DOMENICA XIII DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA XIII dopo PENTECOSTE (2021)

La Chiesa ci fa leggere in questo tempo nel Breviario il principio del libro dell’Ecclesiaste: « Vanità delle vanità, dice l’autore sacro, tutto è vanità. Si dimentica ciò che è passato, e le cose che debbono ancora venire non lasceranno ricordi presso quelli che verranno più tardi. Io ho vedute tutte le cose che avvengono sotto il sole, ed ecco che sono tutte vanità e afflizione dell’anima. I perversi difficilmente si correggono e infinito è il numero degli insensati » (7° Nott.). « Dopo che Salomone poté contemplare la luce della vera sapienza, dice S. Giovanni Crisostomo, uscì in questa esclamazione sublime e degna del cielo: « Vanità delle vanità, tutto è vanità! ». A vostra volta, se volete, potete rendere simile testimonianza. È vero che nei secoli passati, Salomone non era tenuto a una diligente ricerca della sapienza, poiché l’antica legge non considerava vanità il godimento dei beni superflui; tuttavia, malgrado questo stato di cose, si può vedere quanto siano vili e dispregevoli. Ma noi, chiamati a virtù più perfette, saliamo a cime più alte, ci esercitiamo in opere più difficili. Che dire di più se non che ci è stato comandato di regolare la nostra vita su virtù celesti, che non hanno nulla di materiale e che sono tutta intelligenza? » (2° Nott.). Queste virtù celesti sono per eccellenza, le tre virtù teologali: « fede, speranza, carità » che l’orazione ci fa chiedere a Dio affinché noi « non amiamo se non quello che Egli ci comanda ». Ed è per questo motivo che la Chiesa fa leggere in questo giorno [‘Epistola di S. Paolo ai Corinti, che ha per oggetto la fede in Gesù Cristo, fede che agisce mediante la carità e che ci fa mettere, come già Abramo, la nostra speranza nel divino Salvatore. Infatti solo per questa fede operante e confidente, le anime coperte dalla lebbra del peccato vengono guarite come ci mostra il Vangelo. I dieci lebbrosi che rappresentano in qualche modo le trasgressioni fatte dagli uomini ai dieci comandamenti, scorgono il loro divino Medico e, ponendo subito in Lui ogni speranza:« Maestro, abbi pietà di noi! » gridano. La fede loro è operante,perché quando Cristo li mette alla prova dicendo: « Andate, mostratevi ai sacerdoti », essi vanno senza esitare e, andando, sono guariti. Ma questa guarigione è confermata da uno solo di quelli che tornò indietro per mostrare la sua riconoscenza a Gesù « Quando uno di essi si vide guarito, tornò sui suoi passi, glorificando Dio ad alta voce e cadendo con la faccia a terra ai piedi di Gesù, lo ringraziò ». Gesù allora gli disse: « Va, la tua fede ti ha salvato ». Questo mostra che è la fede in Gesù che salva le anime. Ora se è la fede in Gesù che salva le anime, la Chiesa ha precisamente da Gesù la missione di far penetrare nelle anime questa fede mediante la predicazione e la lettura. Questo passo del Vangelo ci indica anche l’espulsione dei Giudei che sono stati ingrati verso Colui che era venuto per guarirli, mentre i Gentili gli sono stati fedeli. Dei dieci lebbrosi infatti nove erano Giudei e uno solo non lo era, ed è a questo solo — che era Samaritano, e tornò indietro a ringraziare il Salvatore —che Gesù dice: La tua fede t’ha salvato. Da ciò si vede non essere soltanto ai figli d’Abramo secondo il sangue che è stata fatta questa promessa, ma ancora a tutti coloro i quali sono suoi figli perché partecipi della sua fede in Gesù Cristo. Infatti, è per questa fede che la promessa di vita eterna fatta ad Abramo si estende a tutti i popoli. Così l’Orazione della III Profezia del Sabato Santo dice che « col Battesimo, Dio, moltiplicando i figli della promessa stabilisce Abramo, suo servo, padre di tutte le genti secondo la profezia ». « Fate, soggiunge la quarta Orazione, che tutti i popoli della terra diventino figli d’Abramo e partecipino della grandezza toccata in sorte al popolo d’Israele». I Gentili occupano dunque il posto dei Giudei. « I nove, commenta S. Agostino, gonfi d’orgoglio, credevano di umiliarsi col ringraziare; e non ringraziando sono stati riprovati e rigettati dall’unità che si trova nel numero dieci (vi erano dieci lebbrosi), mentre l’unico che ringrazia è approvato dall’unica Chiesa. — Così per il loro orgoglio, i Giudei perdettero il regno dei cieli dove regna la più grande unità; mentre il Samaritano, sottomettendosi al re col suo ringraziamento, ha conservata l’unità del regno per la sua devozione. piena di umiltà» (Mattutino). I Giudei entreranno in massa nel regno dei cieli alla fine del mondo, allorché crederanno in Gesù, ed è a ciò cui fa allusione l’Introito quando essi chiedono che la loro esclusione dalla Chiesa non sia irrevocabile: « Ricordati, o Signore, della tua alleanza, non abbandonare le anime dei poveri alla fine.  Perché, o Dio, ci hai rigettati? Perché la tua collera si è accesa contro le pecore del tuo ovile? ». E la Chiesa chiede a Dio « d’essere propizio al suo popolo, e, placato dal sacrificio che gli viene offerto, di perdonare la sua ingratitudine » (Secr.). Quanto ai Gentili, essi dicono a Gesù che ripongono in Lui tutta la loro speranza (Off.) perché si è fatto loro rifugio di generazione in generazione (All.) e li nutre del suo pane celeste, come fece per gli Ebrei nel deserto, allorché dette la manna che conteneva ogni sapore ed ogni dolcezza (Com.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXIII: 20; 19; 23
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le anime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Ps LXXIII: 1

Ut quid, Deus, reppulísti in finem: irátus est furor tuus super oves páscuæ tuæ?
[Perché, o Signore, ci respingi ancora? Perché arde la tua ira contro il tuo gregge?]

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le ànime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, da nobis fídei, spei et caritátis augméntum: et, ut mereámur asséqui quod promíttis, fac nos amáre quod præcipis.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità: e, affinché meritiamo di raggiungere ciò che prometti, fa che amiamo ciò che comandi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti S. Pauli Apóstoli ad Gálatas.

[Gal. III: 16-22]

“Fratres: Abrahæ dictæ sunt promissiónes, et sémini ejus. Non dicit: Et semínibus, quasi in multis; sed quasi in uno: Et sémini tuo, qui est Christus. Hoc autem dico: testaméntum confirmátum a Deo, quæ post quadringéntos et trigínta annos facta est lex, non írritum facit ad evacuándam promissiónem. Nam si ex lege heréditas, jam non ex promissióne. Abrahæ autem per repromissiónem donávit Deus. Quid igitur lex? Propter transgressiónes pósita est, donec veníret semen, cui promíserat, ordináta per Angelos in manu mediatóris. Mediátor autem uníus non est: Deus autem unus est. Lex ergo advérsus promíssa Dei? Absit. Si enim data esset lex, quæ posset vivificáre, vere ex lege esset justítia. Sed conclúsit Scriptúra ómnia sub peccáto, ut promíssio ex fide Jesu Christi darétur credéntibus”.

[“Fratelli: Le promesse furono fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Non dice la scrittura: E ai suoi discendenti, come si trattasse di molti; ma come parlando di uno solo: E alla tua discendenza; e questa è Cristo. Ora, io ragiono così; un’alleanza convalidata da Dio non può, da una legge venuta quattrocento anni dopo, essere annullata, così da rendere vana la promessa. Poiché, se l’eredità viene dalla legge, non vien più dalla promessa. Ma Dio l’ha donata ad Abramo in virtù d’una promessa. Perché dunque la legge? È stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo degli Angeli per mano di un mediatore. Ora non si dà mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. Dunque la legge è contraria alle promesse di Dio? Niente affatto. Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, sì, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma la Scrittura ha racchiuso tutto sotto il peccato, affinché la promessa, mediante la fede in Gesù Cristo, fosse data ai credenti»”.

UNO SGUARDO AL CROCIFISSO

S. Paolo aveva insegnato ai Galati che la giustificazione non dipende dalla legge di Mosè, ma dalla fede in Gesù Cristo, morto per noi in croce. Ma Gesù Crocifisso. dipinto tanto vivamente dall’Apostolo ai Galati, era stato ben presto dimenticato da essi, lasciatisi affascinare da coloro che insegnavano dover noi attendere la nostra salvezza dalla legge. S. Paolo, rimproverata la loro stoltezza, nota come Gesù, morendo sulla croce, maledetta dalla legge, libera i Giudei dalla maledizione, e conferisce a tutti, Giudei e Gentili, che si uniscono nella fede in Gesù Cristo, lo Spirito promesso. Passa poi a far osservare come vediamo nell’epistola di quest’oggi, che la promessa dei beni celesti, fatta ad Abramo e alla sua discendenza. cioè al Cristo, nel quale si sarebbero unite tutte le nazioni a formare un solo popolo, essendo incondizionata, fatta ad Abramo direttamente da Dio, e da Dio confermata, aveva tutto il carattere d’un patto irremissibile. Non poteva, quindi, venir indebolita o modificata dalla legge di Mosè venuta 430 anni dopo, con un contratto temporaneo. La legge, del resto, non escludeva la promessa, dal momento che essa non poteva giustificare e dare la vita, come fa la promessa. E neppure fu inutile; perché, facendo conoscere i numerosi doveri da compiere, senza porgere l’aiuto necessario, metteva l’uomo nella condizione di dover sperimentare tutta la propria debolezza e di sentir la necessità d’un Redentore; e di riconoscere, per conseguenza, che le celesti benedizioni non possono essere effetto della legge, ma della promessa, e che non si ottengono che con la fede in Gesù Cristo. Gesù Cristo, che morendo in croce, adempie le promesse fatte da Dio, sarà l’argomento di questa mattina. – Gesù Cristo Crocifisso, così presto dimenticato dai Galati, fermi la nostra attenzione.

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

Graduale

Ps LXXIII:20; 19; 22.

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum: et ánimas páuperum tuórum ne obliviscáris in finem.
[Signore, abbi riguardo al tuo patto: e non dimenticare per sempre le ànime dei tuoi poveri.]

Exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam: memor esto oppróbrii servórum tuórum. Allelúja, allelúja
[V. Sorgi, o Signore, e difendi la tua causa e ricordati dell’oltraggio a Te fatto. Allelúia, allelúia].

Alleluja

Ps LXXXIX: 1
Dómine, refúgium factus es nobis a generatióne et progénie. Allelúja.

[O Signore, Tu fosti il nostro rifugio in ogni età. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XVII: 11-19


In illo témpore: Dum iret Jesus in Jerúsalem, transíbat per médiam Samaríam et Galilaeam. Et cum ingrederétur quoddam castéllum, occurrérunt ei decem viri leprósi, qui stetérunt a longe; et levavérunt vocem dicéntes: Jesu præcéptor, miserére nostri. Quos ut vidit, dixit: Ite, osténdite vos sacerdótibus. Et factum est, dum irent, mundáti sunt. Unus autem ex illis, ut vidit quia mundátus est, regréssus est, cum magna voce magníficans Deum, et cecidit in fáciem ante pedes ejus, grátias agens: et hic erat Samaritánus. Respóndens autem Jesus, dixit: Nonne decem mundáti sunt? et novem ubi sunt? Non est invéntus, qui redíret et daret glóriam Deo, nisi hic alienígena. Et ait illi: Surge, vade; quia fides tua te salvum fecit.” 
 

[“In quel tempo andando Gesù in Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando por entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili, disse: Andate, fatevi vedere da’ sacerdoti. E nel mentre che andavano, restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio, ad alta voce: e si prostrò per terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci que’ che son mondati? E i nove dove Sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, salvo questo straniero. E a lui disse: Alzati, vattene, la tua fede ti ha salvato”]

OMELIA

DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

[Vol. IV, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa, Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).]

Sull’Assoluzione.

Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis retenta sunt.

(JOAN. XX, 23).

Quanto è costato, F. M., al divin Salvatore il dar efficacia a queste parole: “Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e ritenuti a chi li riterrete! „ Ahimè! quanti tormenti, quanti obbrobri, qual morte dolorosa!… Ma noi siamo così ciechi, così grossolani, così poco spirituali, che la maggior parte di noi, crede che spetti solo al sacerdote concedere o rifiutare l’assoluzione, a suo piacimento. No, F. M., ci inganniamo assai: il ministro del sacramento della Penitenza non è che il dispensatoredelle grazie e dei meriti di Gesù Cristo (1 Cor. IV, 1) e non può dispensarli che secondo regole prescritte. Ahimè! da qual terrore deve esser preso un povero sacerdote, che esercita un ministero così formidabile, in cui corre grave pericolo di perder se stesso volendo salvare gli altri. Qual terribile rendiconto dovrà dare il sacerdote, quando verrà il dì del giudizio, e da Dio stesso gli verran messe davanti agli occhi tutte le assoluzioni impartite, per esaminare se fu troppo prodigo delle grazie del cielo o troppo avaro. Davvero, F. M., che è assai difficile adempiere sempre bene il proprio dovere!… Quanti sacerdoti, nel dì del giudizio, desidereranno non essere stati sacerdoti, ma semplici laici! Quanti fedeli pure si riconosceranno colpevoli, perché, forse, non pregarono mai Dio pei loro pastori, che si sono esposti al pericolo di perdersi per salvarli!… Ma se un sacerdote ha il potere di rimettere i peccati, ha pure quello di ritenerli; e S. Gregorio il Grande ci dice che un sacerdote deve esaminar bene le disposizioni del peccatore, prima di dargli l’assoluzione. Deve vedere se il suo cuore è cambiato, se ha davvero tutte le disposizioni, che deve avere un peccatore convertito. È quindi evidente che il ministro della Penitenza deve differire o rifiutare l’assoluzione a certi peccatori, sotto pena di dannare se stesso insieme col penitente. Vi mostrerò dunque, o vi insegnerò: 1° che cos’è l’assoluzione; 2° quali sono coloro ai quali si deve concederla o rifiutarla: argomento ben interessante, poiché trattasi della vostra salvezza o perdizione. Quanto l’uomo è fortunato, F. M., ma quanto altresì è colpevole! Dissi che è fortunato, poiché dopo aver perduto il suo Dio, il cielo e l’anima, può ancora sperare di trovar mezzi facili per riparare una perdita grande, quale è quella d’una felicità eterna. Il ricco che ha perduto le sue sostanze, spesso non può ricuperarle, malgrado ogni suo buon volere; ma se il Cristiano ha perduto la propria felicità eterna, può riacquistarla senza, per così dire, far fatica. Mio Dio! quanto amate i peccatori, poiché date ad essi tanti mezzi di ricuperare il cielo! Vi assicuro che siamo ben colpevoli disprezzando tutti questi mezzi, mentre possiamo con essi conseguire tanti beni. Avete perduto il cielo, amico mio, e perché volete vivere in tanta povertà? Mio Dio! l’uomo peccatore può davvero riparare la sua sventura!… e ha mezzi assai facili a sua portata!

I. — Se mi domandate che cos’è l’assoluzione, vi dirò che è una sentenza che il sacerdote pronuncia, in nome e coll’autorità di Gesù Cristo, e per la quale i nostri peccati vengono così rimessi, così cancellati, come se non li avessimo mai commessi, purché chi si confessa, abbia le disposizioni richieste dal Sacramento. Ah! F. M., chi di noi non vorrà ammirare l’efficacia di questa sentenza di misericordia? O momento felice per un peccatore convertito!… Appena il ministro ha pronunciato le parole: “Io ti assolvo, „ l’anima è lavata, purificata da tutte le sue lordure pel Sangue prezioso che scorre su di essa. Mio Dio! quanto siete buono col peccatore!… Inoltre, F. M., la povera anima nostra è strappata dalla tirannia del demonio e ristabilita nell’amicizia e nella grazia del suo Dio; riacquista la pace, quella pace sì preziosa, che forma tutta la felicità dell’uomo in questo mondo e nell’altro; le vien restituita l’innocenza, con tutti i diritti al regno di Dio, che i peccati le avevano rapito. Ditemi. F. M., non dobbiamo essere inteneriti e commossi sino alle lagrime alla vista di tante meraviglie? Avreste potuto pensare che ogni qual volta il peccatore riceve l’assoluzione gli siano accordati tutti questi beni? Ma tutto ciò non è dato e non dev’esser dato che a quelli che se lo meritano, cioè, che sono peccatori è vero, ma peccatori convertiti, che sentono dispiacere della loro vita passata, non solo perché hanno perduto il cielo, ma perché oltraggiarono Colui che merita d’essere infinitamente amato.

II. — Se desiderate sapere quando vi si debba differire o rifiutare l’assoluzione, eccolo: ascoltate bene, ed imprimetevelo nel cuore, affinché ogni volta che andrete a confessarvi possiate conoscere se meritate d’essere assolti o rimandati. Io trovo otto ragioni, che debbono indurre il Sacerdote a differirvi l’assoluzione; è la Chiesa stessa che ha dato queste regole, sulle quali il sacerdote non deve transigere; se le trascura, sventura a lui ed a quelli che dirige: è un cieco che fa da guida ad un altro cieco, tutti e due precipiteranno nell’inferno (Matt. XV, 14). E dovere del ministro di Dio di ben applicare queste regole, ed il vostro è di non mormorare quando vi si nega l’assoluzione. Se un sacerdote ve la rifiuta, è perché vi ama, e desidera davvero di salvar l’anima vostra; e voi non lo conoscerete che al dì del giudizio: allora vedrete che era solo il desiderio di condurvi al cielo che l’ha indotto a differirvi l’assoluzione. Se ve l’avesse accordata, come desideravate, sareste dannato. Non dovete adunque, F. M., mormorare quando un sacerdote non vi dà l’assoluzione; al contrario, dovete ringraziarne il buon Dio, ed adoperarvi con tutte le vostre forze per meritarvi questa fortuna. Vi dico, 1°, che non meritano l’assoluzione quelli che non sono abbastanza istruiti: il sacerdote non deve e non può darla a costoro senza rendersi colpevole, perché ogni Cristiano è obbligato di conoscere Gesù Cristo, i suoi misteri, la sua dottrina, le sue leggi ed i Sacramenti. S. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, ci dice espressamente che non si deve dar l’assoluzione a chi non conosce i misteri principali della nostra santa fede e gli obblighi particolari del proprio stato: “Specialmente, ci dice, quando si capisce che la loro ignoranza deriva dalla indifferenza per la propria salvezza.„ Le leggi della Chiesa proibiscono di dare l’assoluzione ai padri ed alle madri, ai padroni e padrone che non istruiscono i loro figli o domestici, o non li fanno istruire da altri intorno a ciò che è necessario per salvarsi; che non sorvegliano la loro condotta; che trascurano di correggerli dei loro disordini e difetti. Dirvi che non merita l’assoluzione chi non sa quanto è necessario per salvarsi, è come dicessi a qualcuno, che egli è nel precipizio, e non gli offrissi i mezzi di uscirne. Vi mostrerò dunque ciò che dovete sapere per uscire da questo abisso d’ignoranza: imprimetevelo bene nel cuore, affinché non si cancelli mai più, per insegnarlo ai vostri figli, e questi ad altri. Ripeto, F. M., quanto già vi dissi più volte: un Cristiano deve sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, gli atti di Fede, Speranza e Carità, i Comandamenti della legge di Dio, i precetti della Chiesa, e l’atto di Contrizione. E non intendo dire soltanto le parole; poiché bisognerebbe esser estremamente ignoranti per non saperle, ma occorre anche, se foste interrogati, che possiate dare la spiegazione di ogni articolo in particolare, chiarendone il significato. Questo vi si domanda, e non che sappiate soltanto le parole. Dovete sapere che il Pater noster è stato composto da Dio stesso; che l‘Ave Maria fu composta, parte dall’Angelo quando si presentò alla Ss. Vergine ad annunciarle il mistero dell’Incarnazione (Luc. I, 28), e l’altra parte dalla Chiesa; che il Credo fu composto dagli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo, prima di disperdersi pel mondo; perciò avviene che in tutte le regioni del mondo è insegnata la medesima Religione cogli stessi misteri. Esso contiene il compendio di tutta la nostra santa Religione, il mistero della Ss. Trinità, cioè un Dio solo in tre Persone: il Padre che ci ha creati, il Figliuolo che ci ha redenti coi suoi patimenti e morte, e lo Spirito Santo che ci ha santificati nel Battesimo. Quando dite : “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore, ecc.„ è come se diceste: Credo che l’eterno Padre ha creato tutte le cose, i nostri corpi e le nostre anime, che il mondo non è sempre stato, non durerà sempre, che un giorno tutto sarà distrutto… “Credo in Gesù Cristo ,, è come se diceste: Credo che Gesù Cristo, la seconda Persona della Ss. Trinità, si è fatto uomo, ha patito, è morto per redimerci, per meritarci il cielo, che il peccato di Adamo, ci aveva rapito. “Credo nello Spirito Santo, nella S. Chiesa cattolica, ecc. „ è come se diceste: Credo che v’è una sola Religione, che è quella della Chiesa, che Gesù Cristo stesso l’ha fondata, e le ha affidato tutte le sue grazie, che tutti coloro che non sono in questa Chiesa non si salveranno, e che essa durerà fino alla fine del mondo. Quando dite: “Credo nella comunione dei santi, „ è come se diceste: Credo che tutti i Cristiani si mettono vicendevolmente a parte del merito delle loro preghiere, di tutte le loro opere buone; credo che i santi che sono in cielo preghino Dio per noi, e che noi possiamo pregare per quelli che trovansi nelle fiamme del Purgatorio. Quando dite: “Credo nella remissione dei peccati, „ è come se diceste: Credo che vi è nella Chiesa di Gesù Cristo un Sacramento, il quale rimette ogni sorta di peccati, e che non vi sono peccati che la Chiesa di Gesù Cristo non possa rimettere. Dicendo; “Credo la risurrezione della carne, „ vogliamo dire che gli stessi corpi che abbiamo ora, un giorno risusciteranno, che le anime nostre si congiungeranno ad essi per andare insieme in cielo, se avremo la fortuna di aver servito bene il buon Dio, o per andare insieme all’inferno ad abbruciarvi per tutta l’eternità, se… dicendo: “Credo la vita eterna, „ è come se diceste: Credo che l’altra vita non finirà mai, che l’anima nostra durerà quanto Dio stesso, cioè senza fine. Quando dite: “D’onde verrà a giudicare i vivi ed i morti,„ è come se diceste: Credo che Gesù Cristo è nel cielo in corpo ed anima, e che Lui stesso verrà a giudicarci, a ricompensare chi avrà fatto bene, e punire chi l’avrà disprezzato. – Bisogna anche sapere che i Comandamenti della legge di Dio furon dati ad Adamo quando fu creato, cioè che Dio li scolpì nel suo cuore; e, dopo che Adamo peccò, Dio li diede a Mosè (Esod. XXXI, 18) scritti su tavole di pietra, sul monte Sinai. E questi stessi, Dio medesimo confermò quando venne sulla terra per salvarci. Inoltre dovete sapere i tre atti di Fede, Speranza e Carità. E intendo ancora che non dovete sapere semplicemente le parole: chi non le sa? Ma il senso di questi atti. La fede ci fa credere tutto ciò che la Chiesa ci insegna, quantunque non possiamo comprenderlo; ci fa credere che Dio ci vede, che veglia alla nostra conservazione, che ci premierà o ci punirà, secondo che avremo fatto bene o male; che v’è un cielo per i buoni, ed un inferno per i cattivi; che Dio ha sofferto ed è morto per noi. La speranza ci induce a fare tutte le nostre azioni coll’intenzione di piacere a Dio, perché verranno ricompensate durante un’eternità. Dobbiamo credere che né la fede né la speranza saranno più necessarie in cielo, o meglio, non vi sarà più né fede né speranza: non avremo più nulla da credere, perché non vi saranno più misteri; nulla da sperare perché vedremo quanto abbiamo creduto, e possederemo quanto abbiamo sperato; non vi sarà più che l’amore che ci consumerà per tutta l’eternità: e ciò formerà tutta la nostra felicità. – In questo mondo, l’amor di Dio consiste nell’amare il buon Dio al disopra di ogni cosa creata, nel preferirlo a tutto, anche alla nostra vita. Ecco, F. M., che cosa significa sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, i Comandamenti, i tre atti di Fede, di Speranza e di Carità. Se non sapete ciò, non conoscete quanto è necessario per salvarvi; bisogna almeno che. interrogati su quanto vi dissi, sappiate rispondere. E qui non è ancora tutto: bisogna che conosciate il mistero dell’incarnazione, e che cosa vuol dire la parola incarnazione. È necessario sapere che questo mistero ci propone da credere che la seconda Persona della Ss. Trinità ha preso un corpo come il nostro nel seno della Ss. Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Noi onoriamo questo mistero il 25 di Marzo, giorno dell’Annunciazione, perché in tal giorno il Figliuol di Dio ha unito, ha congiunto la sua divinità alla nostra umanità; si è fatto uomo come noi, ad eccezione del peccato, e si è caricato di tutti i nostri peccati per soddisfare alla giustizia del Padre suo. Occorre sapere che Gesù Cristo è nato il 25 Dicembre, a mezzanotte, il giorno di Natale. Sapere che in tal giorno si dicono tre Messe per onorare le tre nascite di Gesù Cristo: la prima nel seno dell’Eterno Padre, sin dall’eternità; la seconda, quella corporale nel presepio, e la terza, quella nelle anime nostre colla santa comunione. Bisogna altresì sapere che nel Giovedì Santo Gesù Cristo istituì l’adorabile Sacramento dell’Eucaristia (Luc. XXII). La sera avanti la sua morte, circondato da’ suoi apostoli, prese del pane, lo benedisse, lo mutò nel suo Corpo. Prese del vino con un po’ d’acqua, lo mutò nel suo Sangue, e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di fare lo stesso miracolo ogni volta che pronunciassero le medesime parole: il che avviene nella santa Messa quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. Bisogna sapere che Gesù Cristo morì nel Venerdì Santo, e morì come uomo e non come Dio , perché come Dio non poteva morire; che risuscitò nel giorno santo di Pasqua, cioè che la sua Anima si riunì al Corpo; e che dopo essersi fermato quaranta giorni sulla terra salì al cielo nel giorno dell’Ascensione (Act. I, 3-9); che lo Spirito Santo discese sugli Apostoli il giorno di Pentecoste. Se venite interrogati e domandati quando furono istituiti i Sacramenti da Gesù Cristo o quando ebbero il loro effetto, cioè poterono comunicarci le grazie, dovete saper rispondere che fu solo dopo la Pentecoste. — Se vi si domandasse chi li ha istituiti, dovete sapere spiegare che Gesù Cristo solo poté farlo: non la Ss. Vergine né gli Apostoli. Dovete sapere quanti sono, quali gli effetti di ognuno, e quali disposizioni occorrono per riceverli; dovete sapere che il Battesimo cancella il peccato originale, cioè il peccato di Adamo, che noi tutti portiamo venendo al mondo; che quello della Confermazione ci vien conferito dal Vescovo, e ci dà lo Spirito Santo colla abbondanza delle sue grazie e de’ suoi doni; che quello della Penitenza lo riceviamo ogni qual volta ci confessiamo, e che mentre il sacerdote ci dà l’assoluzione, se siamo ben disposti, tutti i nostri peccati vengono rimessi. Nella santa Eucaristia riceviamo, non la Vergine Ss., né gli Apostoli od i santi, ma il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo. Col Figliuolo, in quanto Dio, riceviamo le altre Persone della Ss. Trinità, il Padre e lo Spirito Santo; e in quanto uomo, riceviamo appena il Figliuolo, cioè il suo Corpo e l’Anima uniti alla Divinità. — Il sacramento dell’Estrema Unzione è quello che ci aiuta a ben morire, ed è istituito per purificarci dai peccati commessi con tutti i nostri sensi. Quello dell’Ordine comunica agli uomini il medesimo potere che il Figlio di Dio diede a’ suoi Apostoli. Questo sacramento fu istituito quando Gesù Cristo disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me (Luc. XXII, 19), ed ogni volta che pronuncerete queste parole opererete il medesimo miracolo.„ Il sacramento del Matrimonio santifica i Cristiani che si uniscono insieme, secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Vi è però una differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri. Nell’Eucaristia riceviamo il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo, mentre negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo Sangue prezioso. Inoltre alcuni si chiamano Sacramenti dei morti, altri Sacramenti dei vivi. Ecco perché si dice che il Battesimo, la Penitenza ed alcune volte l’Estrema Unzione sono sacramenti dei morti: perché quando li riceviamo l’anima nostra è morta agli occhi di Dio per i peccati; questi sacramenti risuscitano l’anima nostra alla grazia; gli altri invece sono sacramenti dei vivi…, perché per riceverli bisogna essere in istato di grazia di Dio, cioè non aver peccati sull’anima. Si deve ancora sapere che quando Gesù Cristo ha sofferto sulla croce, né il Padre né lo Spirito Santo hanno sofferto o sono morti, ma solo il Figliuolo patì e morì, come uomo e non come Dio. Ebbene! F. M., se vi avessi interrogati, avreste voi risposto a tutto ciò? Ebbene, se non sapete quanto vi dissi, non siete istruiti sufficientemente per salvarvi. Ho detto che i padri e le madri, i padroni e le padrone debbono per salvarsi essere istruiti di quanto riguarda la loro condizione. Il padre, la madre, il padrone, la padrona devono conoscere tutti gli obblighi da adempiere verso i figli e domestici: devono cioè conoscere perfettamente la religione per insegnarla agli altri; diversamente sono poveri disgraziati e finiscono tutti all’inferno. Ahimè! quanti padri e quante madri, quanti padroni e padrone vi sono che non conoscono neppure la religione e che insieme ai lor figli e domestici marciscono in un’ignoranza crassa, e non aspettano che la morte per gettarsi nell’inferno! S. Paolo ci dice che chi ignora i propri obblighi merita d’essere ignorato da Dio (1Cor. XIV, 38) . Converrete con me, dunque, che tutte queste persone sono indegne di ricevere l’assoluzione, e che se hanno la disgrazia di riceverla, essa è un sacrilegio che viene a pesare sulla povera anima loro. Mio Dio! quanti vanno perduti per la loro ignoranza! Possiamo essere sicuri che questo solo peccato ne dannerà più che tutti gli altri insieme, perché una persona ignorante non conosce né il male che fa peccando, né il bene che perde: cosicché un ignorante è una persona perduta!

2° Dico inoltre che bisogna differire l’assoluzione a chi non dà segno di pentimento, cioè di dolore dei peccati commessi. Anzitutto, l’esperienza ci insegna che non dobbiamo affatto fidarci di tutte le promesse e proteste che si fanno. Tutti dicono che sono dolenti d’aver offeso il buon Dio, che vogliono correggersi davvero, e che si confessano appunto per questo. Il sacerdote, credendoli sinceri, li assolve: che avviene di queste risoluzioni? Eccolo: otto giorni dopo dimenticano tutte le promesse, e ” ritornano al vomito, „ (II Piet. III, 22), cioè alle loro cattive abitudini. Così tutte le proteste non sono certamente prove sufficienti di conversione. Gesù Cristo ci dice che “solo dal frutto si conosce l’albero;„ (Matt. XII, 33), così, solo dal cambiamento di vita si conosce se v’era la contrizione necessaria per essere degni dell’assoluzione. Quando si ha davvero rinunciato ai propri peccati, non basta piangerli, bisogna anche rinunciare, abbandonare e fuggire quanto può indurvici: cioè esser disposti a tutto soffrire piuttosto che ricadere nei peccati che abbiamo confessati. Si deve adunque vedere in noi un cambiamento completo, senza del quale non abbiamo meritata l’assoluzione, e v’è ragione di credere che abbiamo commesso un sacrilegio. Ahimè! come sono poco numerosi coloro in cui si vede questo cambiamento dopo ricevuta l’assoluzione!… Mio Dio! quanti sacrilegi adunque! … Ah! se almeno ogni trenta assoluzioni ve ne fosse una buona, il mondo sarebbe presto convertito! Non merita dunque l’assoluzione chi non dà sufficienti segni di conversione. Ma costoro, purtroppo, d’ordinario non ritornano più quando furon rimandati. Essi fanno ciò appunto perché non hanno intenzione di convertirsi, giacché diversamente invece di aspettare un’altra Pasqua, avrebbero fatto di tutto per cambiar vita, e riconciliarsi con Dio.

3° In terzo luogo dico che si deve rifiutare l’assoluzione a chi conserva odio, risentimento nel cuore, a chi rifiuta di perdonare o di fare i primi passi per riconciliarsi; cosicché, F. M., bisogna guardarsi dal ricevere l’assoluzione quando si ha qualche rancore contro il prossimo. Dopo aver avuto con esso qualche contrarietà, bisogna sentirsi così ben disposti a rendergli servizio, come se per il passato non aveste ricevuto da lui altro che bene. Se vi accontentate di dire che non gli volete male, ma che lo trascurate, che non lo salutate con garbo, che evitate la sua compagnia, preferendone altre, voi non lo amate quanto dovete, perché il buon Dio vi perdoni i vostri peccati. Dio vi perdonerà nella misura che voi perdonerete al prossimo, e sinché avrete risentimento nel cuore contro di esso, ciò che di meglio possiate fare è procurare di sradicarlo; poi riceverete l’assoluzione. So benissimo che si può, anzi si deve evitare ogni compagnia che possa esporci al pericolo di litigare con l’uno o con l’altro, e la famigliarità di coloro che continuamente mormorano dei vicini. Ecco come bisogna regolarsi con queste persone: frequentarle solo quand’è necessario; non volere loro male e neppure sparlarne; accontentarsi di pregare il buon Dio per loro. Ascoltate quanto ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se, mentre sei per presentare la tua offerta all’altare, ti ricordi che il fratello tuo abbia qualche cosa contro di te, o che tu l’hai offeso, lascia la tua offerta, e va prima a riconciliarti col fratello. „ (Matt. V, 23) — “Un giudizio severo, scrive S. Giacomo, è riservato a chi non avrà avuto misericordia col fratello. „ (Giac. II, 13). Voi comprendete ora, al par di me, o F. M., che ogni qual volta abbiamo animosità contro alcuno, non dobbiamo ricevere l’assoluzione, perché sarebbe come esporci a commettere sacrilegio, ciò che è la più grande di tutte le disgrazie.

4° Aggiungo in quarto luogo, che vanno trattati alla stessa maniera coloro che hanno recato qualche torto al prossimo e rifiutano di riparare il male fatto o nella persona o nella roba; non si può neanche dare l’assoluzione in punto di morte a chi ha dello restituzioni da fare, e ne lascia la cura agli eredi. Tutti i Padri della Chiesa dicono che non v’è perdono, né speranza di salvezza per chi tiene roba d’altri, e potrebbe, e non vuol restituirla.

5° In quinto luogo si deve ricusare l’assoluzione a coloro che sono nell’occasione prossima di peccato, e rifiutano di uscirne. Si chiama occasione prossima di peccato tutto quanto può indurci ordinariamente a commetterlo, come spettacoli, balli, danze, libri cattivi, conversazioni disoneste, canzoni oscene, pitture indecenti, abbigliamento immodesto, cattive compagnie, il frequentar persone di sesso diverso, le relazioni con persone colle quali già altra volta si è peccato, ecc. Così pure i mercanti che non sanno vendere senza mentire o bestemmiare, gli osti che danno da bere agli ubbriaconi, ovvero durante le sacre funzioni, o di notte: come anche i domestici sollecitati al male da qualcuno della casa. A tutti costoro il sacerdote non deve e non può, senza suo danno, dare l’assoluzione, a meno che promettano di lasciar tali abitudini e di rinunciare a tutto ciò che li può indurre al peccato, o ne offre loro occasione. Altrimenti, ricevendo l’assoluzione. fanno senza dubbio un sacrilegio.

6° In sesto luogo deve negarsi l’assoluzione agli scandalosi, che colle loro parole, con consigli ed esempi perniciosi inducono gli altri al peccato; tali sono i cattivi Cristiani che mettono in derisione la parola di Dio e chi l’annunzia, sia il loro pastore oppure altro sacerdote; che motteggiano la religione, la pietà e le cose sante; che fanno discorsi contrari alla fede od ai buoni costumi; che nelle loro case tengono veglie, danze profane, giuochi proibiti; che conservano pitture disoneste, indecenti, o libri cattivi; così pure le persone che s’abbigliano coll’intenzione di piacere, che coi loro sguardi e modi procaci fanno rimettere col cuore tante fornicazioni ed adulteri. Un confessore, dice S. Carlo, deve rifiutare l’assoluzione a tutti costoro, poiché sta scritto : “Guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo „. (Matt. XVIII, 7).

7° In settimo luogo si deve rifiutare l’assoluzione, ovvero differirla, ai peccatori abitudinari, che ricadono da lungo tempo nelle medesime colpe, e fanno nulla o ben poco per correggersi. Di questo numero sono coloro che hanno l’abitudine di mentire ad ogni momento, non se ne fanno scrupolo, si divertono anzi a dir menzogne per far ridere gli altri; quelli che mormorano facilmente del prossimo ed hanno sempre alcunché da dire sul suo conto; quelli che hanno spesso sulle labbra parole di giuramento con leggera offesa del nome di Dio; quelli che hanno l’abitudine di mangiare ad ogni ora, anche senza bisogno; che s’impazientano ad ogni momento, per un nonnulla; che mangiano e bevono eccessivamente; coloro che non fanno sforzo abbastanza per correggersi dei pensieri d’orgoglio, di vanità, o dei pensieri contrari alla purezza; infine si dovrà rifiutare l’assoluzione a tutti coloro che non accusano da sé i loro peccati, che aspettano, per così dire, che il confessore li interroghi. Non tocca al sacerdote, ma tocca a voi di confessare i vostri peccati; se il sacerdote vi fa qualche domanda è per supplire a quanto non avreste potuto conoscere. — Ahimè! a tanti si deve, per così dire, strappare i peccati dal fondo del cuore; e ve ne sono di quelli che disputeranno perfino col confessore, volendo provare che non hanno fatto un gran male. È evidente che costoro non son degni di ricevere l’assoluzione, e non hanno le disposizioni che necessariamente richiede questo Sacramento, perché non sia profanato. Tutti i Padri della Chiesa sono d’accordo su questo punto, che quando non vi è cambiamento, né emendazione in chi si confessa, la sua penitenza è falsa ed ingannevole. Il santo Concilio di Trento ci ordina di non dare l’assoluzione che a quelli nei quali si vede la cessazione dal peccato, l’odio e la detestazione del passato, il proposito e l’inizio d’una vita nuova. Ecco, F. M., le regole dalle quali un confessore non può allontanarsi senza perdere se stesso ed i penitenti. Ma vediamo ora le ragioni che si mettono innanzi, per indurre il confessore a dare l’assoluzione. – Gli uni dicono che il non dare l’assoluzione a chi si confessa frequentemente è distruggere la religione, far apparire troppo difficile il compiere quanto essa comanda; è scoraggiare i peccatori ed esser causa che abbandonino la via del bene; è lo stesso che mandarli all’inferno; che molti altri confessori sono più accondiscendenti; che si avrebbe almeno la consolazione di vedere in parrocchia far la Pasqua un gran numero di persone, le quali ogni anno tornerebbero volentieri a confessarsi; che pretendendo troppo, non si ottiene nulla. F. M., quelli che ragionano così sono: 1° coloro che non meritano l’assoluzione. Ma, amici miei, fin dal principio della Chiesa tutti i Padri hanno seguito questa regola: che bisogna assolutamente aver lasciato il peccato per ricevere degnamente l’assoluzione. Questo rifiuto non sembra duro che ai peccatori impenitenti; questa regola non può dispiacere che a coloro i quali non pensano a convertirsi. Che cosa si ricava, F. M., da queste assoluzioni precipitate? Lo sapete benissimo anche voi. Ahimè! una catena di sacrilegi. Appena assolti, ricadete negli antichi peccati; la facilità con la quale avevate ottenuto il perdono, vi ha fatto sperare che l’otterrete ancora, del pari, facilmente, ed avete continuata la medesima vita; mentre se vi si fosse rifiutata l’assoluzione subito, sareste rientrati in voi stessi, avreste aperto gli occhi sulla vostra disgrazia, dalla quale forse non vi libererete mai più. La vostra povera vita non è che una serie di assoluzioni e di ricadute. Mio Dio, quale sventura! Ecco dove vi conduce la dolorosa facilità di assolvervi. Non è piuttosto crudeltà darvi l’assoluzione, che rifiutarvela, quando non siete disposti a riceverla? S. Cipriano ci dice che un prete deve stare alle regole della Chiesa, ed aspettare che il penitente dia segni certi che il suo cuore è cambiato e che comincia a condurre una vita diversa da quella che menava prima di confessarsi, perché Gesù Cristo stesso, che è Dio e padrone della grazia, non ha accordato il perdono che ai veri penitenti: accolse il buona ladrone, la cui conversione era sincera, ma respinse il cattivo, per la sua impenitenza. Perdonò a S. Pietro, di cui conosceva il dolore, ma abbandonò Giuda, il cui pentimento era falso. Quale disgrazia pel sacerdote e pel penitente, se il confessore gli dà l’assoluzione quando egli non la merita! Se mentre il ministro dice al penitente: Io ti assolvo; Gesù Cristo invece gli dice: Io ti condanno… Ahimè! quanto il numero di costoro è grande, poiché sono pochi quelli che abbandonano il peccato dopo ricevuta l’assoluzione, e cambiano vita. Tutto questo è vero, soggiungerete voi: ma che si dirà di me, dopo avermi più volte visto a confessarmi, non vedendomi far la comunione? Si crederà ch’io conduca una vita scorretta; d’altra parte, conosco altri, più peccatori di me, che pure furono assolti: voi avete assolto il tale, che ha mangiato di grasso con me, che, al pari di me, andò in giorno di domenica … — La coscienza di colui non è la vostra: se egli ha fatto male, non si deve seguirlo. Forse, per salvar le apparenze, vorreste dannarvi commettendo un sacrilegio? Non sarebbe quella la maggiore sventura? Credete che vi si faccia osservazione, perché foste visto a confessarvi più volte senza comunicarvi. Ah! amico mio, temete piuttosto lo sguardo irato di Dio, alla cui presenza avete fatto il male, e non badate a tutto il resto. Dite che ne conoscete di più colpevoli di voi, che pure furono assolti. Che ne sapete voi? Forse è venuto un angelo a dirvi che Dio non li ha cambiati e convertiti? E quand’anche non fossero convertiti, volete far il male, anche voi, perché essi lo hanno fatto? Vorreste dannarvi perché gli altri si dannano? Mio Dio! quale spaventevole linguaggio! — Ma, soggiungono costoro, che non solo non sono convertiti, ma che non desiderano nemmeno di convertirsi, e soltanto bramano di salvare le apparenze, quando dovremo venire per comunicarci? non vorremmo attender troppo. — Quando dovrete venire a comunicarvi? Ascoltate S. Giovanni Crisostomo: egli stesso ci insegnerà quando dovrete venire. Forse a Pasqua, a Pentecoste, a Natale? No, vi dice. Forse in punto di morte? No, vi dice ancora. Quando adunque? Quando, vi dice, avrete rinunciato seriamente al peccato, e sarete risoluti di non più cadervi, coll’aiuto della grazia di Dio; quando avrete restituito ciò che non è vostro; quando vi sarete riconciliati col vostro nemico; insomma quando vi sarete convertito davvero. — Altri peccatori ci diranno: Se siete così severo, andremo da altri, che ci assolveranno. Sono già venuto tante volte; ho ben altro da fare che andar avanti ed indietro; torno da tanto tempo, vedo bene che non volete saperne di me. Del resto, che male ho dunque fatto? — Andrete a trovarne un altro, amico mio, siete padrone d’andar ove meglio vi piace; ma credete voi che un altro avrà volontà di dannarsi più che non l’abbia io? no, senza dubbio. Se egli vi assolve è perché non vi conosce abbastanza. Volete sapere chi è colui il quale parla in tal modo, e cerca altrove una assoluzione? Ascoltate e tremate. E colui che abbandona la guida che può condurlo a salvamento, per cercare un passaporto per andar diritto all’inferno. — Ma, mi direte, son già tante volte che vengo. — Ebbene, amico mio, correggetevi, e vi assolverò la prima volta che ritornerete. — E già gran tempo, direte, ch’io non ritorno. — Tanto peggio per voi solo, amico mio. Non ritornando più, camminate a passi da gigante sulla via dell’inferno. Vi sono alcuni così ciechi da credere che il confessore non li assolve perché porta loro astio. Senza dubbio, amico mio, egli è irritato con voi, ma solo perché vuole la salvezza dell’anima vostra. Per questo non vuol darvi una assoluzione, che lungi dal salvarvi vi dannerebbe per tutta l’eternità. — Ma, dite voi, che gran male ho dunque fatto? non ho né ammazzato né rubato… — Non avete ammazzato né rubato, dite? Ma, amico mio, l’inferno racchiude altri che non hanno né rubato, né ammazzato; non sono questi i due soli peccati che trascinano le anime all’inferno. Se io fossi così debole da darvi l’assoluzione quando non la meritate, sarei il carnefice della povera anima vostra, che ha costato tanti patimenti a Gesù Cristo. – Ascoltate, F. M., questo tratto di storia, che ci insegna quali sono gli effetti di queste assoluzioni precipitose, impartite quando il penitente non è disposto. S. Carlo Borromeo ci racconta che un ricco napoletano conduceva una vita niente affatto cristiana. Si indirizzò ad un confessore che passava per facile ed accondiscendente. Questo sacerdote, infatti, appena udito il penitente, gli diede l’assoluzione senza aver alcuna prova del di lui pentimento. Il gentiluomo, quantunque senza religione, meravigliato d’una facilità, che tanti confessori saggi ed illuminati non avevano avuto per lui, si alza bruscamente, e togliendo alcune monete di tasca: “Prendete, Padre, gli disse, ricevete questo denaro, e conservatelo sino a quando ci troveremo insieme nel medesimo posto. — Quando, ed in qual luogo ci ritroveremo? risposegli il sacerdote tutto meravigliato. — Padre mio, in fondo all’inferno, dove ci troveremo presto ambedue: voi per avermi data l’assoluzione, di cui ero indegno, ed io per essere stato così sciagurato di riceverla, senz’essere convertito. „ Che ne pensate di questo fatto, F. M.? Meditiamole insieme queste parole; abbiamo in esse motivo di tremare tutti. — Ma, direte dunque, quando si può ricevere l’assoluzione? — Appena sarete convertiti, appena avrete cambiato metodo di vita: quando pregherete il buon Dio che faccia conoscere al vostro confessore le disposizioni del cuor vostro; quando avrete adempiuto esattamente ciò il confessore vi avrà prescritto, e non mancherete di ritornare nel tempo che egli vi ha fissato. Raccontasi d’un peccatore, che si convertì in una missione, che dopo la sua confessione il sacerdote lo vide così ben disposto, che fece per dargli l’assoluzione. Il povero uomo gli disse: “Ecchè, Padre mio! a me l’assoluzione! ah! lasciatemi piangere un po’ i peccati, che ebbi la disgrazia di commettere: mettetemi alla prova, affinché possiate essere sicuro che il mio pentimento è sincero.„ Quel penitente nell’atto di ricevere l’assoluzione, credeva morir di dolore. Mio Dio! quanto sono rare disposizioni simili! Ma quanto lo sono anche le confessioni buone! – Concludiamo: non dobbiamo mai sollecitare il confessore a darci l’assoluzione, perché dobbiamo sempre temere di non essere preparati, di non essere, cioè, abbastanza convertiti. Domandiamo al buon Dio che ci converta mentre ci confessiamo, affinché i nostri peccati ci siano davvero perdonati. È la fortuna che vi auguro.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:15-16
In te sperávi, Dómine; dixi: Tu es Deus meus, in mánibus tuis témpora mea.

[O Signore, in Te confido; dico: Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono le mie sorti.]

Secreta

Popitiáre, Dómine, pópulo tuo, propitiáre munéribus: ut, hac oblatióne placátus, et indulgéntiam nobis tríbuas et postuláta concedas.

[Sii propizio, o Signore, al tuo popolo, sii propizio alle sue offerte, affinché, placato mediante queste oblazioni, ci conceda il tuo perdono e quanto Ti domandiamo.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Sap XVI: 20
Panem de cælo dedísti nobis, Dómine, habéntem omne delectaméntum et omnem sapórem suavitátis.

[Ci hai elargito il pane dal cielo, o Signore, che ha ogni delizia e ogni sapore di dolcezza.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, coeléstibus sacraméntis: ad redemptiónis ætérnæ, quǽsumus, proficiámus augméntum.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, ricevuti i celesti sacramenti, progrediamo nell’opera della nostra salvezza eterna.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS “SULL’ASSOLUZIONE”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SULL’ASSOLUZIONE”

[DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. IV, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.

Proprietà della traduzione (23-XI-07-10- 29-XII-32-15).

Sull’Assoluzione.

Quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; et quorum retinueritis retenta sunt.

(JOAN. XX, 23).

Quanto è costato, F. M., al divin Salvatore il dar efficacia a queste parole: “Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e ritenuti a chi li riterrete! „ Ahimè! quanti tormenti, quanti obbrobri, qual morte dolorosa!… Ma noi siamo così ciechi, così grossolani, così poco spirituali, che la maggior parte di noi, crede che spetti solo al sacerdote concedere o rifiutare l’assoluzione, a suo piacimento. No, F. M., ci inganniamo assai: il ministro del sacramento della Penitenza non è che il dispensatore delle grazie e dei meriti di Gesù Cristo (1 Cor. IV, 1) e non può dispensarli che secondo regole prescritte. Ahimè! da qual terrore deve esser preso un povero sacerdote, che esercita un ministero così formidabile, in cui corre grave pericolo di perder se stesso volendo salvare gli altri. Qual terribile rendiconto dovrà dare il sacerdote, quando verrà il dì del giudizio, e da Dio stesso gli verran messe davanti agli occhi tutte le assoluzioni impartite, per esaminare se fu troppo prodigo delle grazie del cielo o troppo avaro. Davvero, F. M., che è assai difficile adempiere sempre bene il proprio dovere!… Quanti sacerdoti, nel dì del giudizio, desidereranno non essere stati sacerdoti, ma semplici laici! Quanti fedeli pure si riconosceranno colpevoli, perché, forse, non pregarono mai Dio pei loro pastori, che si sono esposti al pericolo di perdersi per salvarli!… Ma se un sacerdote ha il potere di rimettere i peccati, ha pure quello di ritenerli; e S. Gregorio il Grande ci dice che un sacerdote deve esaminar bene le disposizioni del peccatore, prima di dargli l’assoluzione. Deve vedere se il suo cuore è cambiato, se ha davvero tutte le disposizioni, che deve avere un peccatore convertito. È quindi evidente che il ministro della Penitenza deve differire o rifiutare l’assoluzione a certi peccatori, sotto pena di dannare se stesso insieme col penitente. Vi mostrerò dunque, o vi insegnerò: 1° che cos’è l’assoluzione;

2° quali sono coloro ai quali si deve concederla o rifiutarla: argomento ben interessante, poiché trattasi della vostra salvezza o perdizione. Quanto l’uomo è fortunato, F. M., ma quanto altresì è colpevole! Dissi che è fortunato, poiché dopo aver perduto il suo Dio, il cielo e l’anima, può ancora sperare di trovar mezzi facili per riparare una perdita grande, quale è quella d’una felicità eterna. Il ricco che ha perduto le sue sostanze, spesso non può ricuperarle, malgrado ogni suo buon volere; ma se il Cristiano ha perduto la propria felicità eterna, può riacquistarla senza, per così dire, far fatica. Mio Dio! quanto amate i peccatori, poiché date ad essi tanti mezzi di ricuperare il cielo! Vi assicuro che siamo ben colpevoli disprezzando tutti questi mezzi, mentre possiamo con essi conseguire tanti beni. Avete perduto il cielo, amico mio, e perché volete vivere in tanta povertà? Mio Dio! l’uomo peccatore può davvero riparare la sua sventura!… e ha mezzi assai facili a sua portata!

I. — Se mi domandate che cos’è l’assoluzione, vi dirò che è una sentenza che il sacerdote pronuncia, in nome e coll’autorità di Gesù Cristo, e per la quale i nostri peccati vengono così rimessi, così cancellati, come se non li avessimo mai commessi, purché chi si confessa, abbia le disposizioni richieste dal Sacramento. Ah! F. M., chi di noi non vorrà ammirare l’efficacia di questa sentenza di misericordia? O momento felice per un peccatore convertito!… Appena il ministro ha pronunciato le parole: “Io ti assolvo, „ l’anima è lavata, purificata da tutte le sue lordure pel Sangue prezioso che scorre su di essa. Mio Dio! quanto siete buono col peccatore!… Inoltre, F. M., la povera anima nostra è strappata dalla tirannia del demonio e ristabilita nell’amicizia e nella grazia del suo Dio; riacquista la pace, quella pace sì preziosa, che forma tutta la felicità dell’uomo in questo mondo e nell’altro; le vien restituita l’innocenza, con tutti i diritti al regno di Dio, che i peccati le avevano rapito. Ditemi. F. M., non dobbiamo essere inteneriti e commossi sino alle lagrime alla vista di tante meraviglie? Avreste potuto pensare che ogni qual volta il peccatore riceve l’assoluzione gli siano accordati tutti questi beni? Ma tutto ciò non è dato e non dev’esser dato che a quelli che se lo meritano, cioè, che sono peccatori è vero, ma peccatori convertiti, che sentono dispiacere della loro vita passata, non solo perché hanno perduto il cielo, ma perché oltraggiarono Colui che merita d’essere infinitamente amato.

II. — Se desiderate sapere quando vi si debba differire o rifiutare l’assoluzione, eccolo: ascoltate bene, ed imprimetevelo nel cuore, affinché ogni volta che andrete a confessarvi possiate conoscere se meritate d’essere assolti o rimandati. Io trovo otto ragioni, che debbono indurre il Sacerdote a differirvi l’assoluzione; è la Chiesa stessa che ha dato queste regole, sulle quali il sacerdote non deve transigere; se le trascura, sventura a lui ed a quelli che dirige: è un cieco che fa da guida ad un altro cieco, tutti e due precipiteranno nell’inferno (Matt. XV, 14). E dovere del ministro di Dio di ben applicare queste regole, ed il vostro è di non mormorare quando vi si nega l’assoluzione. Se un sacerdote ve la rifiuta, è perché vi ama, e desidera davvero di salvar l’anima vostra; e voi non lo conoscerete che al dì del giudizio: allora vedrete che era solo il desiderio di condurvi al cielo che l’ha indotto a differirvi l’assoluzione. Se ve l’avesse accordata, come desideravate, sareste dannato. Non dovete adunque, F. M., mormorare quando un sacerdote non vi dà l’assoluzione; al contrario, dovete ringraziarne il buon Dio, ed adoperarvi con tutte le vostre forze per meritarvi questa fortuna. Vi dico, 1°, che non meritano l’assoluzione quelli che non sono abbastanza istruiti: il sacerdote non deve e non può darla a costoro senza rendersi colpevole, perché ogni Cristiano è obbligato di conoscere Gesù Cristo, i suoi misteri, la sua dottrina, le sue leggi ed i Sacramenti. S. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, ci dice espressamente che non si deve dar l’assoluzione a chi non conosce i misteri principali della nostra santa fede e gli obblighi particolari del proprio stato: “Specialmente, ci dice, quando si capisce che la loro ignoranza deriva dalla indifferenza per la propria salvezza.„ Le leggi della Chiesa proibiscono di dare l’assoluzione ai padri ed alle madri, ai padroni e padrone che non istruiscono i loro figli o domestici, o non li fanno istruire da altri intorno a ciò che è necessario per salvarsi; che non sorvegliano la loro condotta; che trascurano di correggerli dei loro disordini e difetti. Dirvi che non merita l’assoluzione chi non sa quanto è necessario per salvarsi, è come dicessi a qualcuno, che egli è nel precipizio, e non gli offrissi i mezzi di uscirne. Vi mostrerò dunque ciò che dovete sapere per uscire da questo abisso d’ignoranza: imprimetevelo bene nel cuore, affinché non si cancelli mai più, per insegnarlo ai vostri figli, e questi ad altri. Ripeto, F. M., quanto già vi dissi più volte: un Cristiano deve sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, gli atti di Fede, Speranza e Carità, i Comandamenti della legge di Dio, i precetti della Chiesa, e l’atto di Contrizione. E non intendo dire soltanto le parole; poiché bisognerebbe esser estremamente ignoranti per non saperle, ma occorre anche, se foste interrogati, che possiate dare la spiegazione di ogni articolo in particolare, chiarendone il significato. Questo vi si domanda, e non che sappiate soltanto le parole. Dovete sapere che il Pater noster è stato composto da Dio stesso; che l‘Ave Maria fu composta, parte dall’Angelo quando si presentò alla Ss. Vergine ad annunciarle il mistero dell’Incarnazione (Luc. I, 28), e l’altra parte dalla Chiesa; che il Credo fu composto dagli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo, prima di disperdersi pel mondo; perciò avviene che in tutte le regioni del mondo è insegnata la medesima Religione cogli stessi misteri. Esso contiene il compendio di tutta la nostra santa Religione, il mistero della Ss. Trinità, cioè un Dio solo in tre Persone: il Padre che ci ha creati, il Figliuolo che ci ha redenti coi suoi patimenti e morte, e lo Spirito Santo che ci ha santificati nel Battesimo. Quando dite : “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore, ecc.„ è come se diceste: Credo che l’eterno Padre ha creato tutte le cose, i nostri corpi e le nostre anime, che il mondo non è sempre stato, non durerà sempre, che un giorno tutto sarà distrutto… “Credo in Gesù Cristo ,, è come se diceste: Credo che Gesù Cristo, la seconda Persona della Ss. Trinità, si è fatto uomo, ha patito, è morto per redimerci, per meritarci il cielo, che il peccato di Adamo, ci aveva rapito. “Credo nello Spirito Santo, nella S. Chiesa cattolica, ecc. „ è come se diceste: Credo che v’è una sola Religione, che è quella della Chiesa, che Gesù Cristo stesso l’ha fondata, e le ha affidato tutte le sue grazie, che tutti coloro che non sono in questa Chiesa non si salveranno, e che essa durerà fino alla fine del mondo. Quando dite: “Credo nella comunione dei santi, „ è come se diceste: Credo che tutti i Cristiani si mettono vicendevolmente a parte del merito delle loro preghiere, di tutte le loro opere buone; credo che i santi che sono in cielo preghino Dio per noi, e che noi possiamo pregare per quelli che trovansi nelle fiamme del Purgatorio. Quando dite: “Credo nella remissione dei peccati, „ è come se diceste: Credo che vi è nella Chiesa di Gesù Cristo un Sacramento, il quale rimette ogni sorta di peccati, e che non vi sono peccati che la Chiesa di Gesù Cristo non possa rimettere. Dicendo; “Credo la risurrezione della carne, „ vogliamo dire che gli stessi corpi che abbiamo ora, un giorno risusciteranno, che le anime nostre si congiungeranno ad essi per andare insieme in cielo, se avremo la fortuna di aver servito bene il buon Dio, o per andare insieme all’inferno ad abbruciarvi per tutta l’eternità, se… dicendo: “Credo la vita eterna, „ è come se diceste: Credo che l’altra vita non finirà mai, che l’anima nostra durerà quanto Dio stesso, cioè senza fine. Quando dite: “D’onde verrà a giudicare i vivi ed i morti,„ è come se diceste: Credo che Gesù Cristo è nel cielo in corpo ed anima, e che Lui stesso verrà a giudicarci, a ricompensare chi avrà fatto bene, e punire chi l’avrà disprezzato. – Bisogna anche sapere che i Comandamenti della legge di Dio furon dati ad Adamo quando fu creato, cioè che Dio li scolpì nel suo cuore; e, dopo che Adamo peccò, Dio li diede a Mosè (Esod. XXXI, 18) scritti su tavole di pietra, sul monte Sinai. E questi stessi Dio medesimo confermò quando venne sulla terra per salvarci. Inoltre dovete sapere i tre atti di Fede, Speranza e Carità. E intendo ancora che non dovete sapere semplicemente le parole: chi non le sa? Ma il senso di questi atti. La fede ci fa credere tutto ciò che la Chiesa ci insegna, quantunque non possiamo comprenderlo; ci fa credere che Dio ci vede, che veglia alla nostra conservazione, che ci premierà o ci punirà, secondo che avremo fatto bene o male; che v’è un cielo per i buoni, ed un inferno per i cattivi; che Dio ha sofferto ed è morto per noi. La speranza ci induce a fare tutte le nostre azioni coll’intenzione di piacere a Dio, perché verranno ricompensate durante un’eternità. Dobbiamo credere che né la fede né la speranza saranno più necessarie in cielo, o meglio, non vi sarà più né fede né speranza: non avremo più nulla da credere, perché non vi saranno più misteri; nulla da .sperare perché vedremo quanto abbiamo creduto, e possederemo quanto abbiamo sperato; non vi sarà più che l’amore che ci consumerà per tutta l’eternità: e ciò formerà tutta la nostra felicità. – In questo mondo, l’amor di Dio consiste nell’amare il buon Dio al disopra di ogni cosa creata, nel preferirlo a tutto, anche alla nostra vita. Ecco, F. M., che cosa significa sapere il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo, il Confiteor, i Comandamenti, i tre atti di Fede, di Speranza e di Carità. Se non sapete ciò, non conoscete guanto è necessario per salvarvi; bisogna almeno che. interrogati su quanto vi dissi, sappiate rispondere. E qui non è ancora tutto: bisogna che conosciate ilmistero dell’incarnazione, e che cosa vuol dire la parola incarnazione. È necessario sapere che questo mistero ci propone da credere che la seconda Persona della Ss. Trinità ha preso un corpo come il nostro nel seno della Ss. Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Noi onoriamo questo mistero il 25 di Marzo, giorno dell’Annunciazione, perché in tal giorno il Figliuol di Dio ha unito, ha congiunto la sua divinità alla nostra umanità; si è fatto uomo come noi, ad eccezione del peccato, e si è caricato di tutti i nostri peccati per soddisfare alla giustizia del Padre suo. Occorre sapere che Gesù Cristo è nato il 25 Dicembre, a mezzanotte, il giorno di Natale. Sapere che in tal giorno si dicono tre Messe per onorare le tre nascite di Gesù Cristo: l a prima nel seno dell’Eterno Padre, sin dall’eternità; la seconda, quella corporale nel presepio, e la terza, quella nelle anime nostre colla santa comunione. Bisogna altresì sapere che nel Giovedì Santo Gesù Cristo istituì l’adorabile Sacramento dell’Eucaristia (Luc. XXII). La sera avanti la sua morte, circondato da’ suoi apostoli, prese del pane, lo benedisse, lo mutò nel suo Corpo. Prese del vino con un po’ d’acqua, lo mutò nel suo Sangue, e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli Apostoli, il potere di fare lo stesso miracolo ogni volta che pronunciassero le medesime parole: il che avviene nella santa Messa quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. Bisogna sapere che Gesù Cristo morì nel Venerdì Santo, e morì come uomo e non come Dio , perché come Dio non poteva morire; che risuscitò nel giorno santo di Pasqua, cioè che la sua Anima si riunì al Corpo; e che dopo essersi fermato quaranta giorni sulla terra salì al cielo nel giorno dell’Ascensione (Act. I, 3-9); che lo Spirito Santo discese sugli Apostoli il giorno di Pentecoste. Se venite interrogati e domandati quando furono istituiti i Sacramenti da Gesù Cristo o quando ebbero il loro effetto, cioè poterono comunicarci le grazie, dovete saper rispondere che fu solo dopo la Pentecoste. — Se vi si domandasse chi li ha istituiti, dovete sapere spiegare che Gesù Cristo solo poté farlo: non la Ss. Vergine né gli Apostoli. Dovete sapere quanti sono, quali gli effetti di ognuno, e quali disposizioni occorrono per riceverli; dovete sapere che il Battesimo cancella il peccato originale, cioè il peccato di Adamo, che noi tutti portiamo venendo al mondo; che quello della Confermazione ci vien conferito dal Vescovo, e ci dà lo Spirito Santo colla abbondanza delle sue grazie e de’ suoi doni; che quello della Penitenza lo riceviamo ogni qual volta ci confessiamo, e che mentre il sacerdote ci dà l’assoluzione, se siamo ben disposti, tutti i nostri peccati vengono rimessi. Nella santa Eucaristia riceviamo, non la Vergine Ss., né gli Apostoli od i santi, ma il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo. Col Figliuolo, in quanto Dio, riceviamo le altre Persone della Ss. Trinità, il Padre e lo Spirito Santo; e in quanto uomo, riceviamo appena il Figliuolo, cioè il suo Corpo e l’Anima uniti alla Divinità. — Il sacramento dell’Estrema Unzione è quello che ci aiuta a ben morire, ed è istituito per purificarci dai peccati commessi con tutti i nostri sensi. Quello dell’Ordine comunica agli uomini il medesimo potere che il Figlio di Dio diede a’ suoi apostoli. Questo sacramento fu istituito quando Gesù Cristo disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me (Luc. XXII, 19), ed ogni volta che pronuncerete queste parole opererete il medesimo miracolo.„ Il sacramento del Matrimonio santifica i Cristiani che si uniscono insieme, secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Vi è però una differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri. Nell’Eucaristia riceviamo il Corpo adorabile ed il Sangue prezioso di Gesù Cristo, mentre negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo Sangue prezioso. Inoltre alcuni si chiamano Sacramenti dei morti, altri Sacramenti dei vivi. Ecco perché si dice che il Battesimo, la Penitenza ed alcune volte l’Estrema Unzione sono sacramenti dei morti: perché quando li riceviamo l’anima nostra è morta agli occhi di Dio per i peccati; questi sacramenti risuscitano l’anima nostra alla grazia; gli altri invece sono sacramenti dei vivi…, perché per riceverli bisogna essere in istato di grazia di Dio, cioè non aver peccati sull’anima. Si deve ancora sapere che quando Gesù Cristo ha sofferto sulla croce, né il Padre né lo Spirito Santo hanno sofferto o sono morti, ma solo il Figliuolo patì e morì, come uomo e non come Dio. Ebbene! F. M., se vi avessi interrogati, avreste voi risposto a tutto ciò? Ebbene, se non sapete quanto vi dissi, non siete istruiti sufficientemente per salvarvi. Ho detto che i padri e le madri, i padroni e le padrone debbono per salvarsi essere istruiti di quanto riguarda la loro condizione. Il padre, la madre, il padrone, la padrona devono conoscere tutti gli obblighi da adempiere verso i figli e domestici: devono cioè conoscere perfettamente la religione per insegnarla agli altri; diversamente sono poveri disgraziati e finiscono tutti all’inferno. Ahimè! quanti padri e quante madri, quanti padroni e padrone vi sono che non conoscono neppure la religione e che insieme ai lor figli e domestici marciscono in un’ignoranza crassa, e non aspettano che la morte per gettarsi nell’inferno! S. Paolo ci dice che chi ignora i propri obblighi merita d’essere ignorato da Dio (1Cor. XIV, 38). Converrete con me, dunque, che tutte queste persone sono indegne di ricevere l’assoluzione, e che se hanno la disgrazia di riceverla, essa è un sacrilegio che viene a pesare sulla povera anima loro. Mio Dio! quanti vanno perduti per la loro ignoranza! Possiamo essere sicuri che questo solo peccato ne dannerà più che tutti gli altri insieme, perché una persona ignorante non conosce né il male che fa peccando, né il bene che perde: cosicché un ignorante è una persona perduta!

2° Dico inoltre che bisogna differire l’assoluzione a chi non dà segno di pentimento, cioè di dolore dei peccati commessi. Anzitutto, l’esperienza ci insegna che non dobbiamo affatto fidarci di tutte le promesse e proteste che si fanno. Tutti dicono che sono dolenti d’ aver offeso il buon Dio, che vogliono correggersi davvero, e che si confessano appunto per questo. Il sacerdote, credendoli sinceri, li assolve: che avviene di queste risoluzioni? Eccolo: otto giorni dopo dimenticano tutte le promesse, e ” ritornano al vomito, „ (II Piet. III, 22), cioè alle loro cattive abitudini. Così tutte le proteste non sono certamente prove sufficienti di conversione. Gesù Cristo ci dice che “solo dal frutto si conosce l’albero;„ (Matt. XII, 33), così, solo dal cambiamento di vita si conosce se v’era la contrizione necessaria per essere degni dell’assoluzione. Quando si ha davvero rinunciato ai propri peccati, non basta piangerli, bisogna anche rinunciare, abbandonare e fuggire quanto può indurvici: cioè esser disposti a tutto soffrire piuttosto che ricadere nei peccati che abbiamo confessati. Si deve adunque vedere in noi un cambiamento completo, senza del quale non abbiamo meritata l’assoluzione, e v’è ragione di credere che abbiamo commesso un sacrilegio. Ahimè! come sono poco numerosi coloro in cui si vede questo cambiamento dopo ricevuta l’assoluzione!… Mio Dio! quanti sacrilegi adunque! … Ah! se almeno ogni trenta assoluzioni ve ne fosse una buona, il mondo sarebbe presto convertito! Non merita dunque l’assoluzione chi non dà sufficienti segni di conversione. Ma costoro, purtroppo, d’ordinario non ritornano più quando furon rimandati. Essi fanno ciò appunto perché non hanno intenzione di convertirsi, giacché diversamente invece di aspettare un’altra Pasqua, avrebbero fatto di tutto per cambiar vita, e riconciliarsi con Dio.

3° In terzo luogo dico che si deve rifiutare l’assoluzione a chi conserva odio, risentimento nel cuore, a chi rifiuta di perdonare o di fare i primi passi per riconciliarsi; cosicché, P. M., bisogna guardarsi dal ricevere l’assoluzione quando si ha qualche rancore contro il prossimo. Dopo aver avuto con esso qualche contrarietà, bisogna sentirsi così ben disposti a rendergli servizio, come se per il passato non aveste ricevuto da lui altro che bene. Se vi accontentate di dire che non gli volete male, ma che lo trascurate, che non lo salutate con garbo, che evitate la sua compagnia, preferendone altre, voi non lo amate quanto dovete, perché il buon Dio vi perdoni i vostri peccati. Dio vi perdonerà nella misura che voi perdonerete al prossimo, e sinché avrete risentimento nel cuore contro di esso, ciò che di meglio possiate fare è procurare di sradicarlo; poi riceverete l’assoluzione. So benissimo che si può, anzi si deve evitare ogni compagnia che possa esporci al pericolo di litigare con l’uno o con l’altro, e la famigliarità di coloro che continuamente mormorano dei vicini. Ecco come bisogna regolarsi con queste persone: frequentarle solo quand’è necessario; non volere loro male e neppure sparlarne; accontentarsi di pregare il buon Dio per loro. Ascoltate quanto ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se, mentre sei per presentare la tua all’altare, ti ricordi che il fratello tuo abbia qualche cosa contro di te, o che tu l’hai offeso, lascia la tua offerta, e va prima a riconciliarti col fratello. „ (Matt. V, 23) — “Un giudizio severo, scrive S. Giacomo, è riservato a chi non avrà avuto misericordia col fratello. „ (Giac. II, 13). Voi comprendete ora, al par di me, o F. M., che ogni qual volta abbiamo animosità contro alcuno, non dobbiamo ricevere l’assoluzione, perché sarebbe come esporci a commettere sacrilegio, ciò che è la più grande di tutte le disgrazie.

4° Aggiungo in quarto luogo, che vanno trattati alla stessa maniera coloro che hanno recato qualche torto al prossimo e rifiutano di riparare il male fatto o nella persona o nella roba; non si può neanche dare l’assoluzione in punto di morte a chi ha dello restituzioni da fare, e ne lascia la cura agli eredi. Tutti i Padri della Chiesa dicono che non v’è perdono, né speranza di salvezza per chi tiene roba d’altri, potrebbe, e non vuol restituirla.

5° In quinto luogo si deve ricusare l’assoluzione a coloro che sono nell’occasione prossima di peccato, e rifiutano di uscirne. Si chiama occasione prossima di peccato tutto quanto può indurci ordinariamente a commetterlo, come spettacoli, balli, danze, libri cattivi, conversazioni disoneste, canzoni oscene, pitture indecenti, abbigliamento immodesto, cattive compagnie, il frequentar persone di sesso diverso, le relazioni con persone colle quali già altra volta si è peccato, ecc. Così pure i mercanti che non sanno vendere senza mentire o bestemmiare, gli osti che danno da bere agli ubbriaconi, ovvero durante le sacre funzioni, o di notte: come anche i domestici sollecitati al male da qualcuno della casa. A tutti costoro il sacerdote non deve e non può, senza suo danno, dare l’assoluzione, a meno che promettano di lasciar tali abitudini e di rinunciare a tutto ciò che li può indurre al peccato, o ne offre loro occasione. Altrimenti, ricevendo l’assoluzione. fanno senza dubbio un sacrilegio.

6° In sesto luogo deve negarsi l’assoluzione agli scandalosi, che colle loro parole, con consigli ed esempi perniciosi inducono gli altri al peccato; tali sono i cattivi Cristiani che mettono in derisione la parola di Dio e chi l’annunzia, sia il loro pastore oppure altro sacerdote; che motteggiano la religione, la pietà e le cose sante; che fanno discorsi contrari alla fede od ai buoni costumi; che nelle loro case tengono veglie, danze profane, giuochi proibiti; che conservano pitture disoneste, indecenti, o libri cattivi; così pure le persone che s’abbigliano coll’intenzione di piacere, che coi loro sguardi e modi procaci fanno rimettere col cuore tante fornicazioni ed adulteri. Un confessore, dice S. Carlo, deve rifiutare l’assoluzione a tutti costoro, poiché sta scritto : “Guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo „. (Matt. XVIII, 7).

7° In settimo luogo si deve rifiutare l’assoluzione, ovvero differirla, ai peccatori abitudinari, che ricadono da lungo tempo nelle medesime colpe, e fanno nulla o ben poco per correggersi. Di questo numero sono coloro che hanno l’abitudine di mentire ad ogni momento, non se ne fanno scrupolo, si divertono anzi a dir menzogne per far ridere gli altri; quelli che mormorano facilmente del prossimo ed hanno sempre alcunché da dire sul suo conto; quelli che hanno spesso sulle labbra parole di giuramento con leggera offesa del nome di Dio; quelli che hanno l’abitudine di mangiare ad ogni ora, anche senza bisogno; che s’impazientano ad ogni momento, per un nonnulla; che mangiano e bevono eccessivamente; coloro che non fanno sforzo abbastanza per correggersi dei pensieri d’orgoglio, di vanità, o dei pensieri contrari alla purezza; infine si dovrà rifiutare l’assoluzione a tutti coloro che non accusano da sé i loro peccati, che aspettano, per così dire, che il confessore li interroghi. Non tocca al sacerdote, ma tocca a voi di confessare i vostri peccati; se il sacerdote vi fa qualche domanda è per supplire a quanto non avreste potuto conoscere. — Ahimè! a tanti si deve, per così dire, strappare i peccati dal fondo del cuore; e ve ne sono di quelli che disputeranno perfino col confessore, volendo provare che non hanno fatto un gran male. E evidente che costoro non son degni di ricevere l’assoluzione, e non hanno le disposizioni che necessariamente richiede questo Sacramento, perché non sia profanato. Tutti i Padri della Chiesa sono d’accordo su questo punto, che quando non vi è cambiamento, né emendazione in chi si confessa, la sua penitenza è falsa ed ingannevole. Il santo Concilio di Trento ci ordina di non dare l’assoluzione che a quelli nei quali si vede la cessazione dal peccato, l’odio e la detestazione del passato, il proposito e l’inizio d’una vita nuova. Ecco, F. M., le regole dalle quali un confessore non può allontanarsi senza perdere se stesso ed i penitenti. Ma vediamo ora le ragioni che si mettono innanzi, per indurre il confessore a dare l’assoluzione. – Gli uni dicono che il non dare l’assoluzione a chi si confessa frequentemente è distruggere la religione, far apparire troppo difficile il compiere quanto essa comanda; è scoraggiare i peccatori ed esser causa che abbandonino la via del bene; è lo stesso che mandarli all’inferno; che molti altri confessori sono più accondiscendenti; che si avrebbe almeno la consolazione di vedere in parrocchia far la Pasqua un gran numero di persone, le quali ogni anno tornerebbero volentieri a confessarsi; che pretendendo troppo, non si ottiene nulla. F. M., quelli che ragionano così sono: 1° coloro che non meritano l’assoluzione. Ma, amici miei, fin dal principio della Chiesa tutti i Padri hanno seguito questa regola: che bisogna assolutamente aver lasciato il peccato per ricevere degnamente l’assoluzione. Questo rifiuto non sembra duro che ai peccatori impenitenti; questa regola non può dispiacere che a coloro i quali non pensano a convertirsi. Che cosa si ricava, F. M., da queste assoluzioni precipitate? Lo sapete benissimo anche voi. Ahimè! una catena di sacrilegi. Appena assolti, ricadete negli antichi peccati; la facilità con la quale avevate ottenuto il perdono, vi ha fatto sperare che l’otterrete ancora, del pari, facilmente, ed avete continuata la medesima vita; mentre se vi si fosse rifiutata l’assoluzione subito, sareste rientrati in voi stessi, avreste aperto gli occhi sulla vostra disgrazia, dalla quale forse non vi libererete mai più. La vostra povera vita non è che una serie di assoluzioni e di ricadute. Mio Dio, quale sventura! Ecco dove vi conduce la dolorosa facilità di assolvervi. Non è piuttosto crudeltà darvi l’assoluzione, che rifiutarvela, quando non siete disposti a riceverla? S. Cipriano ci dice che un prete deve stare alle regole della Chiesa, ed aspettare che il penitente dia segni certi che il suo cuore è cambiato e che comincia a condurre una vita diversa da quella che menava prima di confessarsi, perché Gesù Cristo stesso, che è Dio e padrone della grazia, non ha accordato il perdono che ai veri penitenti: accolse il buon la cui conversione era sincera, ma respinse il cattivo, per la sua impenitenza. Perdonò a S. Pietro, di cui conosceva il dolore, ma abbandonò Giuda, il cui pentimento era falso. Quale disgrazia pel sacerdote e pel penitente, se il confessore gli dà l’assoluzione quando egli non la merita! Se mentre il ministro dice al penitente: Io ti assolvo; Gesù Cristo invece gli dice: Io ti condanno… Ahimè! quanto il numero di costoro è grande, poiché sono pochi quelli che abbandonano il peccato dopo ricevuta l’assoluzione, e cambiano vita. Tutto questo è vero, soggiungerete voi: ma che si dirà di me, dopo avermi più volte visto a confessarmi, non vedendomi far la comunione? Si crederà ch’io conduca una vita scorretta; d’altra parte, conosco altri, più peccatori di me, che pure furono assolti: voi avete assolto il tale, che ha mangiato di grasso con me, che, al pari di me, andò in giorno di domenica … — La coscienza di colui non è la vostra: se egli ha fatto male, non si deve seguirlo. Forse, per salvar le apparenze, vorreste dannarvi commettendo un sacrilegio? Non sarebbe quella la maggiore sventura? Credete che vi si faccia osservazione, perché foste visto a confessarvi più volte senza comunicarvi. Ah! amico mio, temete piuttosto lo sguardo irato di Dio, alla cui presenza avete fatto il male, e non badate a tutto il resto. Dite che ne conoscete di più colpevoli di voi, che pure furono assolti. Che ne sapete voi? Forse è venuto un angelo a dirvi che Dio non li ha cambiati e convertiti? E quand’anche non fossero convertiti, volete far il male, anche voi, perché essi lo hanno fatto? Vorreste dannarvi perché gli altri si dannano? Mio Dio! quale spaventevole linguaggio! — Ma, soggiungono costoro, che non solo non sono convertiti, ma che non desiderano nemmeno di convertirsi, e soltanto bramano di salvare le apparenze, quando dovremo venire per comunicarci? non vorremmo attender troppo. — Quando dovrete venire a comunicarvi? Ascoltate S. Giovanni Crisostomo: egli stesso ci insegnerà quando dovrete venire. Forse a Pasqua, a Pentecoste, a Natale? No, vi dice. Forse in punto di morte? No, vi dice ancora. Quando adunque? Quando, vi dice, avrete rinunciato seriamente al peccato, e sarete risoluti di non più cadervi, coll’aiuto della grazia di Dio; quando avrete restituito ciò che non è vostro; quando vi sarete riconciliati col vostro nemico; insomma quando vi sarete convertito davvero. — Altri peccatori ci diranno: Se siete così severo, andremo da altri, che ci assolveranno. Sono già venuto tante volte; ho ben altro da fare che andar avanti ed indietro; torno da tanto tempo, vedo bene che non volete saperne di me. Del resto, che male ho dunque fatto? — Andrete a trovarne un altro, amico mio, siete padrone d’andar ove meglio vi piace; ma credete voi che un altro avrà volontà di dannarsi più che non l’abbia io? no, senza dubbio. Se egli vi assolve è perché non vi conosce abbastanza. Volete sapere chi è colui il quale parla in tal modo, , e cerca altrove una assoluzione? Ascoltate e tremate. E colui che abbandona la guida che può condurlo a salvamento, per cercare un passaporto per andar diritto all’inferno. — Ma, mi direte, son già tante volte che vengo. — Ebbene, amico mio, correggetevi, e vi assolverò la prima volta che ritornerete. — E già gran tempo, direte, ch’io non ritorno. — Tanto peggio per voi solo, amico mio. Non ritornando più, camminate a passi da gigante sulla via dell’inferno. Vi sono alcuni così ciechi da credere che il confessore non li assolve perché porta loro astio. Senza dubbio, amico mio, egli è irritato con voi, ma solo perché vuole la salvezza dell’anima vostra. Per questo non vuol darvi una assoluzione, che lungi dal salvarvi vi dannerebbe per tutta l’eternità. — Ma, dite voi, che gran male ho dunque fatto? non ho né ammazzato né rubato… — Non avete ammazzato né rubato, dite? Ma, amico mio, l’inferno racchiude altri che non hanno né rubato, né ammazzato; non sono questi i due soli peccati che trascinano le anime all’inferno. Se io fossi così debole da darvi l’assoluzione quando non la meritate, sarei il carnefice della povera anima vostra, che ha costato tanti patimenti a Gesù Cristo. – Ascoltate, F . M., questo tratto di storia, che ci insegna quali sono gli effetti di queste assoluzioni precipitose, impartite quando il penitente non è disposto. S. Carlo Borromeo ci racconta che un ricco napoletano conduceva una vita niente affatto cristiana. Si indirizzò ad un confessore che passava per facile ed accondiscendente. Questo sacerdote, infatti, appena udito il penitente, gli diede l’assoluzione senza aver alcuna prova del di lui pentimento. Il gentiluomo, quantunque senza religione, meravigliato d’una facilità, che tanti confessori saggi ed illuminati non avevano avuto per lui, si alza bruscamente, e togliendo alcune monete di tasca: “Prendete, Padre, gli disse, ricevete questo denaro, e conservatelo sino a quando ci troveremo insieme nel medesimo posto. — Quando, ed in qual luogo ci ritroveremo? risposegli il sacerdote tutto meravigliato. — Padre mio, in fondo all’inferno, dove ci troveremo presto ambedue: voi per avermi data l’assoluzione, di cui ero indegno, ed io per essere stato così sciagurato di riceverla, senz’essere convertito. „ Che ne pensate di questo fatto, F. M.? Meditiamole insieme queste parole; abbiamo in esse motivo di tremare tutti. — Ma, direte dunque, quando si può ricevere l’assoluzione? — Appena sarete convertiti, appena avrete cambiato metodo di vita: quando pregherete il buon Dio che faccia conoscere al vostro confessore le disposizioni del cuor vostro; quando avrete adempiuto esattamente ciò il confessore vi avrà prescritto, e non mancherete di ritornare nel tempo che egli vi ha fissato. Raccontasi d’un peccatore, che si convertì in una missione, che dopo la sua confessione il sacerdote lo vide così bendisposto, che fece per dargli l’assoluzione. Il povero uomo gli disse: “Ecchè, Padre mio! a me l’assoluzione! ah! lasciatemi piangere un po’ i peccati, che ebbi la disgrazia di commettere: mettetemi alla prova, affinché possiate essere sicuro che il mio pentimento è sincero.„ Quel penitente nell’atto di ricevere l’assoluzione, credeva morir di dolore. Mio Dio! quanto sono rare disposizioni simili! Ma quanto lo sono anche le confessioni buone! – Concludiamo: non dobbiamo mai sollecitare il confessore a darci l’assoluzione, perché dobbiamo sempre temere di non essere preparati, di non essere, cioè, abbastanza convertiti. Domandiamo al buon Dio che ci converta mentre ci confessiamo, affinché i nostri peccati ci siano davvero perdonati. È la fortuna che vi auguro.

LO SCUDO DELLA FEDE (170)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (VI)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

IV. — Il Cristianesimo cattolico.

c) Schizzo di un’apologia esterna.

D. Mi dicevi che la coerenza interna della dottrina cattolica e il suo adattamento alla vita non erano che una delle ragioni in suo favore. Che cosa avevano di sottinteso queste parole?

R. Io non ti faccio un trattato di apologetica; mi sono già, allontanato molto dal lavoro catechistico che mi sono proposto. Non ti posso tuttavia rifiutare alcune indicazioni sommarie. Per cominciare, citerò quel giudizio del Lacordaire che io noto in ogni coscienza: «Ogni uomo di buona fede si può convincere, con pochissima fatica, che il concatenamento dei fatti cristiani è al di sopra delle forze umane se si suppongono falsi, e ancora al di sopra delle forze umane se sono veri». In questa sola frase, il grande apologista dà la prova essenziale sulla quale s’innestano tutte le altre,

D. Che cosa intende il tuo autore per «il concatenamento dei fatti cristiani? ».

R. Si tratta di quell’immensa serie di avvenimenti, che, in passato, si estende da Abramo a Pio XI, e si mostra in grado di realizzare la sua pretensione di durare sino alla fine dei tempi.

D. Questa serie di fatti è continua e omogenea?

R. È continua, ma non omogenea; essa importa tre fasi: una fase di preparazione, che è il giudaismo; una fase di effettuazione, che è l’insieme dei fatti evangelici, e una fase di utilizzazione che è la nostra, cioè l’éra cristiana. Il giudaismo è un Vangelo nascosto; il Vangelo è un giudaismo spiegato; i tempi cristiani sono un Vangelo in azione, o per lo meno un saggio di applicazione laboriosa.

D. Tutta questa evoluzione ha dunque un centro?

R. Il centro o il perno di questa evoluzione è Cristo.

D. E che cosa deduci da questa constatazione?

R. Non sei tu colpito, prima di tutto, da un fenomeno storico di questa ampiezza: una forza all’opera dalle origini della storia fino a oggi; che sviluppa gli annali di Dio e la filosofia di Dio senza interruzione, senza lacuna e senza contradizione; che attraversa tutti i fatti umani senza intralciarli come senza confondervisi; che si crea una tradizione propria nel corso delle nostre tradizioni, una società a sé, una società perfetta e indipendente nel cuore delle nostre società; che suscita una vita la quale abbraccia l’altra e ne sposa tutte le forme, con la mira di elevarla al di sopra di se stessa e di portarla più avanti? È questa una cosa così ordinaria che non valga la pena di fermarci per domandare a noi stessi: Quale è questa forza? Il giudaismo, in quanto storia, sembra più prodigioso di tutti i prodigi particolari che vi si rilevano, e la fondazione del cristianesimo, la sua conservazione, il suo modo di evoluzione un prodigio più grande di tutti i miracoli di Gesù Cristo. Un tal movimento ha il carattere d’una vera creazione, d’una creazione dinamica. È un mondo che attraversa un mondo.

D. Gli storici non ne menzionano le cause?

R. Tutto ha delle cause; ma si dimentica di dire quello che ha causato codeste cause, organizzato il loro concorso e assicurata la loro efficacia, ad onta di tante cause contrarie. Vi sono anche cause che assicurano la grandezza degli imperi umani, delle imprese umane: mostrami un caso che a questo si possa paragonare, fosse pure lontanissimamente.

D. È una questione di grado.

R. Quando le cose arrivano a un certo grado, ti presentano un problema, come se alla bisca tu sbancassi tutti i giorni il tuo compagno di giuoco. Nel caso di cui parlo, tutte le leggi dell’equilibrio storico sono spiegate; il « ricominciamento eterno », senza perdere i suoi diritti sopra una materia che rimane materia umana, è al servizio di una continuità che lo domina. – Ascolta uno storico (Ernesto Lavisse): « Io storico, non so quello che avvenne il mattino di Pasqua; ma quello che ben so, è che, quel giorno, nacque un’umanità che non muore. Christus resurgens non moritur . Ascolta Ernesto Renan, poco sospetto: «L’avvenimento capitale della storia del mondo è quella rivoluzione per la quale le più nobili parti dell’umanità passarono dalle antiche religioni a una Religione fondata sull’unità, la Trinità, l’incarnazione del Figliuolo di Dio ». E se vuoi il commento, ecco Rémusat: «I casi fortuiti delle faccende umane non portano affatto tali risultati » E Bossuet: «È un’opera così grande, che se Dio non l’avesse fatta, Lui stesso la invidierebbe al suo autore ».

D. Ciò mi colpisce, ma non mi convince.

R. Godo di vederti difficile. Ma vi è altro. Questo immenso spiegamento offre, nel suo decorso, un carattere profetico; la sua continuazione è annunziata fino dal principio e ciascuna delle sue tappe è annunziata nella tappa precedente, diciamo meglio, per mezzo della tappa precedente, che non ha senso se non in essa.

D. I primi Cristiani annunziarono la fine prossima dei tempi, e credevano veramente di appoggiarsi in ciò sopra le parole di Gesù stesso; ebbene era un errore.

R. Era di fatto un errore; ma non era un errore religioso, e a proposito delle parole di Gesù, che avevano formalmente scartato questo problema, era una pura interpretazione. L’errore veniva precisamente da una persuasione religiosa dominante, unita a una mancanza di prospettiva riguardo al temporale. Gesù aveva predicato l’essenziale; i suoi discepoli, imbevuti dell’essenziale, lo schematizzavano così: ieri Adamo; ora Cristo; domani la reintegrazione del mondo in Dio. Che importa che questo domani fosse stato compreso in un modo più o meno stretto? Il fatto sta che lo schema è esatto. Il giudaismo è un lungo messianismo; il Vangelo è un annunzio formale dei tempi cristiani; alla sua volta il Cristianesimo profetizza gli ultimi tempi, e l’avvenire darà la risposta.

D. Chi può giudicarne prima?

R. Già ne abbiamo molti segni; ad ogni modo, oggi è certo che il fatto della Chiesa giustifica Cristo e il fatto di Cristo giustifica il giudaismo. Renan fu molto colpito da questi fatti, che altri « critici » preferiscono passare sotto silenzio.

D. Le profezie di cui parli sono veramente chiare?

R. Puoi leggere dovunque, nella più antica Bibbia, le visioni che riguardano l’avvenire, i testi sorprendenti dei profeti che annunziano per minuto la vita, la morte e l’opera di Gesù Cristo, come pure i suoi effetti, e trovi nel Vangelo l’annunzio della Chiesa, delle sue traversie e dell’opera sua sino alla fine dei tempi.

D. Si è preteso che i testi antichi relativi a Cristo s’incontrino con Lui per questa buona ragione che da essi si sono presi gli elementi della sua storia.

R. Ecco delle baie che non reggono all’esame. È certo che gli evangelisti hanno cercato i raffronti e forse hanno un po’ raffinato nella materia; certi loro raffronti sono forzati, altri discutibili. Ma ciò stesso prova la loro sincerità. Quando s’inventa, non si ha bisogno di raffinare così e di esaurire tutte le proprie risorse; si può lasciar correre; la fantasia è ubbidiente.

D. Secondo ciò sembrerebbe che il giudaismo e il Cristianesimo non siano che una sola e identica religione; tuttavia si oppongono l’una all’altra.

R. Si oppongono e si confondono con ragione, sotto diversi rapporti. Il giudaismo letterale e carnale si oppone al Cristianesimo, Religione spirituale; ma il giudaismo vero gli è identico, tenuto conto della differenza dei tempi. Il vero giudeo non era colui che si faceva circoncidere e compiva a Gerusalemme dei saorifizi materiali, ma colui che amava Dio con tutto il suo cuore e, coscientemente o no, per mezzo dei simboli della legge mosaica, si univa a Colui che è la salvezza degli uomini. Il vero Cristiano non è colui che va alla messa nei giorni festivi e scioglie i suoi voti; ma sì colui che ama Dio con tutto il suo cuore e, per mezzo dei simboli questa volta vivificanti della legge evangelica, si unisce a Colui che è il Salvatore degli nomini. Agli uni e agli altri, e per essi a tutti, Cristo può rivolgere le solenni parole del Deuteronomio: Prendo oggi come testimonio il cielo e la terra: ho posto davanti a voi la morte e la vita, affinché scegliate la vita, e amiate Dio, e gli ubbidiate; perché Dio è la vostra vita (Deut., XXX, 19).

D. Quale compito attribuisci tu a’ Giudei riguardo al Cristianesimo?

R. Essi ne son i testimoni. Attestano la continuità di cui io parlo. Accoliti involontari, essi presentano il Libro, e la luce dei fatti antichi, e l’incenso dei salmi. Vi recano un bello zelo; sono incomparabili conservatori dei nostri testi e delle nostre tradizioni; sono degli antichi che si vedono e fanno vedere degli antenati contemporanei, se posso dire così, dei morti che vivono. Sono dispersi da per tutto e sono una sola cosa; hanno altre patrie senza potere né voler rinnegare quella che ai divini disegni importa di conservare sussistente. Una tale testimonianza permanente, senza pari, senza sospetto, poiché depone contro di sé; questa testimonianza delle cose predette delle quali il testimonio rifiuta di vedere il compimento, ma conserva con amore i testi in cui i suoi profeti annunziano ciò stesso, cioè che egli sarà il nemico del compimento, benché amico della promessa, è un fenomeno provvidenziale sorprendente all’ultimo segno; esso, dicevo, commosse Renan, e strappa a Pascal la sua grande esclamazione: « È cosa ammirabile! ».

D. Ma perché i Giudei non credettero, perché non credono, dopo avere atteso quello che rifiutano?

R. Non è esatto che tutti non abbiano creduto. Le prime Chiese cristiane sono dei gruppi giudaici. In quel momento la divisione si fa tra i veri Giudei, che comprendono lo spirito della loro religione e lo riconoscono in Cristo, e i Giudei carnali, che disconoscono Cristo perché Egli non è carnale. Il seguito si spiega mediante la tradizione, e mediante la permanenza, in molti, di questo spirito carnale.

D. Dunque, secondo te, vi è qualche cosa di miracoloso nelle profezie successive di cui parli?

R. Una profezia è necessariamente un miracolo; nessuno sa naturalmente l’avvenire. Del resto a questo miracolo psicologico delle profezie si aggiunge il miracolo propriamente detto, il miracolo esterno, dei quali io non ritengo che il numero meglio attestato, il più impressionante, quello che forma attorno a Cristo una costellazione di fatti dolcemente luminosa come le nostre stelle.

D. L’idea dei miracoli mi urta.

R. Perché?

D. Per la sua stranezza, per la parte arbitraria che vi si insinua, per il disordine evidente che introdurrebbe nella trama delle cose, in opposizione con le leggi che studia la scienza e a scapito di tutte le nostre certezze.

R. Il miracolo non può apparire strano se non a una mente ancora lontana da Dio. Colui che vive abitualmente in presenza di Dio non si meraviglia di vedere che Dio fa qualche miracolo dal momento che Egli ha fatto tutto e tutto conserva. Nell’Enciclopedia, di solito antireligiosa, si trova questa lucida osservazione: « Supponi il nulla, e ti renderai conto che i fatti naturali e i fatti soprannaturali non tengono all’essere più gli uni che gli altri, non son più facili o più difficili a compiere gli uni che gli altri. Il rendere la vita a un morto è a Dio altrettanto facile quanto il conservarla a un Vivo ».

D. Ecco la facilità di ciò che è arbitrario.

R. È forse arbitrario che le leggi d’un ordine inferiore cedano alle leggi d’un ordine superiore? Ciò non si produce forse in tutta la natura, e la libertà umana non si oppone forse al determinismo nel nome dello spirito? Perché l’ordine soprannaturale non s’imporrebbe alle leggi naturali nel nome di fini superiori? Il funzionamento della natura è forse fatto per se stesso, e non deve se stesso allo spirito? Io direi volentieri con Hello che, turbando un ordine di fatti che ci opprime o che si oppone ai nostri fini spirituali, Dio non fa altro che «turbare il disordine »; difatti l’ordine è nella subordinazione della natura alla vita e della vita alle leggi morali che la regolano.

D. La mia impressione d’un ordine alla rovescia non è dissipata.

R. Aggiungo questo. Secondo nessun punto di vista vi è qui un «ordine alla rovescia », o disordine. Vi è solo un ordine nuovo, in ragione di un’inversione che orienta altrimenti i fenomeni e così fa capo ad altri risultati. Nessun agente naturale è per questo violentato né strappato alle sue proprie tendenze. Il miracolo scaturisce da Dio, ma è nella natura; «la sua trascendenza opera secondo modi immanenti » (MARCELLO SCHWOB).

D. Il determinismo nondimeno viene spezzato.

R. Niente affatto, se tu intendi di quel determinismo che è una legge della mente e una condizione di ogni scienza; perché il determinismo così inteso vuole soltanto che in date condizioni si produca un dato effetto. Aggiungi una condizione — qui l’intervento divino — lo stesso determinismo vuole che il risultato sia diverso. In quanto al determinismo naturale lasciato a se stesso, non ha niente d’intangibile; è un’abitudine dei fatti materiali; dunque, è inferiore allo spirito, del quale, per Enrico Bergson, esso rappresenta una meccanizzazione, una caduta; esso cede già davanti allo spirito umano: donde la libertà; cede anche davanti a Dio: donde il miracolo,

D. Ma che cosa diventa la certezza della scienza?

R. Sei tu certo di ciò che io farò domani? e perché saresti tu certo di ciò che farà o non farà Dio? Le certezze della scienza non hanno questo oggetto; esse hanno di mira ciò che io chiamavo or ora le abitudini dei fatti, i loro collegamenti spontanei, rivelatori d’una natura delle cose. Ma la natura delle cose si estende fino a Dio stesso; essa si dispone in gradi in tal modo che ciò che è natura per sé è soprannatura per rapporto a quello che esso domina e regge. Dio è soprannatura in modo assoluto; la sua volontà è la legge suprema, come la volontà dell’architetto è la legge della sua opera, come la volontà dell’acqua, se posso dire così, è la legge d’una turbina insieme immobile e che gira romoreggiando. Qui non c’è difficoltà se non per coloro a cui preme che la natura sia sola, senza che Dio la penetri. Ma questi partigiani non hanno più nulla a vedere coi diritti della scienza o con quelli del cosmo. Il miracolo non violenta affatto la natura; esso concorre con lei, e con ciò consacra le sue leggi.

R. E a che serve il miracolo?

R. A fare del bene e a fare della luce. I miracoli di Cristo sono tutti benefici, tutti rischiaranti.

D. Non dànno alla sua vita un’aria di leggenda atta a diminuire la sua azione, invece d’ingrandirla?

R. I miracoli di Cristo non hanno l’aria di leggenda; nessuno elemento di curiosità, di ostentazione o di puerilità ci si trova; essi si connettono strettamente al compito redentore. Gesù guarisce i corpi con quella stessa bontà che guarisce le anime; per il corpo Egli vuole arrivare all’anima, rendere autorevole la missione col suggello di Dio, rendere inescusabili i suoi negatori, e i suoi fedeli sicuri della loro prudenza, supplire per la durata della sua vita alle profezie non ancora compiute (come la sua sopravvivenza e quella dell’opera sua), combattere l’evidenza opprimente della sua umanità con uno splendore della sua divinità, allontanare lo scandalo dalle sue affermazioni trascendenti circa la sua Persona, prendendo il diritto di domandare, davanti a un paralitico: « Che cosa è più facile, dire: I tuoi peccati ti sono rimessi, o dire: Alzati e cammina? (Matteo, IX, 6).

D. I miracoli di Gesù Cristo non si spiegherebbero con la magia di una personalità meravigliosa?

R. La personalità di Gesù fu potente; ma ogni influenza ha dei limiti che ad ogni istante il Vangelo supera, e nessuno ha influsso sopra la morte. Del resto nella vita di Gesù vi sono dei miracoli ai quali la sua personalità è estranea.

D. Fai, dunque, allusione ai racconti dell’Infanzia. Ma queste storie di pastori e di magi non sono forse assai infantili?

R. Non vorrai giudicare infantile quella divina semplicità che tante grandezze compensano. È la sublimità propria del Vangelo l’aver messo insieme queste cose: le narrazioni di Betlemme, e il Discorso del Monte, il Gloria în excelsis e l’anatema contro i Farisei, l’officina di Nazaret e il Tabor; il presepio e la croce.

D. Ma queste narrazioni di miracoli non sarebbero state inserite dopo dai discepoli ingenui e zelanti?

R. Ciò si potrebbe supporre di qualche miracolo isolato; ma in generale essi fanno corpo con la Persona, con la dottrina e con la trama storica della vita; è impossibile ritirarli senza distruggere tutto.

D. Ma ancora, che cosa valgono questi testi e qual è la loro autorità?

R. Sotto l’aspetto della loro trasmissione, è riconosciuto che nessuno scritto dell’antichità offre tali garanzie critiche; e ciò, in grazia del gran numero di manoscritti prossimi agli originali, delle versioni primitive diverse, delle citazioni sparse e quasi immediate, delle edizioni scrupolose, ecc. In quanto agli stessi autografi, possono portare la data in media di una quarantina d’anni dopo la morte di Gesù; ma nota che lì non si tratta che della scrittura; prima vi è la testimonianza orale; vi sono quelli che hanno veduto e udito, e che attestano a costo della loro vita l’oggetto del loro messaggio. « Io mi fido di testimoni che si fanno sgozzare » (PASCAL).

D. Molti si sono fatti sgozzare per le loro credenze.

R. Non si tratta di credenze, ma di fatti, di tutta una vita di fatti.

D. Non vi sono nel Vangelo molte oscurità e contradizioni?

R. Esse sono minime, e provano la sincerità, l’indipendenza scambievole degli scrittori, fino a qual punto essi hanno «la passione del vero », come dice Origene. Con ciò, se lasciano del dubbio là dove i racconti non concordano, cioè in quanto all’accessorio, esse rinforzano la certezza là dove tutto concorda, cioè in quanto al principale. Sarebbe stato così facile, fuori del profondo rispetto del vero e delle fonti, il mettere d’accordo gli scritti!

D. Sai che si è arrivato a mettere in dubbio perfino la vita reale di Gesù Cristo.

R. È un eccesso estremamente oltraggioso di critici dilettanti. Ma se ve ne sono dei sinceri, coloro che qui dubitano hanno davvero perduto il senso del reale. Negli Evangelisti, la vita splende altrettanto e più che il misticismo; in essi tutto è profondamente umano, preso sul vivo dell’azione quotidiana, in connessione evidente con un ambiente e tempi storici determinatissimi, con uomini di carne ed ossa e con istituzioni positive che ogni sorta di minute particolarità fanno riconoscere. E tratti di realtà locale confermati dalla storia, dalla topografia, dalla psicologia e dall’esperienza si contano nel Vangelo a migliaia. Qui non si tratta di immaginazioni disparate. Le lacune dei racconti, le loro contraddizioni superficiali, l’opposizione apparente di certi tratti con lo scopo dei narratori, il carattere delle sconnessioni che nessun ritocco letterario corregge, la corsa allo spogliamento registrata nei fatti, ma non preparata, una moltitudine di affermazioni sconcertanti per il senso umano, ambigue, insospettabili, ingenuamente proposte tuttavia, come venienti da relatori che ti dicono: Ecco, noi non ne possiamo niente: mi sembra che sia già abbastanza per invalidare la supposizione d’una vita di Gesù tutta fabbricata di pezzi, e specialmente di pezzi, come si suppone, fuori di ogni realtà. Una tale supposizione è propriamente insensata. Ma c’è molto di più ancora. Ed è che la personalità di Gesù si rifiuta a ogni composizione letteraria o mistica, a ogni creazione spontanea e concertata all’infuori di un fatto storico, e di un fatto trascendente. Infatti, queste due cose sono legate insieme. Al Gesù del Vangelo è tanto impossibile l’essere solamente un uomo quanto il dileguarsi in fantasma.

D. Non sono sicuro di capire.

R. Mi spiegherò con gioia; perché il mio rispetto e il mio amore di questa sacra personalità mi rende dolcissimo il presentarla, se posso dire così, a chi mi può intendere. Domando solo che non dimentichiamo di raccoglierci.

D. Dici che la persona di Gesù non potrebbe essere una creazione della mente, che è necessariamente reale, e aggiungi: divinamente reale?

R. È così. Tu conosci questa brusca interrogazione di Pascal: «Chi ha insegnato agli Evangelisti le qualità di un’anima perfettamente eroica, per dipingerle così perfettamente in Gesù Cristo? ». Prendendo un esempio aggiunge: « Perché lo fanno debole nella sua agonia? Non sanno essi dipingere una morte costante? Sì; perché lo stesso S. Luca dipinge quella di S. Stefano più forte che quella di Gesù Cristo ». È un particolare; ma ve ne sono mille simili. Il carattere di Gesù nel Vangelo è elevato quanto lo può essere ideale d’uomo; la sua qualità morale permette di vedervi, se posso dire così, una forma umana degli attributi di Dio; ma, con ciò, questo carattere non ha niente di astratto; offre delle disparità che in una composizione o in un sogno collettivo sarebbero incomprensibili; in lui l’inatteso è un segno certo di autenticità, perché ce lo mostra radicato in realtà vive, che Egli stesso non esaurisce.

D. Bisognerebbe vedere questo.

R. Qui non posso far altro che fornire l’indicazione; ma tu verifica, e sarai colpito dall’evidenza. Nello stesso modo che la dottrina di Gesù non è una teoria, ma l’espressione della sua propria vita e della sua propria Persona, così la sua vita e la sua Persona, quali si presentano nei racconti evangelici, non sono costruzioni astratte, ma l’espressione di un ambiente in cui si manifesta un’anima, in cui si manifesta Iddio. Gesù è « una specie di giustizia animata », dice S. Tommaso d’Aquino; ma animato, alla base, significa corporale, misto alla natura, versato nella storia, come un prodotto di questo suolo così come del cielo. Ciò non si fabbrica punto in un gabinetto di lavoro, né scaldandosi in riunioni mistiche. Nessun vapore d’immaginazione ha questa densità cristallina, questi contorni spiccati, queste faccette in cui scherza una doppia chiarezza: quella di un’anima individuale infinitamente larga, ma tanto più consistente, e quella d’un ambiente di vita troppo complesso e obbiettivo da poterlo sognare. Qui, il concreto splende da per tutto ed è il miracolo! Trova tu altrove la perfezione dell’ideale nella realtà storica! « La grandezza emanata dalla persona di Cristo, scrive Goethe, è d’un genere divino tale, che mai il divino apparve così sopra la terra ».

D. Questo gran pagano non vuol forse dire che Gesù è divinamente uomo?

R. Lo credo; ma non mi basta. Perché ciò suppone contro i nostri sognatori una piena realtà storica, e offre una salda base per una prova di divinità.

D. Quest’ultimo punto mi tocca.

R. Ecco. Che Gesù sia « divinamente uomo », cioè più semplicemente, uomo perfetto, ciò suppone che in Lui nulla sia difettoso, né sotto l’aspetto dell’intellettualità, né in quanto alla condotta. Bisogna che i suoi nemici siano confusi, quando l’accusano sia di follia, sia di ambizione esasperata e satanica, proprio come quando lo dicono un beone o un seduttore. Ora confronta questa esigenza coi fatti, nella supposizione che Gesù sia semplicemente uomo. Ecco un riformatore che ti dice: « Ogni potere mi è stato dato in cielo e sopra la terra »; «il cielo e la terra passeranno, ma non passeranno le mie parole »; «Io sono la luce del mondo »; un Giudeo che, in un paese di teocrazia, si arroga il diritto di abrogare in qualche modo la legge del suo popolo e di fondare un avvenire sopra di se solo; un uomo che parla con autorità di ciò che ignorano gli uomini; che esige la credenza e il culto; che, mortale, pretende di risuscitare se stesso e di risuscitare gli altri; che crede di poter fissare, nel giorno del giudizio e già sopra la croce, la sorte eterna di chi lo confessa e ubbidisce a’ suoi precetti; in una parola, che in ciò e in mille altre cose si diporta come una personalità trascendente, e tu dici: È un uomo ideale? Ma io dico: Se non è che un uomo, egli è l’ideale della superbia o della divagazione, dell’esaltazione morbosa o dell’oltracotanza. Nei due casi bisogna voltargli le spalle, sia con ironia o con ira. Se questo non si fa, io stimo che non si possono scusare le sue parole e i suoi atti se non con l’adorazione.

D. Eppure Gesù non si disse Dio.

E. Questa parola cruda: «Io sono Dio », non rispondeva alle circostanze e non avrebbe procacciate le transizioni necessarie. Gesù dice quello che bisogna, giorno per giorno, per una progressiva educazione de’ suoi figli. Quando i suoi discepoli o i suoi miracolati vogliono precipitare le dichiarazioni, Egli li riprende; loro impone silenzio; alle volte pare che Egli stesso escluda perfino quello che rivendica, perché non è ancora venuto il momento e vi sono dodici ore nel giorno ». Riserva i misteri; ma pone nondimeno le premesse. Quello che non dice in termini propri, lo afferma equivalentemente, Dice se stesso figliuolo di Dio in un senso speciale ed unico; «Il Padre e io non formiamo che una sola cosa»; « Chi vede me, vede mio Padre ». Ha le creature spirituali al suo servizio. Giudica i vivi e i morti. Domanda che gli si sacrifichi tutto. Rimette i peccati e delega Egli stesso questo potere. Annunzia che manderà a’ suoi lo Spirito di Dio. Riceve senza rinviarli a Dio degli omaggi dovuti a Dio solo. Venne dal Padre sopra la terra. Si dice Signore di Davide, sedente alla destra del Signore Iddio. Lui solo conosce il Padre come il Padre conosce se Stesso, e tutti gli altri non conoscono il Padre se non per mezzo di lui. Tutto gli è stato rimesso nelle mani. Relativamente alla vigna umana, di cui Dio è il vignaiolo, è lui il Figlio, l’Erede per opposizione agli inviati apostoli o profeti. Davanti all’autorità suprema del suo paese e della sua religione, Egli pone quell’affermazione solenne, che porta seco la sua morte, cioè che Egli è il Cristo, Figliuolo di Dio vivo, e che verrà sopra le nubi del cielo alla destra della potenza di Dio.

D. Ma ha Egli veramente detto tutto questo, preteso tutto questo?

R. Ancora una volta, si potrebbe discutere sopra una data parola, come si potrebbe cavillare su un dato miracolo, e, secondo l’uso, distinguere tra i « sinottici » e « Giovanni », Ma se si prendono le cose nell’insieme, lealmente, tali quali si presentano, è impossibile negare che Gesù non si sia presentato come un personaggio sovrumano. E ciò non ci basta? Vorremmo noi, come certi gnostici, domandarci se Egli non fosse un eone? – La questione è questa: È Egli realmente sovrumano, o è il pazzo? È Egli sovrumano, o è il « seduttore » che denunziarono i pontefici chiedendo la sua morte? Perché bisogna ben confessarlo, se Gesù non è sovrumano, quindi avente autorità in tutto quello che disse, in tutto quello che fece, allora sono i farisei che hanno ragione; ed Egli meritò la sua sorte; gli fecero espiare con giustizia le sue sacrileghe impertinenze.

D. Eppure, Renan

R. Sostenne una scommessa, e non vi riuscì. Volle collocare «al sommo dell’umanità » un essere che Egli stesso descrive — in frasi graziose — come un allucinato e un mentitore. Lo incensa e lo beffeggia. Lo dichiara « divino » dolendosi amaramente della sua divinità e del suo onore nello stesso tempo. «Un essere miracoloso in un universo senza miracolo », dice Bernanos; un prodigio di umiltà e di orgoglio; un predicatore di Dio che « attira tutto a sé »; un dottore della rinunzia, tutta la dottrina del quale si fonda sullo spogliamento dell’io; e che spinge Lui stesso la sua ambizione fino a brigare — e ottenere — un culto universale. Ciò non regge.

D. Non sarebbe possibile un’altra interpretazione di questa vita e di questa personalità?

R. Vi è quella di Giulio Soury: Gesù figlio di alcoolico o di degenerato; quella di Binet-Sanglé: Gesù pazzo.

D. Parliamo seriamente.

R. Seriamente, tutte le interpretazioni naturali del fatto di Gesù Cristo sono state distrutte una dopo l’altra, distrutte l’una dall’altra; collettivamente si annullano, e il fatto di Gesù rimane.

D. Che impressione diretta ne avresti tu, facendo astrazione da’ tuoi dogmi?

R. Una tale astrazione è assai difficile; non si può garantire che la propria sincerità. Col benefizio di questa riserva, ecco quel che io penso.

D. Ti ascolto ardentemente.

R. Gesù si presenta come trascendente al primo sguardo. Si può credere al migliore Napoleone; «io m’intendo di uomini, e e ti dico che Gesù Cristo non era un uomo ». Questo equilibrio, quest’armonia di una condotta tanto eminente quanto semplice e di una parola tanto naturale quanto sublime; questo dono di essere in casa sua nei due mondi, di parlare delle cose terrene e delle cose celesti come ugualmente familiari, dei grandi oggetti e dei piccoli come dello stesso valore, come un uomo opulento parla di milioni, un generale di piazze forti, un capo di Stato di province; questa facoltà di non mai stupirsi, di essere all’altezza di tutto, di sciogliere ogni difficoltà e di dirimere ogni questione con un solo sprazzo di luce: ecco di che trasportarci in una sfera a parte; questo non è umanità corrente, e la parola eccezionale non mi basta. Gesù parla positivamente delle cose dell’altro mondo come un viaggiatore parla al forestiero delle istituzioni del suo paese; Egli dice quello che sa, quello che ha veduto, e che è per lui cosa di famiglia, quello che è Lui stesso, ed opera in conformità.

D. È qualcosa di sublime al modo di Socrate.

R. Che differenza! «La vita e la morte di Socrate sono di un uomo, dice Gian Giacomo Rousseau; la vita e la morte di Gesù Cristo sono di un Dio ». Per me è l’evidenza che parla. Leggi il Vangelo ingenuamente, fedelmente, non con quella fedeltà che consiste nel credere prima questo o quello, ma con la fedeltà anticipata che si deve alla verità quando la si cerca; leggilo con spirito religioso, cioè ponendoti internamente le questioni eterne e pronto ad ascoltare la risposta; leggi così, e di sé non senti la presenza di Dio.

D. Allora è una visione, non più storia.

R. Dico presenza di Dio, e dico anche realtà umana la più autentica. Ciò non è mitologia; non è teologia abbigliata di fatti; il reale spunta fuori; è il reale positivo che è « caduto dal cielo » (ALESSANDRO DUMAS figlio); la spiritualità più trascendente e il fatto più concreto sono qui inseparabilmente legati e si provano l’un l’altro; il loro incontro è più miracoloso dei miracoli che si vedono. Tutti i nostri quadri di realtà sono spezzati; la nostra mente è sorpassata; il nostro cuore è anelante, eppure questo ha l’accento del vero; è il suono del reale umano e il suono d’una voce divina.

D. Insomma, a’ tuoi occhi, Vangelo prova se stesso.

R. Esattamente, e oso dire che ci vuole una specie di cecità spirituale per non vedere.

D. Questa cecità è assai diffusa.

E. Ahimè! ci sono tante cose accecanti che noi non vediamo!

D. Almeno si sospettano, e questo sospetto si fa riconoscere.

R. È questo veramente il caso. Anche quando non si crede alla divinità di Cristo, la si sente, la si prova sotto la forma di una venerazione unica, alla quale nessuna personalità della storia potrebbe pretendere anche lontanamente. Dimmi, vi è un uomo del quale non si stimerebbe ridicolo il dire: Egli è Dio? Ma non si trova ridicolo dicendolo di Cristo. Coloro che negano la sua dottrina, ed anche, cosa strana, coloro che negano Dio, lo riconoscono di un ordine divino, gli attribuiscono, come Augusto Sabatier, « una specie di natura divina ».

D. Che significa questo?

R. Chiedilo al suo autore. Per conto mio, dico che una virtù esce da Cristo, come diceva egli stesso, ed essa guarisce le cecità del bestemmiatore.

D. Che cosa pensi della risurrezione di Gesù?

R. È il più grande de’ suoi miracoli, e il meglio attestato di tutti; perché gli altri hanno per sé la testimonianza degli uomini: questo invece vi aggiunge la testimonianza de’ suoi effetti.

D. Quali effetti?

R. Quelli che lo stabilimento della fede suppone. Ricorda quello che disse Ernesto Lavisse: «Io, storico, non so ciò che avvenne il mattino di Pasqua; ma quello che ben so è che quel giorno nacque un’umanità che non muore più». Una umanità perpetua, sorta da quella tomba, è qualche cosa! È un’attestazione del prodigio segreto. Infatti, se Gesù soccombette al suo compito, donde è partito quell’immenso movimento di cui viviamo ancora? Come si spiega che Gesù sia per noi diventato ogni cosa ed occupi tutto lo spazio, con la sua presenza o con la sua assenza; che la sua causa si confonda oramai con quella della Divinità sopra la terra, e che tutta un’umanità viva con questo morto, se la tomba non ce lo ha restituito?

D. Chi parla di vivere intimamente con lui!

R. Si vive intimamente con Gesù Cristo; Egli è per noi più che uno vivo, più che un uomo presente e che ci parla.

D. Come ciò?

R. È il miracolo della Chiesa, della grazia e dell’Eucaristia. Per la Chiesa, Cristo ci avvolge; per la grazia, abita nei nostri cuori; per l’Eucaristia, rende sensibile esternamente come internamente la sua divina presenza. Or tutto questo non è niente senza la risurrezione.

D. È possibile nutrirsi di ciò che, in sé, non è niente, quando dei secoli di tradizione lo consacrano.

R. Ma io parlo del punto di partenza; domando che cosa ha inaugurato il primo impulso e quale ne fu la molla. Che cosa è che ha messo in moto gli Apostoli e li fece riuscire? « Bisognava che qualche cosa fosse successo », dice Claudel, « Mentre Gesù era con essi, dice Pascal, Egli li poteva sostenere; ma dopo, se non è apparso loro, chi li ha fatti agire? ». Si erano veduti così deboli! fuori di ogni avvenimento sovrumano, come hanno fatto per trascinare tutta la terra nei loro movimenti?

D. I discepoli di Maometto sono diventati un grande popolo.

R. Sono diventati un grande popolo per la forza della scimitarra; il Cristianesimo si stabilì per l’idea e per il fatto. L’idea era la dottrina di Cristo, che convertì e trasformò in umanità nuova tutto il mondo civile d’allora; il fatto, garante della dottrina e che ne era inseparabile, era, in primo luogo, la risurrezione.

D. Pure sì dice comunemente, tra coloro che non credono, che la risurrezione fu supposta dopo, per il fatto d’un entusiasmo religioso.

R. Essa all’opposto è alla base di tutto. Senza di essa non si spiega niente. Non è un effetto della fede, ma la causa. La Chiesa poggia sulla pietra della tomba vuota.

D. Per te il Cristianesimo è dunque dimostrato?

R. È dimostrato quanto si possono dimostrare le cose morali.

D. È una restrizione?

R. Con ciò io intendo di eliminare delle esigenze assurde. Ogni ordine di conoscenza ha le sue prove, che corrispondono alla sua natura; i teoremi si provano matematicamente, le leggi scientifiche scientificamente, i fatti morali moralmente, e i fatti religiosi religiosamente.

D. Che cosa significa quest’ultima parola?

R. Essa sottintende un triplice concorso: quello di una saggia indagine, quello di una volontà retta, quello della grazia, senza le quali Dio non si può raggiungere.

D. Che cosa fare, con questo spirito?

R. Te lo dirò in generale, e te lo dirò per te stesso, se lo permetti, pronunziando le mie ultime parole.

— Attendo.

LO SCUDO DELLA FEDE (171)