DOMENICA V DOPO PASQUA (2019)

DOMENICA V DOPO PASQUA (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa. XLVIII: 20

Vocem jucunditátis annuntiáte, et audiátur, allelúja: annuntiate usque ad extrémum terræ: liberávit Dóminus pópulum suum, allelúja, allelúja [Annunciate la gioiosa notizia, che sia ascoltata, allelúia: annunciatela fino all’estremo della terra: il Signore ha liberato il suo pòpolo, allelúia, allelúia]

Ps LXV: 1-2 Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus. [Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: dà a Lui lode di gloria].

Vocem jucunditátis annuntiáte, et audiátur, allelúja: annuntiáte usque ad extrémum terræ: liberávit Dóminus pópulum suum, allelúja, allelúja [Annunciate la gioiosa notizia, che sia ascoltata, allelúia: annunciatela fino all’estremo della terra: il Signore ha liberato il suo pòpolo, allelúia, allelúia]

 Orémus.

Deus, a quo bona cuncta procédunt, largíre supplícibus tuis: ut cogitémus, te inspiránte, quæ recta sunt; et, te gubernánte, éadem faciámus. [O Dio, da cui procede ogni bene, concedi a noi súpplici di pensare, per tua ispirazione, le cose che son giuste; e, sotto la tua direzione, di compierle.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli.

Jac. I: 22-27

Caríssimi: Estóte factóres verbi, et non auditóres tantum: falléntes vosmetípsos. Quia si quis audítor est verbi et non factor: hic comparábitur viro consideránti vultum nativitátis suæ in spéculo: considerávit enim se et ábiit, et statim oblítus est, qualis fúerit. Qui autem perspéxerit in legem perfectam libertátis et permánserit in ea, non audítor obliviósus factus, sed factor óperis: hic beátus in facto suo erit. Si quis autem putat se religiósum esse, non refrénans linguam suam, sed sedúcens cor suum, hujus vana est relígio. Relígio munda et immaculáta apud Deum et Patrem hæc est: Visitáre pupíllos et viduas in tribulatióne eórum, et immaculátum se custodíre ab hoc sæculo

Omelia I

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

LE BUONE OPERE

“Carissimi: Siate osservanti della parola, e non uditori soltanto, che ingannereste voi stessi. Perché se uno ascolta la parola e non l’osserva, egli rassomiglia a un uomo che contempla nello specchio il suo volto naturale. Contemplato, se ne va, e subito dimentica come era. Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta della libertà, e persevera in essa, diventando non un uditore smemorato, ma un operatore di fatti, questi sarà felice nel suo operare. – Se alcuno crede d’essere religioso, e non frena la propria lingua, costui seduce il proprio cuore, e la sua religione è vana. Religione pura e senza macchia dinanzi a Dio e al Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni, e conservarsi incontaminati da questo mondo”. (Giac. 1, 22-27).

L’Epistola di quest’oggi è una continuazione di quella della domenica scorsa. S. Giacomo aveva insegnato che si deve accogliere con mansuetudine la parola di Dio. Ora insegna che questa parola bisogna metterla in pratica. Con il paragone di chi si presenta allo specchio, e se ne ritorna come prima, dice che chi conosce la dottrina cristiana e non la fa seguire dalle buone opere, fa cosa inutile: egli rimane come era prima che udisse la predicazione del Vangelo. Al contrario, sarà beato colui che, oltre considerare attentamente la dottrina del Vangelo, la fa seguire dalle buone opere. Indica, poi, alcune di queste buone opere, come: l’astenersi dalla mormorazione e l’esercizio della carità. Tutti dobbiamo essere persuasi della necessità delle buone opere, poiché, senza le buone opere:

1. Inganniamo noi stessi,

2. Ci burliamo della parola di Dio,

3. Non pratichiamo la vera religione.

1.

Siate osservanti della parola, e non uditori soltanto, che ingannereste voi stessi. Con queste parole San Giacomo vuol dire che s’inganna fortemente chi crede che ei possa andar salvi con la sola fede, senza darsi cura di conformare agli insegnamenti della fede la propria condotta. La fede è la base e il principio della nostra salvezza. Senza la fede non perverremo alla vita eterna; ma la Sacra Scrittura ci dice ripetutamente che non deve essere una fede morta; cioè, disgiunta dalle buone opere.S. Giovanni ci insegna che per arrivare alla vita eterna dobbiamo avere la cognizione del vero Dio e dell’unico Salvatore e Mediatore Gesù. « La vita eterna è questa, che conoscono te, solo vero Dio, e Gesù Cristo,mandato da te » (Giov. XVII, 13) ; ma ci insegna anche che « da questo sappiamo se lo abbiamo conosciuto, se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice che lo conosce e non osserva i suoi comandamenti è bugiardo » (1 Giov. II, 3-4). Chi non pratica le opere prescritte non ha, dunque, una conoscenza conveniente di Dio, e la sua fede, essendo una fede morta, non gli giova per la salute eterna. Gesù Cristo ci parla ancor più chiaramente: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Matt. VII, 21). E continua: « Adunque, chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà paragonato a un uomo avveduto che si è fabbricata la casa sulla pietra … E chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà paragonato allo stolto che si è fabbricata la casa sulla rena » (Matt. VII, 24 …26)). Come è destinata alla rovina una casa senza fondamento, così, non sfuggiranno alla rovina irreparabile coloro che, sul saldo fondamento che è la fede in Gesù Cristo, non costruiscono l’edificio delle loro opere; cioè, non adattano la loro vita agli insegnamenti che derivano dalla fede in Gesù Cristo. « Perché— dice Egli di costoro — mi chiamate, Signore, Signore, e poi non fate quello che vi dico? » (Luc. VI, 46). Del resto, basta un po’ di buon senso per capire come s’ingannino coloro che credono di arrivare alla vita eterna senza le buone opere, se si considera che l’eterna felicità è data da Dio in premio a quelli che qui sulla terra lo hanno servito. Nella parabola della vigna, venuta la sera, il padrone dice al suo procuratore: « Chiama i lavoratori e paga ad essi la mercede» (Matt. XX, 8). La mercede è data alla fine del giorno, come prescriveva la legge: ma è data a quei che hanno lavorato. Nessun di quei che hanno ricevuto la mercede si era rifiutato di seguire l’invito del padrone che lo chiamava al lavoro. Chi avesse preferito rimanere sulla piazza ozioso, non avrebbe ricevuto la mercede. Alla fine della nostra vita verrà data l’eterna ricompensa a coloro, che, assecondando la grazia di Dio, avranno lavorato a servirlo; ma dall’eterna ricompensa resteranno necessariamente esclusi quelli che si rifiutano di lavorare per il Signore. Il Paradiso non è per i poltroni.

2.

S. Giacomo con una bella similitudine dice che chi ascolta la parola del Signore e non la mette in pratica rassomiglia a un uomo che contempla nello specchio il suo volto naturale. Contemplatosi, se ne va, e subito dimentica come era». Colui che si porta davanti allo specchio per osservare com’è il suo volto, e poi non si cura di far scomparire le macchie che vi ha notato, fa opera per lo meno vana. Lo stesso fa colui che si accontenta di udire la parola del Vangelo, ma non si cura per nulla di metterla in pratica.« La misericordia del Signore — dice San Leone M.— nei suoi comandamenti ci ha dato un magnifico specchio nel quale l’uomo possa riflettere l’interno della sua mente» (Serm. 49, 4). Che serve aver davanti alla mente, come in uno specchio, i doveri cui il Cristiano deve attendere, e poi, di questi doveri non curarsi per nulla? E non puòneppur scusarsi il Cristiano che assicura di non compiere opere cattive nella sua vita. « Poiché non operare il bene è già un far male. Dimmi, infatti, se tu avessi un servo che non rubi, non offenda, non contraddica, si astenga dell’ubriachezza e da tutto il resto, e stia continuamente seduto in ozio, e non compia nulla di quello che un servo deve fare per il suo padrone, non lo puniresti? » (S. Giov. Cris. In Epist. ad Eph. Hom. 16, 1). Il meno che si possa dire di lui è che è un servo inutile, che si burla della volontà del padrone. Parimenti è inutile la vita del Cristiano, che non prende sul serio la parola di Dio, cercando di conformarvi la propria condotta. Ogni Cristiano è un albero piantato da Gesù Cristo nella sua vigna, la Chiesa. La grazia dei Sacramenti, la parola di Dio, le ispirazioni, tendono a rendere fruttifero questo albero. Ma, sgraziatamente, tante volte i frutti non si vedono. Troverai foglie, fronde; indarno, però, cercheresti qualche cosa di più sodo. Un po’ di apparenza, un po’ di religiosità superficiale; ma virtù soda, provata, non la trovi. Che giudizio dare di quest’albero? Quello che ha dato Gesù del fico infruttifero: albero che ingombra il terreno (Luc. XIII,7). La parola di Dio deve produrre qualche cosa di più che una apparenza esteriore e ingombrante. Qualche atto religioso, l’assistenza alla Messa festiva, l’intervento a qualche solennità fanno credere a certuni d’essere religiosi nel pieno senso della parola. Ma se chi si esercita in queste opere, trascura gli altri obblighi imposti dal Vangelo non sfugge alla condanna che dà San Giacomo: La sua religione è vana. Qualche atto religioso non vuol dir tutta la Religione. L’ascoltar la parola di Dio in qualche caso, e nel resto non curarla, è un disprezzarla tutta.

3.

Religione pura e senza macchia dinanzi a Dio e al Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni, è conservarsi incontaminati da questo mondo. San Giacomo nomina in particolare il soccorso che si deve dare ai pupilli e alle vedove, perché sono le due classi di persone, generalmente, più bisognose. Ma è chiaro che le sue parole vanno oltre queste due classi di persone, e si estendono a tutti i nostri fratelli, chiunque essi siano, che hanno bisogno dell’opera nostra. Come è chiaro che l’opera nostra non deve limitarsi alle visite, ma esplicarsi per mezzo di tutti gli aiuti spirituali e materiali di cui il prossimo ha bisogno. E qui abbiamo davanti un campo vastissimo in cui tutti possiam operare, ciascuno secondo le proprie condizioni. Se ci rifiutiamo, non facciamo certamente onore alla nostra religione. Se la religione importa doveri verso il prossimo, importa principalmente doveri verso Dio. Il Cristiano che non volesse compiere questi doveri non può piacere a Dio, e la sua religione non è senza macchia all’occhio di Lui. Al compimento dei propri doveri verso Dio si oppone il mondo; e i Cristiani che vogliono servire a Dio in una religione pura e senza macchia devono conservarsi incontaminati da questo mondo. Chi non segue il mondo segue necessariamente Dio. Chi odia il mondo ama il Signore, lo prega, celebra le sue lodi, venera il suo nome, santifica i suoi giorni, fa ammenda delle offese che gli ha recato, e si adopera, per quanto sta in lui, di farlo amare anche dagli altri. Chi non segue la volontà del mondo, segue la volontà di Dio. La segue quando prescrive il distacco da quanto ci è caro, la segue quando ci prescrive azioni a cui la nostra indolenza vorrebbe sottrarci. La segue, anche se il mondo disapprova e ostacola. Chi non si accontenta di sapere a mente gli insegnamenti della Religione, ma cerca di fare quanto ha imparato, accumulerà di giorno in giorno un tesoro di buone opere che lo faranno accetto a Dio, e gli renderanno calmo e sereno il passaggio da questa all’altra vita. La mattina del 27 Agosto 1942 il Beato Cafasso venne chiamato al letto d’una giovane signora, gravemente inferma. Vi si era già recato altre volte, ma n’era stato corrisposto in malo modo dall’ammalata. Questa, fuggita giovanissima dalla casa paterna, aveva corse tutte le vie del vizio, rimanendone vittima. E ora, a 33 anni, perduti onore, roba e sanità, stava per perdere la vita del corpo e quella dell’anima. Questa volta l’inferma, per la cui conversione si era celebrata la Messa all’altare del Sacro Cuore di Maria, riceve il Beato, e, con la più grande spontaneità, fa la sua confessione tra le lagrime. Nell’amaro rimpianto di aver speso così male i suoi begli anni, fu udita più volte esclamare con tono accorato e pietoso: « Oh, aver da morir così giovane! Povera figliuola sacrificata dal mondo! E morire, senza poter contare un giorno, anche solo, in tutti i miei anni di gioventù ! » (Il Beato Cafasso – Istituto della Consolata – Torino, 1925, p. 30 segg.). Se non ci scorderemo che è una vera pazzia affannarsi col mondo nel godimento di beni esterni, e rimaner digiuni dei beni interni; se terremo ben fisso nella mente che « non coloro che sentono parlare della legge sono giusti davanti a Dio, ma saranno riconosciuti giusti quelli che praticano la legge » (Rom. II, 13), quando sarà giunta l’ultima ora potremo contare tanti bei giorni; potremo contare al nostro attivo tutti quei giorni in cui avremo fatto del bene dinanzi a Dio. Chi si mette in viaggio per una lontana meta, porta con sé il suo bagaglio, o, meglio, lo manda innanzi. Noi siamo in viaggio per la beata eternità. Non vi potremo, però, entrare senza il bagaglio delle buone opere. « Nessuno — dice Agostino — si vanti di potervi abitare, se, mentre dice di essere servo di Dio, è privo di buone opere… Nessuno quivi abita se non mediante le sue opere… Le tue opere, dunque, ti precedano » (En. 2 in Ps. CI, 15).

Alleluja

Allelúja, allelúja.

Surréxit Christus, et illúxit nobis, quos rédemit sánguine suo. Allelúja, [Il Cristo è risuscitato e ha fatto sorgere la sua luce su di noi, che siamo redenti dal suo sangue. Allelúia.]

Joannes XVI: 28 Exívi a Patre, et veni in mundum: íterum relínquo mundum, et vado ad Patrem. Allelúja. [Uscii dal Padre e venni nel mondo: ora lascio il mondo e ritorno al Padre. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem. 

Joann XVI:23-30

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Amen, amen, dico vobis: si quid petiéritis Patrem in nómine meo, dabit vobis. Usque modo non petístis quidquam in nómine meo: Pétite, et accipiétis, ut gáudium vestrum sit plenum. Hæc in provérbiis locútus sum vobis. Venit hora, cum jam non in provérbiis loquar vobis, sed palam de Patre annuntiábo vobis. In illo die in nómine meo petétis: et non dico vobis, quia ego rogábo Patrem de vobis: ipse enim Pater amat vos, quia vos me amástis, et credidístis quia ego a Deo exívi. Exívi a Patre et veni in mundum: íterum relínquo mundum et vado ad Patrem. Dicunt ei discípuli ejus: Ecce, nunc palam loquéris et provérbium nullum dicis. Nunc scimus, quia scis ómnia et non opus est tibi, ut quis te intérroget: in hoc crédimus, quia a Deo exísti.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXVI.

“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli. In verità in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve lo concederà. Fino adesso non avete chiesto cosa nel nome mio: chiedete, e otterrete, affinché il vostro gaudio sia compito. Ho detto a voi queste cose per via di proverbi. Ma viene il tempo che non vi parlerò più per via di proverbi, ma apertamente vi favellerò intorno al Padre. In quel giorno chiederete nel nome mio: e non vi dico che pregherò io il Padre per voi; imperocché lo stesso Padre vi ama, perché avete amato me, e avete creduto che sono uscito dal Padre. Uscii dal Padre, e venni al mondo: abbandono di nuovo il mondo, e vo al Padre. Gli dissero i suoi discepoli: Ecco che ora parli chiaramente, e non fai uso d’alcun proverbio. Adesso conosciamo che tu sai tutto, e non hai bisogno che alcuno t’interroghi: per questo noi crediamo che tu sei venuto da Dio” (Jo. XVI, 22-30).

In quell’ammirabile discorso, che nostro Signor Gesù Cristo rivolse ai suoi Apostoli dopo l’ultima cena, discorso che fu come il suo testamento, non poteva essere che lasciasse di raccomandare a loro ed a noi la più importante e indispensabile pratica di pietà, cioè la preghiera. Ed in vero in quel tratto di quel discorso, che la Chiesa ha scelto oggi per Vangelo della santa Messa, Gesù disse a’ suoi discepoli: In verità in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate ai Padre nel nome mio, ve lo concederà. Fino adesso non avete chiesto nulla in mio nome: domandate e riceverete, affinché il vostro gaudio sia perfetto. Or ecco, o carissimi, in queste ultime espressioni compendiata tutta la dottrina, che riguarda la preghiera. Domandate: ecco il precetto e la necessità della preghiera. E riceverete: ecco l’efficacia e la virtù della stessa. Affinché il vostro gaudio sia perfetto: eccone il soavissimo frutto. E queste tre cose a riguardo della preghiera saranno appunto quelle, che vi dirò questa mattina, come spiegazione del santo Vangelo di oggi.

1. Iddio, essendo il nostro Creatore è anche il nostro padrone assoluto e come assoluto nostro padrone ha tutti i diritti di comandarci quel che gli piace, e noi abbiamo tutto il dovere di obbedirlo senza ricercare menomamente il perché de’ suoi comandi. Or bene, tra i vari comandi che il Signore ci ha fatto tiene pure un posto principalissimo quello della preghiera. Domandate, ci ha detto Gesù Cristo: questa è la legge, che Io vi impongo, se da me volete ricevere i miei benefici. E notate bene, o carissimi, che il divin Redentore non ci disse: Vi invito a pregare, vi consiglio di pregare, vi esorto a pregare; ma disse senz’altro: pregate, domandate: appunto perché intendessimo che questo era un comando formale ed assoluto, che noi avremmo avuto il dovere di praticare. Tuttavia per assicurarsi meglio dell’adempimento di questo dovere da parte nostra non si contentò di farcene il comando, ma volle ancora metterci in condizione tale che ne sentissimo il bisogno, affinché questo ci spingesse più facilmente a compire quello. Ed in vero che cosa siamo noi nell’ordine della salute? Siamo altrettanti poveri, soggetti ai più imperiosi bisogni, e ridotti ad una incredibile impotenza. Senza l’aiuto della grazia di Dio noi non possiamo neppure far nascere nel cuor nostro un buon movimento. Ora trovandoci in tale indigenza come non sentiremo la necessità di ricorrere a chi può e vuole aiutarci? E chi mai può e vuole aiutarci in tutti i nostri bisogni se non Iddio, il quale è infinitamente ricco ed infinitamente buono? Difatti, chi può dire i tesori infiniti di grazia, che Iddio tiene presso di sé, per dispensarli a coloro che glieli domandano? Contiamo pure, se ci è possibile, le stelle del cielo, le arene del mare, le gocce d’acqua dell’oceano, i fiori e le foglie delle piante… Tuttavia i tesori di grazia, che Iddio possiede superano di gran lunga tutte le cifre, che possiamo mettere insieme, perché tali tesori sono infiniti. Ma Iddio non è già come tanti ricchi del mondo, che pur possedendo ingenti ricchezze, le posseggono unicamente per sé, senza farne parte alcuna a quei poverelli, che pur ne avrebbero il diritto. Iddio invece, oltre all’essere infinitamente ricco, è pure infinitamente buono e vuole nella sua infinita bontà distribuirci i suoi tesori: Mirate come Egli li distribuisce a tutto il creato. È desso che invia incessantemente la sua benedizione ai fiori ed alle piante della terra, agli uccelli dell’aria, ai pesci dell’acqua, ed agli animali del bosco, persino ai più piccoli insetti, che non contano che l’esistenza di una qualche ora. Lo dice il re Davide: Aperis tu manum tuam et imples omne animal benedictione (Salm. CXLIV). Che se tanta è la bontà, che adopera verso le stesse creature irragionevoli, chi può dire la bontà con cui è pronto a trattar noi creature ragionevoli? Ma Egli vuole perciò assolutamente che noi lo preghiamo. Senza della preghiera, ordinariamente, Egli non ci dà le sue grazie, che ci sono così necessarie all’eterna salute. Epperciò disse il sacro Concilio di Trento, che Iddio non impone precetti impossibili ad osservarsi, poiché o ci dona la grazia prossima ed attuale per osservarli, oppure ci dà la grazia di chiedergli questa grazia attuale. E S. Agostino già aveva insegnato che, eccettuate le prime grazie, come sono la chiamata alla fede ed alla penitenza, tutte le altre e specialmente la perseveranza, Iddio non le concede se non a chi lo prega. Da ciò conchiudono i teologi con S. Basilio, S. Agostino, S. Giovanni Crisostomo, S. Clemente Alessandrino ed altri, che la preghiera agli adulti non è solo necessaria di necessità di precetto, cioè perché Dio ce l’ha comandata, ma ancora di necessità di mezzo, vale a dire perché senza pregare agli adulti è impossibile di salvarsi. Or bene, o carissimi, qual conto abbiamo fatto sinora di questo dovere e di questa necessità, in cui ci troviamo di pregare ? Ah! se mai ne avessimo fatto poco caso per il passato, facciamone quanto importa per l’avvenire. Preghiamo, sì preghiamo volentieri. Incominciamo e terminiamo ogni giornata con la preghiera; anche durante le nostre occupazioni solleviamo a Dio qualche sospiro: invochiamo soprattutto il suo aiuto nelle tentazioni e nei pericoli, e Dio ci esaudirà, perché Egli ce lo ha detto: Domandate e riceverete.

2. Ed eccomi a dirvi della virtù e dell’efficacia della preghiera. Le stesse preghiere che facciamo agli uomini riescono assai facilmente ad ottenere quel che loro domandiamo, massime quando son fatte coi debiti modi; quanto più riusciranno ad ottenere da Dio le grazie di cui abbisogniamo. Iddio è infinitamente giusto, ed inoltre Egli è Padre: due motivi che gli fanno porger orecchio alla voce di noi, suoi figli. Senza dubbio Egli ci deve niente, ma dacché ci ha promesso di esaudire la preghiera, questa divina promessa lo obbliga, e la giustizia esige che mantenga la sua parola; e questa parola è formale: Riceverete. E poi Dio è Padre. Ora qual padre vi è mai, il cui cuore rimanga chiuso ai bisogni ed alle preghiere dei suoi figliuoli? Del resto interrogate l’esperienza e facilmente vi convincerete della generosità, con la quale Iddio esaudisce la preghiera. Aprite i sacri Libri e risalite, se vi piace, ai primi tempi dell’umanità. Vedete Abramo, che perora la causa di Sodoma e delle altre città che hanno partecipato alle sue infamie. Contate le quante volte il santo Patriarca ritorna all’assalto: e Dio sempre gli accorda la sua domanda, e se le colpevoli città racchiudono il numero de’ giusti fissato da Abramo, saranno salve. Mirate Mosè che implora le mille volte il perdono del suo popolo, e che da Dio ottiene che non sia sterminato nel deserto, ad onta delle sue prevaricazioni. Più oltre vi è Davide, il quale si è abbandonato alle passioni del suo cuore. È divenuto grandemente reo; ma egli prega, ed il Signore perdona a questo re penitente. E nel santo Vangelo, quando percorriate la vita del Salvatore, trovate voi, o miei cari, una sola preghiera rigettata da Nostro Signor Gesù Cristo! Vedete voi un solo infelice che se ne vada con tristezza? No, non mai. Il buon Maestro accoglieva tutte le domande, esaudiva tutte le preghiere, sto per dire tutti i desideri. E sì, perciocché non era neppur necessario che la preghiera fosse formulata dagli accenti del labbro: l’emorroissa del Vangelo non osa alzar la voce, procura soltanto di toccar il lembo della veste del Salvatore, mute rimangon le sue labbra, ma parla il cuore: e Gesù l’intende, e la povera donna è salva. Il Vangelo tutto quanto è una prova incontrastabile della bontà, con cui Iddio ode ed esaudisce la preghiera. Quindi disse Teodoreto, che l’orazione è una, ma può ottenere tutte le cose. E S. Bernardo che, quando noi preghiamo, il Signore o ci darà la grazia richiesta, o un’altra per noi più utile. E S. Giacomo ci fa animo a pregare, dicendo, che quando il Signore è pregato, allarga le mani, dona più di ciò che gli si domanda, non rimproverandoci neppure i disgusti che gli abbiamo dati. Quando è pregato par che si dimentichi di tutte le offese che gli abbiamo fatte. S. Giovanni Climaco diceva che la preghiera in certo modo fa violenza a Dio a concederci quanto gli cerchiamo. Violenza sì, ma violenza che gli è cara, e che da noi desidera, come scrisse Tertulliano. Sì, perché, al dire di San Agostino, ha più desiderio Dio di far bene a noi che noi di riceverlo. E la ragione di ciò si è, perché Dio di sua natura è bontà infinita, e perciò ha un sommo desiderio di far parte a noi de’ suoi beni. Quindi diceva S. Maria Maddalena de’ Pazzi, che Dio resta quasi obbligato a quell’anima che lo prega, mentre così gli apre la via a contentare il suo desiderio di dispensare a noi le sue grazie. Conchiude perciò S. Teresa dicendo che, se non si ottengono grazie da Dio, non è per altra ragione se non perché non gli si domandano bene. – Ma alcuni di voi diranno forse, che non sempre hanno provata questa efficacia dell’orazione; bene spesso hanno domandato a Dio delle cose che non hanno ottenuto. Ciò sarà verissimo, ma sapete il perché? Per due principali ragioni: la prima perché non avrete pregato come si deve, la seconda perché non avrete chiesto cose utili alla vostra eterna salute. Anzitutto molti pregano e non ottengono, perché non pregano come si deve. Per ben pregare è necessaria primieramente una grande umiltà. Dio resiste ai superbi, e dà la sua grazia agli umili. Dio non esaudisce le preghiere dei superbi, ma all’incontro non lascia partire da sé le preghiere degli umili senza esaudirle. E ciò, benché per lo passato siano stati peccatori, essendo scritto: Signore, voi non disprezzerete un cuor contrito ed umiliato. Per secondo vi bisogna confidenza. Nessuno sperò nel Signore e restò confuso. A tal fine c’insegnò Gesù Cristo, che chiedendo le grazie a Dio, non lo chiamiamo con altro nome, che di Padre, « Pater noster » acciocché lo preghiamo con quella confidenza, con cui ricorre un figlio al proprio padre. Chi chiede dunque con confidenza, ottiene tutto: Qualunque cosa domanderete nell’orazione, abbiate fede di conseguirla, e l’otterrete. E chi può temere, dice S. Agostino, ch’abbia a mancargli ciò che gli viene promesso dalla stessa verità, ch’è Dio? Non è Dio come gli uomini, dice la Scrittura, che promettono, e poi mancano, o perché mentiscono allorché promettono, o pure perché poi mutano la volontà. E perché mai, soggiunge lo stesso S. Agostino, tanto ci esorterebbe il Signore a chieder le grazie se non ce le volesse concedere? Col promettere Egli si è obbligato a concederci le grazie che gli domandiamo. Ma soprattutto è necessaria la perseveranza. Dice Cornelio a Lapide, che il Signore vuole che siam perseveranti nell’orazione fino ad importunarlo. E ciò significano quelle Scritture: Bisogna sempre pregare — Vegliate in ogni tempo pregando — Pregate senza intermissione. Ciò significano ancora quelle parole replicate: Domandate e riceverete; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto. — Bastava l’aver detto: Chiedete; ma no, volle il Signore farci intendere, che dobbiamo fare come i mendici, che non lasciano di chiedere, d’insistere e di bussare la porta, sin tanto che non han la limosina. Anzi ci mostrò questa verità col fatto della Cananea. Venuto Gesù nel paese di Sidone e di Tiro, gli corse dietro una povera madre pregando ad alta voce che volesse guarire la sua figliuola, che era malamente tormentata dal demonio. Ma Gesù benedetto fece le viste di non sentire e non lo rispose parola: sì che i discepoli, accostatisi a Lui, lo pregarono ad esaudirla, dicendo che si rendeva troppo molesta col suo gridare e piangere continuo. Ma Gesù anche agli Apostoli die’ ad intendere di non voler fare quella grazia. Or bene si ristette forse la Cananea dal più pregare? Anzi, fattasi coraggio, andò la Cananea innanzi al Divin Redentore, gli si gettò ai piedi, e gli andava ripetendo: Signore, aiutami, Signore, aiutami. E Gesù le rinnovò la sua ripulsa. Ma la donna ritornò da capo a supplicarlo. Allora il Divin Salvatore più non resse alla virtù che animava quella preghiera così perseverante, e rispose alla Cananea: O donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come desideri. E da quel punto fu sanata, la sua figliuola. Ecco adunque, come per lo più Iddio richiede di essere da noi pregato per esaudirci: vuole soprattutto che lo preghiamo con umiltà, con confidenza e con perseveranza. Ma vuole inoltre che gli domandiamo cose utili. Qualcuno dirà: Spesso mi parve d’aver pregato con tutte le disposizioni ond’io era capace; grande era il mio fervore, commosso era il mio cuore, i miei occhi erano molli di lagrime, ardenti erano i miei desideri, io parlava a Dio, come parla un figliuolo al suo padre, provava anche una certa felicità; ma avendo chiesto alcune grazie speciali, alcuni particolari favori, aspetto tuttora, e non ho ottenuto nulla. Anche questo è possibile, o miei cari, ma non pigliate da ciò occasione d’accusare la bontà di Dio della non efficacia della preghiera. Mirate quel fanciullo, che si trastulla sotto gli occhi di sua madre; vede una lama brillante che gli piace, il cui splendore lo sorprende; la desidera, la chiede alla madre. Questa naturalmente ricusa. Il fanciullo raddoppia le sue istanze, la scongiura a corrispondere ai suoi voti, versa copiose lagrime. Ma la madre è inesorabile. Direte ch’ella non ama il suo figlio? Oh! egli è appunto perché lo ama con una vera tenerezza, che ricusa ai suoi voti quella lama, che infallantemente lo ferirebbe. Così, o miei cari, alle volte noi domandiamo a Dio certi favori che ci sembrano buoni, eccellenti anche. Ma Iddio, la cui intelligenza è infinita, sa meglio di noi il risultato che potrebbero produrre, il danno che potrebbe derivarne all’anima nostra, i seri pericoli che avremmo a correre. Epperò Egli si rifiuta di esaudirci, ma in questo rifiuto vi ha un atto di misericordiosa paternità: e la nostra preghiera non è stata sterile, poiché Iddio mosso a pietà dell’anima nostra ce la conserva nei sentimenti della sua giustizia e del suo amore. Quindi siamo ben convinti, che ogni preghiera ben fatta è sempre esaudita; non sempre secondo il gusto che avremmo noi, ma sempre pel nostro maggior bene e per la gloria di Dio. Perciò il Salvatore dopo aver detto: Domandate e riceverete. aggiunse: Affinché il vostro gaudio sia perfetto. Ed ecco il frutto della preghiera.

3. E qui, o miei cari, chi può dire la dolcezza, la soavità, la santa allegrezza che emana dalla preghiera? Quando si è pregato bene, allora ci sembra di aver dilatato il nostro cuore nell’atmosfera celeste, di aver riempita di luce divina la nostra mente, di aver corroborata di una forza arcana la nostra volontà. Nella preghiera abbiamo affidato nelle mani di Dio i nostri più cari interessi, e dopo di essa noi andiamo innanzi tranquilli e lievi, contando sul divino aiuto, che certamente non ci mancherà. Se prima eravamo abbattuti, come ci sentiamo rinati alle speranze più vive dopo aver pregato! Se prima il dolore ci aveva oppressi, come ci sentiamo sollevati dopo aver pregato! Se prima eravamo titubanti, incerti nell’appigliarci al bene, da qual sicurezza e da qual coraggio ci sentiamo animati dopo aver pregato. Oh quand’anche fossero per sopravvenire le più dure tentazioni, le più sanguinose persecuzioni, dopo la preghiera non se ne ha più sgomento. – Il cuore che prega non teme le procelle;  nelle espansioni della preghiera ha inteso il suo Gesù rispondergli: Sono qui, non temere. E per quel cuore fervente la gioia rimane anche in mezzo ai più orribili patimenti. Ne fanno fede i martiri. Sugli eculei, dove erano slogate le loro membra, sui roghi, dove li divoravano le fiamme, sui patiboli dove erano crocifissi, mostravano sempre sulle labbra il sorriso della gioia, e come un saggio anticipato della beatitudine: Gaudium vestrum plenum. Ah! essi pregavano, e tutti i supplizi di quaggiù non potevano rapire loro la gioia del cuore. Quanto invece si soffre, quando più non si prega o pregando malamente è come non si pregasse! Come pel mancamento dell’aria non si può più respirare e in mezzo ai più atroci dolori si muore, così si può dire, che qualche cosa di simile per l’anima accade in chi non prega. Il coraggio, l’energia, gli slanci generosi, le forti risoluzioni di fare il bene, tutto scompare da un cuore che non prega. Ed in quella vece vi sottentrano dei languori, delle debolezze, anzi delle tristezze, delle irritabilità, dei disgusti della vita al tutto singolari. Sono sdegni inesplicabili contro Dio, contro le creature, contro se stessi. Ma no, che non sono inesplicabili. Queste angosce così cocenti, queste disperazioni così gravi si spiegano benissimo con l’assenza della preghiera. Massime in certi giorni, in cui la vita si fa sentire pesante, se non si curva il ginocchio davanti a Dio, se non si prega, allora con pazzo furore lo si bestemmia e lo si impreca. E come una macchina a vapore scoppierebbe, quando avendone condensato troppo, non avesse la valvola di sicurezza, così finisce per iscoppiare in qualche grave delitto, colui che, condensando nel suo cuore le tante miserie della vita, non dà loro l’uscita per mezzo della preghiera. Preghiamo adunque, o carissimi, preghiamo sovente e preghiamo bene. E Iddio che l’ha promesso ci esaudirà, e nell’esaudimento delle nostre preghiere troveremo la vera e perfetta allegrezza. Domandate e riceverete, affinché sia pieno il vostro gaudio.

Credo …

Offertorium

Orémus Ps LXV: 8-9; LXV: 20

Benedícite, gentes, Dóminum, Deum nostrum, et obœdíte vocem laudis ejus: qui pósuit ánimam meam ad vitam, et non dedit commovéri pedes meos: benedíctus Dóminus, qui non amóvit deprecatiónem meam et misericórdiam suam a me, allelúja. [Popoli, benedite il Signore Dio nostro, e fate risuonare le sue lodi: Egli che pose in salvo la mia vita e non ha permesso che il mio piede vacillasse. Benedetto sia il Signore che non ha respinto la mia preghiera, né ritirato da me la sua misericordia, allelúia].

Secreta

Súscipe, Dómine, fidélium preces cum oblatiónibus hostiárum: ut, per hæc piæ devotiónis offícia, ad coeléstem glóriam transeámus. [Accogli, o Signore, le preghiere dei fedeli, in uno con l’offerta delle ostie, affinché, mediante la pratica della nostra pia devozione, perveniamo alla gloria celeste].

Communio

Ps XCV: 2

Cantáte Dómino, allelúja: cantáte Dómino et benedícite nomen ejus: bene nuntiáte de die in diem salutáre ejus, allelúja, allelúja. [Cantate al Signore, allelúia: cantate al Signore e benedite il suo nome: di giorno in giorno proclamate la salvezza da Lui operata, allelúia, allelúia].

Postcommunio

Orémus.

Tríbue nobis, Dómine, cæléstis mensæ virtúte satiátis: et desideráre, quæ recta sunt, et desideráta percípere. [Concedici, o Signore, che, saziati dalla forza di questa mensa celeste, desideriamo le cose giuste e conseguiamo le desiderate.]

LO SCUDO DELLO FEDE (62)

LO SCUDO DELLA FEDE (62)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

SI CONVINCE FALSO IL PROTESTANTISMO PERCHÉ NON HA IL BENE DELLA S. COMUNIONE.

Dopo, la confessione, che ci purifica dai nostri peccati, il maggior bene dei Cristiani è la S. Eucaristia. Questo è il Sacramento che arreca il maggior conforto ai Cristiani e che è il loro più grande onore, poiché per esso sono fatti partecipi non solo delle grazie di Gesù, ma dello stesso Gesù. La S. Fede insegna adunque di questo mistero che per mezzo delle parole della Consacrazione pronunziate dal Sacerdote sul pane e sul vino, per virtù dell’Onnipotente cessa di esistere il pane ed il vino, passando per una vera transustanziazione quel pane e quel vino ad essere il corpo ed il sangue del nostro divino Redentore: tantoché sotto le specie del pane vi sta veramente Gesù Cristo e non in figura; vi sta realmente e non con una presenza immaginaria; vi sta sostanzialmente e non solo con la sua Divina virtù: e così chi riceve la S. Eucaristia riceve veramente il Corpo Divino di Gesù Cristo, il suo Sangue prezioso, la sua anima sacrosanta, la sua ineffabile divinità. Questa è una grazia tanto grande che non si potrebbe credere, se non fosse Gesù Cristo medesimo il quale ce ne fa certi. Ma viva Dio, che la verità eterna, Gesù Cristo, ce ne ha assicurati per modo, che non se ne potrà mai dubitare in eterno. Ecco quello che Egli si compiacque d’insegnarci in proposito la prima volta che entrò in discorso di questo argomento, che fu quando predicava nella Sinagoga di Cafarnao. In verità io vi dico, sono sue parole, che se non mangerete la carne del figliuolo dell’uomo, e non beverete il suo sangue, non avrete la vita in voi. Chi mangia la mio carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno. La mia carne è veramente cibo, il mio sangue è veramente bevanda (Ioan. VI. 54. 55). Fermiamoci qui. Potrebbe Gesù Cristo parlare più chiaramente per significarci che veramente ci voleva dare in cibo il suo corpo ed il suo sangue divino? Non dice chiaro … chi mangia la mia carne, chi beve il mio sangue? Non ripete che il suo corpo è cibo, il suosangue bevanda? Non aggiunge un significantissimo veramente, perché nessuno prenda in senso metaforico quelle espressioni? Si scandalizzano alcuni dei suoi discepoli di questa promessa, stimandola impossibile a mantenersi, e Gesù forse la ritratta? Tuttoal contrario la conferma con fortissimr espressioni, ripetendola, inculcandola in tuttele guise, ed in tutti i modi. Converrà dire che Gesù non sapeva farsi intendere, oppure che voleva ingannarci. Ma sarebbe una bestemmia il solo pensarlo.Eppure quasi ciò non bastasse, quandopoi giunse la grand’ora di fare questo preziosoregalo agli uomini, parla nello stesso modo. Egli prende il pane e lo benedice, e poi dopo di averlo benedetto, lo presentaai Santi Apostoli dicendo: Questo è il mio Corpo: benedice poi il calice e dandolo abevere ai medesimi dice: Questo è il mio sangue. Ma di qual corpo e di qual sangue parla Egli? Proprio del suo: di quel Corpoche sarà consegnato alla morte, di quel Sangue che sarà sparso per i peccatori (Luc. XXII, 17 –  1 Cor. XI. 25) aggiunge Egli. Se si possa parlare più chiaro di così, io non lo so. Epperò è che sopra queste parole divine fondati tutti gli Apostoli e tutta la Chiesa, sempre praticarono questo santo Mistero: però è che i primi Fedeli eranosoliti ad accostarsi a riceverlo spesso spesso,come ricordano gli Atti degli Apostoli: eperò è che perfino i Gentili, i quali non conoscevano bene questo Mistero, spargevano la voce che noi mangiavamo la carne dei bambinisacrificati: però è che tutta la S. Chiesaimpiega quasi tutto il suo culto in onoredel suo buon Dio Sacramentato. Aggiungete che ad autenticare questogrande Mistero Gesù adoperò tante altreprove di miracoli strepitosi, che avvennero nell’occasione delle ostie consacrate, e miracoli innegabili a tutta la perfidia degli eretici: facendo vedere ora quella S. Ostia contornata di splendori celesti, ora in essa un bambino di meravigliosa bellezza: altre volte col colpire di morte subitanea i profanatori del Sacramento, altre volte col fare grazie tutte speciali a quelli che lo adoravano riverentemente, e finalmente col dar molte volte prove chiarissime della sua presenza ai Fedeli, secondo che riferiscono tutte le vite dei Santi e tutte le ecclesiastiche storie. Il perché per lo spazio di dieci secoli mai nessuno osò neppure tra gli Eretici, per quanto fossero baldanzosi, mettere in dubbio questo divin Sacramento. E l’eresiarca Berengario che fu il primo si ebbe poi a ritrattare, e morì pentito del suo errore. Volete più? Lo stesso Martin Lutero, il padre di tutti i Protestanti, mai non osò negare la presenza reale di Gesù nel SS. Sacramento. Tanto essa è espressa chiaramente in tutte le Sante Scritture, in tutti i monumenti dell’antichità! Ora però, chi credesse a questi nuovi maestri, non è più così. Molti dei Protestanti moderni sono giunti a tanto di sacrilegio, che osano negare che vi sia Gesù nella S. Ostia, che giungono fino a chiamarla un pezzo di pane. Sì questi sciagurati arrivano fino a questo punto! Con che danno una mentita prima allo stesso Gesù Cristo, il quale afferma invece che è il suo vero Corpo, il suo vero Sangue, poi a tutta la S. Chiesa, la quale dopo d’avere impiegato tutto il suo Culto per adorare il suo buon Dio Sacramentato, sarebbe disposta a dare tutto il suo sangue per mantenerne la verità: danno una mentita anche allo stesso loro capo Lutero, il quale per quanto lo volesse mai non osò impugnare la reale presenza: insegnano un errore che è condannato uniformemente da tutta la S. Chiesa, da tutti i Santi Padri, anzi perfino da tutti gli eretici antichi, dalla maggior parte degli eretici anche moderni, e con una più che diabolica superbia pretendono di essere essi soli i veggenti, gl’illuminati a conoscere la verità! Oh presunzione! Oh temerità che non ha fine! Voi però nell’intendere bestemmie sì esecrande dette contro questo buon Dio d’amore, che si trattiene per noi giorno e notte sui nostri altari, fate così. Concepite prima un sommo orrore al Protestantismo il quale è senza la presenza del suo Gesù: inferiore in ciò agli stessi Giudei, i quali avevano almeno la figura del divin Sacramento nella Manna che conservavano nell’Arca; poi rinnovate sempre più la vostra Fede verso di esso e mostratela alla riverenza con cui gli state dinanzi.S. Luigi Re di Francia aveva una Fede così viva, che invitato una volta a recarsi in una Chiesa dove per gran miracolo Gesù si faceva vedere nell’ostia in forma di bambino, rispose che andasse pure chi volesse, che egli non si sarebbe mosso. Meravigliati di questa risposta: o perché, l’interrogarono, non voleva vedere Gesù? Ma il Santo replicò allora: Io per me ne sono tanto sicuro per Fede che non ho bisogno per crederlo, di vederlo con gli occhi. Inoltre andate a riceverlo più spesso che potete persuasi che in nessun altro modo sapreste contentare più e meglio l’amore che Egli ci porta, che con l’unirvi tutti a Lui in questo Mistero. Finalmente con ossequii specialissimidiretti al suo Cuor Sacrosanto compensate l’atrocità degl’insulti che riceve dagli Eretici che o non lo conoscono, o peggio ancora lo bestemmiano.