G. De SEGUR: I SANTI MISTERI (5)
[Opere di Mgr. G. De Ségur, Tomo X, 3a Ed. – LIBRAIRIE SAINT- JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR, 112, RUE DE RENNES, 112 – 1887 PARIS, impr.]
XVIII
Il Corporale, il pane ed il vino dell’altare.
Dopo il Credo e l’Oremus, il Prete recita una breve preghiera denominata Offertorio, che ricorda lo spirito del mistero o della festa del giorno. Poi egli stende sulla pietra d’altare un sacrissimo velo, chiamato Corporale, perché avrà ben presto l’onore di portare il Corpo adorabile del Figlio di DIO. Il Corporale deve essere propriamente, ancor più puro per quanto si possa, degli altri teli dell’altare, a causa della sua destinazione più santa. Esso non deve presentare la minima macchia, né il minimo rammendo; deve essere tutto bianco ed unito in tutta la sua semplicità e purezza. Esso ricorda la Santissima ed Immacolata Vergine MARIA, Madre del Figlio di DIO e Madre della Chiesa, più pura, mille volte più santa degli Angeli rappresentati, come visto, dai tre teli bianchi che coprono l’altare e che supportano il Corporale. MARIA, Madre di GESÙ, è portata dai nove cori degli Angeli; essi la riveriscono e l’amano come loro Sovrana. È in Ella che DIO ha operato, nella pienezza dei tempi, il mistero dell’Incarnazione di suo Figlio; ed è sul Corporale che sta per operarsi tra poco la consacrazione del Corpo e del Sangue di GESÙ. Aspettando la Consacrazione, il Corporale sta per portare il pane che sarà cambiato in Corpo del Signore, ed il vino che sarà cambiato nel suo Sangue; allo stesso modo, dopo l’inizio del mondo, fino all’Incarnazione, la futura Madre di DIO è stata costituita Regina dei Patriarchi, Regina dei Profeti, Regina di tutti i Santi dell’Antica Legge, non meno che Regina degli Angeli; la grazia della sua futura Maternità, che è un solo e medesimo mistero con l’Incarnazione e la Redenzione, comprendeva tutta la Religione, il culto, tutti i sacrifici dell’antica Alleanza, come il Corporale porta il pane ed il vino. In effetti, il pane ed il vino rappresentano là sull’altare le vittime tutte degli antichi sacrifici. Allo stesso modo questo pane e questo vino non hanno alcun valore in se stessi, e tutto il loro valore proviene dalla loro sublime destinazione; come le vittime ed i sacrifici che offrivano alla maestà del vero DIO i Santi della Legge antica, traggono tutta la loro virtù, tutto il loro valore dal Sacrificio divino e dall’adorabile Vittima che essi raffiguravano. Per la loro composizione, pure, il pane ed il vino rappresentano ancora l’unione di tutti i fedeli in una sola Chiesa Cattolica, cioè universale: il pane è formato da molti grani di frumento molati, poi impastati insieme con l’acqua, poi infine cotti al fuoco; e questo pane, così composto, deve essere cambiato in Corpo di GESÙ-CRISTO; il vino è ugualmente formato da una quantità di chicchi di uva schiacciati, il cui succo alcolico ha dovuto fermentare per diventare un eccellente liquore; e nel Calice, questo vino sta per essere cambiato nel Sangue del Figlio di DIO. Questo doppio mistero naturale della composizione del pane e del vino dell’altare è il simbolo dell’unità e della pace, che fanno di tutti i fedeli un solo corpo, una sola Chiesa; come gli uomini, essi sono separati e senza mutui legami di carità; essi sono i grani di frumento prima della mietitura, gli acini di uva prima di essere pressati. L’acqua del Battesimo ed il fuoco dello Spirito-Santo cambiano gli uomini in Cristiani, in membra di GESÙ-CRISTO, in templi viventi di questo divino Signore: essi sono delle ostie spiritualmente consacrate. Egualmente, con il lavoro della fermentazione, che purifica e lo fa diventar tale, il vino è simbolo dell’azione dello Spirito-Santo nelle anime che GESÙ chiama all’onore di fare “uno” con Lui e per Lui, con il Padre. Il pane ed il vino, deposti sul Corporale, stanno per essere transustanziati, cioè cambiati nella sostanza stessa del Corpo e del Sangue di GESÙ-CRISTO. Sotto questo aspetto, essi sono ancora i simboli evidenti della trasformazione spirituale e soprannaturale che si opera in noi con il mistero della grazia: noi non siamo cambiati, è vero, nella Persona di GESÙ, e la nostra sostanza non diviene la sua sostanza; ma lo Spirito-Santo, facendo di noi dei Cristiani, unisce sì intimamente il nostro spirito allo Spirito di GESÙ, i nostri pensieri ai suoi pensieri, i nostri sentimenti ai suoi sentimenti, che tra GESÙ ed il vero Cristiano vi è verosimilmente, come dice San Paolo, che « … un solo e medesimo spirito. » E così, la nostra vita è cambiata, trasformata nella vita transustanziata del nostro divin Capo. « Non sono più io che vivo, diceva ancora San Paolo, è GESÙ-CRISTO che vive in me. » Ecco cosa significano il pane ed il vino dell’altare. Così i Preti santi mettono ogni tipo di cura a tutto ciò che concerne questo pane e questo vino, materia del Sacrificio. Essi rigettano, come indegno, ogni ostia granulosa, deteriorata, imperfetta, ogni ostia caduta a terra: e si sforzano di non presentare all’altare un vino non solo puro, ma di buona qualità e di profumo delicato. Non sarebbe vergognoso veder riservato per la nostra tavola un vino fine e squisito, e dare al buon DIO, per il suo Sacrificio, ciò che non vorremmo offrire ad un confratello o ad un amico? Quando accade una tale irriverenza essa è indubbiamente il risultato ed il segno di una fede molto poco delicata. Un recente decreto della Congregazione dei Riti ordina che le ostie siano rinnovate almeno ogni quindici giorni. Soprattutto nei paesi umidi, questa precauzione è di una necessità evidente. Anche dopo la Consacrazione queste ostie, divenute in realtà il Corpo vivente del Signore, conservando le apparenze e le proprietà esteriori del pane, possono alla lunga alterarsi, e devono potersi alterare come dei pani ordinari. Senza questo, il Santissimo Sacramento non sarebbe più ciò che esso è assolutamente, « il mistero della fede, misterium fidei » come dice la Chiesa. L’alterazione delle sante specie è una conseguenza necessaria dell’idea stessa dell’Eucaristia; la conservazione di un’Ostia consacrata fuori dalle leggi naturali, che regolano la conservazione del pane azimo, sarebbe un miracolo, cioè un fatto divino, straordinario, insolito; ora la santa Eucaristia è, nella Chiesa, un Mistero, un mistero quotidiano e non un miracolo.
XIX
La Patena, il Calice e la doppia oblazione.
L’ostia riposa su di un piccolo piatto, che si chiama Patena; ed il vino vien versato in una coppa, chiamata Calice. La Patena ed il Calice devono essere dorati, almeno internamente, nel rispetto per il Corpo ed il Sangue del Signore. Questi vasi sacri devono essere almeno d’argento (se proprio la chiesa fosse indigente, il diritto liturgico tollererebbe anche un calice di stagno), smerigliato, se possibile, cioè di argento dorato; meglio ancora se fosse in oro puro, come era in uso nelle grandi chiese. L’oro è nel culto divino il simbolo della carità e della perfezione; è per questo che ogni vaso sacro di uso eucaristico, deve essere almeno dorato; l’argento è il simbolo dell’innocenza, della purezza. Quanto al rame, al ferro e agli altri metalli comuni, la loro inferiorità è sufficiente per escluderli dalla confezione dei vasi sacri. Non si deve dir Messa con un Calice ed una Patena non consacrata dal Vescovo. È facile comprendere che ciò che debba servire ad un uso così augusto, così divino, sia preliminarmente purificato, benedetto, santificato, ed escluso dal numero delle cose profane. A meno di un permesso speciale, che non si accorda così alla leggera, è proibito a tutti coloro che non siano almeno chierici tonsurati, di toccare un Calice o una Patena, dal momento che essi sono consacrati. Secondo la Tradizione, è certo che l’uso della Patena e del Calice, come pure del Corporale per il Santo Sacrificio, risalga ai tempi apostolici. Gli Apostoli hanno imitato in questo Nostro Signore, che si servì per primo di un piatto (o Patena) e di una coppa (o Calice) quando celebrò nel Cenacolo il mistero eucaristico. Essi seguivano alla lettera il precetto del loro Maestro: « E voi, ogni volta che farete questo, lo farete in memoria di me, », cioè come me ed in ricordo di tutti i miei misteri. È ancora ad imitazione del primo Sacerdote, di GESÙ, che essi hanno ordinato ai Sacerdoti di fare prima l’offerta del pane, poi del vino, prima di consacrare e, facendo questa offerta, di levare gli occhi al cielo: « Et elevatis oculis in cœlum, » dice il Vangelo. Se il Sacerdote guarda più fissamente e più lungamente il Crocifisso durante l’offerta del Calice, è senza alcun dubbio perché il Sangue del Signore, che il Calice starà per contenere, è lo stesso che sull’altare sanguinante della Croce scorreva dalle mani, dai piedi, dal costato trafitto del Redentore. Il Sangue divino del Sacrificio, ha una relazione più immediata con GESÙ crocifisso che con il suo Sangue è entrato nel santuario, rinnovando a tutti i suoi membri, la beata eternità (Per proprium sanguinem introivit semel in Sancta, æterna redemptione inventa. (Ad Hebr., IX, 12.). Dopo trentatré anni e mezzo, il suo Corpo sacro aveva offerto, dapprima nel seno della Vergine Immacolata, il suo primo altare, poi a Bethléem, a Nazareth e in tutti gli altri misteri incruenti del lungo sacrificio della sua vita; ma il Sangue divino non era colato. Alla circoncisione, in effetti, non si era avuto che un anticipo della redenzione mediante il sangue.
XX
Cosa simbolizzano ancora la Patena, il Calice ed il Corporale.
Ma devono essere segnalate qui all’attenzione dei fedeli, ancora due altri significati del Corporale e dei due vasi sacri che esso sostiene. Il primo deriva dalle medesime parole delle preghiere liturgiche prescritte per la loro consacrazione dal Vescovo; il secondo si ricollega alla vista d’insieme del grande mistero di GESÙ-CRISTO, che abbiamo da poco ricordato. Il Vescovo, dopo aver solennemente consacrato la Patena ed il Calice, con il santo Crisma, chiede a DIO che questo Calice e questa Patena divengano, con la grazia dello Spirito-Santo, un nuovo sepolcro per il Corpo ed il Sangue di Nostro-Signore GESÙ-CRISTO (Corporis et sanguinis Domini nostri JESU-CHRISTI novum sepulcrum Sancti Spiritus gratia eificiantur. – Pontif. Rom.). Ciò che fa dire al Papa Benedetto XIV, secondo Suarez e diversi altri, nel suo trattato di dogmatica e liturgia, De Sacrificio Missæ (Lib. I, cap. VI): « Il Calice simbolizza il sepolcro nuovo ove fu deposto il Cristo-Signore; la Patena rappresenta la pietra rimossa dall’entrata del sepolcro, ed il Corporale esprime il sudario bianco con il quale Giuseppe di Arimatea avvolse il Corpo del Cristo. » – Questa interpretazione si riporta unicamente e direttamente alla presenza reale, e mostra l’identità del Sacrificio mistico dell’altare con il Sacrificio cruento del Calvario. Da questo punto di vista è di una giustezza assoluta. – La seconda interpretazione si riporta, noi diciamo, alla contemplazione dell’unità e della universalità del mistero di Cristo, l’una e l’altra misticamente rappresentata all’altare. Ora ecco ciò che richiamano alla nostra fede il Corporale, la Patena ed il Calice, così come la doppia oblazione. La Patena, sulla quale è il pane dell’altare, significa in modo evidente la legge mosaica, con le sue vittime figurative ed il suo altare. L’altare sul quale DIO aveva ordinato che si immolassero queste vittime, era santo e consacrato, come i quattro corni che decoravano i suoi Angeli. Il Sacerdote prendendo la Patena per offrire il pane e sacrificarlo, la sostiene con le due mani giunte, per mezzo delle sue quattro dita consacrate. Nella consacrazione delle mani del Sacerdote, all’ordinazione, il Vescovo benedice e consacra, in effetti, in maniera speciale il pollice e l’indice di ogni mano, in vista della Santa Eucaristia che essi toccheranno. Queste quattro dita del Sacerdote, sostengono dunque la Patena che porta l’ostia; così come già, nel Tabernacolo e nel Tempio, i quattro corni consacrati sostenevano l’altare degli olocausti, ove si posavano le vittime. Durante questa oblazione, o offrendo il pane, il Sacerdote ha le due mani giunte al di sopra della Patena, come segno della unione segreta che esisteva tra i riti sacri dell’Antica Legge ed il Sacrificio adorabile del Calvario e dell’Eucaristia che un giorno dovevano sostituirli. Il Figlio di DIO medesimo offriva e santificava questi antichi sacrifici con il ministero dei Sacerdoti e dei Leviti: mediante il ministero del Sacerdote all’altare, lo stesso Figlio di DIO offre il pane ed il vino, ricordando così alla nuova Alleanza, i misteri e la santità profetica dell’Antica. La Chiesa ordina al Sacerdote che prima di iniziare questa prima oblazione, egli elevi per un momento, gli occhi al cielo o, per meglio dire, sul Crocifisso dell’altare che è l’immagine del Re del cielo; ma durante il restante della preghiera dell’offertorio, egli deve tenerli abbassati sull’ostia; al contrario, offrendo il vino del Calice, egli dovrà tenerli per tutto il tempo elevati al cielo, fissanti il Crocifisso. È il segno dell’inferiorità degli antichi sacrifici in rapporto al Sacrificio della nuova Alleanza: i primi venivano, è vero, dal Signore che li comandava, e raffiguravano il Sacrificio della Croce e dell’altare; ma questi non erano meno terreni; l’altro doveva essere tutto celeste, e non avere altro Sacerdote ed altra Vittima, che l’Uomo-DIO glorificato nel seno di suo Padre. Nel vino del Calice, la Chiesa vuole che si versi un poco di acqua (Il Messale dice « parum aquæ»: una goccia è sufficiente. Un quinto di acqua non invaliderebbe la Consacrazione, ma nei Sacramenti bisogna essere sempre sicuri al massimo): simbolo dell’unione invisibile dell’umanità e della divinità nella Persona unica di GESÙ-CRISTO; ed inoltre simbolo dell’unione indissolubile che il Sacrificio e la grazia di GESÙ hanno formato tra Lui e la sua Chiesa. Questa goccia di acqua rappresenta noi, piccoli e poveri niente, che da noi stessi non siamo nulla, e che non possiamo essere uniti a DIO se non incorporandoci con la sua grazia, al nostro Capo adorabile, GESÙ. Che felicità il non essere niente e sapere che GESÙ-CRISTO è tutto in ciascuno di noi! Tu solus Sanctus, Jesu Christe! Offrendo il Calice, il Sacerdote lo tiene con la mano destra e non fa che sostenerlo in basso con la mano sinistra: in effetti, solo la Chiesa cristiana offrirà il Sacrificio nuovo, rappresentato dal vino del Calice; e l’antica Chiesa, la Chiesa patriarcale e mosaica, non farà che portare la nuova Alleanza, come la serva sostiene la sua padrona. Concludendo le due oblazioni, il Sacerdote traccia con la Patena, poi con il Calice, un segno di croce al di sopra del Corporale, per santificare ancor più il luogo ove riposeranno presto questo pane e questo vino consacrati. Egli prende la Patena, dopo aver posto l’ostia sul Corporale, e in parte la nasconde, sotto il Corporale a destra, coprendo il resto con il velo chiamato Purificatorio, perché serve ad asciugare il Calice. Così velata, la Patena vuota raffigura la Chiesa giudaica che, dopo l’avvento di Nostro-Signore GESÙ-CRISTO, è privata della luce della fede, è senza sacerdozio e senza sacrificio, ed attende, nelle tenebre dell’infedeltà, il giorno della sua conversione. Noi vedremo più avanti questa conversione che tutti i Profeti e gli Apostoli hanno predetto, rappresentata in un’altra cerimonia della Messa. Alla Messa solenne, lo stesso mistero è raffigurato dal Suddiacono che, dopo la prima oblazione, discende con la Patena dall’altare, fino in basso; e là, avvolto da un velo, egli tiene con la mano destra la Patena alzata davanti agli occhi, per significare l’accecamento dell’antico popolo di DIO, che nulla comprende, che si ostina a non voler comprendere nulla del Mistero di amore e di misericordia di questo Cristo che tuttavia ha dato al mondo. Il Diacono, al contrario, Chiesa nuova, assiste da vicino il Celebrante, e contempla senza veli GESÙ-CRISTO rappresentato dal Celebrante, e realmente presente sotto le specie eucaristiche. Il Suddiacono che scende dall’altare velandosi il volto con la Patena, richiama le sante regole che ci ha conservato San Dionigi l’Aeropagita, secondo le quali, il Celebrante solo ed il suo ministro avevano il diritto di vedere faccia a faccia e di fissare il Mistero tutto divino dell’altare. Dall’Offertorio, in effetti, tutto ciò che si faceva per preparare il Sacrificio si compiva in religioso segreto, e San Dionigi minacciava con la collera di DIO, chiunque osasse rivelare o tradire le parole sacramentali. Il Suddiacono assisteva il Celebrante a sinistra, quando era necessario doveva tenersi più vicino al Celebrante degli altri chierici, alfine di poter egli presentare la Patena sul quale il Corpo di Cristo doveva essere frazionato e distribuito ai fedeli. Quando il suo ufficio non lo tratteneva all’altare, egli ne doveva discendere, e come i Serafini, velarsi il volto, riconoscendosi indegno di contemplare così da vicino i terribili misteri. Questo era ancor più naturale, in quanto il Suddiacono non aveva ancora ricevuto l’augustissimo Sacramento dell’Ordine; e poi, il popolo fedele, vedendo il Suddiacono stesso allontanarsi dall’altare, nel rispetto di un timore religioso, doveva comprendere più facilmente con quale riverenza dovevano essere trattate le cose sante, anche dai santi. Quanti Misteri nelle cerimonie della Chiesa? E qual grande cosa la Liturgia Cattolica! Il velo che avvolge il Suddiacono deve essere ampio; esso può essere di seta o di lino fine, non è necessario che sia bordato.
XXI
Gli Incensamenti
Nella Messa solenne, vi è una bella cerimonia, piena di misteri, come tutte le altre, e che si chiama l’incensamento. Vi sono quattro incensamenti durante la Messa solenne: il primo che precede la recita da parte del Prete, dell’Introito; il secondo prima e dopo il canto del Vangelo; il terzo, il più solenne, dopo l’offerta del pane e del vino; il quarto infine, durante l’Elevazione. L’Incensiere, che dovrebbe essere d’argento o smerigliato, oppure d’oro, raffigura la santa Umanità di Nostro-Signore; il fuoco che lo riempie, è lo Spirito-Santo che ardeva nel suo Sacro Cuore; l’incenso benedetto, che il Sacerdote mette sui carboni ardenti dell’incensiere, è la preghiera, sono le adorazioni con le quali GESÙ onora incessantemente ed in modo assolutamente divino la maestà di suo Padre. Uniti a GESÙ nello Spirito-Santo con la grazia, gli Angeli nel cielo ed i Cristiani sulla terra confondono le loro adorazioni e le loro preghiere con questa adorazione e questa preghiera ineffabile data da DIO. « Il Cristo prega in noi, come nostro Capo; Egli prega per noi, come nostro Sacerdote, » diceva Sant’Agostino. E così il fumo ed il profumo dell’incenso, rappresenta qui nello stesso tempo e la preghiera di GESÙ-CRISTO in se stesso, e la sua preghiera nei suoi Angeli ed in tutti i Santi del cielo e della terra. Si devono mettere tre cucchiai di incenso, innanzitutto in onore della Santissima Trinità, alla quale si indirizzano sovranamente tutte le adorazioni della Chiesa; poi per rappresentare le adorazioni della Chiesa patriarcale, da Adamo a Mosè; della Chiesa giudaica, da Mosè fino a Nostro Signore; della Chiesa cristiana e romana, dal primo Avvento del Salvatore, fino al secondo. – Prima dell’Introito il Sacerdote incensa innanzitutto tre volte il Crocifisso: è l’adorazione universale di tutti gli eletti della Chiesa patriarcale, mosaica e cristiana, indirizzata alla Santissima-Trinità per Mezzo di GESÙ-CRISTO, Mediatore universale di Religione e Redenzione. Poi, incensa l’altare dodici volte dal lato dell’Epistola, e dodici volte dal lato dell’Evangelo, avvolgendo, per così dire il santo altare con il fumo dell’incenso; è la preghiera, è l’adorazione degli Angeli e dei Santi dell’antica Alleanza, primariamente rappresentata dai dodici Patriarchi e dai dodici Profeti; in seguito degli Angeli e dei Santi della Legge evangelica, rappresentata dai dodici Apostoli. Nell’Apocalisse, San Giovanni ci mostra, in effetti, tutti questi Santi, sotto figura dei ventiquattro Vegliardi vestiti di bianco ed adoranti l’Agnello di DIO, immolato e tutta via vivente, sul trono della sua gloria; la Chiesa ci rappresenta la stessa cosa in questi ventiquattro volute di incenso benedetto che avvolgono l’altare ed il Crocifisso. Inoltre, con questa atmosfera di incenso benedetto, essa vuole santificare, penetrare di GESÙ, deificare tutto ciò che serve al Santissimo Sacrificio, in particolare il pane ed il vino che sta per diventarne la materia, ed il Sacerdote con i ministri dell’altare ed i fedeli astanti, che stanno per incorporarsi al Signore con la Comunione. L’incenso è, in effetti, riservato a Dio solo; esso esprime qui la perfetta santificazione, la deificazione del Cristiano in GESÙ-CRISTO. – All’Offertorio, prima di questo incensamento, il Sacerdote incensa il pane ed il vino, onorando soprattutto, come vero DIO, Colui che sta per cambiare tra poco, la loro grossolana sostanza nella celeste sostanza della sua umanità, e velarsi sotto le loro apparenze. – Il secondo incensamento, che si fa tra i due suddetti, è destinato ad onorare il santo Vangelo, a ricordare ai fedeli che GESÙ è Sacerdote nel Sacerdote, e che, con la grazia del Sacramento dell’Ordine, costui non fa che un tutt’uno, interiormente e spiritualmente, con il GESÙ del Vangelo, con la Persona stessa di questo Figlio di DIO e di MARIA, che ha fatto e che ha detto tutto ciò che è riportato nella recita evangelica. Così il Diacono rappresenta la Chiesa, incensa con lo stesso numero di colpi di incenso il libro dei Vangeli ed il Sacerdote, GESÙ nel Vangelo, e GESÙ nel Sacerdote. – Il quarto incensamento si fa dai chierici di ordine inferiore, inginocchiati ai piedi dell’altare, dal lato dell’Epistola, durante l’elevazione della Ostia santa e del Calice. Il senso di questa cerimonia si svela da sé: l’incenso che sale allora verso il Santissimo-Sacramento è simbolo dell’adorazione e dell’amore di tutti i fedeli presenti nella Chiesa del cielo e della terra. Ricordiamolo infine: il Vescovo ed il Celebrante sono incensati per primi, e dopo di essi, sono incensati il Diacono, il Suddiacono, gli altri ministri dell’altare, il clero in abito da coro, ed infine il popolo dei fedeli. Questi incensamenti si riconducono tutti a Nostro-Signore GESÙ-CRISTO, presente e vivente in tutti i suoi membri; siccome Egli non vive in tutti allo stesso titolo, né con la stessa sublimità di grazia e di funzioni, l’incensamento si diversifica, e manifesta nel contempo l’unità della vita cristiana nella Chiesa e la molteplicità delle vocazioni e delle grazie. Il celebrante, ed a maggior ragione il Vescovo, riceve il triplo incensamento, perché egli rappresenta la pienezza divina della grazia del Cristo Crocifisso, resuscitato e glorificato nel più alto dei cieli. Nel semplice Sacerdote, Nostro-Signore è incensato e contemplato nella grazia del mistero della sua Resurrezione, e non nella grazia, ancor più perfetta, del mistero della sua Ascensione. Nei fedeli, il Figlio di DIO è incensato e contemplato nella grazia dei misteri della sua vita mortale, umiliato e crocifisso. – Tale è il senso profondo e toccante degli incensamenti della Messa solenne. È un vero dovere di Religione usare all’altare un incenso di ottima qualità. Qui, come dappertutto, ci si è voluto “raffinare” rispetto all’uso antico della Chiesa romana, e al posto della gomma di incenso polverizzata, che produce un magnifico fumo bianco, vaporoso, balsamico, si è immaginato non so quale incenso nerastro o rossastro che non dà che un fumo impercettibile, nerastro, che disturba la testa e la gola. È l’incenso gallicano! – A Roma, in tutte le chiese ed in particolare nella Basilica di San Pietro, ci si serve di un incenso puro d’Arabia, senza alcuna mistura; si riduce questa gomma d’incenso in polvere finissima, e non la si risparmia dell’incensiere. Questo produce una vera nuvola di vapore bianco, diafano, di un profumo squisito. Sull’altare maggiore di San Pietro, quando il Papa fa gli incensamenti della Messa Pontificale, non si intravvede che attraverso questa bella nuvola di incenso che avvolge ben presto l’altare, sale verso la cupola e profuma l’immensa basilica. Questo momento dell’Officio pontificale è particolarmente grandioso ed impressiona vivamente il pellegrino cattolico.