I SANTI MISTERI (9)

G. De SEGUR: I SANTI MISTERI (9)

[Opere di Mgr. G. De Ségur, Tomo X, 3a Ed. – LIBRAIRIE SAINT- JOSEPH TOLRA, LIBRAIRE-ÉDITEUR, 112, RUE DE RENNES, 112 – 1887 PARIS, impr.]

XXXI

Dalla Comunione, al termine della Messa.

Dopo la Comunione del popolo, quando il Santo Sacramento è rientrato nel Tabernacolo, il Celebrante prende la prima abluzione, del puro vino, poi la seconda, di vino ed acqua, alfine di far sparire i resti più impercettibile della divina Eucaristia che avrebbero potuto aderire alle pareti interne del Calice o alle dita che lo hanno toccato. Sul soggetto delle abluzioni, ricordo una buona storia, capitata a questo stesso direttore di Seminario che aveva la cattiva abitudine del tono alto ed esclamare durate la Messa, e che interruppe una volta il Canone, come abbiamo già detto. Un giorno che era in “devozione”, e le sue orazioni giaculatorie si moltiplicavano senza misura, alla seconda abluzione, egli aveva, come prescritto, le dita sopra il Calice e di conseguenza, le mani e le braccia sollevate; l’altare, in effetti, era troppo alto per lui, ed il Calice era grande. Il servente Messa, che mi ha raccontato il fatto, ammirava interiormente la devozione del sant’uomo, e versava il vino sulle sue dita. « Signore, mormorava questi, voi mi inondate. » Il servente, intenerito, versava ancora l’acqua, versava sempre. « Voi mi inondate, mio DIO! » ripeteva il buon vecchio. Tutto d’un tratto cambia tono e con aria seccata, dice al servente: « Quando dico che mi inondate!!! Ne ho piene le maniche! » Sorpreso ed imbarazzato, il povero servente si trattenne per non scoppiare a ridere. L’infortunato direttore ne aveva fino al gomito. Dopo le abluzioni, il Sacerdote riprende posto in mezzo all’altare, con i vasi ed i sacri lini, copre il tutto con il velo e recita la breve preghiera chiamata Communio, al lato sinistro dell’altare, nell’angolo dell’Epistola. Come l’introito, il Communio ricorda lo spirito del santo Mistero del giorno. Poi il Sacerdote ritorna al centro, dice il sesto Dominus vobiscum, recita o canta, di nuovo a sinistra, l’orazione chiamata: Post-Communio, chiude il Messale, dà il settimo ed ultimo saluto con il Dominus vobiscum, e congeda l’assemblea annunciando che la Messa è finita: « Ite, Missa est. » Alla Messa solenne, è il Diacono che compie questo ufficio. Tutto il popolo in ginocchio riceve la benedizione che conclude l’adorabile Sacrificio. Mi sembra evidente che il senso liturgico di tutti questi riti si rapporti a quanto detto in precedenza del regno finale di Nostro-Signore e della sua Chiesa, al settimo giorno del mondo, prima della chiusura definitiva dei secoli. In effetti il Sacerdote è pieno di GESÙ, che è disceso in lui ed è corporalmente presente nel suo corpo, come lo sarà nell’ultimo Avvento quando apparirà sulla terra in mezzo alla sua Chiesa glorificata; nello stesso modo in cui ha cominciato il Sacrificio recitando l’Introito, poi il Post-Communio, le quali rappresentano, se non mi sbaglio, la preghiera perfetta, le adorazioni e le azioni di grazie che GESÙ e la Chiesa daranno nel salire, all’epoca della rigenerazione, verso il trono della Maestà divina. Questo sarà il cantico del cielo; questa sarà la santità del cielo sulla terra. Quale darà, in dettaglio, questo stato ultimo della Chiesa? Noi non ne abbiamo alcuna idea; non più dell’idea che abbiamo dello stato della santa umanità del Salvatore resuscitato, tra la Resurrezione e l’Ascensione; non più dell’idea soprannaturale che noi abbiamo dello stato nel quale si trovavano Adamo ed il mondo nel Paradiso terrestre prima della caduta. Non sarà l’uomo solamente, sarà l’umanità intera che regnerà pacificamente su tutti gli elementi e su tutto l’universo; sarà il corpo intero, saranno tutte le membra che, trionfando sulla morte, condurranno sulla terra la vita del cielo, la vita resuscitata, preludio della vita eterna propriamente detta. Noi sappiamo dello stato di beatitudine della Chiesa resuscitata, ed allora « … DIO asciugherà per sempre le lacrime dei suoi eletti; che per essi non ci sarà più morte, più doglia, più gemiti, più dolore; perché il primo stato delle cose sarà sparito: Quia omnia abierunt; perché tutte le cose saranno rinnovate. » È quello che noi sappiamo, ciò che ci ha detto il Signore Nostro medesimo nel Vangelo: « Nel giorno della rigenerazione, quando il Figlio dell’uomo sederà sul trono della sua maestà … nello stato di resurrezione, gli uomini non si mariteranno più, essi saranno come gli Angeli di DIO nel cielo; » essi non saranno degli Angeli, ma « saranno simili agli Angeli: sicut Angeli DEI; » essi non saranno puri spiriti, ma i loro corpi resusciteranno spirituali, spiritualizzati « resurget corpus spirituale », dice S. Paolo. I nostri corpi saranno simili a quello di Nostro-Signore dopo la sua Resurrezione, prima della sua Ascensione. Dopo questa manifestazione terrestre della divinità, della potenza, della gloria, della santità e della bellezza senza macchia di GESÙ-CRISTO e della Chiesa, la grande settimana dell’umanità sarà compiuta; dopo il settimo giorno, dopo il riposo trionfale della settima età della Chiesa, verrà la Domenica eterna, il grande giorno del Signore, il giorno dell’Ottava, dell’accordo perfetto. I riprovati, resuscitati per il giudizio nel momento stesso della fine dei secoli (Nostro-Signore distingue completamente la resurrezione degli eletti dalla resurrezione generale e finale; Egli parla della prima al cap. XXIV, e della seconda al capitolo XXV di San Matteo. Gli eletti della prima resurrezione sono le vergini sagge; i riprovati della seconda, sono le vergini stolte con cui la parabola inizia il cap. XXV; tunc, erit regnum cœlorum), saranno gettati fuori per sempre « con satana ed i suoi angeli, nel fuoco eterno come escrementi della Creazione; « ed essi saranno nel supplizio eterno, mentre i giusti andranno alla vita eterna, » avvolti, come in un vestito immortale, di gloria e di felicità, dalla benedizione suprema del Padre e del Figlio, e dello Spirito-Santo, che Nostro Signore GESÙ-CRISTO darà a tutti i suoi Eletti. È quanto figurano gli ultimi riti della santa Messa. Con quali profondi sentimenti di speranza, con quale gioia non dobbiamo dire queste belle parole finali, ed esprimere a GESÙ il nostro amore! Dapprima Egli ci invita al banchetto nunziale, alle nozze dell’Agnello. « Andate, la Messa è finita; venite, voi tutti, benedetti dal Padre; voi tutti fedeli della mia Chiesa; tutto è consumato; il grande mistero di Cristo, della Chiesa, della creazione, della Redenzione, della grazia è compiuto; voi avete ricevuto il vostro DIO: restate in Lui e Lui in voi! » I fedeli della terra rispondono: DEO gratias, povera e piccola eco anticipata del DEO gratias eterno che nel Paradiso sgorgherà dai loro cuori. Il passaggio dal regno celeste della santa Chiesa sulla terra al suo regno celeste nei cieli, è figurato dal passaggio del Celebrante, del Diacono e del Suddiacono al lato destro dell’altare, dove si recita nel segreto l’ultimo Vangelo. Il Celebrante è allora il Cristo nella sua gloria; il Diacono è la Chiesa degli Angeli; il Suddiacono la Chiesa degli uomini; entrambi in GESÙ-CRISTO e con GESÙ-CRISTO, nella gloria di DIO Padre. Dopo l’Epistola, questo passaggio da un lato all’altro, significava il passaggio dall’antica Alleanza alla nuova, ed il Celebrante si umiliava, si inchinava tra i due; ora questo passaggio, glorioso e gioioso, significa la transizione dal regno della Chiesa sulla terra, al suo Regno nel cielo; dallo stato perfetto della resurrezione, allo stato piuccheperfetto e assolutamente divino dell’Ascensione e dell’Eternità. Così, in mezzo all’altare, il Sacerdote, figura di GESÙ-CRISTO, ribalta le umiliazioni della greppia e del Calvario, con la maestà della pubblica benedizione (Nelle liturgie moderne francesi, il semplice Sacerdote cantava questa benedizione alla fine della Messa solenne e talvolta della Messa bassa (!!!). Si tratta ancora una volta di un’invenzione dell’89, una usurpazione del Prete sul Vescovo). Noi abbiamo già detto che il Dominus vobiscum che segue la comunione è quello che precede la benedizione, e sembra esprimere il Dono dell’Intelletto ed il Dono della Sapienza che Nostro Signore effonderà in quest’ultima età della Chiesa su tutti gli eletti. Oh! Quanti comprenderanno allora e quanti gusteranno le ineffabili beltà, le profondità divine e le eccellenze del mistero di GESÙ-CRISTO! Alla Messa solenne, l’ottavo Dominus vobiscum, si dice a voce bassa, così come il Vangelo della generazione eterna del Verbo, per significare che la beatitudine del Paradiso, cioè l’unione beatifica e la visione intuitiva, appartengono a quest’ordine di parole segrete « … che non è dato all’uomo dire quaggiù; … l’occhio dell’uomo non ha mai visto, né orecchio mai inteso, il suo spirito non può comprendere ciò che DIO ha riservato ai suoi eletti, » sulla terra, ed a maggior ragione nel cielo. Nulla è così toccante come la pia recita di questo bel Vangelo, quando si pensa che il Verbo eterno, il Principe della Vita, la vera Luce è là, sostanzialmente e corporalmente presente in noi, consolandosi con noi ed in noi dell’ingratitudine di coloro che non vogliono riceverlo, e facendo di noi dei figli di DIO! Il Verbo incarnato è in noi, vi è per sempre, pieno di grazia e di verità. – La Messa è finita; il Sacerdote e coloro che lo assistono all’altare rientrano in sacrestia, recitando a voce bassale preghiere dell’azione di grazie. Non è certo che queste preghiere siano obbligatorie, ma è d’uso il non ometterle.

XXXII

Il rispetto dovuto alle sacrestie.

Bisogna rispettare fortemente la Sagrestia delle Chiese, che è un luogo santo, come il suo nome ci indica. La sacrestia fa parte della Chiesa: non vi si deve parlare senza necessità, né ad alta voce, come in una camera ordinaria; ancor meno si deve chiacchierare, scherzare, ridere. Quando è possibile, è preferibile che i cantori e gli impiegati inferiori della chiesa non entrino abitualmente nella sagrestia del clero, propriamente detta. Al Curato ed al Prete sacrestano incombe il dovere, dovere serissimo ed importantissimo, di vegliare sul buon ordine della sagrestia; alle suppellettili più minuziose, non solo dei sacri vasi, dei lini, degli ornamenti, etc. inoltre dei mobili, armadi, tavoli, etc. … vi sono delle sacrestie ove è tutto sottosopra; in cui i teli e gli ornamenti sacri sono riposti alla rinfusa senza ordine negli armadi, a volte con spezzoni di ceri, ampolle con equivoche proprietà, bottiglie vuote, vecchi stracci; le cotte, le sottane dei ragazzi del coro e dei cantori vengono ammassate in un angolo. Tutto questo è sconveniente e poco edificante; un vero Sacerdote non tratta così, in malo modo, le cose del culto di DIO. In più, questo disordine, questo disordine costa caro: così negletti, i paramenti si deteriorano rapidamente; e con una cura maggiore si possono risparmiare centinaia di franchi. Inoltre, le pie dame, i buoni e ricchi donatori vengono pure scoraggiati nella loro generosità verso la Chiesa con la prospettiva della quasi inutilità dei loro sacrifici! « A che pro dare questa casula, questa cotta, questo ornamento d’altare? Si dice: se il nostro curato è così poco accorto, lasciamo perdere tutto questo! Tra pochi mesi, o un anno, non resterà più nulla » Bisogna valutare bene nel non disprezzare il valore di queste cose, per non scoraggiare tanti sacrifici fatti senza profitto. Nulla è più edificante che l’aspetto di una sagrestia ben organizzata e ben tenuta; questo rivela immediatamente l’indole di un Sacerdote pio, zelante della gloria di Nostro-Signore. La povertà non è in causa;  essa può essere propria, ma, grazie al cielo, povertà dignitosa e mala povertà non sono sinonimi.  

XXXIII

 Tempo che conviene consacrare alla celebrazione della Messa

Diciamo una parola sul tempo che bisogna consacrare abitualmente alla celebrazione della Messa. Il Papa Benedetto XIV, dichiara formalmente che la Santa Messa non debba mai durare meno di 20 minuti, anche le Messe da Requiem o le Messe votive, nelle quali le preghiere sono abbreviate. L’esperienza conferma questa decisione dell’Autorità suprema: un Sacerdote che vuole osservare tutte le rubriche e dir Messa con la religione conveniente, a mala pena rientra nei venti minuti. Quasi tutti coloro che dicono la Messa velocemente, a stento vi arrivano, arrampicandosi, preghiera su preghiera, cerimonia su cerimonia; essi terminano le orazioni mettendosi al centro dell’altare; dal corno dell’Epistola iniziano marciando a recitare il Kyrie, il Munda cor meum, e terminano, ancora camminando, con mancamenti simili a regole obbligatorie. Essi “arronzano”, come si dice, questo non è un pregare sacerdotalmente, non è celebrare bene la Messa. Io ho visto una volta un Sacerdote, per altro eccellente e da me conosciuto personalmente come tale, impiegare solo sedici minuti dal segno della croce, in basso all’altare, fino al “Deo gratias” finale. Questa Messa, buona davanti a Dio, senza dubbio, lo era molto poco per gli astanti, tanto che una persona pia mi pregò di avvertire questo buon Prete, che se continuava a dire la Messa “al galoppo”, non vi avrebbe assistito mai più: « … non si sa più ove ci si trova, aggiungeva con assoluta ragione; è un pasticcio, una specie di corsa a cronometro; si direbbe che questo Prete non abbia altra idea che di finirla quanto prima; se non lo conoscessi, gli si potrebbe chiedere se abbia fede! »  I Sacerdoti che prendono la deplorevole abitudine di dire così la Messa, cioè di corsa, hanno certamente la fede, ma io garantisco che essi non hanno al massimo grado lo spirito di fede, il sentimento attuale della fede, la fede viva, efficace, pratica nella divina presenza di Nostro Signore nel suo grande mistero. Mai un uomo penetrato di questa fede viva, ricordando che GESÙ, il bon DIO, il DIO eterno ed onnipotente che sta per scendere nelle sue mani; che è proprio Lui, il Figlio adorabile della Santissima Vergine, il gran Salvatore, il Re degli Angeli, il Santo dei Santi, che è là, nelle sue mani, sotto i suoi occhi, realmente presente e vivente con la sua infinita santità ed il suo amore infinito,… mai, io dico, un uomo, un Sacerdote che penserà a questo, balbetterà le sante preghiere, come spesso accade; mai farà delle genuflessioni tronche o precipitate, non tratterà alla leggera sì grandi cose, non darà la comunione “cotta al vapore”; in una parola, non dirà Messa con una velocità tale da essere in disaccordo con la santità intrinseca del Sacrificio, con il rispetto necessario della liturgia e l’edificazione dovuta al popolo fedele. Quasi sempre si dice la Messa troppo veloce. Quante volta ho sentito i fedeli lamentarsi di questo abuso! Alcuni Sacerdoti, lo so, dicono la Messa troppo lentamente e rischiano così, soprattutto nelle chiese parrocchiali, in cui il pubblico è più disomogeneo, di stancare un certo numero di persone; ma questi abusi, oltre che essere più rari degli altri, si comprendono presto: essi vengono da un raccoglimento più profondo da parte del Sacerdote, da un’osservazione più rigorosa delle rubriche, ed insomma anche se “abuso”, non malefica nessuno, tutt’altro. Per di più non espone il Sacerdote al danno così terribile della routine e della negligenza. – La Messa bassa dovrebbe sempre durare circa una mezz’ora. Questa mi sembra una regola perfetta, tipica; una mezz’ora, più o meno due o tre minuti. È il tempo che impiega ordinariamente il nostro Santo e Santissimo Padre, il Papa Pio IX, che dice la Messa sì mirabilmente come l’abbiamo raccontata adesso. È il tempo che consacrava sempre San Francesco di Sales, il Sacerdote perfetto: una bella e buona mezz’ora.

XXXIV

Come bisogna cantare e recitare le preghiere della Messa.

Alla Messa solenne, bisogna cercare di cantare bene ciò che deve essere cantato; cantare nel modo giusto, se possibile; cantare piamente e semplicemente, senza negligenza, affettazione, rallentamenti. Bisogna cercare di imparare il canto senza nulla aggiungere o alterare del canto liturgico; le fioriture, i gorgheggi, gli svolazzi, sono buoni per il teatro; ma all’altare di DIO, il canto deve essere grave e degno. Nulla è più bello del canto piano (romano) ben cantato. Uno dei più celebri compositori moderni, mi diceva l’altro giorno « il puro cantus planus (canto semplice – vocale a cappella, monodico, gregoriano) non può essere comparato a nessun altra musica, non più di quanto la Chiesa possa essere comparata alle altre società della terra. Il Canto semplice sta alla musica profana, come la preghiera alla conversazione. » I Curati dovrebbero vegliare a che i cantori non “compongano” al leggio; soprattutto nelle campagne, queste composizioni sono disastrose; io vedo ancora un bravo mugnaio, cantore emerito, primo cantore nella sua parrocchia da venti anni, urlante, muggendo un Magnificat impossibile, per non so quale grande festa, in mezzo allo stupore generale, stravolgendo le parole in modo incomprensibile … Magnificat, ficat … fificat … cat ani … cat anima … cat Dominum … ed il “minum” non finiva mai! E l’omaccione rosso come un gallo, con il pollice della mano destra appoggiata sotto il mento per darsi più forza, voltandosi verso l’assistente, occhio brillante e bocca torta, testa alta, alla fine di ogni versetto, come per dire al popolo: « Hei, che ne dite? » Ed il Curato lasciava fare! Quando si canta puramente e semplicemente il canto piano, si ha uno stato di grazia, e non si cade in queste eccentricità. Un altro punto molto importante per il canto delle Messe solenni, ed in generale di tutti gli uffici, è il protrarsi interminabile del canto e nelle grandi città, il suonare all’infinito l’organo; questo rende gli Offici di una lunghezza noiosa. « È edificante, dicono taluni; » no, è noioso e molte persone si lasciano prendere dalla noia. Io ho assistito una volta ad una Messa solenne che è durata, senza predica, quasi due ore e mezza. Più è lunga, più è bella!! Una Messa solenne, senza predica, dovrebbe durare appena un’ora. Tuttavia bisogna prendersi cura di non eccedere nel senso opposto: per guadagnare del tempo, certi buoni Curati, credono di potersi permettere di sopprimere i canti, questa o quella parte del canto liturgico. Vi sono dei paesi in cui non si canta che la metà del Gloria e del Credo; in cui il celebrante, dopo aver recitato a tono basso il Credo, comincia immediatamente l’offertorio tagliando il Credo dal momento che il sacerdote dice l’orate fratres. Alle gran Messe che si cantano durante la settimana, si sopprime il canto del povero Gloria; mai il graduale, mai il Communio cantato. Infine, abuso ancor più strano, nei servizi funebri in cui devono essere celebrate due Gran Messe consecutive, il canto della prima Messa cessa al Sanctus; la Messa cantata diviene subito una Messa bassa; e sempre per guadagnar tempo, la seconda Messa comincia su di un altro altare, immediatamente dopo l’Elevazione della prima, la quale termina come “in segreto”. Tutto questo costituisce una serie di abusi sui quali occorrerebbe richiamare l’attenzione del clero. Il Sacerdote che si permette queste cose, viola delle regole obbligatorie in coscienza; egli deve reagire con tutte le sue forze contro ogni ostacolo. