CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (14).

11 e 12 Art. del Simbolo: i fini ultimi.

I. LA MORTE.

La terra è come un campo di battaglia, dove ogni giorno migliaia di persone cadono. In tutto l’universo ci sono 88.000 morti al giorno, cioè 60 al minuto, 1 al secondo e 32.000.000 all’anno. – Il sonno è un’immagine della morte.

1. LA MORTE DELL’UOMO AVVIENE CON LA SEPARAZIONE DEL CORPO DALL’ANIMA, QUEST’ULTIMAVA NELLA DIMORA DEGLI SPIRITI, IL CORPO SI DECOMPONE IN POLVERE.

Alla morte l’anima si separa dal corpo. Non appena il vapore esce da una macchina, questa si ferma; è lo stesso quando l’anima, il respiro divino, lascia il corpo. S. Paolo chiama la morte una dissoluzione. (II Tim. IV, 6). Il corpo è per l’anima come un involucro, un abito che si toglie al momento della morte. La permanenza dell’anima nel corpo assomiglia alla permanenza delle anime dei giusti nel limbo. Il momento della morte è il momento della liberazione (Marie Lat.). L’anima viene allora liberata dalla sua prigione (S. Aug.). La prova evidente della separazione dell’anima è la cessazione della vita; ciò che animava il corpo è assente. – Alla morte lo spirito ritorna a Dio che lo ha dato (Eccles. XII, 7); questo è il suo viaggio verso l’eternità. (S. G. Cris.). È quindi un errore credere che le anime emigrino in altri corpi umani o animali (metempsicosi egizia, greca, indù), o credere che l’anima cada in un sonno da cui si risveglierà solo nell’ultimo giorno. Al contrario, è il corpo che dorme durante questo sonno. – Dopo la morte, il corpo si decompone. Esso è della terra e ritorna alla terra, secondo la sentenza del paradiso. (Gen. III, 19); fanno eccezione, per un ovvio motivo, i corpi di Gesù e di Maria. Miracolosamente, alcuni corpi o alcuni membri dei santi sono rimasti intatti fino ad oggi. Ma nell’ultimo giorno tutti i corpi risorgeranno; il sonno della morte è quindi un sonno con la speranza di una futura risurrezione. (S. Th Aq.). La morte è rappresentata sotto l’immagine di uno scheletro, perché ci dà questa forma orrenda; essa tiene in mano una falce, perché pone fine alla vita dell’uomo con la stessa rapidità con cui il mietitore taglia l’erba del prato. (Sal. CII, 15). Dovrebbe piuttosto essere rappresentata con una chiave, perché ci apre la porta dell’eternità.

2. TUTTI GLI UOMINI SONO SOGGETTI ALLA MORTE, PERCHÈ È UNA CONSEGUENZA DEL PECCATO ORIGINALE.

Con la loro disobbedienza, i nostri primi genitori hanno perso il dono dell’immortalità corporea. Pertanto siamo tutti soggetti alla morte. “Poiché il peccato è entrato nel mondo per mezzo di un solo uomo e la morte per mezzo del peccato, la morte è passata in tutti gli uomini per mezzo di quell’unico uomo nel quale tutti hanno peccato”. (Rom. V, 12). L’uomo che voleva essere uguale a Dio viene profondamente umiliato dalla morte che lo rende capace di espiare la sua superbia. Hênoch (Gen. V, 24) ed Elia (IV Re II) furono gli unici ad essere tolti dalla terra senza morire, ma riappariranno all’ultimo giudizio (Eccl. XLIV, 16; S. Matth. XVII, 11) e poi moriranno, insieme a tutti gli uomini che saranno ancora in vita al momento dell’ultimo giudizio. (S. Th. Aq.) Solo Cristo non era soggetto alla morte, perché era di per sé libero dal peccato; morì, perché l’ha voluto liberamente. – La morte mette i poveri sullo stesso piano dei ricchi; la vita non è altro che un teatro in cui recitiamo, per un breve periodo, il ruolo di un generale, di un giudice, di un re o di una regina, un magistrato, un soldato, ecc. e non rimane nulla del costume che si è indossato. (S. G. Cris.) Anche negli scacchi, ogni pezzo ha il suo posto speciale sulla scacchiera, ma dopo la partita tutti sono rimessi in una scatola; anche nel gioco della vita gli uomini hanno ranghi diversi e alla morte vengono tutti messi nella stessa terra. (Diez). Quando il ricco muore, non può portare nulla con sé. (Giobbe, XXVII, 16). La morte toglie tutte le dignità e tutti gli onori (S. Amb.), anche a coloro che quaggiù primi saranno ultimi e quelli che erano ultimi saranno primi. (Matteo XIX, 30). – La vita è come un sogno che passa in fretta (S. G. Cris.); i nostri piaceri sono come un’ombra (Giobbe VIII, 9), come una tela di ragno, come un vapore visibile per un momento e poi sparito. (S. Giac. IV, l6). – L’ora della morte ci è ignota. Moriremo nell’ora in cui non lo sospettiamo (S. Matth. XXIV, 14); la morte arriverà come un ladro (ibid. 43), ci ghermirà come uno sparviero su uno sparviero, come un lupo su un agnello. (S. Efr.) La vita è una fiaccola che un leggero soffio di vento spegne. (S. Greg. Nis.) Siamo come soldati in congedo che non sono sicuri per un momento che non saranno richiamati (Curato Eneipp). Alcuni rari Santi hanno avuto rivelazioni sull’ora della loro morte; Dio la nasconde agli uomini con grande bontà e saggezza. Infatti, se conoscessimo l’ora della nostra morte, alcuni cadrebbero nella disperazione e altri sprofonderebbero nei disordini più terribili. – Questa ignoranza ci deve portare ad essere sempre pronti a morire. “Siate pronti – disse Gesù – perché il Figlio dell’uomo verrà in un’ora che non conoscete” (S. Matth. XXIV, 44). È anche a questo scopo che ha raccontato la parabola delle 10 vergini (ib. XXV). La morte è un gran signore: non vuole aspettare nessuno, ma esige che tutti lo attendano. (S. Efr.) Se in questo momento non siete pronti, temete di morire male; per una tale vita, una tale morte Coloro che rimandano la loro conversione fino al momento della morte sono come gli studenti che rimandano il lavoro alla vigilia degli esami.

3. LA MORTE È TERRIBILE PER IL PECCATORE, MA NON PER IL GIUSTO.

Perché è la fine della loro presunta felicità e l’inizio della loro eterna infelicità, la morte non è per loro che l’inizio della loro eterna disgrazia, la morte fa paura solo agli uomini sensuali e voluttuosi; non è così per gli uomini pii e virtuosi. “L’uomo giusto alla morte è un albero potato per produrre frutti ancora più belli nell’aldilà; il peccatore è un albero che viene tagliato alla radice per essere gettato nel fuoco”. (S. Vinc. Fer.) Per il giusto la morte è solo il passaggio alla vita eterna. (S. Ant. di P.) Tutti i Santi sospiravano di felicità dopo la morte; come San Paolo, desideravano la dissoluzione dei loro corpi e di essere con Cristo (Fil. I, 23.). Il lavoratore a giornata desidera al più presto ricevere il suo salario, così l’uomo virtuoso desidera morire presto per ricevere la sua ricompensa in cielo. (Card. Hugues), I Santi sospirano dopo la morte, come il marinaio dopo l’arrivo nel porto, il viaggiatore dopo la meta del suo viaggio, l’agricoltore dopo il raccolto. (S. G. Cris.) Alla morte l’uomo giusto si rallegra come chi lascia una casa fatiscente per una splendida dimora (id.). Tutti i Santi sono morti con gioia. Quanto è dolce morire, diceva S. Agostino, quando si è vissuto piamente! Gli uomini stolti pensano che sia una gioia morire in fretta (senza soffrire molto); non è la velocità della morte a renderla felice, ma lo stato d’animo del morente, perché l’albero rimane dove è caduto (Eccl. XI, 3), o meglio l’albero cade dalla parte in cui pesano i suoi rami. Se sono rivolti verso Nord, cade verso il Nord; se sono diretti verso il Sud, cadrà verso il Sud. È lo stesso per l’uomo: la sua volontà rimarrà diretta, dopo la morte, verso gli oggetti a cui era diretta al momento della morte. Felice l’uomo che ha la volontà inclinata principalmente verso Dio, che ha avuto l’amore di Dio e quindi la grazia santificante, perché contemplerà Dio. Infelice, invece, è l’uomo la cui volontà è inclinata verso le cose terrene, la cui volontà è inclinata verso le cose terrene, che ha amato il mondo e si è trovato in disgrazia presso Dio, perché rimarrà separato da Lui.

4. PER MORIRE FELICEMENTE, DOBBIAMO CHIEDERNE A DIO LA GRAZIA E DISTACCARCI FIN DA ORA DAI BENE EVDAI PIACERI TERRENI.

Si muore felici quando ci si è prima riconciliati con Dio e si è messo ordine nei propri affari temporali. – Dobbiamo quindi chiedere a Dio soprattutto la grazia di poter ancora ricevere gli ultimi Sacramenti. Bisogna anche fare testamento in tempo. In questo imitiamo i marinai che, nel pericolo di un naufragio, gettano tutto in mare e sfuggono così alla morte. Una morte improvvisa non è quindi indesiderabile, perché ci impedisce di fare ordine tra i nostri interessi temporali ed eterni. Per questo nelle litanie diciamo: Da una morte improvvisa e inaspettata liberaci, Signore! – La preghiera per una buona morte ha già il vantaggio di farci spesso pensare alla morte. La Chiesa ama fare questo, ci ricorda la morte il mercoledì delle ceneri, quando si suona la campana a morto, e così via. Il pensiero della morte è molto salutare e ci allontana dal peccato. “Pensa alla tua fine – dice il figlio di Sirach – e non peccherai mai” (VII, 40). Chi pensa spesso alla morte sarà poco attaccato alle cose terrene, rispetto così a chi, condannato a morte, troverà piacere nel buon cibo, o come Damocle nel suo banchetto teneva sospesa con un filo la spada sopra la sua testa. Dio stesso ci ricorda la morte in natura con il tramonto del sole, la notte, il sonno, l’inverno. – Dobbiamo ora distaccarci volontariamente dai beni e dai piaceri di questo mondo. Dopo la morte i nostri occhi non vedranno più, le nostre orecchie non sentiranno più, le nostre bocche non parleranno più, ecc. bisogna porsi dunque in questa situazione inevitabile, combattendo la curiosità della vista e dell’udito, la loquacità, la smodatezza nel mangiare e nel bere; in una parola, dobbiamo cominciare a morire. “Moriamo – dice San Basilio – per vivere”. Le buone opere che Dio reclama da noi, la preghiera, l’elemosina e il digiuno non sono altro per il cuore che un distacco dalle cose terrene. Solo coloro che si trovano in questo stato di distacco vedranno Dio dopo la morte, secondo le parole di Cristo: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. (S. Matth. V, 8).

2. IL GIUDIZIO PARTICOLARE.

1. SUBITO DOPO LA MORTE HA LUOGO IL GIUDIZIO PARTICOLARE.

“È stato decretato – dice San Paolo – che tutti gli uomini moriranno, e la morte è seguita dal Giudizio”. (Eb. IX, 27). La parabola del ricco malvagio e di Lazzaro ci insegna che entrambi sono stati giudicati dopo la loro morte. Gli stessi pagani credevano nell’esistenza di tre giudici negli inferi. Al momento della morte, Dio ci rivolgerà le parole del padrone all’amministratore: “Rendi conto della tua amministrazione”. (Luca XVI, 22). Subito dopo avviene il giusto pagamento del salario. Dio stesso chiede agli uomini di non trattenere il salario dell’operaio dopo la sua giornata di lavoro. Tanto più dobbiamo aspettarci che Dio non trattenga il salario duramente guadagnato da un uomo durante la sua vita. La morte è il momento del pagamento del salario”. (S. Àmbr.) Se alcuni uomini subiscono un ritardo nel pagamento della loro giornata, cioè se sono prima sottoposti alla prova del purgatorio, la colpa è solo loro; non ne è Dio il responsabile. – Sarà Cristo a fare il giudizio particolare; Egli rivelerà tutta la nostra vita e ci tratterà come noi abbiamo trattato i nostri simili. – Gesù Cristo ha detto che Lui stesso avrebbe fatto questo giudizio: “Il Padre – ha detto – non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio (S. Giovanni V, 22); nell’ultima cena promise ai suoi Apostoli di tornare dopo la sua ascensione per “portarli con sé” (id. XIV, 3). Ovviamente intendeva il momento della morte. Gesù dice lo stesso di San Giovanni: “Voglio che rimanga fino alla mia venuta” (id. XXI, 22). Gli stessi Apostoli dicevano che, finché fossero vissuti, sarebbero stati lontani da Lui. (II. Cor. V, 6) – 11 Tuttavia, non dobbiamo pensare a questo giudizio come ad un’ascesa dell’anima verso Cristo o una discesa di Cristo verso l’anima sulla terra; questo movimento non è affatto necessario. Cristo illumina l’anima mentre lascia il corpo in modo tale da farle vedere immediatamente e con perfetta chiarezza che il suo Salvatore sta emettendo un giusto giudizio su di essa. Questa illuminazione fa sì che l’anima comprenda che Dio rivela l’intera vita dell’uomo. Allo stesso modo”, dice il Cristo, “come il lampo parte dall’Oriente e appare all’improvviso fino all’Occidente, così sarà per la venuta del Figlio dell’uomo (S. Matth. XXIV, 27), il che significa che al momento della morte, che è la venuta di Gesù, tutta la nostra vita apparirà davanti alla nostra anima con la rapidità e la velocità del lampo (B. Clém. Hofbauer). Quando verrà l’ora della giustizia divina, Dio metterà davanti ai suoi occhi tutti i dettagli della vita del morente. (Mar. Lat.) Al momento della sua morte, le opere dell’uomo saranno rivelate. (Sir. XI, 29). Tutti coloro che sono stati vicini alla morte affermano che in quel momento eventi dimenticati da tempo e azioni giovanili sono tornati vividamente alla mente. Al momento della morte, le azioni più nascoste saranno rivelate. Non c’è nulla di segreto”, dice Cristo, “che non debba essere scoperto”. (S. Luc. VIII, 17). Noi ricordiamo e rendiamo conto di ogni parola oziosa (S. Matth. XII, 36). Il nostro spirito assomiglia a un pittore, che disegna nel nostro interno ogni genere di pensieri, progetti e immagini. Fino alla morte queste immagini sono coperte come da un velo; e quando questo cade, si rivolgeranno alla gloria dell’artista o al suo disonore, se rappresentano la vergogna del vizio. (S. Bas.) Quando un uomo muore, il suo testamento viene aperto; è facile spiegare perché lo stesso è facile spiegare perché lo stesso si possa dire della sua coscienza. Un raggio di sole illumina mille granelli di polvere in una stanza; sarà lo stesso per le nostre minime colpe, quando il sole della giustizia penetrerà nelle nostre anime. – Nel giorno del giudizio vedremo il volto di Dio verso di noi, come noi ci siamo mostrati verso il nostro prossimo: Dio è uno specchio che rende perfettamente l’immagine di chi gli sta davanti. (Louis de Gr.) “Sarà usata la stessa misura che avete usato verso gli altri”, dice Cristo. (S. Matth. VII, 2). – Al giudizio segue la retribuzione.

2. DOPO IL GIUDIZIO PARTICOLARE LE ANIME VANNO IN PARADISO, ALL’INFERNO O IN PURGATORIO.

La parabola del ricco e di Lazzaro ci mostra che la sentenza del giudice viene eseguita immediatamente. (S. Luc. XVI). La Chiesa insegna che le anime che non hanno peccato dopo il Battesimo, che quelle che dopo aver peccato hanno completamente espiato i loro peccati, sia in terra che in purgatorio, sono ricevute subito in Cielo, e che coloro che muoiono in peccato mortale cadono immediatamente all’inferno. (2° Conc. di Lione, 1274). Le anime dei giusti, che sono perfette, vanno in cielo non appena hanno lasciato il corpo. (S. Greg. M.) Non appena un’anima giusta esce dal corpo, viene separata dalle anime peccatrici e portata in cielo dagli Angeli. (S. Giustino). È un errore credere che le anime giuste abbiano solo un’anticipazione della beatitudine eterna fino alla resurrezione del corpo, e che i peccatori saranno sottoposti completamente alla dannazione solo dopo il Giudizio Universale. (Opinione dello scisma greco) – Pochi uomini entrano subito in paradiso, perché “nulla di impuro può entrare in cielo” (Apoc. XXI, 27); pochi giusti sfuggono al purgatorio. (Bellarmino). Ci sono teologi che sostengono che i dannati saranno più numerosi degli eletti; essi si basano su queste parole di Gesù: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. (S. Matth. XX, 6). Molti devono essere salvati, ma pochi collaborano con la grazia e si salvano (Suarez). Minore è il numero di coloro che andranno in cielo. (S. Th. Aq.) – Oltre al giudizio particolare, ci sarà un giudizio generale. Questo guarda solo all’anima come principale agente del bene e del male da premiare o punire. L’altro includerà nella retribuzione anche il corpo come strumento degli atti dell’anima.

3. IL CIELO.

1.IL CIELO È LA DIMORA DELLA BEATITUDINE ETERNA.

Il cielo è la dimora della beatitudine eterna. Cristo diede ai suoi Apostoli un assaggio del cielo sul monte Tabor (San Matteo XVII), Il cielo si aprì al battesimo di Gesù (id. III, 16), Santo Stefano vide il cielo aperto. (Act. Ap. VII, 551. S. Paolo fu assunto in cielo. (II. Cor. XII. 2). – Il cielo è sia un luogo che uno stato. Come luogo si trova, secondo alcuni teologi, al di là del mondo siderale. È solo un’opinione, ma è fondata sul senso delle parole di Cristo: che discese dal cielo, che sarebbe risalito, che sarebbe tornato. – Il cielo è anche uno stato dell’anima; consiste nella visione di Dio (S. Matth. XVIII, 10), nella pace e nella felicità dello spirito (Rom. XIV, 17). Quando gli Angeli e i Santi ci visitano quaggiù, non cessano di essere in cielo, perché non possono essere privati della visione di Dio. (San Bernardo). Gesù Cristo è il Re del cielo. “Io sono un re – disse a Pilato – ma il mio regno non è di questo mondo” (S. Giovanni XVIII, 36). Il buon ladrone riconobbe questa regalità quando disse al Salvatore: “Signore! Ricordati di me quando sarai nel tuo regno” (S. Luca XXIII, 42). In cielo vedremo gli Angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo. (S. Giovanni I, 51). In cielo gli Angeli adorano Cristo (Eb. I, 6). – Il cielo è la nostra vera patria; quaggiù non siamo che forestieri (II, Cor. V, 6), è la verità che ci viene rappresentata dalle processioni.

Le gioie del cielo sono ineffabilmente grandi, sono libere da ogni male, godono della visione di Dio e dell’amicizia di tutti gli abitanti del paradiso.

Le gioie del paradiso sono ineffabilmente grandi. “Ciò che l’occhio non ha visto – dice S. Paolo – ciò che l’orecchio non ha udito, ciò che il cuore dell’uomo non ha mai intuito Dio ha preparato per coloro che lo amano” (I Cor. Il, 9). Questa beatitudine può essere meritata, ma non descritta. (S. Aug.) “Gli eletti – dice Davide a Dio – saranno inebriati dall’abbondanza della tua casa, e tu li farai bere dal torrente delle tue delizie” (Sal. XXXV, 8). Rispetto alla beatitudine eterna, la nostra vita presente è piuttosto simile alla morte. (S. Greg. M.) Le gioie degli eletti sono così grandi che tutte le torture dei martiri non ne meriterebbero nemmeno un’ora. (S. Vinc. Fer.) In cielo godremo della felicità stessa di Dio. (S. Matth. XXV, 21); perché lì saremo della natura divina (II. S. Piet. I, 4), saremo simili a lui (I. S. Giovanni III, 2). Saremo trasformati in cielo, come il ferro nella fornace. (Cat. rom.) “La divinità si rifletterà in ogni anima, come il sole del mattino nelle milioni di gocce di rugiada. – In cielo ci sono molte dimore. (S. Giovanni XIV, 2). Il cielo è come un grande banchetto (S. Matth. VIII, 11; S. Luca XIV, 16) dove Dio stesso serve i suoi ospiti (ibid. XII, 87). Il cibo lì non sarà corporeo, ma spirituale. (Tob. XII, 19). In cielo brilla una luce intensa (I. Tim. VI, 16), vi si odono i canti degli Angeli (Sal. LXXXIII, 5), i Santi vi indossano vesti bianche (Àpoc. VII, 14), ricevono una magnifica corona dalla mano di Dio (Sap. V, 17). I Santi hanno piena libertà e sono posti su tutti i beni di Dio {S. Matth. XXV, 21); essi sono dove si trova Cristo (S. Giovanni XVII, 24), che restituisce loro il centuplo di quanto hanno rinunciato per Lui su questa terra.(S, Matth. XIX, 29). – Il firmamento visibile è già così bello, la terra è così piena di gioie, specialmente in primavera, in alcuni luoghi notevoli, eppure non è che un deserto rispetto al cielo! “Signore – grida S. Agostino, se ci tratti così in questa in questa prigione, come sarà nel tuo palazzo?” Ma cosa c’è che Dio non possa esaudirci, perché è onnipotente! Tuttavia, le gioie del cielo non sono sensuali (S. Matth. XXJI, 80) come quelle del paradiso promesse da Maometto. Se un cavallo fosse capace di pensare, non immaginerebbe che il suo padrone gli ha servito del fieno nel giorno delle nozze! – Gli eletti sono liberi di fare il male. È più facile enumerare i mali da cui sono liberati che le gioie di cui godono (S. Aug.). Essi non soffrono né fame né sete (Apoc. VII, 16), in cielo non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore (ib. XXI, 4), né notte (ib. XXV, 4). Essi saranno incapaci di peccare; la loro volontà sarà assorbita da quella di Dio, come una goccia d’acqua. mescolata ad una coppa di vino ne prende il gusto ed il colore. (S. Bern.) – Gli eletti vedono continuamente il volto di Dio (S. Matth, XVIII, 10); riconoscono chiaramente l’immensità, le perfezioni e tutte le opere di Dio (S. Aug.); vedono Dio così come è (I. S. Giovanni III, 2); lo vedono faccia a faccia (I. Cor., XIII, 12); vedono Dio non in un’immagine, ma presente alla loro intelligenza come l’albero ad un occhio che lo vede (S. Th. Aq.); essi sono incapaci di questa visione per mezzo delle loro forze naturali, quanto noi lo siamo per la fede; ne sono resi capaci da un’azione speciale di Dio che si chiama “luce della gloria“. Questa visione rende gli eletti simili a Dio (1. S. Giovanni III, 2) e dà loro delizie ineffabili. Tuttavia, essi si rallegrano più della beatitudine di Dio che della propria (S. Bonav.). – La conoscenza delle cose create è già un grande godimento, quanto più grande sarà quella del Creatore stesso! (S. Car. Borrom.) Anche Agostino grida: “Rallegrarsi in te, Signore, per te e a causa tua, ecco cosa è la vita eterna!”. Questa conoscenza di Dio genera necessariamente l’amore per Dio; l’uno cresce in proporzione all’altro. “Gli eletti – dice sant’Anselmo – ti ameranno, Signore, nella misura in cui ti conosceranno! La conseguenza di questa grande felicità è la completa assenza di ogni tristezza, perché una gioia viva è incompatibile con il dolore e viceversa. (Aristotele). – Anche i santi si amano tra loro; sono tutti uno (S. Giovanni XVII, 21). L’amore che è la vita degli eletti in paradiso è così grande che l’eletto, estraneo a noi, ci ama anche più di quanto i genitori quaggiù amino i loro figli. (Suso). Solo l’amore distingue i figli del regno celeste dai figli della perdizione. (S. Aug.) E quale gioia non proveremo quando ritroveremo lassù i nostri genitori e amici dopo una crudele separazione! Grande fu infatti la gioia di Giacobbe quando trovò suo figlio Giuseppe pieno di onori. In cielo ci attende una schiera di amici! (S. Cipr.).

LE GIOIE DEL CIELO DURANO ETERNAMENTE.

I giusti, dice Gesù, entreranno nella vita eterna, cioè in una vita beata che non avrà fine. Lo S. Spirito rimarrà eternamente unito a loro (S. Giovanni XIV, 16), nessuno potrà togliere loro la gioia (S. Giovanni X, 29). I grandi signori, principi e re sono soliti ricompensare i loro servi quando questi ultimi non possono più continuare i loro servizi; ma Dio è il più grande di tutti i signori e deve essere il più magnifico nelle sue ricompense. Egli ne dà una eterna, l’unica degna di lui. Se le gioie del cielo non fossero eterne, gli eletti sarebbero perennemente nel timore di perderle; il cielo cesserebbe di essere il cielo. È per l’eternità della felicità del cielo che esso è chiamato possesso di Dio.

LA FELICITÀ DEI SANTI VARIA IN PROPORZIONE AI LORO MERITI.

Nel Vangelo, il Maestro dà 10 città al servo che ha guadagnato 10 talenti e 5 città a colui che ha guadagnato 5 talenti. (S. Luc. XiX, 16). Questo padrone è Dio che premia con una maggiore felicità colui che ha compiuto più opere buone. Con questo glorifica la perfezione della sua giustizia. Dice S. Paolo, “chi semina con parsimonia raccoglierà poco; chi semina generosamente raccoglierà un ricco raccolto” (II Cor. IX , 6). I giusti vedono tutti Dio chiaramente, ma uno vede più perfettamente dell’altro a causa dei suoi meriti. (Concilio di Firenze). Altro è lo splendore del sole – Gesù Cristo -, altro quello della luna – Maria -, altro quello delle stelle – i santi – (I. Cor. XV, 41). Lo stesso sole è visto in modo più fissamente dall’aquila che dagli altri uccelli. Il fuoco riscalda di più chi gli è vicino che chi gli è lontano. (Bellarmin). È lo stesso in cielo; la conoscenza di Dio, la carità e le delizie sono maggiori in un Santo che in un altro. Il piacere è infatti proporzionale alla conoscenza. Secondo una certa opinione, gli uomini dovrebbero occupare il posto degli Angeli caduti, e tra gli Angeli ci sono nove cori. Il grado di gloria celeste dipende dal grado di grazia santificante in cui l’uomo si trovava al momento della morte, in altre parole il grado di gloria corrisponde alla misura in cui si possedeva lo Spirito Santo e la carità al momento della morte. – Il grado di gloria di un Santo non può mai aumentare o diminuire; tuttavia, esiste in cielo una felicità estrinseca, quando il santo è oggetto di una gioia o di un onore speciale. “C’è – dice Cristo – una felicità in cielo ogni volta che un peccatore si converte. (S. Luca XV, 7) Beatificazione, canonizzazione, celebrazione di una festa, invocazioni, il santo Sacrificio e gli atti virtuosi offerti a Dio in onore di un Santo, contribuiscono certamente alla sua felicità. È probabile che in queste occasioni il Santo sia onorato in modo particolare dagli Angeli. (Cochem). San Gertrude vedeva i Santi in queste circostanze vestiti con abiti più brillanti e serviti da servi più nobili; la loro felicità sembrava aumentata – Nonostante la ricompensa, non c’è invidia tra i Santi. Tutti hanno ricevuto un denaro dal padre di famiglia. (S. Matth. XX). Quando due bambini, dice San Francesco de Sales, ricevono dal padre abiti della stessa stoffa, il più giovane non invidia il più grande, perché non sarebbe in grado di usare i suoi stessi abiti. È così anche in cielo, ognuno si rallegra della felicità dell’altro, la gioia e la felicità dell’uno fanno la gioia e la felicità dell’altro.

2. IL PARADISO È CONCESSO SOLO ALLE ANIME CHE SONO PERFETTAMENTE PURE DEL PECCATO E DELLE PENE DEL PECCATO.

Entreranno in Paradiso solo le anime che, dopo il Battesimo, non hanno commesso alcun peccato, o hanno espiato completamente le loro colpe, sia sulla terra che in purgatorio. (Conc. de Fir.) Nulla di impuro entrerà in cielo. (Apoc. XXI, 27). – Il cielo è stato aperto solo con la morte del Salvatore; le anime dei giusti sono state costrette ad attendere la loro redenzione nel limbo (cfr. il 5° art. del Simbolo).

IL PARADISO SI CONQUISTA ATTRAVERSO LA SOFFERENZA E LE VITTORIE SU SE STESSI.

S. Paolo dice: “Bisogna entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. (Act. Ap. XIV, 21). Il legname destinato al tempio di Gerusalemme veniva tagliato e preparato nel Libano stesso, in modo che potessero essere collocati senza rumore; gli eletti devono soffrire qui sulla terra, in modo da poter essere tagliati qui sulla terra per poter gioire senza dolore nella Gerusalemme celeste. – Non c’è beatitudine eterna senza vittoria su se stessi; il regno dei cieli è come un tesoro o una perla preziosa; per acquistarlo bisogna dare tutto (S. Matth. XIII, 44), cioè rompere ogni attaccamento disordinato alle cose terrene. Una grande ricompensa per un grande sforzo. (S. Greg. M.) Il regno dei cieli soffre di violenza (S. Matth. XI, 12); la porta e la via che conducono alla vita sono strette (ib. VII, 11). Solo chi corre con rapidità e perseveranza ottiene il premio nella corsa, chi si spoglia di tutti gli abiti superflui. (I. Cor. IX, 24). Per ottenere la corona con la lotta, è necessario inizialmente astenersi da tutto ciò che possa indebolire il corpo (ib. 25). Per raggiungere il cielo bisogna quindi essere martiri almeno incruenti, per questo la festa di Santo Stefano è immediatamente successiva a quella del Natale. Gesù ha detto: “Chi ama la propria vita la perderà e chi disprezza la propria vita in questo mondo la troverà”. (S. Giovanni XII, 25), cioè chi cerca i piaceri e i godimenti di questo mondo sarà dannato e chi si sforza di distaccarsene sarà salvato. – Ma più ci impegniamo nella nostra santità, più grande sarà la nostra gioia:la gioia meritata porta una gioia doppia.

Per i giusti, il paradiso inizia in parte proprio qui sulla terra, perché cercando la vita eterna la stanno già godendo (S. Aug.).

I giusti possiedono lacvera pace dell’anima (S. Giovanni XIV, 28), quella pace di Dio che sorpassa ogni comprensione (Fil. IV, 7); così sono sempre allegri, anche quando digiunano (S. Matteo VI, 17) o quando soffrono (ib. V, 12). I giusti possiedono lo Spirito Santo. Spirito, essi sono quindi fin da quaggiù uniti a Dio (1. S. Giovanni IV, 16), Cristo abita già nei loro cuori (Efes. III, 16), hanno dentro di sé il regno di Dio (B. Luca XVII, 21). – Chi pensa al cielo, sarà sicuramente paziente nelle prove e disprezzerà le cose ed i piaceri di questo mondo. Pensate alla corona e soffrirete volentieri (S. Aug.). Le sofferenze di questo mondo non possono essere paragonate alla gloria che sarà rivelata in noi (Eb. XII, 9). Meditando le cose celesti, quelle del mondo ci sembreranno inutili. (S. Grég. Gr.) Chi si trova sulla cima di un monte non vede gli oggetti nella valle, li vede solo molto piccoli (S. G. Cris.); l’uccello che vola molto in alto è fuori dalla portata del cacciatore (id).

11 OTTOBRE: FESTA DELLA MATERNITA’ DELLA B.V. MARIA

11 OTTOBRE FESTA DELLA MATERNITA’ DELLA B. V. MARIA (2023)

(doppio di II classe)

In ricordo del Concilio di Efeso

Questa nuova festa è stata estesa a tutta la Chiesa per ordine del S. Padre Pio XI, di v. m.

I. IL MOTIVO DELILA FESTA. – Il divino Ufficio così ne parla (sesta Lezione del Mattutino): « Con grande giubilo del mondo cattolico fu celebrato nell’anno 1931 il centenario del Concilio di Efeso. In questo Concilio tenuto sotto la presidenza del Papa S. Celestino, i Padri del Concilio affermarono, contro la eresia di Nestorio, la verità di fede che la beatissima Vergine Maria dalla quale nacque Gesù Cristo, è veramente Madre di Dio ». Il Papa Pio XI, nella sua pietà e nel suo zelo, volle che si perpetuasse nella Chiesa la memoria del grande avvenimento. Perciò fece rinnovare a proprie spese il celebre monumento del Concilio di Efeso che si conserva in Roma, il grande arco trionfale di santa Maria Maggiore sull’Esquilino e il transetto della basilica. Il suo predecessore Sisto III (431-440) aveva adornato quest’arco con un magnifico mosaico che però era stato assai danneggiato dalle intemperie. – Il S. Padre volle poi esporre in un’Enciclica le idee, fondamentali del Concilio generale di Efeso e animato da grande amore volle mettere in piena luce il privilegio unico della Maternità divina della beatissima Vergine Maria, affinché la dottrina di questo altissimo mistero si imprima sempre più profondamente nel cuore dei fedeli. Nello stesso tempo il Papa propose « la Benedetta fra tutte le donne » e la santa Famiglia di Nazareth a modello perfetto della dignità e della santità di un casto connubio, come pure dell’educazione religiosa della gioventù. E infine, perché non mancasse un ricordo liturgico del grande avvenimento, il S. Padre dispose che la festa della divina Maternità della Beatissima Vergine Maria si celebrasse dalla Chiesa universale ogni anno l’11 ottobre con Messa e Ufficio propri e di rito doppio di II classe.

2. DALLA MESSA (Ecce Virgo). – Nelle sue parti proprie la Messa parla della divina Maternità di Maria. I due primi canti (Introito e Graduale) sono tolti dall’Antico Testamento, mentre del Nuovo sono gli altri due canti del Sacrificio. Nell’Introito ascoltiamo la voce del profeta Isaia: « Ecco la Vergine concepirà a darà alla luce un Figlio ». Tosto intoniamo il salmo XCVII, salmo del Natale: « Cantate al Signore un cantico nuovo perché Egli ha fatto cosa meravigliosa ». Questa cosa meravigliosa è la nascita verginale di Cristo. La Colletta è tolta dalla Messa Rorate; essa afferma la nostra fede nella divina Maternità di Maria: « Noi crediamo che Ella sia veramente Madre di Dio ». L’Epistola è uno dei passi più belli applicati dalla liturgia a Maria santissima: « Come vigna io porto frutti dolci e profumati e i miei fiori danno frutti nobili e magnifici ». Quale sia questo Frutto, ce lo dice il Graduale con la profezia messianica: « Un germoglio spunterà dalla radice di Jesse ». Il Frutto è il Figlio di Dio. Perciò Maria si presenta come « la Madre del bell’Amore » e ci invita: « Venite a me voi tutti che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti ». Il canto dell’Alleluia esalta « la Madre di Dio ». Quale passo del Vangelo ci saremmo aspettati il racconto dell’Annunciazione di Maria; invece sentiamo parlare di Gesù perduto e ritrovato nel tempio, ma è in questa circostanza che Maria ci appare in tutta la sua tenerezza e nell’angoscia del suo cuore materno. In questo Vangelo sentiamo pure la prima affermazione che Gesù fa della sua Divinità, nominando Dio come Padre suo. Nell’Offertorio ci arriva l’eco di uno dei più gravi dolori di Maria in un’ora specialmente angosciosa per la sua maternità divina (il dubbio di S. Giuseppe). Ma nella Comunione proviamo con Maria la felicità di questa maternità divina e cantiamo il dolcissimo canto: « Beato il seno della Vergine Maria che ha portato il Figlio dell’eterno Padre ». La Messa non è nuova; essa si trovava già in appendice al Messale.

[Pio Parsch O.S.A.: L’ANNO LITURGICO, vol. V, V.a ediz. Soc. ed. Vita e pensiero, Milano, 1950]

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

Confiteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.
S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Isa 7:14.
Ecce Virgo concípiet, et páriet fílium, et vocábitur nomen ejus Emmánuel.
Ps 97:1.
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto…
Ecce Virgo concípiet, et páriet fílium, et vocábitur nomen ejus Emmanue
le.

[Ecco, una Vergine concepirà e darà alla luce un Figlio: che sarà chiamato Emanuele.
Ps 97:1.
Canto nuovo cantate al Signore poiché fatti mirabili Egli ha operato.
V. Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo…
Ecco, una Vergine concepirà e darà alla luce un Figlio: che sarà chiamato Emanuele.]

Gaudeámus omnes in Dómino, diem festum celebrántes sub honóre beátæ Maríæ Vírginis: de cujus sollemnitáte gaudent Angeli et colláudant Fílium Dei.

[Rallegriamoci tutti nel Signore celebrando questo giorno di festa in onore della beata Vergine Maria! Della sua festa gioiscono gli angeli, e insieme lodano il Figlio di Dio]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui de beátæ Maríæ Vírginis útero Verbum tuum, Angelo nuntiánte, carnem suscípere voluísti: præsta supplícibus tuis; ut, qui vere eam Genitrícem Dei crédimus, ejus apud te intercessiónibus adjuvémur.

Per eúndem Dóminum nostrum …

[O Dio, che hai voluto che all’annuncio dell’angelo il tuo Verbo s’incarnasse nel seno della beata Vergine Maria: concedi a noi di essere aiutati presso di te dall’intercessione di Colei che crediamo vera madre di Dio.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli 24:23-31
Ego quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei, fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchræ dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctæ spei. In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ et virtútis. Transíte ad me omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes sæculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.
R. Deo grátias

[Come una vite, io produssi pàmpini di odore soave, e i miei fiori diedero frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell’amore, del timore, della conoscenza e della santa speranza. In me si trova ogni grazia di dottrina e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, voi tutti che mi desiderate, e dei miei frutti saziatevi. Poiché il mio spirito è più dolce del miele, e la mia eredità più dolce di un favo di miele. Il mio ricordo rimarrà per volger di secoli. Chi mangia di me, avrà ancor fame; chi beve di me, avrà ancor sete. Chi mi ascolta, non patirà vergogna; chi agisce con me, non peccherà; chi mi fa conoscere, avrà la vita eterna.]

Graduale


Isa 11:1-2.
Egrediétur virga de rádice Jesse, et flos de rádice ejus ascéndet.
V. Et requiéscet super eum Spíritus Dómini. Allelúja, allelúja.
V. Virgo Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit víscera factus homo. Allelúja.

[Un germoglio spunterà dalla radice di Iesse, un fiore crescerà dalla radice di lui.
V. E su di esso si poserà lo Spirito del Signore. Alleluia, alleluia.
V. O Vergine, Madre di Dio, nel tuo seno, fattosi uomo, si rinchiuse Colui che l’universo non può contenere. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
R. Glória tibi, Dómine.
Luc II:43-51
In illo témpore: Cum redírent, remánsit puer Jesus in Jerúsalem, et non cognovérunt paréntes ejus. Existimántes autem illum esse in comitátu, venérunt iter diei, et requirébant eum inter cognátos, et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Jerúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos, et interrogántem eos. Stupébant autem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis ejus. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit mater ejus ad illum: Fili, quid fecísti nobis sic? ecce pater tuus, et ego doléntes quærebámus te. Et ait ad illos: Quid est quod me quærebátis? nesciebátis quia in his, quæ Patris mei sunt, opórtet me esse. Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis.

[In quel tempo, mentre essi se ne tornavano, il fanciullo Gesù rimase in Gerusalemme, senza che i suoi genitori se ne accorgessero. Credendo che egli si trovasse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, e lo cercavano fra parenti e conoscenti. Ma, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme per farne ricerca. E avvenne che lo trovarono tre giorni dopo, nel tempio, seduto in mezzo ai dottori e intento ad ascoltarli e a interrogarli. E tutti quelli che lo udivano restavano meravigliati della sua intelligenza e delle sue risposte. Nel vederlo, essi furono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché facesti a noi così? Ecco, tuo padre ed io addolorati ti cercavamo». Ma egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che è necessario che io sia nelle cose del Padre mio?». Essi però non compresero ciò che aveva detto loro. Ed egli scese con essi e tornò a Nazareth; ed era loro sottomesso.]

OMELIA

LA MADRE DEL SIGNORE

(O. Hopfan: Maria – Marietti ed. 1953)

Nessun essere in tutto il Cielo può dire al Re della gloria: « Tu sei mio Figlio! », nessuno all’infuori del Padre celeste e di… Maria. Quando Maria sta accanto al trono della maestà di Cristo, può ricordarGli: «Io Ti ho partorito, Tu lo sai bene, nell’antro di Betlem; Io sono fuggita con Te; Io Ti ho educato; Io Ti ho seguito col cuore nella tua attività; Io sono stata accanto a Te anche nell’ora più dura ». Questa strettissima comunanza fra Madre e Figlio, questi episodi tanto intimi, propri a Loro solamente, sono il sigillo, che resta impresso indelebilmente nell’anima di tutti e due. Maria nei riguardi di Cristo e Cristo nei riguardi di Maria stanno in un rapporto così intimo, quale non spetta ad alcun altro Beato del Cielo. Per questo il Beato Pio X nella sua Enciclica già ricordata insegna: « Grazie alla comunanza d’amore e di dolore fra Maria e Cristo, grazie a questa comunanza di dolori fra Madre e Figlio, fu conferito all’augustissima Vergine il privilegio d’essere la potentissima mediatrice e conciliatrice dell’universo intero ». Già S. Tommaso d’Aquino aveva riconosciuto che Maria distribuisce in un certo senso — « quodammodo » — tutte le grazie, perché Ella è la più vicina a Cristo, che è la fonte di tutte le grazie. Quando, dunque, Maria si piega dinanzi al Figlio suo per intercedere, Egli ripeterà regalmente il suo comando di Cana: « Riempite le idrie! Attingete dalle idrie! Attingete una misura buona, pigiata, traboccante! ». Quando nessun Beato del Cielo osa più accostarsi al trono della grazia, quando nessuno può più pregare, può sempre farsi ancor innanzi Maria; Ella, come la regina Ester, ha accesso agli appartamenti del Re in tutte le ore; Ella passa attraverso tutte le sale sino alle camere più riposte del Cuore del Figlio suo. Gli Spiriti di guardia secondo il loro turno abbassano sorridenti le spade fiammeggianti; Maria non deve loro far vedere alcun passaporto né alcun documento. E si presenta al trono della grazia; vi ritorna sempre di nuovo; in umile naturalezza; nessuno vi accede così spesso come Lei. Dagli abissi della divina misericordia la sua mano prende grazie così profonde e così pesanti, quali tutto il restante Cielo non potrebbe sollevare; quello che a tutti gli altri è impossibile è riservato a Maria e solo a Lei: Ella è la Madre del Signore. È anche Madre nostra! Sin da quando viveva in questa terrena vita gli uomini Le stavano così a cuore, che per essi immolò persino il Figlio suo; in Cielo Ella continua a lavorare per la nostra salvezza. La sua preghiera trasfigurata mira anzitutto alle cose grandi ed essenziali, che scorge nei piani di Dio. Non ci allontana con la sua preghiera ogni croce, neanche la più piccola, Lei che non volle toglier la croce neppure al Figlio suo. La sua preghiera è la sollecitudine della Madre per i Figli, che ancora s’attardano lungo la via, affinché essi non soccombano ai pericoli del viaggio, affinché raggiungano la maturità in Cristo, affinché ottengano la salvezza eterna. Una madre non finisce mai di pregare per i figli suoi; un amico può elevare una preghiera per noi una volta, dieci volte, forse anche cento volte, ma una madre prega sempre; il suo amore non cessa mai: crede tutto, spera tutto, sopporta tutto, supera tutto. Maria prega per noi con amorosa tenacità anche quando tutto sembra inutile e perduto per colpa della nostra corruzione o caparbietà. Ella è il rifugio dei peccatori. Quali miracoli di grazia non poté Ella ottenere! La parola che il Signore disse alla donna cananea vale in verità ancor più per Maria: « O donna, la tua fede — e il tuo amore — è grande! Ti sia fatto secondo il tuo desiderio » L’intercessione quindi di Maria è più potente d’ogni altra. In veste di broccato d’oro Ella sta qual grande protettrice, quale « avvocata » dell’umanità, come la « Salve Regina » la chiama così bellamente e semplicemente, accanto al trono del Re, raccomandando ai suoi occhi e al suo Cuore le nostre necessità. Quivi pregano per noi anche Pietro e Paolo, Antonio e la piccola grande Teresa del Bambino Gesù; quivi pregano la nostra mamma amata e il nostro caro papà e tutta intera la lunga litania di tutti i Santi. Il segreto di questa intercessione dei Beati del Cielo è il loro amore, l’amore per Iddio e l’amore per noi; quanto più essi furono intimamente uniti per amore con Dio sin dalla terra, tanto più anche il loro amore per noi può dal Cielo riflettersi quaggiù luminoso e possente. L’intercessione di Maria però trascende quella di tutti gli altri, può più che non quella di tutti gli altri nobili spiriti: è l’intercessione della Madre di Dio, non degli amici di Dio solamente. Una sentenza ben fondata ritiene anzi che la preghiera di tutti gli altri dev’essere appoggiata dall’intercessione di Maria, se pur vuol trovare esaudimento: « Qualunque cosa gli altri domandino, essi la domandano in qualche modo per mezzo della Vergine ». Maria, come La esalta il Santo Pio X, è « la prima mediatrice di tutte le grazie e di tutte le grazie la distributrice ». (Ad diem illum). Ci troviamo qui dinanzi alla « mediazione universale di grazia » di Maria. Il compito di tutti gli altri Santi sulla terra fu limitato, ristretto a un tempo, a una regione, a una condizione; la potenza quindi della loro intercessione è anche nel Cielo per così dire circoscritta e particolare, poiché l’esistenza celeste ha la sua corrispondenza in quella terrena. Maria è la Madre di tutti i redenti; la sua premurosa preghiera quindi si estende alla loro nascita, al loro sviluppo e al loro perfezionamento nella grazia. Ella disse Sì all’Incarnazione per noi tutti, per tutti Ella pianse e soffrì sul Calvario, per noi tutti implorò il Santo Divino Spirito. Il Pontefice Leone XIII conchiude quindi: « Com’Ella un dì fu un aiuto per l’attuazione del Mistero della redenzione, così anche al presente è l’aiuto per la partecipazione di questo Mistero in tutti i secoli avvenire ». « Tu, Madre, copri col tuo largo manto i Cristiani tutti in gioia e in pianto », si canta con fiducia e con letizia nelle chiese della Svizzera. Nel 1921 Benedetto XV, esaudendo una preghiera del Cardinale Mercier, permise ai Vescovi del Belgio di celebrare una festa in onore di Maria « mediatrice di tutte le grazie »; il Pontefice Pio XI nel 1931 ha esteso questo permesso a tutte le diocesi. Questo titolo lascia aperti ancora molti problemi. Preferiremmo in questa materia essere piuttosto cauti che precipitosi, poiché il Magistero della Chiesa non ha ancora stabilito il contenuto di questo termine con precisione e definitivamente.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Eccli XXIV:25; Eccli XXXIX:17

Súscipe, sancte Pater, omnípotens ætérne Deus, hanc immaculátam hóstiam, quam ego indígnus fámulus tuus óffero tibi Deo meo vivo et vero, pro innumerabílibus peccátis, et offensiónibus, et neglegéntiis meis, et pro ómnibus circumstántibus, sed et pro ómnibus fidélibus christiánis vivis atque defúnctis: ut mihi, et illis profíciat ad salútem in vitam ætérnam. Amen.

[Accetta, Padre santo, onnipotente eterno Iddio, questa ostia immacolata, che io, indegno servo tuo, offro a Te Dio mio vivo e vero, per gli innumerevoli peccati, offese e negligenze mie, e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, affinché a me ed a loro torni di salvezza per la vita eterna. Amen.]

In me grátia omnis viæ et veritátis, in me omnis spes vitæ et virtútis: ego quasi rosa plantáta super rivos aquárum fructificávi

[In me ogni grazia di verità e dottrina in me ogni speranza di vita e di forza. Sono fiorita come una rosa, piantata lungo i corsi delle acque].

Secreta

Tua, Dómine, propitiatióne, et beátæ Maríæ semper Vírginis, Unigéniti tui matris intercessióne, ad perpétuam atque præséntem hæc oblátio nobis profíciat prosperitátem, et pacem.

[Per la tua clemenza, Signore, e per l’intercessione della beata Vergine Maria, madre del tuo unico Figlio, l’offerta di questo sacrificio giovi alla nostra prosperità e pace nella vita presente e nella futura.]

Per eúndem Dóminum nostrum Jesum Christum Fílium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Beata Maria Virgine


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Festivitate beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Festività della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepì il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtù celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:


Pater noster

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Beáta víscera Maríæ Vírginis, quæ portavérunt ætérni Patris Fílium.

[Beato il seno della Vergine Maria che portò il Figlio dell’eterno Padre.]

Postcommunio

Orémus.

Hæc nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genitríce María, cœléstis remédii fáciat esse consórtes.

[Questa comunione ci mondi dalla colpa, o Signore, e per l’intercessione della beata sempre Vergine Maria, Madre di Dio, ci faccia perennemente partecipi del rimedio celeste.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)