IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (14).

4. INFERNO.

1. L’INFERNO È IL LUOGO DEI TORMENTI ETERNI.

Lo sfortunato e cattivo uomo ricco chiese ad Abramo di mandare un defunto ai suoi cinque fratelli, per evitare che cadessero come lui in questo luogo di tormenti. (Luca XVI, 28). Nel suo discorso sul Giudizio Universale, Gesù chiama l’inferno la punizione eterna: “i dannati entreranno nelle pene eterne”. (S. Matth. XXV. 46). L’inferno è un luogo e uno stato dell’anima. Come luogo l’inferno è detto sotterraneo, cioè più in basso del mondo visibile. Per questo si dice che si è scesi all’inferno, perché l’inferno è chiamato abisso, perché negli esorcismi la Chiesa dice al demone: Dio ti ha fatto scendere dal cielo nelle profondità dell’inferno. Esso è radicalmente separato dal regno dei cieli; tra i due c’è un immenso abisso. (S. Luca XVI, 26). I dannati sono separati dagli eletti. (S. Matth. XXIV, 51). Tuttavia S. Giovanni Crisostomo dice a ragione: “Non cerchiamo tanto di sapere dov’è l’abisso, quanto di evitare di caderci. L’inferno è anche uno stato dell’anima, la continuazione dello stato in cui si trovava il peccatore alla morte. I tormenti dell’inferno non sono causati da Dio, ma dagli uomini stessi. (S. G. Dam.) Possiamo applicare all’inferno il proverbio banale: Come si fa il letto, così ci si corica. Poiché l’inferno è anche uno stato, è facile capire come gli spiriti maligni possano aggirarsi intorno a noi. (I. S. Piet. V, 8), persino abitare nel cuore del peccatore. (S. Matth. XII, 45). Molti increduli dicono: “Oh, ma nessuno è mai tornato dall’inferno e nessuno di noi vi è mai stato”. Non c’è dubbio che nessuno ci sia stato, perché è la natura stessa dell’inferno che nessuno ne sia mai tornato. Nessuno torna dall’inferno e, sebbene nessuno ci sia mai stato, sappiamo comunque cosa succede lì. Nessuno è mai stato sulla Luna, ma sappiamo di cosa è fatta e quanto è lontana. conosciamo comunque la sua costituzione e la sua distanza. I Pagani stessi credevano nell’inferno, come dimostrano i miti di Tantalo, delle Danaidi e di Sisifo. Si dice che Tantalo, re della Frigia, fosse stato condannato alla sete e alla fame eterna: l’acqua e la frutta che aveva vicino si ritiravano non appena li toccava. Le Danaidi, che avevano ucciso i loro mariti, furono condannate a riempire barili senza fondo con setacci. Sisifo, tiranno di Corinto, era famoso per la sua crudeltà, aveva come punizione il rotolare un masso che ricadeva ogni volta che si avvicinava alla cima.

Le pene dell’inferno sono terribili; i reprobi non vedranno mai Dio, vivono in compagnia dei demoni soffrendo torture indicibili nelle loro anime e soffriranno anche nel corpo dopo la risurrezione.

Le punizioni dell’inferno sono terribili. “È terribile cadere nelle mani del Dio vivente”. (Ebr. X, 31) Così come promette una ricompensa centuplicata per tutte le gioie disprezzate per amor suo, così punirà con il centuplicato tormento tutti i piaceri proibiti. (San Giovanni della Croce). Possiamo applicare applicare all’inferno ciò che San Paolo ha detto del paradiso: “Nessun occhio ha mai visto, nessun orecchio ha mai udito e nessun cuore ha mai provato ciò che Dio ha in serbo per coloro che non lo hanno amato.”. (S. G. Cris.). Gesù si riferisce all’inferno in vari modi con diverse espressioni: Egli lo chiama fuoco inestinguibile (S. Matth. VIII, 12), perché le pene dell’inferno sono le più forti che si possano immaginare; in effetti le ustioni sono le ferite più torturanti. Chiama l’inferno anche le tenebre esteriori (ib. XXII, 13), perché i dannati sono privati della vista di Dio, fonte di luce eterna. Gesù Cristo dice che nell’inferno ci sarà pianto e stridore di denti (ib. V111, 12), per indicare il dolore e la rabbia dei dannati. Egli dice ancora che il loro verme non muore (S. Marco IX, 4’4), per indicare il rimorso eterno della coscienza dei dannati; che essi saranno legati mani e piedi per rendere bene la loro mancanza di libertà e il loro confinamento in un luogo angusto. – La sentenza finale di Gesù Cristo al Giudizio Universale: “Andate via da me al fuoco eterno” (S. Matth. XXV, 41), mostra che i dannati dovranno subire un doppio castigo: saranno privati della vista di Dio (pena del danno) e sottoposti a torture (pena del senso). La privazione della vista di Dio è il più terribile di tutti i tormenti dell’inferno. Quanto più prezioso è il bene perduto, tanto più grande è il dolore; ora, i dannati hanno perso un bene di valore infinito, “il loro danno deve quindi essere in qualche modo infinito“. (S. Alf.) Il cieco è infelice perché non può vedere le meraviglie del creato.; ma quanto deve sentirsi infelice chi è privato della visione sovranamente bella (San Giovanni Dam.). Il possesso di Dio, il bene supremo, è la meta di ogni creato; lo spirito tende verso Dio, come il fiume verso l’Oceano. Già sulla terra, l’anima umana è protesa verso una felicità infinita; lo sarà ancora di più dopo la morte, quando i beni passeggeri non potranno più distrarla né procurale alcun contento. Ma quale miseria se questa sete dello spirito rimane inappagata per l’eternità. “È giusto che Dio respinga colui dal quale è stato respinto per primo. (S. Aug.) Il dolore di Esaù per la perdita della primogenitura è un’immagine molto debole del dolore dei dannati per la perdita della vista di Dio; questa perdita ha già fatto tremare i Santi di quaggiù. -I reprobi sono esclusi dalla comunione con i beati; senza dubbio li vedono come il ricco epulone vide Lazzaro, non per la loro consolazione, ma per la loro punizione. L’affamato vede una tavola riccamente servita che non può toccare. (S. Vinc. Ferrier). – I reprobi sono fortemente torturati dai demoni; è giusto che colui che in vita si è unito e sottomesso ai demoni, dopo la sua morte sia in loro compagnia. – La storia di Giobbe nell’Antico Testamento e quella dell’indemoniato nel Vangelo, ci danno un esempio salutare della crudeltà del demonio nei confronti di coloro sui quali ha un certo potere. Ma quanto più grande sarà verso i reprobi che sono completamente sotto il suo dominio (Overberg). I dannati si tormenteranno anche a vicenda, perché si odiano: all’inferno, in quella dimora dell’odio di Dio, non ci può essere amore (Mar. Lat.). Più vi saranno dannati nell’inferno, maggiori saranno i gemiti; quindi, non diciamo: Oh, io non sarò solo all’inferno, perché questa società di reprobi non farà altro che moltiplicare le pene. – I dannati soffriranno il castigo del fuoco, saranno immersi in esso. (S. Alf.) Il fuoco dell’inferno sarà un vero fuoco; questo è chiaro dalle parole di Cristo (S. Luca XVI, 24) e dall’insegnamento dei Padri. Già su questa terra, Dio ha usato il fuoco per punire i crimini degli uomini, ad esempio degli abitanti di Sodoma e Gomorra (Gen. XIX, 24; IV Re I, 14). Se lo spirito può essere unito alla carne e soffrire per lui, può anche essere messo a contatto con il fuoco per essere punito (Bellarm.). Perché l’onnipotenza divina non potrebbe, dopo la morte di un uomo, risvegliare nell’anima le sensazioni provate durante l’unione con il corpo? Il fuoco dell’inferno è diverso dal fuoco terrestre; quest’ultimo distrugge gli oggetti, l’altro al contrario conserva i dannati, come il sale conserva il cibo (S. Marco IX, 48); questo illumina, quello lascia che le tenebre rimangano (S. Matth. XXII, 13); questo riscalda, questo non impedisce un freddo insopportabile, simbolo della mancanza di amore per Dio e per il prossimo. Infine, il fuoco dell’inferno è molto più doloroso del nostro, che in confronto è piuttosto rinfrescante (S. Vinc. Fer.), piuttosto un semplice fuoco dipinto (S. Bern. da S.). L’unica cosa che hanno in comune è la capacità di causare sofferenza. Il fuoco dell’inferno brucia come le ortiche. (Tert.) – Le torture dell’anima consistono nell’eterno rimorso della coscienza. I reprobi saranno in preda alla disperazione; riconosceranno quanto siano stati imprudenti nel rifiutare la grazia di Dio così spesso, quanto siano stati stolti nel preferire un bene temporaneo ad una felicità immutabile, quanto siano infelici di aver perduto per l’eternità un Dio che li ha tanto amati. I dannati proveranno una grande vergogna, perché Dio rivelerà a tutte le anime la loro turpitudine e li metterà all’ultimo posto, mentre coloro che hanno disprezzato e deriso sulla terra saranno al primo posto. I dannati saranno tormentati anche dall’invidia, perché invidieranno la gloria degli eletti. (S. Ant.). L’esempio del dolore di Giacobbe alla notizia della morte di Giuseppe mostra che i tormenti dell’anima sono più dolorosi di quelli del corpo, e molti uomini, Giuda, ad esempio, si suicidano addirittura per evitarli. – Dopo la risurrezione, anche i dannati riprenderanno il loro corpo; lasceranno la tomba per la risurrezione del giudizio. (S. Giovanni V, 29). I peccati esterni saranno puniti nelle modalità con cui sono stati commessi; la vista sarà punita con le tenebre (S. Matth. VIII, 12), l’udito con l’ululato e la bestemmia (Giobbe XV, 21), il gusto con la fame e la sete (S. Luc VI, 25; XVI, 24), l’olfatto per il fetore insopportabile, il tatto dal caldo e dal freddo. Dio può aggiungere altri dolori, perché già qui sulla terra Dio ha permesso che gli empi fossero mangiati vivi dai vermi. (At. Ap. XII, 23).

I TORMENTI DEI DANNATI SONO ETERNI.

Satana e il suo seguito sono nel fuoco, in una pozza di zolfo dove viene torturato giorno e notte per l’eternità. (Apoc. XX, 10). Non c’è redenzione da tentare, perché il tempo della grazia è passato (S. Giovanni III, 36); all’inferno la notte non porta riposo. (S. Hil.) I dannati muoiono senza morire (S. Greg. M.), la loro vita è la morte eterna, la seconda morte (Apoc. XXI, 8), perché una vita priva di gioia e piena di tormenti è una morte e non una vita. (S. Aug.) O morte – dice il Papa Innocenzo III – quanto saresti stata dolce per coloro per i quali eri così amara! – L’eternità delle pene è insegnata da Cristo; Egli chiama il fuoco dell’inferno un fuoco eterno (S. Matth. XXV, 41), i castighi dell’inferno, castighi eterni (ib. 46); è anche la dottrina del Concilio di Trento. L’errore di Origine (+ 254) che contestava l’eternità delle pene fu condannato nel II Concilio di Costantinopoli del 553. Colui che ha distrutto in sé un bene eterno, merita un castigo eterno. (S. Aug.). Gli stessi tribunali umani condannano a morte o alla prigione perpetua. “Il vasaio non può più riformare il vaso una volta che è nel fuoco” (Alb. Stolz).

I tormenti dei dannati non sono uguali, ma variano a seconda dei loro peccati.

Come ci sono diversi gradi di santità, così ci sono diversi gradi di riprovazione. Le pene dell’inferno sono ineguali (Conc. di Fir.); sono varie come i peccati degli uomini (S. Th. Aq.), saranno proporzionate alla specie, al numero e alla grandezza dei peccati. Finché l’uomo è vissuto nella voluttà, più sarà punito (Apoc. XVIII, 7); più avrà abusato delle grazie, più sarà punito. Gli abitanti di Sodoma e Gomorra saranno trattati con maggiore clemenza nel giorno del giudizio. delle città che non hanno accolto gli Apostoli (S. Matth. X,15).

2. L’INFERNO È LA PUNIZIONE PER GLI UOMINI CHE MUOIONO IN PECCATO GRAVE.

Il peccato mortale separa completamente da Dio. L’uomo in questo stato è un tralcio della vite tagliato dal ceppo, che è Cristo; appassisce e viene gettato nel fuoco (S. Giovanni XV, 6). Queste anime cadono nell’inferno subito dopo la morte. (II Conc. di Lione). Andranno dunque all’inferno: i nemici di Gesù Cristo (Sal. CIX, 1), tutti coloro che non credono nel Vangelo (S. Giovanni III, 18), i fornicatori, i ladri, avari, gli ubriaconi (1. Cor. VI, 10), tutti coloro che non hanno fatto fruttare i talenti ricevuti da Dio (S. Matth. XXV, 30), molti di coloro che furono i primi sulla terra (ib. XIX, 30). Ma coloro che, come i bambini non battezzati, sono morti con il solo peccato originale, non vanno nella dimora dei reprobi; sono semplicemente privati della vista di Dio senza subire alcun tormento. – È un grande errore credere che si vada all’inferno solo per crimini, per azioni straordinarie. Oh, no! Un solo peccato mortale, anche segreto, di cui non ci si è pentiti, è sufficiente per far precipitare una persona nella sventura eterna.

Per il peccatore, l’inferno inizia in questa vita.

Tutti i peccatori sono privi di pace interiore. Essi somigliano ad un mare impetuoso che non si placa (ls. LVII, 20); sono già seduti nelle tenebre e nell’ombra della morte (S. Luc I, 79). Non capiscono la dottrina della religione che sembra loro una follia (I. Cor. II, 14), sembrano vivere e in realtà sono morti. (S. G. Cris.) – I figli del mondo sentiranno la pienezza della loro disgrazia solo nella morte, non la sentono ora, perché sono distratti in mille modi. Non sentiranno la morte fino a quando non vedranno il Figlio dell’Uomo arrivare nel suo regno (S. Matth. XVI, 28). Pensiamo spesso all’inferno; questo pensiero ci allontanerà dal peccato come il fuoco difende la preda dagli assalti del leone. Scendi spesso all’inferno durante la tua vita”, dice San Bernardo, “per non scendervi dopo la morte”. Chi sfida l’inferno o lo dimentica non ne uscirà. (S. G. Cris.) Chi non crede all’inferno si benda volontariamente gli occhi per non vedere l’abisso in cui cadrà.

5. PURGATORIO. (luogo di purificazione).

1. IL PURGATORIO È UN LUOGO IN CUI SOFFRONO TEMPORANEAMENTE LE ANIME DEGLI UOMINI CHE SONO MORTI SENZA PECCATO GRAVE, MA I CUI PECCATI NON SONO ANCORA STATI COMPLETAMENTE ESPIATI.

Giuda Maccabeo credeva che le anime dei guerrieri morti con idoli su di loro avrebbero dovuto soffrire, per cui fece offrire dei sacrifici per loro nel tempio di Gerusalemme (II Macch XII, 43). Molti uomini sono nel momento della loro morte nello stato di grano appena falciato o di oro appena estratto dalla miniera. Prima di mettere il grano nel granaio, lo si lascia esposto ai raggi brucianti del sole. del sole; prima di lavorare l’oro, lo si purifica con il fuoco: “così i difetti dell’anima separati dal corpo devono scomparire nel fuoco”. (S. Greg. Niss.) Nella vita futura c’è un battesimo di fuoco, doloroso e lungo, che divora ciò che c’è di terrestre nell’anima, come il fuoco divora l’erba (S. Greg. Naz.). Secondo molti Santi, il luogo del purgatorio è sulla terra (più in basso dell’universo visibile), per questo la Chiesa prega ai funerali: A porta inferi (dal potere sotterraneo, liberalo, Signore!) e De profundis… (Dal profondo dell’abisso, grido a te, Signore!). Altri credono che molte anime soffrano proprio dove hanno peccato e che possano essere presenti nei luoghi in cui hanno peccato e che possano essere presenti ovunque si preghi per loro. Ciò che è certo è che le povere anime del purgatorio sono apparse sulla terra ai santi, a S. Filippo Neri, a Santa Brigida, a Santa Teresa. – I Santi sono dell’opinione che le anime del purgatorio soffrano con un totale abbandono alla volontà di Dio, in contrasto con i dannati che sono in uno stato di rabbia perpetua. Dio, infatti, riempie queste anime di una grande carità, che rende sopportabili i più grandi tormenti (San Caterina di Genova). Il pensiero che stanno dando a Dio un’adeguata soddisfazione e che soffrono per Dio, ispira loro il coraggio dei martiri (id.). Inoltre, la certezza che un giorno raggiungeranno la vita eterna e la visione beatifica li riempie di grande consolazione. Sono anche riempiti di gioia dai suffragi dei fedeli viventi e dei Santi in cielo, dalle visite degli Angeli. (Santa Francesca Romana). Possiamo anche credere che le loro sofferenze diminuiscano con l’aumentare della loro conoscenza di Dio. (S. Cath. di G.) Le vite dei Santi, per esempio di Santa Perpetua, ci dice che nelle successive apparizioni di povere anime, esse aumentano ogni volta in bellezza. –

Le anime espiano in purgatorio o i loro peccati veniali o la pena temporale dei peccati mortali rimessi con l’assoluzione, ma per i quali non abbiano sufficientemente soddisfatto.

Dio punisce i peccati veniali con pene temporali. Zaccaria, il padre di San Giovanni Battista, fu punito per non aver creduto all’Angelo, Mosè per aver dubitato per un momento. Dio lascia una punizione temporale anche per i peccati mortali che ha perdonato al peccatore pentito, come quelli di Adamo e di Davide. Questi si sforzò sinceramente di ottenere la remissione della pena temporale, ma non ci riuscì. La morte del figlio avvenne come previsto. Chiunque non abbia espiato completamente i suoi peccati, è obbligato a farlo nella dimora della purificazione. (Conc. de Tr. 6, 30). I tribunali talvolta impongono una multa, e in caso di mancato pagamento, il carcere; Dio fa lo stesso: se il peccatore non soddisfa la sua giustizia qui sulla terra, lo farà necessariamente nella prigione del purgatorio. Non accontentatevi mai, quindi, della penitenza imposta in confessione, ma imponetevi volontariamente altre opere soddisfattorie. Si può anche far penitenza sopportando i mali di questa vita, ad esempio la malattia, e accettando la morte quando arriva. Soprattutto, non considerare il peccato veniale come qualcosa di leggero, perché sarà necessario espiarlo adeguatamente.

Le sofferenze delle anime del Purgatorio consistono nella privazione della vista di Dio e in grandi dolori.

Non invano recitiamo la preghiera: Signore, dona loro l’eterno riposo e che la luce eterna risplenda su di loro, cioè liberali da ogni dolore e che giungano alla visione di Dio. Le candele accese ai funerali e sulle tombe simboleggiano questa richiesta a Dio di dare alle anime la luce eterna, cioè la visione beatifica. – A parte la durata, non c’è alcuna differenza essenziale tra le pene dell’inferno e quelle del purgatorio (S. Th. Aq.); lo stesso fuoco purifica gli eletti e tortura i dannati. Per questo la Chiesa usa la parola inferno per designare il purgatorio, dal quale chiede che le anime siano liberate. (Benedetto XIV). Le più piccole sofferenze del purgatorio sono più crudeli di quelle dei martiri (S. Ang.). Le più piccole sofferenze nel purgatorio sono più crudeli delle più grandi sulla terra (S. Th. Aq.). Tutte le sofferenze che si possono immaginare quaggiù sono piuttosto un sollievo in confronto alle minime pene del purgatorio. (S. Cir Al.) Il fuoco della terra è un paradiso rispetto a quello del purgatorio. (S. Madd. de Pazzi).

Il rigore e la durata delle pene del purgatorio sono in ragione della gravità dei peccati.

Più la materia combustibile, cioè i peccati, sono portati in purgatorio, più si brucerà. (S. Bonav.) Quanto più grande è il peccato, tanto più cocente è il dolore (S. Aug.). La purificazione dei fedeli con il fuoco sarà più o meno lenta a seconda del maggiore o minore affetto che avranno avuto per le cose terrene. (S. Aug.) Chi è invecchiato nel peccato impiegherà più tempo a passare attraverso la fornace (ibid.); così certe pietanze particolarmente dure hanno bisogno di una lunga cottura prima di essere presentabili. Le fondazioni perpetue, per il fatto che siano ammesse dalla Chiesa, dimostra che essa riconosce la possibilità di una durata molto lunga delle pene purgatoriali. Caterina Emmerich riferisce nelle sue visioni che ad ogni anniversario della sua morte, Gesù scende in purgatorio per liberare l’una o l’altra delle anime di coloro che furono testimoni della sua passione e che non erano ancora state ammesse alla visione beatifica. – Inoltre, anche se la punizione di un’anima durasse solo un’ora, sarebbe insopportabilmente lunga (S. Brig.) – Alcuni Santi sono del parere che certe anime (indubbiamente molto perfette) siano punite solo con la privazione della vista di Dio, senza soffrire il dolore dei sensi; soffrirebbero temporaneamente la sorte dei bambini morti senza battesimo (id.). La punizione dei sensi sarebbe in rapporto con i peccati esteriori: i peccati di gola, per esempio, saranno puniti con la fame e la sete (S. Matth.) S. Brigida vedeva le anime sottoposte a una punizione esterna (id.). S. Brigida vedeva le anime sottoposte alle punizioni corrispondenti alle membra che avevano peccato di più. S. Margherita di Cortona ne vide alcune condannate a rimanere in purgatorio fino alla restituzione dei beni che avevano indebitamente acquisito; secondo un altro Santo, un pittore rimase in purgatorio fino alla distruzione di un’opera scandalosa che aveva dipinto” (Louvet). Scendete spesso in purgatorio durante la vita – dice S. Agostino – per non entrarvi dopo la morte.

2. L’ESISTENZA DEL PURGATORIO È DIMOSTRATA DAGLI INSEGNAMENTI DI GESÙ CRISTO, E SOPRATUTTO DALLA DOTTRINA DELLA CHIESA INFALLIBILE. È DA SOTTOLINEARE CHE QUASI TUTTI I POPOLI DEL MONDO CREDONO NELL’ESISTENZA DEL PURGATORIO. LA RAGIONE STESSA INDICA CHE DEVE ESISTERE.

Chiunque – dice Gesù Cristo – parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato in questa vita, né in quella a venire” (S. Matth. XII, 32). Inoltre, Gesù Cristo minaccia il peccatore di una prigione e aggiunge: In verità, in verità vi dico, voi non uscirete di là finché non avrete pagato fino all’ultimo spicciolo” (ibid. V, 20). – S. Paolo, da parte sua, dice che alcuni si salveranno, ma come se passassero attraverso il fuoco. (I. Cor. III, 15). Il Purgatorio ci viene dimostrato anche dalle usanze della Chiesa. Essa prega per i defunti ad ogni Messa (memento dei defunti dopo l’elevazione), celebra per i defunti una Messa nel giorno dei morti, il giorno della morte o della sepoltura dei defunti, negli anniversari, suona la campana per invitare i fedeli a pregare per i defunti, ed ha persino istituito una solennità speciale, la Commemorazione dei Morti, il 2 novembre. (Questa solennità fu introdotta nel 998 da Odilone, abate di Cluny e successivamente estesa dai papi a tutta la Chiesa). Le usanze dei Cristiani non sono spettacoli vani, ma istituzioni dello Spirito Santo. (S. G. Cris.). – I Padri dei Concili di Firenze (1489) e di Trento (1545-68) hanno definito espressamente l’esistenza del purgatorio. – La credenza in un purgatorio si trova presso quasi tutti i popoli. Gli Egizi credevano nella migrazione delle anime attraverso gli animali. I Greci avevano la favola di Prometeo, che per aver rubato il fuoco dall’Olimpo fu incatenato ad una roccia nel Caucaso dove un avvoltoio gli divorava il fegato. finché non fu liberato da Ercole. I Giudei credevano anche nel purgatorio, dal momento che Giuda Maccabeo raccolse 12.000 dracme da offrire in sacrificio a Gerusalemme per i guerrieri caduti in battaglia con addosso degli idoli. Anche i primi Cristiani pregavano per i morti, soprattutto durante la Messa ed i funerali. S. Agostino racconta che, sul letto di morte, Monica disse a lui e a suo fratello: “Seppellite il mio corpo dove volete, ma vi prego di ricordarvi di me sempre all’altare del Signore”. S. G. Crisostomo dichiara che, in conformità con la Costituzione Apostolica, i Cristiani hanno sempre pregato per i morti, e S. Cirillo di Gerusalemme, che i morti sono sollevati quando si prega per essi al santissimo Sacrificio. Anche le liturgie più antiche contengono preghiere per i morti. – La nostra stessa ragione ci porta a concludere che esista un purgatorio. Noi sappiamo che nulla di impuro può entrare in cielo (Apoc. XXI, 27), e perciò siamo costretti ad ammettere che ci siano peccatori che Dio non può dannare eternamente, e che non essendo degni né del cielo né dell’inferno, si trovino in uno stato intermedio di purificazione.

3. I FEDELI VIVENTI POSSONO AIUTARE LE ANIME DEL PURGATORIO CON IL S. SACRIFICIO, CON LE OPERE BUON, IL DIGIUNO, LE ELEMOSINE, LA PREGHIERA, LA RICEZIONE DEI SACRAMENTI E DELLE INDULGENZE.

Le povere anime del purgatorio non possono aiutarsi da sole, perché non possono compiere azioni meritorie. Il tempo della grazia è passato, è arrivato il tempo del castigo. Dopo la morte, nessuno può più lavorare. (S. Giovanni IX, 4). Le povere anime possono espiare le loro colpe solo subendo le punizioni imposte da Dio; ese sono obbligate a svuotare il calice della loro passione fino all’ultima goccia; sono trattate come il Figlio di Dio sul Calvario al quale, nonostante i suoi orribili tormenti, il Padre non mandò alcuna consolazione, tanto che Egli gridò: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ma noi, i vivi, possiamo alleviarli con la Santa Messa, la preghiera, l’elemosina e altre opere di pietà. (II Conc. di Lione 1274). È il santo Sacrificio l’aiuto più efficace (conc. Tr. 25), così come l’offerta a Dio della Comunione. (S. Bonav.) Non sono i pianti che aiutano i morti (S. G. Cris.). Per guarire una madre dal suo vano dolore, che non smetteva mai di piangere per il suo figliolo, Dio le mandò un sogno. Ella vide un drappello di giovani che si dirigeva verso una città magnifica, ma non vide suo figlio; egli era molto indietro, misero, stanco, con i vestiti fradici. Interrogato dalla madre, egli rispose: “Sono bagnato dalle tue inutili lacrime; pensa a fare l’elemosina per me, a far celebrare il Santo Sacrificio. La madre si svegliò e cambiò i suoi sterili rimpianti con un amore cristiano. (Louvet). Caricare la bara con corone di fiori, ricoprire le sue vesti con il lutto, sono cose del tutto inutili davanti a Dio; sarebbe meglio convertire questi segni superflui di lutto in elemosine. – Le preghiere traggono il loro valore non dalla loro lunghezza, ma dalla loro pietà. Una sola parola – disse Gesù a Santa Gertrude -che viene dal profondo del cuore, allevia le povere anime più che la recita meccanica di una moltitudine di salmi o di orazioni; come un po’ d’acqua pura in cui si strofinano seriamente le mani le purifica più di una massa d’acqua gettata a caso. Non ne consegue che una breve preghiera, un pater, sia sufficiente a liberare un’anima, perché “Dio sarebbe crudele a trattenere le anime”. Sarebbe crudele tenere in pena le anime per le quali ha versato il suo sangue, a causa di un pater omesso”. (Maldonato). La Chiesa usa l’acqua santa ai funerali, perché l’acqua santa calma le anime (in virtù delle preghiere pronunciate durante la benedizione). “Come la dolce pioggia rinfresca i fiori inariditi dal caldo, così l’acqua benedetta rinfresca i fiori celesti che bruciano nel purgatorio”. (S. Teodato). – Esse sono alleviate soprattutto dall’atto eroico, cioè dall’offerta a Dio per le anime del purgatorio il merito soddisfattorio di tutte le nostre opere buone. Chiunque abbia compiuto questo atto di carità può ottenere l’indulgenza plenaria ad ogni Comunione o alla santa Messa del lunedì; se è un sacerdote, ha ogni giorno la concessione dell’altare privilegiato. (Pio IX, 30 settembre 1852). –

I parenti dei defunti sono rigorosamente obbligati a soccorrerli.

È a loro che si rivolgono le parole della Scrittura: “Abbiate pietà di me, almeno voi miei amici, perché la mano di Dio mi ha toccato” (Giobbe XIX, 21). Spesso Dio ha rivelato ai parenti il triste destino dei loro defunti. Prigioniera a Cartagine nel 202, santa Perpetua vide in sogno il fratello di 7 anni. Era in un luogo buio, coperto di sudiciume e assetato. Pregò con fervore per lui e presto apparve di nuovo, pieno di gioia e di bellezza. Santa Elisabetta di Turingia, alla notizia della morte di sua madre, la regina Gertrude d’Ungheria, si dedicò subito alle più austere opere di penitenza, anche di disciplina, e ben presto ebbe la consolazione di vedere la madre informarla della sua liberazione. (Louvet). Nessuno, però, deve fare affidamento sulle opere da compiere dopo la sua morte. Ricordate il detto: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.. Le opere buone fatte dopo la morte ci aiutano relativamente poco. “Una sola messa ascoltata con pietà durante la vita è più utile che lasciare soldi per dirne cento dopo la nostra morte” (S. Ans.). Una piccola fiaccola portata davanti a noi, ci illumina più di una fiaccola portata dietro di noi (S. Leonardo di Porto Maurizio). Dio apprezza di più una piccola penitenza volontaria fatta in questa vita, che una rigorosa punizione involontaria nell’altra, come un po’ d’oro vale più di un sacco di piombo (S. Bonav.). Un giorno un padre chiese ai suoi tre figli quali buone azioni avrebbero compiuto per lui dopo la sua morte. “Padre, rispose il più giovane, lavora alla tua salvezza e fai penitenza da solo. Le nostre preghiere possono fare ben poco per te”. (Mehler VI, 399).

La preghiera per i defunti è un’opera di misericordia e ci porta la benedizione di Dio ed il perdono dei nostri peccati.

Potremmo temere di trascurare noi stessi occupandoci troppo delle anime del Purgatorio! No, pregare per i morti ha un doppio vantaggio: è utile ai morti ed a colui che prega. Colui che ha pietà delle povere anime troverà in Dio un giudice misericordioso, secondo le parole di Gesù: “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia.”. (Matteo V, 7). Cristo guarderà ad ogni opera di misericordia come un’opera di misericordia fatta a se stesso (ib. XXV, 40). I defunti si mostreranno grati ai loro benefattori, soprattutto quando entreranno in cielo. Non farete mai nulla di così vantaggioso come il pregare per i morti, perché in cielo si ricorderanno della vostra misericordia e non smetteranno di pregare per voi. (Mar. Lat.) Giuda Maccabeo ottenne una mirabile ricompensa per i sacrifici che aveva offerto per i suoi morti; gli apparvero Geremia e Onia ed ottenne una brillante vittoria su Nicanore (II. Macch. XII). Le povere anime liberate dalle nostre preghiere, intercederanno in cielo a nostro favore, affinché possiamo santificarci sempre di più, e che dopo la nostra morte possiamo essere liberati presto dal purgatorio. (Mar. Lat.) “È un pensiero santo e salutare pregare per i morti, affinché dopo la nostra morte noi stessi possiamo essere presto liberati dal purgatorio”. È un pensiero santo e salutare pregare per i morti, affinché essi siano purificati dai loro peccati”. (II Macch. XII, 46).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)