Coscienza buona e cattiva.
[Ab. BARBIER: I Tesori di Cornelio Alapide; vol. I, S. E. I. Torino, 1930]
1. Qual è la buona coscienza? — 2. Potenza e forza di una buona coscienza. — 3 Eccellenza e pregio della buona coscienza. — 4. Felicità che procura la buona coscienza. — 5. Disgrazie che attira la cattiva coscienza e disordini che produce. — 6. Cagioni della cattiva coscienza. — 7. Che cosa si deve fare per acquistare una buona coscienza.
1. QUAL È LA BUONA COSCIENZA? — Buona coscienza, dice Ugo da San Vittore, è quella che si mostra dolce con tutto il mondo, che non ferisce persona, che usa castamente dell’amicizia, che, paziente con i nemici, benevola verso tutti, fa il bene per quanto le è possibile. Buona coscienza si dice quella a cui Dio non imputa peccati, perché li schiva, né incolpa dei peccati altrui, perché essa non li approva, né accagiona di negligenza, perché ha parlato ed operato quando era necessario, né taccia d’orgoglio, perché si tenne sempre nell’umiltà e nell’unità (De Anima lib. III, c. IX). La buona coscienza è quella che è retta, che obbedisce alle leggi di Dio e della Chiesa e che si serve dei lumi della ragione per illuminarsi … La buona coscienza è quella che sta attenta per non cadere e che caduta, prontamente si rialza … La buona coscienza è l’uomo tutto intero; poiché l’uomo è nulla, o meglio è un mostro, un flagello, quando non ha la buona coscienza… La buona coscienza è l’immagine di Dio su la terra …
2. POTENZA E FORZA DI UNA BUONA COSCIENZA. — Il non aver nulla da rimproverarsi, il non aver da arrossire di colpa alcuna, dà tale forza che ci rende muri di bronzo, cantava Orazio (lib. I, Epist.); e il martire Tiburzio affermava che ogni patimento è lieve, anzi è un nulla, quando si ha la coscienza retta e pura. La buona coscienza niente teme; essa può ripetere col poeta: « Io temo Dio, caro Abner, e fuori di questo non conosco altro timore. — Ci travagli pure il corpo con le sue voglie e col pungolo della concupiscenza; ci solletichi o ci minacci il mondo; ci tenti o ci spaventi il demonio; la buona coscienza sta tranquilla, ferma, irremovibile. Al punto di morte la buona coscienza è piena di speranza e compare senza inquietudine al tribunale di Dio. Il mondo va e viene; piange e ride; passa e scompare senza che la buona coscienza ne resti scossa o macchiata. Si può battere, torturare, sbranare, crocifiggere, bruciare il corpo, ma la buona coscienza trionfa di tutte queste prove.
3. ECCELLENZA E PREGIO DELLA BUONA COSCIENZA. — « Che cosa vi è quaggiù di più prezioso, scriveva S. Bernardo a papa Eugenio, di più tranquillo e sicuro che una buona coscienza? Non teme perdita di beni, né ingiurie, né patimenti; la morte, non che intimidirla, le dà fierezza (De Consid. lib. I ) ». – « Non l’ampiezza del principato, non la copia delle ricchezze, non il fasto della potenza, non la gagliardia del corpo, né altra simile cosa dà tranquillità e gioia all’anima, ma solo la buona coscienza e infelicissimo sarebbe chi possedesse ogni sorta di beni, ma intanto avesse coscienza d’aver fatto male», dice il Crisostomo (Homil. I, in Epi. ad Rom.). Non si dà più sicuro pegno di future benedizioni che la consolante testimonianza di una buona coscienza; perciò i Proverbi la dicono, « un continuo festino » — Secura mens quasi iuge convivium (XV, 15). Quindi Ugo da S. Vittore la chiama un campo di benedizione, un giardino di delizie, un tabernacolo d’oro, la letizia degli angeli, l’arca dell’alleanza, un tesoro regio, il trono di Dio, la dimora dello Spirito Santo, il libro chiuso e sigillato che verrà aperto il dì del giudizio (De Anim. lib. III).
4. FELICITÀ CHE PROCURA LA BUONA COSCIENZA. — « La stessa notorietà delle buone opere che si sono fatte, infonde speranza a una buona coscienza, dice S. Agostino: poiché questa è naturalmente portata a sperare ed è piena di confidenza, mentre la cattiva coscienza è rosa dalla disperazione (Homil. in Ioann.)) ». – « Dove trovare cibo più gustoso, dice S. Ambrogio, fuori della testimonianza d’una buona coscienza, e d’un cuore innocente? (In Psalm. XLV) »; e tutti i giorni che una buona coscienza vede splendere, sono giorni di festa … La pace dell’anima rende la vita felice (Officiò, lib. II, c. 1). Quando l’anima non è tormentata da rimorsi, predicava il Crisostomo, prova tanta felicità, che non si può dire. Che dirò? tutto ciò che vi è di più confortante e dilettevole in terra, è amarezza e melanconia se si confronta col piacere che proviene da una buona coscienza (Hom. ad pop.). Che può mai temere un giusto? egli sa che la sua purezza di coscienza gli guadagna la protezione e l’amore di Dio. La sua anima è calma, serena, tranquilla, piena di fiducia, di contentezza e di coraggio, perché egli è appoggiato a Dio. « Niente si può immaginare di più felice che la tranquillità di coscienza (De Givit. Dei, lib. XXI); e nessuno può contristare colui la cui gioia è Cristo (Sentent. XC) », dice S. Agostino. Nessuno è infelice, soggiunge Salviano, perché altri lo giudica tale, ma l’infelicità proviene solamente da noi medesimi. Ecco perché chi ha la fortuna di avere una coscienza monda e buona è felice, ancorché altrimenti ne giudicassero tutti gli uomini (De Prov. Dei). Anzi non solamente felicità, ma gloria nostra è, al dire di S. Paolo, la buona testimonianza della coscienza: — Gloria nostra hæc est, testimonium conscientiæ nostræ (II Cor. I, 12). Perciò non è a stupire se in questo convengono anche i pagani. « Qual è il sommo bene? domanda Ausonio, e risponde: Una coscienza che nulla ha da rimproverarsi. La coscienza di aver voluto il bene, è il massimo dei conforti nei travagli della vita »; la testimonianza di una buona vita, unita al ricordo del bene che si è continuamente fatto, forma la felicità dell’uomo, sentenziava Cicerone (Caio mal.). La buona coscienza ci libera da tutte le inquietudini della vita, leggiamo in Plutarco. Chi sono quelli che vivono felici? – fu domandato a Socrate: Sono coloro, rispose, che mantengono la loro coscienza netta di ogni sozzura (Anton, in Meliss.). Interrogato Biante qual fosse la cosa che nulla temeva, e Periandro qual fosse la più grande e perfetta contenuta nella più piccola e vile; risposero ambedue: essere la buona coscienza, e quest’ultimo aggiunse, nel corpo di un uomo.
5. DISGRAZIE CHE ATTIRA LA CATTIVA COSCIENZA E DISORDINI CHE PRODUCE . — « Conserva, scriveva S. Paolo a Timoteo, la buona coscienza, la quale perché alcuni rinnegarono, fecero naufragio nella fede » — Habens… bonam conscientiam, quam quidam repellentes circa fìdem naufragaverunt (I Tim. I, 29). La cattiva coscienza è la sorgente di tutte le eresie, della corruzione dello spirito e del cuore e di tutti i delitti. ..Il medesimo Apostolo accenna alcuni che avevano la coscienza cauterizzata:— Cauteriatam habentium suam conscientiam (I Tim. IV, 2). La coscienza cauterizzata, la quale è una coscienza profondamente corrotta e indurita, ha smarrito il senso del bene e del male. Altre volte regnava la coscienza, poi la scienza ne prese il luogo; finalmente l’una e l’altra disparvero e noi siamo divenuti esseri stupidi e perversi… L’errore, qualunque sia, è sempre pericoloso, ma quello che influisce sulla coscienza, su questa regola dei costumi, è il più dannoso. « Badate, diceva Gesù Cristo, che la luce la quale è in voi non si volga in tenebre » — Vide ne lumen quod in te est, tenebræ sint (Luc. XI, 35). L’occhio della nostr’anima è la coscienza; ora quando l’occhio è affetto da malore, tutti gli atti della vita ne patiscono; così quando la coscienza è inferma, tutto nell’anima è disordine: perché 1° non vi è eccesso a cui una cotale anima non si abbandoni…; 2° si commette il male arditamente e senza rimorsi …; 3° questo stato non ha più rimedio…
6. CAGIONI DELLA CATTIVA COSCIENZA. — Se si seguisse la legge di Dio, se sopra di essa si modellasse la condotta, la coscienza sarebbe retta e illuminata, perché la legge di Dio non soffre che si faccia il male: — Lex Domini immaculata (Psalm. XVIII, 7). Ma si interpreta secondo i propri disegni…; si traveste a capriccio delle passioni…; si elude, o piuttosto si disprezza e si calpesta… ognuno si foggia una coscienza a proprio modo… una coscienza compiacente… tutto ciò che si brama è buono, dice S. Agostino, tutto ciò che piace è santo (Serm.).
7. CHE COSA SI DEVE FARE PER ACQUISTARE UNA BUONA COSCIENZA. —
Per procurarsi una buona coscienza, bisogna, 1 ° consultare la legge di Dio e seguirla; 2° detestare il peccato, secondo il consiglio medesimo di Seneca: « Ancorché io sapessi, diceva questo filosofo pagano, che agli uomini starà nascosto e che Dio mi perdonerà il peccato, tuttavia non vorrei peccare, trattenuto dalla intrinseca bruttezza del medesimo » . – Un 3° mezzo ci è dato da S. Agostino, in quelle parole: « Si acquista una buona coscienza per mezzo di una buona vita ». Una vita cristiana, pura e santa, è prova di una buona coscienza; una vita sregolata, colpevole e scandalosa, genera una coscienza cattiva; e quando la coscienza è corrotta, i costumi si vanno man mano depravando e la coscienza s’indura. Allora tutto è perduto nel tempo e per l’eternità. – Il 4° mezzo è suggerito dai seguenti versi di Pitagora: « Non fare mai nulla di turpe né in presenza di amici, né di testimoni, né di te stesso ancorché solo, e trattate medesimo con somma modestia ». – Un 5° eccellentissimo mezzo sta nel considerare i tormenti e i castighi che infligge una cattiva coscienza. Essa infatti è una spada che trapassa il cuore…; è un abisso sopra di cui romba la tempesta… Il peccatore si trova del continuo tra l’affanno, il timore ed i rimorsi; passa la sua vita nell’amarezza e nel disgusto, anche quando pare che nuoti nell’abbondanza, nelle delizie, nella gioia… La vita dell’uomo senza coscienza è un sogno; all’aprire degli occhi il suo riposo è scomparso, i suoi piaceri sono svaniti. Voi non vedete di lui altro che i festini e le gioie di cui gode; considerate piuttosto la sua coscienza e le torture che gli cagiona… La coscienza è un testimonio…, un giudice…, un carnefice… Il verme roditore della coscienza non muore, disse Gesù Cristo: — Vermis eorum non moritur (Marc. IX, 47). No, dice S. Agostino, non vi è afflizione uguale a quella che è prodotta da una cattiva coscienza. Chi pecca, sta male con se stesso; è angustiato, perseguitato da’ suoi rimorsi; diviene carnefice e castigo a se stesso. Un nemico si può scansare, m a come fuggire se stesso? Non si danno patimenti simili a quelli che fa provare una cattiva coscienza, perché essendo il peccatore in urto con Dio, non trova consolazione in nessuna parte (Sentent.).
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DELLA COSCIENZA.
[G. Frassinetti: Compendio di teologia Morale di s. Alfonso M. De’ Liguori, Genova, Tipogr. Arcivescovile; 1882]
1. Prima regola delle nostre azioni è la legge divina; ma regola rimota. Regola prossima poi ne è la coscienza, che noi praticamente siamo obbligati a seguire. La coscienza quindi si definisce: il dettame della ragione, mediante il quale giudichiamo che una cosa sia da farsi o non farsi siccome lecita od illecita presentemente: hic et nunc. — La coscienza è la regola prossima delle nostre azioni, perché ogni atto umano si giudica virtuoso, o vizioso, non secondo il suo obbietto materiale, ma secondo l’idea che abbiamo della sua bontà o della sua malizia. — La Sinderesi è la cognizione dei principii universali: per esempio, il bene è da desiderare, il male è da fuggire, ecc.
CAPITOLO I.
DELLA COSCIENZA RETTA, ERRONEA, PERPLESSA E SCRUPOLOSA.
2. La coscienza retta è quella che detta una cosa vera. —
La coscienza erronea è quella che detta una cosa falsa. Questa poi si divide in vincibile, ed in invincibile. È vincibile, quando ci si presenta alla mente il dubbio, ossia il pericolo di errare, e di più si avverte all’obbligo di appurare la verità della cosa. E invincibile, quando non occorre alla mente né quel dubbio, né questa avvertenza. Quando sia invincibile e precettiva, siamo obbligati a seguirla nelle nostre operazioni; che se poi è vincibile, allora, seguendola, noi peccheremmo.
3. Non si dà ignoranza invincibile riguardo ai primi principii, quale sarebbe questo: Non fare agli altri ciò che non vorresti che fosse fatto a te. — Riguardo alle conclusioni, che da tali principii vengono immediatamente, come sarebbero i precetti del Decalogo, non può darsi ignoranza invincibile,non siavi nell’azione cattiva alcuna circostanza che, almeno apparentemente, la giustifichi. — Si dà poi ignoranza invincibile in tutte le conchiusioni non immediate, cioè nelle conchiusioni che si deducono dai precetti del Decalogo. —Pertanto è da stabilire che si dà ignoranza invincibile, cioè incolpabile, anche nella legge naturale. — Chi poi conosce alcuna opera essere cattiva, non può ignorare invincibilmente che sia cattivo e peccaminoso anche il desiderio di essa.
4. La coscienza è perplessa, quando di due azioni dovendosi necessariamente farne una, si giudica che sia peccato l’una e l’altra, di modo che ad ogni modo si abbia da violare la legge di Dio. — Colui che si trovasse in questa perplessità, potendo, dovrebbe consigliarsi con persone dotte per sentire a quale parte dovesse appigliarsi. Non potendo poi prender consiglio, dovrebbe scegliere di fare il minor male, evitando la trasgressione del precetto più importante, come sarebbe la trasgressione di un precetto della legge naturale, a preferenza della trasgressione di un precetto positivo; mancando piuttosto, per esempio, al precetto della Messa che a quello della carità verso il prossimo. Se poi l’uomo non sa distinguere il maggior male dal minore, allora in qualunque modo egli operi, non pecca.
5. La coscienza scrupolosa è quella, che per ragioni vane, incapaci a persuadere un uomo prudente, dubita della onestà delle azioni. — E necessario che gli scrupolosi camminino per la strada della cieca ubbidienza, attenendosi alle regole assegnate loro dal Confessore. Questo poi darà sempre agli scrupolosi regole generali e senza restrizioni. Inoltre procurerà che bene si persuadano di due cose: primieramente, che il Cristiano procede con sicurezza sotto l’ubbidienza del Confessore, qualunque cosa gli comandi, purché non fosse un evidente peccato: in secondo luogo, che il maggiore scrupolo, ossia il timore di far male, dev’essere quello di mancare all’ubbidienza, per tutti i danni che questa mancanza apporta alla salute dell’anima, e in tanti casi anche a quella del corpo.
6. Gli scrupolosi non sono obbligati a confessar peccati, se pure non sieno talmente certi da poterne prendere giuramento, che quelli sieno veri, formali peccati mortali, e che inoltre non gli abbiano mai confessati. Frattanto il Confessore proibisca loro di fare esami sulla materia dei loro scrupoli, di ascoltare prediche di terrore, come quelle del Giudizio, dell’Inferno ecc., e di leggere i libri pii che ne trattano, se tali prediche e letture servono a disturbar la pace del loro spirito. Gli scrupolosi, che facilmente temono d’avere acconsentito a cattivi pensieri, si devono avvisare, non essere possibile che cadano in peccato senza che chiaramente se ne avvedano, per questo appunto che abborriscono il peccato. Quindi non si deve mai loro permettere che si accusino di alcun peccato se non sappiano d’averlo certamente commesso con piena avvertenza e deliberazione. Gli scrupolosi poi, che sono angustiali per le confessioni passate anche dopo d’aver fatto la confessione generale, e forse dopo che hanno già ripetute più volte le loro confessioni, sono da obbligarsi a non pensar mai ne all’integrità, ne alla validità delle loro confessioni.
7. Gli scrupolosi finalmente che temono di peccare quasi in tutte le operazioni che fanno, sono da esortare ad agire liberamente, se pure non riconoscano nelle loro operazioni una evidente malizia. Sono poi da ammonire ch’essi non devono temere di commettere peccato per ragione dello scrupolo od ansietà che li accompagna nell’operare; imperocché questa ansietà è una semplice trepidazione di animo, e non già quella coscienza formata, che ricercasi al peccato formale.
CAPITOLO II
DELLA COSCIENZA DUBBIA.
8, La coscienza dubbia è quella che rimane irresoluta, e sospende l’assenso per l’una e per l’altra parte. È dubbia negativamente, quando non ha motivo notevole per determinarsi più ad una parte che all’ altra. È dubbia positivamente quando tanto per l’una come per l’altra parte si hanno ragioni gravi. Il dubbio altro è speculativo, quando cioè si dubita della cosa in astratto: per esempio, se sia lecito guerreggiare. Altro è pratico, quando cioè si dubita d’ una cosa da fare: per esempio, se sia lecito prendere parte a quella tale guerra. Il dubbio speculativo riguarda il vero; il dubbio pratico riguarda il lecito.
9. E lecito alle volte agire col dubbio speculativo, quando è si abbiano buone ragioni da persuaderci che una data azione ci sia lecita di presente. Per es. dubito se il ricamare sia lecito nei dì festivi; tuttavia conoscendo di aver grave bisogno del guadagno che ricavo dal ricamo, giudico che attualmente il ricamare mi sia lecito. Invece col dubbio pratico non è mai lecito agire; esso deve prima deporsi. Per es. dubito se ciò che mi si presenta da mangiare in venerdì sia cibo grasso o magro; prima di mangiare devo verificare la cosa. Chi opera col dubbio pratico di peccare, pecca di quella specie di peccato, di cui dubita. Per esempio: chi dubita di rubare, pecca di furto. Chi opera dubitando di far peccato mortale o veniale, più probabilmente pecca di peccato veniale, purché allora non avverta al pericolo di peccare mortalmente, né all’obbligazione di verificare la cosa; e purché l’azione non sia da per sé manifesto peccato mortale, e la malizia dell’azione non si conosca almeno in confuso.
10. Nei dubbi è da vedere se posseda il precetto o la libertà. Se possedè il precetto, si deve certo adempiere; non v’è poi tal obbligo, se possiede la libertà. Or per conoscere se possegga il precetto o la libertà, è da osservare per chi stia la presunzione. La presunzione sta pel precetto quando n’è già cominciata l’obbligazione; ed obbliga fintantoché l’obbligazione di esso precetto non sia certamente cessata. Per lo contrario la presunzione sta per la libertà, quando non si può dir con certezza che l’obbligazione del precetto sia già cominciata; poiché noi non siam tenuti al precetto insino a tanto che non cominci in modo certo ad obbligarci. Sia per esempio: è la sera del sabbato, e dubito se sia passata la mezza notte, ed incominciata perciò la domenica; non potendo verificare la cosa, la presunzione è pel sabato, e non posso mangiare di grasso. Se invece fosse la sera del giovedì, nel dubbio se sia cominciato il venerdì, la presunzione sta pel giovedì, e posso ancora mangiare di grasso.
11. Quando si dubita se la legge sia stata accettata, la legge obbliga; perché la presunzione sta per essa. Infatti è da supporre ordinariamente che sia stato fatto ciò che era da fare. — Se per lo contrario si dubitasse della promulgazione della legge, non potrebbe essa obbligare, stando in possesso la libertà fin che non si provi la esistenza della legge. — Nel dubbio, l’atto si suppone valido, ove non si provi il contrario. Per esempio: nel dubbio deve tenersi per valida la confessione, né v’ha obbligo di rifarla. Chi dubita della validità del matrimonio, fatte le debite parti per conoscere la verità, potest recidere, et etiam petere.
12. Chi dubita d’aver fatto un voto, non è obbligato ad adempierlo: e chi dubita d’aver compreso nel voto una qualche particolarità, non è obbligato alla medesima. Il contrario si deve dire qualora sia certo d’aver fatto il voto, e si dubiti di averlo adempito; come se alcun dubiti d’aver recitato le Ore canoniche, d’aver fatta la penitenza sacramentale; s’intende sempre quando questi dubbi non siano mal fondati, quali sono quelli degli scrupolosi. – (A costoro in pratica non è mai da permettere che nel dubbio ripetano le preghiere né anche le comandate, come sarebbero appunto le Ore canoniche, o la penitenza data dal Confessore. E tuttavia sentenza sodamente probabile, e il Gury l’appella comunissima, che quando alcuno ha vera e soda probabilità di avere adempito a qualche sua obbligazione, non sia più tenuto a soddisfarvi nuovamente, ancorché non sia certo dell’adempimento. Vedi il Gury T. I . n. 80 colle note del Ballerini. Dice ivi il De Lugo che se il peccatore giudica probabilmente di avere già confessato un peccato, non è più obbligalo a confessarsene; e chiama questa sentenza comune). – È da osservare, che dopo passato molto tempo, di molte cose non si può avere più una certezza, ma soltanto una probabilità; ed allora specialmente la probabilità ci deve bastare. Per esempio: alcuno ricorda che vent’anni sono aveva un’obbligazione, cui probabilmente ha soddisfatto; che ha commesso un peccato, di cui probabilmente si è confessato. Costui non è più tenuto né a quella obbligazione, né a confessare quel peccato. Stante quella probabilità, ragionevolmente si suppone che siasi fatto ciò che si doveva tare.
13. Nel dubbio se un’azione comandata sia lecita, deve eseguirsi, perché possedè l’autorità del Superiore, fin che non si provi ch’esso ne abusa, comandando veramente ciò che non gli è lecito di comandare. — Chi dubita d’essere arrivato ai 60 anni, è obbligato al digiuno; e chi dubita di avere l’età. che si ricerca per gli Ordini e pei Benefìzii, non può ordinarsi, né accettare il Benefizio; perché in questi casi possede il precetto. Se invece al giovedì alcuno dubita se sia già mezza notte, può mangiare carne, come dicemmo, perché possede la libertà. Parimente chi dubita d’avere mangiato qualche cosa dopo la mezzanotte, probabilmente può comunicarsi; e si dice probabilmente, perché alcuni pensano che il precetto del digiuno sia positivo; tuttavia più comunemente si pensa che sia proibitivo, e che perciò nel dubbio sia lecita la Comunione. — Chi è certo del debito, e dubita di averlo pagato, è tenuto al pagamento; dicasi poi il contrario, se il debito è dubbio. Si vedano gli atri casi, dove si parla della restituzione.
CAPITOLO III.
DELLA COSCIENZA PROBABILE.
14. La coscienza probabile è quella che, appoggiata a qualche opinione probabile, ci detta che sia lecita un’azione. L’opinione poi probabile è quella che ha in appoggio una grave ragione capace a trarsi l’assenso d’un uomo prudente. — Generalmente è lecito operare con coscienza formata sopra d’una opinione veramente probabile. Tuttavia non sarebbe ciò lecito col pericolo del danno altrui, posto che abbia diritto, che non gli si apporti quel danno; e neppure sarebbe lecito col pericolo del danno proprio, a cui non ci sia lecito di sottometterci; poiché quella probabilità non potrebbe impedire il male, che forse ne verrebbe. — Per la qual cosa il cacciatore non può sparare lo schioppo contro un oggetto che vede muoversi dietro dei frondi, quando dubita se sia uomo o fiera. Parimente niuno in materia di fede, e in cosa necessaria all’eterna salvezza può seguire un’opinione anche probabilissima, se non è sicura. Lo stesso è da dirsi quanto alla materia dei Sacramenti, come vedrassi al proprio luogo, ove porremo le osservazioni fatte a proposito dal nostro Santo. — Che il giudice possa giudicare seguendo le opinioni meno probabili, è proposizione condannata da Innocenzo XI, n. 2. Che sia lecito seguirle in materia di fede e in cose necessarie alla vita eterna, e nella materia dei Sacramenti, abbandonata la sentenza più sicura, sono proposizioni| condannate dal medesimo Pontefice al n. I , ed al n. 4.
15. Tra le opinioni, altre sono più probabili, perché sii appoggiano sopra argomenti di maggiore peso che non le contrarie. Altre sono probabilissime, che si appoggiano sopra ragioni talmente gravi da non rimanere più bastantemente probabili le contrarie, le quali perciò si appellano tenuamente probabili. Altre sono moralmente certe; e son quelle che escludono ogni ragionevole timore di falsità: le contrarie a queste si appellano semplicemente improbabili. — Non è lecito operare seguendo opinioni tenuamente probabili, che non possono trarsi l’assenso di persona prudente. È lecito poi assolutamente seguire le opinioni probabilissime. Le opinioni che dicevano il contrarie furono condannate dalla Chiesa. (Vedi la proposizione 3 delle condannate da Innocenzo XI; e la proposizioni 3 tra le condannate da Alessandro VII). — Quando l’opinione in favore della legge ha una probabilità notevolmente maggiore di quella che presenta l’opinione che favorisce la libertà, deve affatto seguirsi. — Se l’opinione in favore della legge è ugualmente probabile che quella che favorisce la libertà, la legge non può obbligare; essendo chiaro che una legge certamente dubbia non può imporre una obbligazione certa. Per la qual cosa, perché ci sia lecito operare, non fa bisogno che l’opinione in favore della libertà sia più probabile di quella che sta per la legge.
16. Che la legge dubbia non obblighi, è principio fondamentale del Sistema Morale di S. Alfonso. Questo principio che è certo in se stesso, noi lo usiamo come principio riflesso a formarci nei casi dubbi una coscienza certa. Per esempio: nasce il dubbio che oggi sia giorno di digiuno; siamo in luogo da non poterlo verificare: in questo caso per noi la legge del digiuno è dubbia; quindi giudichiamo che a noi certamente sia lecito di non osservare il digiuno. — Parimente la legge non obbliga quando dubitiamo se l’opinione la quale è in favore della legge, sia o non sia più probabile di quella che è in favore della libertà; poiché eziandio in questo dubbio la legge rimane incerta. È da dire il contrario quando la maggiore probabilità è notevole, certa ed evidente; imperocchè allora l’opinione in favore della legge addiviene molto più probabile della sua contraria, e la legge si può dire sufficientemente manifestata. È da notare che, giusta la dottrina del Santo, ogni volta che qualche opinione è certamente ed evidentemente più probabile, è anche più probabile notabilmente. Dice al num. 31: « Quando all’intelletto certamente apparisce che la verità meglio si trovi nell’opinione in favore della legge che in quella che favorisce la libertà, allora la volontà non può prudentemente e senza colpa seguire la parte meno sicura ».
LA COSCIENZA
[F. Spirago, Cathéchisme Catholic Populaire. II Parte: i Comandamenti di Dio. 6a Ed. Paris, – 1903]
Dalla conoscenza della legge, nacque la coscienza, vale a dire la scienza che ci fa conoscere se un’azione è permessa o no. La nostra ragione ci rende attenti nei casi concreti nei quali dobbiamo agire in ciò che dobbiamo fare secondo i precetti conosciuti. La ragione di conseguenza ci inculca la conoscenza della legge e del nostro dovere. Questa conoscenza del dovere è la coscienza. La coscienza è dunque un’attività dell’intelligenza e, come sappiamo, essa spinge potentemente la nostra volontà al bene. E poiché la nostra coscienza ci rende attenti alla volontà del bene, numerosi Santi l’hanno chiamata la voce di Dio. La coscienza è la voce di Dio che si manifesta come legislatore e come giudice. (S. Tommaso d’Aquino). La coscienza si rivela nel modo seguente: prima dell’azione, essa avverte ed incoraggia; dopo l’azione, essa tranquillizza o turba secondo che l’azione è stata buona o cattiva. Caino e Giuda furono turbati dal rimorso della loro coscienza. Un giudice umano può talvolta lasciarsi corrompere o farsi persuadere da adulazioni, insulti, minacce, ma il tribunale della coscienza, giammai (S. Giov. Chrys.). la coscienza è dunque buona o cattiva. La buona coscienza rende gai e caccia via la tristezza, come il sole disperde le nubi (S. Chrys.). Essa addolcisce le amarezze della vita, è simile al miele che non è solo dolce di per sé, ma edulcora le bevande più amare (S. Agost.). Una buona coscienza è un dolce cuscino. – La cattiva coscienza rende irascibili ed agitati; è un verme che esce dal marciume del peccato (S. Thom. D’Aq.), e che non muore mai (S. Marc. IX, 43). La cattiva coscienza avvelena tutte le gioie della vita; essa somiglia alla spada di Damocle sospesa ad un capello sopra la propria testa durante il pasto, la cui vista priva di ogni gioia. Colui che ha una cattiva coscienza somiglia ad un condannato a morte che, malgrado tutte le gioie che gli si accordano nelle sue ultime ore, non riesce ad esserne sinceramente felice. (S. Bern.). L’uomo può avere una coscienza delicata o una coscienza rammollita. La coscienza delicata risente delle minime colpe; la coscienza rammollita appena delle più grandi.Una coscienza delicata somiglia ad un bilancino da orefice, che è sensibile al minimo pulviscolo; la coscienza rammollita somiglia ad una bascula da fieno che appena si inclina sotto il peso di una libbra. I Santi avevano la coscienza delicata; essi si rammaricavano della minima offesa di Dio. I mondani hanno invece una coscienza rammollita; essi appena notano quel che è un peccato mortale manifesto. Nondimeno essi attribuiscono una grande importanza a delle nullità; essi « … filtrano il moscerino e ingoiano il cammello! » (Matt. XXIII, 24). Un uomo dalla coscienza delicata è un uomo coscienzioso, quello con la coscienza rammollita sarà un uomo senza coscienza. L’uomo può anche avere una coscienza larga (lassa) o una coscienza timorosa (scrupolosa). Colui che ha una coscienza larga considera permessi tutti i più grandi peccati; egli come principio ha: che … una volta non è la consuetudine, che … una volta non conta, che … errare è umano, etc. La sua vita depravata non gli consente più di ascoltare i rimproveri della sua coscienza, come un uomo che abita nei pressi di una cascata d’acqua (o di una ferrovia) si abitua poco a poco al loro rumore e nonostante essi, dorme ugualmente molto bene (S. Vinc. F.). Colui che al contrario ha una coscienza scrupolosa, considera come proibite anche le azioni permesse. Uno scrupoloso somiglia ad un cavallo permaloso che si nasconde all’ombra di un albero o di una pietra, come se fossero un leone o una tigre, e che espone così tutto il suo carico al danno più grande. Lo scrupoloso immagina così dei pericoli là dove non ce ne sono, e cade allora facilmente nella disobbedienza e nel peccato (Scar.). Lo scrupolo non viene ordinariamente dall’ignoranza, ma da una sensibilità malaticcia che turba la ragione. Il fondo di ogni scrupolo è l’orgoglio (S. Franc. S.). ogni scrupoloso è timido e per questo non può diventar perfetto; egli somiglia ad un soldato pauroso che non ha il coraggio di affrontare il nemico e che depone le armi prima dell’attacco. Uno scrupoloso non deve mai fermarsi davanti ai suoi scrupoli, perché essi assomigliano alla pece o alla colla che si attaccano quanto più si cerca di scacciarla (Scar.). Lo scrupoloso deve disprezzarlo e fare il contrario di ciò che lo scrupolo gli vieta. (S. Alf.). Egli deve obbedire esattamente al suo confessore, altrimenti non guarirà e rischia di diventare folle. (S. Alf.). Lo scrupoloso deve diffidare del suo giudizio personale e del suo modo di intendere le cose, ed anche rinunciarvi completamente. Così spariranno i suoi scrupoli che risultano più di frequente dall’orgoglio e dall’attaccamento ostinato alle proprie idee (Marie Lat.). Colui che vuol fare grandi cose per Dio deve badare a non essere pusillanime: se gli Apostoli lo fossero stati, non avrebbero mai intrapreso la conversione del mondo (S. Ign. Loy.). Non si deve agire contro la propria coscienza, altrimenti si commette un peccato. La coscienza non è altra cosa che la legge applicata ai casi concreti; colui che agisce contro la sua coscienza, agisce dunque contro la legge. San Paolo dice: pecca colui che agisce contro la propria convinzione (Rom. XIV, 23). Pecca, ad esempio chi, nel giorno di giovedì, pensando che sia venerdì, ciò nondimeno mangia volontariamente la carne.
COSCIENZE MALATE
[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli; vol. Secondo. – Soc. Vita e Pensiero, Milano, 1939 – imprim.]
È triste quando si spegne la luce degli occhi: ogni cosa perde la linea e il colore, ed una oscurità senza né tempi né mutamenti benda il volto del povero cieco.
È più triste quando si spegne la luce dell’intelligenza: l’anima è strappata via di forza e sepolta viva nella materia che la rende incapace d’agire. Il povero deficiente è al mondo, quasi come un vegetale, senza saperlo; ha uno spirito immortale e non sa d’averlo. Ma più triste ancora è quando si spegne la luce della coscienza: l’uomo ha sani gli occhi ma non vede, ha l’intelligenza aperta ma non capisce; non vede e non capisce che corre verso la sua finale e irrimediabile rovina. Le altre sventure sono la privazione di un grande bene, ma solo per i pochi anni della vita terrena. Questa ci sospinge verso la perdita di tutto il bene, e per tutta l’eternità. – La coscienza vale assai più della scienza; ed il mondo più che di uomini di scienza ha bisogno di uomini di coscienza, cioè di santi.
Che cos’è dunque la coscienza?
Essa è quella facoltà dell’anima che indica l’orientazione giusta alle nostre azioni. Gli animali hanno l’istinto che li guida, ma l’uomo ha la coscienza. Essa è un incorruttibile tribunale interiore che giudica ogni atto, ogni parola, ogni pensiero e di ciascuno pronuncia la sua sentenza: questo è buono e tu sei meritevole; questo è cattivo e tu sei riprovevole. Essa è l’eco della voce di Dio che ci parla senza strepito, che ci muove senza violenza. Non pretendete che Gesù vi appaia corporalmente come S. Paolo e vi fermi bruscamente sulla strada per imporvi di convertirvi o di pregare. Neanche pretendete che Dio vi mandi visibilmente la Madonna o qualche Angelo. Se rientrate in voi, se la vostra coscienza non è stata guastata dall’impurità e dall’orgoglio, allora sentirete realmente quello che Dio vuole e quello che non vuole da voi. Potete ora comprendere la grande importanza che la coscienza ha nella vita dell’uomo. E potete ora comprendere l’enorme disgrazia di chi l’ha pervertita. Costui cammina verso l’abisso dell’iniquità, e siccome la coscienza è guasta, lo lascia smemorato nel suo traviamento, quasi illuso di camminare verso la giustizia. È questa orribile illusione che Gesù denunciò prima di morire ai suoi Apostoli: Verrà l’ora in cui chi vi scaccerà e vi ucciderà, crederà di fare una buona cosa e penserà di dare gloria a Dio. Povere coscienze ottenebrate che non conoscono più né il Padre né me! Voi però non scoraggiatevi. Vi manderò lo Spirito Santo che vi darà la forza anche di morire per rendermi testimonianza ». La grave parola del Signore ci persuade a considerare le malattie della coscienza, specialmente quelle che sono le più disastrose perché danno l’illusione di essere onesti e religiosi.
Ci sono tre tipi di coscienze malate:
la coscienza cieca;
la coscienza farisaica;
la coscienza pervertita.
I. COSCIENZA CIECA
Quando l’aeroplano in volo entra nella nebbia, al pilota trema un poco il cuore. Manca ogni visibilità: di sopra e di sotto, a destra e a sinistra non c’è che un’informe e fiottante massa grigiastra. Dove sarà? Non avrà deviato dalla giusta rotta? È tempo di discendere? Come abbassarsi di quota se non si vede nulla? Un ostacolo improvviso, una collina, un campanile, potrebbero determinare la rovina. Nessuna paura; c’è il marconista in continuo collegamento coi campi d’aviazione che gli segnalano le condizioni opportune per atterrare; ci sono perfettissimi strumenti di misurazione che indicano di momento in momento la quota d’altezza, la velocità di volo, la direzione. Intanto l’aeroplano vola ciecamente nella nebbia. E se la radio non funzionasse più? Se gli istrumenti di misurazione si fossero guastati senza che nessuno se ne accorgesse? Basterebbe un minimo errore di calcolo. Allora ogni cosa più orribile può accadere. – Qualche anno fa un aeroplano, smarritosi nella nebbia si fracassava a tutta velocità contro la collina di Lanzo Torinese, spiaccicandovi otto persone.
La vita nostra, quaggiù sulla terra, è in tutto simile a un volo nella nebbia, la nebbia dei sensi. Noi non vediamo Dio, non vediamo il Paradiso che è la meta a cui tendiamo, non vediamo a che altezza e a che punto siamo del nostro viaggio. Ma abbiamo però la coscienza, dove ci sono strumenti perfetti di misurazione morale, e dove arrivano i radiogrammi del Signore. Appena con qualche peccato si esce dalla giusta rotta, allora nella coscienza si fa sentire una punta come di spina confitta, come di tarlo che rode. Guai a chi non bada e disprezza queste segnalazioni preziose! La coscienza si vendica facendosi sempre più fioca, fin che si spegne. Allora l’uomo è un disperso nella nebbia dei suoi istinti. Quel danaro, quella roba di mal acquisto non gli scotta più: per lui è come se fosse di guadagno legittimo. Quella lite maliziosamente intentata e con raggiri vinta non gli rimorde più: per lui è come se avesse sostenuto un proprio diritto. Quegli scherzi equivoci, quelle impudenti libertà di parola e di mano, quegli spettacoli corruttori, ora gli sembrano innocui divertimenti, una maniera allegra e piacevole di passar la vita. Ma se la rupe della morte gli si adergesse improvvisa davanti?… Ah! che disastro: altro che quello dell’aeroplano contro la collina di Lanzo Torinese.
2. COSCIENZA FARISAICA
Quando la luce vera si spegne nella coscienza, è facile che s’accendano falsi fanali che deformano la visuale. Ne deriva così quella coscienza farisaica che fu bollata a parole roventi dal Signore. Di essa voglio ora ricordare due caratteristiche.
a) La coscienza farisaica è una lampada cieca che proietta la luce sugli altri e tiene nell’ombra chi la porta. I farisei vedevano il fuscellino nell’occhio del prossimo, e non s’accorgevano di avere una trave nel proprio. I farisei scovavano macchie e scandali dappertutto, anche nelle azioni più buone, eccetto che in sé e nella propria condotta. I farisei avevano da sparlare di tutti, eccetto che di sé. « O Dio — pregava un fariseo nel tempio fulminando indietro uno sguardo di disprezzo, — ti ringrazio che non sono come gli altri uomini: tutti ladroni, ingannatori, adulteri come quel pubblicano laggiù » ( Lc., XVIII, 11). I farisei non ci sono più, ma il fariseismo è una malattia che è rimasta, e forse un poco ammorba anche la nostra anima. Che cos’è questa smania di osservare gli sbagli degli altri, di essere tra i primi a lanciare contro di essi la pietra, di mormorare, di disprezzare tutti? Segno che c’è una trave nel nostro spirito e non la vediamo. Che cos’è quest’altra smania di criticare continuamente i preti, il Vescovo e lo stesso Papa, come se si fosse più parrocchiani del parroco e più cattolici del Papa? Segno è che non si è né buoni parrocchiani né buoni cattolici.
b) Altra caratteristica della deformata coscienza farisaica è di fissarsi sulle cose minime e trascurare le massime. I farisei scolavano mosche per ingoiare cammelli. Facevano l’offerta al tempio e poi divoravano le case delle vedove e degli orfani. Temevano di contaminarsi entrando nella casa d’un pagano come Pilato, e non temevano di contaminarsi facendo ammazzare il Signore. – Ci può essere ancora chi fa consistere tutta la sua religione soltanto in cose esteriori: qualche preghiera a fior di labbra; la messa bassa alla festa; qualche piccola offerta nelle cassette dell’elemosina; dare il nome a qualche pia confraternita. Ma poi nessuna giustizia con gli operai, o col padrone; nessuna carità e compassione per il prossimo che soffre o che chiede; nessuno scrupolo di vivere anni ed anni in peccato mortale, conservando un’abitudine o un affetto proibito dalla legge di Dio. Come i farisei, questi Cristiani puliscono l’esterno del piatto e del bicchiere, e dentro lo lasciano colmo di immondezze e di ingiustizie.
3. COSCIENZA PERVERTITA
« Viene l’ora — ha detto Gesù — in cui chi vi uccide, crederà di rendere ossequio a Dio ». Non molto tempo dopo questa profezia, l’apostolo Paolo fu arrestato in Gerusalemme e custodito dal tribuno romano. Ebbene quaranta persone fecero un voto a Dio, invocando sopra di sé le più fiere maledizioni se non l’avessero mantenuto. Il voto era questo: non toccare cibo né bevanda, sino a che non avessero ucciso Paolo. Decisero d’attendere il momento in cui il tribuno l’avrebbe condotto dalla prigione al tribunale del Sinedrio, per strapparlo fuori dalle mani delle guardie e finirlo. Fortuna volle che un nipotino di Paolo, un figlio di sua sorella, venne a sapere la cosa e arrivò in tempo a sventare la congiura (Atti, XXIII, 12-21). Fu però ucciso dopo qualche anno a Roma, dove anche S. Pietro e dove anche numerosi Cristiani furono uccisi come nemici della civiltà e della patria, e degli Dei dell’Impero. Forse che oggi non ci sono uomini che con giuramento si legano a perseguitare i preti e i buoni Cristiani, a odiare il Papa, a distruggere la Chiesa? Sono nazioni intere che scacciano i ministri e i fedeli del Signore, accusandoli di disfattismo, di nemici della grandezza patria, di sostenitori delle ingiustizie sociali. Si organizzano perfino i bambini, e quando a schiere passano davanti a qualche chiesa o immagine religiosa si insegna a loro di levare il pugno chiuso e gridare : a No! No! ». Ah, quelle piccole mani che Gesù accarezzava, quelle candide voci che facevano tremare il cuore del Figlio di Dio!
CONCLUSIONE
Ma quando è possibile questo pervertimento totale della coscienza?
« Quando — risponde Gesù nel Vangelo — non si conosce più il Padre, né me ». Invano, o Cristiani, deprecheremo da noi e dalla nostra patria questo orrendo male, se non ci mettiamo a conoscere il Padre e il Figlio che ci ha mandato. Conoscerlo con l’intelligenza: istruzione cristiana. Conoscerlo con le opere: vita cristiana.
LA COSCIENZA
[E. IONE O.F.M.: Compendio di Teologia morale, 3° ed. Marietti, 1952 –imprim.]
CAPITOLO I.
Concetto e divisione.
I. Nozione. La coscienza, in senso proprio, è un giudizio della ragione pratica sulla bontà o colpevolezza di un’azione.
Applicando la legge al caso concreto,
la coscienza diviene norma prossima dell’agire morale.
II. Divisione. — 1° La coscienza è antecedente o conseguente, secondo che il giudizio pratico riguardaun’azione ancora da farsi oppure già fatta.Con la coscienza antecedente è congiunta la consapevolezzadell’obbligazione e la responsabilità di fronte alla norma morale;la coscienza conseguente, invece, è accompagnata dasentimento di calma o di inquietudine.
2° La coscienza è vera o falsa, secondo che la sua sentenza concorda o meno con la realtà oggettiva. La coscienza falsa o erronea può essere erronea colpevolmente o non colpevolmente, inoltre erronea vincibi1mente o invincibilmente.
3° Coscienza certa, dubbia, probabile, perplessa.
La coscienza certapronuncia il suo giudizio senza timore di errare. Basta che sia escluso ogni timore ragionevole; quindi che vi sia la certezza morale. In realtà, però, può errare anche una coscienza assolutamente certa. — La certezza morale può essere perfetta (per es. rubare un grappolo d’uva è solo colpa veniale; esiste l’America) e imperfetta; la perfetta esclude ogni dubbio; l’imperfetta esclude ogni dubbio prudente, pur non escludendo la possibilità del contrario (per es. la sincerità della mamma).
La coscienza dubbiasospende il giudizio. Il dubbio può riferirsi al fatto (dubium facti) oppure alla moralità e al diritto (dubium juris). Il dubbio speculativo riguarda la natura dell’azione e il suo valore morale in genere; il dubbio pratico riguarda la liceità di una data azione da compiersi al momento. Con il dubbio speculativo può star congiunta la certezza pratica.
La coscienza probabilepronuncia bensì un giudizio, basandosi su motivi sodi, ma con fondato timore di errare. — Relativamente considerato, secondo il diverso grado di probabilità, il giudizio può essere probabile, più probabile, probabilissimo.
La coscienza perplessasi ha allorché uno, posto fra due obbligazioni, crede di peccare in ogni caso, sia che si risolva per una parte sia che scelga l’altra.
4° Coscienza delicata, lassa, scrupolosa.
Tale distinzione riguarda principalmente uno stato permanente di coscienza.
La coscienza delicatapronuncia, anche nelle piccole sfumature di bene e di male, un giudizio oggettivamente retto, con una relativa facilità.
La coscienza lassa, in base a motivi insufficienti, giudica sia lecita una cosa che è peccato, oppure che una cosa sia soltanto peccato veniale mentre di fatto è peccato mortale.
La coscienza scrupolosa, in base a motivi apparenti, vede peccati dove non v’è neppur l’ombra, oppure vede peccati mortali dove non si tratta che di peccati leggeri. L’essenza della costiera scrupolosa non è tanto un errore, quanto uno stato d’animo in continua perplessità. Tali angustie veramente non appartengono affatto alla vita ragionevole e, quindi, neppure alla coscienza; si tratta piuttosto di suggestioni della fantasia, di impressioni della sensibilità, di tendenze o moti del sentimento. – I connotati di una coscienza scrupolosa sono: esami interminabili di coscienza su inezie e spesso su cose ridicole, rimestare una cosa senza posa, dare consistenza ad ogni possibile circostanza che possa verificarsi o presentarsi in un’azione, frequente mutamento di giudizio, irresolutezza, paura di eventuali peccati in ogni cosa, interrogare diversi confessori, paura di non essere da essi ben capiti, pertinacia nel proprio giudizio di fronte alle loro decisioni, ecc. Talvolta non è facile riconoscere la coscienza scrupolosa. A tale proposito, in modo particolare, si deve avvertire di non fidarsi del proprio giudizio, per attenersi in tutto a quello del confessore. Capita pure, talvolta, che uno sia scrupoloso su determinate cose ed in altre sia, invece, lasso. Le cause degli scrupoli sono: disturbi di salute, morbosi stati ereditari d’animo o dell’organismo, sovreccitabilità dei nervi, anemia, pressione del sangue sul cervello, fantasia vivace, prevalenza del sentimento sulla ragione, senso acuto precoce, auto osservazione coltivata esageratamente, incapacità di giudicare; talvolta anche un orgoglio segreto, che vorrebbe giustificare se stesso contro ogni rimprovero o raggiungere una certezza che escluda ogni dubbio, anche quello irragionevole; infine, troppo poca confidenza nella Misericordia divina. Gli scrupolosi sono spesso colpevoli direttamente del peggioramento del loro stato, perché non applicano metodicamente i rimedi loro prescritti. – I rimedi contro gli scrupoli sono: preghiera e fiducia in Dio, incondizionata e fiduciosa ubbidienza al Direttore spirituale, formazione di poche e semplici norme generali d’agire morale, stando ligi ad esse in modo assoluto, anche se in ciò, di quando in quando, si abbia errato, fuga dell’ozio, eliminazione delle cause, specialmente dei disturbi organici.
CAPITOLO II.
Forza obbligatoria della coscienza.
I . La coscienza certa deve essere sempre seguita, sia che comandi, sia che proibisca qualche cosa. Ciò vale tanto per la coscienza vera quanto per quella falsa. Pertanto, chi mentisce, persuaso che sia un dovere di carità aiutare con una bugia a levare da un guaio il prossimo, esercita un atto meritorio di carità verso il prossimo; e se agisse contro la sua falsa coscienza, peccherebbe. Chi crede che oggi sia giorno di astinenza, e ciò non ostante mangia carne, pecca, benché di fatto non sia giorno di magro. Chi, però, agisce contro la sua coscienza erronea, non incorre le pene “ipso facto” inflitte al trasgressore della legge. Chi, pertanto percuote un secolare, persuaso che questi sia un chierico, commette bensì un sacrilegio, ma non incorre la scomunica.
— Tuttavia ciò che è impossibile evitare, non è affatto peccato, anche se a causa di coscienza erronea si pensa che sia peccato grave. Quindi se per es. ad un prigioniero è impossibile ascoltare la Messa di domenica, egli non pecca, anche se pensa di commettere peccato mortale. Se la coscienza certa permette un’azione, è sempre lecito seguirla. Chi adunque mangia carne di venerdì nella persuasione che sia giovedì, non pecca. La coscienza certa, anche se obbiettivamente erronea, purché non sia colpevole, è per accidens norma di moralità. Tuttavia v’è sempre l’obbligo di formarsi la coscienza retta, usando i mezzi possibili.
II. Con un dubbio pratico circa la liceità di un’azione, non è mai lecito agire. Un cacciatore che dubiti se sia bestia o uomo ciò a cui tira, pecca di omicidio, anche se poi risulta che ha freddato un capo di selvaggina. Tuttavia, non bisogna naturalmente preoccuparsi dei dubbi irragionevoli. Chi, pertanto, ha ucciso uno investendolo mortalmente con la propria automobile, purché abbia usate le prescritte precauzioni, non ha peccato, anche se qualche volta gli sia passato per la mente il pensiero che, nei suoi viaggi in auto, poteva accadergli di uccidere qualcuno.
Quanto si dice del dubbio pratico, vale pure per la coscienza praticamente probabile.
III. In caso di coscienza perplessa, bisogna fare ciò che ad uno sembra minor peccato. Se due azioni si ritengono entrambe egualmente peccaminose, si può allora scegliere ciò che si vuole. – La ragione sta in ciò, che nell’impossibilità non v’ha neppure colpa. Però, si presuppone sempre che non si possa differire l’azione senza grave danno: e, quindi, che non si abbia mezzo alcuno per formarsi una coscienza retta.
IV. Seguire la coscienza lassa è, di solito, peccato grave, quando la trasgressione riguarda un precetto obbligante sub gravi.
La ragione sta in ciò, che una tale coscienza d’ordinario si deve considerare come una coscienza colpevolmente falsa. Un tale individuo, più facilmente di qualunque altro, deve fare attenzione a dubbi che potessero sorgergli, e non può disprezzarli così facilmente come scrupoli. — In casi eccezionali, però, anche tale individuo può essere scusato da peccato grave, e precisamente quando egli non sia conscio del suo stato di coscienza e neppure in genere riesca a conoscere la malizia dell’azione o l’obbligo di una più accurata ricerca.
V. Agire contro la coscienza scrupolosa non è affatto peccato, neppure quando si compie l’azione con un vivo timore di peccare. La coscienza scrupolosa, infatti, è propriamente solo uno stato di paura. Il principio dato vale anche quando lo scrupoloso, nel momento dell’azione (hic et nunc), non ha pensato che il suo stato è un puro scrupolo; basta che egli abitualmente sappia che gli è lecito tutto quanto non conosce certamente per peccato. — Allo scrupoloso è lecito tutto ciò che vede praticarsi da gente timorata di Dio, anche se ciò sia contro la propria opinione. Nelle sue azioni egli è tenuto ad applicare soltanto una diligenza mediocre. Quando non riesce ad applicare le direttive ricevute, né può chiedere consiglio ad alcuno, gli è lecito di fare ciò che vuole, eccetto che si tratti evidentemente e sicuramente di peccato. Per causa di grave danno, lo scrupoloso può essere anche scusato da molti obblighi positivi, come per es. dalla correzione fraterna, dall’integrità della confessione. Se, nel guardare oggetti e persone innocenti, gli sorgono pensieri impuri, egli può pure guardare tali oggetti e modestamente queste persone, senza preoccuparsi di simili sentimenti o movimenti. Riguardo agli scrupoli se abbia adempiuto o meno il proprio dovere (per es. breviario, penitenza, voti), può lecitamente ammettere di avere soddisfatto al proprio obbligo. Nel timore se il dolore sia sufficiente, può risolvere in proprio favore. Non è tenuto a confessare i peccati commessi prima dell’ultima confessione, tranne che possa giurare di avere certamente commesso peccato grave e di non averlo certamente ancora accusato. Anche in quest’ultimo caso, possono verificarsi delle circostanze che lo scusino dall’integrità della confessione. Lo stesso dicasi di dubbi sulla validità delle confessioni antecedenti. Si avvertano gli scrupolosi, i quali confondono sentimenti di paura (paura precordiale) con i rimorsi di coscienza, che causa di tale paura sono i nervi e non eventuali peccati. V’è, inoltre, l’obbligo di agire contro gli scrupoli, perché altrimenti si pecca di superbia, di caparbietà, di disubbidienza, oppure perché il corpo e l’anima o la propria professione ne soffrirebbero danno. Quando, però, lo scrupoloso ha buona volontà, non è facile che, nei singoli casi, commetta peccato grave. Per ragione dei danni accennati, anche il confessore permetta una volta soltanto una esposizione completa degli scrupoli o una confessione generale. Ma anche questa unica esposizione dello stato di coscienza si deve vietare, quando lo scrupoloso si sia già da poco tempo aperto con altro confessore e si preveda che anche adesso non rimarrà per lungo tempo presso il nuovo confessore.
CAPITOLO III.
Formazione di una coscienza praticamente certa.
Poiché non è mai lecito agire con un dubbio pratico circa la liceità di un’azione, bisogna cercare di formarsi una coscienza praticamente certa.
I. Una soluzione diretta di dubbi di coscienza nelle cose più frequenti si può ordinariamente acquistare col riflettere con maggiore precisione sulla cosa in questione, con lo studiarla, col domandarne consiglio ad altri.
Si deve tentare questa soluzione, finché esiste fondata speranza di poter, per tal via, sciogliere il dubbio con una diligenza relativa all’importanza della cosa; a meno che non si voglia in ogni caso scegliere la parte più sicura.
II. Una soluzione indiretta dei dubbi di coscienza, cioè una soluzione con il sussidio di diversi principi e sistemi morali, è permessa quando per via diretta non si può ottenere alcuna certezza. Con tale soluzione, il dubbio teorico sulla liceità o necessità di un’azione rimane sempre; però si raggiunge una certezza su ciò che attualmente si deve o si può fare.
1° Se si tratta del raggiungimento necessario di un fine, bisogna scegliere la parte PIÙ SICURA,se non si riesce a deporre il dubbio teorico.
Trattandosi del raggiungimento dell’eterna felicità,
si devono usare quei mezzi che conducono con certezza a questo fine; fintanto che si hanno tali mezzi sicuri, non è lecito accontentarsi di mezzi, che soltanto probabilmente raggiungono questo fine. —
Nella amministrazione dei sacramenti, per riverenza verso di essi, spessoanche per giustizia e carità, bisogna, nel dubbio, risolversi per quell’opinione, seguendo la quale, la stessa amministrazione è certamente valida. Se, però, nell’amministrare un Sacramento, non si possa avere alcuna materia certamente valida, nell’interesse della salute spirituale, è lecito usare anche di una materia dubbia. — Quando si tratta del diritto certo di un terzo o di un danno imminente ad un terzo, bisogna scegliere quella sentenza, con la quale l’altro raggiunga sicuramente il suo diritto o venga sicuramente preservato dal danno. Perciò, il medico per es. non può lecitamente applicare rimedi la cui efficacia è dubbia, quando si possono avere altri rimedi più efficaci; un cacciatore non può lecitamente sparare, quando ha il dubbio fondato di recar danno ad un uomo.
2° Se si tratta della liceità di un’azione, si può lecitamente seguire qualunque opinione che sia certamente probabile, anche se l’opinione opposta sia più probabile.
a) Certamente probabile è un’opinione, quando essa può determinare un uomo ragionevole a dare il suo assenso, anche dopo aver ponderato i motivi contrari. Bisogna, conseguentemente, che sussista il timore che il contrario possa essere vero. I motivi, in favore di un’opinione, possono essere interni ed esterni, secondo che si appoggiano su una intrinseca considerazione e valutazione della cosa oppure sull’autorità di altri. In tal caso, però, si presuppone che queste persone abbiano pesati attentamente i motivi interni. — Sui motivi interni, può portare un giudizio solo un buon moralista; su quelli esterni, anche una persona mediocremente istruita. Una persona non istruita deve attenersi al giudizio di un prudente confessore o parroco. I pastori d’anime possono stare all’opinione di approvati moralisti o anche del solo S. Alfonso. Se l’opinione che favorisce l’esenzione dall’obbligazione della legge sia ben fondata veramente, lo si conosce in molti casi abbastanza facilmente con l’applicazione dei princìpi riflessi.
I principali sono: nel dubbio, ci si deve attenere alla pratica comune (in dubio judicandum est ex communiter contingentibus); nel dubbio, bisogna pronunciarsi per la validità di un’azione già compiuta (in dubio standum est prò valore actus); non è lecito ritenere qualcuno cattivo, fintanto che non ne sia provata la malizia (nemo malus, nisi probetur); nel dubbio, ciò che è favorevole si deve interpretare in senso largo, ciò che è sfavorevole, in senso stretto (favores sunt ampliandi, odiosa restringenda).
b) È lecito l’uso di una tale opinione sodamente probabile:
α) di fronte a qualunque legge.
β) anche se, in altro caso, ci si è risolti per l’opinione contraria.
Si comprendono qui tanto le leggi umane, quanto le divine positive e naturali. Il dubbio può versare, sia sull’esistenza di tale legge, sia sulla sua cessazione, sia pure sull’obbligazione già adempiuta.
È lecito, quindi in un caso adire l’eredità avuta da un testamento informe, e in un altro caso esigere la dichiarazione giudiziale di nullità. — Ma in una medesima opera, non è lecito seguire due opinioni opposte, perché in tale azione si trasgredirebbe certamente la legge. Chi, pertanto, ha accettato l’eredità di un testamento informe, deve anche riconoscere come validi i legati contenutivi e soddisfarli.
Nota. — I diversi sistemi morali.
Poiché l’opinione sopraesposta e sostenuta non è condivisa da tutti i moralisti, esponiamo qui brevemente i diversi sistemi morali.
a) Il Tuziorismo assoluto: insegna che, in ogni controversia di opinioni, si deve scegliere la parte più sicura, decidendosi quindi per l’osservanza della legge. Soltanto la completa certezza del contrario può esimere dall’obbligazione.
b) Il Tuziorismo mitigato: afferma la esenzione dall’obbligazione, quando l’opinione in favore della libertà è probabilissima.
c) Il Probabiliorismo: insegna che si può lecitamente seguire l’opinione favorevole alla libertà, soltanto quando essa fosse certamente più probabile dell’opinione che milita in favore della legge.
d) L’Equiprobabilismo: esige che l’opinione favorevole alla libertà sia almeno egualmente o quasi egualmente probabile che l’opinione favorevole alla legge. Inoltre, sostiene che tale principio si può applicare soltanto nel dubbio circa l’esistenza della legge, ma non nel dubbio se sia cessata o, rispettivamente, sia stata adempiuta.
e) Il Sistema di Compensazione: insegna che, nel dubbio circa la liceità di un’azione, si deve avere un motivo sufficientemente grave per decidersi in favore dell’opinione contraria alla legge. Quanto più grave è la legge e quanto più probabili sono i motivi che parlano in favore di essa, tanto più gravi motivi devono aversi per permettere il pericolo di una trasgressione materiale.
f) Il Probabilismo: insegna l’esposta sentenza, e precisamente che si possa lecitamente seguire qualunque opinione favorevole alla libertà, purché sia certamente ben fondata (probabile), anche se l’opposta sia più probabile.
g) Secondo il Lassismo: si può seguire l’opinione favorevole alla libertà, anche quando essa è solo debolmente o dubbiamente probabile.
Nel giudicare tali opinioni si deve tener presente che il tuziorismo assoluto e il lassismo furono condannati dalla Chiesa. Gli altri sistemi sono tutti permessi.
In pratica, il confessore si sforzi di scegliere coscientemente per se stesso sempre la parte più perfetta e di consigliare anche ai suoi penitenti il più perfetto. Non si dimentichi, comunque, che il confessore non ha diritto alcuno di imporre al penitente la propria opinione, quando l’opinione contraria è probabile. — Né deve dimenticare che non rare volte il più perfetto non è l’osservanza di una legge per se stessa incerta.
[Il colore è redazionale]