IL SACRO CUORE (45)

IL SACRO CUORE (45)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

CAPITOLO PRIMO

III

XII E XIII SECOLO

Il culto del sacro Cuore; prime tracce e sviluppo; San Bonaventura e la vigna mistica; Santa Mechtilde, Santa Gertrude. Prospettive d’avvenire.

A partire dal XII secolo, i testi si moltiplicano a mostrarci nel cuore aperto di Gesù il rifugio delle anime, il tesoro delle divine ricchezze dove, come dirà più tardi Margherita Maria, « più si prende e più si trova da prendere », il simbolo espressivo dell’amore che reclama l’amore. Barutell ne ha raccolto un buon numero: di Riccardo, di San Vittore, d’Eelchert, di Schònau (al quale si attribuisce adesso il sermone sulla passione di Cristo che si trova spesso attribuito sia a sant’Anselmo (Medit. IX, P. L. t. CLVIII, col 778), sia a san Bernardo (P. L., t, CLVIII, col. 953.), di Pietro di Blois, che ripete i pensieri e persino le parole di san Bernardo, ecc. (Se ne trovano molti altri in Franciosi benchè vari debbano intendersi piuttosto del costato aperto o del cuore metaforico che del cuore simbolo dell’amore. – Vedi più sotto, c. II, § 6, un testo di Pietro pe Blois.). – Questi testi ci presentano il sacro Cuore, ma non vi vediamo il culto propriamente detto. Qualcuno sembra portar traccia di divozione al sacro Cuore specialmente quelli di Guerrie e di Guglielmo di San Thierry; ma queste tracce sono tenui; sono solo accenni fuggitivi. Nella Vigna mistica e pure con santa Mechtilde e con santa Gertrude la divozione sembra prender corpo, la pietà si nutrisce di quello che sa. Di chi è la Vitis mistica e da quando data? E’ stata spesso attribuita a San Bernardo, ed è sotto il suo nome che la Chiesa ne aveva inserito degli estratti nell’Ufficio del sacro Cuore, nelle lezioni del secondo notturno. Altri la attribuiscono a san Bonaventura. La questione è stata risolta in questo senso, almeno per la parte che ci interessa, e questo appoggiato a buone prove raccolte nella bella edizione del dottore Serafico pubblicata a Quaracchi (S. Bonaventura, Opera omnia, t. VIII, p. LIMI sq. 1898. Tuttavia non oso dire che la mia convinzione sia stabile, poiché tanto il tono quanto il modo sono più quelli di S. Bernardo e della scuola cisterciense, che di S. Bonaventura, tali e quali noi li vediamo nelle sue opere, se non quali ce li figuriamo in quelle che gli si attribuiscono.). Queste prove hanno indotto la congregazione dei riti nella recente riforma del Breviario ad attribuire queste lezioni a San Bonaventura. In pari tempo si trova, in questa edizione, un testo migliore. È questo testo che seguiremo (Loc. cit., p. 159, § 9-e 163-164.). Dovremo, perciò, mettere san Bonaventura in prima linea fra i devoti del sacro Cuore. Egli ha fornito ai promotori della divozione una delle loro pagine più espressive e più pie; e si comprende che la Chiesa l’abbia adottata. Vi s’indica chiaramente la ferita del cuore e la si avvicina alla ferita dell’amore: Foderunt ergo et perfoderunt non solum manus, sed et pedes, latus quoque et sanctissimi cordis intima furoris lancea perforaverunt; quod jamdudum amoris lancea fuerat perforatum, Segue il testo della Cantica, IV, 9: Vulnerasti cor meum, con uno sviluppo che per altro fa perdere un po’ di vista il cuore ferito. Ma l’autore vi ritorna,ed è allora che la divozione ci appare. « Ma poiché siamo venuti al cuore dolcissimo di Gesù, e che è bene per noi il rimanervi, non allontaniamocene con troppa facilità.Noi ci avvieremo dunque a voi, e ci rallegreremo in voi nel ricordo del vostro cuore, Ah! come è buono e dolce l’abitarein questo cuore! Ah! che prezioso tesoro, che perla squisita è il vostro cuore o buon Gesù! Chi non vorrebbe questa perla? Ben più, io darei, tutto al mondo, darei in cambio tutti i miei pensieri, tutti gli affetti dell’animamia, gettando ogni mio pensiero nel cuore del buon Gesù ». – Non son forse questi tutti esercizî di divozione verso il sacro Cuore, per dimorarvi e appropriarselo? E, in questo senso, ciò che segue è ancora più preciso: «Io andrò a pregare in questo tempio, in questo Santo dei Santi, presso l’arca del testamento. David diceva: Ho trovato il mio cuore per pregare il mio Dio. Ed io al pari di lui; ho trovato il cuore del Signore, mio re, mio fratello, e mio amico, il buon Gesù. E non pregherò io? Sì, pregherò. Perché il suo cuore è mio, lo dico arditamente ». Seguono le prove di questa asserzione, e, conclude: « E dunque mio. Ed ecco che io ho un sol cuore con Gesù … Avendo dunque trovato il vostro cuore ed il mio, o Gesù, io vi pregherò come mio Dio. Accogliete le mie preghiere nel santuario dove esaudite; o piuttosto attiratemi tutto intiero nel vostro cuore ». La preghiera prosegue, bella e commovente, implorando che l’anima purificata da Gesù possa avvicinarsi a Lui, rimaner sempre nel suo cuore, conoscere e compiere sempre la sua volontà. –  Bisogna ancor citare testualmente il Seguito, perché non si potrebbe trovare nulla di meglio per esprimere la divozione: « Il vostro costato è stato trafitto; perciò, messi al sicuro da tutte le tempeste del di fuori, possiamo dimorare in questa vigna (in ipsa vite). È perché questa ferita? Perché nella ferita visibile, potessimo vedere la ferita invisibile dell’amore. Come rivelar meglio questo ardente amore, che lasciando ferire non solo il corpo, ma ancora il cuore? La ferita della carne, mostra la ferita spirituale ». – Segue il testo Vulnerasti cor meum, con un magnifico svolgimento sull’amore dello sposo, che termina così: « Io ti amo estremamente, come una fidanzata; di un amor casto come a sorella. Ecco perché il mio cuore è stato ferito per te ». La conclusione è questa che potevamo aspettarci: « Chi non amerebbe questo cuore ferito? Chi non darebbe corrispondenza d’amore a Lui che ama tanto? Chi non abbraccerebbe uno sposo sì casto? Ah dunque, per quanto è possibile, rendiamo amore per amore; abbracciamo il nostro caro ferito…. e preghiamo perché stringa con i lacci dell’amor suo il nostro cuore ancor duro e impenitente e lo trapassi: con un dardo amore » (Vitis mistica, c. III, loc. cit, p. 163-164. Testo un po’ diverso in Migne, P. L.) t: CLXXXIV, col. 141-144). Questo testo ci esprime ben chiaramente la: divozione al sacro Cuore, Vi si trova tutto: il doppio oggetto nell’unità del simbolismo, il fine, lo spirito, l’atto proprio, molti atti della divozione. Ancorché la vigna mistica non fosse di san Bonaventura, troviamo però sempre nelle opere che sono certamente sue delle tracce della divozione al sacro Cuore. Così nel capitolo VI del libro della vita perfetta, egli raccomanda all’anima religiosa, con termini molto penetranti, di fortificare la sua divozione meditando la Passione e attingendo le acque della grazia alle sorgenti di Cristo, vale a dire alle sue piaghe: « Va dunque, le dice, vai dal cuore a Gesù ferito, a Gesù coronato di spine, a Gesù confitto in croce; e col beato Tommaso non guardar solamente le tracce dei chiodi nelle sue mani, non metter solamente la mano tua nel suo costato, ma entra tutta intiera per la porta di quel costato, sino al cuore stesso di Gesù, e trasformati in Gesù Cristo per l’ardente-amore del crocefisso » (De perfectione vitæ ad sorores. Opera t. XII, Parigi 1868, p. 221). – Nella Vigna mistica esiste la divozione, ma gli esercizî sono appena accennati. Nelle opere di santa Gertrude (morta nel 1298) e in quelle di santa Mechtilde (morta nel 1302) troviamo la divozione vivente e, per così dire, in atto in una quantità di esercizî e nei rapporti più famigliari con Gesù. – Mechtilde, dietro invito di Gesù stesso, entra nel sacro Cuore per riposarsi (Libro della grazia speciale, traduzione francese, Parigi 1838, lib. CXVII, 183. Rimando alla traduzione francese, ma traduco io stesso sul testo latino). Gesù le dà il suo Cuore in pegno di una eterna alleanza (Loc. cit. lib. XX, p. 89, 1. I, c. XIX, p. 187), ed ella gli parla come all’amico più tenero. Un giorno le sembrò che il Maestro le prendesse « il cuore dell’anima sua » e lo stringesse col suo per modo da non far più che udì cuore solo (Loc. cit., lib. III, c. XXVII, p. 233.); e un altro giorno le insegnò come si deve chiedere al suo cuore, tutto quello di cui si ha bisogno, « come un figlio che domanda al padre suo tutto quello che ama (Loc. cit., lib. IV, c. XXVIII, p. 339). – Mechtilde gli parla; fa delle conversazioni con Lui; lo saluta la mattina; lo saluta la sera. Un giorno che ella teme essere stata negligente verso la Santa Vergine, Nostro Signore le dice di venir d’ora innanzi ad attingere nel suo cuore tutto quello che vorrebbe offrire a Maria (Loc. cit., lib. I, c. XLVI, p. 159). In questi intimi rapporti, la sua divozione al sacro Cuore. cresceva sempre; e quasi ogni volta che il Signore le si mostrava, ne riceveva qualche grazia (Loc. cit., lib. II, c. IX, p. 187). Si faceva Egli stesso suo maestro. Ammessa un giorno a riposare sul petto del suo diletto, ella sentì sensibilmente nelle profondità del cuore divino come tre battiti accentuati, e Gesù medesimo volle spiegarlene il simbolismo (Loc. cit., lib. I, c. XX, p. 189). – In una parola, ella stessa asseriva «che se si dovessero scrivere tutti i benefizi che ha ricevuto dal cuore amatissimo di Dio, se ne, farebbe un libro più voluminoso di quello del Mattutino » (Loc. cit., lib. II, c. XIX, p. 188). – Con santa Gertrude si entra forse anche più avanti nel mondo delle relazioni più intime fra l’anima e il sacro Cuore con invenzioni reciproche squisite dell’amore più ingegnoso e più delicato (Vedi: Cros, Le coeur de sainte Gertrude, ou: Un coeur selon le Coeur de Jésus, Tolosa, terza edizione, Paris, 1901, p.165 ecc.). Il libro dove son consegnate queste rivelazioni è veramente «l’araldo della tenerezza divina ». « Legatus divinæ pietatis ». Gertrude, come dice il suo editore benedettino, « sembra costituita profetessa dell’amor divino per gli ultimi tempi » (Révélations de sainte Gertrude, Paris, 1878, Prefazione, p. XV. Cf.: G. Ledos, sainte Gertrude, 3. ediz. Paris, 1901, p. 165 e ss.).  E questo amore divino si personifica per lei nel sacro Cuore. Ella ebbe « per missione di rivelare lo scopo e l’azione del divin Cuore nell’economia della gloria divina e della santificazione delle anime ». E, fatte le debite proporzioni, si può ripetere la stessa cosa di santa Mechtilde. Non si può paragonare, a questo riguardo, che alla beata Margherita Maria. Ecco come l’editore benedettino riassume le manifestazioni del sacro Cuore a Gertrude; il riassunto converrebbe quasi testualmente anche a santa Mechtilde. « Ora il cuore divino le appariva come un tesoro, ove sono riunite tutte le ricchezze; ora come una lira tocca dallo Spirito Santo al suono della quale si rallegrano la SS.ma Trinità e tutta la corte celeste. Poi è una sorgente abbondante le cui acque vanno a portar refrigerio alle anime del Purgatorio, grazie fortificanti che militano sulla terra, e quei torrenti di delizie in cui s’inebriano gli eletti della Gerusalemme celeste. Come un incensiere d’oro da cui s’innalzano tanti profumi d’incenso quante sono le razze umane, per le quali il Salvatore ha offerto la morte di croce. Un’altra volta è un altare su cui i fedeli depongono le loro offerte; gli eletti i loro omaggi; gli angioli le loro adorazioni, e su cui l’ eterno Sacerdote s’immola. È una lampada sospesa fra il cielo e la terra; è una coppa a cui si dissetano i santi, ma non gli angioli, che pur ne risentono l’effetto delizioso. È là che la preghiera del Signore, il Pater noster, è stata concepita ed elaborata….  