DOMENICA XXI DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XXI DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le letture dell’Ufficio divino che si fanno in questa Domenica sono spesso quelle dei Maccabei (vedi Dom. precedente…). « Antioco, soprannominato Epifane, avendo invaso la Giudea e devastato tutto, dice S. Giovanni Crisostomo, aveva obbligato molti Giudei a rinunziare alle sante pratiche dei padri loro, ma i Maccabei rimasero costanti e puri in queste prove. Percorrendo tutto il paese, essi riunivano tutti i membri ancora fedeli ed integri che incontravano; e di quelli che si erano lasciati abbattere o corrompere, ne riconducevano molti al loro primo stato, esortandoli a ritornare alla fede dei padri loro e rammentando loro che Dio è pieno di indulgenza e di misericordia e che mai rifiuta di accordare la salvezza al pentimento, che ne è il principio. E questa esortazioni facevano sorgere un esercito di uomini più valorosi, che combattevano non tanto per le loro donne, i loro figli, i loro servitori, o per risparmiare al paese la rovina e la schiavitù, quanto per la legge dei padri loro e i diritti della nazione. Dio stesso era il loro capo, e perciò, quando in battaglia serravano le file e prodigavano la loro vita, il nemico era messo in fuga: essi stessi fidavano meno nelle loro armi che nella causa che li armava e pensavano che essa sarebbe sufficiente per vincere anche in mancanza di qualunque armatura. Andando al combattimento, non empivano l’aria di vociferazioni e di canti profani come usano fare alcuni popoli: non si trovavano tra loro suonatori di flauto come negli altri campi; ma essi pregavano invece Iddio di mandar loro il suo aiuto dall’alto, di assisterli, di sostenerli, di dar loro man forte, poiché per Lui facevano guerra e combattevano per la sua gloria » (4a Domenica di ottobre Notturno). Dio non considera nel mondo che il suo popolo, Gesù Cristo e la sua Chiesa che sono una cosa sola. Tutto il resto è subordinato a questo. « Dio, che esiste ab æterno e che esisterà per tutti i secoli, è stato per noi, dice il Salmo del Graduale, un rifugio di generazione in generazione » (Introito). « Allorché Israele usci dall’Egitto e la casa di Giacobbe da un popolo barbaro » continua il Salmo dell’Alleluia, Dio consacrò Giuda al suo servizio e stabilì il suo impero in Israele ». Dopo aver mostrato tutti i prodigi, che Dio fece per preservare il suo popolo, il salmista aggiunge: « Il nostro Dio è in cielo, tutto quello che ha voluto, Egli lo ha fatto. La casa di Israele ha sperato nel Signore; Egli è il loro soccorso ed il loro protettore ». Il Salmo del Communio e del Versetto dell’Introito, dice il grido di speranza che le anime giuste innalzano al cielo: « L’anima mia è nell’attesa della tua salvezza, quando farai giustizia dei miei persecutori? Gli empi mi perseguitano, aiutami, Signore mio Dio ». « Signore, aggiunge l’Introito, ogni cosa è sottomessa alla tua volontà, poiché tu sei il Creatore e il padrone dell’Universo ». – « Signore, dice ugualmente la Chiesa nell’Orazione di questo giorno, veglia sempre misericordiosamente sulla tua famiglia, affinché essa sia, per mezzo della tua protezione, liberata da ogni avversità e attenda, con la pratica delle opere buone, a glorificare il tuo nome ». Il popolo antico e il popolo nuovo hanno un medesimo scopo, che è la glorificazione di Dio e l’affermazione dei suoi diritti. Tutti e due hanno anche gli stessi avversari, che sono satana e i suoi ministri. La Chiesa, ispirandosi alle Letture del Breviario delle Domeniche precedenti, ricorda oggi gli assalti che Giobbe ebbe da sostenere da parte di satana (Offertorio) e Mardocheo da parte di Aman, che fu calunniatore come il demonio (Introito). Dio liberò questi due giusti, come pure liberò il suo popolo dalla cattività d’Egitto, come venne in aiuto ai Maccabei che combattevano per difendere la sua causa. Cosi pure i Cristiani devono subire gli assalti degli spiriti maligni, poiché i persecutori della Chiesa sono suscitati dal demonio, come quelli del popolo d’Israele nell’antica legge. « Abbiamo da combattere, dice San Paolo, non contro esseri di carne e di sangue, ma contro i principi di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male sparsi nell’aria (Epistola). Come per i Maccabei che, per quanto valorosi, fidavano più in Dio che nelle loro armi, così i mezzi di difesa che devono adoperare i Cristiani sono anzitutto di ordine soprannaturale. « Fortificatevi nel Signore, dice l’Apostolo, e nella sua virtù onnipotente. Rivestitevi dell’armatura di Dio per difendervi dal demonio ». – I soldati romani, servono di esempio al grande Apostolo nella descrizione minuziosa che ci dà della panoplia mistica dei soldati di Cristo. Come armi difensive la Chiesa ha ricevuto nel giorno della Pentecoste, la rettitudine, la giustizia, la pace e la fede; come armi offensive le parole divinamente ispirate dallo Spirito Santo. Ora la parabola che Gesù ci dice nell’Evangelo di questo giorno, riassume tutta la vita cristiana nella pratica della carità, che ci fa agire verso il prossimo come Dio ha agito verso di noi. Egli ci ha perdonato delle gravi colpe: sappiamo a nostra volta perdonare ai nostri fratelli le offese che essi ci fanno e che sono molto meno importanti. Il demonio geloso porta gli uomini ad agire come quel servitore cattivo che prese per la gola il compagno, che gli doveva una somma minima e lo fece mettere in prigione perché non poteva pagare immediatamente. Se anche noi agiremo così, nel giorno del giudizio, cui ci prepara la liturgia di questa Domenica, dicendo: « Il regno dei cieli è simile ad un re che volle farsi rendere i conti dai suoi servi », Dio sarà verso di noi, quali noi saremo stati verso il prossimo. – L’Apostolo parla di una lotta accanita contro i nemici invisibili che ci lanciano dardi infiammati. Il combattimento è terribile e dobbiamo armarci fortemente per poter restare in piedi dopo aver riportata una vittoria completa. Come il soldato, il Cristiano deve avere un largo cinturone, una corazza, dei calzari, uno scudo, un elmo ed una spada. – Mostrarci implacabili per una ingiuria ricevuta, dice s. Girolamo, e rifiutare ogni riconciliazione per una parola amara, non è forse giudicare noi stessi degni della prigione? Iddio ci tratterà secondo le intime disposizioni del nostro cuore: se non perdoniamo, Dio non ci perdonerà. Egli è nostro giudice e non vuole un semplice perdono puramente esteriore. Ognuno deve perdonare a suo fratello « di tutto cuore », se vuol esser perdonato nell’ultimo giorno » (Mattutino).

Incipit

In nomine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Esth. XIII: 9; 10-11
In voluntáte tua, Dómine, univérsa sunt pósita, et non est, qui possit resístere voluntáti tuæ: tu enim fecísti ómnia, cœlum et terram et univérsa, quæ cœli ámbitu continéntur: Dominus universórum tu es.

[Nel tuo dominio, o Signore, sono tutte le cose, e non vi è chi possa resistere al tuo volere: Tu facesti tutto, il cielo, la terra e tutto quello che è contenuto nel giro dei cieli: Tu sei il Signore di tutte le cose.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]

In voluntáte tua, Dómine, univérsa sunt pósita, et non est, qui possit resístere voluntáti tuæ: tu enim fecísti ómnia, coelum et terram et univérsa, quæ coeli ámbitu continéntur: Dominus universórum tu es.

[Nel tuo dominio, o Signore, sono tutte le cose, e non vi è chi possa resistere al tuo volere: Tu facesti tutto, il cielo, la terra e tutto quello che è contenuto nel giro dei cieli: Tu sei il Signore di tutte le cose.]

Kyrie

S.. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut a cunctis adversitátibus, te protegénte, sit líbera, et in bonis áctibus tuo nómini sit devóta.

[Custodisci, Te ne preghiamo, o Signore, con incessante pietà, la tua famiglia: affinché, mediante la tua protezione, sia libera da ogni avversità, e nella pratica delle buone opere sia devota al tuo nome.]

Lectio

Lectio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes VI: 10-17

Fratres: Confortámini in Dómino et in poténtia virtútis ejus. Indúite vos armatúram Dei, ut póssitis stare advérsus insídias diáboli. Quóniam non est nobis colluctátio advérsus carnem et sánguinem: sed advérsus príncipes et potestátes, advérsus mundi rectóres tenebrárum harum, contra spirituália nequítiae, in coeléstibus. Proptérea accípite armatúram Dei, ut póssitis resístere in die malo et in ómnibus perfécti stare. State ergo succíncti lumbos vestros in veritáte, et indúti lorícam justítiæ, et calceáti pedes in præparatióne Evangélii pacis: in ómnibus suméntes scutum fídei, in quo póssitis ómnia tela nequíssimi ígnea exstínguere: et gáleam salútis assúmite: et gládium spíritus, quod est verbum Dei.

[“Fratelli, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Vestite tutta l’armatura di Dio, perché possiate tener fronte alle insidie del demonio; poiché noi non abbiamo a combattere contro la carne ed il sangue, ma sì contro i principati, contro le podestà, contro i reggitori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti malvagi, per i beni celesti. Per questo pigliate l’intera armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e in ogni cosa trovarvi ritti in piedi. Presentatevi adunque al combattimento cinti di verità i lombi, coperti dell’usbergo della giustizia, calzati i piedi in preparazione dell’Evangelo della pace. Sopra tutto prendete lo scudo della fede, col quale possiate spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Pigliate anche l’elmo della salute e la spada dello spirito, che è la parola di Dio „.]

SOLDATI DI CRISTO.

L’Epistola d’oggi ci schiude dinanzi degli orizzonti di una vastità sconfinata, che sono però gli orizzonti stessi della vita cristiana. Ogni vita, nessuno ormai lo ignora, è a base di lotta, dalla forma più elementare e semplice alla più alta e complicata. La lotta è la condizione naturale della vita, ne è la intima legge. Non tutte le lotte hanno la stessa importanza appunto perché non tutte le forme di vita si svolgono allo stesso livello. Purtroppo, noi diamo molta importanza a lotte che ne hanno poca, pochissima. Tali, ad esempio, le nostre lotte economiche, che pure tanto ci appassionano, che noi giudichiamo spesso le maggiori, le massime nostre lotte. Il poeta moderno le poté perciò definire: « il ronzìo d’un’ape dentro un bugno vuoto ». Le grandi lotte, le vere, sono le lotte tipiche del Cristianesimo, le lotte morali. Il Cristianesimo è vita superiore, vita altissima dell’anima in Dio, Dio verità, Dio giustizia, Dio bontà, bontà sovratutto. La vita della verità, la vita cristiana della verità è per la bontà morale. E questa vita è lotta perché il bene ha un misterioso avversario: il male. Lotta individuale e sociale; ogni Cristiano impegna la sua lotta, per la verità contro l’errore, per la giustizia contro l’iniquità, per il bene contro il male. L’ultimo Cristiano, il più modesto, la povera donnicciola, l’umile contadino, l’operaio, sono militi di questa guerra. Che è poi la vita e la lotta della società cristiana, della Chiesa. – Ebbene, nelle lotte economiche anche più colossali, è impegnata una piccola parte del nostro pianeta. E ne risulta che le lotte (economiche) più all’apparenza gigantesche, sono piccole, sono cosa da poco, da nulla. E lasciano effettivamente di sé traccia così breve! Di fronte ad esse il Cristianesimo ha sempre affermato, afferma ancora la grandezza della sua lotta, la grande lotta morale, la lotta del bene e del male. San Paolo scrive frasi classiche per questa epica grandezza. Grandezza cosmica. In esso è interessato il mondo, proprio il mondo, tutto il mondo spirituale. Questo mondo spazia oltre la materia, oltre l’umanità per gli innumeri gradi che ricollegano Dio, lo Spirito più alto, all’uomo, l’infimo nella gerarchia spirituale. Tutto questo vastissimo mondo visibile e invisibile è ricollegato da quella unità di interesse. Nella vittoria del bene è interessata con Dio la falange degli spiriti buoni; nella vittoria del male è interessata l’opposta falange degli spiriti malvagi. Ecco le vere forze che stanno le une di fronte all’altre, di qua e di là tutte collegate. Il piccolo soldato che ha il suo piccolo settore di combattimento non si accorge della vastità del fronte suo, del fronte avverso; non la sente questa grandezza. San Paolo scuote questa incoscienza, scarsa coscienza nella quale ciascuno di noi rischia di precipitare: questa, chiamiamola così, involuzione, per cui ciascuno crede di avere il suo nemico solo dentro di sé, come dice benissimo l’Apostolo, la carne ed il sangue, il nostro egoismo, la nostra corruzione. Questa nemica individuale, intima, piccola c’è e bisogna rompere questa trincea fatale dell’egoismo; bisogna guarire dalla corruzione per vincere, per dar ragione in noi stessi a Dio, per diventare soldati suoi. Ma il nemico interiore ha degli alleati fuori di noi, alleato il mondo, l’ambiente sociale, le coalizioni di tutta la parte dell’umanità che non è con Dio. La quale, non essendo con Lui, è contro di Lui e contro tutti quelli che lo amano e lo seguono. E colla carne e col mondo, compie il trinomio grandioso il demonio, la coalizione del male, e la coalizione contro Dio. – Quando siamo chiamati a deciderci, e la decisione è il punto saliente, il vero momento tragico, della vita, non siamo chiamati a deciderci tra entità astratte, bene e male, ma tra forze concrete e vive e innumerevoli, estesissime. Ogni vittoria nostra, ogni vittoria in noi del bene ha ripercussione immensa in tutta la falange degli spiriti buoni, di rabbia nel mondo degli spiriti malvagi: e viceversa d’ogni nostra sconfitta che noi decretiamo al bene, si rallegra la falange malvagia; la santa falange si rattrista. E anche questo deve essere a noi motivo e stimolo di valore. Alla grandezza della pugna dev’essere proporzionata la grandezza spirituale del combattente. Armiamoci nel nome di Dio, per una lotta nella quale sono impegnati l’onore di Lui e i destini del mondo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps LXXXIX: 1-2
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie.
V. Priúsquam montes fíerent aut formarétur terra et orbis: a saeculo et usque in sæculum tu es, Deus.

[O Signore, Tu sei il nostro rifugio: di generazione in generazione.
V. Prima che i monti fossero, o che si formasse il mondo e la terra: da tutta l’eternità e sino alla fine]

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps 113: 1
In éxitu Israël de Ægýpto, domus Jacob de pópulo bárbaro. Allelúja.

[Quando Israele uscí dall’Egitto, e la casa di Giacobbe dal popolo straniero. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt XVIII: 23-35
In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Assimilátum est regnum cœlórum hómini regi, qui vóluit ratiónem pónere cum servis suis. Et cum cœpísset ratiónem pónere, oblátus est ei unus, qui debébat ei decem mília talénta. Cum autem non habéret, unde rédderet, jussit eum dóminus ejus venúmdari et uxórem ejus et fílios et ómnia, quæ habébat, et reddi. Prócidens autem servus ille, orábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Misértus autem dóminus servi illíus, dimísit eum et débitum dimísit ei. Egréssus autem servus ille, invénit unum de consérvis suis, qui debébat ei centum denários: et tenens suffocábat eum, dicens: Redde, quod debes. Et prócidens consérvus ejus, rogábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Ille autem nóluit: sed ábiit, et misit eum in cárcerem, donec rédderet débitum. Vidéntes autem consérvi ejus, quæ fiébant, contristáti sunt valde: et venérunt et narravérunt dómino suo ómnia, quæ facta fúerant. Tunc vocávit illum dóminus suus: et ait illi: Serve nequam, omne débitum dimísi tibi, quóniam rogásti me: nonne ergo opórtuit et te miseréri consérvi tui, sicut et ego tui misértus sum? Et irátus dóminus ejus, trádidit eum tortóribus, quoadúsque rédderet univérsum débitum. Sic et Pater meus cœléstis fáciet vobis, si non remiséritis unusquísque fratri suo de córdibus vestris.

“Il regno dei cieli è assomigliato ad un re il quale volle trarre i conti con i suoi servi. E avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno che era debitore di diecimila talenti. E non avendo egli da pagare, il suo padrone comandò ch’egli, la sua moglie e i suoi figliuoli e tutto quanto aveva fosse venduto, e così fosse pagato. Allora quel servo cadendo a terra, si buttò davanti a lui, dicendo: Deh! abbi pazienza verso di me, e ti pagherò tutto. E il padrone impietosito di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Ora quel servo, uscito fuori, trovò uno de’ suoi conservi, il quale gli  doveva cento danari, ed afferratolo, lo strangolava, dicendo: Pagami ciò che mi devi! E quel suo conservo, cadendo in terra, lo pregava, dicendo: Abbi pazienza verso di me, ed io ti pagherò tutto. Ma colui non volle; anzi andò e lo cacciò in prigione finché avesse pagato il suo debito. Ora i conservi di lui, veduto il fatto, ne furono grandemente rattristati, e vennero al padrone e gli narrarono tutto il fatto. Allora Il signore lo chiamò a sé e gli disse: Servo malvagio! io ti condonai tutto quel debito, perché tu me ne avevi pregato. E non era dunque giusto che tu avessi pietà del tuo conservo, com’io ancora aveva avuto pietà di te? E adirato il suo padrone, lo diede in mano ai carcerieri infino a tanto che avesse pagato tutto il debito. Così farà ancora il Padre mio celeste con voi, se non rimetterete di cuore ciascuno al proprio fratello i falli suoi „

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

IL RE E IL SERVO

« Signore, — domandò Pietro, — basterà perdonare fino a sette volte a una medesima persona?» E gli sembrava d’aver già fatto una concessione enorme. Gesù gli rispose: « Non dire fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette ». E raccontò questa parabola. – « Dovete sapere, — diceva il Maestro divino, — che nella mia Chiesa accadde ciò che una volta avvenne tra un re e il suo servo. Il re volle fare un rendiconto generale e chiamò i suoi dipendenti a uno a uno. Ma c’era un servo che gli doveva una cinquantina di milioni e non possedeva niente per pagare. Quando il disgraziato fu davanti alla maestà del sovrano, quando sentì che lui, la sua donna, i suoi figli, le sue robe dovevano essere venduti sul mercato, si buttò per terra singhiozzando: « Pazienza, e pagherò tutto ». Buon per lui che il re era dolce e umile di cuore, e si lasciò commuovere, e non solo ebbe pazienza, ma rimandò il servo condonandogli il debito fin all’ultimo centesimo. Ebbene, nell’uscire di là, s’incontrò in un suo camerata che gli doveva un centinaio di lire: una vera inezia a confronto coi milioni del suo debito. Subito lo prese per la gola, e strozzandolo gli gridava: « Pagami!». Invano quel meschino supplicò un poco di pazienza, poiché, trascinato davanti alla giustizia, fu condannato al carcere. Per fortuna ci fu della gente coscienziosa che vide quella scena raccapricciante e deferì ogni cosa al re, il quale ne fu adiratissimo. Richiamò il servo e lo fulminò con queste parole :« Iniquo! Io ti ho perdonato dei milioni e tu non sei stato capace di perdonare qualche lira!… Sarai chiuso in un carcere tenebroso fin tanto che non mi avrai reso fin l’ultimo quattrino ». Qui la parabola era finita, ma Gesù conchiuse: « Allo stesso modo tratterà il mio celeste Padre chiunque tra voi non perdonerà di cuore al fratello da cui è stato offeso ». Qui la parabola è chiara: il Re è Dio, il servo è l’uomo. Consideriamo la condotta dell’uno e dell’altro, e ci apparirà la generosità divina e la grettezza umana. – 1. GENEROSITÀ DIVINE. Due verità possiamo dedurre dalla prima parte del racconto di Gesù: 1) ogni peccatore contrae un debito con la giustizia del Signore; 2) questo debito è così grosso che l’uomo non riuscirebbe mai a pagarlo se Dio non glielo condonasse. a) Ogni peccato è un debito. Lo diciamo nel « Pater noster »: rimetti a noi i nostri debiti. Attendete se non è vero. Come si contraggono i debiti? Anzitutto col non restituire quello che ad altri è dovuto. Ebbene noi dobbiamo dare gloria a Dio nostro Creatore: col peccato, invece ci rifiutiamo di onorarlo e pretendiamo di glorificare noi stessi, le nostre passioni, i nostri piaceri. Noi dobbiamo dare a Dio l’ubbidienza perché è il nostro Re che ci governa con la santissima legge dei dieci comandamenti: col peccato, invece, ci rifiutiamo di pagargli questo ossequio, e ripetiamo il grido di ribellione che risonò la prima volta sulla bocca di lucifero: « Non ti voglio servire ». Non ti voglio servire quando mi comandi di rispettare il tuo Nome tremendo; non ti voglio servire quando mi imponi di santificare la festa; quando mi dici di superare gli istinti disonesti; quando mi proibisci di toccare la roba degli altri: « L’ubbidienza che ti viene, io non te la rendo » così dice praticamente il peccatore. Inoltre, si contraggono debiti anche con sciupare danaro o roba avuti in prestito. Ebbene Dio ci ha prestato la vita per salvare l’anima, e col peccato noi usiamo della vita in perdizione dell’anima; Dio ci ha prestato salute e tempo per compiere opere buone e noi sciupiamo questi doni nel fare il male; Dio ci ha dato la lingua per lodarlo e noi con la lingua esprimiamo discorsi osceni; Dio ci ha dato la mente per pensare a Lui, e noi lasciamo entrare nella mente ogni fantasia più laida; Dio ci ha dato il cuore per amarlo e noi tutto amiamo fuor che Dio. Quanti debiti! b) Osservate ancora che il peccato è un debito così grosso che non potremmo mai cancellarlo se Dio stesso non ce lo perdona. Il peccato è un male infinito, è un’offesa infinita di Dio. Ora quale uomo può dare a Dio una soddisfazione infinita? Per il peccato noi perdiamo tutti i nostri beni, e dovremmo essere rinchiusi nel carcere dell’inferno per tutta l’eternità. Ma Iddio è un Re buono, basta che il suo servo si getti ai piedi di un Crocifisso, nel Sacramento della Confessione, gli dica: « Pietà di me! » e subito condona tutto il debito fino all’ultimo centesimo. Quante volte noi stessi abbiamo sperimentata la misericordia del Signore! Quante volte gli abbiamo giurato: « È proprio l’ultima volta; Signore cambio vita » e poi siamo tornati da capo, abbiamo accumulato peccati su peccati e Dio ci ha sempre perdonati, ci ha riempiti ancora di grazia, e di benedizione come se fossimo stati sempre i suoi migliori amici. Perché Dio è così generoso? Perché vuole che anche noi lo abbiamo ad imitare. Invece quanto gretti sono gli uomini tra loro! – 2. GRETTEZZA UMANA. Una mattina, il vecchio Vescovo S, Gregorio fu destato improvvisamente da grida e da rumori insoliti nella sua stanza ove da giorni giaceva ammalato. Aprendo gli occhi credette di sognare ancora: i suoi familiari stringevano per le braccia un giovane losco con in mano un pugnale che si dimenava per svincolarsi. Era un eretico che aveva giurato di uccidere il Vescovo nel suo letto: con quel nero disegno in cuore era riuscito ad eludere ogni sorveglianza, e penetrare silenzioso nelle stanze di S. Gregorio che erano sempre aperte, stringendo sotto il mantello una lama micidiale. Ma alla vista di quella cella così povera, di quel letto ove un uomo santo tormentato già dalla morte dormiva con un sorriso celestiale, il giovane cominciò a tremare e fu sorpreso nel suo turbamento. « Che è? che vuol dire quel pugnale? ». « E non vedete — gridavano i familiari — che stava per uccidervi? Noi lo arrestiamo e pagherà il « sacrilegio ». « Che nessuno me lo tocchi! » ingiunse il Santo e poi volgendosi all’eretico: « Figliuolo, avanzati: io ti perdono. Uscirai libero dal mio palazzo come vi entrasti ». Il giovane diede in uno scoppio di lagrime: « Ah padre! da questo momento io sono cattolico ». S. Gregorio aveva compreso fino all’eroismo la parabola del Re e del servo, ma ci sono troppi Cristiani che non sanno metterla in pratica nemmeno nei casi più comuni. — Troppo sono stato offeso: è impossibile perdonare — dicono alcuni. Non può essere impossibile, perché Dio è ragionevole e non comanda le cose impossibili; difficile sì, anzi perdonare ai nemici e amarli è il precetto più duro della nostra religione, con la preghiera bisogna ottenere la grazia di saperlo compiere, poiché senza eseguirlo non si entra in paradiso. — Non posso perdonare, perché ne andrebbe il mio onore — dicono altri. E l’onore di Dio non è qualche cosa di più dell’onore di noi misere creature? Eppure Dio perdona sempre a tutti quelli che gli domandano sinceramente pietà. — Ma è un ingrato! se gli perdonassi ritornerebbe a far peggio! non lo merita proprio il perdono! — E noi non fummo ingrati col Signore? non ritornammo tante volte, nonostante le promesse e i giuramenti, a far peggio di prima? lo meritiamo noi il perdono che Dio è sempre pronto a concederci? — Che cosa dirà il mondo? io non voglio. che si dica che l’ho persa. — Il mondo dirà che siete un vero Cristiano; e chi perdona vince e non perde. Infine, ci sono dei mezzi Cristiani i quali credono di adempiere il precetto di Dio col dire: « Io me ne sto a casa mia, non faccio del male a nessuno: e lui se ne stia a casa sua. Ciascuno nella vita va per la sua strada ». Questo non basta ed è segno di un falso perdono. « Io lo lascio qual è » si dice; ma intanto se gli capitano disgrazie si è contenti, se gli van bene gli affari ci vien malinconia. Intanto si tengono inchiodate nel cuore le offese ricevute, si ruminano giorno e notte, non si finisce di raccontarle agli altri ingrandendo o inventando le accuse. Intanto si schiva di incontrare quella persona, si finge di non vederla quando la si incontra, le si nega il saluto. Questo non basta, perché Gesù concludendo la parabola ha imposto di perdonare non di apparenza ma di cuore. De cordibus nostris. È duro talvolta perdonare, ma è necessario. È scritto che con quella misura che usammo per gli altri, saremo anche noi misurati! Sta scritto che sarà perdonato solo a chi perdonerà. Noi fortunati se nel giorno del nostro giudizio gli Angeli potranno testimoniare di noi così: « Ha perdonato tanto ». Allora il Giudice divino esclamerà: « Gli sia perdonato tutto ». – Ricordate il gran martire S. Cristoforo. Un uomo abbietto lo assaltò un giorno sulla pubblica via e gli diede uno schiaffo in mezzo alla folla. Arse di sdegno subitamente il Santo e rincorse l’offensore: atterra e sguaina la spada per trafiggerlo. Tutta la gente intorno gridava: « Uccidilo, Uccidilo! ». In quel momento si ricordò della parola del Signore: « Così il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore »; In uno sforzo supremo represse la collera, ripose la spada nel fodero, e al popolo che domandava vendetta rispose: « La farei, ma non posso perché son Cristiano ». Facerem, sì non essem christianus. In certe ore in cui la vendetta ci tornerebbe facile e piena di gusto l’esempio di S. Cristoforo ci stia dinanzi e la sua parola ci sia di freno: « O perdonare o rinunziare di essere Cristiani ». — ABBI PAZIENZA. La conclusione di questa parabola è che chiunque abbia ricevuto il perdono da Dio e si rifiuta di far grazia al proprio fratello si rende indegno di un tale perdono. Ma noi oggi interpretiamola in un senso più particolare e meno diretto: Dio è tutto pazienza coi suoi debitori, gli uomini; ma gli uomini di pazienza ne hanno assai poca, tra di loro. Patientiam habe! Ecco il grido angoscioso che due volte risuonava nella parabola evangelica: ascoltato dal re che rappresenta Dio, inascoltato dal ministro che rappresenta l’uomo. Patientiam habe! La pazienza è una delle virtù più necessarie alla vita cristiana, poiché, — dice S. Paolo (Ebr., X, 36) — senza di essa non possiamo fare la volontà di Dio, e quindi non possiamo entrare in paradiso. Quaggiù tutto è messo a una prova diuturna e difficile: ogni giorno viene co’ sui travagli, co’ suoi disgusti, co’ suoi patimenti, con le sue disillusioni. Senza la pazienza non si ha nulla di bene. A S. Tommaso, chiesero una volta da qual segno s’intuisce il santo. « Dalla pazienza » rispose. Se dunque desideriamo conoscere se siamo santi, osserviamo se in noi v’è pazienza. – 1. CHE COS’È LA PAZIENZA. È il coraggio di sopportare con calma le contrarietà della vita. Il paziente davanti alle disgrazie, pur soffrendo, ha il cuore in pace, il viso tranquillo e senza rughe di tristezza o d’ira, ha lo sguardo umile, ed ama tenere la bocca in silenzio. Quando si trova nei mali di fortuna ed i suoi interessi diminuiscono e gli affari non fruttano, i campi non rendono, e le perdite s’aggiungono alle perdite, egli somiglia un poco a Giobbe che ad ogni triste annuncio per i suoi possedimenti e per il suo bestiame, ripeteva: — Il Signore me li ha dati, il Signore me li toglie: pazienza —. Quando si trova circondato e oppresso dai mali del corpo che lo costringono ad una vita penosa e dolente, egli si sforza d’assomigliare a Santa Chiara che per anni soffrì atroci malattie senza aprire le labbra ad un lamento, o a santa Ludovina, che per 38 anni rimase a letto senza giammai stancarsi di portar pazienza. Quando è afflitto nei mali dell’onore, e sente d’essere calunniato, ingiuriato, odiato senza cagione, cerca d’imitare S. Carlo che, pontificando in una chiesa, sopportò tranquillamente tutta una predica di ingiurie e calunnie che un famoso predicatore dal pulpito lanciava contro di lui seduto sulla sedia episcopale. Questo esempio del Borromeo commosse persino il pazientissimo S. Francesco di Sales che ricorda il fatto nella sua Vita Divota (Parte III, cap. 3). Quando poi lo assalgono i mali dello spirito, e i dubbi annebbiano la sua fede e le tentazioni soffiano contro il suo candore e le aridità disseccano il suo fervore, egli pensa a S. Teresa del Bambino Gesù che per due anni sopportò battaglie terribili contro la fede e la speranza, e già le sembrava d’esser per sempre perduta; eppure alla fine Dio la consolò e premiò la sua pazienza. – 2. MOTIVI DI PAZIENZA. a) Il primo è un segno di rispetto e di dignità verso noi stessi. Non avete mai osservato fino a qual punto si abbassano coloro che non signoreggiano la loro collera? A vedere un padre di famiglia col viso acceso, stravolto, la parola strozzata, che urla, bestemmia, mena pugni in aria, lancia in giro ciò che gli capita sottomano, magari per una cosa da nulla, noi ci domandiamo: è un uomo o è una tigre che si precipita contro i ferri della sua gabbia? Certamente voi non arrivate a tali eccessi: tuttavia come fa pena l’operaio che infuria al primo sbaglio, a una puntura sul lavoro! come fa pena il figliuolo che senza pazienza si rivolta contro gli stessi genitori e le sorelle! come fa pena la madre, la quale dovrebbe essere l’angelo paziente e silenzioso della casa, che ad ogni momento fa scenate e dice parole sconvenienti in presenza dei figli!… Passato il fremito della collera, noi stessi sentiamo d’esserci resi goffi, inumani; proviamo una malinconia interiore e sulle labbra vengono spontanee parole di scusa: — Ero tutto fuori di me. — E con ciò confessiamo che la ragione era partita, e in noi non restava più che la bestia senza museruola. b) Un secondo motivo che ci deve spingere a pazienza è che senza questa virtù non riusciremo a superare nessuna difficoltà, nè a vincere lo scoraggiamento; e quindi nella vita non arriveremo a niente di buono, di utile, di grande, di santo. S. Isidoro di Spagna, tosto che arrivò all’età dell’istruzione fu mandato a scuola. Ma provava tale difficoltà ad apprendere, che un giorno perse la pazienza; piangendo di vergogna e di rabbia, prese i libri e gli scagliò per la strada. Combinazione volle che andarono a sbattere contro il murello di un pozzo: al rumore del colpo, istintivamente lo sguardo lagrimoso del giovanetto si volse da quella parte. Man mano che l’impeto della collera scemava, egli poté osservare che la pietra del cilindro, in mezzo, dove s’avvolgeva la fune a cui era annodato un secchio, era assai incavata: « Ma guarda — pensò. — Anche una materia molle come la fune con un lavoro paziente e continuo ha potuto incavare perfino la dura selce!…». Allora, asciugandosi gli occhi col dorso: della mano, riprese i suoi libri. « Anch’io farò così. A forza di volontà e di pazienza riuscirò a scavare la mia testa dura ». E riuscì quel gran Santo e quel gran dottore che voi sapete. Se non avete pazienza non potrete vincere le vostre passioni, educare i vostri figliuoli, attendere ai vostri doveri. A questo mondo niente si fa d’un botto: ma ci vogliono ore, giornate, anni, prove e riprove. E allora è necessaria la pazienza. – c) Un terzo motivo che vi deve guidare a questa virtù è il rispetto della volontà di Dio. Tutto ciò che capita è disposto e voluto da Dio per il nostro bene: perché perdere la pazienza? Una volta che Davide insieme ad Abisai camminava sulla strada Bahurim, s’imbatté in Semei, figlio di Gera: costui, l’attendeva furioso e gli mosse incontro con ogni ingiuria e villania e, raccattando sassi, li scagliava contro di lui maledicendolo. « Davide! » scoppiò a dire Abisai. « Lascia ch’io vada e gli tagli la testa ». E Davide :.« No: lascia che mi maledica, poiché tale è la volontà del Signore » (II Re, XVI, 5-10). Il ragionamento di Davide è quello che deve fare ogni Cristiano che vuol essere paziente. Quando le ingiurie, le calunnie, le malattie, le tribolazioni, le disgrazie fischiano intorno alla nostra persona come le pietre di Semei nelle gambe di Davide, non facciamo come i cani che si fermano a ringhiare e morderle rabbiosamente, ma alziamo gli occhi in alto: — Dio mi prova: pazienza. Sia fatta la sua volontà. « Com’è bella questa pazienza dei santi! Vedetela nel martire Stefano: essa gli trasfigura il viso come quello d’un angelo. Osservatela nel Beato Martire: mai lo si trova irritato, sempre con lo stesso sorriso, la stessa pace celeste. Osservatela nel dolce S. Francesco di Sales: « Se mi accecaste un occhio — dice ad un insolente — vi guarderei ancora affettuosamente con l’altro » (A. TEXIER, La Carità nei giornali). – 3. MEZZI PER ACQUISTARLA. Innanzi a tutto, la preghiera. Si addensino le nubi, soffi il vento, piova, grandini, scoppi la folgore, in alto le stelle tranquillamente continuano il loro viaggio attraverso i campi azzurri del cielo. Perché non si turbano mai delle cose terrene? Perché stanno in alto. Noi pure dobbiamo con la preghiera gettare il cuore nostro in alto, come le stelle e sopra le stelle, in Dio: allora le burrasche del mondo ci faranno sì soffrire, ma perdere la pazienza, no. Quando la collera sta per assalirvi, quando il coraggio sta per abbandonarvi, quando vi vien voglia di piantar lì tutto e fuggire, dite una giaculatoria, una breve preghiera alla Vergine, a Gesù pazientissimo: anche su voi in quel momento, come sopra il capo di Stefano, si apriranno i cieli: e porterete pazienza. E poi, è necessario il silenzio. Di un giovanetto spartano le antiche storie raccontano che teneva nascosta sotto la tunica una volpe furiosa la quale gli rodeva il petto, ed egli ebbe il coraggio di lasciarsi mordere senza dir nulla, senza che nessuno sospettasse del suo tormento. Dobbiamo fare come lui: sopportare e tacere. Così ha fatto il maestro d’ogni nostra pazienza, Gesù: in tre ore di spasimo sulla croce ha detto soltanto sette parole. E in tutta la sua passione ha parlato pochissimo: preferiva tacere, poiché solo il silenzio ci conserva in pazienza. Ad esaminare bene la nostra vita non è vero che essa ci rimprovera di lamentarci troppo? A tutti vogliamo raccontare le nostre pene, magari esagerandole, nella speranza di ottenere conforti dalla comprensione altrui; a tutti vogliamo dir male delle persone che ci fanno soffrire, di quel parente che ci ha ingannati, di quella nuora che è la discordia della famiglia, di quell’uomo che ha rovinato i nostri interessi; con tutti ci lamentiamo della Provvidenza che ci dimentica, che è ingiusta, che non c’è… Chi non tace, ha già perduto la pazienza. – Pensate sovente al Crocifisso: consideratelo coperto di piaghe, accasciato di obbrobrio, sfinito di dolore, inondato di tristezza fino al fondo dell’anima, abbandonato da tutti, spogliato di tutto, maledetto! Sentirete allora che la vostra croce è più leggera e direte: « Pazienza: per amor mio Egli ne ha portato una enorme, e non porterò io questa piccola per suo amore? ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Job I. 1
Vir erat in terra Hus, nómine Job: simplex et rectus ac timens Deum: quem Satan pétiit ut tentáret: et data est ei potéstas a Dómino in facultátes et in carnem ejus: perdidítque omnem substántiam ipsíus et fílios: carnem quoque ejus gravi úlcere vulnerávit.

[Vi era, nella terra di Hus, un uomo chiamato Giobbe, semplice, retto e timorato di Dio. Satana chiese di tentarlo e dal Signore gli fu dato il potere sui suoi beni e sul suo corpo. Egli perse tutti i suoi beni e i suoi figli, e il suo corpo fu colpito da gravi ulcere.]

Secreta

Suscipe, Dómine, propítius hóstias: quibus et te placári voluísti, et nobis salútem poténti pietáte restítui.

[Ricevi, propizio, o Signore, queste offerte con le quali volesti essere placato e con potente misericordia restituire a noi la salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

 Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 81; 84; 86
In salutári tuo ánima mea, et in verbum tuum sperávi: quando fácies de persequéntibus me judícium? iníqui persecúti sunt me, ádjuva me, Dómine, Deus meus.

[L’ànima mia ha sperato nella tua salvezza e nella tua parola: quando farai giustizia di coloro che mi perseguitano? Gli iniqui mi hanno perseguitato, aiutami, o Signore, Dio mio.]

Postcommunio

Orémus.
Immortalitátis alimoniam consecúti, quǽsumus, Dómine: ut, quod ore percépimus, pura mente sectémur.

[Ricevuto il cibo dell’immortalità, Ti preghiamo, o Signore, affinché di ciò che abbiamo ricevuto con la bocca, conseguiamo l’effetto con animo puro]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (274)

LO SCUDO DELLA FEDE (274)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (17)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XVII

TAVOLE PARLANTI E MAGNETISMO

• I. Io non vedo male a prender parte a quelle sedute. Il. Disdico ogni patto col diavolo. III. Vado armato di oggetti devoti. IV. Si può sapere se sia lecito e fin dove il magnetismo?

Quel che abbiamo detto nel capo antecedente, basta a dimostrare che i miracoli non si possono per verun modo spiegare coi nuovi fatti delle tavole parlanti e del magnetismo: ma non basta ad allontanare da quei pericolosi e rei tentativi molti anche di quelli che non si tengono per malvagi Cristiani. Questi si scusano col dire che non vedono male ad assistere a quelle sedute, che il fanno per istruirsi e per una semplice curiosità, che disdicono in cuor loro qualunque patto anche tacito che possa esservi cogli spiriti infernali, che vi vanno armati di oggetti sacri, quali sono le immagini di Cristo, della Vergine e dei Santi: poiché finalmente son possono darsi a credere che vi sia male in una pratica, la quale ha perfino condotto a vita più religiosa uomini che non si curavano di anima. Queste sono sottosopra le ragioni, onde credono potersi scusare agli occhi propri ed altrui: si contentino adunque che le esaminiamo un istante.

I. E prima di tutto essi non vedono male ad assistere alle sedate spiritualistiche, il fanno per istruirsi, per una semplice curiosità:

à. Ma qui subito offende quell’io non ci vedo male: perocché, e se altri di vista più acuta che non la vostra lo vedessero, sete poi voi il giudice supremo ed inappellabile di quel che è bene e di quel che è male? Levarsi una curiosità non è male, ma purché non sia peccaminosa; istruirsi è un bene, ma purché si faccia con modi onesti. Ora sono mantenute tutte queste condizioni all’assistere che si fa a quelle sedute? Eccovi alcune osservazioni che vi porranno in istato di giudicarne. – Ma prima adunque presupponete, non potersi ornai più dubitare, dopo le tante prove che se ne sono fatte da uomini dotti, che in quei fatti v’ è una vera intervenzione di spiriti dall’altro mondo, che non sono con noi, che non hanno con noi nulla che sia comune. E sebbene io non neghi che talvolta sia ingannato il pubblico con null’altro che giuochi di saltimbanchi, pure niuno potrà mai negare, se già non si toglie fede ad ogni umana autorità che molte volte non intervengano di veri spiriti. Le operazioni che essi fanno, il dare risposte a persone di ogni fatta che previo accordo muovono questioni, il parlare lingue ignote a quelli che li evocano, il trattare scienze che questi ignorano, il dar conto di avvenimenti lontani nel momento medesimo che succedono, ed altri fatti somiglianti, mostrano con ogni evidenza anche agli occhi della sana filosofia che ci vuole, come causa proporzionata, una intelligenza: se pure non si voglia ammettere l’assurdo che si possa macchinare un ingegno, il quale debba variare le risposte secondo la varietà di tutte le domande possibili a farsi. Del resto, che v’intervengano spiriti, l’abbiamo per confessione di quegli stessi che vi sono interessati, i quali tanto lo concedono, che da essi spiriti traggono la denominazione della loro scuola e si chiamano spiritualisti. – Presupponete in secondo luogo che nell’altro mondo vi siano spiriti e buoni e rei. Vi sono gli Angeli buoni, i quali, serbatisi fedeli a Dio, ne godono ora la vista svelata e sono purissimi spiriti, pieni d’ogni santità, del ministero dei quali si serve Iddio in fa re di quelli che ricevono l’eredità della salute. Vi sono gli spiriti reprobi, i quali non avendo mantenuto, come parlano le Scritture, il lor principato, spogliati della grazia divina, e condannati ad eterne pene, tentano con ogni maniera d’insidie di trarre gli uomini alla perdizione. Vi sono eziandio gli spiriti separati dai corpi, cioè le anime di quelli che ci hanno preceduti, delle quali le une regnano con Cristo in cielo, o si purificano nel purgatorio e sono anime giuste e sante, le altre sono riprovate con sentenza finale e tormentano negli abissi. Tutto ciò è chiaro ed innegabile ai Cattolici. – Ora, ecco la gran questione che ci si presenta: gli spiriti che si danno a conoscere in coteste sedute sono essi buoni o rei? La risposta non è difficile a darsi. Iddio non può permettere che gli spiriti buoni concorrano ad una azione che è gravissimamente da Lui vietata, che la santa Chiesa non solo non riconosce, ma severamente condanna, ad una azione che distruggerebbe molte verità della fede, che evidentemente è perniciosa. Ora è appunto tale l’evocazione degli spiriti: come dunque possono gli spiriti prendervi parte? – Che l’evocazione degli spiriti sia gravissimamente vietata da Dio, non può dubitarsene. È proibita indirettamente dove si vietano gli indovini, gli auguri, gli arioli, i pitoni e le pitonesse, e generalmente tutte le superstizioni per cui s’indagano gli avvenimenti futuri, che è appunto quello che si cerca per mezzo delle tavole parlanti, secondo che osserva la S. Congregazione: Ariotandi divinandique principium quoddam se nactos gloriantur. È proibita direttamente là dove è condannata sì gravemente la temerità di Saul, il quale tentò richiamare lo spirito del morto Samuele. – E sconosciuta al tutto alla Chiesa siffatta comunicazione. Sopra di che osservate che di tutte le maniere di comunicazione che i Cristiani possono avere coll’altro mondo, unica depositaria e custode e maestra è la santa Chiesa: tantoché niuna ve ne sia legittima che da essa non provenga. 1,a religione, dice un filosofo contemporaneo vieta il credere oltre a quello che essa insegna; ma si deve aggiungere, che vieta anche di fare oltre a quello che essa fa. Ora certo di questa via di comunicazione coll’altro mondo sì straordinario, la Chiesa mai non ha parlato, mai non l’ha proposta ai fedeli: sicché conviene dire che o mai non l’ha conosciuta, oppure sempre l’ha invidiata ai suoi figliuoli. Chi può dir dunque che sia legittima, che sia sicura? – Ma v’ è di più, che l’evocazione degli spiriti è direttamente opposta alle dottrine ed ai principii della Chiesa. Avete da sapere, o lettore, che nella Chiesa cattolica gli effetti, che trascendono la natura sono reputati impossibili ad ottenersi da cagioni naturali. Ora come non trascende la natura, l’aver comunicazione con spiriti separati da noi, cogli Angeli, coi Santi, collo stesso Cristo? Il darsi, dunque, un modo con cui arrivare naturalmente a questi effetti, siccome avviene nel nostro caso, è affatto fuori di tutti i Vescovi principi cattolici. Così lo dice espressamente la S. Congregazione nella circolare diretta a tutti i Vescovi della cristianità, dove, condanna quelli che tentano di fare lo stesso per via di magnetismo, apporta appunto questa ragione: Cum ordinentur media physica ad effectus non naturales, reperitur deceptio omnino illicita et haereticalis et scandalum contra honestatem morum. E perché alcuno non creda che ivi si condannino fatti diversi da quelli che si tentano per mezzo delle tavole parlanti, poco sopra li aveva espressi, cioè fare discorsi intorno alla religione, evocare le anime dei morti, ottenerne risposte, scoprire cose ignote e lontane ed esercitare altre superstizioni somiglianti: De ipsa religione sermones instituere, animas mortuorum evocare, responsa accipere, ignota ac longinqua detegere, aliaque id genus superstitiosa exercere, che sono appunto tutte quelle cose che per mezzo delle tavole si ri cercano. – Né queste condanne sono novità. Notano i teologi che queste superstizioni furono in altri tempi, sebbene con qualche accidentale varietà, pur troppo commesse, e già severamente condannate. La sola differenza tra le antiche e le moderne è questa: che allora si commettevano tra i nascondigli e le tenebre, poiché, riverita come era profondamente la Chiesa, i divieti di lei erano non solo rispettati dai singoli, ma pur dai Governi, informati dallo spirito cattolico colle leggi civili mantenuti in onore: laddove al presente che il protestantesimo ha introdotto lo spirito privato del culto, ed il valterianesimo ha magagnato anche i Governi, si commettono sfacciatamente in pieno giorno senza repressione: e con infamia altissima del popolo cristiano gli Hume e i Bort ne danno pubbliche rappresentazioni nelle capitali di Europa e nelle sale di America. I fatti però sono i medesimi, gli stessi scongiuri, le stesse evocazioni fatte per gli stessi fini, come gli effetti che ne provengono sono gli stessi. Laonde per i Cattolici, i quali sono certi che la Chiesa non può condannare quello che non è reo e degno di condannazione, si fa manifesto che, dovendo in quei fatti riconoscersi l’intervento di spiriti dell’altro mondo, questi non possono essere che spiriti reprobi e demoni.- Che se tutto ciò non bastasse a persuadere alcuni più inticchiati di coteste orrende superstizioni, osservate, io direi loro, gli effetti di esse, le risposte che danno, quello che consigliano, e, secondo l’ammonimento di Cristo, dai frutti conoscerete la pianta. Quali sono dunque essi? I giornali che ne riferiscono i fatti quotidiani, e gravi autori che ne hanno esaminata la questione, riportano in gran numero le infermità anche corporali avvenute dietro a quegli Iniqui tentativi, la perdita totale del cervello, l’eccitamento nervoso spinto ad un eccesso quasi epilettico, stranissime perturbazioni nell’ordine interno delle famiglie, e molti casi di morte anche subitanea. Ora gli Angeli santi del Dio della pace e le anime giuste non fanno così. – Ma più ancora si pare la reità di quegli spiriti negli oracoli che rendono: nei quali se qualche volta s’intingono, come or ora diremo, il più delle volte si manifestano per quel che sono. Interrogati sulla Religione cattolica, la disapprovano, infuriano contro i misteri di lei ed i sacramenti. Non possono patire la cattedra tremenda di San Pietro, dalla quale sono smascherati, e le si scagliano contro con una furia di veri demoni. Spropositano orribilmente sulla vita avvenire, sui novissimi, e sovra altre verità indubitatissime di nostra fede. Glorificano l’eresia, lodano gli eresiarchi, vilipendono i Santi: e l’empio Bort, che in Ginevra giunse a formare una religione novella in onor degli spiriti, introduce in certi scellerati suoi libri la persona sacrosanta di Gesù Cristo a favellare dalla tavola da libertino. Le quali cose essendo così come il provano i fatti luculentissimi di ogni giorno, chi sarà ancora tra cattolici o così scemo di cervello che non veda chiaramente donde muovano quei prestigi, o così perduto di coscienza che, vedendolo, pure si adatti a prendervi parte? – Non può dunque esser lecito l’assistere a quelle sedute, perché mai non può esser lecito l’entrare in comunicazione coi nemici di Dio, perché non è lecito di promuovere e coonestare colla propria presenza l’iniquità; e se è scusabile l’intervento di un ministro del Signore, il quale, per assicurarsi dei fatti, è mandato dalla legittima autorità, non può mai esser lecito l’intervenirvi per soddisfare ad una curiosità privata. – So bene che alcuni si rideranno bonariamente di me che credo possibile l’intervento degli spiriti dell’altro mondo negli affari di questo; ma so ancora che quelli che ridono così, ridono di una autorità ben più augusta che non è la mia. Ridono dell’autorità delle sante Scritture, le quali testificano la possibilità di tale intervento mentre ne allegano i fatti qual è quello di Saul; ridono del Vangelo, nel quale ne sono Citati dei fatti indubitabili; ridono della Chiesa, la quale avendo condannata la negromanzia e tante altre superstizioni, dove si suppone un tale intervento, se questo non fosse, si sarebbe divertita a colpeggiar l’aria. Ridono di innumerevoli santi Dottori, i quali tanto suppongono possibile questo fatto che ne ponderano gli effetti ed i modi di preservarsene; ridono dell’autorità di moltissimi Santi, i quali, secondo che testificano le loro vite, l’hanno dovuto anche troppo sperimentare. Anzi ridono pure degli eretici, dei filosofi pagani, degli idolatri, tra quali tutti non è mai rimasto dubbio che potessero intervenire, e sotto nome or di geni, or di demoni li hanno riconosciuti. Il negare adunque la possibilità di sì fatto intervento non è cosa non dico solo da cattolico, ma pur d’uomo ragionevole, il quale non si creda superiore a tutto l’umano genere. Perciò dove la Chiesa o l’autorità legittima dei superiori, o altre gravi ragioni ci premuniscono che in questa od in quella opera lo spirito delle tenebre può aver luogo, la nostra sicurezza, la pietà, l’obbedienza cattolica, il dovere ci costringono a guardarcene prontamente.

II. Io disdico internamente ogni patto col demonio, rispondono alcuni. Il disdire ogni patto col demonio è cosa ottima, ma qui non basta. Quando l’opera è di sua natura indifferente, che cioè può essere o naturale o diabolica, allora quell’atto interno ha il suo valore: ma dove ragioni chiare, e soprattutto per un cattolico l’autorità della Chiesa, indicano che l’opera di sua natura è rea, le proteste non hanno valore: non è la protesta che allora si chiede, è l’obbedienza. Che cosa, infatti, direste voi di uno che percotesse coi pugni, e vi levasse di tasca l’oriuolo, e tuttavia testasse che non intende né di offendervi né di rubarvi? Al danno egli aggiungerebbe la beffa. Similmente, i Vescovi che sono i reggitori del popolo cristiano, la Chiesa che n’è universale maestra, vi dicono che è male, e voi traete innanzi e dite: io lo farò ma con la protesta in contrario; forse la vostra protesta cambia la natura dell’atto? A questo modo potete mormorare, bestemmiare, fornicare, o dar corso a tutti i pravi desideri del cuore, e poi protestando che non avete intenzione di far peccato, tenervi per innocenti. Inoltre la protesta in questo caso è anche inefficace per un’altra ragione. Il patto col demonio può essere di due sorte: chiaro, espresso, esplicito, oppure implicito, nascosto, sottinteso. Nel primo caso l’invocazione di lui è manifesta, espressa. Il secondo caso è ogniqualvolta si adopera un mezzo che è conosciuto non proporzionato naturalmente al fine. Ora può bene chi è incerto sulla natura del mezzo, e crede potersi usare anche onestamente sebbene vi sia chi lo abusi, protestando che non l’adopera altro che in quanto jè lecito salvare la propria coscienza: ma chi sa già che è illecito, quando tuttavia l’adopera, consente veramente nell’atto superstizioso. Ed allora, come osservano i Santi, il demonio concorre a quel segno, senza tener nessun conto delle proteste in contrario. Se aveste convenuto con un vostro servo che al tocco del campanello ei si presentasse, avreste mal garbo a lagnarvi che presentandosi sia venuto a disturbarvi, perché toccando voi il campanello con un atto interiore avete disdetto quel cenno.

III. Porto indosso la corona, ecc. La corona, il crocifisso, l’acqua benedetta e le reliquie sono belle e buone, ma allo scopo presente non servono punto più che le proteste. Chi pone la causa, bisogna che si contenti di averne gli effetti. Qui si è posta in atto una causa superstiziosa, ed il demonio vi concorre per la sua parte. Molto più che, secondo la dottrina cattolica, solo i Sacramenti ben ricevuti producono affetto immanchevole: questi altri mezzi non hanno altro valore che d’intercessione: e però mentre riescono tanto efficaci nelle tentazioni, nelle quali il demonio viene in cerca di noi, possono riuscire di nessuna virtù quando noi, colla nostra curiosità, andiamo in cerca dei demoni. Iddio ci presta il suo soccorso ed il fa molto volentieri, ma secondo l’ordine della sua sapienza, non secondo i capricci delle nostre passioni. – Basterebbe forse a scusarvi da un furto, da un omicidio l’averlo commesso colla corona in tasca o colla reliquia al collo? Certo no. Ebbene essendo illecita in sé, perché gravemente superstiziosa, la vostra assistenza, e perché proibitavi dai legittimi superiori, non la renderete mai lecita coll’acqua santa o col rosario. – Sono avvenute persino delle conversioni… Io veramente non posso finire le meraviglie sopra certuni, i quali tanto veggenti nelle cose del mondo, sono poi sì rozzi nelle cose dell’anima e di Dio. Sua pure che qualche materialista in faccia a quei fenomeni non abbia più potuto negare l’esistenza degli spiriti; ma e non si sa che quel profondo ed arrabbiato nemico dell’umana salute che è il demonio non ha difficoltà di perdere qualche cosa per guadare poi dopo molto di più? Anche nel mondo gli scaltri trovano che è prudenza gittar un ago per ricogliere un palo: pensate adunque se lo spirito reprobo non troverà gran compenso di quella qualunque perdita nell’accreditare il regno della superstizione sulla terra, nello sviare gli uomini dall’obbedienza dovuta alla Chiesa, nel fissarli immobilmente in quegli errori rendendoli ostinati. Non sanno costoro quello che pure è dottrina di tutti i Santi fondati sull’autorità dell’Apostolo, che è vezzo tutto proprio dello spirito infernale incedere per vie tortuose, sorprendere gli uomini sotto aspetto di bene, trasfigurarsi, in una parola, in angelo di luce per ingannarli più sicuramente. Senzaché fa poi veramente una gran perdita il demonio con queste supposte conversioni? Che un materialista si cambi in spiritualista, credetemi, non gli toglie gran fatto. Il passare da uno ad un altro errore è sempre uno star lontano dalla verità, e star lungi dalla verità è dannarsi. Il demonio adunque non perde nulla a siffatte conversioni e guadagna molto nel farle credere: ed il trarle in campo a giustificare quegli errori, è non conoscere cosa sia vera conversione, né sino a qual punto sia scaltro a perdizione delle anime il comune nostro nemico.

IV. E questo potrebbe bastare al mio intento intorno a questa materia; se non che a modo di appendice vo’ aggiungere una parola di risposta ad una domanda che si fa non di rado dalle persone timorate di Dio, intorno all’argomento proposto in questo capo e nell’antecedente. A tutti questi fatti sia del magnetismo, sia delle tavole parlanti è lecito finalmente prendervi parte, o almeno in qualche grado, oppure è assolutamente vietata ogni cosa? Ecco la dimanda a cui vorremmo una risposta precisa. – Per intelligenza della risposta che sono per darvi, premettete brevemente prima, che il magnetismo, dietro a quello che fin qui se n’è scritto, può richiamarsi a tre gradi o stadi che sono i seguenti. Il primo non consiste in altro che nel procurare il sonno ad una persona per ristoramento, si dice, delle forze inferme di lei, e questo si fa, e certo si può fare, con maniere oneste e convenienti, e si suppone che non sia altro che la trasmissione fisica d’un fluido che da un corpo si deriva in un altro. Il secondo grado è quando la persona magnetizzata dallo stato di puro sonno passa allo stato che dicono di sonnambulismo, oppure di lucidità magnetica, oppure di chiaroveggenza, che con tutti questi nomi sogliono chiamarlo. A questo grado si possono rivocare tutti i fenomeni di vedere le cose lontane, di scoprire le interne infermità dei corpi, di leggere ad occhi chiusi, di intendere lingue ignote, di parlar di scienze mai prima non apprese, di dar consulti, e tante altre mirabilie di cui parlano i trattatori di quest’arte. Finalmente vi è un terzo grado, ed è quando la lucidità magnetica arriva tant’oltre che la persona magnetizzata non solo vede tutte le cose sopraddette, ma entra in comunicazione con un’altra specie di esseri, cioè cogli spiriti dell’altro mondo, dai quali riceve comunicazioni; e coi quali fa colloqui e ragionamenti. Questo terzo grado è forse l’anello che lega questi fatti a quelli della tavole parlanti, perocché come ivi gli spiriti fanno segno di presenza per mezzo della persona magnetizzata, così qui fanno segno di presenza per mezzo delle tavole, e già persino senza di esse con altri mezzi più alla mano. – Ciò premesso, eccovi la risposta che mi sembra doversi dare dietro le risoluzioni che fin qui ne abbiamo avute dalla Chiesa. Quanto al primo grado che è procurare altrui il sonno con la trasmissione di un fluido, parmi che non si possa ancora dai privati condannare. La S. Congregazione, sotto il 27 Luglio, diede un decreto così: Rimosso ogni errore, sortilegio ed invocazione implicita ed esplicita del demonio, l’uso del magnetismo, cioè il mero atto di adoperare mezzi fisici, d’altronde leciti, non è moralmente vietato, purché non tenda ad un fine illecito o comunque malvagio. Ora, come pensano uomini dotti e Cristiani, l’effetto che si ottiene in questo grado non eccedere le forze della natura e come può volersi per fini onesti, e per mezzi al tutto onesti conseguirsi: né la Chiesa finora ha interposta sentenza in contrario; così ne conseguita non potersi dire vietato. So bene che molti hanno orrore anche a ciò, ed io per mia parte aggiungerò loro che nol diminuiscono punto, poiché non è senza gravi pericoli anche questo grado. Imperocché, sebbene sia vero che niun privato abbia diritto di prevenire il giudizio della Cattedra apostolica e d’imporre altrui la propria persuasione, pure non è vietato lo sconsigliare quello da cui si vedono spesse volte provenire gravissimi danni fisici e morali, come accade in questo. – Ben diversamente s’ha da parlare del secondo grado, al quale si richiamano tutti i fenomeni sopraccennati del sonnambulismo. Checché abbiano detto e scritto in contrario, è chiaro che da Roma ne è venuta la proibizione. Avendo il Vescovo di Losanna descritto in un caso tutte le particolarità che sogliono intervenire in quel fatto, lo stato della magnetizzata, il modo onde le si fanno le interrogazioni, le risposte che essa rende, e tutte le strane circostanze che intervengono; dimandò se fosse lecito esercitar quell’arte in supplemento della medicina, ed il lasciarsi mettere in quello stato, ed il permettere che altri tenga consulto con magnetizzata intorno alla propria persona od altrui, anche aggiungendovi la cautela di rinunziare ad ogni patto ed intervenzione diabolica. La S. Penitenzieria il 1° Luglio 1841 rispose, non esser lecito l’uso del magnetismo secondochè veniva esposto. Ora essendo tutte quelle particolarità, addotte in esso, appunto quelle che si praticano comunemente, rimane chiaro che quello, che comunemente si pratica, è condannato. Né meno chiaramente parla l’Enciclica diretta, gli ha due anni, dalla S. Congregazione dell’Inquisizione a tutti i Vescovi della cristianità. Chiama nuovo genere di superstizione (novum genus superstitionis) il tentativo di scoprire per arte e prestigio del magnetismo cose occulte, lontane e future per mezzo di donnicciole, che pendono unicamente dal cenno dei magnetizzatori. Dice che studiano ad ingannare e sedurre gli uomini quei moderni che vi si applicano: Decipiendis ac seducendis homonibus student neoterici plures, rati posse occulta, remota ac futura detegi magnetismi arte vel præstigio, præsertim ope muliercularum quae unice a magnetizatoris nutu pendent. Di che ognuno vede se possa ancora illudersi chi dà retta a tutte quelle superstizioni. – E non meno di queste sono vietate quelle che abbiamo accennato appartenere al terzo grado, e per conseguente anche alle tavole parlanti. Anche qui io lascerò parlare la Enciclica sopraccitata: « Di qua, si dice ivi, sedotte ai prestigi di quel che chiamano sonnambulismo o chiara visione, pretendono quelle donnicciole di vedere cose invisibili, e presumono temerariamente di fare discorsi di religione, di evocare le anime dei morti, di averne risposte, di scoprire cose ignote o lontane, e di esercitare altre superstizioni somiglianti. Che però prosegue « qualunque sia l’arte o l’illusione che v’interviene, vi si trova una decezione al tutto illecita, ereticale e scandalosa contro l’onestà dei costumi. Finalmente passa ad eccitare lo zelo di Vescovi e Patriarchi dell’Orbe cattolico, affinché reprimano efficacemente un delitto sì funesto alla religione ed alla società con tutti i mezzi di cui possono disporre. Dalle quali parole i Cattolici che sanno qual è l’obbedienza che si debba ai superiori ecclesiastici, possono raccoglierne in primo luogo quanto siano vani i sotterfugi ai quali ricorrono quelli che affermano esser naturali gli effetti del magnetismo, non saper noi fin dove giungano le forze della natura, così non potersi persuadere che siano illeciti, e somigliante. Non si tratta più ora di investigare né quel che siano in sé, né fin dove giungano le forze della natura, né quello che ad essi ne paia; si tratta di piegare il capo, di sottomettersi alla legittima autorità, di obbedire. – Possono in secondo luogo raccoglierne i Cattolici quanta sia l’impudenza di quelli che, non ostante i divieti fatti dalla legittima autorità, proseguono a dare simili rappresentazioni, e ne tengono sedute pubbliche, e riempiono i giornali di avvisi e di narrazioni dei loro prodigi; quanta sia l’empietà di quelli che proseguono a caldeggiare quasi fosse una scienza naturale quella che è una superstizione diabolica; quanto sia improvvida la condotta di quei governi che lasciano correre siffatte abominazioni; e quanto savia la condotta di quelli, che impiegano la loro autorità nel preservarne il popolo cristiano. Non è necessario di essere impastato di devozione per detestare eccessi così gravi: basta non avere al tutto perduto ogni umano sentimento. – Fatalmente se qualche lettore più pio, vedendo che si commettono nel mondo eccessi sì gravi quasi se ne scandalizzasse, io gli aggiungerò qui sull’ultimo una parola di spiegazione e di conforto. È veramente nuovo nel mondo che con tanta sfacciataggine gli uomini si abbandonino a colpe sì gravi; tuttavia il Maestro divino ci ha prevenuti che così sarebbe stato, perchè non ce ne commovessimo. Dopo i mille anni, dice egli per S. Giovanni, sarà sciolto satana dalla sua prigione, e discorrendo la terra sedurrà le nazioni: Et exibit et seducet gentes (Apoc. XX, 7). “E la seduzione sarà tale – ne dice egli – che, se fosse possibile, sarebbero tratti in errore perfino gli eletti”. “Abbonderà l’iniquità, raffredderassi la carità” (Matt. XXIV, 12). “La fede parrà quasi spenta” (Luc. XXIII, 8). “Gli uomini saranno amanti solo di sè stessi, superbi, blasfemi, disobbedienti ai genitori, senza riguardi ai diritti del sangue e della natura, nemici dell’ordine e della pace” (II Tess., III,2). “Disprezzeranno ogni legittima potestà, bestemmieranno la maestà” (Jud. VIII). Vedrassi allora apparire un nuovo genere di empietà fino a quel tempo sconosciuta, la quale consisterà non nell’abbracciare una falsa religione, ma nel dispettare ogni culto, e nel tenersi al di sopra di tutto ciò che gli uomini riveriscono ed adorano. Gli errori degli uomini non saranno più errori umani, ma errori al tutto diabolici. Attenderanno agli spiriti di errore ed alle dottrine degli stessi demoni, Attendentes spiritibus et erroris et doctrinis dæmoniorum (I Tim. IV, 1) e così prepareranno la strada a quello il cui arrivo sarà secondo l’operazione di satana (II Tess. II), e farà segni, prodigi e falsi miracoli per sedurre gli uomini. Ora chi può meravigliarsi che quello che l’eterna verità ha prenunziato, cominci ad apparire? Non un iota, non un apice della sua divina parola ha da rimanere senza compimento. – Ma e non correremo pericolo di seduzione? II pericolo vi è, e ciò nonostante nulla è più facile che evitarlo: e questo è che, io dicevo tornare a grandissimo conforto dei veri fedeli. Che cosa, dunque, si richiede ad una totale sicurezza? Niente altro che tenersi immobilmente stretto alla rocca incrollabile, che è la S. Chiesa. Qualunque arte peregrina, qualunque invenzione, qualunque prestigio si presenti di nuovo, gridi chiunque vuole, qui è il Cristo, qui è la verità; noi non abbiamo da fare altro che quello che fa un figlioletto affettuoso in caso di incertezza e di dubbio. Esso volge uno sguardo alla madre, e coll’occhio la interroga, e dove abbia un cenno di risposta, egli ha tutto compreso e si acquieta. Similmente il Cristiano, interrogata che ha la Chiesa, se ode dirsi che non v’ha pericolo, è pienamente sicuro che pericolo non vi ha, se ode intimarsi che non è quella la strada da battere, egli allontanandosene francamente, sarà preservato dalla seduzione. – Le vittime pertanto saranno tra quei fedeli, i quali incautamente vorranno prestare orecchio ad ogni pericolosa novità. In più gran numero ancora saranno tra quei Cattolici di puro nome, i quali non riconoscono al tutto l’autorità della Chiesa o non l’ascoltatore, ma soprattutto saranno presso quegli sventurati che appartengono al protestantesimo, i quali non avendo alcun fondamento di certezza si gittano a seguitare qualunque maestro si presenti, come vediamo accadere in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Ginevra, dove l’ultimo che si mostra e bandisce qualche nuovo errore, tosto fa seguaci, fa popolo, e forma una religione novella, la quale si dissolve poi il giorno o l’anno seguente all’apparire di un altro errore farneticante. Faccia Dio che i Cattolici sappiano valersi del tesoro che possiedono, e che i protestanti dalla stessa moltitudine e gravità dei loro errori giungano ad invogliarsene!