LA SUMMA PER TUTTI (12)

LA SUMMA PER TUTTI (12)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo XVII

La giustizia: sua natura, – Il diritto: diritto naturale e positivo; privato e pubblico; nazionale ed internazionale; civile ed ecclesiastico, – Giustizia legale; giustizia particolare. – Vizio opposto.

1008. La virtù della giustizia che avete no minata, è la più importante fra le altre virtù dopo la virtù della prudenza ed in armonia con essa, come del resto debbono esserlo ancora tutte le altre virtù morali?

Sì; dopo la virtù della prudenza che occupa un posto a parte nell’ordine delle virtù morali, nessuna delle quali può esistere Senza di essa, la più importante fra tutte le altre

è la virtù della giustizia (LVII – CXXI).

1009. Che cosa intendete per virtù della giustizia?

Intendo quella virtù che ha per oggetto il giusto ed il diritto (LVII, 1).

1010. Che cosa volete dire dicendo che la giustizia ha per oggetto il diritto ed il giusto?

Voglio dire che essa ha per oggetto di far regnare tra gli uomini l’armonia dei rapporti, fondati sul rispetto dell’essere e dell’avere, che sono legittimamente propri di ciascuno (LVII, 1).

1011. E come si sa che l’essere e l’avere di ciascuno fra gli uomini è tale, e deve essere tale legittimamente?

Si sa da ciò che detta la ragione naturale di ogni uomo e da ciò che di comune accordo ha potuto determinare la ragione dei diversi uomini, o la ragione di coloro che hanno autorità di regolare i rapporti degli uomini stessi tra loro (LVII, 2-4).

1012. Come si chiama il diritto ed il giusto, fondato su ciò che detta la ragione naturale di ogni uomo? Si chiama diritto naturale (LVII, 2).

Si chiama diritto naturale.

1013. E come si chiama il diritto ed il giusto costituito da ciò che di comune accordo è stato determinato dalla ragione dei diversi uomini, o dalla ragione di coloro che hanno autorità per regolare i rapporti degli uomini tra loro?

Si chiama diritto positivo, che si divide in diritto privato e diritto pubblico, che alla sua volta può essere nazionale ed internazionale, secondoché si tratta di convenzioni private o di leggi del paese, o di leggi convenute e stabilite fra diverse nazioni (LVII, 2).

1014. Non si parla anche di diritto civile e di diritto ecclesiastico?

Sì; e questi diritti si distinguono secondoché si tratta di rapporti degli uomini tra loro, determinati dall’autorità civile o dall’autorità ecclesiastica.

1015. Il diritto che è oggetto della virtù della giustizia, riguarda soltanto i rapporti degli individui fra loro nella società, o riguarda anche i rapporti degli individui con la collettività?

Riguarda l’una e l’altra di queste due specie di rapporti (LVIII, 5-7).

1016. Come si chiama la virtù della giustizia che ha per oggetto il secondo diritto?

Si chiama giustizia legale (LVII, 5).

1017. E come si chiama la virtù della giustizia che riguarda il primo diritto?

Si chiama giustizia particolare (LVIII, 7).

1018. Vorreste dirmi ora, con una definizionemprecisa, che cosa è la virtù della giustizia?

La virtù della giustizia è quella perfezione della volontà dell’uomo, che lo porta a volere ed a procurare in tutto, spontaneamente, e senza mai desistere, il bene della società di cui fa parte su questa terra; e tutto ciò ancora a cui può aver diritto ciascuno degli esseri umani in rapporto con lui (LVII, 1).

1019. Come si chiama il vizio opposto a questa virtù?

Si chiama ingiustizia: ingiustizia che ora si oppone alla giustizia legale, non tenendo conto del bene comune che la giustizia legale richiede; ed ora alla giustizia particolare, attentando alla uguaglianza che la giustizia particolare ha per oggetto di mantenere tra i diversi uomini (LIX).

1020. In che cosa consiste propriamente questo ultimo peccato di ingiustizia?

Consiste nell’attentare scientemente e volontariamente al diritto altrui, vale a dire a ciò che la propria volontà ragionevole deve naturalmente volere, andando invece contro a questa volontà (LIX, 3).

Capo XVIII.

Atto della giustizia particolare: il giudizio.

1021. La virtù della giustizia ha un atto che le appartiene a titolo speciale, soprattutto come giustizia particolare?

Sì; è latto del giudizio che consiste precisamente nel determinare con esattezza e secondo equità ciò che conviene a ciascuno, sia che si faccia di ufficio nel rendere giustizia a parti in litigio, come conviene al giudice; sia anche che si faccia in ogni tempo e per tutti nell’apprezzare anche interamente l’essere l’avere di ciascuno conforme al diritto, in omaggio al diritto in se stesso (LX).

1022. Il giudizio, atto della virtù di giustizia, deve interpretare piuttosto in bene le cose dubbie?

Sì; quando si tratta del prossimo e dei suoi atti, giustizia vuole che mai ci si pronunzi sia internamente che esternamente, a modo di sentenza stabile e definitiva, in senso contrario, se rimane qualche dubbio a questo proposito (LX, 4).

1023. Quando, tuttavia, si dubita di cose che potrebbero nuocere a noi od agli altri, si può diffidare e mettersi in guardia?

Sì; la giustizia legale, la prudenza e la carità vogliono che se si tratta di un male da prevenire per noi o per gli altri, sappiamo difenderci o difendere gli altri, supponendo talora il male come possibile da parte di certi uomini, anche dietro semplici congetture e senza averne una certezza assoluta (LX, 4 ad 3).

1024. Vi sono però anche allora delle riserve da fare?

Sì: anche nel caso in cui può essere necessario di prendere le volute precauzioni, bisogna guardarci accuratamente, nel prenderle per sé o per gli altri, di concepire o di esprimere sulle persone un giudizio che sia loro sfavorevole (Ibid.).

1025. Potreste darmi un esempio?

Se per esempio io vedo un uomo dalla faccia sospetta, non ho il diritto di ritenerlo per un malfattore ed ancor meno di darlo come tale; ma se si aggira intorno alla mia casa o alla casa di miei amici, ho il diritto ed un po’ anche il dovere di vigilare, acciocché presso di me o presso di loro tutto sia perfettamente guardato e tenuto al sicuro.

Caro XIX.

Giustizia particolare; sue specie: giustizia distributiva; giustizia commutativa.

1026. La virtù della giustizia, considerata come giustizia particolare, comprende varie specie?

Sì; comprende due specie: la giustizia distributiva e la giustizia commutativa (LXI, 1).

1027. Che cosa intendete per giustizia distributiva?

Intendo quella specie di giustizia particolare che provvede al bene della equità nei rapporti degli uomini tra loro, considerati nell’ordine che ad essi dice come a sue parti la società che essi compongono (LXI, 1).

1028. E per giustizia commutativa che così intendete?

Intendo quella specie di giustizia particolare che provvede al bene della equità nei rapporti degli uomini tra loro, considerati da pari a pari in questa stessa società (UXI, 1).

1029. E se si considerassero gli uomini come parti ordinate al tutto nella società, quale sarebbe la giustizia che provvederebbe al bene della equità nei rapporti degli uomini di fronte al tutto?

Sarebbe la grande virtù della giustizia legale (LXI, 1 ad 4).

Capo XX.

Atto della giustizia commutativa: la restituzione.

1030. La giustizia commutativa ha un atto che le appartiene propriamente?

Sì; la restituzione (LXII, 1).

1031. Che cosa intendete per restituzione:

Intendo quell’atto per il quale si ristabilisce o si ricostituisce la eguaglianza esterna di un uomo ad un altro, nel caso che questa eguaglianza sia stata alterata per il fatto che uno dei due non ha ciò che gli appartiene (LXI, 1).

1032. Dunque la restituzione non implica sempre la riparazione di una ingiustizia?

No; perché essa è anche l’atto dell’uomo giusto che restituisce prontamente e con fedeltà scrupolosa ciò che appartiene ad altri, quando deve essere restituito.

1033. Potreste darmi in poche parole le regole essenziali della restituzione?

Sì, eccole quali le impone la equità naturale. Con la restituzione, ciò che ad alcuno manca o mancherebbe ingiustamente, gli è dato, o meglio gli è di nuovo reso. Ciò che deve essere restituito è la cosa stessa o il suo esatto equivalente,  niente di più e niente di meno, secondoché alcuno la possedeva già, sia in modo attuale che virtuale, anteriormente all’atto che ha modificato il possesso di quella cosa; con questa differenza che bisognerà tener conto di tutte le conseguenze che potranno essere derivate dall’atto stesso, continuando a modificare a pregiudizio del legittimo possessore la integrità di ciò che avrebbe posseduto senza la posizione di detto atto. La cosa deve essere restituita al suo possessore e non ad altri, a men che nella persona di altri si renda al primo. Colui che deve restituire è chiunque sia detentore della cosa, o chiunque si trovi essere stato causa responsabile dell’atto che ha alterata l’eguaglianza della giustizia. Nell’atto della restituzione non si deve apportare nessuna dilazione, escluso il solo caso di impossibilità (LXII, 2-8).

Capo XXI.

Vizi opposti alla giustizia distributiva: preferenza di persone. Alla giustizia commutativa: l’omicidio, la pena di morte, la mutilazione la verberazione, l’incarcerazione.

1034. Fra i vizi opposti alla virtù della giustizia, ve ne è qualcuno che si oppone al giustizia distributiva?

Sì; la preferenza delle persone (LXII]

1035. Che cosa intendete per preferenza persone?

Intendo il fatto di dare o rifiutare qualche cosa a qualcuno quando si tratta di bene, o di imporre qualche cosa a qualcuno se si tratta di cosa gravosa od onerosa nella società, considerando non ciò che può renderlo degno o meritevole di un tal trattamento, ma solamente perché egli è tale individuo o tale persona (LXIII, 1).

1036. Potreste dirmi quali sono i vizi Opposti alla virtù della giustizia, considerata come giustizia commutativa?

Tali vizi sono numerosi, e si dividono in due categorie (LXIV-LXX VII).

1037. Quali sono quelli della prima categoria?

Sono quelli che toccano il prossimo senza che la sua volontà vi abbia alcuna parte (LXIV-LXXVI).

1038. Qual è il primo di questi peccati?

È l’omicidio che tocca il prossimo per vie di fatto nel principale dei suoi beni, togliendogli la vita (LXIV).

1039. L’omicidio è un peccato grave?

L’omicidio è il più grave peccato contro il prossimo.

1040. Non è mai permesso attentare alla vita del prossimo?

Non è mai permesso attentare alla vita del prossimo.

1041. La vita dell’uomo è un bene che non è mai permesso di togliergli?

La vita dell’uomo è un bene che non è mai permesso di togliergli, salvoché non abbia meritato per qualche delitto di esserne privato (LXIV, 2, 6).

1042. E chi ha il diritto di togliere la vita a colui che per un delitto ha meritato di esserne privato?

La sola autorità pubblica nella società ha il diritto di togliere la vita a colui che per un delitto ha meritato di esserne privato (LXIV, art. 2).

108. Donde proviene questo diritto alla pubblica autorità?

Proviene dal dovere che ha di vegliare al bene comune nella società (LXIV, 2).

1044. Il bene comune della società fra gli uomini, può richiedere che qualcuno sia mandato a morte?

3 Sì; il bene comune della società fra gli uomini può richiedere che qualcuno sia mandato a morte: sia perché può non esservi altro mezzo pienamente efficace per frenare i delitti nel seno di una società; sia perché la coscienza pubblica può esigere questa giusta soddisfazione per certi delitti più particolarmente odiosi ed esecrandi (LXIV, 2).

1045 Soltanto per ragione di delitto un nomo può essere mandato a morte dall’autorità pubblica nella società?

Sì; soltanto per una ragione di delitto un uomo può essere mandato a morte dall’autorità pubblica nella società (LXIV, 6).

1046. Il bene o l’interesse pubblico non potrebbe qualche volta giustificare o legittimare la morte stessa di un innocente?

No; il bene o l’interesse pubblico non può mai giustificare o legittimare la morte di un innocente; perché il bene supremo nella società degli uomini è sempre il bene della virtù (LXIV, 6).

1047. Ed un privato che si difende o difende il proprio bene, non ha il diritto di uccidere colui che attenta a lui stesso od al suo bene?

No: un privato non ha mai il diritto di uccidere un altro che attenta a lui od al suo bene; salvo che si tratti della propria vita o della vita dei suoi, e che non vi sia assolutamente alcun altro mezzo di difenderla fuori di quello che cagiona la morte dell’assalitore. Bisogna però che anche allora quegli che si difende non abbia minimamente intenzione di uccidere l’altro, ma solamente di difendere la propria vita o quella dei suoi (LXIV, 7).

1048. Quali sono gli altri peccati contro il prossimo nella sua persona?

Sono la mutilazione che attenta alla sua integrità; la verberazione che ne turba la pace ed il benessere normale; e la incarcerazione che lo priva del libero uso della sua persona (LXV, 1-3).

1049. Quando sono peccati questi atti?

Tutte le volte che sono compiuti da chi non ha autorità sul paziente; oppure avendo autorità su di lui, non osserva la misura voluta nell’uso che ne fa (Ibid.).

Capo X.XII.

Del diritto di proprietà: doveri che porta seco. – Violazione di questo diritto: il furto e la rapina.

1050. Dopo i peccati che attentano al prossimo nella persona, qual è il più grave degli altri peccati che si commettono contro di lui per vie di fatto?

È il peccato che attenta ai suoi beni, ossia a ciò che possiede (LXVI).

1051. Un uomo ha diritto di possedere in proprio qualche cosa?

Sì: l’uomo può aver diritto di possedere qualche cosa in proprio e di amministrarlo come vuole, senza che gli altri abbiano ad intromettervisi contrariamente alla sua volontà (LXVI, art. 2).

1052. Donde proviene all’uomo questo diritto?

Gli deriva dalla sua stessa natura. Perché essendo un essere ragionevole e fatto per vivere in società, il suo stesso bene, il bene della sua famiglia ed il bene della società tutta intiera reclamano che questo diritto di proprietà esista fra gli uomini (LXVI, 1, 2).

1053. Come dimostrate che questi diversi beni reclamano la esistenza fra gli nomini del diritto di proprietà?

Si dimostra con questo, che la proprietà dei beni posseduti dall’uomo è una condizione di libertà per lui, come è per la famiglia il modo per eccellenza di costituirsi perfetta e di conservarsi attraverso i tempi nel seno della società. Nella società stessa la proprietà fa sì che le cose siano amministrate con maggior cura, in maniera più ordinata, con meno contrasti e meno controversie (LXVI, 2).

1054. Vi sono però dei doveri uniti al diritto di proprietà?

Sì; al diritto di proprietà sono uniti gravissimi doveri,

1055. Potreste dirmi quali sono i doveri inerenti al diritto di proprietà?

Sì; eccoli in poche parole: Vi è anzitutto il dovere di far fruttificare e migliorare i beni che si posseggono. Poi, nella misura che i beni si accresceranno nelle mani dei possessori, quando questi vi abbiano una volta prelevato ciò che fa loro personalmente bisogno per se stessi e per la loro casa, non è più loro permesso di considerarli come beni propri, escludendo dalla loro partecipazione la società degli uomini in mezzo ai quali essi vivono. È per essi un dovere di giustizia sociale di ripartire il meglio possibile il superfluo dei loro beni, o di facilitare intorno ad essi il lavoro degli altri, affinché le necessità dei privati siano sollevate ed il bene pubblico ne sia accresciuto. La ragione del bene pubblico autorizzerà lo Stato a prelevare sui beni dei privati tutto quello che giudicherà necessario od utile al bene della società. In questo caso i privati sono tenuti a conformarsi alle leggi emanate dallo Stato; ciò è per essi un obbligo di stretta giustizia. La ragione del bene dei privati o delle loro necessità non obbliga con lo stesso rigore riguardo alla sua determinazione. Non esiste a questo proposito una legge che obblighi sotto forma di legge positiva umana, determinando la possibilità di coazione per via giudiziaria. Ma la legge naturale conserva tutto il suo rigore; è un andare direttamente contro di essa in ciò che ha di più imprescrittibile, cioè nell’obbligo di volere il bene dei propri simili, a disinteressarsi dei loro bisogni quando si possiede il superfluo. Tale obbligo già rigoroso in forza della sola legge naturale, riveste un carattere del tutto sacro in forza della legge divino-positiva, soprattutto della legge evangelica. Dio stesso è intervenuto personalmente per corroborare e rendere più urgente, con le sanzioni di cui la avvalora, la prescrizione già da Lui scolpita nel fondo del cuore umano (LXVI, art. 2-7; XXXI, 5, 6).

1056. Se tali sono i doveri di coloro che posseggono verso gli altri uomini, quali sono i doveri di questi ultimi verso i primi?

I doveri degli altri uomini verso coloro che posseggono sono di rispettare i loro beni, e di non manometterli mai contrariamente alla loro volontà (LXVI, 5, 8).

1057. Come si chiama l’atto di manomissione dei beni di coloro che posseggono, contrariamente alla loro volontà?

Si chiama furto o rapina (LXVI, 3, 4).

1058. Che cosa intendete per furto?

Intendo il fatto di impadronirsi occultamente di un bene altrui (LXVI, 3).

1059. E per rapina che cosa intendete?

Intendo quell’atto che in luogo di procedere all’insaputa di colui che viene derubato, come nel furto, lo assale invece di fronte, togliendogli visibilmente e violentemente il bene che gli appartiene (LXVI, 4).

1060. Qual è il più grave di questi due atti?

La rapina è cosa più grave del furto; ma anche il furto, come la rapina, costituisce sempre di per sé peccato mortale; salvo che la cosa rubata non ne valga la pena (LXVI, 9).

1061. Bisogna astenersi quanto più è possi bile fra gli uomini, da tutto ciò che anche lontanissimamente avesse apparenza di furto?

Sì: è cosa sommamente importante per il bene della società, che gli uomini si astengano quanto più è possibile da tutto ciò che anche lontanissimamente avesse apparenza di furto in mezzo ad essi.

Caro XXIII.

Peccati contro la giustizia per mezzo di parole: nell’atto del giudizio: da parte del giudice; da parte dell’accusa; da parte dell’accusato; da parte del testimone; da parte dell’avvocato.

1062. Oltre ai peccati che si commettono contro la giustizia rispetto al prossimo per mezzo di atti, ve ne sono altri che si commettono rispetto a lui con parole?

Sì; e si dividono in due categorie: quelli che si commettono nell’atto solenne del giudizio, ossia in tribunale; e quelli che si commettono nell’ordinario della vita (LXVII-LXXVI).

1062. Qual è il primo peccato che si può commettere nell’atto solenne del giudizio?

È il peccato del giudice che non giudica secondo la giustizia (LXVII).

1064. E che cosa si richiede da parte del giudice perché giudichi secondo la giustizia?

Si richiede che egli consideri se stesso come una specie di giustizia vivente, che ha per ufficio nella società di rendere a ciascuno che ricorra alla sua autorità il diritto leso, nel nome stesso della società che rappresenta (LXVII, 1).

1065. Che cosa consegue da ciò per il giudice nell’adempimento del suo ufficio?

Ne consegue che un giudice non può giudicare se non coloro che sono di sua giurisdizione: e che nel libello della sentenza non può basarsi che sui dati del processo quali le parti espongono e stabiliscono giuridicamente davanti a lui: non potendo altrimenti intervenire se una delle parti non muove querela e domanda giustizia. Ma in questo caso deve sempre rendere integralmente questa giustizia, senza falsa misericordia verso il colpevole, qualunque sia la pena che debba pronunziare contro di lui, nel nome del diritto stabilito da Dio o dagli nomini (LXVII, 2-4).

1066. Qual è il secondo peccato contro la giustizia nell’atto solenne del giudizio, o in riferimento ad esso?

È il peccato di coloro che mancano al dovere di accusare, oppure accusano ingiustamente (LXVIII).

1067. Che cose intendete per dovere di accusare?

Intendo il dovere che incombe ad ogni uomo, che vivendo in una società e trovandosi

dinanzi ad un male che funesta questa stessa società, è obbligato a deferire al giudice l’autore di questo male perché ne sia fatta giustizia. Egli non è dispensato da tale obbligo, se non trovandosi nella impossibilità di stabilire giuridicamente la verità del fatto (LXVILI, 1).

1068. Quando è ingiusta l’accusa?

L’accusa è ingiusta quando la pura malizia fa imputare ad alcuno delitti falsi; Oppure se una volta impegnata non si prosegue come la giustizia richiede: sia che si tratti fraudolentemente con la parte avversaria, sia che senza motivo si desista dall’accusa (LXVII, art. 3).

1069. Quel è il terzo peccato contro la giustizia nell’atto del giudizio?

È il peccato dell’accusato che non si conforma alle regole del diritto.

1070. Quali sono le regole del diritto alle quali deve conformarsi l’accusato, sotto pena di peccato contro la giustizia?

Deve dire la verità al giudice, quando questi lo interroga in virtù della sua autorità; e non può mai difendersi usando modi fraudolenti (LXIX, 1, 2).

1071. Può un accusato, in caso di condanna, declinare il giudizio appellandosene?

Dal momento che un accusato non può difendersi in modo fraudolento non ha diritto di fare appello contro un giudizio giusto al solo scopo di ritardarne la esecuzione. Non può appellare se non trattandosi di ingiustizia manifesta; e bisognerà pure che usi del suo diritto nei limiti stabiliti dalla legge (LXIX, 3).

1072. Un condannato a morte ha diritto di resistere alla sentenza che condanna?

Un condannato a morte ingiustamente può resistere anche con la violenza, con la sola eccezione che si debba evitare lo scandalo. Ma se è stato condannato giustamente, deve subire il supplizio senza resistenza di sorta; potrebbe tuttavia fuggire se ne avesse il mezzo, perché nessuno è tenuto a cooperare al proprio supplizio (LXIX, 4).

1073. Qual è il quarto peccato che si può commettere contro la giustizia nell’atto del giudizio?

Si il peccato del testimone che manca al suo dovere (LXX).

1074. Come può mancare al proprio dovere un testimone nell’atto del giudizio?

Un testimone può mancare al proprio dovere nell’atto del giudizio, sia rifiutandosi di testimoniare quando è richiesto dall’autorità del superiore a cui è tenuto ad obbedire nelle cose appartenenti alla giustizia, oppure quando la sua testimonianza può impedire un danno ad alcuno; sia, con più forte ragione, facendo una falsa testimonianza (LXX, 1, 4).

1075. La falsa testimonianza resa in giudizio è sempre un peccato mortale?

La falsa testimonianza resa in giudizio è sempre un peccato mortale, se non sempre per la menzogna che qualche volta può essere veniale, sempre almeno per lo spergiuro ed anche per la ingiustizia, se va contro ad una causa giusta (LXX, 4).

1076. Qual è l’ultimo peccato che si può commettere

contro la giustizia nell’atto del giudizio?

È quello dell’avvocato che rifiuta il suo patrocinio in una causa giusta che non può essere difesa se non da lui, oppure che difende una causa ingiusta specialmente nell’ordine delle cause civili, o che esige una ingiusta retribuzione per il suo patrocinio (LXXI, :1, 3, 4):

Caoo XXIV.

Peccati di parole nell’ordinario della vita: l’ingiuria, la detrazione (maldicenza e calunnia), la sussurrazione, la derisione, l’imprecazione.

1077. Potreste dirmi quali sono i peccati di ingiustizia che si commettono contro il prossimo con le parole nell’ordinario della vita?

Sono la ingiuria, la detrazione, la sussurrazione, la derisione e la imprecazione (LXXII-LXXVI).

1078. Che cosa intendete per ingiuria?

L’ingiuria o insulto od oltraggio, detta anche rimprovero, biasimo e rabbuffo, prendendo queste ultime tre cose nel senso di un intervento indebito o ingiustamente offensivo; indica un intervento oltraggioso per il quale si offende nel suo onore e nel dovuto rispetto un individuo preso di mira, con i gesti che si fanno o con le parole che si dicono (LXXII, 1).

1079. È un peccato mortale questo?

Sì; quando si fanno dei gesti o si proferiscono parole di natura tale da: attentare gravemente all’onore di chi ne è l’oggetto, con la formale intenzione di attentare realmente a questo onore. La colpa non sarà leggera se non nel caso in cui di fatto l’onore del soggetto non ne sia seriamente menomato, oppure non vi sia la intenzione di attentarvi in maniera grave (LXXII, 2

1080. Esiste per ogni nomo uno stretto dovere nell’ordine della giustizia, di trattare gli altri, chiunque essi siano, con la riverenza ed il rispetto loro dovuti?

Sì; è questo per ogni uomo uno stretto dovere nell’ordine della giustizia, ed è della più grande importanza per la buona armonia delle relazioni che gli nomini devono avere tra loro (LXXII, 1-3).

1081. Su: che cosa si basa questo dovere, e quale è la sua importanza?

Si basa sul fatto che l’onore è uno dei beni ai quali gli uomini tengono di più. Anche il più meschino di loro, in quanto lo comporta la sua condizione; vuole e deve essere trattato con rispetto. Mancargli di riguardo con gesti o con parole è un offenderlo in ciò che ha di più caro (Ibid.).

1082. Bisogna dunque evitare con la più grande cura di dire o fare alcunché in presenza di qualcuno, che sia di natura tale da contristarlo o umiliarlo, oppure da essergli di fastidio in qualunque maniera sia?

Sì: bisogna evitare ciò con la più grande cura (Ibid.).

1083. Non è mai permesso agire diversamente?

Non è mai permesso Se non trattandosi di un superiore riguardo ad un inferiore, al solo fine di correggerlo quando veramente lo merita, ed a condizione di non farlo mai sotto l’impeto della passione e in modo eccessivo ed indiscreto (LXXJI, 2 ad 2).

1084. Ed a riguardo di quelli che mancano essi stessi di rispetto che cosa bisogna fare?

A riguardo di coloro che si rendessero colpevoli del peccato di ingiuria contro di noi, o di coloro il cui onore possa esserci affidato sia direttamente che indirettamente, la carità ed anche la giustizia possono richiederci di non lasciare impunita la loro audacia. Ma in questo caso bisogna osservare nella repressione tutte le forme che l’ordine del diritto richiede, e guardarci premurosamente di non fare noi stessi alcun torto (LXXII, 3).

1085 Che cosa si deve intendere per detrazione?

La detrazione, nel suo senso formale e preciso, implica la intenzione di attentare con parole alla reputazione del prossimo o di togliergli in tutto od in parte la stima di cui gode presso gli altri, quando non è alcuna giusta ragione di farlo (LXXIII, 1).

1086. È un peccato molto grave questo?

Sì; perché è un togliere ingiustamente al prossimo un bene più prezioso delle ricchezze   che gli si tolgono col furto (LXXIII, 2, 3).

1087 . In quante maniere si commette il peccato di detrazione?

Si commette direttamente in quattro maniere: imputando al prossimo cose false; esagerando ciò che può esservi in lui di difettoso; manifestando cose ignorate ed a lui sfarorevoli; attribuendogli intenzioni dubbie se non anche malvagie, che snaturano ciò che opera di bene (LXXII, 1 ad 3).

1088. Non si può nuocere al prossimo anche in altra maniera nel peccato di detrazione?

Sì; in maniera indiretta, negando il suo bene, tacendolo maliziosamente ed attenuandolo (LXXIII, 1 ad 3)

1089. Che cosa intendete per peccato di sussurrazione?

Intendo quel peccato che consiste nell’attentare al bene degli amici, proponendosi direttamente con parole equivoche e sleali di seminare la discordia tra coloro che sono uniti in una mutua confidenza dai legami dell’amicizia (LXXIV, 1).

1090 È molto grave questo peccato?

Di tutti i peccati di parole contro il prossimo questo è il più odioso, il più grave ed il più degno di riprovazione davanti a Dio e davanti agli uomini (LXXIV, 2).

1091. Che cosa si deve intendere per derisione?

La derisione o motteggio ingiurioso è un peccato di parola contro la giustizia, consistente nello schernire il prossimo rinfacciandogli qualità malvagie o difettose che lo inducano a perdere la confidenza in se stesso, nei suoi rapporti con gli altri (LXXV, 1).

1092.  È un peccato molto grave?

Certissimamente; perché implica un disprezzo di persone, che è disprezzo di persone, che è una delle cose più detestabili e più meritevoli di riprovazione (LXXV, 2).

1093. L’ironia verso gli altri è sempre derisione con la gravità che si è detto?

L’ironia può essere cosa leggera se si tratta di difetti leggeri e di leggeri mancamenti che si scherniscono per riderne, senza che lo scherno implichi disprezzo alcuno per le persone. Può anche non esservi nessun peccato, quando la cosa avviene per modo di innocente ricreazione e non si corre alcun rischio di mortificare chi ne è l’oggetto. Tuttavia si tratta di un modo delicatissimo di ricreazione, di cui non si deve usare che con somma prudenza (LXXV, 1 ad 1).

1094. L’ironia può essere qualche volta un atto di virtù?

Si; se è adoperata come si conviene e per modo di correzione da parte di un superiore verso un inferiore, oppure anche da uguale ad uguale per modo di caritatevole correzione fraterna.

1095. Che cosa richiede in simili casi l’uso dell’ironia?

Richiede sempre grandissima discrezione. Perché se può essere cosa buona che coloro i quali sono portati ad avere troppa confidenza in se stessi, siano ricondotti ad un più giusto sentimento del proprio valore, bisogna guardarsi bene di sopprimere tale confidenza in ciò che può avere di legittimo; senza di che ci si esporrebbe a Paralizzare ogni slancio ed ogni spontaneità, annientando oppure avvilendo con la eccessiva diffidenza che gli si ispira di se stesso, il soggetto della ironia, che ne diviene la vittima.

1096. In quali rapporti si trovano col vizio della imprecazione i quattro vizi della ingiuria, della detrazione, della sussurrazione e della derisione?

Tutti questi convengono nell’attentare con parole al bene del prossimo; ma mentre gli altri lo fanno per modo di proposizione o di male che si enuncia e di bene che si nega, la imprecazione lo fa per modo di male che si augura (LXXVI, 1, 4).

1097. È cosa essenzialmente cattiva questa?

Sì; è cosa essenzialmente cattiva ogni volta che si augura ad alcuno il male per il male; e di per sé un tale atto è sempre colpa grave (LXXVI, 3).

Capo XXV.

Peccati coi quali si inganna il prossimo e si abusa di lui: la frode e l’usura.

1098. Qual è l’ultima specie di peccati che si commettono contro la giustizia commutativa?

Sono i peccati con cui indebitamente si attira il prossimo consentire a cose di suo pregiudizio (LXXVII, Prologo).

1099. Come si chiamano questi peccati?

Si chiamano frode ed usura (LXXVII, LXXVIII).

1100. Che cosa intendete per frode?

Intendo quell’atto di ingiustizia che si commette nei contratti di compra o di vendita, per il quale ingannando il prossimo lo si induce a volere ciò che è un danno per lui (LXXVII).

1101. In quanti modi può avvenire il peccato di frode?

Questo peccato si può commettere in ragione del prezzo, inquantoché si compra una cosa per meno di quello che vale o si vende per più del suo valore; in ragione della cosa venduta, inquantoché essa non è ciò che sembrava, lo sappia o lo ignori il venditore; in ragione del venditore stesso che tace un difetto che conosce; ed in ragione del fine che

è la ricerca del guadagno (LXXVII, 1-4).

1102. Non si può mai, sapendolo, comprare una cosa a meno di quello che vale, o venderla per più del suo valore?

No; perché il prezzo della cosa che si vende o si compra deve sempre, nei contratti di compra o di vendita, corrispondere al giusto valore della cosa stessa; domandare di più o dare di meno sapendolo, è di per sé cosa essenzialmente ingiusta e che obbliga alla restituzione (LXXVII, 1).

1103. È contro la giustizia vendere una cosa per quello che non è, o comprarla diversa da quella che si crede?

Sì: vendere o comprare una cosa diversa da quella che sembrava, si tratti della sua specie, della sua quantità o della sua qualità, è contrario alla giustizia; ed è peccato e vi è obbligo di restituzione se si fa scientemente. Molto più tale obbligo di restituzione esiste, anche quando non vi è stato peccato, dal momento che ci si accorge di ciò che è veramente la cosa comprata o venduta (LXXVII. art. 2).

1104. Il venditore è sempre obbligato a manifestare i difetti della cosa che vende, in quanto li conosce?

Sì: il venditore è sempre tenuto a manifestare i difetti della cosa che vende, quando tali difetti da lui conosciuti sono occulti e possono essere per il compratore una causa di pericolo o di danno (LXXVII, 3).

1105. È permesso dedicarsi a compre e vendite sotto forma di negozio, soltanto a scopo di guadagno?

Il negozio per il negozio ha qualche cosa di ignobile e di contrario alla onestà della virtù; perché in quanto è da esso favorisce la sete del lucro che non conosce limiti, ma tende ad acquistare senza fine (LXXVII, 4).

1106. Che cosa ci vorrà dunque perché la mercatura divenga cosa permessa ed onesta?

Bisogna che il guadagno non sia inteso per se stesso, ma per un fine onesto. Così avviene quando il guadagno moderato che si cerca nella mercatura è diretto a sostenere la propria famiglia o ad aiutare gli indigenti; oppure si attende alla mercatura per una ragione di utilità pubblica affinché le cose necessarie alla vita non vengano a mancare alla propria patria o fra gli uomini, e si cerca il guadagno non come fine, ma come prezzo del proprio lavoro (LXXVII, 4).

1107. Che cosa intendete per peccato di usura?

Intendo quell’atto di ingiustizia consistente nell’abusare del bisogno in cui uno si trova, e nel prestargli del denaro, od altra cosa computabile a prezzo di denaro, ma che non ha altro uso che il consumo ordinato alle necessità del momento, obbligandolo a restituire questo denaro e questa cosa a data fissa con un soprappiù, a titolo di usura o prezzo dell’uso (LXXVII, 1, 2, 83).

1108. L’usura è la stessa cosa che il prestito ad interesse?

No; perché se ogni usura è un prestito ad interesse, ogni prestito ad interesse non è usura.

1109. In che cosa si distingue il prestito ad interesse dall’usura?

Il prestito ad interesse si distingue dall’’usura in questo, che vi si considera il denaro come capace di essere fruttifero, in ragione delle circostanze sociali ed economiche in cui oggigiorno vivono gli uomini.

1110. Che cosa occorre perché il prestito ad interesse sia permesso e non rischi di degenerare in usura?

Occorrono due cose: 1° che il tasso dell’interesse non superi il tasso legale o il tasso stabilito da una consuetudine ragionevole; 2° che i ricchi che abbondano del superfluo sappiano non mostrarsi esigenti verso i poveri che prendono in prestito non per fare un commercio di denaro, ma per il solo consumo e per far fronte alle necessità della vita.

Capo XXVI.

Degli elementi della virtù di giustizia: fare il bene ed evitare il male. – Vizi opposti: l’omissione e la trasgressione.

1111. Quando si tratta della virtù della giustizia, oltre alle sue diverse specie possiamo considerare ancora certi elementi che la costituiscono, come si è detto per la prudenza?

Sì; e questi elementi non sono altro che il fare il bene ed evitare il male (LXXIX, 1).

1112. Perché questi due elementi sono: propri della virtù della giustizia?

Perché nelle altre virtù morali, come la fortezza e la temperanza, non vi è da distinguerli, perché in esse il non fare il male si identifica col fare il bene; mentre nella virtù della giustizia, fare il bene consiste nel procurare che coi nostri atti regni la uguaglianza tra noi ed il prossimo; e non fare il male consiste nel non far niente che possa andar contro alla uguaglianza stessa tra noi ed il prossimo nostro (LXXIX, 1).

1113. Come si chiama il peccato contro il primo modo?

Si chiama omissione (LXXIX, 3).

1114. Ed il peccato contro il secondo modo come si chiama?

Si chiama trasgressione (LXXIX, 2).

1115. Di questi due peccati qual è il più grave?

In sè è più grave il peccato di trasgressione, benché una determinata omissione possa essere più grave di una trasgressione. Per esempio è più grave ingiuriare qualcuno che il non usargli il dovuto rispetto; ma se si tratta di un alto superiore, sarà più grave mancare al rispetto che gli è dovuto non rendendogli la testimonianza esterna che il rispetto richiede specialmente in pubblico, che non sarà un leggero segno di dispregio o una parola leggermente offensiva all’indirizzo di una infima persona nella società (LXXIX, 4).

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2021).

Semidoppio.- Paramenti verdi.

Nell’ufficio divino si effettua in questo tempo la lettura delle Parabole o Proverbi di Salomone. « Queste parabole sono utili per conoscere la sapienza e la disciplina, per comprendere le parole della prudenza, per ricevere l’istruzione della dottrina, la giustizia e l’equità affinché sia donato a tutti i piccoli il discernimento e ai giovani la scienza e l’intelligenza. Il savio ascoltando diventerà più savio e l’intelligente possederà i mezzi per governare! (7° Nott.). Salomone non era che la figura di Cristo, che è la Sapienza incarnata come leggiamo nel Vangelo di questo giorno: « Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, poiché io ve lo dico, molti profeti e re hanno voluto vedere quello che voi vedete e non hanno potuto; e ascoltare quello che voi ascoltate e non hanno inteso ». « Beati, dice S. Beda, gli occhi che possono conoscere i misteri del Signore, dei quali è detto: « Voi li avete rivelati ai piccoli ». Beati gli occhi di questi piccoli, ai quali il Figlio degnò rivelarsi e rivelare il Padre. Ed ecco un dottore della legge che ha pensato di tentare il Signore e l’interroga sulla vita eterna (Vang.). Ma il tranello che tende a Gesù Cristo mostra come era vero quello che il Signore aveva detto rivolgendosi al Padre: « Tu hai nascoste queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli» (2° Nott.). — « Figlio mio, dice Salomone, il timor di Dio è il principio della sapienza. Se i peccatori vogliono attirarti non acconsentir loro. Se essi dicono: Vieni con noi, tendiamo agguati all’innocente, inghiottiamolo vivo e intero com’è inghiottito il morto che scende nella tomba; noi troveremo ogni sorta di beni preziosi, riempiremo le nostre case di bottini; figlio mio, non andare con loro, allontana i tuoi passi dal loro sentiero. Poiché i loro passi sono rivolti al male ed essi si affrettano per versar sangue. E s’impadroniscono dell’anima di coloro che soggiogano » (7» Nott.). — Cosi i demoni agirono col primo uomo, poiché quando Adamo cadde nel peccato, lo spogliarono di tutti i suoi beni e lo coprirono di ferite. Il peccato originale, infatti, priva l’uomo di tutti i doni della grazia e lo colpisce nella sua stessa natura. La tua intelligenza è meno viva e la sua volontà meno ferma, poiché la concupiscenza che regna nelle sue membra lo porta al male. Per fargli comprendere la sua impotenza — poiché, dice S. Paolo, la nostra attitudine a intendere viene da Dio (Ep.) — Jahvé stabilì la legge mosaica che gli dava precetti senza dargli la forza di compierli, ossia senza la grazia divina. Allora, l’uomo comprendendo che gli bisognava l’aiuto di Dio per essere guarito, per volere il bene, per realizzarlo e per perseverare in esso fino alla fine, rivolse il suo sguardo al cielo: « O Dio, gridò, e non deve giammai cessare di gridare: O Dio, vieni in mio aiuto; Signore, affrettati a soccorrermi! Siano confusi coloro che cercano l’anima mia » (Intr.). — « Signore, Dio della mia salute, io ho gridato verso di te tutto il giorno e la notte » (All.). E Dio allora risolse di venire in aiuto dell’uomo e poiché i sacerdoti ed i leviti dell’antica legge non avevano potuto cooperare con lui, mandò Gesù Cristo, che si fece, secondo il pensiero di S. Gregorio, il prossimo dell’uomo, rivestendosi della nostra umanità per guarirla (3° Nott.). Queste è quanto ci dicono l’Epistola e il Vangelo. La legge del Sinai, scolpita in lettere su pietre, spiega S. Paolo, fu un ministero di morte perché, l’abbiamo già visto, non dava la forza di compiere ciò che comandava. Cosi l’Offertorio ci mostra come Mose dovette Intervenire presso Dio per calmare la sua ira provocata dai peccati del suo popolo. La Legge della grazia è Invece un ministero di giustificazione, perché lo Spirito Santo che fu mandato alla Chiesa nel giorno della Pentecoste, giorno in cui la vecchia legge fu abrogata, dava la forza di osservare i precetti del decalogo e quelli della Chiesa. Cosi S. Paolo dice: « La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica » (Ep.). E il Vangelo ne fa la dimostrazione nella parabola del buon Samaritano. All’impotente legge mosaica, rappresentata in qualche modo dal sacerdote e dal levita della parabola evangelica, il buon Samaritano che è Gesù, sostituisce una nuova legge estranea all’antica e viene Egli stesso in aiuto dell’uomo. Medico delle nostre anime, versò nelle nostre ferite l’unzione della sua grazia, l’olio dei suoi sacramenti e il vino della sua Eucaristia. Per questo la liturgia canta, in uno stile ricco di immagini, la bontà del Signore, che ha fatto produrre sulla terra il pane che fortifica l’uomo, il vino che rallegra il suo cuore, e l’olio che dona al suo viso un aspetto di gioia (Com.). « Io benedirò, dice il Graduale, il Signore in tutti i tempi: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra ». Noi dobbiamo imitare verso il nostro prossimo quello che Dio ha fatto per noi e quello di cui il Samaritano è l’esempio. « Nessuna cosa è maggiormente prossimo delle membra che il capo, dice S. Beda: amiamo dunque colui che è fratello del Cristo, cioè siamo pronti a rendergli tutti i servizi sia temporali che spirituali dicui potrà aver bisogno » (3° Nott.). Né la legge mosaica, né il Vangelo separano l’amore verso Dio dall’amore di chi dobbiamo ritenere come prossimo: amore soprannaturale nella sua origine, poiché procede dallo Spirito Santo; amore soprannaturale nel soggetto perché è Dio nella persona dei nostri fratelli. Il prossimo di questo uomo ferito non è, come pensavano i Giudei, colui che è legato per vincoli di sangue, ma colui che si china caritatevolmente su di esso per soccorrerlo. L’unione in Cristo, che giunge fino a farci amare quelli che ci odiano e perdonare a quelli che ci hanno fatto del male, perché Dio è in essi, o è chiamato ad essere in essi, è il vero amore del prossimo. Perfezionati dalla grazia, noi dobbiamo imitare il Padre nostro del cielo, che, calmato dalla preghiera di Mosè, figura di Cristo, colmò di beni il popolo che l’aveva offeso (Off., Com.). — Uniti dunque con Cristo, [Questa unità dei Cristiani e del Cristo fa sì che si chiami Gesù il Samaritano, cioè lo straniero, per indicare che i Gentili imiteranno Cristo mentre i Giudei increduli lo disprezzeranno], curviamoci con Lui verso il prossimo che soffre. Questo sarà il miglior modo di diventare, per la misericordia divina, atti a servire Dio onnipotente, degnamente e lodevolmente, e di ottenere che, rialzati dalla grazia, noi corriamo, senza più cadere, verso il cielo promesso (Oraz.) . «Gesù, dice S. Beda, il Venerabile, mostra in maniera chiarissima che non vi è che un solo amore, il quale deve essere manifestato non solo a parole ma con le buone opere, ed è questo che conduce alla vita eterna ». (3° Nott.). – La gloria dei ministero di Mosè fu assai grande: raggi miracolosi brillavano sul volto del legislatore dell’antica legge, allorché discese dal Sinai. Ma questo ministero era inferiore al ministero evangelico. Il primo era passeggero: il secondo doveva surrogarlo e durare per sempre. Il primo era scritto su tavole di pietra, era il ministero della lettera; il secondo è tutto spirituale, è il ministero dello spirito. Il primo produceva spesso la morte spirituale spingendo alla ribellione con la molteplicità dei suoi precetti difficili ad adempirsi; il secondo è accompagnato dalle grazie dello Spirito d’amore, che gli Apostoli distribuiscono alle anime. L’uno è dunque un ministero che provoca i terribili giudizi di Dio, e l’altro è un ministero che giustifica gli uomini davanti a Dio, perché dona ad essi lo Spirito che vivifica. – « Quest’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dice S. Beda, è Adamo che rappresenta il genere umano. Gerusalemme è la città della pace celeste, della beatitudine dalla quale è stato allontanato per il peccato. I ladri sono il demonio e i suoi angeli nelle mani dei quali Adamo è caduto nella sua discesa. Questi lo spogliarono di tutto: gli tolsero la gloria dell’immortalità e la veste dell’innocenza.. Le piaghe che gli fecero, sono i peccati che, intaccando l’integrità dell’umana natura, fecero entrare la morte dalle ferite aperte. Lo lasciarono mezzo morto, perché se lo spogliarono della beatitudine della vita immortale, non riuscirono a togliergli l’uso della ragione colla quale conosceva Dio. Il sacerdote e il levita che, avendo veduto il ferito, passarono oltre, indicano i sacerdoti e i ministri dell’Antico Testamento che potevano solamente, con i decreti della legge, mostrare le ferite del mondo languente, ma non potevano guarirle, perché era loro impossibile – al dire dell’Apostolo – cancellare i peccati col sangue dei buoi e degli agnelli. Il buon Samaritano, parola che significa guardiano, e lo stesso Signore. Fatto uomo, s’è avvicinato a noi con la grande compassione che ci ha mostrata. L’albergo è la Chiesa ove Gesù stesso conduce l’uomo, ponendolo sulla cavalcatura perché nessuno, se non è battezzato, unito al corpo di Cristo, e portato come la pecora sperduta sulle spalle del buon Pastore, può far parte della Chiesa. I due danari sono i due Testamenti sui quali sono impressi il nome e l’effigie del Re eterno. La fine della legge è Cristo. Questi due denari furono dati all’albergatore il giorno dopo, perché Gesù il giorno seguente la sua risurrezione aprì gli occhi dell’intelligenza ai discepoli di Emmaus e ai suoi Apostoli perché comprendessero le sante Scritture. Il giorno seguente, infatti, l’albergatore, ricevette i due danari, come compenso delle sue cure verso il ferito perché lo Spirito Santo, venendo su la Chiesa, insegnò agli Apostoli tutte le verità perché potessero istruire le nazioni e predicare il Vangelo » (Omelia del giorno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

LXIX: 2-3
Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Ps LXIX: 4

Avertántur retrórsum et erubéscant: qui cógitant mihi mala.

[Vadano delusi e scornati coloro che tramano contro di me.]

Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, de cujus múnere venit, ut tibi a fidélibus tuis digne et laudabíliter serviátur: tríbue, quǽsumus, nobis; ut ad promissiónes tuas sine offensióne currámus.

[Onnipotente e misericordioso Iddio, poiché dalla tua grazia proviene che i tuoi fedeli Ti servano degnamente e lodevolmente, concedici, Te ne preghiamo, di correre, senza ostacoli, verso i beni da Te promessi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.

“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.

[“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia”].

TUTTO E NIENTE.

Alessandro Manzoni ha colto ancora una volta perfettamente nel segno quando parlando di Dio, come ce Lo ha rivelato N. S. Gesù Cristo, come noi lo conosciamo alla sua scuola, ha detto che Egli atterra e suscita; due gesti contradditori, all’apparenza, ed entrambi radicali. Quando fa le cose sue, Dio non le fa a mezzo: se butta giù, atterra, inabissa; e se tira su, suscita, sublima: a questo radicalismo, e a questa completezza d’azione divina corrisponde anche quello che s. Paolo dice nella lettera d’oggi, messo a riscontro di ciò che afferma altrove. Ecco qua: oggi San Paolo dice ciò che è verissimo che, cioè, noi da soli siam buoni a nulla: neanche a formare un piccolo pensiero. Nel concetto di San Paolo e di tutti, è la cosa a noi più facile, assai più facile volere che fare. Il pensiero è il primo gradino della scala, il più ovvio, il più semplice. Non importa: neanche quello scalino l’uomo può fare da sé, proprio da sé, ci vuole l’aiuto di Dio. Il quale dunque, è tutto Lui e noi di fronte a Lui siamo un bel niente, uno zero. È un fiero e giusto colpo assestato al nostro orgoglio che ci fa credere di essere un gran che e di potere fare noi, proprio noi, chi sa che cosa. L’uomo ha degli istinti orgogliosamente, dinamicamente, mefistofelici. Noi vorremmo essere tutto: noi ci illudiamo di poter fare tutto. E invece ogni nostra capacità viene da Dio: « sufficientia nostra ex Deo est. » Il che non vuol dire che questa capacità (sufficientia) non ci sia. C’è ricollegata con Dio. E allora San Paolo appoggiato a Dio, immerso nell’umile fiducia in Lui, tiene un tutt’altro linguaggio, che par una negazione ed è invece un’integrazione del precedente. «Omnia possum in Eo qui me confortat » io posso tuto in Colui che mi conforta; dal niente siamo passati al tutto. Lo stesso radicalismo. Prima, nessuna possibilità e adesso nessuna impossibilità. Prima l’uomo buttato a terra, proprio umiliato (humus, vuol dire terra), adesso esaltato fino alle stelle, proclamato in qualche modo onnipotente. La contradizione non c’è perché chi dice così non è lo stesso uomo che viene considerato, non è lo stesso uomo di cui si parla. L’uomo che non può tutto, che è la stessa impotenza, è l’uomo solo o piuttosto l’uomo isolato da Dio, lontano effettivamente ed affettivamente da Lui: ramo reciso dal tronco, tralcio separato dalla vite, ruscello a cui è stata tolta la comunicazione colla sorgente e che perciò non ha più acqua. L’uomo isolato così è sterile, infecondo nel bene, può scendere, non può salire. Ma riattaccatelo a Dio, mettetelo in comunicazione viva, piena, conscia, voluta, e la situazione si modifica dalla notte al giorno. L’anima che sente questo contatto nuovo, sente un rifluire in se stessa di nuove, sante, inesauste energie. Non poteva nulla senza il suo Dio, adesso può tutto unita a Lui. «Omnia possumin Eo quì me confortat. » E’ il grido magnanimoe non ribelle dei Santi, appunto perché la loro onnipotenza la ripetono da Dio, tutta e solo daLui. Solo realizzando spiritualmente quel nientee quel tutto, solo vivendo tutta quella umiltàe tutta questa fede, si raggiunge l’equilibriotra la sfiducia e la presunzione.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 2-3.

Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.

[Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]

V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.

[La mia anima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps LXXXVII: 2

Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja.

[O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc. X: 23-37

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”

[“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, o con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.”]

OMELIA

~DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933~ Visto nulla osta alla stampa.

Torino, 25 Novembre 1931. Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg. – Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).

Sull’amore del prossimo.

“Vade, et tu fac similiter”.

(Luc. X, 37).

Un dottore della legge, narra S. Luca, si presentò a Gesù Cristo dicendogli per tentarlo: “Maestro, che cosa bisogna fare per ottenere la vita eterna?„ Gesù Cristo gli rispose: u Che cosa sta scritto nella legge, che cosa vi leggi?„ E l’altro rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutte le tue forze: ed il prossimo tuo come te stesso.„ — “Hai risposto bene, gli replicò Gesù Cristo: va, fa questo, ed avrai la vita eterna.„ Il dottore gli domandò poi chi fosse il suo prossimo, e chi dovesse amare come se stesso. Gesù Cristo gli propose questa parabola: “Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico: cadde fra le mani dei ladri che non contenti di averlo spogliato, lo copersero di ferite e lo lasciarono mezzo morto sulla strada. Per caso passò di là un sacerdote che scendeva per la medesima via. Avendolo visto in così misero stato, non lo guardò nemmeno. Poi un levita, avendolo scorto, passò via parimente: ma un Samaritano che faceva la stessa strada, avendolo visto gli si avvicinò, e ne fu vivamente mosso a compassione: discese dal cavallo, e si mise ad aiutarlo con ogni suo mezzo. Lavò le sue ferite con olio e vino, le fasciò, e messolo sul suo cavallo lo condusse ad un albergo, dove ordinò al padrone di prenderne cura, dicendogli che se il danaro datogli non bastava, al ritorno gli darebbe ciò che avesse speso di più. „ Gesù Cristo disse al dottore “Quale dei tre credi tu sia stato prossimo a |quest’uomo che cadde nelle mani dei ladri?„ Il dottore gli rispose: “Credo sia colui che gli ha usato misericordia.„ — “Ebbene va, gli disse Gesù Cristo, fa altrettanto ed avrai la vita eterna.„ Ecco F. M., il modello perfetto della carità che dobbiamo avere pel nostro prossimo. Vediamo quindi, F. M., se abbiamo questa carità che ci assicura la vita Eterna. – Ma, per meglio farvene sentire la necessità, vi mostrerò che tutta la nostra religione non è che falsità, e tutte le nostre virtù non sono che larve, e noi non siamo che ipocriti davanti a Dio, se non abbiamo questa carità universale per tutti senza distinzione: cioè per i buoni come per i cattivi, per i poveri come per i ricchi, per tutti coloro che ci fanno del male come per coloro che ci fanno del bene. No, F . M., non vi è virtù che meglio della carità ci faccia conoscere se siamo figli di Dio! e l’obbligo che abbiamo di amare il nostro prossimo è così grande, che Gesù Cristo ce ne fa un comandamento, che mette subito dopo quello col quale ci ordina di amar Lui con tutto il nostro cuore. Ci dice che tutta la legge ed i profeti son compresi nel comando di amare Dio e il prossimo.(Matt. XXII, 40). Sì, F. M., dobbiamo considerare questo dovere come il più universale, il più necessario ed essenziale alla religione e alla nostra salvezza; perché adempiendo questo comandamento adempiamo tutti gli altri. S. Paolo ci dice che gli altri comandamenti ci proibiscono l’adulterio, il furto, le ingiurie e il dire il falso in testimonio: se amiamo il nostro prossimo non faremo niente di tutto questo, perché l’amore che portiamo al nostro prossimo non può soffrire che gli facciamo alcun male (Rom. XIII, 9, 10). Dico anzitutto, che: – 1° questo comandamento che ci ordina di amare il nostro prossimo, è il più necessario alla nostra salvezza, poiché S. Giovanni ci dice che se non amiamo i nostri fratelli, cioè gli uomini, siamo in istato di riprovazione. Vediamo altresì che Gesù Cristo ha tanto a cuore l’adempimento di questo comandamento, che ci dice che solo dall’amore che avremo gli uni per gli altri Egli ci riconoscerà per suoi figli (Giv. XIII, 35). – 2° Affermo inoltre, F. M., che questo obbligo così grande di amarci gli uni gli altri, ci è imposto perché abbiamo tutti il medesimo Creatore, tutti la stessa origine; siamo tutti d’una stessa famiglia, della quale Gesù Cristo è il padre, e tutti portiamo la sua immagine e somiglianza; siamo tutti creati per uno stesso fine, che è la gloria eterna; e tutti fummo redenti dalla passione e morte di Gesù Cristo. Dopo di ciò, F. M., non possiamo rifiutarci di amare il nostro prossimo, senza offendere Gesù Cristo in persona che ce lo comanda sotto minaccia di dannazione eterna. S. Paolo ci dice che avendo tutti una stessa speranza, la vita eterna, uno stesso Signore, una stessa fede, uno stesso battesimo ed uno stesso Dio che è Padre di tutti gli uomini, dobbiamo amare tutti gli uomini come noi stessi se vogliamo piacere a Gesù Cristo e salvare le anime nostre (Ephes. IV, 2-6). Ma, forse chiederete, in che consiste adunque l’amore che dobbiamo al nostro prossimo?

— F. M., esso consiste in tre cose:

1 ° nel voler il bene di tutti; 2° nel farne loro ogni qual volta il possiamo; 3° nel sopportare, scusare e nascondere i loro difetti. Ecco, F. M., la vera carità dovuta al prossimo, ed il vero segno d’una vera carità, senza la quale non possiamo né piacere a Dio né salvare le anime nostre.

1° Dobbiamo desiderare bene a tutti, e sentirci afflitti davvero quando sappiamo che accade al nostro prossimo qualche sventura, perché dobbiamo considerare tutti gli uomini, anche i nemici, come nostri fratelli: dobbiamo usare maniere belle ed affabili verso tutti: non invidiare coloro che stanno meglio di noi; amare i buoni per le loro virtù, ed i cattivi perché diventino buoni: augurare la perseveranza ai primi e la conversione ai secondi. Se un uomo è gran peccatore, possiamo odiare il peccato che è opera dell’uomo e del demonio; ma bisogna amare l’uomo che è immagine di Dio.

2° Dobbiamo far del bene a tutti, almeno quanto possiamo: e lo si fa in tre maniere, che si riferiscono ai beni del corpo, dell’onore e dell’anima. Riguardo ai beni del corpo non dobbiamo mai recar danno al prossimo, né impedirgli di fare un guadagno anche se questo potesse esser nostro. Non vi sono cristiani così accetti a Dio come quelli che hanno compassione pei disgraziati. Vedete S. Paolo: ci dice che piangeva coi piangenti, e gioiva con chi era contento. Quanto all’onore del prossimo, dobbiamo guardarci bene dal nuocere alla sua riputazione con maldicenze e molto meno con calunnie. Se possiamo impedire quelli che parlano male, dobbiamo farlo; se non possiamo, dobbiamo lasciarli od almeno dire tutto il bene possibile di quelle persone. Ma quanto ai beni dell’anima, che sono cento volte più preziosi di quelli del corpo, possiamo loro procurarli pregando per loro, allontanandoli dal male coi nostri consigli, e soprattutto coi buoni esempi: vi siamo specialmente obbligati verso coloro coi quali viviamo. I padri e le madri, i padroni e le padrone vi sono obbligati in modo particolare per il conto che dovranno rendere a Dio dei loro figli e dei loro servi. Ahimè! F. M., si può dire che i padri e le madri amano i loro figli, quando li vedono vivere così indifferenti per ciò che riguarda la salvezza delle anime loro, e non muovono un dito? Ahimè! F. M., un padre ed una madre, che avessero la carità che debbono avere pei loro figli, potrebbero vivere senza piangere dì e notte sullo stato miserando dei loro figliuoli che sono in peccato, che vivono, purtroppo, da reprobi, che non sono più pel cielo, ma sono invece per l’inferno? … Ahimè! F. M., come desidereranno di procurare la loro salvezza se non pensano neppure alla propria? Davvero, F. M., quanti padri e madri che dovrebbero gemere e pregare continuamente per la condizione dei loro miseri figli, li distraggono invece dal bene e li avviano al male parlando ad essi dei torti, delle offese, delle ingiurie, che hanno loro detto o fatto i vicini, della lor mala fede, dei mezzi impiegati per vendicarsi: il che spinge spesso i figli a volersi essi pure vendicare, od almeno a conservare l’odio nel cuore. Oh! F. M., quanto i primi Cristiani erano ben lontani da ciò, perché comprendevano il valore di un’anima! F. M., se un padre ed una madre conoscessero il valore d’un’anima, potrebbero con tanta indifferenza lasciar perdere quelle dei loro figli o domestici? Potrebbero far loro trascurare la preghiera, per farli lavorare? Avrebbero il coraggio di farli mancare alle sacre funzioni? Mio Dio! che risponderanno a Gesù Cristo quand’Egli mostrerà loro che hanno preferito una bestia all’anima dei loro figli? Ah! che dico? un pugno di fieno! O povera anima, quanto poco sei stimata! No, no, F. M., questi padri e queste madri ciechi ed ignoranti, giammai hanno compreso che la perdita dell’anima è un male più grande che la distruzione di tutte le creature che esistono sulla terra. Giudichiamo, F. M., della dignità d’un’anima da quella degli Angeli: un Angelo è così perfetto che quanto vediamo sulla terra od in cielo è meno d’un grano di polvere in confronto al sole: eppure per quanto perfetti siano gli Angeli, non hanno costato a Dio che una parola: mentre un’anima ha costato il prezzo del suo Sangue adorabile. Il demonio per tentare il Salvatore gli offerse tutti i regni del mondo, dicendogli: “Se vuoi prostrarti davanti a me, ti darò tutti questi beni (Matt. IV, 9): „ il che ci mostra che un’anima è infinitamente più preziosa agli occhi di Dio, ed anche del demonio, che non tutto l’universo con quanto contiene (Matt. XVI, 26). Ah! quale vergogna per questi padri e queste madri che stimano l’anima dei loro figli meno di quanto le stima il demonio stesso! Sì, F. M., la nostra anima ha un valore così grande che, dice S. Giovanni Crisostomo, se vi fosse stato anche un sol uomo sulla terra, la sua anima è così preziosa agli occhi di Gesù Cristo, che non avrebbe stimato indegno di sé il morire per salvarla. ” Sì, dice egli, un’anima è sì cara al suo Creatore, che, se essa l’amasse, Egli annienterebbe i cieli piuttosto che lasciarla perire.„ — ” 0 mio corpo, esclamava S. Bernardo, quanto sei onorato di albergare un’anima così bella! „ Ditemi, F. M., se foste stati ai piedi della croce, ed aveste raccolto in un vaso il Sangue adorabile di Gesù Cristo, con qual rispetto l’avreste conservato? Ora, F. M., dobbiamo avere altrettanto rispetto e cura per conservare l’anima nostra, perché essa è costata tutto il sangue di Gesù Cristo. “Dacché ho riconosciuto, ci dice S. Agostino, che la mia anima è stata redenta col sangue d’un Dio, ho deciso di conservarla a costo pure della mia vita, e di non ridonarla mai al demonio col peccato. „ Ah! padri e madri, se foste ben convinti che siete i custodi delle anime dei figli vostri, potreste lasciarle perire con tanta indifferenza? Mio Dio, quante persone dannate per aver lasciato perdere qualche povera anima, ciò che, volendo, avrebbero potuto impedire! No, F . M., non abbiamo la carità che dovremmo avere gli uni per gli altri, e soprattutto pei nostri figli e domestici. – Leggiamo nella storia che al tempo dei primi Cristiani, quando gli imperatori pagani li interrogavano per sapere chi fossero, rispondevano: “Ci domandate che cosa siamo, eccolo: non formiamo che un solo popolo ed una sola famiglia, unita insieme dai vincoli della carità: Quanto ai nostri beni, sono tutti in comune: chi ha dà a chi non possiede; nessuno si lamenta, nessuno si vendica, nessuno dice male dell’altro o fa male ad alcuno. Noi preghiamo gli uni per gli altri, ed anche per i nemici; invece di vendicarci facciamo del bene a chi ci fa del male, benediciamo quelli che ci maledicono. „ Ah! F. M., dove sono quei tempi felici? Ahimè! quanti Cristiani al presente non hanno che amore per se stessi, niente pel prossimo! –  Volete sapere, F. M., che cosa sono i Cristiani dei nostri giorni? Ecco, ascoltatemi. Se due persone maritate sono del medesimo umore, dello stesso carattere, ovvero hanno le medesime inclinazioni, voi le vedete che amandosi vivono insieme: questo non è cosa rara. Ma se l’umore od il carattere non si accordano, non v’è più pace, amicizia, carità, prossimo. Ahimè! F. M., sono Cristiani che non hanno che una falsa religione: amano il loro prossimo solo quando esso possiede le loro inclinazioni, o favorisce i loro sentimenti ed interessi, altrimenti non possono più vedersi, né tollerarsi in compagnia: bisogna separarsi, si dice, per avere la pace e salvare l’anima propria. Andate, poveri ipocriti, andate, separatevi da quelli che non sono, come dite, del vostro carattere, e coi quali non potete vivere: non potete allontanarvi tanto da essi quanto già lo siete da Dio. Andate, la vostra religione non è che apparenza, e voi stessi non siete che dei riprovati. Non avete mai conosciuto né la vostra religione, né ciò che vi comanda, nè la carità che dovete avere pel vostro fratello per piacere a Dio e salvarvi. Non è difficile amare quelli che ci amano, e che sono del nostro parere in quanto diciamo o facciamo, perché in ciò non facciamo nulla di più dei pagani, che facevano altrettanto. S. Giacomo ci dice (Giac. II, 2, 3): “Se fate bella accoglienza ad un ricco, e disprezzate il povero; se salutate con garbo chi vi ha fatto del bene, mentre appena salutate chi vi ha insultato, voi né adempite la legge, né avete la carità che dovete avere: non fate niente di più di coloro che non conoscono il buon Dio. „ — Ma, mi direte, come dobbiamo adunque amare il nostro prossimo? — Eccolo. S. Agostino ci dice che dobbiamo amarlo come Gesù Cristo ci ama: Egli non ha ascoltato né la carne né il sangue, ma ci ha amati per santificarci e meritarci la vita eterna. Noi dobbiamo augurare e desiderare al nostro prossimo tutto il bene che possiamo desiderare per noi stessi. Sì, F. M., non conosceremo di essere sulla strada del cielo e di amare veramente il buon Dio, se non quando trovandoci con persone interamente opposte al nostro carattere e che sembrano contraddirci in tutto, tuttavia le amiamo come noi stessi, le vediamo di buon grado, ne parliamo bene e mai male, cerchiamo la loro compagnia, le preveniamo, e rendiamo loro servizi, a preferenza di tutti quelli che ci interessano e non ci contraddicono in nulla. Se facciamo questo, possiamo sperare che l’anima nostra sia nell’amicizia di Dio, e che amiamo il nostro prossimo cristianamente. Ecco la regola ed il modello che Gesù Cristo ci ha lasciato e che tutti i santi hanno riprodotto: non inganniamoci, non v’ha altra via che ci conduca al cielo. Se non fate questo, non dubitate un solo istante che voi camminate per la via della perdizione. Andate, poveri ciechi: pregate, fate penitenza, assistete alle funzioni sacre, frequentate i Sacramenti tutti i giorni, se vi piace: date tutta la vostra sostanza a quelli che vi amano, non per questo sfuggirete d’andar a bruciare nell’inferno dopo la vostra vita! Ahimè!F. M., quanto è scarsa la vera divozione, quante divozioni invece di capriccio, d’inclinazione! Vi sono di quelli che danno tutto, e sono pronti a tutto sacrificare, quando si tratta di persone che loro convenga di trattar così o che essi amano. Ahimè! pochi hanno quella carità che piace a Dio e conduce al cielo! F. M., volete un bell’esempio dicarità cristiana? eccovene uno che potrà servirvi di modello per tutta la vostra vita. Si racconta nella storia dei Padri del deserto (Vita dei Padri del deserto, t. IV, pag. 23. Storia di Eulogio d’Alessandria e del suo lebbroso), che un solitario incontrò un giorno per via un povero storpio, coperto di ulceri e di putredine: era in istato così miserabile da non poter né guadagnarsi la vita, e neppur trascinarsi. Il solitario, mosso a compassione, lo portò nella sua colletta, e gli diede tutti i conforti possibili. Avendo il povero riprese le forze, il solitario gli disse: “Volete, fratello mio, restare con me? farò quanto potrò per nutrirvi, e pregheremo e serviremo il buon Dio insieme. „ — “Oh! qual gioia mi date., dissegli il povero; quanto son felice di trovare nella vostra carità un sollievo alla mia miseria!„ Il solitario che stentava già tanto a guadagnarsi da vivere, raddoppiò il lavoro per poter nutrire il povero il meglio che potesse, ed assai meglio di se stesso. Ma, dopo qualche tempo, il povero cominciò a mormorare contro il suo benefattore, lamentandosi che lo nutriva troppo male. ” Ahimè! caro amico, gli disse il solitario, vi nutro meglio di me, non posso fare di più per voi. „ Alcuni giorni dopo, l’ingrato ricominciò i suoi lamenti, e lanciò contro il benefattore un torrente d’ingiurie. Il solitario soffrì tutto con pazienza, senza rispondere. Il povero si vergognò d’aver parlato in tal modo ad un uomo così santo, che non gli faceva che del bene, e gli domandò scusa. Ma ricadde bentosto nelle stesse impazienze, e concepì un tal odio contro il buon solitario, che nol poteva più sopportare. “Sono stanco di vivere con te, voglio che tu mi riporti dove m’hai trovato; non son uso ad esser nutrito così male… Il solitario gli domandò perdono, promettendogli che cercherebbe di trattarlo meglio. Il buon Dio gli ispirò d’andare da un caritatevole benestante vicino per domandargli del cibo migliore pel suo storpio. Il benestante, mosso a compassione, gli disse di venire ogni giorno a prendere il vitto. Il povero sembrò contento: ma dopo alcune settimane, ricominciò a fare nuovi e pungenti rimproveri al solitario. ~ Va, gli diceva, tu sei un ipocrita, fai mostra di cercar l’elemosina per me, ed invece lo fai per te: tu mangi la parte migliore di nascosto, e non mi dai che i tuoi avanzi. „ — “Ah! amico mio, dissegli il solitario, mi fate torto. vi assicuro che non domando mai niente per me , che non tocco neppur un briciolo di quanto mi si dà per voi: se non siete contento dei servizi che vi rendo, abbiate almeno pazienza per amore di Gesù Cristo, aspettando ch’io faccia meglio. „ — ” Va, rispose il povero, non ho bisogno delle tue esortazioni, „ e, preso un sasso, lo scagliò alla testa del solitario, che appena poté evitarlo. Di poi il tristo preso un grosso bastone, di cui servivasi per trascinarsi, gli diede un colpo così forte da gettarlo a terra. “Il buon Dio vi perdoni, dissegli il solitario; da parte mia, per amor di Gesù Cristo vi perdono i cattivi trattamenti che mi usate. „ — “Dici che mi perdoni, ma non è che a fior di labbra; perché so che tu vorresti vedermi morto. „ — “Vi assicuro, amico mio, dissegli dolcemente il solitario, che è con tutto il mio cuore che vi perdono. „ E volle abbracciarlo per dimostrargli che l’amava. Ma il miserabile lo prese alla gola, gli graffiò il viso colle unghie, e tentava strangolarlo. Essendosi il solitario svincolato dalle sue mani, il povero gli disse: “Va pure, ma non morrai che per mano mia. „ Il solitario, sempre preso da compassione e ripieno di carità veramente cristiana, portò pazienza con lui per tre o quattro anni. Durante questo tempo, Dio solo seppe quanto ebbe a soffrire da parte del povero. Questi gli diceva ad ogni momento di riportarlo al luogo dove l’aveva trovato, che preferiva morir di fame o di freddo, od esser divorato dalle belve piuttosto che vivere con lui. Il solitario non sapeva a qual partito appigliarsi: da una parte, la carità gli dimostrava che, riportandolo al posto dove l’aveva trovato, sarebbe morto di miseria: dall’altra, temeva di perder la pazienza nella prova. Pensò d’andar a consultare S. Antonio sul partito da prendere per essere più accetto a Dio: non temeva né le pene, né gli oltraggi che riceveva in cambio dei suoi benefizi; ma voleva soltanto conoscere la volontà di Dio. Arrivato da sant’Antonio, prima ancora di parlare, questi inspirato dallo Spirito Santo, gli disse : “Ah! figlio mio, so che cosa ti conduce qui, e perché vieni a trovarmi. Guardati bene dal seguire il pensiero che hai di mandar via quel povero: è una cattiva tentazione del demonio che vuol rapirti la corona: se avessi la sventura di abbandonarlo, figlio mio, non l’abbandonerebbe il buon Dio. „ Sembrava, a quanto dissegli S. Antonio, che la sua salvezza dipendesse dalle cure che aveva pel poveri. “Ma, padre mio, dissegli il solitario, temo di perdere la pazienza. „ — ” E perché la perderesti, figliuol mio? gli replicò S. Antonio: non sai che è appunto verso quelli che ci trattano peggio, che dobbiamo esercitare la nostra carità più generosamente? Figlio mio dimmi, qual merito avresti esercitando la pazienza con chi non ti facesse mai alcun male? Non sai tu che la carità è una virtù coraggiosa, che non guarda i difetti di chi ci fa soffrire, ma invece guarda Iddio solo? Quindi, figlio mio, ti impegno assai a custodire questo povero: più è cattivo, più devi averne pietà: quanto gli farai per carità, Gesù Cristo lo riterrà fatto a se stesso. Mostra colla tua pazienza che sei discepolo d’un Dio che ha patito. Ricordati che dalla pazienza e dalla carità si conosce il Cristiano. Considera questo povero come quegli di cui vuol servirsi Iddio per farti guadagnare la tua corona. „ Il solitario fu soddisfattissimo di udire da quel gran santo ch’era volontà di Dio ch’ei custodisse il suo povero, e che quanto faceva per luì era assai accetto al Signore. Ritornò presso il suo povero, e dimenticando tutte le ingiurie ed i maltrattamenti ricevuti sino allora, mostrò verso di lui una carità senza limiti, servendolo con una umiltà ammirabile, e non cessando di pregare per lui. Il buon Dio vide nel giovane solitario tanta pazienza e carità che gli convertì il povero: e con questo mostrò al suo servo, quanto gli fosse gradito tutto quello che aveva fatto, perché concesse all’infelice la conversione e la salvezza. Che ne pensate, F. M.? E questa una carità cristiana, sì o no? Oh! quanto quest’esempio nel gran giorno del giudizio confonderà i Cristiani che non vogliono neppur soffrire una parola, sopportare per otto giorni il cattivo carattere d’una persona senza mormorare, e forse volerle male. Bisogna lasciarsi, si dice bisogna separarsi per aver la pace. O mio Dio, quanti Cristiani si dannano per mancanza di carità! No, no, F. M., faceste anche miracoli, non andrete mai salvi, se non avete la carità. F. M., non aver carità è non conoscere la propria religione: è avere una religione di capriccio, stravagante, e volubile. Andate, non siete che ipocriti e riprovati! Senza la carità giammai vedrete Dio, giammai vedrete il cielo… Date i vostri beni, fate grandi elemosine a quelli che v’amano o vi piacciono, ascoltate tutti i giorni la santa Messa, comunicatevi anche, se vi piace ogni dì: non siete che ipocriti e riprovati: continuate la vostra strada e ben presto vi troverete all’inferno! … Non potete sopportare i difetti del vostro prossimo, perché è troppo noioso, non vi piace starvene con lui. Andate, andate pure, disgraziati, non siete che ipocriti, non avete che una falsa religione, la quale, con tutto il bene che fate, vi condurrà all’inferno. Mio Dio! Come è rara questa virtù! Ahimè! è così rara come sono rari quelli che andranno in cielo. Non amo vederli, mi direte: in chiesa, mi causano distrazioni con ogni loro atto. — Ah! disgraziato; di’ piuttosto che non hai carità, che sei un miserabile, che ami solamente quelli che s’accordano coi tuoi sentimenti od interessi, che non ti contraddicono in nulla, e ti adulano per le tue buone opere, che usano ringraziarti dei tuoi benefici, e ti ricambiano con la riconoscenza. – Voi farete di tutto per costoro, non vi rincresce neppur di privarvi del necessario por soccorrerli: ma se vi disprezzano, se vi contraccambiano con ingratitudini, non li amate più, non volete più vederli, fuggite la loro compagnia: nei colloquii che avete con loro, tagliate corto. Mio Dio! quante false divozioni che devono condurci tra i riprovati! Se ne dubitate, F. M., ascoltate S. Paolo, che non può ingannarvi: “Se donassi, egli dice, ogni mio avere ai poveri, se facessi miracoli risuscitando i morti, ma non avessi la carità, non sono altro che un ipocrita (1 Cor. XIII, 3). „ Ma per meglio convincervene, percorrete tutta la passione di N. Signore Gesù Cristo, vedete tutte le vite dei Santi, non ne troverete alcuno che non abbia questa virtù, cioè che non abbia amato quelli che lo ingiuriavano, che gli volevan male, che lo ricambiavano d’ingratitudine nei suoi benefizi. No, no, non ne vedrete uno, che non abbia preferito far del bene a chi gli abbia fatto qualche torto. Vedete S. Francesco di Sales, che ci dice che se avesse un’opera buona soltanto da fare, sceglierebbe chi gli ha fatto qualche oltraggio, piuttosto che uno da cui avesse ricevuto qualche servigio. Ahimè! F. M., una persona che non ha la carità quanto va innanzi nel male! Se alcuno le ha fatto qualche torto, vedetela esaminare ogni sua azione: le giudica, le condanna, le volge in male, credendo sempre d’aver ragione. — Ma, mi direte, tante volte, si vede che agiscono male, non si può pensar diversamente. — Amico mio, non avendo carità, credi che facciano male: ma se avessi la carità, penseresti ben diversamente, perché crederesti sempre che puoi ingannarti, come spesso avviene: e per convincervene, eccovi un esempio, che vi prego di non iscancellar dalla vostra mente, specialmente quando vi verrà il pensiero che il vostro prossimo faccia male. – Si racconta nella storia dei Padri del deserto (Vita dei Padri del deserto, t. VIII, pag. 244, S. Simeone, soprannominato Sal, o Salus. cioè lo Stravagante), che un solitario chiamato Simeone, dopo essere stato più anni nella solitudine, ebbe il pensiero di andare nel mondo: ma domandò a Dio che giammai gli uomini potessero conoscere le sue intenzioni. Avendogli Dio accordata questa grazia, andò nel mondo. Faceva il pazzo, liberava gli ossessi dal demonio, guariva gli ammalati: entrava nelle case delle donne di mala vita, faceva loro giurare che non avrebbero amato altri che lui, dando loro tutto il denaro che aveva. Ognuno lo teneva per un solitario impazzito. Si vedeva ogni giorno quest’uomo, che aveva più di settant’anni, giuocare coi fanciulli per le vie: altre volte si gettava in mezzo ai balli pubblici per danzare cogli altri, dicendo loro qualche parola che mostrasse il male che facevano. Ma tutto ciò si considerava come cosa che veniva da un pazzo, non raccoglieva che disprezzi. Altre volte saliva sui teatri, e gettava pietre su quelli ch’erano sotto. Quando vedeva qualche ossesso dal demonio, si metteva in sua compagnia e imitava l’ossesso come se lo fosse egli pure. Lo si vedeva correre per le osterie, accompagnarsi cogli ubbriachi: nei mercati si rotolava per terra, e faceva mille altre cose assai stravaganti. Tutti lo condannavano, lo disprezzavano; gli uni lo stimavano pazzo, gli altri un libertino ed un cattivo soggetto, meritevole solo della prigione. Eppure, F. M., malgrado ciò, era un santo, che cercava solo il disprezzo, e di guadagnare anime a Dio, sebbene il mondo lo giudicasse male. Il che ci mostra che sebbene le azioni del nostro prossimo ci appariscano cattive, non dobbiamo giudicarle male. Spesso le giudichiamo cattive, mentre agli occhi di Dio non sono tali. Ah! chi avesse la fortuna di possedere la carità, questa bella ed incomparabile virtù, si guarderebbe dal giudicare il suo prossimo e dal volergli male! — Ma, direte, il suo carattere: è troppo cattivo, non si può sopportarlo. — Voi non potete sopportarlo, amico mio; credete dunque d’essere un santo e senza difetti? povero cieco! vedrete un giorno che ne avete fatto soffrire più voi a coloro che vi stanno intorno, che non essi a voi. Ècosa solita che i cattivi credono di non far soffrire nulla agli altri, e che debbono tutto soffrire dagli altri. Mio Dio, quanto l’uomo è cieco, quando la carità non trovasi nel suo cuore! D’altra parte, se non aveste nulla da soffrire da coloro che vivono con voi, che cosa avreste da presentare al buon Dio? — Quando, dunque, si potrà conoscere di essere sulla strada che conduce al cielo? — No, no, F. M., finché non amerete coloro che sono d’umore, di carattere differente dal vostro, ed anche coloro che vi contraddicono in quanto fate, sarete solo un ipocrita, mai un buon cristiano. Fate, finché volete tutte le altre opere buone; esse non vi impediranno d’andar dannati. Del resto vedete la condotta che tennero i santi, e come si diportarono col prossimo: ed eccovi un esempio che ci mostra come questa virtù sola, sembra assicurarci il cielo. Narrasi nella storia che un solitario, il quale aveva condotto una vita assai imperfetta, almeno in apparenza ed agli occhi del mondo. si trovò all’ora della morte così contento e consolato, che il superiore ne fu sorpreso. Pensando fosse un inganno del demonio, gli domandò donde potesse venirgli tale contentezza, sapendo benissimo che la sua vita non poteva troppo rassicurarlo, considerato che i giudizi di Dio sono così terribili, anche pei più perfetti. “È vero, Padre mio, dissegli il morente; io non ho fatto opere straordinarie, anzi quasi nulla di bene: ma ho cercato in tutta la mia vita di praticare quel gran precetto del Signore, che è quello d’amar tutti, di pensar bene di tutti, di sopportare i difetti, di scusarli, di render loro servizi; io l’ho fatto tutte le volte che n’ebbi occasione: ho procurato di non far mai male ed alcuno, di non parlar male, e di pensar bene di tutti: ecco, Padre mio, ecco quanto forma tutta la mia consolazione e speranza in questo momento, e che, malgrado le mie imperfezioni, mi dà fiducia che il buon Dio avrà pietà di me. „ Il superiore ne fu così meravigliato, che esclamò con trasporto di ammirazione: “Mio Dio! quanto questa virtù è bella e preziosa agli occhi vostri. „ — “Andate, figlio mio, disse al solitario, avete tutto fatto ed adempiuto osservando questo comandamento: andate, il cielo per voi è sicuro. „ Ah! F. M., se conoscessimo bene questa virtù, e quale ne sia il valore davanti a Dio, con quanta premura coglieremmo tutte le occasioni per praticarla, poiché essa racchiude tutte le altre, e ci assicura così facilmente il cielo! No, no, F. M., non saremo che ipocriti, finché questa virtù non accompagnerà tutte le nostre azioni. Ma, penserete tra voi, donde nasce che non abbiamo questa carità, mentr’essa ci rende felici anche in questo mondo per la pace e l’unione che regnano tra coloro che hanno la gran fortuna di possederla ? — F. M., tre cose ce la fanno perdere, cioè: l’avarizia, l’orgoglio e l’invidia. — Ditemi: perché non amate quella persona? — Ahimè! perché non ne avete alcun interesse: avrà detto qualche parola o fatto qualche cosa che non vi piacque: ovvero le avete domandato qualche favore che vi ha rifiutato: ovvero avrà fatto qualche guadagno che speravate voi: ecco ciò che vi impedisce d’amarla come dovreste. E non pensate che, finché non amerete il vostro prossimo, cioè tutti gli uomini, come vorreste essere amati voi, siete un, che se aveste a morire sareste dannato. Eppure vi piace ancora nutrire nel vostro cuore sentimenti che non son davvero caritatevoli; fuggite quelle persone; ma badate bene, amico mio, che anche il buon Dio non vi fugga. Non dimenticate che finché non amate il vostro prossimo, Dio è in collera con voi: se veniste a morire, vi precipiterebbe subito nell’inferno. Mio Dio! si può vivere coll’odio nel cuore ? Ahimè! amico mio, voi siete davvero abbominevole agli occhi di Dio, se siete senza carità. È perché vedete dei grandi difetti nel vostro vicino? Ebbene, amico mio, siate ben persuaso che ne avete anche voi; e forse più grandi agli occhi di Dio, e che non conoscete. E vero che non dobbiamo amare i difetti ed i vizi del peccatore; ma dobbiamo amare la persona; perché sebbene peccatore, non cessa d’essere una creatura di Dio, fatta a sua immagine. Se non volete amare che coloro che non hanno difetti, non amereste nessuno, perché nessuno è senza difetti. Ragioniamo, F. M., un po’ più da Cristiani: più un Cristiano è peccatore, più è degno di compassione e d’aver un posto nel nostro cuore. No, P. M., per quanto cattivi siano coloro coi quali viviamo, non dobbiamo odiarli: ma, ad esempio di Gesù Cristo, amarli più di noi stessi. Vedete come Gesù Cristo, nostro modello, si è comportato coi suoi nemici: ha pregato per loro, e per loro è morto. Chi ha indotto gli apostoli attraversare i mari, ed a finire la vita col martirio? Non fu l’amore per gli uomini? Vedete la carità di S. Francesco Zaverio, che abbandona la patria ed i beni, per andar ad abitare tra i barbari, che gli fanno soffrire quanto è possibile far soffrire ad un Cristiano, salvo la morte. Vedete S. Abramo, un solitario, che abbandona la solitudine per andare a predicare la fede in un paese, dove nessuno aveva potuto farla ricevere. Non fu la sua carità causa ch’ei fosse battuto, e trascinato per terra fino ad esservi abbandonato mezzo morto? Non poteva lasciarli nella loro cecità? Sì, senza dubbio; ma la carità, il gran desiderio di salvare quelle povere anime gli fece soffrire tutte queste ingiurie (Vita dei Padri del deserto, t. VIII, pag. 165, s. Abramo, prete e solitario). Sì, F. M., chi ha la carità non vede i difetti del fratello, ma soltanto la necessità di aiutarlo a salvar l’anima a qualunque costo. Aggiungo inoltre, che se amiamo davvero il nostro prossimo ci guarderemo dallo scandalizzarlo, o far cosa che possa distoglierlo dal bene e portarlo al male. Sì, F. M., dobbiamo amar tutti, e a tutti far del bene quanto possiamo e per l’anima e pel corpo: perché Gesù Cristo ci dice, che quando facciamo qualche bene al prossimo nel suo corpo, lo facciamo a Lui stesso: quindi, a più forte ragione, quando l’aiutiamo a salvar l’anima. Non dimentichiamo mai queste parole che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo: “Venite, benedetti del Padre mio, ebbi fame, e mi deste da mangiare, ecc. (Matt. XXV, 34). „ Vedete la carità di san Serapione, che lasciò il suo abito per donarlo ad un povero: ne incontrò un altro, gli diede la sottoveste: non restandogli che il libro del Vangelo, va a venderlo per poter ancora dare. Un discepolo gli domandò chi l’avesse cosi spogliato. Rispose, che avendo letto nel suo libro: “Vendete, date quanto avete ai poveri, ed avrete un tesoro in cielo: perciò ho venduto anche il libro. „ Andò ancora più innanzi, diede se stesso ad una povera vedova perché lo vendesse, e ne ricavasse di che nutrire i suoi figli: e, condotto fra i barbari, ebbe la lieta sorte di convertirne buon numero. Oh! bella virtù! se avessimo la felicità di possederti, quante anime condurremmo al buon Dio!… Quando S. Giovanni l’Elemosiniere pensava a questa bella azione di S. Serapione: “Credetti, diceva a’ suoi amici, d’aver fatto qualche cosa, dando tutto il mio denaro ai poveri: ma ho riconosciuto che non ho ancora fatto nulla, perché non ho dato me stesso come il beato Serapione, che si vendé per nutrire i figli della vedova „ (Vita dei Padri del deserto, t. IV, pag. 49. S. Serapione il Sindonita). – Concludiamo, P . M., che la carità è una delle più belle virtù, e che più d’ogni altra ci assicura l’amicizia del buon Dio: colle altre virtù, possiamo essere ancora sulla strada dell’inferno: ma con la carità, che è universale, che non fuge, che ama i nemici come gli amici, che fa del bene a chi cifa del male, come a chi ci fa del bene! Chi la possiede è sicuro che il cielo è suo!… È la felicità ch’io vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Exod XXXII: 11;13;14

Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo. [Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CIII: 13; 14-15

De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet.

[Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]

 Postcommunio

Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUI COMANDAMENTI DI DIO”

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sui Comandamenti di Dio.

Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo.

(Deut. VI, 5).

Perché, Fratelli miei, il Signore ci fa un precetto di amarlo con tutto il nostro cuore, cioè senza restrizioni, e come egli stesso ci ha amati, con tutta l’anima nostra e con tutte le nostre forze; promettendoci una ricompensa eterna, se saremo fedeli, ed una eterna punizione se verremo meno? Per due ragioni:

1° per mostrarci la grandezza del suo amore;

2° per farci intendere che non possiamo essere felici se non amandolo, giacché in sostanza questo amore non consiste in altra cosa che nell’adempire i suoi comandamenti. Sì, F. M., se tanti mali ci opprimono in questo mondo è perché noi violiamo i comandamenti di Dio: poiché Egli stesso ci dice: “Se voi osserverete fedelmente i miei comandamenti io vi benedirò in mille maniere; ma se li trasgredirete, sarete maledetti in ogni opera vostra (Deuter. XXVIII)„ Perciò, F. M., se vogliam o essere felici in questo mondo, almeno per quanto è possibile l’esserlo, non abbiamo altro mezzo che osservare con fedeltà i comandamenti di Dio: all’incontro, finche ci allontaneremo dal sentiero che i suoi comandamenti ci hanno segnato saremo sempre infelici nell’anima e nel corpo, in questo mondo e nell’altro. Eccovi adunque ciò ch’io intendo dimostrarvi, F. M., che la nostra felicità è legata alla nostra fedeltà nell’osservare i comandamenti che Dio ci ha dati.

I . — Se apriamo i Libri santi, F. M., troviamo che tutti coloro che si fecero un dovere di osservare con esattezza quello che i comandamenti di Dio prescrivevano furono sempre felici; perché è certissimo che il buon Dio non abbandonerà mai chi fa tutto ciò ch’Egli comanda. Il nostro primo padre, Adamo, ce ne dà un bell’esempio. Finché restò fedele nell’osservare gli ordini del Signore, fu felice sotto ogni rapporto: il suo corpo, la sua anima, il suo spirito e tutti i suoi sensi non avevano altra aspirazione che Dio: gli angeli medesimi discendevano volentieri dal cielo per tenergli compagnia. Così avrebbe continuato il benessere dei nostri progenitori, se fossero stati fedeli ai loro obblighi: ma questa felicissima condizione non durò a lungo. Il demonio, invidioso di tale felicità, li rovinò ben presto, lasciandoli privi di tutti quei beni che dovevano durare per tutta l’eternità. Da quando sventuratamente trasgredirono i comandi del Signore, tutto andò a rovescio per loro: gli affanni, le malattie, il timore della morte, del giudizio e di un’altra vita infelice presero il posto della loro prima felicità: la loro vita non fu altro che una vita di lagrime e di dolori. Il Signore disse a Mosè: “Di’ al mio popolo che se esso è fedele nell’osservare i miei comandamenti, io lo colmerò di ogni benedizione: ma se osa trasgredirli, io l’opprimerò con ogni sorta di mali.„  (Drut. XXVIII). Il Signore disse ad Abramo: “Perché tu sei fedele nel custodire i miei comandi, io ti benedirò in tutto: io moltiplicherò i tuoi figli come i grani di sabbia che sono sulla riva del mare. Benedirò tutti coloro che ti benediranno: maledirò tutti coloro che ti malediranno: dalla tua schiatta nascerà il Salvatore del mondo.„ (Gen. XXII, 16). Egli fece dire al suo popolo quando stava per entrare nella terra promessa: « I popoli che abitano questa terra hanno commesso grandi peccati: perciò voglio scacciarli per mettervi al loro posto. Ma guardatevi bene dal violare i miei comandamenti. Se voi sarete fedeli nell’osservarli vi benedirò in tutto e dappertutto. – Quando sarete nei vostri campi, nelle vostre città e nelle vostre case, benedirò i vostri figli, i quali vi ameranno, vi rispetteranno, vi obbediranno e vi daranno ogni sorta di consolazioni. Benedirò i vostri frutti ed il vostro bestiame. Comanderò al cielo di darvi la pioggia a tempo opportuno, quanta ne occorrerà per innaffiare le vostre terre ed i vostri prati: tutto vi sarà favorevole „ In altro luogo, Egli dice loro: “Se custodirete fedelmente i miei comandi, io veglierò sempre alla vostra conservazione: voi starete senza timore nelle case vostre; impedirò alle bestie feroci di nuocervi, dormirete in pace e niente potrà turbarvi. Sarò sempre in mezzo a voi. Camminerò con voi. Sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo.„ (Lev. XXVI, 3-12). Più avanti dice a Mose: “Di’ al mio popolo che se osserva bene le mie leggi, io lo libererò da tutti i mali che lo affliggono. „ E lo Spirito Santo stesso ci dice: “che colui che ha la felicità di osservare esattamente i comandi del Signore è più felice che se possedesse tutte le ricchezze della terra. „ (Ps. CXVIII, 14). – Ditemi, avreste mai pensato che il buon Dio avesse tanto a cuore di farci osservare i suoi ordini, e che ci promettesse tante ricompense se saremo abbastanza fortunati di bene osservarli? Voi converrete dunque con me che dobbiamo far consistere tutta la nostra felicità nell’osservare fedelmente i suoi comandi. Per meglio convincervi, F. M., che trasgredendo gli ordini di Dio non possiamo essere che infelici, vedete quanto successe a Davide. Finché fu fedele nel camminare per la via che i comandi di Dio gli avevano tracciata, tutto andò bene per lui: era amato, rispettato ed ascoltato dai suoi vicini. Ma dal momento in cui volle lasciare l’osservanza dei comandamenti di Dio, allora la sua felicità finì, ed ogni sorta di mali gli piombarono addosso. Le inquietudini, i rimorsi della coscienza presero il posto di quella pace e di quella calma di cui godeva: le lagrime ed il dolore furono il suo pane di tutti i giorni. Un dì in cui egli piangeva e gemeva forte sui suoi peccati, gli si annunciò che suo figlio Ammone era stato pugnalato mentr’era ubbriaco dal fratello Assalonne (II Reg, XIII, 28). Assalonne cercò perfino di soppiantare il padre suo, di insidiargli la vita per regnare in sua vece, e Davide fu costretto a nascondersi nelle foreste per sfuggire la morte (ibid. 15). La peste gli tolse un numero quasi sterminato di sudditi (ibid. XXIV). Se andate più innanzi, vedete Salomone: finché fu fedele nell’osservare i comandi di Dio, egli era la meraviglia del mondo: la sua fama giungeva fino all’estremità della terra, e, voi lo sapete, la regina di Saba venne così da lontano per essere testimonio delle meraviglie che il Signore operava in lui (II Reg. X): ma noi vediamo che quando ebbe la disgrazia di non seguire più i comandi di Dio, tutto andò male per lui. (ibid. XI). Dopo tante prove tolto dalla sacra Scrittura, converrete con me, F. M., che tutti i nostri mali provengono da questo che non osserviamo fedelmente i comandamenti di Dio, e che se vogliamo sperare qualche felicità e qualche consolazione in questo mondo (almeno quanto è possibile averne, poiché questo mondo non è altro che un intreccio di mali e di dolori), il solo mezzo di procurarci questi beni è di fare tutto quello che potremo per piacere a Dio adempiendo quanto ci ordina coi suoi comandamenti. – Ma se passiamo dall’Antico Testamento al Nuovo, le promesse non sono men grandi. Al contrario, vediamo che Gesù Cristo ce le fa tutte pel cielo, perché niente di creato è capace di accontentare il cuore di un Cristiano, il quale non è fatto che per Iddio e che Dio solo può soddisfare [Fecisti nos ad te, et ìnquietum est cor nostrum donec requiescat in te – ci facesti per Te e perché il nostro cuore riposi in Te – (S. Agost. Conf. lib. II, c. 1). Gesù Cristo ci invitavivamente a disprezzare le cose di questomondo per attaccarci soltanto a quelle delcielo, le quali non finiscono mai. Si legge nelVangelo che trovandosi Gesù Cristo un giornocon alcuni che sembravano pensar solo ai bisognidel corpo, disse loro: “Non prendetevitroppa cura di ciò che mangerete e di ciò dicui vi vestirete.„ E per far meglio comprendereloro che è ben poca cosa ciò che riguardail corpo:  “Considerate, disse, i giglidel campo: essi non tessono e non hanno curadi sé; eppure il Padre vostro celeste pensa avestirli: io vi assicuro che Salomone in tutta lasua ricchezza e la sua potenza non fu mai cosìben vestito come uno di essi. Vedete altresìgli uccelli dell’aria, essi non seminano, némietono, né raccolgono nei granai, eppure ilPadre vostro celeste ha cura di nutrirli. Uomini di poca fede, non siete voi da più diessi? Cercate prima di tutto il regno di Dio;cioè osservate fedelmente i miei comandamenti: e tutto il resto vi sarà dato con abbondanza„. (Matth. VI, 25-53). Che cosa vogliono dire queste parole, F. M.?Che ad un Cristiano il quale cerca solo di piacerea Dio e salvar l’anima propria, non mancheràmai il necessario ai bisogni del corpo.—Ma, forse mi direte, non c’è nessuno che ci aiutiquando noi non abbiamo nulla. — Anzitutto, vi dirò che ogni cosa che noi abbiamo ci viene dalla bontà di Dio, e che da noi medesimi non abbiamo nulla. Ma ditemi, F. M., come volete che Dio faccia miracoli per noi? Forse perché alcuno osa spingere la propria incredulità ed empietà fino a voler credere che Dio non esiste, cioè che non vi è Dio; forse perché altri meno empì, senza esser perciò meno colpevoli, dicono che Dio non si cura di quanto avviene sulla terra, e non si dà pensiero di cose tanto piccole? o forse perché altri non vogliono ammettere che questa grande Provvidenza dipende dall’osservanza dei comandamenti di Dio, e quindi contano appena sul loro lavoro e sulla loro fatica? Questo mi sarebbe assai facile dimostrar velo col vostro lavoro della domenica, che prova ad evidenza che non fate alcun assegnamento su Dio, ma solo su di voi e sulle vostre fatiche. Vi sono però taluni che credono a questa grande Provvidenza, ma le oppongono |una barriera in superabile coi loro peccati. Volete voi, F. M., toccar con mano la grandezza della bontà di Dio verso Je sue creature? Procurate di osservare con esattezza! “tutto quanto vi ordinano i suoi comandamenti, e sarete meravigliati di vedere come Dio si prende cura di coloro che non cercano altro che di piacergli. Se ne volete le prove, F. M. aprite i Libri santi, e ne sarete perfettamente convinti. Leggiamo nella S. Scrittura che il profetaElia fuggendo la persecuzione della regina Gezabele, si nascose in un bosco. Il Signore lo lascerà morir di fame, là, sprovvisto d’ogni soccorso umano? No, di certo, F. M., il Signore dall’alto de’ cieli non toglie lo sguardo dal suo servo fedele. Quindi gli manda un Angelo celeste per consolarlo e portargli quanto gli occorre per nutrirsi (II Reg. XIX). Vedete la cura che ha il Signore di nutrire la vedova di Sarepta. Egli dice al suo Profeta: Va a trovare quella buona vedova, che mi serve ed osserva con fedeltà i miei comandamenti: tu moltiplicherai la sua farina, perché non abbia a soffrire la fame.„ (ibed. XVII, 14) Vedete come ordina all’altro profeta Abacuc di portar da mangiare ai tre fanciulli che erano stati settati nella fornace di Babilonia (Il profeta Abacuc fu mandato non ai tre fanciulli che erano nella fornace di Babilonia, ma bensì a Daniele chiuso nella fossa dei leoni. Dan. XIV, 38). Se passate dall’antica alla nuova Legge, le meraviglie che il buon Dio opera per coloro che osservano i suoi comandamenti non sono meno grandi. Vedete come Egli nutre migliaia di persone con cinque pani e due pesci (Matt. XIV, 19): e lo si comprende; costoro cercavano anzitutto il regno di Dio e la salute delle loro anime seguendo Gesù Cristo. — Vedete come si prende cura dì nutrire S. Paolo eremita, per quarant’anni, servendosi d’un corvo: prova ben chiara questa che Dio non perde mai di vista chi lo ama per fornirlo del necessario. Quando S. Antonio andò a trovare S. Paolo Dio mandò doppia quantità di cibo (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 21). O mio Dio! Quanto amate quelli che vi amano! quanto avete paura che abbiano a soffrire! Ditemi, F. M., chi comandò al cane di portare ogni giorno la piccola provvista a S. Rocco nel bosco? Chi ordinò alla capra di offrire tutti i giorni il suo latte al bambino di Genoveffa di Brabante nella sua solitudine? Non è forse, F. M., il Signore? E perché, F. M., Dio si prende tanta cura di nutrire tutti questi santi, se non perché erano fedeli nell’osservanza di tutti i comandamenti che Egli ha dato? Sì, F. M., possiamo dire che i santi facevano consistere tutta la loro felicità nell’osservanza dei comandamenti di Dio, e che avrebbero sofferto ogni sorta di tormenti, piuttosto che violarli: possiamo dire altresì che tutti i martiri furono tali perché non vollero trasgredire i comandamenti di Dio. Infatti, domandate a S. Regina perché sopportò tanti tormenti, il più acerbo dei quali fu che suo padre le era carnefice? Carnefice crudele che la fece appendere pei capelli ad un albero, e percuotere con verghe finché il suo povero corpicciuolo innocente fu tutto una piaga. Dopo queste crudeltà, che fecero fremere persino i pagani presenti, la fece condurre in prigione, nella speranza che si piegherebbe ai suoi voleri. Vedendola irremovibile, la fece ricondurre presso lo stesso albero, e fattala come la prima volta attaccare pei capelli, ordinò che fosse scorticata viva. Quando la pelle fu staccata dal suo corpo, la fece gettare in una caldaia d’olio bollente, dove senza pietà alcuna la osserva abbrustolire. Mi domandate, F. M., perché sopportò ella tante crudeltà? Ah! eccolo. Perché non volle trasgredire il sesto comandamento di Dio, che proibisce ogni impurità. (Ribadeneira, Vita di s. Regina Martire e Vergine, 7 sett.)  — Perché la casta Susanna, non volle acconsentire ai desiderii di due vecchi infami, preferendo piuttosto la morte? (Dan. XIII) Non fu per la medesima ragione? Perché il casto Giuseppe fu screditato, calunniato presso Putifar, suo padrone, e messo in prigione (Gen. XXXIX)? non fu ancora per lo stesso motivo ? Perché S. Lorenzo si lasciò stendere sopra i carboni accesi? Non fu perché non volle trasgredire il primo comandamento della legge di Dio, che ci ordina di adorare Dio solo e di amarlo più di noi stessi? Sì, F. M., se noi scorriamo un po’ i libri che contengono gli atti dei santi, troviamo gli esempi meravigliosi della fedeltà loro nell’osservare i comandamenti di Dio, e vediamo che essi, piuttosto che mancavi preferirono soffrire tutto quanto i carnefici poterono inventare.Leggiamo nella storia dei martiri del Giappone che l’imperatore fece arrestare in una sol volta 24 Cristiani a cui si fece quanto poté suggerire la rabbia dei pagani. I martiri si dicevano a. vicenda: “Badiamo di non violare i comandamenti di Dio per obbedire all’imperatore, facciamoci coraggio; il cielo vale bene alcune sofferenze che durano pochi istanti; speriamo fermamente, ed il buon Dio, pel quale vogliamo soffrire, non ci abbandonerà. ,, Quando furono condotti al luogo dell’interrogatorio, colui che ve li aveva guidati, facendo l’appello e credendo che mancasse alcuno, gridò ad aita voce: “Matteo, dov’è Matteo? „ Un soldato che da lungo tempo desiderava dichiararsi Cristiano, esclamò: “Eccomi, del resto che importa l’individuo? Anch’io mi chiamo Matteo e sono Cristiano  come l’altro. „ Il giudice infuriato gli domandò se diceva sul serio. ” Sì, rispose il soldato, da molto tempo professo la religione cristiana e spero di non lasciarla: io non desideravo che il momento di professarla pubblicamente.„ Subito il giudice lo fece mettere nel numero dei martiri. Egli ne fu così contento che spirò di gioia, prima di morire fra i tormenti. Nel numero di quei martiri vi era un fanciullo di dieci anni. Il giudice vedendolo così giovane non volle per un po’ iscriverlo tra quelli che dovevano morire per Gesù Cristo. Il fanciullo era inconsolabile nel vedersi privato di sì grande fortuna: protestò così energicamente che mai avrebbe mutato pensiero e che sarebbe morto nella sua religione, e tanto fece che obbligò, per così dire, il giudice a metterlo nel numero dei martiri. Ne provò allora tanta gioia che sembrava fuori di sé: voleva sempre essere il primo, rispondere sempre per tutti: avrebbe voluto avere il cuore di tutti gli uomini per sacrificarli tutti a Gesù Cristo. Un signore pagano, avendo saputo che il fanciullo era destinato a morire con gli altri Cristiani, ne fu mosso a compassione. Andò egli stesso dall’imperatore per pregarlo di aver pietà del fanciullo, dicendo ch’egli non sapeva ciò che si facesse. Il fanciullo, che l’intese, si voltò a lui, dicendogli: “Signore, tenete per voi la vostra compassione: pensate invece a farvi battezzare ed a far penitenza, se no andrete ad abbruciare coi demoni. „ Questo signore, vedendolo così risoluto a morire, lo lasciò i n pace. Il fanciullo, trovandosi presente quando fu letta la sentenza che ordinava fossero loro tagliate le orecchie ed il naso, e venissero condotti su carri attraverso la città per ispirare maggior orrore per la religione cristiana, e perché i pagani li colmassero di ingiurie, ne provò tanta gioia che sembrava gli fosse stato annunciato il possesso di un regno. Gli stessi pagani erano sorpresi che un ragazzo così giovane avesse tanto coraggio, e provasse tanta gioia di morire pel suo Dio. Essendo venuti i carnefici per eseguire gli ordini dell’imperatore, tutti quei santi martiri si presentarono per farsi mutilare con tanta tranquillità e gioia, come se fossero stati condotti ad un festino. Si lasciarono tagliare il naso e le orecchie con la stessa calma come se avessero loro reciso un lembo di vestito. Il loro povero corpo era coperto di sangue e metteva orrore anche ai pagani presenti, che di tanto in tanto si udivano gridare: “Oh! quale crudeltà! quale ingiustizia far tanto soffrire chi non ha fatto alcun male! Vedete, si dicevano gli uni gli altri, vedete qual coraggio dà loro la religione che professano. „ Ogni volta che venivano interrogati rispondevano soltanto che erano Cristiani; che sapevano di dover soffrire e morire, ma giammai avrebbero trasgrediti i comandamenti del loro Dio, perché facevano consistere tutta la loro felicità nell’esservi fedeli. Ahimè! poveri martiri! Condotti per la città su carri, il loro corpo era tutto grondante sangue: le pietre ne erano macchiate, e la terra pure tutta irrorata del sangue che colava in abbondanza dalle loro ferite. Poiché la loro sentenza li condannava a morire crocifissi, colui che li aveva condotti la prima volta ne fece la ricognizione. Ciò che lo commosse assai fu la vista di quel fanciullo di dieci anni. Gli si avvicinò dicendogli: “Figliuol mio, sei ben giovane; è troppo duro morire in età così tenera: se vuoi, m’incarico io di ottenere per te la grazia presso l’imperatore ed anche una grande ricompensa.„ Il fanciullo, sentendolo così parlare, sorrise, dicendogli che lo ringraziava tanto: ma che conservasse tutte per sé le sue ricompense, giacché egli non poteva sperarne per l’altra vita: per conto suo egli disprezzava tutto ciò come cosa troppo da poco; il solo suo timore era di non avere la fortuna di morire, anch’egli come gli altri martiri, per Gesù Cristo. — La madre sua, presente a tutto era inconsolabile, sebbene cristiana, di vedere il figliuol suo morire sulla croce. Il fanciullo, vedendola così desolata, la chiamò vicino, dicendole ch’era poco edificante che una madre cristiana piangesse tanto la morte di un figlio martire, come se non conoscesse tutto il valore di un tal sacrificio: avrebbe anzi dovuto incoraggiarlo e ringraziare il buon Dio di sì grande favore. Questo figlio di benedizione, un momento prima di morire, disse cose così belle e commoventi sulla felicità di coloro che muoiono per Gesù Cristo, che i pagani al pari dei Cristiani piangevano tutti. Quando s’avvicinò alla croce, prima di esservi appeso l’abbracciò, la baciò, la bagnò di lagrime, tanta era la gioia che sentiva sapendo che davvero stava per morire pel suo Dio. Quando furono tutti confitti sulle croci s’intese un coro di Angeli che cantavano Laudate, pueri, Domìnum nella loro musica celeste: e li udirono pure tutti i pagani. Quale spettacolo! F. M., il cielo ammirato! la terra meravigliata! gli astanti piangenti, ed i martiri giubilanti perché abbandonano la terra, cioè tutte le sofferenze e le miserie della vita, per andare a prendere possesso d’una felicità che durerà quanto Dio stesso, eternamente. Ebbene! F. M., ditemi: chi indusse questi martiri a perseverar tanto nei patimenti? Non fu perché non vollero venir meno ai comandamenti di Dio? Qual vergogna per noi, F. M., quando Gesù Cristo ci confronterà con loro! noi che sì spesso un semplice rispetto umano, un maledetto che cosa si dirà? ci fa arrossire, o piuttosto ci fa sconfessare d’esser Cristiani per metterci nel numero dei rinnegati.

II. — Ma esaminiamo la cosa un po’ più da vicino, F. M., e vedremo che se il buon Dio ci ordina di osservare fedelmente i suoi comandamenti, questo Egli fa solo per nostro bene. Ci dice Egli stesso che sono facili da adempiere (Joan. V, 3), e che se li osserviamo vi troveremo la pace delle anime nostre (Ps. CXVIII, 165). Se nel primo comandamento Dio ci ordina di amarlo, di pregarlo e di non attaccarci che a Lui, e se dobbiamo pregarlo sera e mattina e spesso durante la giornata, ditemi, F. M., non è questa la più grande delle fortune per noi, che il buon Dio ci. permetta di presentarci tutte le mattine davanti a Lui, per domandargli le grazie che ci sono necessarie per passare santamente la giornata? Non è un favore che ci fa? e questo favore che Dio ci fa ogni mattina, non rende tutte le nostre azioni meritorie pel cielo? non fa sì che le troviamo meno dure? Se questo medesimo comandamento ci ordina di amare Dio solo e di amarlo con tutto il nostro cuore, non è perché sa che Egli solo può contentarci e renderci felici in questo mondo? Vedete una casa ove non si vive che per Iddio: non è un piccolo paradiso? Convenite dunque con me, F. M., che questo precetto è davvero dolce e consolante per chi ha la fortuna d’osservarlo con fedeltà. Se passiamo al secondo, che ci proibisce ogni giuramento, ogni bestemmia, ogni imprecazione e maledizione e qualsiasi sfogo di collera, raccomandandoci la dolcezza, la carità e la cortesia con tutti quelli che ci avvicinano, ditemi, F. M., chi sono i più felici: coloro che si lasciano andare a questi eccessi di collera, di furore e di maledizioni, o coloro che in tutto ciò che fanno o dicono, mostrano padronanza del loro spirito, e si studiano continuamente di fare la volontà degli altri? Vediamo pertanto che questo comandamento contribuisce a render felici noi e quelli che vivono con noi. – Se veniamo al terzo, che ci ordina di santificare la Domenica, lasciando ogni lavoro servile per non occuparci che di ciò che riguarda il servizio di Dio e la salute dell’anima nostra, ditemi, F. M., non è esso pure pel nostro bene? giacché cessando di lavorare per questo mondo, che è nulla e nel quale viviamo brevissimo tempo, e consacrandoci alla preghiera e a fare opere buone, accumuliamo pel cielo un tesoro che non perderemo mai, e attiriamo sul lavoro di tutta la settimana ogni sorta di benedizioni? Non è questo un mezzo per la nostra felicità? Questo medesimo comandamento ci ordina altresì di impiegare questo santo giorno a piangere i nostri peccati della settimana, purificarcene con la virtù dei Sacramenti: e non è questo, F. M.,s forzarci, per così dire, a cercare il nostro bene, la nostra beatitudine, la nostra felicità eterna? Non siamo noi più contenti quando abbiamo passato bene il santo giorno di Domenica occupati a pregare Iddio, che non se avessimo avuto la disgrazia di passarlo nei piaceri, nei giuochi e nei disordini? Il terzo comandamento adunque non è che consolante e vantaggioso per noi. – Se passiamo al quarto, che ordina ai figli di onorare i loro genitori, di amarli, rispettarli, aiutarli e procurar loro tutto il bene che possono; ditemi: non è questa una cosa giusta e ragionevole? I genitori hanno fatto tanto per i loro figli! non è ragionevole che questi li amino, e diano loro tutte le consolazioni possibili? Se questo comandamento fosse ben osservato, le famiglie non sarebbero un piccolo paradiso pel rispetto, l’amore che i figli avrebbero per i loro genitori? E se questo medesimo comandamento ordina ai genitori d’aver cura delle anime dei loro figli, e dice loro che un giorno ne renderanno conto rigoroso, non è questa una cosa giusta, poiché queste anime hanno costato tanto a Gesù Cristo per salvarle, ed esse saranno la gioia e la gloria dei genitori durante tutta l’eternità? Se questo medesimo comandamento ordina ai padroni ed alle padrone d’aver gran cura dei loro dipendenti, di considerarli come loro figli, questi padroni non devono stimarsi felici di poter favorire la salvezza di anime che hanno costato tanti tormenti ad un Dio fattosi uomo per noi? Dirò ancor di più, F. M., se questo comandamento fosse bene osservato, il cielo non discenderebbe sulla terra per la pace e felicità che vi si godrebbe? – Venendo poi al quinto, che ci proibisce di danneggiare il nostro prossimo nei suoi beni, nella riputazione e nella persona, non è cosa più che giusta, poiché dobbiamo amarlo come noi stessi; ed una cosa insieme assai vantaggiosa per noi, poiché Gesù Cristo ci dice che mai chi detiene roba d’altri entrerà in cielo? Voi vedete che questo comandamento non ha niente di duro, poiché con esso ci assicuriamo il cielo. – Se passiamo al sesto comandamento, che ci proibisce ogni impurità nei pensieri, nei desiderii e nelle azioni: non è per la nostra pace e felicità che il buon Dio ci proibisce tutte queste cose? Se abbiamo la disgrazia di abbandonarci a qualcuno di questi infami peccati, la nostra povera anima non è come in un inferno? non ne siete voi tormentato giorno e notte? D’altra parte, il vostro corpo e l’anima vostra non sono destinati ad essere la dimora della Ss. Trinità, non debbono, aggiungo, passare l’eternità con gli Angeli, vicino a Gesù Cristo che è la stessa purità? Vedete adunque che questo comandamento non ci è dato che pel nostro bene e per la nostra felicità anche in questo mondo? Se il buon Dio ci dice, F. M., per la bocca della sua Chiesa: “Vi  comando di non lasciar passare più di un anno senza confessarvi, „ ditemi: questo comandamento non ci mostra la grandezza dell’amor di Dio per noi? Ditemi: quand’anche la Chiesa non avesse fatto questo precetto, si può viver tranquilli col peccato nel cuore ed il cielo chiuso per noi, esposti a piombare ad ogni istante nell’inferno? Se il buon Dio ci comanda di accostarci a riceverlo a Pasqua, ahimè! F. M., può forse un’anima vivere, cibandosi una volta sola all’anno? Mio Dio, quanto poco conosciamo il nostro bene, il nostro interesse! – Se la Chiesa ci ordina di non mangiar carne, di digiunare in certi giorni, è forse una cosa ingiusta, mentre, peccatori come siamo, dobbiamo necessariamente far penitenza in questo mondo o nell’altro? E non è questo un cambiare con piccole pene o privazioni i tormenti ben più rigorosi dell’altra vita? Non converrete dunque con me, F. M., che se il buon Dio ci ha fatto dei comandamenti e ci obbliga di osservarli, non è che per renderci felici in questo mondo e nell’altro? Di modo che, F. M., se vogliamo sperare delle consolazioni e dei conforti nelle nostre miserie, non le troveremo che osservando con fedeltà gli ordini di Dio: e finché li violeremo, saremo infelici, anche in questo mondo. Sì, F. M., quand’anche alcuno fosse padrone di mezzo mondo, se non fa consistere tutta la sua felicità nel ben osservare i comandamenti di Dio, egli non sarà che uno sventurato. – Vedete, F . M., quale dei due era più felice: S. Antonio nel deserto, datosi a tutti i rigori della penitenza, o Voltaire con tutti i suoi beni e piaceri, come dice san Luca, nell’abbondanza e nella crapula (Luc. XXI, 34). S. Antonio vive felice, muore contento, ed ora gode una felicità che non finirà mai più: mentre l’altro vive infelice con tutti i suoi beni, muore disperato ed ora, secondo ogni apparenza, senza volerlo giudicare, soffre qual riprovato. Perché, F. M., questa grande differenza? Perché l’uno fa consistere tutta la sua felicità nell’osservare fedelmente la legge di Dio, e l’altro mette tutte le sue cure nel violarla, e farla disprezzare: l’uno nella povertà è contento, l’altro nell’abbondanza è miserabile: il che ci mostra, F. M., che Dio solo e nessun’altra cosa può farci paghi. Vedete la felicità che godiamo se osserviamo fedelmente i comandamenti di Dio; poiché leggiamo nell’Evangelo che Gesù Cristo disse: “Chi osserva i miei comandamenti mi ama, echi mi ama sarà amato dal Padre mio: noi verremo a lui e in lui porremo la nostra dimora. „ (Giov. XIV, 23). Vi può essere fortuna più grande, egrazia più preziosa? osservando i comandamenti di Dio, attiriamo in noi tutto il cielo. Il santo re Davide aveva ben ragione d’esclamare: “O mio Dio, quanto sono felici coloro che vi servono!„ (Ps. CXVIII, 1). Vedete inoltre come Dio benedice le case di coloro che osservano le sue leggi. Leggiamo nell’Evangelo che il padre e la madre di S. Giovanni Battista osservavano i comandamenti cosi perfettamente che nessuno poteva rimproverar loro il minimo fallo (Luc. I, 6): perciò Dio in ricompensa diede loro un figliuolo che fu il più grande di tutti i Profeti. Un Angelo venne dal cielo per annunciar loro la lieta novella: l’eterno Padre gli diede il nome di Giovanni, che vuol dire, figlio di benedizione e di felicità. Appena Gesù Cristo fu concepito nel seno di Maria, andò in persona in quella casa, per spandervi ogni sorta di benedizioni. Santificò il bambino prima ancora che fosse nato, e riempì il padre e la madre di Spirito Santo. (Luc. I, 39). Volete, F. M., che il buon Dio vi visiti e vi colmi di ogni benedizione? procurate di mettere ogni vostra cura nell’osservare i comandamenti di Dio, e tutto andrà bene in casa vostra. – Leggiamo nel Vangelo che un giovane domandò a Gesù Cristo che cosa dovesse fare per avere la vita eterna. Il Salvatore gli rispose: “Se vuoi avere la vita eterna, osserva con fedeltà i miei comandamenti.„ (Matt. XIV, 19). Nostro Signore trattenendosi un giorno coi suoi discepoli sulla felicità dell’altra vita disse che è assai stretta la strada che conduce al cielo, che ben pochi la cercano davvero, e, fra quelli che la trovano, ben pochi la seguono. “Non tutti quelli che dicono: Signore, Signore, saranno salvi, ma solo quelli che fanno la volontà del Padre mio, custodendo i miei comandamenti. Molti diranno nel giorno del giudizio: “Signore, noi abbiamo profetato in vostro nome, abbiamo scacciato i demoni dal corpo degli ossessi, ed abbiamo fatto grandi miracoli.„ Ed io risponderò loro: “Ritiratevi da me, artefici d’iniquità. Voi avete fatto grandi cose: ma non avete osservato i miei comandamenti: non vi conosco.„ (Matt., VII, 14-23) Gesù Cristo disse al discepolo prediletto: “Sii fedele fino alla fine, e ti darò la corona di gloria.„ (Apoc. II, 10). Vedete dunque, F. M., che la nostra salute è assolutamente attaccata ai comandamenti di Dio. Se vi agita il dubbio intorno alla vostra salvezza, prendete i comandamenti di Dio, e confrontateli colla vostra condotta. Se vedete che camminate per la via che essi vi hanno tracciata, non pensate ad altro che a perseverare: ma se vivete in maniera affatto opposta, avete ragione di inquietarvi; voi vi dannerete senza fallo. (Prov. XV, 15).[S. Girolamo. Risposta ad una domanda che gli rivolse una dama romana per sapere se si sarebbe salvata – Nota del Beato).

III. — Se vogliamo avere la pace dell’anima dobbiamo osservare i comandamenti di Dio, perché lo Spirito Santo ci dice che chi ha la coscienza pura è come in una festa continua. (Act. XXVI, 29). È certissimo, F. M., che chi vive secondo le leggi di Dio è sempre contento, e di più nulla lo può turbare. S. Paolo (II Cor. VII, 14) 3 ci dice che era più felice e contento nella sua prigione, tra i suoi patimenti, le sue penitenze e la sua povertà, che i suoi carnefici nella libertà, nell’abbondanza e nelle gozzoviglie: che la sua anima era piena di tanta gioia e consolazione, che traboccava da ogni parte. S. Monica ci dice d’aver vissuto sempre contenta, sebbene fosse frequentemente maltrattata da suo marito, che era pagano. (S. Aug. Conf. IX, IX). S. Giovanni della Croce dice di aver passato i giorni più felici di sua vita proprio quando aveva maggiormente sofferto. ” Ma, al contrario, dice il profeta Isaia, chi non vive secondo le leggi del Signore non sarà né contento né felice. La sua coscienza sarà simile ad un mare agitato da furiosa tempesta, le inquietudini ed i rimorsi lo seguiranno dappertutto.„ Se costoro vi dicono che sono in pace, non credete, mentiscono, perché il peccatore non avrà mai pace (Isa. LVII, 20). Vedetene la prova, F. M., in Caino. Dacché ebbe la sventura di uccidere il fratello Abele, il suo peccato f u per tutta la vita il carnefice dell’anima sua, non l’abbandonò mai sino alla morte, per trascinarlo poi nell’inferno (Gen. IV, 14). Vedete i fratelli di Giuseppe (Gen. XLII). Vedete anche Giuda: dopo aver venduto il suo divin Maestro, si sentì così tormentato dai rimorsi, che s’appiccò ad un fico; tanto gli pesava la vita (Matt. XXV, 5). Leggiamo nella storia che un giovane in un eccesso di furore, uccise il padre suo. Il suo peccato non gli die’ più pace né dì né notte. Gli sembrava udir suo padre gridargli: “Ah! figlio mio, perché mi hai tu ucciso?„ Andò egli stesso a denunciarsi perché lo facessero morire, pensando che l’inferno non sarebbe stato più duro di quel rimorso. Ahimè! F. M., se abbiamo la disgrazia di non osservare i comandamenti di Dio, mai saremo contenti, anche possedendo le maggiori ricchezze. Vedete Salomone, ecc. Ma, cosa strana, F. M., l’uomo può ben essere tormentato dai rimorsi e conoscere i rimedi che occorrono per avere la pace col suo Dio e con se stesso; egli preferisce cominciare quaggiù il suo inferno, piuttosto che ricorrere ai rimedi che Gesù Cristo gli ha preparato. Siete ben infelice, amico mio, ma perché volete restare in questo stato ? Ritornate a Gesù Cristo, e ritroverete quella pace dell’anima, (Matt. XI, 29). che i vostri peccati vi hanno rapita.

IV. — Dico inoltre, F. M., che se non osserviamo i comandamenti della legge di Dio saremo infelici per tutti i giorni di nostra vita. Vedetene la prova in Adamo. Dopo il peccato il Signore gli disse: “Poiché tu hai violata la mia legge, la terra sarà maledetta per te, non produrrà da sola che triboli e spine. Mangerai il tuo pane col sudore della tua fronte, e questo per tutti i giorni di tua vita.„ (Gen. III, 17-19) Vedete Caino: il Signore gli disse: ” Caino, il sangue di tuo fratello grida vendetta; andrai errante, vagabondo, fuggitivo per tutti i giorni di tua vita (Gen. IV, 10-12).„ Vedete altresì Saul … Sicché, F. M., dall’istante in cui cessiamo di eseguire ciò che i comandamenti di Dio impongono, dobbiamo aspettarci ogni sorta di mali spirituali e temporali. Padri e madri, volete voi esser felici? Cominciate ad osservar bene i comandamenti della legge di Dio voi stessi, per poter offrirvi come modelli ai vostri figli ed aver sempre diritto di dir loro: “Fate come me. „ Se volete che facciano bene la loro preghiera, datene ad essi l’esempio. Volete che siano raccolti e devoti in chiesa? Datene loro l’esempio: teneteli al vostro fianco. Volete che osservino il santo giorno di Domenica? cominciate a santificarlo voi stessi. Volete che siano caritatevoli? siatelo voi anzi tutto. Ahimè! F. M.; se tanti mali ci opprimono, cerchiamone la ragione soltanto nella moltitudine dei peccati che commettiamo, trasgredendo i comandamenti di Dio. Compiangiamo, F. M., quelli che verranno alcuni secoli dopo di noi. Ahimè, lo stato di cose sarà peggiore, peggiore assai! Vogliamo, F. M., che Dio cessi di castigarci? cessiamo di offenderlo: facciamo come i santi che hanno tutto sacrificato piuttosto che violare le sue sante leggi. Vedete S. Bartolomeo e S. Regina che furono scorticati vivi per non aver voluto offender Dio. Vedete S. Pietro e S. Andrea che furono confitti ad una croce. Vedete quelle turbe di martiri che hanno sopportato mille tormenti per non trasgredire i comandamenti. Vedete tutte le lotte che hanno sostenuto i santi Padri del deserto contro il demonio e le loro inclinazioni. Trovandosi S. Francesco d’Assisi su d’una montagna a pregare, gli abitanti dei dintorni vennero a supplicarlo di liberarli colle sue preghiere da una quantità di belve feroci che divoravano tutto ciò che essi possedevano. Il santo disse loro: “Figli miei, tutto questo deriva dall’aver voi violato i comandamenti della legge di Dio: ritornate a Dio e sarete liberati.„ Infatti, appena ebbero cambiato vita, furono liberati. Parimente, finendo, dico che se vogliamo che i nostri mali spirituali e temporali finiscano, dobbiamo cessare di offendere Dio: di trasgredire i suoi comandamenti. Cessate, F. M., di dare il cuore, lo spirito e fors’anche il corpo all’impurità. Cessate di frequentare i giuochi, le osterie, i luoghi di divertimento. Cessate il lavoro in Domenica. Cessiamo di star lontani dai Sacramenti. Cessiamo, F. M., di considerare cosa da nulla il violare le leggi del digiuno e dell’astinenza: abbandoniamo la via che seguono i pagani, ai quali i comandamenti sono ignoti. Cerchiamo il nostro vero benessere, che non può trovarsi che in Dio solo, osservando fedelmente i suoi precetti. Cessiamo, F. M., di faticare a prepararci la nostra sventura per tutta l’eternità. Ritorniamo a Dio, ricordiamoci che siamo Cristiani e che, per conseguenza, dobbiamo combattere le nostre inclinazioni cattive ed il demonio, fuggire il mondo ed i suoi piaceri, vivere nelle lagrime, nella penitenza ed umiltà. Diciamo come il santo re Davide: “Sì, mio Dio, io mi sono allontanato dai vostri comandamenti eoi miei peccati; ma, aiutatemi, ritornerò a voi con le lagrime e con la penitenza, e camminerò tutti i giorni della mia vita nella via dei vostri comandamenti, che mi condurranno fino a Voi, per non perdervi mai più. „ Felice, F. M., colui che imiterà questo santo re, il quale tornato a Dio, non lo abbandonò mai più! Ecco, F. M., quanto vi auguro…