È quel Cuore divino, che supplisce a tutte le negligenze nostre, nel rendere l’omaggio dovuto a Dio, alla S.ta Vergine e ai santi. Per soddisfare a tutti i nostri obblighi questo sacro Cuore si fa nostro servo, nostra cauzione; in lui solo le nostre opere ricevono quella perfezione, quella nobiltà che le rende gradite agli occhi della divina maestà; è da Lui che scorrono e possono discendere sulla terra. Infine è la dimora soave, il santuario sacro che si dischiude alle anime al loro partire dalla terra, affinché possano rimanervi sempre nelle ineffabili delizie della eternità (Loc. cit, p. XVIII. Vedere: L’indice delle persone e delle cose alla parola cuore.). – Mechtilde e Gertrude hanno avuto proprio il pensiero del cuore di carne? Sì, senza dubbio. Ma esso è come nobilitato nel simbolismo dell’amore; esso si perde, per così dire, nell’irradiamento luminoso della Persona di Gesù. Nella Vigna mistica la divozione si attacca alla piaga del costato. Qui va al cuore, per tutte le vie, e lo ritrova sempre glorioso e vivente. È anzi questo irradiamento di gloria e di gioia che mi sembra differenziare in gran parte la divozione che si rivela in Mechtilde e in Gertrude, da quella che ci si presenta in Margherita Maria. Non già che anche in questa non apparisca così gloriosa e raggiante, ma l’idea dell’amore che non è amato, dell’amore, che se non soffre più, ha però tanto sofferto, attrista quasi sempre il cielo della veggente di Paray. A Helfta siamo quasi sempre sotto un cielo luminoso di gioia e di gloria; il sacro Cuore vi si mostra amante e glorioso e lo vediamo deliziosamente amato; il culto del sacro Cuore vi respira, per così dire, da una parte e dall’altra, la gioia dell’amore felice. Si è notato che questo aspetto del Cristo glorioso e trionfante è quello in cui si compiace l’arte del XIII secolo; la croce stessa vi è come un trono. – Non ho ancor detto nulla della celebre visione in cui Gertrude ebbe come l’intuizione del divino disegno sul culto del sacro Cuore. Questa visione merita un’attenzione speciale. Fa epoca nella storia della divozione, al di fuori e accanto allo sviluppo che ha nella vita delle nostre due sante. Ebbe luogo, come più tardi la prima grande visione di Margherita Maria; nella festa di san Giovanni Evangelista, a mattutino. « Mentre ella era immersa, secondo il suo solito, nella divozione, il discepolo che Gesù amava tanto, e che deve essere perciò, amato da tutti, le apparve colmandola di mille testimonianze di amicizia. Essa gli chiese: « Qual grazia potrei io ottenere, io miserabile, nella vostra dolcissima festa? » Egli rispose: « Vieni con me; tu sei l’eletta del mio Signore, riposiamo insieme sul dolce petto del Signore, dove son nascosti i tesori d’ogni beatitudine ». E, prendendola con sé, la condusse presso il nostro tenero Salvatore, la collocò alla destra e si ritrasse per prender posto alla sinistra, E, mentre riposavano ambedue (Nel XIII secolo si poneva ancora la piaga al costato destro ordinariamente), con gran soavità, sul petto del Signore Gesù, il beato Giovanni toccando col dito, con rispettosa tenerezza, il petto del Signore, disse: « Ecco il santo dei santi che attira a sé tutti i beni del cielo e della terra » (L. IV, c. IV, t. II, p. 26, Parigi, 1878). San Giovanni spiega poi a Gertrude perché l’abbia messa alla destra, dalla parte della ferita, mentre prendeva per sé la sinistra. « Divenuto uno stesso Spirito con Dio, io posso penetrare sottilmente dove la carne non lo potrebbe. Ho dunque scelto per me la parte chiusa del costato. Ma tu che vivi ancora, della vita terrestre, tu non potresti, come me, penetrar nell’interno. Ti ho dunque posta all’apertura del Cuore divino, affinché tu possa ritrarne, con maggior facilità, la dolcezza e la consolazione che nella sua effervescenza continua, l’amor divino spande con impetuosità, su tutti quelli che lo desiderano » (Loc, cit.; p. 27). Come era possibile rappresentar meglio e la necessità di un oggetto sensibile per la nostra divozione e la relazione che ha con la divozione al sacro Cuore la vista del costato. aperto? – Ma non è questa che la prima parte della scena. « Siccome ella (la santa) provava un godimento ineffabile, alle pulsazioni santissime che facevano battere il Cuore divino, senza interruzione, disse a san Giovanni: Non sentiste voi forse, o prediletto di Dio, non sentiste l’incanto di questi palpiti soavi che hanno ora per me così gran dolcezza, quando riposavate alla cena, su questo seno benedetto? ,,. Egli rispose: « Confesso che le provai e riprovai, e la soavità ne impregnò l’anima mia come il dolce idromèle impregna, con la sua dolcezza, un boccone di pane fresco; di più l’anima mia ne rimase così infiammata, come lo diviene una caldaia bollente posta su di un fuoco ardente » (loc, cit. p. 27). Ecco la seconda fase della grande manifestazione. Il divin Cuore batte d’amore, e l’anima che sente questi battiti ne è insieme e rapita ed accesa. Di più la divozione è riallacciata al passato, con la divozione stessa dell’Evangelista dell’amore, che, secondo la parola liturgica « bevve alla sacra sorgente del Cuore divino, le acque che scaturiscono dal Vangelo ». – La terza fase della scena, riguarda l’economia provvidenziale. « Ella riprese: Perché dunque avete conservato su tutto questo un silenzio così assoluto, e non avete scritto cosa alcuna che lo potesse far conoscere, ciò che sarebbe pur stato di profitto per le anime nostre? ,,. Egli rispose: « La mia missione era di presentare alla Chiesa primitiva una semplice parola sul Verbo incarnato di Dio Padre, che fosse capace di soddisfare sino alla fine dei secoli l’intelligenza della razza umana tutta intiera, senza che almeno, per altro, pervenisse mai a comprenderla pienamente. Ma è stato riservato ai tempi attuali il dire la soavità di quelle pulsazioni, affinché udendo queste cose, si riscaldi il mondo che invecchia e che si raffredda nell’amore,, (Loc. cit., p. 28) ». Non è forse vero che qui si ritrova tutta la divozione, nella sua sostanza e nella sua storia? Questa sola pagina, basterebbe a metter Gertrude molto vicina a Margherita Maria, e, se non è stata scelta, per essere direttamente l’Apostolo del sacro Cuore, né per propagarne il culto, ne è stata però il poeta squisito e l’amante gioiosa.

FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

Doppio di 2^ classe – Paramenti bianchi.

La festa della Trasfigurazione di Gesù era da molto tempo celebrata il 6 agosto in diverse chiese d’Oriente e d’Occidente. Per commemorare la vittoria che arrestò, presso Belgrado, nel 1457, la marea invadente dell’Islamismo, e di cui giunse notizia a Roma precisamente il 6 agosto, Callisto III estese questa solennità a tutta la Chiesa. Pio IX l’innalzò al grado di doppio di II classe.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXVI:19
Illuxérunt coruscatiónes tuæ orbi terræ: commóta est et contrémuit terra.
Ps LXXXIII:2-3

[I lampi sfolgoravano sul mondo, e la terra si è scossa ed ha tremato].


Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini.

[Quanto amabili sono le tue dimore, o Signore degli eserciti! L’anima mia spasima ed anela verso il tempio del Signore.]


Illuxérunt coruscatiónes tuæ orbi terræ: commóta est et contrémuit terra.

[I lampi sfolgoravano sul mondo, e la terra si è scossa ed ha tremato].

Oratio

Orémus.

Deus, qui fídei sacraménta in Unigéniti tui gloriósa Transfiguratióne patrum testimónio roborásti, et adoptiónem filiórum perféctam, voce delápsa in nube lúcida, mirabíliter præsignásti: concéde propítius; ut ipsíus Regis glóriæ nos coherédes effícias, et ejúsdem glóriæ tríbuas esse consórtes.

[O Dio, che nella gloriosa trasfigurazione del tuo unico Figlio hai confermato i misteri della fede con la testimonianza dei profeti; e hai mirabilmente preannunciato, con la voce uscita dalla nube luminosa, la nostra definitiva adozione a tuoi figli: concedi a noi di diventare coeredi del re della gloria e partecipi del suo trionfo.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli
2 Petri 1:16-19
Caríssimi: Non doctas fábulas secúti notam fecimus vobis Dómini nostri Jesu Christi virtútem et præséntiam: sed speculatores facti illíus magnitudinis. Accipiens enim a Deo Patre honórem et glóriam, voce delapsa ad eum hujuscemodi a magnifica glória: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi complacui, ipsum audíte. Et hanc vocem nos audivimus de cœlo allatam, cum essemus cum ipso in monte sancto. Et habémus firmiórem propheticum sermónem: cui bene facitis attendentes, quasi lucérnæ lucénti in caliginóso loco, donec dies elucescat et lucifer oriátur in córdibus vestris.

 [Carissimi, noi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non seguendo favole ingegnose, ma dopo aver visto con i nostri occhi la sua grandezza. Egli, infatti, ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando dalla gloria maestosa discese a lui una voce: «Questo è il mio figlio diletto, nel quale ho posto la ·mia compiacenza: ascoltatelo». Questa voce noi l’abbiamo udita venire dal cielo, quando eravamo insieme con lui sul santo monte. Così, manteniamo più ferma la parola dei profeti, alla quale voi fate bene a prestare attenzione, volgendovi come ad una lampada che risplenda in un luogo tenebroso: finché spunti il giorno, e la stella del mattino sorga nei vostri cuori.]

Graduale

Ps XLIV:3;2
Speciosus forma præ fíliis hóminum: diffúsa est grátia in lábiis tuis.
V. Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi. Allelúja, allelúja
[Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, la grazia è riversata sopra le tue labbra.
V. Il mio cuore vibra un piacevole motivo, io recito a un re la mia composizione. Alleluia, alleluia.]

Eccli VII:26
Candor est lucis ætérnæ, spéculum sine mácula, et imago bonitátis illíus. Allelúja.

[Egli è splendore della luce eterna, egli è specchio senza macchia e immagine della divina bontà. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt XVII:1-9
In illo témpore: Assúmpsit Jesus Petrum, et Jacóbum, et Joánnem fratrem ejus, et duxit illos in montem excélsum seórsum: et transfigurátus est ante eos. Et resplénduit fácies ejus sicut sol: vestiménta autem ejus facta sunt alba sicut nix. Et ecce, apparuérunt illis Moyses et Elías cum eo loquéntes. Respóndens autem Petrus, dixit ad Jesum: Dómine, bonum est nos hic esse: si vis, faciámus hic tria tabernácula, tibi unum, Móysi unum et Elíæ unum. Adhuc eo loquénte, ecce, nubes lúcida obumbrávit eos. Et ecce vox de nube, dicens: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi bene complácui: ipsum audíte. Et audiéntes discípuli, cecidérunt in fáciem suam, et timuérunt valde. Et accéssit Jesus, et tétigit eos, dixítque eis: Surgite, et nolíte timére. Levántes autem óculos suos, néminem vidérunt nisi solum Jesum. Et descendéntibus illis de monte, præcépit eis Jesus, dicens: Némini dixéritis visiónem, donec Fílius hóminis a mórtuis resúrgat.

[In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse in disparte, su un alto monte; e, davanti a loro, si trasfigurò. II suo volto si fece splendente come il sole, le sue vesti divennero candide come la neve. Ed ecco, apparvero Mosè ed Ella, in colloquio con lui. Pietro allora, prendendo la parola, disse a Gesù: «Signore, è bene per noi stare qui. Se vuoi, facciamo qui tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Mentr’egli ancora parlava, ecco una nube luminosa li avvolse, e una voce dalla nube disse: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale ho riposto la mia compiacenza: ascoltatelo». A questa voce, i discepoli caddero faccia a terra, e furon presi da grande spavento. Ma Gesù si accostò a loro, li toccò e disse: «Alzatevi e non abbiate timore». Ed essi, alzati gli occhi, non videro più alcuno, all’infuori di Gesù. Mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest’ordine: «Non fate parola ad alcuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo sia risorto dai morti».]

OMELIA

[F. M. Zoppi: Omelie, panegirici e sermoni;; t. III – Milano 1863 ; Imprim. 17 sett. 1841]

SCOPO DELLA TRASFIGURAZIONE DI GESÙ CRISTO E FIDUCIA CH’ELLA DEVE DESTARE IN NOI.

Grandi ed utilissimi misteri oggi ci porge a meditare la Chiesa, festeggiando la trasfigurazione di nostro Signor Gesù Cristo sul monte Tabor, e a ben comprenderli giova; o dilettissimi, che prendiamo la cosa un po’ da lontano. Stabilendo Gesù Cristo quella fede che richiama gli empj alla giustizia e i morti alla vita, dice il pontefice s. Leone, tutto dirigeva e la sua dottrina e i suoi miracoli a far credere a’ suoi discepoli ch’Egli era ad un tempo e l’Unigenito di Dio ed il Figliuolo dell’uomo, perché una cosa senza dell’altra non giovava alla salute. Quindi o volesse confermarli in questa fede salutevolissima, o volesse indagar quale opinione avessero di lui, come se non iscorgesse l’animo loro, già li aveva interrogati così: Chi dicono gli uomini ch’io mi sia? — Gli uni dicono, risposero essi schiettamente, che voi siete Giovanni Battista, altri Geremia, altri uno degli antichi profeti risorto. — Ma e voi, soggiunse Egli, chi dite voi ch’io sia? — E fu allora che l’Apostolo il più zelante della gloria di lui, quegli che avea ad essere il primo e il capo gli Apostoli e di tutti i seguaci di Gesù Cristo e per la bocca e sulla cattedra del quale avea a parlare a tutti lo Spirito Santo, voglio dire s. Pietro, diede la sempre memorabile risposta: Voi siete il Messia, il Figliuolo di Dio vivente. – Qual poteva Gesù Cristo aspettarsi testimonianza più chiara, qual più gloriosa confessione? Ben gli manifestò Egli perciò tosto la sua piena compiacenza, e lo ricompensò ben largamente, dicendogli, Te beato, o Simone, te beato, cui non la carne e il sangue, ma il mio Padre celeste diede questi lumi divini: tu sarai la pietra immobile sulla quale fabbricherò la mia Chiesa, e contro di cui tutti gli sforzi dell’inferno saranno sempre vani; tu ne sarai il capo, tu sarai sulla terra l’arbitro de’ poteri del cielo. Ma non così avevasi a credere glorificata in Cristo l’umana natura, che soggetto fosse a supplicio e morte. Non potendo perciò Gesù Cristo tacergli quanto di triste gli stava per accadere, “sono, gli disse, sono sì il Messia, il Figliuolo di Dio vivente, e Dio io stesso; ma per la salvezza degli uomini, conviene che fra poco io vada a Gerosolima, che vi soffra molto per parte de senatori,  de principi dei sacerdoti e degli scribi, che vi sia messo a  morte, e da morte risorga il terzo dì. Ma ahimè! che a siffatto annunzio pare che non regga la fede ancor bambina di Pietro. Caldo egli della testimonianza resa al Figliuol di Dio, reputa cosa santa il rigettare ogni idea di supplicio, d’ignominia e di morte, liberamente e così fermamente che conviene che Gesù Cristo lo corregga dolcemente, che lo esorti a partecipare della sua passione, che lo incoraggi a dare per Lui anco la vita. Ma come sostenere se stesso ed anche i suoi compagni in questa fede e in questa fortezza d’animo, sicché non abbiano né ad arrossire né a temere della croce del loro Maestro? Qua appunto ‘mira, come vi dimostrerò la prodigiosa di Lui trasformazione, e qua ne sia diretta l’odierna nostra considerazione. – Come avea Gesù sin da prima promesso ai suoi discepoli, che alcuni di loro non sarebbero morti se prima non lo  avessero veduto pieno di maestà e di celeste splendore; così  non passarono che sei giorni, e ne compì la promessa sopra quanto avrebbero essi potuto immaginare. Presi seco i tre suoi discepoli favoriti, Pietro, Giacomo e Giovanni di lui fratello, li condusse in disparte su di un’alta montagna: et post dies sex assumpsit Jesus Petrum et Jacobum et Joannem, fratrem ejus, et duxit illos in montem excelsum seorsum. Si mise colà a pregare, e nel fervore della su: orazione si trasfigurò alla loro presenza, Et trasfiguratus est ante eos, scoprendo così la sua gloria sul monte Tabor a coloro che sul monte degli ulivi dovevano ben presto vedere i suoi languori e le sue ignominie. – Svela Egli pertanto a questi eletti testimoni la sua gloria, e quel suo corpo, che nella forma era affatto comune agli altri, lo veste e circonda di tanta luce, che ne appare visibilmente l’anima sua beata e divina. Compare Egli tutt’ad un tratto non più semplice uomo, ma Uomo-Dio; Tutt’altra da quella di prima è l’aria del suo volto; pare che nulla più in esso si scorga di terreno e di mortale: risplende come il sole e sparge d’ogni intorno vivissimi raggi di luce incantatrice; splendongli pure in dosso le vesti; e candide divengono al pari di neve, e candide sì, come dice s, Marco, che più candide tinger non le saprebbe arte qualunque; e il vago intreccio di sì tersa luce e di sì bel candore rapisce dolcemente, e immobili tiene gli sguardi degli avventurati Apostoli ammiratori: Et resplenduit facies ejus sicut sol, vestimenta autem ejus facta sunt alba sicut nix. Oh la grande, l’ammirabile sapienza del divin Redentore! – Apostoli prediletti, che dite ora del vostro Maestro alla vista di tante maraviglie? potete voi non iscorgere in Lui chiaramente la divinità? Che ne direte un giorno? potrete voi non rammentarvi tanto splendore e tanta gloria, quando il vedrete fra le angosce e gli obbrobri, sotto i colpi de’ nemici, in braccio alla morte? Ecco dunque lo scopo grande, a cui il divin Redentore indirizzò principalmente il mistero che celebriamo. Si trasfigurò Egli principalmente, dice il nostro Sommo Pontefice, per togliere dagli animi de’ suoi discepoli un’occasione di scandalo per la sua croce, e discoprendo loro in adesso l’eccellenza della nascosta sua dignità, impedì che in allora non venisse turbata la loro fede dall’umiliazione della volontaria sua passione: Ut de cordibus discipulorum crucis scandalum tolleretur, nec conturbaret eorum fidem voluntariæ humilitas passionis, quibus revelata esset absconditæ excellentia dignitatis. – Che se per sì saggia maniera Gesù Cristo confermò la fede nei suoi Apostoli, con non minore provvidenza, prosegue a dire il santo Pontefice, stabilì e sostiene la speranza della santa Chiesa. Perocché tutto il Corpo mistico di lei da qui deve conoscere in quale splendido e glorioso stato sarà trasmutato un giorno. Da qui ogni membro di questo Corpo ha a promettersi che un giorno avrà parte a quell’onore, onde già risplendette il suo Capo. E per verità, quando Gesù Cristo parla della maestà onde tornerà a venire, parla pure della gloria a cui saranno elevati i suoi membri fedeli: Risplenderanno in allora i giusti, Egli dice, al pari del sole nel regno di mio Padre: Tunc justi fulgebunt sicut sol in regno Patris mei. Quale argomento, o miei dilettissimi, perché non prendiamo mai scandalo veruno dalla croce di Gesù Cristo? Quale stimolo anzi a sostenere con fermezza d’anima per Lui ogni disprezzo; ogni obbrobrio o pena, a portare noi pure la croce di Lui? Che paragone v’è tra tutto ciò che noi possiamo patire in questo mondo e la gloria futura che si manifesterà in noi? Io credo che non ve ne abbia alcuno, dice il grande Apostolo:. Eristimo quod non sunt condignæ passiones hujus temporis ad futura gloriam quæ revelabitur in nobis. Che cosa ci deve perciò importare se qui viviamo nell’oscurità e nell’abiezione, se siamo contati per nulla? abbiamo anzi a reputarci perciò fortunati. Perocché voi avete a riguardarvi qui come se foste morti, dice lo stesso Apostolo, e la vostra vita dev’essere nascosta in Dio con Gesù Cristo; quando poi Cristo, che è la vera vita, tornerà a comparire, allora voi pure comparirete con Lui nella gloria: Mortui estis, et vita vestra ascondita est cum Christo in Deo: cum Christo  apparuerit, vita vestra, tunc et vos apparebitis cum illo in gloria. – Ma a meglio confermare gli animi degli Apostoli e a levarli ad ogni cognizione più sublime, così continua a flettere sull’odierno mistero il grande s. Leone, s’aggiungono sul monte Tabor le meraviglie alle meraviglie. Non è Gesù solo che colà compaia trasformato e tutto luminoso di gloria; ma con lui compaiono due uomini investiti dello stesso splendore della sua gloria, e stanno seco Lui ragionando: e l’uno è Mosè, il gran legislatore dei Giudei, l’altro è Elia, l’antico padre de profeti: Et ecce apparuerunt illis Moyses et Elias cu meo loquentes. Attoniti gli Apostoli veggono questi venerandi personaggi rendere omaggio al loro Maestro; conoscono ch’essi ravvisano e adorano il Lui il fine della legge e dei Profeti, la verità che succede alle ombre ed alle figure; il compimento d’ogni promessa e predizione; li ascoltano parlare con Lui, e di che mai? Della morte di Lui, dice s. Luca, ch’era per avvenire in Gerusalemme, di quella morte che aveva a compiere i voleri del divin Padre, a recare la salute a tutti gli uomini, ad essere il fine di d’ogni legge e profezia: et dicebant excessum ejiu, quem completurus erat in Jerusalem.  – Che cosa v’ha di più sodo: e di più fermo di questo linguaggio, soggiunge il santo Pontefice, nel quale s’accorda il nuovo col vecchio testamento, l’antica legge col Vangelo? E quello che sotto il velo de’ misteri era promesso in figura, si rende manifesto e chiaro dallo splendore della presente gloria, perché, siccome disse s. Giovanni, la legge è stata data da Mosè, la grazia e la verità venne recata da Gesù. Cristo, ne quale si compie e la promessa delle profetiche figure, e la ragione dei legali precetti; mentre Egli e colla sua presenza dimostra la verità della profezia, e colla sua grazia rende praticabili i precetti: Diem et veram docet prophetiam per sui praesentiam, et possibilia facit mandata per gratiam. Qual prova più grande della divinità di Cristo! quanta forza deve quindi prendere la fede degli Apostoli in ogni cimento! Quanta fermezza il loro coraggio in ogni prova! quanta lena il loro zelo per compiere l’opera del loro Maestro! lo vedranno confuso tra i malfattori, lo vedranno crocifisso tra due ladri sul Calvario; ma si rammenteranno d’averlo veduto tutto risplendente di gloria fra il primo de’ legislatori e il più antico dei profeti sul monte Tabor. È se tanto basta a sostenere la fede, ad animare il coraggio, ad impegnare lo zelo degli Apostoli, noi che siamo nella piena luce della verità, posti. A qualche cimento o a qualche prova, avremo noi rossore di confessare Gesù Cristo ed il suo Vangelo? –  Ma il giocondo e meraviglioso spettacolo che si presenta agli occhi degli Apostoli favoriti sul Tabor, non è soltanto la prova della divinità di Gesù Cristo, che li preserva dallo scandalo della croce; è altresì un raggio di quella gloria che formerà il premio de’ servi fedeli di Lui nel paradiso. E perciò l’apostolo s. Pietro, tutto preso e mosso da queste dolcissime rivelazioni già sprezza il mondo, prosegue a dire il santo Pontefice, già nausea ogni cosa di questa terra, e sentesi tutto rapire da vivissimo desiderio. delle cose eterne, e pieno della celeste visione, ivi brama restarsene con Gesù, ove tutto il rallegra la manifesta gloria di Lui. Seguendo perciò il primo impeto del vivace e fervido suo spirito, « Signore – egli grida, quasi uomo tutto trasportato in estasi di gioja – Signore, oh quanto bene ce ne stiamo qui! dovremmo rimanercene per sempre: consentite che qui innalziamo tre tende: l’una per voi, l’altra per Mosè, la terza per Elia: Domine, bonum est nos hic esse: si vis faciamus hic tria tabernacula: tibi unum, Moysi unun et Eliæ unum. – Ah miei dilettissimi, se un raggio solo della gloria e della maestà del Figliuolo di Dio rapisce d’ammirazione e ricolma d’una gioja sì pura, sì squisita, sì pien coloro che hanno la sorte d’esserne testimonj, che ne deve essere in Paradiso, ove vedesi Dio faccia a faccia, nella pienezza della sua maestà e della sua gloria? Se Pietro è tutto fuori di se stesso  per aver assaporata una piccolissima goccia delle beatifiche dolcezze del cielo sul monte Tabor, che ne sarà di quel torrente di delizie onde saranno. Inondati gli eletti nella sua città? Comprendete da qui, o miei cari, perché la speranza della gloria del Paradiso abbia potuto sostenere i Santi nelle  fatiche più gravi, nelle più severe austerità di questa vita e renderli contenti e felici in mezzo al vilipendio, alle persecuzioni, ad ogni sorta di guai. Eh torna bene a conto soffrir cosa qualunque per conseguire questa gloria, ed essere per sempre con Gesù Cristo su quella beata montagna, ove sparge senza misura sopra i Santi i suoi favori. – Qual proporzione, io torno a dirvi con l’Apostolo, tra tutte le afflizioni ed i mali di questa vita e la gloria e la felicità futura? Che stoltezza adunque il non curare questa gloria e questa felicità piena, la cui minima parte basta ad inebriare ad inebriare lo spirito di celeste soavità, e merita di essere preferita ad ogni vanagloria del mondo, e a quanti piaceri languidi e vuoti si possono qui provare? Qui, dissi, ove i beni turbano lo spirito al pari dei mali, ove non si sa se più tranquillo sia il poverello oppure il ricco, l’onorato o l’abietto; o se più disgustano i piaceri o i dolori, i casi prosperi ovvero gli avversi. No, miei cari, non è che in Paradiso ove non v’abbia né male né turbamento né pena, ove la pace sia pura e piena; non v’ha  che lassù, ove dir si possa con Pietro: Egli è bene per noi lo starcene qui: Bonum est nos hic esse. – Se non che, lasciandosi Pietro trasportare dalla piena delle consolazione, ond’era inondato il suo cuore, non sapeva che cosa sì dicesse, dice s. Marco. non perché fosse cattivo il desiderio di lui, come riflette s. Leone, ma perché era fuori di ordine. Egli bramava la felicità fuori di luogo, non essendo la terra il luogo del godimento; la bramava innanzi tempo, non potendosi salvare il mondo, se non per la morte di Cristo; e dovendo precedere per tutti il merito al premio, tutti dovevano prima dimostrare la loro fede col seguire l’empio del loro Signore. No, non v’ha ragione alcuna di dubitare della promessa dell’eterna beatitudine, continua a dire il santo Pontefice, ma fra le tentazioni di questa vita fa d’uopo dimandar la pazienza prima della gloria, perché la felicità di regnare non può prevenite il tempo di patire: Quia tempora patiendi non potest felicitis prævenire regnandi. – Epperò Gesù Cristo, invece di rispondere all’ardente domanda di Pietro, con altro stupendo miracolo rassoda la fede di lui, de’ suoi compagni e di tutti i Cristiani contro lo scandalo della sua croce; e a tatti insegna il grande, l’unico mezzo onde si consegue la sua gloria. Parlava Pietro ancora, quand’ecco, scesa dal cielo luminosa nube, investe e seco avvolge Mosè, Elia è Gesù, e li nasconde allo sguardo degli attoniti Apostoli spettatori; ed ecco che dalla nube essa sorte una chiara voce e divina che alto grida, Questi è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto: tutto ciò ch’Io amo, lo amo per Lui: Lui ascoltate: non ascoltate altri in fuori di Lui: ascoltatelo come vostro Maestro; obbeditegli come vostro Re: Adhuc eo loquente, ecce nubés lucida obumbravit eos: Et ecce vox de nube dicens, Hic est Filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui: ipsim audite. All’udire di questa vote; furono talmente percossi gli Apostoli, che caddero col viso contro terra; ed ebbero gran paura, e non temettero solo dalla maestà del Padre, ma quella pur anco del Figlio; come riflette san Leone, avendo essi per alto sentimento compreso, che l’uno e l’altro sono un Dio solo, e perché non vi fu esitanza nel credere, perciò non vi fu distinzione nel temere: Altiori enim sensu unam utriusque intellexerunt deitatem; et quia in fide non erat hæsitatio, non fuit in timore discretio. E da quel punto sparì dal monte ogni splendore, ogni gloria; e restò solo Gesù il quale, dopo aver rialzati e confortati gli Apostoli, scendendo dal monte comandò loro di non dire a chicchessia quanto avevano veduto colà, prima ch’egli fosse risorto da morte. –  Ben ampia e molteplice fu dunque la testimonianza data qui alla divinità di Cristo, così soggiunge il santo Pontefice, di cui vi ho resi sin qui i sentimenti, ma d’ora innanzi vi renderò le parole stesse; tanto sono acconce al nostro proposito e piene di celeste dottrina: ben ampia; io dissi, e molteplice ne fu la testimonianza, e più che dal suono della prodigiosa voce, si comprende dalla virtù delle parole divine! Perocché, dicendo il Padre; Questi è l’amato mio Figliuolo, questi l’oggetto di tutte le mie compiacenze; ascoltatelo; ben si scorge ad evidenza, ch’Egli vuol dire, Questi è l’amato mio Figliuolo, che viene da me e meco si trova senza conoscer tempo, non esistendo il genitore prima del generato, né il generato dopo del genitore: questi è l’amato mio Figliuolo, che non divide da me né la divinità né la podestà né l’eternità; Figliuolo non adottivo; ma proprio; non d’altronde creato, ma generato da me; non d’altra natura reso simile a me, ma nato dalla mia essenza e a me eguale: questo è l’amato mio Figliuolo, da cui sono tutte le cose, e senza di cui non v’ha cosa alcuna, perché tutto ciò ch’Io faccio, lo fa Egli pure, tutto ciò ch’Io opero, Egli pure l’opera meco inseparabilmente e senza differenza alcuna, essendo il Padre nel Figlio, e nel Figlio il Padre, né mai dividendosi la nostra unità: questo è l’amato mio Figliuolo, che non riputò rapina né per usurpazione presunse d’essermi eguale, ma per eseguire il comune disegno di redimere il genere umano, conservandosi nella forma della mia gloria abbassò l’incommutabile divinità sino alla forma di servo. Costui adunque, nel quale Io mi compiaccio per ogni cosa, per la predicazione del quale Io sarò conosciuto, e per le umiliazioni glorificato; Costui ascoltate sempre, perché Egli è la verità e la vita; Egli la mia forza e la mia sapienza: ascoltatelo, ch’Egli è Colui che fu preannunciato dai misteri della legge e predetto dalle bocche dei Profeti: ascoltatelo, ch’Egli è Colui che redime il mondo col suo sangue, incatena il demonio e gli toglie i vasi d’abbominazione, cancella il chirografo del peccato, rompe i patti della prevaricazione: ascoltatelo, ch’Egli è Colui che vi apre la strada al cielo, e col supplizio della sua croce vi prepara la scala onde ascendiate al regno della sua gloria. E che, temete d’essere redenti? Essendo feriti avete paura d’essere sanati? Facciasi ciò che, volendo Io, Cristo vuole: gettate via ogni timore carnale, ed armatevi di fede e di costanza;. Perché ella è cosa indegna che temiate nella passione del Salvatore ciò che per la grazia di Lui non temerete in fine nemmeno in voi stessi: Fiat quod me volente vult Christus: abjicite carnalem formidinem, et fideli armate vos constantia; indignum est enim ut in Salvatoris passione timeatis, quod ipsius munere nec in fine vestro metuetis. – Ma queste cose, o dilettissimi, così chiudeva il gran: pontefice la sua omelia, queste cose non sono state dette solo a vantaggio di quei che le hanno ascoltate colle proprie loro orecchie; ma in que’ tre Apostoli favoriti, tutta la Chiesa imparò quanto essi hanno e veduto co’ loro occhi e udito co’ loro orecchi. Sia dunque ferma la fede: di tutti sopra i santi Vangeli, e nessuno arrossisca della croce di Cristo, per la quale è stato redento il mondo; né per ciò che non si passa al riposo se non per la fatica, né alla vita se non per la morte, nessuno o tema di patire per la giustizia, e diffidi della promessa retribuzione, dacché tutta la nostra debolezza se’ la. prese Colui, nella confessione e nell’amore del quale se noi siamo costanti e vinciamo ciò ch’Egli ha vinto e riceviamo ciò ch’Egli ha promesso. – A Lui dunque prestiamo orecchio e facciamo il sordo alle voci delle, passioni, che vorrebbero o raddolcirci o scemarci i precetti di Lui; a quelle della prudenza del secolo, che vorrebbe sottrarci da ogni prova; a quelle di certi maligni, che osano fingere la voce di Lui. Trattisi o di adempire il santo Vangelo o di soffrire dure prove, per Gesù Cristo, ci risuoni sempre agli orecchi la voce del divin Padre, Hic est Filius dilectus, in quo mihi bene complacui: Ipsum audite. Lui ascoltiamo, non ascoltiamo altri che Lui, e dove Egli parla, vada roba, umana riputazione, vita, ma Lui siu ascolti, si obbedisca a Lui: Ipsum audite.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Ps CXI:3
Glória et divítiæ in domo ejus: et justítia ejus manet in sǽculum sǽculi, allelúja.


[I beni e l’abbondanza colmano la sua dimora, e la sua giustizia dura in eterno, alleluia.]

Secreta

Obláta, quǽsumus, Dómine, múnera gloriósa Unigéniti tui Transfiguratióne sanctífica: nosque a peccatórum máculis, splendóribus ipsíus illustratiónis emúnda.
[Santifica, Signore, queste offerte: con la gloriosa trasfigurazione del tuo unico Figlio, e con lo splendore della sua luce mondaci dalle macchie del peccato.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt XVII:9
Visiónem, quam vidístis, némini dixéritis, donec a mórtuis resúrgat Fílius hóminis.

[A nessuno farete parola di questa visione fino a quando il Figlio dell’Uomo non sia risorto dai morti]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut sacrosáncta Fílii tui Transfiguratiónis mystéria, quæ sollemni celebrámus offício, purificáta mentis intellegéntia consequámur

[Concedi, o Dio onnipotente, che con interiore purezza di spirito, possiamo comprendere i sacrosanti misteri della trasfigurazione del tuo Figlio, che con solenne rito celebriamo.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA