IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO

LA MORALE (2)

5. IL COMANDAMENTO DELL’AMORE PER IL PROSSIMO.

Tutti sono nostro prossimo senza distinzione di religione, nazionalità, età, sesso o stato (S. Aug.).

La storia del Buon Samaritano ci insegna che lo straniero e persino il nemico è il nostro prossimo. (S. Luc. X). Purtroppo, molte persone considerano come loro prossimo solo chi appartenga alla stessa nazionalità o alla stessa religione. In Cristo non ci sono né Giudei né Greci, ma tutti sono uno (Gal. III, 28).

.1. DOBBIAMO AMARE IL NOSTRO PROSSIMO PERCHÉ GESÙ CRISTO LO COMANDA, PERCHÉ È FIGLIO DI DIO E CREATO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA; PERCHÉ DISCENDIAMO DAGLI STESSI GENITORI E SUAMO TUTTI CHIAMATI AD UN’ETERNITÀ BEATA.

Gesù Cristo ha comandato: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. (S. Marco XII, 31). – Chi ama il Padre amerà anche i suoi figli. (I. S. Giovanni V, 1). Ora, il nostro Padre comune è Dio, che ci ha creati tutti (Mal. 11, 10). Siamo tutti suoi figli e dobbiamo quindi amarci gli uni gli altri. “Tutti coloro che discendono dalla stessa persona sono imparentati tra loro. Tutti coloro che hanno ricevuto la vita dallo stesso Dio, sono fratelli e sorelle e devono amarsi gli uni gli altri (Lact.). Chi ama il padre rispetterà certamente anche il suo ritratto; ora, il nostro prossimo è l’immagine di Dio (Gen. I, 27), quindi dobbiamo amarlo. Come la luna riceve la sua luce dal sole, così l’amore per il prossimo deriva dall’amore di Dio. Dobbiamo quindi amare il nostro prossimo con un amore che sarebbe impossibile se non ci fosse Dio (S. Edmond). – Siamo tutti figli della prima coppia, quindi siamo tutti una grande famiglia e il nostro amore deve essere amore fraterno. – Infine, siamo tutti chiamati alla beatitudine eterna. Un giorno dovremo dimorare tutti insieme in eterno, vedere Dio e benedirlo per sempre. S. Giovanni dice: “Vidi una folla innumerevole di ogni nazione, tribù, popolo e lingua; tutti in piedi davanti al trono dell’Agnello, rivestiti di vesti bianche, con rami di palma nelle mani (Ap. VII, 9). Sulla terra vediamo persone che svolgono la stessa professione, sacerdoti, insegnanti, ecc. in stretta unione, così dobbiamo fare noi, che chiamati alla stessa beatitudine, dobbiamo essere uniti dal vincolo della carità. Per questo Gesù Cristo ci ha insegnato una preghiera, quella domenicale, in cui ognuno prega per tutti.

2. L’AMORE PER IL PROSSIMO ESISTE NELLA NOSTRA ANIMA QUANDO SIAMO BENEVOLI NEI SUOI CONFRONTI, SENZA FARGLI DEL MALE MA FACENDOGLI DEL BENE.

L’amore per il prossimo non consiste solo in un sentimento di tenerezza o di benevolenza nei suoi confronti, perché ne trarrebbe poco frutto. S. Giacomo disse: “Se uno dei tuoi fratelli venisse da te nudo e affamato e tu gli dicessi: Vai in pace, riscaldati e saziati, senza alcun aiuto da parte tua, a cosa servirebbero le tue parole?” (Giac. II, 15). L’amore per il prossimo è quindi prima di tutto un atto di volontà e si esprime attraverso la beneficenza. “Non dobbiamo amare solo con le labbra e con le parole, ma soprattutto con le azioni e nella verità. (I. S. Giovanni III, 18). La benevolenza consiste nella gioia di vedere il nostro prossimo felice e nel dispiacere di vederlo infelice. – S. Paolo ci dice: “Rallegratevi con quelli che gioiscono e piangete con quelli che piangono” (Rm XII, 15). Notiamo la gioia di Elisabetta quando seppe che Maria fosse diventata la Madre di Dio, e le disse le parole che recitiamo nell’Ave Maria. (S. Luc. 1,42). Si noti anche la gioia dei vicini di Zaccaria alla notizia della sua guarigione miracolosa in occasione della nascita di San Giovanni Battista (Lc. I, 58); così come la gentilezza di Abramo nei confronti di Lot, al quale cedette volentieri la terra migliore (Gen. 12); quella di Mosè espressa in questi termini: Che tutti i popoli posseggano la saggezza e che Dio dia loro il suo spirito. (Gen. XI, 24). Auguri offerti in occasione di una festa, di un nuovo anno, di un lieto evento, il saluto che ci rivolgiamo l’un l’altro quando ci incontriamo, sono segni di benevolenza. Il Salvatore stesso salutò i suoi Apostoli con queste parole: “La pace sia con voi; gli stessi Angeli salutano, come possiamo vedere dal saluto dell’Arcangelo Gabriele alla Vergine Maria, e i buoni Cattolici usano da tempo la pia formula per salutarsi: Sia lodato Gesù Cristo! S. Paolo raccomanda di essere premurosi l’uno con l’altro (Rom XII, 10). Cancellare la benevolenza sulla terra, è come sopprimere il sole, e con ciò rendere le relazioni degli uomini tra loro impossibili. (S Greg. M.) Le membra di un medesimo corpo sono legati da incidenti che capitano ad uno di essi; quando una spina penetra nel piede, gli occhi cercano di vederla, la lingua viene informata, il corpo si contrae e la mano si muove per estrarla. Noi dobbiamo fare lo stesso verso il nostro prossimo. (S. Aug.) – Non ci è dunque permesso di rallegrarci della disgrazia, né rammaricarci della felicità del nostro prossimo. Le gioie dell’invidia sono diaboliche e sono il segno più certo che l’uomo non possiede l’amore per il prossimo.

Dobbiamo evitare di danneggiare il nostro prossimo nella sua vita, innocenza, proprietà, onore e diritti di famiglia.

specialmente quando si trova nel bisogno.

Dio difende tutto ciò negli ultimi 6 comandamenti. Chi trasgredisce gravemente uno solo di questi comandamenti non ha la carità.

Noi dobbiamo fare del bene al nostro prossimo. Specie quando sia nel bisogno.

Il nostro Giudice ci richiede opere di misericordia e fa dipendere da esse la nostra salvezza. (Mt. XXV, 35). In un edificio, una pietra sostiene l’altra, senza il che l’edificio crollerebbe; allo stesso modo, nella Chiesa, tutti devono sostenersi e sorreggersi a vicenda. (S. Gr. M.) La carità è una catena che ci lega al nostro prossimo e fa sì che ci preoccupiamo di lui con affetto. (S. Giovanni Dam.) Più la carità è perfetta, più è generosa e meno egoista. (Dionigi il Cert.)

3. DOBBIAMO AMARE IL NOSTRO PROSSIMO COME NOI STESSI. MA NULLA CI OBBLIGA AS AMARLO PIÙ DI NOI STESSI.

Gesù Cristo ha detto: “Fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi”. (Matth. VII, 12). Ciò che non volete sia fatto a voi, non fatelo agli altri. (Tob. IV, 16). Mettetevi spesso nella situazione di uno dei vostri simili e vi comporterete in modo molto diverso da come vi comportate. – Tuttavia, la carità ha i suoi limiti. Mi è concesso, ad esempio, di difendermi dal mio vicino se minaccia la mia vita, e non sono obbligato a privarmi delle necessità della vita per aiutare gli altri. Le vergini sagge non diedero olio alle vergini stolte per paura di non averne abbastanza per sé. (S Matth. XXV, 9). Chi fa questo, però, senza esserne obbligato fa un vero atto eroico di carità, come la vedova di Sarepta che diede al profeta Elia tutto ciò che le restava (III Re XVII). Ma l’amore più grande è dare la vita per i propri simili. (S. Giovanni XV, 13). Lo ha fatto il Salvatore e centinaia di missionari che, per salvare le anime dei loro simili, non temono di esporre la loro vita ad ogni pericolo. – Durante la peste del 1576 S. Car. Borromeo, Arcivescovo di Milano, curò personalmente centinaia di appestati, e spese tutto il suo patrimonio per aiutarli. Molti altri Santi fecero lo stesso.

4. TUTTO CIÒ CHE FACCIAMO AL NOSTRO PROSSIMO, SIA DI BUONO CHE DI CATTIVO, È FATTO A GESÙ CRISTO STESSO, PERCHÉ- DICE GESÙ CRISTO – “QUALUNQUE COSA ABBIATE FATTO AL PIÙ PICCOLO DEI MIEI FRATELLI LO AVETE FATTO A ME”. (Mt. XXV, 40).

Gesù disse a Saulo sulla via di Damasco: “Perché mi perseguiti?”. Eppure, Saulo aveva perseguitava solo i Cristiani. (Act. Ap. IX). Quando San Martino ebbe dato al mendicante metà del suo mantello, Gesù Cristo gli apparve in sogno la notte seguente, circondato da Angeli, vestito di questa metà del mantello e disse: “È con questo mantello che Martino mi ha rivestito oggi”. Dio si pone, per così dire, a protezione del prossimo per proteggerlo, e non possiamo ferirlo senza prima ferire Dio stesso.

5. CHIUNQUE OSSERVI IL COMANDAMENTO DELLA CARITÀ OTTERRÀ SICURAMENTE UN’ETERNITÀ BEATA.

S. Giovanni evangelista rivolgeva continuamente ai Cristiani queste parole: “Figlioli miei, amatevi gli uni gli altri.”. “Quando gli fu chiesto il motivo di queste parole spesso ripetute, rispose: “Se vi amate gli uni gli altri, osserverete tutta la legge”. “S. Paolo ha espresso spesso lo stesso concetto (Rom. XIII, 8; Gal. V, 14). Il Salvatore promette già la vita eterna a colui che, dei 10 comandamenti, osserva quelli relativi all’amore per il prossimo (S. Matth, XIX, 18) e a fare opere di misericordia (id. XXV, 31). Perché chi evita di fare del male ai suoi simili o fa loro l’elemosina non può essere cattivo. Un ubriacone, un giocatore d’azzardo, un avaro, un uomo orgoglioso, un uomo senza fede, un fannullone, un ladro, raramente faranno l’elemosina. Chi fa l’elemosina, colui che pratica le opere di misericordia, possiede molte altre virtù oltre alla generosità. La carità non può esistere senza altre virtù, come il cuore non può esistere in un corpo senza membra. L’elemosina può quindi essere giustamente considerata come il cuore delle virtù (S. Cris.),

6. LA CARITÀ È IL SEGNO PROPRIO DI IN VERO CRISTIANO. INFATTI IL SALVATORE HA DETTO: ” DA QUESTO SEGNO SI CONOSCERÀ CHE SIETE MIEI DISCEPOLI, SE VI AMATE GLI UNI GLI ALTRI. (S. Giovanni XIII, 35).

Gesù Cristo ci ha amati per primo, prima che noi meritassimo di essere amati. Se dunque noi amiamo e facciamo del bene anche a coloro da cui non abbiamo mai ricevuto alcun beneficio, se amiamo sull’esempio di Gesù, siamo veramente suoi discepoli e ci distingueremo facilmente da coloro che di solito amano solo i loro amici e benefattori..(S. Cris.) È perché questo comandamento, dato da Gesù Cristo, non era conosciuto prima di Lui, che Egli ha potuto darlo a noi. (S. Giovanni XI, 34). –

Come sarebbe bello vivere se questa carità regnasse ovunque! Le leggi, i giudici, le punizioni diventerebbero inutili: nessuno farebbe del male al suo prossimo, gli omicidi, le dispute, le liti, i tumulti, i saccheggi e gli altri mali sarebbero sconosciuti tra gli uomini. Non ci sarebbero più poveri, ma ognuno avrebbe ciò di cui ha bisogno. (S. Cris.)

6. L’ASSENZA DI CARITÀ.

Non ha carità

1° COLUI CHE, INVECE DI DESIDERARE IL BENE AL SUO PROSSIMO, È INVIDIOSO DI LUI.

Il peccato di invidia si commette quando, per malizia ci rallegriamo del male del nostro prossimo o ci rattristiamo del bene che gli capita.

L’invidioso non vede (in latino: in privativo e videre, “invidere”) la felicità degli altri e cerca di danneggiarli con parole ed azioni. Questi assomiglia ai serpenti indiani che rosicchiano gli alberi carichi di fiori profumati, perché ne odiano la fragranza. Egli è come la tignola che corrode i vestiti di porpora; come la ruggine che distrugge il ferro; il bruco che divora tutte le foglie verdi di un albero. (S. Aug.) – L’invidioso che si rallegra della disgrazia del suo prossimo è simile al corvo, che trae piacere solo dalla decadenza e dal fetore della decomposizione. – Tuttavia, se la nostra tristezza o la nostra gioia nascono dall’amore per Dio e del prossimo, non sono colpevoli; per esempio, se qualcuno si rattrista per il fatto che un nemico della Chiesa riesca a ottenere una grande influenza negli affari pubblici, o che veda una certa felicità andare a un peccatore che ne abuserà per peccare ulteriormente. – Tra coloro che sono colpevoli di invidia ci sono: satana, che lo fu dri nostri primi genitori nel paradiso terrestre; Caino, di suo fratello Abele, perché il sacrificio di Abele era gradito a Dio. (Gen. IV); i figli di Giacobbe, del loro fratello Giuseppe, perché era il preferito del padre (id. XXXVII); il re Saul, di Davide, perché il popolo lo onorava per aver ucciso il gigante Golia (I Re XVII). Alcuni invidiano gli altri per la loro situazione di fortuna (odio di professione o odio di classe). – Il grado più basso di invidia consiste nel vedere con dispiacere il nostro prossimo progredire nella virtù e nella grazia di Dio. L’invidia spirituale è un peccato contro lo Spirito Santo. Spirito Santo. Ecco come i sommi sacerdoti e i farisei invidiavano Gesù Cristo: quando lo videro fare miracoli, decisero di metterlo a morte (S. Giovanni XI, 47). Questo è il peccato particolare dei demoni, poiché appena vedono un’anima eletta progredire nel bene, entrano in furia e la perseguitano subito. (S. Gr. M.).

2. Di tutti i peccati, è l’invidia che rende l’uomo più simile al diavolo, perché è il peccato particolare del diavolo.

Chi è invidioso assomiglia al demonio (San Cipriano), perché è attraverso l’invidia che la morte è entrata nel mondo (Sapienza II, 24). Proprio come Gesù Cristo ha detto: “Da questo segno si conoscerà che siete miei discepoli se vi amate gli uni gli altri”, allo stesso modo il diavolo può dire: “Sapranno che siete miei discepoli, se vi invidiate a vicenda come io vi ho invidiato (S. Vinc. Fer.). L’invidioso non ha nessuna somiglianza con Dio, e poiché non è nulla, desidera essere circondato solo da miseria e rovina. (S. Bonav.) Di tutti i peccati, è l’invidia che contiene la più grande malizia, perché ogni peccato e vizio ha delle attenuanti. L’intemperanza è scusata dall’appetito; la vendetta dalla difesa dei propri diritti; il furto dalla povertà, ecc; (S. Cris.) L’invidia è peggiore della guerra, perché la guerra ha dei motivi, mentre l’invidia non ne ha nessuno. In più la guerra cessa, l’invidia non cessa mai. L’invidia non è altro che uno stato d’animo diabolico (S. Cris. ). La malizia dell’invidioso è, per così dire, ancora più grande di quella del demonio, perché il demonio invidia solo l’uomo, ma non i suoi simili, mentre l’uomo invidia i suoi fratelli. (L’invidia è l’unico peccato che resiste all’influenza delle opere di misericordia. Possiamo calmare un uomo arrabbiato o un nemico con parole gentili, ma non l’invidioso: “Date da mangiare ai cani e diventeranno mansueti; accarezzate un leone e sarà domato, ma per l’invidioso la cortesia e la condiscendenza non faranno che eccitarlo di più”. (S. Giovanni Dam.) – Di tutti i peccati, l’invidia è quello che dà meno soddisfazione. L’intemperante, l’avaro, l’irascibile ecc., sembrano almeno godere della loro passione, ma l’invidioso no. Assomiglia alla farfalla che, lungi dallo spegnere la luce con il suo battito d’ali, non fa che bruciarsi in essa. (Diez).

3. L’invidia provoca un grande danno all’anima. Essa gli toglie la pace interiore e la salute corporea, e la porta a molti peccati contro la carità e alla dannazione eterna.

Come un verme rosicchia il legno da cui nasce, così l’invidia rode anche il cuore che le ha dato rifugio. Tormenta la mente, distrugge la pace della coscienza, riempie l’anima di malumore e tristezza e allontana ogni gioia. Una volta insediatosi in un’anima, non tarda a manifestarsi esternamente, come accadde al volto smunto di Caino (Gen. IV, 5); toglie al volto i suoi colori freschi e si rivela con il pallore e gli occhi spenti la pena prodotta all’interno. Quando il cuore e le viscere sono dilaniati dagli artigli della malevolenza, nessun cibo soddisfa e nessuna bevanda delizia. (S. Cipr.) L’invidia accorcia la vita umana. (Eccl. XXX, 26). La persona invidiosa è il proprio carnefice (S Gr. de Naz.). Come la ruggine rode il ferro, così l’invidia distrugge a poco a poco l’animale invidiosa (S. Bas.) L’invidia è paragonata a forbici che si consumano con l’uso, o a una lama che taglia il cuore da cima a fondo. L’invidia porta a molti peccati contro la carità. Dopo aver macchiato la terra con il fratricidio, spinse i figli di Giacobbe a vendere il loro fratello, ha ispirato Saul a perseguitare il suo benefattore Davide ed ebbe persino assetato del sangue di Gesù Cristo raggiungendo il suo scopo. – L’invidia porta a mormorare contro la provvidenza divina. Fu l’invidia a far sì che gli operai che erano stati impegnati nella vigna del Signore mormorassero, perché il padre di famiglia dava lo stesso salario agli operai dell’ultima ora (S. Matth. XX, 9). L’invidioso odia i benefici divini. L’invidia esclude dal regno celeste (Gal. V, 20); essa è la garanzia più sicura della dannazione eterna. (S. Bas.) È stata l’invidia a spingere gli angeli all’inferno e ha spinto i nostri primi genitori fuori dal paradiso terrestre. (S. Aug.). Se già dobbiamo amare i nostri nemici sotto pena di peccato, quale sarà la nostra punizione se perseguiremo con invidia coloro che non ci hanno fatto alcun male! (S. Cris.).

4. Il modo migliore per soffocare l’invidia in noi è fare il più possibile del bene al nostro prossimo.

Chi vuole estirpare il mostro dell’invidia dal suo cuore, non ha bisogno né di spada, né di scudo, né di elmo, tutto ciò che deve fare è accendere il fuoco della carità nel suo cuore..(S, Gr. M.) “Fate dunque molto bene a colui verso il quale nutrite sentimenti di invidia.; almeno pregate per lui, affinché sia felice. In questo modo otterrete due vittorie, una sull’invidia e l’altra sull’esercizio delle opere di misericordia (S. Cris.). – Medita anche sulla vanità delle cose terrene: presto dovrete lasciare tutto, e allora non dovrete più rendere conto di ciò che avete posseduto, né delle dignità a cui siete stati chiamati, ma la vostra felicità eterna dipenderà dalle opere buone che avrete fatto. Il primo sarà quindi ultimo e l’ultimo primo. (S. Matth. XIX, 30). Se vuoi essere grande un giorno, umiliati adesso e ama essere sconosciuto e disprezzato, perché chi si umilia sarà esaltato (S. Luc XIV, 11).

2. NÉ HA CARITÀ CHI NUOCE AL SUO PROSSIMO: ALLA LA VITA L’INNOCENZA, I BENI, L’ONORE O AL SUO FOCOLARE DOMESTICO.

3. CHI OMETTE DI COMPIERE OPERE DI MISERICORDIA.

Non si ama il prossimo se, quando è nel bisogno, non lo si aiuta a sufficienza per vivere. (S. Cris.) Lo stretto dovere del ricco è quello di fare l’elemosina. Ma questo dovere è molto trascurato nel nostro tempo. Già Sant’Ambrogio agli avari del suo tempo faceva il seguente mercuriale: “Voi adornate brillantemente le pareti della vostra casa, ma derubate i poveri. Quando un povero alla porta della vostra dimora vi chiede una piccola moneta, voi gli passate accanto, rifiutandogli anche solo un’occhiata, ma pensate al tipo di marmo con il quale sarebbe meglio pavimentare il vostro palazzo. Mentre un uomo affamato vi chiede del pane, il vostro cavallo avrà un morso in oro. O ricco, che giudizio severo porti su di te che avresti potuto alleviare tanta miseria. Il solo diamante che porti al dito potrebbe essere usato per sfamare un intero popolo”. S. Crisostomo si esprime così. Crisostomo si esprime riguardo ai ricchi dal cuore duro: “La cosa peggiore è che siete spinti all’avarizia né dalla povertà né dalla fame. Tua moglie, la tua casa, persino i tuoi animali sono coperti d’oro, mentre chi è fatto a immagine di Dio ed è salvato dal sangue di Gesù Cristo è in miseria a causa della vostra disumanità. Il vostro cane è nutrito con cura, mentre un uomo, o meglio, Gesù Cristo stesso è, a causa di quel cane, gettato in estrema miseria a causa di questo cane. Quali torrenti di fuoco ci vorranno per un’anima così colpevole! (Parleremo più esplicitamente delle opere di misericordia alla fine del decalogo).

7. L’AMICIZIA.

1. Per amici si intendono le persone che condividono gli stessi principi, si sostengono vicendevolmente ed hanno reciproca confidenza.

Le persone che la pensano allo stesso modo fanno amicizia facilmente. Le persone che si somigliano si attraggono. Siamo più bendisposti verso i nostri amici che con le altre persone. I veri amici hanno un solo cuore e una sola anima. L’amicizia è come uno specchio che riflette fedelmente l’oggetto o la persona che vi si riflette. Quando la persona davanti allo specchio ride, muove la testa, l’immagine fa lo stesso; questa sembra volere o non volere in perfetta conformità con essa; così è per l’amicizia. (Ger.) Piccoli malintesi, incomprensioni, lungi dal distruggere l’amicizia, la rafforzano, come i maniscalchi che gettano l’acqua sul fuoco per renderlo più intenso, e i principi che mettono più cura nel custodire una città riconquistata che una mai presa dal nemico. (S. Fr. di S.). I veri amici si sostengono a vicenda. Abbiamo Damon e Pythias che erano amici intimi. Uno di loro fu condannato a morte dal tiranno Dionigi; come ultimo favore, chiese di poter tornare a casa e mettere in ordine i suoi affari. Il suo amico si offrì come ostaggio e promise di morire al suo posto se fosse mancato. Il momento dell’esecuzione si avvicinava e il condannato non era ancora arrivato; Pitia, però, sapeva che l’amico non sarebbe venuto meno alla sua parola data e che sarebbe arrivato. Ed in effetti questi venne. Il tiranno, mosso dall’ammirazione per tale amicizia, perdonò il condannato. – Davide, un povero pastore di Betlemme, e Gionata, il figlio del re Saul (I Re XX, 34; XVIII, 1) si erano conosciuti durante la guerra e la loro nobiltà d’animo li portò a stringere una stretta amicizia. Quando Gionata seppe che Davide veniva inseguito fino alla morte, non prese cibo, tanto era grande il suo dolore. Quando dovette lasciarlo, pianse amaramente. Lo avvertì di tutti i pericoli che lo minacciavano e gli fece persino dono di armi e vestiti. – I veri amici hanno un rapporto di confidenza e di apertura reciproca. Quando si entra in una stanza, si vede subito tutto quello che contiene. È così che gli amici aprono la loro anima l’uno all’altro per comunicare i segreti più intimi. Anche Gesù Cristo ha svelato molti segreti ai suoi discepoli. – I veri amici sono quindi molto franchi e prestano attenzione ai difetti che notano nell’altro. È così che Gesù Cristo ha fatto notare agli Apostoli i loro difetti, dicendo loro di diventare come i bambini (S. Matth. XVIII, 3). S. Grég. M. diceva: “Riconosco come amici solo quelli che hanno il coraggio di avvertirmi dei miei difetti “.

2. Per essere veri amici, è necessario che i principi comuni siano uniformi gli insegnamenti della Chiesa.

L’amicizia è come un edificio, perché poggia su un fondamento che deve essere l’amore ed il timore di Dio.

L’edificio dell’amicizia sarà costruito sulla sabbia se il suo fondamento è il vizio o l’interesse personale. (Galura). Chi è nemico di Dio non sarà mai un vero amico (S. Amb.). Solo colui che ama in Dio, ama veramente ; chi lo ama per altri motivi odia più di quanto ami (S. Aug.). I coralli in fondo al mare non sono altro che vegetazione verdastra, sottile e senza bellezza; appena fuori dall’acqua, diventano rossi, duri e brillanti. Allo stesso modo, l’amicizia diventa bella e solida non appena si eleva nell’amore di Dio.

3. Gli amici i cui principi sono colpevoli sono falsi amici, perché perdono il corpo e l’anima e sono abbandonati nell’infelicità..

Le false amicizie nascono spesso nei luoghi di piacere, tra i giocatori d’azzardo, gli ubriaconi e i beoni, tra persone di cattiva reputazione che hanno bisogno di complici. È così che Giuda ed i Giudei si unirono contro Gesù (S. Matth. XXVI, 16); anche Erode e Pilato divennero amici quando si trattò di condannare Gesù (S. Luc. XXIII, 12).

I falsi amici si legano a qualcuno solo per il momento del bisogno. (Eccl. VI, VII). Quando Giuda, disperato e gemente, portò i 30 denari ai sommi sacerdoti, questi sembravano non conoscerlo più e risposero: “Che cosa ci riguarda?”(S. Matth. XXVII, 4). I falsi amici sono come le rondini che restano in un paese solo finché sia caldo e piacevole e lo abbandonano al primo freddo. (Plinio). Sono anche come quelli che, incontrando un albero da frutto sul loro cammino, lo spogliano dei suoi frutti e poi proseguono per la loro strada; o come le api che lasciano il fiore dopo averne succhiato il miele (Segneri). Essi somigliano alla canna che si spezza appena ci si appoggia sopra. Da qui il detto dei Romani: “Finché sei felice e la fortuna ti sorride, avrai molti amici; ma non appena il tuo cielo si coprirà di nuvole, tutti ti abbandoneranno”(Ovidio). Il bisogno o la povertà sono la migliore pietra di paragone per l’amicizia. (Cassiodoro).

4. È lecito avere amici e preferirli ad altri., perché anche Gesù aveva una predilezione per gli amici.

Gesù amava tutti gli uomini, ma soprattutto i suoi discepoli. Li chiamava amici, figli, figlioli, e li trattava in modo molto affettuoso. Ma tra tutti i suoi discepoli Gesù preferiva Giovanni (S. Giovanni XIII, 23; XX, 2; XXI, 7), poi Pietro e Giacomo che portò con sé nei momenti più importanti della sua vita, sul Tabor e nell’Orto degli Ulivi. Infine, ebbe un amore speciale per Lazzaro e le sue sorelle. (S. Giovanni XI, 5). Sappiamo anche che Dio preferisce coloro che gli assomigliano e lo amano di più, e li favorisce con più grazie ed amore. Di conseguenza ci è concesso anche di avere maggiore fiducia ed affetto per coloro che condividono maggiormente i nostri gusti e che ci vogliono più bene. Il sentimento dell’amicizia è stato profondamente inciso nei nostri cuori dal Creatore.

5. È persino una grande gioia per noi avere dei veri amici, perché ci rendono la vita piacevole e proteggono il nostro corpo e la nostra anima.

È una grande gioia trovare un vero amico. (Eccl. XXV, 12). Un amico ci rende la vita piacevole; grazie al suo ruolo, la felicità è maggiore, la sfortuna minore e le pene sopportabili. Il miglior balsamo per le nostre ferite è avere in ogni dolore qualcuno che ci consoli. (S. Aug.) Allo stesso modo in cui un bastone uniti gli altri è più facile da spezzare, così siamo meno infelici quando amici fedeli ci sostengono nelle disgrazie. Un vero amico è per noi un secondo angelo custode. Così Davide e Gionata. Le armi e le mura sono meno sicure di un’amicizia fedele. (S. Cris.) Non c’è nulla sulla terra che possa essere paragonato ad un vero amico, e la sua fedeltà è più preziosa dell’oro e dell’argento. Chi teme il Signore troverà questo amico (Eccl. VI, 15). Un giorno al re Alessandro magno fu chiesto dove avesse i suoi tesori, ed il re disse ai suoi amici: “Questi sono i miei tesori”. – La vera amicizia sopravvive alla morte, perché la carità non perisce (1. Cor. XIII, 8). I veri amici si incontreranno di nuovo in cielo e si ameranno teneramente. Gesù Cristo non disse forse ai suoi Apostoli che si sarebbero incontrati di nuovo in cielo? (S. Giovanni XVII, 24). I falsi amici, invece, si malediranno a vicenda dopo la morte, perché riconosceranno di essersi resi infelici l’un l’altro,

6. Tuttavia, non dobbiamo mai fare amicizia troppo in fretta, né agire ingiustamente per affetto verso un amico.

Davide già si lamentava: “Quest’uomo – diceva – che era mio amico, nel quale avevo riposto la mia fiducia, che mangiava il mio pane, tramava contro di me”. (Sal. XL, 10). – La Sacra Scrittura ci dà il seguente consiglio: “Stai in guardia anche contro i tuoi amici”. (Eccl. VI, 13). Se avete un amico, mettetelo alla prova nel momento del bisogno e non riponete così rapidamente la vostra fiducia in lui (id. VI, 7). Non giudicatelo tanto dalle parole quanto dai fatti! – Se, per affetto verso il vostro amico, vi viene chiesto di fare del male, fate come il giovane greco a cui fu chiesto di fare un falso giuramento nell’interesse di un amico: “Io sono – rispose – tuo amico solo finché conservo l’amicizia di Dio”. L’amicizia di Dio è ovviamente più preziosa di tutte le amicizie umane.

8. IL COMANDAMENTO DI AMARE I NOSTRI NEMICI.

Chiamiamo nemico chiunque ci odi e cerchi di farci del male. Saulo era un nemico dei Cristiani. I nemici sono come bestie feroci. Ma solo possiede la vera carità chi ama anche i suoi nemici. Un incendio non si spegne con un forte vento, ma viene alimentato da esso. La carità, invece di essere distrutta dalle offese del prossimo, non potrà che crescere. “Il segno più sicuro che abbiamo la vera carità è quando amiamo colui che ci offende. Se amiamo solo chi ci ama, abbiamo pochi meriti, (S. Matth. V, 46). Perché se amiamo i nostri amici li amiamo solo a causa nostra, ma se amiamo i nostri nemici, li amiamo a causa di Dio. (C. Hugo).

1. DOBBIAMO AMARE I NOSTRI NEMICI, PERCHÉ GESÙ CRISTO LO COMANDA. QUANDO DICE: “AMATE I VOSTRI NEMICI, FATE DEL BENE A QUELLI CHE VI ODIANO; PREGATE PER QUELLI CHE VI PERSEGUITANO E VI CALUNNIANO” (S. Matth. V, 44).

Cristo ci ha dato il miglior esempio di amore per i nostri nemici, perché sulla croce ha pregato per i suoi nemici e nell’Orto degli Ulivi guarì il servo a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio.. Lo stesso Padre celeste ci dà un esempio di di amore per i nostri nemici, perché fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi e manda la pioggia dal cielo sui giusti e sui peccatori. Chi ama il suo nemico è veramente un figlio del Padre celeste (S. Matth. V, 45).

Noi dobbiamo amare i nostri nemici, anche perché il nemico è un’immagine e persino uno strumento di Dio.

Il nemico è l’immagine di Dio. Il ritratto di un re, che sia scolpito nell’oro o nel piombo, che sia più o meno grande, è sempre rispettabile. Allo stesso modo, l’immagine di Dio, che sia rappresentata da un uomo vizioso o virtuoso, merita sempre la nostra venerazione ed il nostro amore. Inoltre, non amiamo il peccato ma la persona del nostro nemico. “L’uomo è opera di Dio; il peccato è opera dell’uomo. Amiamo dunque l’opera di Dio senza amare l’opera dell’uomo”(S. Aug.). Amiamo anche il nostro nemico, perché è uno strumento di Dio. “Gli uomini malvagi sono strumenti nella mano di Dio”(S. Aug.) senza che lo sappiano. Così, come il medico usa le sanguisughe per rimuovere i germi impuri dal sangue dei malati e guarirli, allo stesso modo Dio si serve dei nostri nemici per correggere le nostre imperfezioni. I malvagi servono ai buoni come le lime e i martelli lo sono per il ferro. (S. Aug.) I malvagi sono per il bene ciò che l’aratro è per il campo. (S. Cris.) I nostri nemici ci sono utili, perché mettono in evidenza i nostri difetti e ci danno l’opportunità di praticare la virtù. I nemici sono come le api: pungono, ma forniscono miele (Urb. IV), – Quando una lingua viziosa vi punge, consolatevi con il fatto che le vespe non attaccano mai i frutti peggiori. Si dice: “Molti nemici, molto onore”. Infine, dite a voi stessi che un nemico non è in grado di danneggiare chi ama Dio, perché Dio volgerà al bene del suo popolo tutti gli attacchi che esso subisce (Rom. VIII, 28)., come dimostra la vita di Giuseppe in Egitto. Chiunque rifletta su questa sopporterà senza difficoltà le persecuzioni dei nostri nemici.

2. L’AMORE PER I NOSTRI NEMICI CONSISTE NEL NON VENDICARSI DI LORO, NEL RICAMBIARE IL MALE CON IL BENE E, SOPRATTUTTO, DI PREGARE PER LORO E PERDONARLI.

Noi non dobbiamo vendicarci del nostro nemico. Davide ci dà un buon esempio; due volte ebbe l’occasione per uccidere il suo persecutore, Saul, e non gli fece mai nulla. (I Re XXLV e XXVI). I farisei insultarono Gesù (S. Matth. XI, 19; S. John VIII, 48), ma Lui non ha mai ricambiato oltraggio per oltraggio (I. S. Pietro II, 23). Un giorno, in un quartiere di Samaria, uno si rifiutò di riceverlo perché era giudeo; gli Apostoli, indignati, volevano far scendere il fuoco, ma Gesù Cristo li rimproverò e disse loro: “Non sapete di quale spirito siete ” (S. Luc. IX, 55). Un padre promise un diamante al figlio che avesse compiuto l’azione più nobile. Lo diede come ricompensa a colui che, avendo trovato il suo nemico addormentato sull’orlo di un abisso, non ve lo fece cadere (Poesia di Lichtwer). La vendetta non appartiene a noi, ma a Dio, (Rom. XII, 17). Dobbiamo preferire la sofferenza alla vendetta, ed è per questo che Gesù Cristo ha detto: Se qualcuno ti schiaffeggia la guancia sinistra, porgi la guancia destra. (S. Luc VI, 29). Non dobbiamo lasciarci sopraffare dal male, ma dobbiamo vincere il male con il bene. (Rm XII, 21). Vendicarsi dei tuoi nemici, seguendo l’esempio dei santi; è ricompensare il male con il bene, (Sant’Alfonso). Giuseppe, l’egiziano, ripagò i suoi fratelli con il bene il male. Santo Stefano pregò per i suoi carnefici. “La disgrazia dei suoi persecutori lo faceva soffrire più del dolore che gli causavano, perciò pregava per loro.” (S. Fulg.). L’apostolo S. Giacomo, Vescovo di Gerusalemme, venne precipitato dall’alto dal tempio e stava ancora pregando, con le ginocchia spezzate, per i suoi persecutori. – Anche noi dobbiamo perdonare i nostri nemici. Il re Davide perdonò Semei, che gli aveva lanciato pietre e lo aveva insultato (1 Re XVI, 10). Chi fa del bene ai suoi nemici è come il giglio tra le spine, che viene lacerato da esse senza smettere di adornarle con il suo candore. (S. Bern.) Quale nobile sentimento è fare del bene al proprio nemico!

3. CHI FA DEL BENE AL PROPRIO NEMICO INVECE DI VENDICARSI SI CALMA E VIENE RICOMPENSATO DA DIO. CHI SI VENDICA O ODIA IL SUO NEMICO, COMMETTE PECCATO.

Davide ebbe due volte l’opportunità di uccidere il suo persecutore Saul e, senza fargli alcun male, lo ammorbidì e lo toccò a tal punto che scoppiò in lacrime (I. Re. XXIV-XXVI). Il Beato. Hofbauer fu insultato da una donna in una strada di Vienna; egli si avvicinò a lei, raccolse il fazzoletto che gli era caduto e glielo restituì con parole gentili; la donna, vergognandosi di tanta gentilezza, fuggì”. Un verme, benché abbia un corpo molto morbido, è capace di perforare il legno più duro, allo stesso modo la condiscendenza sconfiggerà il nemico più acerrimo”. (Beda). Il vostro nemico è un leone; se non lo ecciti, è come morto (S. Bonav.). Fai del bene al tuo nemico, e gli getterai carboni ardenti sul capo (Rom. XII, 20), cioè il tuo nemico non potrà resistere al tuo amore più di quanto possa resistere ai carboni ardenti.

4 – CHI NON SI VENDICA DEL SUO NEMICO SARÀ RICOMPENSATO DS DIO.

Davide sopportò pazientemente gli insulti di Semei e disse: “Forse Dio vede la mia miseria e mi concederà il bene per il male che ho sopportato in questo giorno (II Re XVI, 12); egli ottenne la vittoria. “Pregare per i propri nemici è difficile, ma quanto maggiore è lo sforzo, tanto maggiore sarà la ricompensa un giorno”. (S. Aug.) Chi si vendica dei propri nemici commette un peccato. Come l’ape che, per vendicarsi, si è vendicata ma poi muore. Chi si vendica è uno sciocco; è come il cane che morde la pietra che gli viene lanciata; perché chi è spinto dal desiderio di vendetta, non pensa che il suo nemico è solo uno strumento nella mano di Dio. (Corn. a. L.) (Sul tema dell’odio, vedi il 5° comm.),

4. CHI PERDONA I SUOI NEMICI OTTIENE DA ZDIO IL PERDONO DEI PROPRI PECCATI; DIO AL CONTRARIO, NONMPERDONA CHI NON PERDONA.

Perdonare i propri nemici è un’opera di misericordia e la più generosa delle elemosine. (S. Aug.) Se perdonate agli altri, otterrete voi stessi il perdono (S. Cris.), come dice la quinta petizione del Padre Nostro. – Se invece non perdonate, attirerete ogni volta la maledizione di Dio su di voi (S. Anastasio). Gesù Cristo ha detto: “Se non perdonerete agli uomini dal profondo del vostro cuore, il Padre vostro celeste non perdonerà le vostre colpe. (S. Matth. VI, 15). Gesù Cristo ci insegna la stessa cosa nella parabola del servo malvagio (S. Matth. XVIII, 23). Egli vuole che perdoniamo il nostro fratello non 7 volte, ma settanta volte 7 (S. Matth. XVIII, 22). ( Cfr. i capitoli sulla mitezza e sull’amore per la pace.)

9. L’AMORE PER SE STESSI

Ognuno di noi è il suo prossimo più prossimo. “Non è possibile trovare qualcosa di più vicino all’uomo che se stesso” (Salv.). Ognuno deve quindi amare se stesso.

Dobbiamo amare noi stessi, perché Dio lo vuole, perché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, riscattati dal suo sangue e chiamati alla vita eterna.

Dio vuole che ci amiamo a vicenda, perché Gesù Cristo ha detto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Secondo queste parole, l’amore per se stessi deve essere la regola e la misura dell’amore verso il prossimo. Come può amare il prossimo chi non ama se stesso? “Impara prima ad amare Dio, poi te stesso, e poi il tuo prossimo come te stesso.” (S. Aug.). Dio non ci ha dato un comandamento speciale per amare noi stessi., perché ognuno, avendo la legge naturale incisa nel cuore, è di conseguenza già portato ad amare se stesso (S. Aug.) e perché l’amore di sé è già contenuto nella legge dell’amore del prossimo (S. Th. d’Aq.). – Dobbiamo amare anche noi stessi, perché siamo creati a immagine di Dio. Se veneriamo l’immagine di Dio nel nostro prossimo e anche nel nostro nemico, siamo obbligati a venerarla anche in noi stessi. E se amiamo noi stessi per amore di Dio, il vero amore di sé aumenta in noi nella stessa proporzione in cui aumenta in noi l’amore di Dio (S. Th. d’Aq). -L’amore per noi stessi ci viene comandato anche dall’alto prezzo della nostra redenzione. “Noi non siamo stati comprati con oro o argento, ma con il prezioso sangue di Gesù Cristo” (I. S. Piet. I, 18); siamo stati riscattati a un prezzo molto alto. (I. Cor. VI, 20). – Inoltre, abbiamo una destinazione sublime; siamo chiamati a un’eternità beata. S. Leone M.. dice le seguenti belle parole su questo argomento: “Riconosci, o clCristiano, la tua dignità! Sei diventato partecipe della natura divina e sei diventato membro della membro di Gesù Cristo! Ricorda che sei stato sottratto alle potenze delle tenebre e destinato alle glorie del regno celeste! – Ricordiamoci anche che il Figlio di Dio, facendosi uomo, è diventato nostro fratello, e che siamo diventati figli di Dio (1. S. Giovanni III, 1); che lo Spirito Santo abita in noi (I. Cor. VI, 19), che gli Angeli sono al nostro servizio (Eb. 1, 14): tanti motivi per amare noi stessi. – E poiché l’amore per se stessi alla fine non è altro che l’amore per il prossimo trasferito a se stessi, possiamo dire che amare se stessi è apprezzarsi (un atto dell’intelletto), augurarsi il bene (un atto del cuore), non farsi del male e farsi del bene (un atto della volontà). Questo amorenpuò essere chiamato vero, in antitesi al falso, le cui caratteristiche principali sono la vanagloria, l’egoismo, l’insolenza, la licenziosità, ecc.

Il vero amore per se stessi si dimostra con il desiderio di ottenere ciò che ci rende veramente felici, prima di tutto la salvezza eterna, e poi i beni terreni che ci aiutano a raggiungerla.

Chi ha vero amor proprio agisce secondo le parole di Gesù Cristo: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà aggiunto”. (S. Matth. VI, 33); egli si prenderà cura della sua salute, del suo cibo, del suo abbigliamento, della sua abitazione, ecc. ma senza eccessiva preoccupazione (S. Matth. VI, 20-32).

Non ama se stesso chi cerca solo i beni beni terreni, o chi disprezza i beni terreni per ottenere il cielo.

Molti uomini non considerano Dio, ma se stessi, il loro ultimo fine, né considerano i beni terreni come mezzi per ottenere il cielo, bensì per soddisfare i loro appetiti sensuali. Si congratulano con se stessi per il possesso di onori, ricchezza, un’alta posizione, ecc. e non sono disposti a rinunciare a queste cose per Dio. Questo amore per se stessi è falso: è la ricerca di sé e l’egoismo. Chi preferisce i beni terreni a quelli eterni non ama se stesso; al contrario, è nemico di se stesso. Sarà solo temporaneamente e relativamente felice qui sulla terra, ma poi eternamente infelice. “Chi commette peccato ed ingiustizia quaggiù è nemico della propria anima (Tob. XII, 10}. – Ci sono molti che assomigliano a questo avaro che dice a se stesso: “Anima mia, hai una grande riserva di beni per molti anni, riposa, mangia, bevi e godi!” Ma Dio gli disse: “Stolto, questa stessa notte la tua anima ti sarà richiesta, a che ti serviranno le tue ricchezze?” Tu ti affanni per nutrire e vestire te stesso, perché non ti affanni anche per procurare vestiario e cibo alla tua anima? Che utilità ha l’uomo se perde la sua anima? (S. Matth. XVI, 26). “Impara ad amare se stessi”, dice Sant’Agostino, “non amando se stessi”. Sono ancora colpevoli coloro che disprezzano iI beni terreni che li aiuterebbero a guadagnare il paradiso, perché così facendo disprezzano la salvezza eterna. Cosa dobbiamo pensare, allora, di un uomo che non si preoccupa del proprio avanzamento (quando tale avanzamento sarebbe utile per la gloria di Dio), oppure espone con leggerezza la sua vita al pericolo, o addirittura si toglie la vita?

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII).