LA SUMMA PER TUTTI (12)

LA SUMMA PER TUTTI (12)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

SEZIONE SECONDA

Idea particolareggiata del ritorno dell’uomo verso Dio.

Capo XVII

La giustizia: sua natura, – Il diritto: diritto naturale e positivo; privato e pubblico; nazionale ed internazionale; civile ed ecclesiastico, – Giustizia legale; giustizia particolare. – Vizio opposto.

1008. La virtù della giustizia che avete no minata, è la più importante fra le altre virtù dopo la virtù della prudenza ed in armonia con essa, come del resto debbono esserlo ancora tutte le altre virtù morali?

Sì; dopo la virtù della prudenza che occupa un posto a parte nell’ordine delle virtù morali, nessuna delle quali può esistere Senza di essa, la più importante fra tutte le altre

è la virtù della giustizia (LVII – CXXI).

1009. Che cosa intendete per virtù della giustizia?

Intendo quella virtù che ha per oggetto il giusto ed il diritto (LVII, 1).

1010. Che cosa volete dire dicendo che la giustizia ha per oggetto il diritto ed il giusto?

Voglio dire che essa ha per oggetto di far regnare tra gli uomini l’armonia dei rapporti, fondati sul rispetto dell’essere e dell’avere, che sono legittimamente propri di ciascuno (LVII, 1).

1011. E come si sa che l’essere e l’avere di ciascuno fra gli uomini è tale, e deve essere tale legittimamente?

Si sa da ciò che detta la ragione naturale di ogni uomo e da ciò che di comune accordo ha potuto determinare la ragione dei diversi uomini, o la ragione di coloro che hanno autorità di regolare i rapporti degli uomini stessi tra loro (LVII, 2-4).

1012. Come si chiama il diritto ed il giusto, fondato su ciò che detta la ragione naturale di ogni uomo? Si chiama diritto naturale (LVII, 2).

Si chiama diritto naturale.

1013. E come si chiama il diritto ed il giusto costituito da ciò che di comune accordo è stato determinato dalla ragione dei diversi uomini, o dalla ragione di coloro che hanno autorità per regolare i rapporti degli uomini tra loro?

Si chiama diritto positivo, che si divide in diritto privato e diritto pubblico, che alla sua volta può essere nazionale ed internazionale, secondoché si tratta di convenzioni private o di leggi del paese, o di leggi convenute e stabilite fra diverse nazioni (LVII, 2).

1014. Non si parla anche di diritto civile e di diritto ecclesiastico?

Sì; e questi diritti si distinguono secondoché si tratta di rapporti degli uomini tra loro, determinati dall’autorità civile o dall’autorità ecclesiastica.

1015. Il diritto che è oggetto della virtù della giustizia, riguarda soltanto i rapporti degli individui fra loro nella società, o riguarda anche i rapporti degli individui con la collettività?

Riguarda l’una e l’altra di queste due specie di rapporti (LVIII, 5-7).

1016. Come si chiama la virtù della giustizia che ha per oggetto il secondo diritto?

Si chiama giustizia legale (LVII, 5).

1017. E come si chiama la virtù della giustizia che riguarda il primo diritto?

Si chiama giustizia particolare (LVIII, 7).

1018. Vorreste dirmi ora, con una definizionemprecisa, che cosa è la virtù della giustizia?

La virtù della giustizia è quella perfezione della volontà dell’uomo, che lo porta a volere ed a procurare in tutto, spontaneamente, e senza mai desistere, il bene della società di cui fa parte su questa terra; e tutto ciò ancora a cui può aver diritto ciascuno degli esseri umani in rapporto con lui (LVII, 1).

1019. Come si chiama il vizio opposto a questa virtù?

Si chiama ingiustizia: ingiustizia che ora si oppone alla giustizia legale, non tenendo conto del bene comune che la giustizia legale richiede; ed ora alla giustizia particolare, attentando alla uguaglianza che la giustizia particolare ha per oggetto di mantenere tra i diversi uomini (LIX).

1020. In che cosa consiste propriamente questo ultimo peccato di ingiustizia?

Consiste nell’attentare scientemente e volontariamente al diritto altrui, vale a dire a ciò che la propria volontà ragionevole deve naturalmente volere, andando invece contro a questa volontà (LIX, 3).

Capo XVIII.

Atto della giustizia particolare: il giudizio.

1021. La virtù della giustizia ha un atto che le appartiene a titolo speciale, soprattutto come giustizia particolare?

Sì; è latto del giudizio che consiste precisamente nel determinare con esattezza e secondo equità ciò che conviene a ciascuno, sia che si faccia di ufficio nel rendere giustizia a parti in litigio, come conviene al giudice; sia anche che si faccia in ogni tempo e per tutti nell’apprezzare anche interamente l’essere l’avere di ciascuno conforme al diritto, in omaggio al diritto in se stesso (LX).

1022. Il giudizio, atto della virtù di giustizia, deve interpretare piuttosto in bene le cose dubbie?

Sì; quando si tratta del prossimo e dei suoi atti, giustizia vuole che mai ci si pronunzi sia internamente che esternamente, a modo di sentenza stabile e definitiva, in senso contrario, se rimane qualche dubbio a questo proposito (LX, 4).

1023. Quando, tuttavia, si dubita di cose che potrebbero nuocere a noi od agli altri, si può diffidare e mettersi in guardia?

Sì; la giustizia legale, la prudenza e la carità vogliono che se si tratta di un male da prevenire per noi o per gli altri, sappiamo difenderci o difendere gli altri, supponendo talora il male come possibile da parte di certi uomini, anche dietro semplici congetture e senza averne una certezza assoluta (LX, 4 ad 3).

1024. Vi sono però anche allora delle riserve da fare?

Sì: anche nel caso in cui può essere necessario di prendere le volute precauzioni, bisogna guardarci accuratamente, nel prenderle per sé o per gli altri, di concepire o di esprimere sulle persone un giudizio che sia loro sfavorevole (Ibid.).

1025. Potreste darmi un esempio?

Se per esempio io vedo un uomo dalla faccia sospetta, non ho il diritto di ritenerlo per un malfattore ed ancor meno di darlo come tale; ma se si aggira intorno alla mia casa o alla casa di miei amici, ho il diritto ed un po’ anche il dovere di vigilare, acciocché presso di me o presso di loro tutto sia perfettamente guardato e tenuto al sicuro.

Caro XIX.

Giustizia particolare; sue specie: giustizia distributiva; giustizia commutativa.

1026. La virtù della giustizia, considerata come giustizia particolare, comprende varie specie?

Sì; comprende due specie: la giustizia distributiva e la giustizia commutativa (LXI, 1).

1027. Che cosa intendete per giustizia distributiva?

Intendo quella specie di giustizia particolare che provvede al bene della equità nei rapporti degli uomini tra loro, considerati nell’ordine che ad essi dice come a sue parti la società che essi compongono (LXI, 1).

1028. E per giustizia commutativa che così intendete?

Intendo quella specie di giustizia particolare che provvede al bene della equità nei rapporti degli uomini tra loro, considerati da pari a pari in questa stessa società (UXI, 1).

1029. E se si considerassero gli uomini come parti ordinate al tutto nella società, quale sarebbe la giustizia che provvederebbe al bene della equità nei rapporti degli uomini di fronte al tutto?

Sarebbe la grande virtù della giustizia legale (LXI, 1 ad 4).

Capo XX.

Atto della giustizia commutativa: la restituzione.

1030. La giustizia commutativa ha un atto che le appartiene propriamente?

Sì; la restituzione (LXII, 1).

1031. Che cosa intendete per restituzione:

Intendo quell’atto per il quale si ristabilisce o si ricostituisce la eguaglianza esterna di un uomo ad un altro, nel caso che questa eguaglianza sia stata alterata per il fatto che uno dei due non ha ciò che gli appartiene (LXI, 1).

1032. Dunque la restituzione non implica sempre la riparazione di una ingiustizia?

No; perché essa è anche l’atto dell’uomo giusto che restituisce prontamente e con fedeltà scrupolosa ciò che appartiene ad altri, quando deve essere restituito.

1033. Potreste darmi in poche parole le regole essenziali della restituzione?

Sì, eccole quali le impone la equità naturale. Con la restituzione, ciò che ad alcuno manca o mancherebbe ingiustamente, gli è dato, o meglio gli è di nuovo reso. Ciò che deve essere restituito è la cosa stessa o il suo esatto equivalente,  niente di più e niente di meno, secondoché alcuno la possedeva già, sia in modo attuale che virtuale, anteriormente all’atto che ha modificato il possesso di quella cosa; con questa differenza che bisognerà tener conto di tutte le conseguenze che potranno essere derivate dall’atto stesso, continuando a modificare a pregiudizio del legittimo possessore la integrità di ciò che avrebbe posseduto senza la posizione di detto atto. La cosa deve essere restituita al suo possessore e non ad altri, a men che nella persona di altri si renda al primo. Colui che deve restituire è chiunque sia detentore della cosa, o chiunque si trovi essere stato causa responsabile dell’atto che ha alterata l’eguaglianza della giustizia. Nell’atto della restituzione non si deve apportare nessuna dilazione, escluso il solo caso di impossibilità (LXII, 2-8).

Capo XXI.

Vizi opposti alla giustizia distributiva: preferenza di persone. Alla giustizia commutativa: l’omicidio, la pena di morte, la mutilazione la verberazione, l’incarcerazione.

1034. Fra i vizi opposti alla virtù della giustizia, ve ne è qualcuno che si oppone al giustizia distributiva?

Sì; la preferenza delle persone (LXII]

1035. Che cosa intendete per preferenza persone?

Intendo il fatto di dare o rifiutare qualche cosa a qualcuno quando si tratta di bene, o di imporre qualche cosa a qualcuno se si tratta di cosa gravosa od onerosa nella società, considerando non ciò che può renderlo degno o meritevole di un tal trattamento, ma solamente perché egli è tale individuo o tale persona (LXIII, 1).

1036. Potreste dirmi quali sono i vizi Opposti alla virtù della giustizia, considerata come giustizia commutativa?

Tali vizi sono numerosi, e si dividono in due categorie (LXIV-LXX VII).

1037. Quali sono quelli della prima categoria?

Sono quelli che toccano il prossimo senza che la sua volontà vi abbia alcuna parte (LXIV-LXXVI).

1038. Qual è il primo di questi peccati?

È l’omicidio che tocca il prossimo per vie di fatto nel principale dei suoi beni, togliendogli la vita (LXIV).

1039. L’omicidio è un peccato grave?

L’omicidio è il più grave peccato contro il prossimo.

1040. Non è mai permesso attentare alla vita del prossimo?

Non è mai permesso attentare alla vita del prossimo.

1041. La vita dell’uomo è un bene che non è mai permesso di togliergli?

La vita dell’uomo è un bene che non è mai permesso di togliergli, salvoché non abbia meritato per qualche delitto di esserne privato (LXIV, 2, 6).

1042. E chi ha il diritto di togliere la vita a colui che per un delitto ha meritato di esserne privato?

La sola autorità pubblica nella società ha il diritto di togliere la vita a colui che per un delitto ha meritato di esserne privato (LXIV, art. 2).

108. Donde proviene questo diritto alla pubblica autorità?

Proviene dal dovere che ha di vegliare al bene comune nella società (LXIV, 2).

1044. Il bene comune della società fra gli uomini, può richiedere che qualcuno sia mandato a morte?

3 Sì; il bene comune della società fra gli uomini può richiedere che qualcuno sia mandato a morte: sia perché può non esservi altro mezzo pienamente efficace per frenare i delitti nel seno di una società; sia perché la coscienza pubblica può esigere questa giusta soddisfazione per certi delitti più particolarmente odiosi ed esecrandi (LXIV, 2).

1045 Soltanto per ragione di delitto un nomo può essere mandato a morte dall’autorità pubblica nella società?

Sì; soltanto per una ragione di delitto un uomo può essere mandato a morte dall’autorità pubblica nella società (LXIV, 6).

1046. Il bene o l’interesse pubblico non potrebbe qualche volta giustificare o legittimare la morte stessa di un innocente?

No; il bene o l’interesse pubblico non può mai giustificare o legittimare la morte di un innocente; perché il bene supremo nella società degli uomini è sempre il bene della virtù (LXIV, 6).

1047. Ed un privato che si difende o difende il proprio bene, non ha il diritto di uccidere colui che attenta a lui stesso od al suo bene?

No: un privato non ha mai il diritto di uccidere un altro che attenta a lui od al suo bene; salvo che si tratti della propria vita o della vita dei suoi, e che non vi sia assolutamente alcun altro mezzo di difenderla fuori di quello che cagiona la morte dell’assalitore. Bisogna però che anche allora quegli che si difende non abbia minimamente intenzione di uccidere l’altro, ma solamente di difendere la propria vita o quella dei suoi (LXIV, 7).

1048. Quali sono gli altri peccati contro il prossimo nella sua persona?

Sono la mutilazione che attenta alla sua integrità; la verberazione che ne turba la pace ed il benessere normale; e la incarcerazione che lo priva del libero uso della sua persona (LXV, 1-3).

1049. Quando sono peccati questi atti?

Tutte le volte che sono compiuti da chi non ha autorità sul paziente; oppure avendo autorità su di lui, non osserva la misura voluta nell’uso che ne fa (Ibid.).

Capo X.XII.

Del diritto di proprietà: doveri che porta seco. – Violazione di questo diritto: il furto e la rapina.

1050. Dopo i peccati che attentano al prossimo nella persona, qual è il più grave degli altri peccati che si commettono contro di lui per vie di fatto?

È il peccato che attenta ai suoi beni, ossia a ciò che possiede (LXVI).

1051. Un uomo ha diritto di possedere in proprio qualche cosa?

Sì: l’uomo può aver diritto di possedere qualche cosa in proprio e di amministrarlo come vuole, senza che gli altri abbiano ad intromettervisi contrariamente alla sua volontà (LXVI, art. 2).

1052. Donde proviene all’uomo questo diritto?

Gli deriva dalla sua stessa natura. Perché essendo un essere ragionevole e fatto per vivere in società, il suo stesso bene, il bene della sua famiglia ed il bene della società tutta intiera reclamano che questo diritto di proprietà esista fra gli uomini (LXVI, 1, 2).

1053. Come dimostrate che questi diversi beni reclamano la esistenza fra gli nomini del diritto di proprietà?

Si dimostra con questo, che la proprietà dei beni posseduti dall’uomo è una condizione di libertà per lui, come è per la famiglia il modo per eccellenza di costituirsi perfetta e di conservarsi attraverso i tempi nel seno della società. Nella società stessa la proprietà fa sì che le cose siano amministrate con maggior cura, in maniera più ordinata, con meno contrasti e meno controversie (LXVI, 2).

1054. Vi sono però dei doveri uniti al diritto di proprietà?

Sì; al diritto di proprietà sono uniti gravissimi doveri,

1055. Potreste dirmi quali sono i doveri inerenti al diritto di proprietà?

Sì; eccoli in poche parole: Vi è anzitutto il dovere di far fruttificare e migliorare i beni che si posseggono. Poi, nella misura che i beni si accresceranno nelle mani dei possessori, quando questi vi abbiano una volta prelevato ciò che fa loro personalmente bisogno per se stessi e per la loro casa, non è più loro permesso di considerarli come beni propri, escludendo dalla loro partecipazione la società degli uomini in mezzo ai quali essi vivono. È per essi un dovere di giustizia sociale di ripartire il meglio possibile il superfluo dei loro beni, o di facilitare intorno ad essi il lavoro degli altri, affinché le necessità dei privati siano sollevate ed il bene pubblico ne sia accresciuto. La ragione del bene pubblico autorizzerà lo Stato a prelevare sui beni dei privati tutto quello che giudicherà necessario od utile al bene della società. In questo caso i privati sono tenuti a conformarsi alle leggi emanate dallo Stato; ciò è per essi un obbligo di stretta giustizia. La ragione del bene dei privati o delle loro necessità non obbliga con lo stesso rigore riguardo alla sua determinazione. Non esiste a questo proposito una legge che obblighi sotto forma di legge positiva umana, determinando la possibilità di coazione per via giudiziaria. Ma la legge naturale conserva tutto il suo rigore; è un andare direttamente contro di essa in ciò che ha di più imprescrittibile, cioè nell’obbligo di volere il bene dei propri simili, a disinteressarsi dei loro bisogni quando si possiede il superfluo. Tale obbligo già rigoroso in forza della sola legge naturale, riveste un carattere del tutto sacro in forza della legge divino-positiva, soprattutto della legge evangelica. Dio stesso è intervenuto personalmente per corroborare e rendere più urgente, con le sanzioni di cui la avvalora, la prescrizione già da Lui scolpita nel fondo del cuore umano (LXVI, art. 2-7; XXXI, 5, 6).

1056. Se tali sono i doveri di coloro che posseggono verso gli altri uomini, quali sono i doveri di questi ultimi verso i primi?

I doveri degli altri uomini verso coloro che posseggono sono di rispettare i loro beni, e di non manometterli mai contrariamente alla loro volontà (LXVI, 5, 8).

1057. Come si chiama l’atto di manomissione dei beni di coloro che posseggono, contrariamente alla loro volontà?

Si chiama furto o rapina (LXVI, 3, 4).

1058. Che cosa intendete per furto?

Intendo il fatto di impadronirsi occultamente di un bene altrui (LXVI, 3).

1059. E per rapina che cosa intendete?

Intendo quell’atto che in luogo di procedere all’insaputa di colui che viene derubato, come nel furto, lo assale invece di fronte, togliendogli visibilmente e violentemente il bene che gli appartiene (LXVI, 4).

1060. Qual è il più grave di questi due atti?

La rapina è cosa più grave del furto; ma anche il furto, come la rapina, costituisce sempre di per sé peccato mortale; salvo che la cosa rubata non ne valga la pena (LXVI, 9).

1061. Bisogna astenersi quanto più è possi bile fra gli uomini, da tutto ciò che anche lontanissimamente avesse apparenza di furto?

Sì: è cosa sommamente importante per il bene della società, che gli uomini si astengano quanto più è possibile da tutto ciò che anche lontanissimamente avesse apparenza di furto in mezzo ad essi.

Caro XXIII.

Peccati contro la giustizia per mezzo di parole: nell’atto del giudizio: da parte del giudice; da parte dell’accusa; da parte dell’accusato; da parte del testimone; da parte dell’avvocato.

1062. Oltre ai peccati che si commettono contro la giustizia rispetto al prossimo per mezzo di atti, ve ne sono altri che si commettono rispetto a lui con parole?

Sì; e si dividono in due categorie: quelli che si commettono nell’atto solenne del giudizio, ossia in tribunale; e quelli che si commettono nell’ordinario della vita (LXVII-LXXVI).

1062. Qual è il primo peccato che si può commettere nell’atto solenne del giudizio?

È il peccato del giudice che non giudica secondo la giustizia (LXVII).

1064. E che cosa si richiede da parte del giudice perché giudichi secondo la giustizia?

Si richiede che egli consideri se stesso come una specie di giustizia vivente, che ha per ufficio nella società di rendere a ciascuno che ricorra alla sua autorità il diritto leso, nel nome stesso della società che rappresenta (LXVII, 1).

1065. Che cosa consegue da ciò per il giudice nell’adempimento del suo ufficio?

Ne consegue che un giudice non può giudicare se non coloro che sono di sua giurisdizione: e che nel libello della sentenza non può basarsi che sui dati del processo quali le parti espongono e stabiliscono giuridicamente davanti a lui: non potendo altrimenti intervenire se una delle parti non muove querela e domanda giustizia. Ma in questo caso deve sempre rendere integralmente questa giustizia, senza falsa misericordia verso il colpevole, qualunque sia la pena che debba pronunziare contro di lui, nel nome del diritto stabilito da Dio o dagli nomini (LXVII, 2-4).

1066. Qual è il secondo peccato contro la giustizia nell’atto solenne del giudizio, o in riferimento ad esso?

È il peccato di coloro che mancano al dovere di accusare, oppure accusano ingiustamente (LXVIII).

1067. Che cose intendete per dovere di accusare?

Intendo il dovere che incombe ad ogni uomo, che vivendo in una società e trovandosi

dinanzi ad un male che funesta questa stessa società, è obbligato a deferire al giudice l’autore di questo male perché ne sia fatta giustizia. Egli non è dispensato da tale obbligo, se non trovandosi nella impossibilità di stabilire giuridicamente la verità del fatto (LXVILI, 1).

1068. Quando è ingiusta l’accusa?

L’accusa è ingiusta quando la pura malizia fa imputare ad alcuno delitti falsi; Oppure se una volta impegnata non si prosegue come la giustizia richiede: sia che si tratti fraudolentemente con la parte avversaria, sia che senza motivo si desista dall’accusa (LXVII, art. 3).

1069. Quel è il terzo peccato contro la giustizia nell’atto del giudizio?

È il peccato dell’accusato che non si conforma alle regole del diritto.

1070. Quali sono le regole del diritto alle quali deve conformarsi l’accusato, sotto pena di peccato contro la giustizia?

Deve dire la verità al giudice, quando questi lo interroga in virtù della sua autorità; e non può mai difendersi usando modi fraudolenti (LXIX, 1, 2).

1071. Può un accusato, in caso di condanna, declinare il giudizio appellandosene?

Dal momento che un accusato non può difendersi in modo fraudolento non ha diritto di fare appello contro un giudizio giusto al solo scopo di ritardarne la esecuzione. Non può appellare se non trattandosi di ingiustizia manifesta; e bisognerà pure che usi del suo diritto nei limiti stabiliti dalla legge (LXIX, 3).

1072. Un condannato a morte ha diritto di resistere alla sentenza che condanna?

Un condannato a morte ingiustamente può resistere anche con la violenza, con la sola eccezione che si debba evitare lo scandalo. Ma se è stato condannato giustamente, deve subire il supplizio senza resistenza di sorta; potrebbe tuttavia fuggire se ne avesse il mezzo, perché nessuno è tenuto a cooperare al proprio supplizio (LXIX, 4).

1073. Qual è il quarto peccato che si può commettere contro la giustizia nell’atto del giudizio?

Si il peccato del testimone che manca al suo dovere (LXX).

1074. Come può mancare al proprio dovere un testimone nell’atto del giudizio?

Un testimone può mancare al proprio dovere nell’atto del giudizio, sia rifiutandosi di testimoniare quando è richiesto dall’autorità del superiore a cui è tenuto ad obbedire nelle cose appartenenti alla giustizia, oppure quando la sua testimonianza può impedire un danno ad alcuno; sia, con più forte ragione, facendo una falsa testimonianza (LXX, 1, 4).

1075. La falsa testimonianza resa in giudizio è sempre un peccato mortale?

La falsa testimonianza resa in giudizio è sempre un peccato mortale, se non sempre per la menzogna che qualche volta può essere veniale, sempre almeno per lo spergiuro ed anche per la ingiustizia, se va contro ad una causa giusta (LXX, 4).

1076. Qual è l’ultimo peccato che si può commettere

contro la giustizia nell’atto del giudizio?

È quello dell’avvocato che rifiuta il suo patrocinio in una causa giusta che non può essere difesa se non da lui, oppure che difende una causa ingiusta specialmente nell’ordine delle cause civili, o che esige una ingiusta retribuzione per il suo patrocinio (LXXI, :1, 3, 4):

Caoo XXIV.

Peccati di parole nell’ordinario della vita: l’ingiuria, la detrazione (maldicenza e calunnia), la sussurrazione, la derisione, l’imprecazione.

1077. Potreste dirmi quali sono i peccati di ingiustizia che si commettono contro il prossimo con le parole nell’ordinario della vita?

Sono la ingiuria, la detrazione, la sussurrazione, la derisione e la imprecazione (LXXII-LXXVI).

1078. Che cosa intendete per ingiuria?

L’ingiuria o insulto od oltraggio, detta anche rimprovero, biasimo e rabbuffo, prendendo queste ultime tre cose nel senso di un intervento indebito o ingiustamente offensivo; indica un intervento oltraggioso per il quale si offende nel suo onore e nel dovuto rispetto un individuo preso di mira, con i gesti che si fanno o con le parole che si dicono (LXXII, 1).

1079. È un peccato mortale questo?

Sì; quando si fanno dei gesti o si proferiscono parole di natura tale da: attentare gravemente all’onore di chi ne è l’oggetto, con la formale intenzione di attentare realmente a questo onore. La colpa non sarà leggera se non nel caso in cui di fatto l’onore del soggetto non ne sia seriamente menomato, oppure non vi sia la intenzione di attentarvi in maniera grave (LXXII, 2

1080. Esiste per ogni nomo uno stretto dovere nell’ordine della giustizia, di trattare gli altri, chiunque essi siano, con la riverenza ed il rispetto loro dovuti?

Sì; è questo per ogni uomo uno stretto dovere nell’ordine della giustizia, ed è della più grande importanza per la buona armonia delle relazioni che gli nomini devono avere tra loro (LXXII, 1-3).

1081. Su: che cosa si basa questo dovere, e quale è la sua importanza?

Si basa sul fatto che l’onore è uno dei beni ai quali gli uomini tengono di più. Anche il più meschino di loro, in quanto lo comporta la sua condizione; vuole e deve essere trattato con rispetto. Mancargli di riguardo con gesti o con parole è un offenderlo in ciò che ha di più caro (Ibid.).

1082. Bisogna dunque evitare con la più grande cura di dire o fare alcunché in presenza di qualcuno, che sia di natura tale da contristarlo o umiliarlo, oppure da essergli di fastidio in qualunque maniera sia?

Sì: bisogna evitare ciò con la più grande cura (Ibid.).

1083. Non è mai permesso agire diversamente?

Non è mai permesso Se non trattandosi di un superiore riguardo ad un inferiore, al solo fine di correggerlo quando veramente lo merita, ed a condizione di non farlo mai sotto l’impeto della passione e in modo eccessivo ed indiscreto (LXXJI, 2 ad 2).

1084. Ed a riguardo di quelli che mancano essi stessi di rispetto che cosa bisogna fare?

A riguardo di coloro che si rendessero colpevoli del peccato di ingiuria contro di noi, o di coloro il cui onore possa esserci affidato sia direttamente che indirettamente, la carità ed anche la giustizia possono richiederci di non lasciare impunita la loro audacia. Ma in questo caso bisogna osservare nella repressione tutte le forme che l’ordine del diritto richiede, e guardarci premurosamente di non fare noi stessi alcun torto (LXXII, 3).

1085 Che cosa si deve intendere per detrazione?

La detrazione, nel suo senso formale e preciso, implica la intenzione di attentare con parole alla reputazione del prossimo o di togliergli in tutto od in parte la stima di cui gode presso gli altri, quando non è alcuna giusta ragione di farlo (LXXIII, 1).

1086. È un peccato molto grave questo?

Sì; perché è un togliere ingiustamente al prossimo un bene più prezioso delle ricchezze   che gli si tolgono col furto (LXXIII, 2, 3).

1087 . In quante maniere si commette il peccato di detrazione?

Si commette direttamente in quattro maniere: imputando al prossimo cose false; esagerando ciò che può esservi in lui di difettoso; manifestando cose ignorate ed a lui sfarorevoli; attribuendogli intenzioni dubbie se non anche malvagie, che snaturano ciò che opera di bene (LXXII, 1 ad 3).

1088. Non si può nuocere al prossimo anche in altra maniera nel peccato di detrazione?

Sì; in maniera indiretta, negando il suo bene, tacendolo maliziosamente ed attenuandolo (LXXIII, 1 ad 3)

1089. Che cosa intendete per peccato di sussurrazione?

Intendo quel peccato che consiste nell’attentare al bene degli amici, proponendosi direttamente con parole equivoche e sleali di seminare la discordia tra coloro che sono uniti in una mutua confidenza dai legami dell’amicizia (LXXIV, 1).

1090 È molto grave questo peccato?

Di tutti i peccati di parole contro il prossimo questo è il più odioso, il più grave ed il più degno di riprovazione davanti a Dio e davanti agli uomini (LXXIV, 2).

1091. Che cosa si deve intendere per derisione?

La derisione o motteggio ingiurioso è un peccato di parola contro la giustizia, consistente nello schernire il prossimo rinfacciandogli qualità malvagie o difettose che lo inducano a perdere la confidenza in se stesso, nei suoi rapporti con gli altri (LXXV, 1).

1092.  È un peccato molto grave?

Certissimamente; perché implica un disprezzo di persone, che è disprezzo di persone, che è una delle cose più detestabili e più meritevoli di riprovazione (LXXV, 2).

1093. L’ironia verso gli altri è sempre derisione con la gravità che si è detto?

L’ironia può essere cosa leggera se si tratta di difetti leggeri e di leggeri mancamenti che si scherniscono per riderne, senza che lo scherno implichi disprezzo alcuno per le persone. Può anche non esservi nessun peccato, quando la cosa avviene per modo di innocente ricreazione e non si corre alcun rischio di mortificare chi ne è l’oggetto. Tuttavia si tratta di un modo delicatissimo di ricreazione, di cui non si deve usare che con somma prudenza (LXXV, 1 ad 1).

1094. L’ironia può essere qualche volta un atto di virtù?

Si; se è adoperata come si conviene e per modo di correzione da parte di un superiore verso un inferiore, oppure anche da uguale ad uguale per modo di caritatevole correzione fraterna.

1095. Che cosa richiede in simili casi l’uso dell’ironia?

Richiede sempre grandissima discrezione. Perché se può essere cosa buona che coloro i quali sono portati ad avere troppa confidenza in se stessi, siano ricondotti ad un più giusto sentimento del proprio valore, bisogna guardarsi bene di sopprimere tale confidenza in ciò che può avere di legittimo; senza di che ci si esporrebbe a Paralizzare ogni slancio ed ogni spontaneità, annientando oppure avvilendo con la eccessiva diffidenza che gli si ispira di se stesso, il soggetto della ironia, che ne diviene la vittima.

1096. In quali rapporti si trovano col vizio della imprecazione i quattro vizi della ingiuria, della detrazione, della sussurrazione e della derisione?

Tutti questi convengono nell’attentare con parole al bene del prossimo; ma mentre gli altri lo fanno per modo di proposizione o di male che si enuncia e di bene che si nega, la imprecazione lo fa per modo di male che si augura (LXXVI, 1, 4).

1097. È cosa essenzialmente cattiva questa?

Sì; è cosa essenzialmente cattiva ogni volta che si augura ad alcuno il male per il male; e di per sé un tale atto è sempre colpa grave (LXXVI, 3).

Capo XXV.

Peccati coi quali si inganna il prossimo e si abusa di lui: la frode e l’usura.

1098. Qual è l’ultima specie di peccati che si commettono contro la giustizia commutativa?

Sono i peccati con cui indebitamente si attira il prossimo consentire a cose di suo pregiudizio (LXXVII, Prologo).

1099. Come si chiamano questi peccati?

Si chiamano frode ed usura (LXXVII, LXXVIII).

1100. Che cosa intendete per frode?

Intendo quell’atto di ingiustizia che si commette nei contratti di compra o di vendita, per il quale ingannando il prossimo lo si induce a volere ciò che è un danno per lui (LXXVII).

1101. In quanti modi può avvenire il peccato di frode?

Questo peccato si può commettere in ragione del prezzo, inquantoché si compra una cosa per meno di quello che vale o si vende per più del suo valore; in ragione della cosa venduta, inquantoché essa non è ciò che sembrava, lo sappia o lo ignori il venditore; in ragione del venditore stesso che tace un difetto che conosce; ed in ragione del fine che

è la ricerca del guadagno (LXXVII, 1-4).

1102. Non si può mai, sapendolo, comprare una cosa a meno di quello che vale, o venderla per più del suo valore?

No; perché il prezzo della cosa che si vende o si compra deve sempre, nei contratti di compra o di vendita, corrispondere al giusto valore della cosa stessa; domandare di più o dare di meno sapendolo, è di per sé cosa essenzialmente ingiusta e che obbliga alla restituzione (LXXVII, 1).

1103. È contro la giustizia vendere una cosa per quello che non è, o comprarla diversa da quella che si crede?

Sì: vendere o comprare una cosa diversa da quella che sembrava, si tratti della sua specie, della sua quantità o della sua qualità, è contrario alla giustizia; ed è peccato e vi è obbligo di restituzione se si fa scientemente. Molto più tale obbligo di restituzione esiste, anche quando non vi è stato peccato, dal momento che ci si accorge di ciò che è veramente la cosa comprata o venduta (LXXVII. art. 2).

1104. Il venditore è sempre obbligato a manifestare i difetti della cosa che vende, in quanto li conosce?

Sì: il venditore è sempre tenuto a manifestare i difetti della cosa che vende, quando tali difetti da lui conosciuti sono occulti e possono essere per il compratore una causa di pericolo o di danno (LXXVII, 3).

1105. È permesso dedicarsi a compre e vendite sotto forma di negozio, soltanto a scopo di guadagno?

Il negozio per il negozio ha qualche cosa di ignobile e di contrario alla onestà della virtù; perché in quanto è da esso favorisce la sete del lucro che non conosce limiti, ma tende ad acquistare senza fine (LXXVII, 4).

1106. Che cosa ci vorrà dunque perché la mercatura divenga cosa permessa ed onesta?

Bisogna che il guadagno non sia inteso per se stesso, ma per un fine onesto. Così avviene quando il guadagno moderato che si cerca nella mercatura è diretto a sostenere la propria famiglia o ad aiutare gli indigenti; oppure si attende alla mercatura per una ragione di utilità pubblica affinché le cose necessarie alla vita non vengano a mancare alla propria patria o fra gli uomini, e si cerca il guadagno non come fine, ma come prezzo del proprio lavoro (LXXVII, 4).

1107. Che cosa intendete per peccato di usura?

Intendo quell’atto di ingiustizia consistente nell’abusare del bisogno in cui uno si trova, e nel prestargli del denaro, od altra cosa computabile a prezzo di denaro, ma che non ha altro uso che il consumo ordinato alle necessità del momento, obbligandolo a restituire questo denaro e questa cosa a data fissa con un soprappiù, a titolo di usura o prezzo dell’uso (LXXVII, 1, 2, 83).

1108. L’usura è la stessa cosa che il prestito ad interesse?

No; perché se ogni usura è un prestito ad interesse, ogni prestito ad interesse non è usura.

1109. In che cosa si distingue il prestito ad interesse dall’usura?

Il prestito ad interesse si distingue dall’’usura in questo, che vi si considera il denaro come capace di essere fruttifero, in ragione delle circostanze sociali ed economiche in cui oggigiorno vivono gli uomini.

1110. Che cosa occorre perché il prestito ad interesse sia permesso e non rischi di degenerare in usura?

Occorrono due cose: 1° che il tasso dell’interesse non superi il tasso legale o il tasso stabilito da una consuetudine ragionevole; 2° che i ricchi che abbondano del superfluo sappiano non mostrarsi esigenti verso i poveri che prendono in prestito non per fare un commercio di denaro, ma per il solo consumo e per far fronte alle necessità della vita.

Capo XXVI.

Degli elementi della virtù di giustizia: fare il bene ed evitare il male. – Vizi opposti: l’omissione e la trasgressione.

1111. Quando si tratta della virtù della giustizia, oltre alle sue diverse specie possiamo considerare ancora certi elementi che la costituiscono, come si è detto per la prudenza?

Sì; e questi elementi non sono altro che il fare il bene ed evitare il male (LXXIX, 1).

1112. Perché questi due elementi sono: propri della virtù della giustizia?

Perché nelle altre virtù morali, come la fortezza e la temperanza, non vi è da distinguerli, perché in esse il non fare il male si identifica col fare il bene; mentre nella virtù della giustizia, fare il bene consiste nel procurare che coi nostri atti regni la uguaglianza tra noi ed il prossimo; e non fare il male consiste nel non far niente che possa andar contro alla uguaglianza stessa tra noi ed il prossimo nostro (LXXIX, 1).

1113. Come si chiama il peccato contro il primo modo?

Si chiama omissione (LXXIX, 3).

1114. Ed il peccato contro il secondo modo come si chiama?

Si chiama trasgressione (LXXIX, 2).

1115. Di questi due peccati qual è il più grave?

In sè è più grave il peccato di trasgressione, benché una determinata omissione possa essere più grave di una trasgressione. Per esempio è più grave ingiuriare qualcuno che il non usargli il dovuto rispetto; ma se si tratta di un alto superiore, sarà più grave mancare al rispetto che gli è dovuto non rendendogli la testimonianza esterna che il rispetto richiede specialmente in pubblico, che non sarà un leggero segno di dispregio o una parola leggermente offensiva all’indirizzo di una infima persona nella società (LXXIX, 4).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.