lecito, egli sa di obbedire a Cristo stesso; ma se il comando impone cosa illecita, e viene a violare una legge più alta, allora egli resisterà anche a costo della vita. Il Cattolico sa pure che per la pratica dell’obbedienza egli si fa più simile a Colui la vita del quale si può sintetizzare in questa semplice affermazione: “stava loro soggetto” e del quale si può raccontare la storia con queste altre parole: “fatto obbediente fino alla morte”. Analogamente, per quel che riguarda i suoi simili, egli sostiene e segue un principio che non è nuovo ma che, in sostanza ha trasformato il mondo e ha fondato la nostra civiltà e al quale oggi ci richiamiamo davanti alla instabilità di tutte le basi della nostra società. “In verità vi dico, tutte le volte che avete fatto qualche cosa a uno di questi minimi tra i miei fratelli l’avete fatto a me», (Matt. XXV, 40). – Non dimentichiamo che, come già abbiamo osservato, in questa espressione ripetuta sotto varie forme dal fondatore del Cristianesimo, sta la chiave di tutta la nostra interpretazione della vita sociale. Il Cattolico ha imparato attraverso i secoli a riconoscere nel minimo dei fratelli il suo Signore e Maestro, il suo Cristo, a servir Lui in loro, ad amarli come ama se stesso, anzi di più, ad amarli com’egli è amato da Cristo. Ricorda San Paolo che intercede per Onesimo, lo schiavo fuggitivo, presso il padrone di lui Filemone, e trova facile, anzi più che naturale, accettar la dottrina che fra gli uomini non c’è né schiavo né padrone. Il padrone stesso addolcirà il suo comando nel ricordare che il suo servo è per lui come Cristo Signor nostro “colui che serve”. Non potrà più l’eguale proporsi di superare o di schiacciare il suo eguale, perché esso è per lui al posto di Cristo. Con questi principî il Cristianesimo è sempre stato una religione di aiuto reciproco, e il presente lo attesta dovunque non meno del passato. Se il Cristianesimo, se la Chiesa Cattolica si sviluppa, la carità in azione progredirà di pari passo; soffocatela, e la carità andrà decadendo. È una realtà che il governo inglese conosce bene e di cui si vale in paesi nei quali senza l’aiuto della Chiesa poco o nulla potrebbe fare. – E guardando oltre l’ambito del Cristianesimo, considerando in patria o all’estero coloro pei quali Cristo è nulla, il vero seguace di Cristo sa che non per questo essi sono esclusi dall’incommensurabile amore di Lui. Per quanto colpevoli siano, per quanto lo disprezzino e l’oltraggino, pure proprio per essi Cristo implorò: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Sebbene essi lo sfuggano, convinti — perché così fu loro insegnato — che Cristo sia un falso maestro, una minaccia alla loro libertà e ai loro diritti, un prevaricatore da doversi evitare e combattere e possibilmente sconfiggere con tutti i suoi seguaci, pure Egli li insegue col suo amore e non li lascerà finché vivranno. Cristo vorrebbe incorporare a Sé anche loro, vorrebbe accogliere ancor loro nel suo ovile. “Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche quelle bisogna che io conduca”. Nei riguardi loro il vero discepolo di Cristo vorrà pensare e comportarsi come Lui, e come Lui adoperarsi a loro vantaggio. Sa che Cristo, Re di tutte le creature, il cui regno ricopre la terra intera, i cui diritti sono assoluti, chiede anche in questo la collaborazione dell’uomo, per restaurare in Sé tutte le cose e riunire tutti quanti in Sé; e il Cattolico si offrirà a questo nobile compito con la preghiera, con la parola, con l’azione, con l’esempio e, se chiamato, anche con la dedizione di tutto se stesso. Credendo tutto ciò che crede di Cristo e del suo Corpo mistico e desiderando di condurvi tutti gli uomini, ogni Cattolico, se sincero e coerente, deve di necessità essere apostolo. “La vostra luce risplenda dinanzi agli uomini in modo tale che, vedendo le vostre opere buone, dian gloria al Padre vostro che è nei cieli”. (Matt. V, 16). E da ultimo, con Gesù Cristo è entrato nel mondo anche nei rapporti coi nostri nemici uno spirito affatto nuovo. Aristotile, come risulta dalla sua Etica, aveva dell’uomo un alto concetto, ma di fronte all’ingiuria e all’insulto non sapeva concepire altra nobiltà che nella giustizia quale egli l’intendeva e nella vendetta.  Anche il Vecchio Testamento domandava “occhio per occhio, dente per dente”. Gesù Cristo propone un’altra misura. « Avete sentito che è stato detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Io invece dico a voi: “Amate i vostri. nemici, fate del bene a chi vi odia, e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli il quale fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se voi amate coloro che vi amano, qual ricompensa meritate? Non fanno forse altrettanto anche i pubblicani? E se voi salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno forse altrettanto anche i Gentili? Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli » (Matt. V, 43, 48). – Fu e rimane ancor oggi lezione difficile per la natura umana, ma appunto per questo forse Cristo non si stancò di ripeterla. E col tempo l’uomo ha compreso. Fu l’ultima lezione che gli Apostoli riuscirono ad afferrare, sebbene impartita loro fin dal principio, e una volta assimilata fu la lezione più importante che dovettero insegnare agli altri. In ciò solo il mondo ha trovato una nuova luce e una nuova vita “per Gesù Cristo”. “E lapidarono Stefano mentr’egli invocava Gesù e diceva: “Signore Gesù, ricevi lo spirito mio”. Poi, caduto ginocchioni, gridò a gran voce: “Signore, non imputar loro questo peccato”. E, detto questo, “si addormentò nel Signore”. (Atti VII, 58, 59). – San Paolo e San Pietro non si scostano da questa lezione. “Non lasciarti vincer dal male, ma vinci nel bene il male ». (Rom, XII, 21). “Poichè è una grazia se per riguardo a Dio uno sopporta molestie soffrendo ingiustamente. Infatti, quale gloria c’è quando si soffre perché si è peccato e si è puniti? Ma se vi tocca patire quando fate del bene, e voi lo sopportate pazientemente, codesta è grazia presso Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo ha sofferto per noi, lasciando a voi l’esempio, affinché seguiate le sue orme. Egli non fece mai peccato e mai sul labbro di lui fu trovato inganno. Maledetto, non malediceva; soffrendo, non minacciava, anzi si rimetteva nelle mani di chi ingiustamente lo giudicava. Egli stesso ha portato i nostri peccati sul suo corpo, sul legno, affinché morti al peccato viviamo per la giustizia, risanati dalle sue piaghe. Infatti, eravate come pecore erranti, ma ora siete ritornati al pastore e vescovo delle anime vostre”. (I Pietr. II, 19, 25). E tutto ciò San Paolo riassume nella sua definizione pratica e indimenticabile della carità cristiana, superiore a quante ne siano state date prima di lui: “La carità è longanime, è benigna; la carità non ha invidia, non agisce invano, non si gonfia, non è ambiziosa, non è egoista, non si irrita, non pensa il male, non si compiace dell’ingiustizia, ma gode della verità; soffre ogni cosa, ogni cosa crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non mai vien meno”. (I Cor. XIII, 4, 8). Ecco quello che possiamo chiamare il programma d’azione del Cattolico il quale considera la sua fede né più né meno come l’incorporazione al Corpo mistico di Cristo nostro Signore. La sua vita è la vita di Cristo stesso. “Per me vivere è Cristo e morire è un guadagno”. (Filipp. I, 21). Il suo ideale è riprodurre Cristo, farlo vivere in sé. “Vivo, non più io, ma vive in me Cristo”. (Gal. II, 20). Avendo coscienza di questa incorporazione, e della propria dignità di vero figlio adottivo di Dio che ne è la conseguenza, nulla è difficile. Egli ha nuove prospettive, ormai: il suo orizzonte si allarga oltre i confini di questo mondo. Ogni cosa di quaggiù perde valore in se stessa e solo conserva quello di mezzo ad un fine più alto, di mezzo con cui dar prova di amore e di fedeltà al Signore. Perché questo amore si sviluppi deve necessariamente esercitarsi, e trova il suo oggetto nel prossimo che Cristo pure ama. Così ogni relazione coi nostri simili assume un significato nuovo. Amarli come membri del Corpo di Cristo è amar Cristo stesso, render loro servigio è renderlo a Lui, e noi sappiamo benissimo che ne saremo ripagati il centuplo con un aumento di amore, qualunque sia quaggiù il nostro destino visibile. – E amar Dio e il prossimo così, ecco l’adempimento della legge, ecco la perfezione dell’uomo anche secondo i canoni di questo mondo. Non è questo l’ideale di tutti, ché anzi, ad alcuni, potrà apparire strano ed irrealizzabile, ma precisamente questo fu insegnato da Colui che è la stessa verità e che nel magistero di essa non ha eguali né simili; è l’ideale che per diciannove secoli milioni di anime hanno vissuto e che ancor oggi differenzia la civiltà cristiana da tutte le altre. Milioni di anime lo vivon tuttora, e anche a coloro che trovano la sua perfezione troppo alta per creature imperfette quali noi siamo, a noi stessi, quest’ideale appare come luce radiosa se pur lontana, avvicinarsi alla quale è indice sicuro di progresso, ideale superiore ad ogni altro che mai sia stato immaginato per noi e per tutto il genere umano. Quando dunque io mi chiedo che cosa è la mia Chiesa, mi sento subito come assorbito in un centro più grande, come una pietra nell’edificio, come il ramo nel suo albero, come il membro nel corpo. La mia Chiesa rappresenta per me assai più di quanto io non rappresenti a me stesso; essa ha più di me pienezza di vita, e io non vivo che come parte di lei. Tanto è vero che i suoi pensieri e i suoi ideali sono i miei, la meta ch’essa si propone diventa la mia meta; in senso proprio e per me affatto naturale, io vivo, ma non più io: essa vive in me. Come la mia mano non si considera minimamente, ma considera soltanto me cui essa appartiene, non avendo alcuna vita di per sé ma solo quella che le viene dalla mia persona viva, così io come Cattolico posso non considerarmi affatto, ma solo considerare il corpo al quale appartengo e vivere non per mio conto, ma solo in quanto attingo vita da lui che vive indipendentemente da me e che in me fa scorrere il suo principio vitale. Nella Chiesa io vivo e mi muovo e ho l’esser mio; e tutto ciò è diventato così naturale per me che non posso più pensarmi, isolato, che come un atomo sperduto, membro distaccato e inanimato nel quale non è vera vita. La mia vita è la sua, il mio essere è il suo, ad essa vanno il mio amore e il mio servizio, allo stesso modo che a me spetta tutta la docilità, tutto il servizio della mia mano. Essa è l’organismo vivo. io non sono che uno dei suoi organi; essa il corpo, io solo un membro; essa è il tutto vivente, io solo una Parte; essa la sposa di Cristo, io null’altro che uno dei suoi lineamenti. E io posso venerare così la mia Chiesa e aderire a lei così, perché so che il suo spirito è lo spirito di Cristo stesso. Egli abita in lei come nel suo proprio Corpo; essa è risorta con Lui dalla tomba e perciò non può più morire: la morte non ha più su di lei alcun potere. Con essa e per essa, e perciò “in Cristo Gesù” sono anch’io risorto da morte, sono ripieno del suo spirito, sono non più l’io naturale e inanimato, ma un membro di Lui, e quando il mio corpo morrà, allora conoscerò che cosa è vivere. Ora vedo come in uno specchio e in maniera oscura, allora vedrò a faccia a faccia. Egli è il capo vivo e reale di questo corpo vivo e reale, e io sono membro, parte di quel medesimo corpo che è il corpo di Cristo, — tanto la Chiesa Cattolica è viva, feconda e intimamente unita ai suoi veri membri, tanto, per essa, ì suoi membri sono uniti a Cristo nostro Signore.

LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (7)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.