DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La liturgia fa leggere nell’Ufficio divino la storia di Ester verso quest’epoca (5a Domenica di Settembre). Reputiamo quindi cosa utile, al fine di rivedere ogni anno con la Chiesa tutte le figure dell’Antico Testamento e per continuare a studiare le Domeniche dopo Pentecoste in corrispondenza del Breviario, di parlare in questo giorno di Ester. – L’lntroito della Domenica 21 dopo Pentecoste è la preghiera di Mardocheo. Non potremo noi vedervi un indizio della preoccupazione della Chiesa di unire, a questo periodo liturgico, la stona di Ester ad una Messa di questo Tempo? « Assuero, re di Susa in Persia, aveva scelto per prima regina Ester, nipote di Mardocheo. Aman, l’intendente del palazzo, avendo osservato che Mardocheo rifiutava di piegare le ginocchia davanti a lui, entrò in grande furore e, saputo che era ebreo, giurò dì sterminare insieme a lui tutti quelli che fossero della sua razza. Accusò quindi al re gli stranieri che si erano stabiliti in tutte le città del suo regno e ottenne che venisse dato ordine di massacrarli tutti. Quando Mardocheo lo seppe, si lamentò e fu presso tutti gli Israeliti un gran duolo.- Mardocheo disse allora a Ester che essa doveva informare il re di quanto tramava Aman, fosse pure col pericolo della sua vita medesima. » Se Dio ti ha fatta regina, non fu forse in previsione di giorni simili? ». Ed Ester digiunò tre giorni con le sue ancelle; e il terzo giorno, adorna delle sue vesti regali, si presentò davanti al re e gli domandò di prender parte ad un banchetto con lui e Aman. Il re acconsentì. E durante questo banchetto Ester disse al re: « Noi siamo destinati, io e il mio popolo, ad essere oppressi e sterminati ». Assuero sentendo che Ester era giudea, e che Mardocheo era suo zio, le disse: « Chi è colui che osa far questo? ». Ester rispose: « Il nostro avversario e nostro nemico è questo crudele Aman ». Il re, irritato contro il suo ministro, si levò e comandò che Aman fosse impiccato sulla forca che egli stesso aveva fatto preparare per Mardocheo. E l’ordine fu eseguito immediatamente, mentre veniva revocato l’editto contro i Giudei. Ester aveva salvato il suo popolo e Mardocheo divenne quel giorno stesso ministro favorito del re e uscì dal palazzo portando la veste regale azzurra e bianca, una grande corona d’oro e il mantello di porpora, e al dito l’anello regale ». — Il racconto biblico ci mostra come Dio vegli sul suo popolo e lo preservi in vista del Messia promesso. « Io sono la salvezza del popolo, dice il Signore, in qualunque tribolazione mi invochino, li esaudirò e sarò il loro Signore » (Introito). « Quando cammino nella desolazione Tu mi rendi la vita, Signore. Al disopra dei miei nemici, accesi d’ira, tu mi stendi la mano e la tua destra mi assicura la salvezza » (Off.); il Salmo del Communio parla del giusto che è oppresso dall’afflizione e che Dio non abbandona; quello del Graduale, ci mostra come, rispondendo all’appello di coloro che in Lui sperano, Dio fa cadere i peccatori nelle loro proprie reti; il Salmo dell’Alleluia canta tutte le meraviglie che il Signore ha fatto per liberare il suo popolo. Tutto questo è una figura di quanto Dio non cessa di fare per la sua Chiesa e che farà in modo speciale alla fine del mondo. Aman che il re condannò durante il banchetto in casa di Ester, è come l’uomo che è entrato al banchetto di nozze di cui parla il Vangelo, e che il re fece gettar nelle tenebre esteriori, perché non aveva la veste di nozze, cioè « perché non era rivestito dell’uomo novello che è creato a somiglianza di Dio nella vera giustizia e nella santità, per non aver deposto la menzogna e i sentimenti di collera, che nutriva in cuore verso il prossimo » (Epistola). Cosi iddio tratterà tutti coloro che, pur appartenendo al corpo della Chiesa per la loro fede, sono entrati nella sala del banchetto senza essere rivestiti, dica S. Agostino, della veste della carità. Non essendo vivificati dalla grazia santificante, non appartengono all’anima del Corpo mistico di Cristo, e rinunziando alla menzogna, dice S. Paolo, ognuno di voi parli secondo la verità al suo prossimo, perché siamo membri gli uni degli altri. Possa il sole non tramontare sull’ira vostra » (Epistola). E quelli che non avranno adempiuto a questo precetto saranno dal Giudice supremo gettati nel supplizio dell’inferno, come pure gli Ebrei che hanno rifiutato l’invito al pranzo di nozze del figlio del re, cioè di Gesù Cristo con la sua sposa che è la Chiesa (2° Notturno) e che hanno messo a morte Profeti e gli Apostoli recanti loro questo invito. — Assuero in collera, fece impiccare Aman. Anche il Vangelo ci narra che il re montò in furore, inviò i suoi eserciti per sterminare quegli assassini e bruciò la loro città. Più di un milione di Giudei morirono nell’assedio di Gerusalemme per opera di Tito, generale dell’esercito romano, la città fu distrutta e il Tempio incendiato. Aman infedele, fu sostituito da Mardocheo; gli invitati alle nozze furono sostituiti da coloro che i servi trovarono ai crocicchi. I Gentili presero il posto degli Ebrei e verso di quelli si volsero gli Apostoli, riempiti di Spirito Santo, nel giorno di Pentecoste. E al Giudizio universale, che annunziano le ultime domeniche dell’anno, queste sanzioni saranno definitive. Gli eletti prenderanno parte alle nozze eterne e i dannati saranno precipitati nelle tenebre esteriori e nelle fiamme vendicatrici, ove sarà pianto e stridore di denti. – Bisogna spogliarsi dell’uomo vecchio, dice S. Paolo, come ci si toglie una veste vecchia e rivestirsi di Cristo come ci si mette una veste nuova. Bisogna dunque rinunziare alla concupiscenza traditrice delle passioni che, come figli di Adamo, abbiamo ereditato, e aderire a Cristo accettando la verità evangelica, che ci darà la santità nei nostri rapporti con Dio e la giustizia nei nostri rapporti col prossimo. – « Dio Padre, dice S. Gregorio, ha celebrate le nozze di Dio suo Figlio, allorché l’unì alla natura umana nel seno della Vergine. E le ha celebrate specialmente allorché, per mezzo dell’Incarnazione, lo unì alla santa Chiesa. Inviò due volte i servi per invitare i suoi amici alle nozze, perché i Profeti hanno annunziata l’Incarnazione del Figlio di Dio come cosa futura e gli Apostoli come un fatto compiuto. Colui che si scusa col dover andare in campagna, rappresenta chi è troppo attaccato alle cose della terra; l’altro che si sottrae col pretesto degli affari, rappresenta chi desidera smodatamente i guadagni materiali. E ciò che è più grave, è che la maggior parte non solo rifiutano la grazia data loro di pensare al mistero dell’Incarnazione e di vivere secondo i suoi insegnamenti, ma la combattono. La Chiesa presente è chiaramente indicata dalla qualità dei convitati, tra i quali si trovano coi buoni anche I cattivi. — Cosi il grano si trova mescolato con la paglia e la rosa profumata germoglia con le spine che pungono. — All’ultima ora Dio stesso farà la separazione dei buoni dai cattivi che ora la Chiesa contiene. Quegli che entra al festino nuziale senza l’abito di nozze appartiene alla Chiesa colla fede, ma non ha la carità. Giustamente la carità è chiamata abito nuziale perché essa era posseduta dal Creatore allorché si unì alla Chiesa. Chi per la carità è venuto in mezzo agli uomini ha voluto che questa carità fosse l’abito nuziale. Allorché uno è invitato alle nozze in questo mondo, cambia di abiti per mostrare che partecipa alla gioia della sposa e dello sposo e si vergognerebbe di presentarsi con abiti spregevoli in mezzo a tutti quelli che godono e celebrano questa festa. Noi che siamo presenti alle nozze del Verbo, che abbiamo fede nella Chiesa, che ci nutriamo delle Sante Scritture e che gioiamo dell’unione della Chiesa con Dio, rivestiamo dunque il nostro cuore dell’abito della carità, che deve comprendere un doppio amore: quello di Dio e quello per il prossimo. Scrutiamo bene i nostri cuori per vedere se la contemplazione di Dio non ci faccia dimenticare il prossimo e se le cure verso il prossimo non ci facciano dimenticare Dio. La carità è vera se si ama il prossimo in Dio e se si ama teneramente il nemico per amore di Dio » (Omelia del giorno).

Incipit

In nomine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum

[Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.]

Ps LXXVII: 1
Attendite, pópule meus, legem meam: inclináte aurem vestram in verba oris mei.
[Ascolta, o popolo mio, la mia legge: porgi orecchio alle parole della mia bocca.]

Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum.

[Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, univérsa nobis adversántia propitiátus exclúde: ut mente et córpore páriter expedíti, quæ tua sunt, líberis méntibus exsequámur.

[Onnipotente e misericordioso Iddio, allontana propizio da noi quanto ci avversa: affinché, ugualmente spediti d’anima e di corpo, compiamo con libero cuore i tuoi comandi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 23-28


“Fratres: Renovámini spíritu mentis vestræ, et indúite novum hóminem, qui secúndum Deum creátus est in justítia et sanctitáte veritátis. Propter quod deponéntes mendácium, loquímini veritátem unusquísque cum próximo suo: quóniam sumus ínvicem membra. Irascímini, et nolíte peccáre: sol non occídat super iracúndiam vestram. Nolíte locum dare diábolo: qui furabátur, jam non furétur; magis autem labóret, operándo mánibus suis, quod bonum est, ut hábeat, unde tríbuat necessitátem patiénti.”

(“Fratelli: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell’uomo nuovo, che è creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. Perciò, deposta la menzogna, ciascuno parli al suo prossimo con verità: poiché siamo membri gli uni degli altri. Nell’ira siate senza peccato: il sole non tramonti sul vostro sdegno. Non lasciate adito al diavolo. Colui che rubava non rubi più: piuttosto s’affatichi attendendo con le proprie mani a qualche cosa di onesto, per aver da far parte a chi è nel bisogno.”)

IDEALE E REALTÀ.

Il Cristianesimo è venuto al mondo con una realtà nuova e divina ch’era un ideale e con un ideale umano che era una realtà divina. Non è per quanto possa parerlo, non è un bisticcio, un gioco di parole: le parole qui traducono un concetto magnifico e che a voi, Cristiani miei uditori, dovrebbe essere famigliare. O non è forse il Cristianesimo venuto al mondo con Gesù Cristo? E non è Gesù Cristo vero uomo e vero Dio? È la formula precisa che la Chiesa mette sulle nostre labbra nelle famose benedizioni popolari e semiliturgiche. Vero. C’è l’eco di una frase di San Paolo nel brano che oggi leggiamo. Vero vuol dire qui: reale, che è realmente uomo e Dio. Ma vero vuol dire che N. S. Gesù Cristo rappresenta in sé l’umanità quale deve, quale dovrebbe essere Egli è il nostro modello. E San Paolo lo proclama oggi apertamente. Invita i suoi lettori, a diventare copie di Gesù Cristo. –  Dobbiamo trasformarci interiormente, ricreare in noi l’uomo nuovo, che è poi viceversa molto antico, in quanto nell’uomo nuovo si realizza quell’ideale di umanità che brillò davanti a Dio Creatore. Gesù, Signor Nostro, nella Sua reale umanità (ipostaticamente unita alla divinità) è perfetto, è ciò che Dio voleva fare e sognò di fare sin da principio, fece anzi da parte sua fin da principio. Ecco il paganesimo. – Chi è l’uomo vero? forse l’uomo pagano? l’uomo passionale e passionato? che alla passione si abbandona? alla passione, che è ragione contro la ragione? Purtroppo molti lo pensano. Salutano l’umanesimo pagano. È un ritornello preferito degli anticlericali. Il paganesimo è (o era) umano: e ciò significa ed implica che il Cristianesimo non lo è: è antiumano. Il Cristianesimo è veramente umano. È stato e continua ad essere una restaurazione. Quando si restaura un edificio, che cosa si fa? lo si prende deformato e lo si riconduce alla purezza, alla verità delle linee primitive. Dio ha restaurata l’umanità in Gesù Cristo. La linea primitiva, il disegno divino dell’uomo era bello. Dio lo aveva creato a Sua immagine e somiglianza: con un intelletto fatto per la verità, con una volontà dirizzata verso il bene. E l’uomo guastò in se stesso l’opera di Dio, si scostò dal disegno divino. Adoperò l’intelletto per ributtare coi sofismi la verità: adoperò la sua volontà per fare il male. Il senso si sovrappose alla ragione, e la passione alla volontà. Umanità rovesciata: ecco il paganesimo. – Ma viene Gesù Cristo, l’uomo nuovo, dice San Paolo, il nuovo Adamo; proprio così dice San Paolo e lo dice benissimo. Nuovo Adamo quello (è San Paolo che continua), che fu creato proprio secondo il disegno di Dio (secundum Deum) e perciò fu creato giusto e vero. E il nostro sforzo d’uomini e di Cristiani deve essere quello di ricopiare, di rifare Gesù Cristo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. (Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXV: 2

Dirigátur orátio mea, sicut incénsum in conspéctu tuo, Dómine.

[Si innalzi la mia preghiera come l’incenso al tuo cospetto, o Signore.]
V. Elevatio mánuum meárum sacrifícium vespertínum. Allelúja, allelúja

[L’elevazione delle mie mani sia come il sacrificio della sera. Allelúia, allelúia]
Ps CIV: 1

Alleluja

Alleluja, Alleluja

Confitémini Dómino, et invocáte nomen ejus: annuntiáte inter gentes ópera ejus. Allelúja.

[Date lode al Signore, e invocate il suo nome, fate conoscere tra le genti le sue opere.]

Evangelium

Sequéntia   sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt XXII: 1-14


“In illo témpore: Loquebátur Jesus princípibus sacerdótum et pharisæis in parábolis, dicens: Símile factum est regnum cœlórum hómini regi, qui fecit núptias fílio suo. Et misit servos suos vocáre invitátos ad nuptias, et nolébant veníre. Iterum misit álios servos, dicens: Dícite invitátis: Ecce, prándium meum parávi, tauri mei et altília occísa sunt, et ómnia paráta: veníte ad núptias. Illi autem neglexérunt: et abiérunt, álius in villam suam, álius vero ad negotiatiónem suam: réliqui vero tenuérunt servos ejus, et contuméliis afféctos occidérunt. Rex autem cum audísset, iratus est: et, missis exercítibus suis, pérdidit homicídas illos et civitátem illórum succéndit. Tunc ait servis suis: Núptiæ quidem parátæ sunt, sed, qui invitáti erant, non fuérunt digni. Ite ergo ad exitus viárum et, quoscúmque invenéritis, vocáte ad núptias. Et egréssi servi ejus in vias, congregavérunt omnes, quos invenérunt, malos et bonos: et implétæ sunt núptiæ discumbéntium. Intrávit autem rex, ut vidéret discumbéntes, et vidit ibi hóminem non vestítum veste nuptiáli. Et ait illi: Amíce, quómodo huc intrásti non habens vestem nuptiálem? At ille obmútuit. Tunc dixit rex minístris: Ligátis mánibus et pédibus ejus, míttite eum in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.”

(“In quel tempo Gesù ricominciò a parlare a’ principi dei Sacerdoti ed ai Farisei per via di parabole dicendo: Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece lo sposalizio del suo figliuolo. E mandò i suoi servi a chiamare gl’invitati alle nozze, e non volevano andare. Mandò di nuovo altri servi, dicendo: Dite agl’invitati: Il mio desinare è già in ordine, si sono ammazzati i buoi e gli animali di serbatoio, e tutto è pronto, venite alle nozze. Ma quelli misero ciò in non cale, e se ne andarono chi alla sua villa, chi al suo negozio: altri poi presero i servi di lui, e li trattarono ignominiosamente, e gli uccisero. Udito ciò il re si sdegnò; e mandate le sue milizie, sterminò quegli omicidi e diede alle fiamme le loro città. Allora disse a’ suoi servi: Le nozze erano all’ordine, ma quelli che erano stati invitati, non furono degni. Andate dunque ai capi delle strade e quanti riscontrerete chiamate tutti alle nozze. E andati i servitori di lui per le strade, radunarono quanti trovarono, e buoni e cattivi; e il banchetto fu pieno di convitati. Ma entrato il re per vedere i convitati, vi osservò un uomo che non era in abito da nozze. E dissegli: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste nuziale? Ma quegli ammutolì. Allora il re disse ai suoi ministri: Legatelo per le mani e pei piedi, e gettatelo nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridor di denti. Imperocché molti sono i chiamati e pochi gli eletti”)

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

LA GRAZIA

In casa del re c’era una gran festa: si sposava il suo figliuolo. Erano stati uccisi molti buoi ed altri animali squisiti; già l’aroma delle bevande e delle vivande vagava in giro alla reggia, vellicando la gola ai passanti. Mancavano solo gli invitati. Ma gli invitati s’erano ricusati di venire; anzi, alcuni avevano ingiuriato e ucciso i messi del re. Credevano forse quegli invitati che non si sarebbe potuto far nozze senza di loro? Intanto il re aveva lanciato i suoi eserciti a sterminare loro e le loro case e le loro città; e poi disse ai servi: « Giacché gli invitati non furono degni, riempite le mie sale d’ogni gente che c’è sulla strada, sulla piazza, sul campo ». E fecero così. Mentre tutti si assidevano alla gran mensa, il re passò in rivista i banchettanti. Ed ecco ne trova uno senza la veste nuziale. « Amico! con che coraggio ti presenti così? ». Legategli le mani e i piedi, lo fece buttar fuori dalla porta a stridere i denti nel gelo della notte. Dunque: per entrare nel Regno de’ cieli, all’eterno banchetto di nozze con Cristo, non è necessario essere nobili; e neppure essere sapienti; e nemmeno essere ricchi; e neanche essere sani e belli di corpo. Una cosa sola è necessaria: indossare la veste nuziale. Quale profondo mistero Gesù ha svelato sotto questo simbolo? Il mistero della grazia. Si sa che la grazia si riceve nel S. Battesimo; si sa che s’accresce con le opere buone e specialmente coi Sacramenti; è risaputo anche che al primo peccato mortale si perde, e di solito non si può riaverla se non per mezzo d’una buona Confessione. Ma pochi sono quelli che hanno compreso e che vivono il mistero della grazia. Alcuni credono che essere in grazia, significhi soltanto essere senza peccati mortali; è troppo poco questa; essa importa molto di più. Che cos’è allora la grazia? È difficile dirlo, tanto è cosa meravigliosa e divina; però dagli effetti che essa produce nelle anime, possiamo formarcene un’idea. È difficile dire che cosa sia la forza che noi chiamiamo elettricità: ma quando noi osserviamo la differenza che v’è tra un filo con la corrente ed uno senza, quando vediamo il treno divorare le distanze rumorosamente, quando sentiamo il rullare sordo di gigantesche motrici, quando in un attimo vediamo illuminarsi una città che prima era nelle tenebre, un grido di meraviglia ci sfugge dal labbro: « Ma questa è la più bella forza del mondo! ». Così quando consideriamo l’infinita distanza che v’è tra un un’anima con la grazia ed una senza, quando pensiamo che la grazia ci mette Dio in cuore, ci rende figli di Dio, ci fa degni della vita eterna, allora è un grido d’amore che erompe dal nostro cuore: « Ma questo è il più bel dono di Dio! ». – 1. CI METTE DIO IN CUORE. In diversi modi Dio è presente nel mondo. « Dov’è Dio? » domanda il Catechismo, e risponde: « Dio è in ogni luogo. Egli è l’immenso ». Ma questa presenza universale di Dio in tutti gli esseri, nei minerali e nei vegetali, nelle cose e negli uomini, nei buoni e nei cattivi, finisce per impressionare un piccolo numero soltanto di anime. Per la maggior parte essere dappertutto, equivale a non essere in nessun posto. Dio, inoltre, è presente in Cielo. Ma in Cielo ci si arriva soltanto dopo la morte: e siccome alla morte gli uomini non ci vogliono mai pensare, così non pensano neppure alla presenza di Dio nel Cielo. Dio è presente, ancora sui nostri altari nell’Eucaristia: questa presenza, benché anch’essa molto misteriosa, è assai più sensibile. Noi possiamo sempre dire:  « Dietro a quelle apparenze di pane, vi è realmente Iddio ». Ma la presenza eucaristica, nella Comunione, dura poco; né possiamo restare in chiesa tutto il giorno e far della nostra vita un perpetua visita al Santissimo Sacramento. Ma v’ha un’altra meravigliosa presenza di Dio tra gli uomini: quella per mezzo della grazia. « Se qualcuno mi ama, — ha detto Gesù — mio Padre ed Io l’ameremo: e verremo a lui, e resteremo in lui come in casa nostra ». Dunque, quelli che amano Gesù, ossia che non fanno peccati e si mantengono in grazia, hanno Dio nel loro cuore. Quando S. Ignazio martire fu trascinato davanti a Traiano, non potendo il tiranno indurlo all’apostasia, gli gridò: — Tu sei un miserabile! — E il Martire calmo e solenne gli rispose: « Nessuno osi chiamare, miserabile Ignazio, perché egli porta Cristo ». — Come puoi dire di portar Cristo? « Posso dirlo, perché è verità: io porto Dio in me ». Dio in noi! ecco che cosa è la grazia. E se Dio è con noi, che cosa ci potrà spaventare? Quando verranno le tribolazioni ad angustiarci, non rattristiamoci, che abbiamo con noi il Dio della letizia. Quando il demonio con le seduzioni cercherà di lusingarci al peccato, resistiamogli che abbiamo con noi il Dio della fortezza. E quand’anche in casa nostra ci fosse e la miseria, e la fame, e la nudità, e la malattia, Dio è con noi, non temiamo. Una cosa sola ci deve far paura: il peccato. Perché il peccato ci toglie la grazia, e, con la grazia, Dio. – 2. CI RENDE FIGLI DI DIO. S. Luigi, re di Francia, quando firmava qualche decreto, accanto al suo nome, poneva anche il nome della città in cui era stato battezzato. Gli osservarono: « Perché vi ostinate a chiamarvi Luigi di Poissy, quando ben altri titoli più gloriosi che non quello d’un’oscura città potrebbero far corona al vostro nome? ». — E non sapete, — rispose il Re, — che a Poissy nel santo Battesimo la grazia mi ha fatto figlio di Dio? E v’è forse sulla terra una nobiltà maggiore di quella d’essere figlio di Dio? Quando S. Giovanna d’Arco guidava il gregge sui pascoli paterni e non s’era ancora decisa di lasciare i suoi monti e le sue pecore e di correre, lei fanciulla ignorante e debole, in capo agli eserciti e salvare la Francia, udiva spesso delle voci misteriose gridarle: — Va, Figlia di Dio, va! — Come quella pastorella poteva essere detta figlia di Dio? Sì, qualunque anima in grazia è figlia di Dio. Perché il digiuno di Gesù? Perché i suoi sudori? Perché i suoi flagelli? Perché le sue spine? Perché la sua croce? Perché la sua morte? In una parola, perché da figlio di Dio s’è fatto Figliuolo dell’uomo?… Perché noi che siamo figli dell’uomo avessimo a diventare figliuoli di Dio!… dedit eis potestatem filios Dei fieri (Giov., I, 12). Ecco perché Gesù, compita la redenzione, salendo al Cielo disse alla Maddalena: « Ascendo al Padre mio e Padre vostro ». Considerate, adunque, le meraviglie della grazia: Dio diventa nostro Padre e noi suoi figli! Ma pensate anche l’orrore del peccato mortale: noi cessiamo di essere figli di luce e diventiamo figli d’oscurità, non è più Dio il nostro padre, ma il demonio. Vos ex patre diabolo estis (Giov., VIII, 44). – CI FA DEGNI DELLA VITA ETERNA. Come alle nozze della parabola nessuno poteva entrare senza la candida veste, così in paradiso nessuno può ascendere che non sia rivestito di splendore. La grazia è appunto questo splendore che fa bella l’anima e la rende degna del Cielo e della compagnia degli Angeli e dei Santi. Quando a Montpellier, in un’oscura prigione sotto il letto d’un fiume, morì S. Rocco, nessuno se ne accorse. L’avevano rinchiuso là sotto credendolo una spia, ed invece era il nipote del governatore della città, che tornava dopo aver pellegrinato per tutta la vita. Ma appena la sua anima uscì dal corpo, una gran luce uscì dal carcere per ogni fessura, tanto che un grande incendio vi pareva sepolto. Che cos’era quella luce se non lo splendore della sua anima ornata di grazia? Quando a Lisieux, nella clausura delle carmelitane, morì S. Teresa del Bambino Gesù, tutte le suore sentirono per le scale, per le celle del convento, un finissimo olezzo di violette, tanto che sembrava ritornata la primavera. Che cos’era quell’olezzo se non il profumo della sua anima ornata di grazia? La grazia è splendore, è profumo dell’anima. S. Caterina da Siena vide un giorno, per favore divino un’anima priva di peccato e divinizzata dalla grazia. Era tanta la bellezza di quella visione e la dolcezza che ne ridondava in lei ammirante, che sarebbe venuta meno se Dio non l’avesse sostenuta. E Nostro Signore, indicandole quel divino splendore, le soggiungeva: « Non ti sembra graziosa e bella quest’anima? Chi dunque non accetterebbe qualunque pena per guadagnare una creatura così meravigliosa? ». E chi di noi, ora che abbiam compreso che cos’è la grazia, non preferirebbe qualsiasi sofferenza, pur di non perdere tanto splendore con un peccato mortale? S’io sapessi tutti i libri degli scienziati a che mi gioverebbe senza la grazia? Senza la grazia a che mi gioverebbero gli onori di questo mondo, le ricchezze, la beltà? Tutto finisce con la morte: unica cosa che vale ancora più in là è la grazia. Solo per la grazia ci verrà aperta la porta del paradiso e più grazia avremo e più gloria ci sarà data. Per ciò nell’Imitazione di Cristo c’è questa preghiera: « O Signore, dammi la grazia e mi basta: di tutto il resto non m’importa!  (L. III, 4). Noi invece il nostro cuore l’attacchiamo a tutto il resto, danaro, piaceri, onori, e della grazia non c’importa. Non sappiamo quasi nemmeno che ci sia: per noi Gesù è morto inutilmente. Siam come quell’uomo del Vangelo che aveva nel suo campo un tesoro ingente sepolto e non lo sapeva. – Durante la persecuzione dei Vandali, Elpidoro apostatò. Era stato battezzato da poco tempo, con gioia aveva portato per otto giorni la candida veste simbolo della grazia, ma davanti alle lusinghe e alle minacce dei cattivi, aveva ceduto e aveva rinunciato alla sua fede. Allora il vecchio diacono che l’aveva battezzato, prese con sé la veste con cui aveva rivestito l’altro nel giorno della sua ammissione alla Chiesa e gli andò incontro. Davanti a lui spiegò la veste e l’agitò come un vessillo bianco: « Prendila, Elpidoro, e guarda! Riconosci quest’abito. Oggi tu l’hai profanato, tu l’hai lacerato, tu l’hai insozzato. Esso ti accuserà nel giorno del giudizio. Pensa bene a quello che fai ». Anche a noi, quando fummo battezzati, il Sacerdote ci pose indosso la candida veste, simbolo della grazia. Ma se quest’oggi, tra voi, ci fosse qualcuno che ha ceduto alle lusinghe del demonio e si trova in peccato, anch’io come quel vecchio diacono agito, davanti a lui, la sua veste battesimale come un vessillo bianco; e gli grido: « Prendila, e guardala. Col tuo peccato tu l’hai insozzata, tu l’hai stracciata, Tu hai perso la grazia. Quest’abito ti accuserà nel giorno del giudizio, quando il Re del Cielo vedendoti senza la veste nuziale, 9dirà anche a te: « Amico; con che coraggio ti presenti così? ». Non aspettate, o Cristiani, quel giorno d’ira. Ma tutti mettetevi in grazia con una santa Confessione, perché Dio non getti voi pure dalla porta del paradiso, legati e mani e piedi, a stridere i denti nel gelo e nel fuoco della notte eterna. — L’INFERNO. Un filosofo francese faceva un giorno, con la sua anima, questo dialogo: « Anima mia se tu abusi, non solo sarai infelice in questa vita, ma ancora dopo morte, nell’inferno ». E l’anima dal fondo gli rispondeva con un filo di fiato: « Ma chi ha detto che c’è l’inferno? ».  E il filosofo: « L’inferno è così orrendo, che anche solo il dubbio che ci possa essere, ci dovrebbe costringere a far giudizio ». L’anima ardì rispondergli: « Io son certa che l’inferno non c’è ». « Anima mia, non dir bugie! » gridò il filosofo. « Se sei persuasa che l’inferno non c’è, io ti sfido » (Diderot). Quando dalla bocca di qualche uomo ascolto l’eresia: « Morto io, morto tutto. L’inferno è una favola… », io lo guardo con un sorriso di compassione e dico: « Buon uomo non dir bugie, che tu adesso non sei persuaso delle tue parole. È la tua vita sregolata; è un certo guadagno ingiusto a cui ti sei attaccato; è quell’affetto impuro che non vuoi spegnere in cuore; è quel peccato che non vuoi confessare, che ti far dir così ». « Finito noi, finito tutto; mai nessuno è venuto a dirci quello che c’è di là ». — Non dire questo, che non è vero. Oggi stesso viene Gesù, Gesù morto e risorto, Gesù Figlio di Dio che non inganna, oggi stesso viene col suo Vangelo e ti dice che l’inferno c’è. « Come un re che festeggia le nozze del suo figliuolo, così è il regno dei cieli. Erano stati invitati molti, e il re per tempo, li mandò a chiamare. Non vennero. Li mandò a chiamare un’altra volta: e quelli schernirono, batterono, uccisero i poveri servi. Il re adirato disse: Le nozze si faranno egualmente e senza di loro. Andate negli incroci delle vie, e tutti quelli che passeranno invitate alla mia festa ». Allora una folla d’ogni colore si riversò al banchetto; ogni posto fu occupato. Il re passò nelle sale a salutarli; ma vide un uomo senza la veste nuziale. Fremette e gli disse: Amico! in quest’arnese si viene qui? — Il misero taceva. — Prendetelo! stringetegli con ferri mani e piedi, e buttatelo di fuori nell’oscurità, dov’è pianto e stridore di denti ». Mittite eum in tenebras exteriores, ibi fletus et stridor dentium. Il Signore parla chiaro: se qualcuno gli comparirà mal vestito, (e il peccato è un pessimo vestito), sarà buttato fuori dalla sua presenza, nell’oscurità ove in eterno piangerà nello stridor dei denti. Dunque l’inferno c’è. E c’è perché Dio è giusto; perché Dio è buono. Ecco tre pensieri da comprendere bene. – 1. L’INFERNO C’È. Se lo dicesse un Profeta che l’inferno c’è, gli credereste voi? Ebbene: ricordate che non uno, ma molti Profeti sono venuti sulla terra a dir alla gente che l’inferno c’è. Isaia così parla dei dannati: « Il verme che li rode non morrà mai; il fuoco che li divora non si spegnerà mai » (LXVI, 24). E Daniele dice: « Tutti risorgeranno: alcuni destinati alla vita eterna, altri alla rovina eterna ». Se venisse Gesù Cristo a dirvelo, credereste che l’inferno c’è? Ebbene: sappiate che Gesù Cristo è venuto e l’ha detto; e più d’una volta. Egli stesso ci ha insegnato che è molto meglio sottoporci in questo mondo ai più dolorosi sacrifici, anche a lasciarci amputare un braccio e cavare un occhio, piuttosto che incorrere nel supplizio eterno (Mt., XVIII, 8). Egli stesso parlando del giudizio finale, ci rivelò le parole che dirà ai condannati: «Via da me, o maledetti; andate nel fuoco eterno ». E quelli dovranno entrare nel tormento senza fine. Ibunt hi in supplicium æternum). (Mt., XXV, 46). Se venisse qua a dirvelo un Apostolo, S. Paolo per esempio, credereste allora che l’inferno c’è? Ebbene, sentite S. Paolo; che cosa scrive ai Tessalonicesi: « Quelli che non riconosceranno Dio, quelli che non obbediranno al Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, riceveranno in morte tormenti eterni (II Tess., I, 8). Non basta? È necessario forse che vengano a dirvelo trecento Vescovi insieme? Ebbene: sono i trecento Vescovi, tutti raccolti a Nicea che dissero: « Quelli che faranno bene entreranno nella vita eterna. Ma quelli che faranno male entreranno nel fuoco eterno » (Simb. Atan.). L’inferno c’è. Più chiaro di così non potrebbe dirvelo nemmeno un dannato se vi comparisse in casa vostra. E se non credete alle testimonianze dei profeti, di Cristo, degli Apostoli di tutta la Chiesa, non credereste neppure a vederlo coi vostri occhi stessi. Fareste anche voi come Gaetano Negri che diceva: « Se io, proprio con i miei occhi in pieno giorno, vedessi anche un miracolo, non crederei ». Come mai? « Correrei in casa, mi caccerei in letto, mi metterei il ghiaccio sul cervello, persuasissimo d’aver un febbrone ». – 2. C’È PERCHÈ DIO È GIUSTO. Semei figlio di Gera aveva rincorso lungo il Cedron il re David, lanciandogli la maledizione peggiore. Ora, morto David, Salomone lo fece chiamare e gli disse: « Fabbricati una casa in Gerusalemme e là vi abiterai, senza uscir mai dalla città. Poiché se ti coglieranno, in qualche giorno, oltrepassare il Cedron, tu morrai; il tuo sangue allora sia sopra il tuo capo ». Semei rispose al re: « Dici bene, perché io ho maledetto David. Così farò ». Dopo tre anni fu riferito a Salomone che Semei era uscito da Gerusalemme, fino a Geth. Mandò subito a chiamarlo. « Semei! Semei! Non te l’avevo io minacciato? Non te l’avevo io predetto, che ogni qualvolta fossi uscito dalla città e avessi passato il Cedron t’avrei messo a morte? Ora ci sei caduto. Muori dunque, e di questa morte tu solo fosti la causa; tu solo e la tua malizia ». Dominus reddidit malitiam tuam in caput tuum (III Re, II, 44). E Salomone fece spiccare la testa a Semei di Gera. Nessuno poté accusare Salomone d’ingiustizia o di crudeltà per questa morte, poiché Semei era stato preavvisato. E chi allora potrà accusare d’ingiustizia il Signore quando ci condannerà all’inferno, se più e più volte ci ha avvisati, scongiurati, minacciati? quando anche oggi, vi fa ammonire dal Sacerdote che spiega il suo Vangelo? « L’uomo avvisato — dice un proverbio — è mezzo salvato ». E se dopo tutto questo noi cadiamo in inferno, l’ingiustizia non è di Dio, ma nostra. Malitia tua in caput tuum. « È  impossibile — si sente dire — che l’inferno esista;. Dio è troppo buono… ».. È vero Cristiani; Dio è troppo buono; è infinitamente buono, ma è pure infinitamente giusto. Che direste voi di un uomo che avesse un braccio lungo e l’altro corto? che è un mostro. Allora non fatemi di Dio un mostro. Non crediate che il braccio della sua misericordia sia lungo lungo, e quello della sua giustizia corto corto. Dio è buono, ma anche giusto. Vedete: a questo mondo c’è poca giustizia: Gli iniqui spesso trionfano: hanno ricchezze, palazzi, cibi, vesti, amici, onori. E nelle cause hanno sempre ragione. Mentre ci sono invece degli uomini buoni che al mondo soffrono: soffrono la miseria, le malattie, l’ingiustizia dei più forti. Ad essi, molte volte, come al povero Lazzaro, vien negato perfin quello che si butta ai cani. È necessario allora che la giustizia si faccia almeno nell’altro mondo; che il povero Lazzaro abbia nel cielo quel che gli fu negato in terra; e che all’Epulone sia negato in cielo quel che ha negato agli altri in terra. Dio è giusto! consolatevi, voi che patite, perché Egli vede ogni vostro dolore, conta ogni lagrima vostra, ogni vostro affanno, anche il più nascosto… niente andrà perduto; di tutto sarete compensati. Dio è giusto! spaventatevi, uomini tristi, che vivete nel peccato; che non osservate le leggi di Dio; che angariate il vostro prossimo… niente andrà perduto; di tutto sarete puniti anche di un desiderio cattivo. La vostra pena è l’inferno; che c’è perché Dio è giusto. – 3. C’È PERCHÈ DIO È BUONO. Di solito si dice che l’inferno non c’è perché Dio è buono e non può farci soffrire così. Ma io vi dico che appunto perché Dio è buono, l’inferno c’è. Un magnifico re, che aveva un unico figlio, una volta cominciò a voler bene anche al figliuolo di un suo schiavo, che non aveva nulla di suo, che viveva solo perché egli lo faceva vivere. Il gran re lo nutrì ogni giorno, lo arricchì, lo colmò di favori e arrivò perfino a chiamarlo suo figlio, a farlo erede d’ogni sua sostanza insieme all’unigenito suo. Questo figlio adottivo, un giorno malaugurato, commise un pessimo delitto e fu condannato a morte dalla giustizia. Il re non poteva andar contro giustizia. Era straziato dal dolore, eppure l’amava ancora. E in una follìa, che solo l’amore potrebbe spiegare, piuttosto che lasciar condannare lui — figlio di schiavo, che non aveva nulla di suo, che viveva solo perché egli lo faceva vivere — preferì veder morire il suo unigenito: l’innocente, E sopportò che questi patisse fame e stanchezza, obbrobrio e dolore, che fosse tradito, messo in croce. Tutto sopportò, pur che l’altro si salvasse. Non basta: l’amore non è ancor stanco. L’altro non si pente; salvato ritorna ancora al pessimo delitto. Il gran re lo segue per ogni via, gli perdona più volte, lo conforta. Inutilmente: eppure l’amore non è ancor stanco. Lo perseguita con rimorsi: lo fa avvisare dai suoi ministri; ma lo sciagurato s’abbandona al capriccio di tutte le sue passioni. Una volta annunciano al re che egli è malato da morire. Il re lascia ogni cosa e corre al suo capezzale e lo chiama: « Guardami in viso: sono io, il tuo Re, ma chiamami padre, che tu sei mio figlio. Guardami, son io ». E l’ingrato stringe i pugni, si nasconde nelle coltri, gli volta le spalle, e rantola nell’agonia: « Vattene! che non ti voglio ». Oh dite: che farà adesso l’amore? L’amore non corrisposto, o peggio tradito, è terribile nelle sue vendette. Ne potrebbe dire l’orgoglio umano qualcosa! Che farà allora il gran re con quell’ingrato? Che farà allora Dio col peccatore, poiché già tutti l’avete indovinato, il gran re è Dio e il figlio ingrato è il peccatore? Egli non ha più che la vendetta per salvare il proprio onore. Cadi, peccatore, cadi nel fuoco che non si spegne mai; cadi nel dolore che non ha fine, mai; cadi nell’inferno. L’inferno c’è perché Dio è amore, e guai a chi non lo ama. Con Lui non si scherza (Gal., VI, 7). Questo non è mio pensiero, ma è di S. Giovanni, ed io non ho fatto che ampliarlo: « Quis non timebit te, Domine, quia solus pius es? » (Apoc., XV, 4). Dobbiamo dunque temere Dio, appunto perché è buono. – Lisimaco, bruciato dalla sete, pur d’avere una tazza d’acqua fresca, onde placare quel tormento d’arsura, diede i suoi beni e il suo regno e la sua felicità in mano del nemico. E bevve. Dopo quella breve soddisfazione, mirando la tazza vuota, scoppiò in pianto. « Dii boni! quam ob brevem voluptatem amisi felicitatem summam ». « Un regno per una tazza d’acqua! la felicità di tutta la vita per il rinfresco d’una bevanda! Condannarmi a un fuoco eterno per liberarmi da un poco di sete! Che ho mai fatto… ». E cominciò a piangere che riempì di lacrime quella tazza che aveva vuotata d’acqua. Quando commettiamo il peccato, la pazzia di Lisimaco la ripetiamo noi. Per un breve piacere, per la soddisfazione momentanea d’una passione, perdiamo ogni merito, il paradiso, la somma felicità di goder Dio e ci condanniamo al fuoco eterno. Se così abbiamo fatto, giacché siamo ancora in tempo, riempiamo con le lacrime del pentimento la tazza del piacere, che abbiamo vuotata. Queste lacrime varranno a spegnere il fuoco che ci potrebbe tormentare nei secoli dei secoli.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXXVII: 7
Si ambulávero in médio tribulatiónis, vivificábis me, Dómine: et super iram inimicórum meórum exténdes manum tuam, et salvum me fáciet déxtera tua.

[Se cammino in mezzo alla tribolazione, Tu mi dai la vita, o Signore: contro l’ira dei miei nemici stendi la tua mano, e la tua destra mi salverà.]

Secreta

Hæc múnera, quǽsumus, Dómine, quæ óculis tuæ majestátis offérimus, salutária nobis esse concéde.

[Concedi, o Signore, Te ne preghiamo, che questi doni, da noi offerti in onore della tua maestà, ci siano salutari.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

 Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 4-5
Tu mandásti mandáta tua custodíri nimis: útinam dirigántur viæ meæ, ad custodiéndas justificatiónes tuas.

[Tu hai ordinato che i tuoi comandamenti siano osservati con grande diligenza: fai che i miei passi siano diretti all’osservanza dei tuoi precetti.]

Postcommunio

Orémus.
Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et tuis semper fáciat inhærére mandátis.

[O Signore, l’opera medicinale del tuo sacramento ci liberi benignamente dalle nostre perversità, e ci faccia vivere sempre sinceramente fedeli ai tuoi precetti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA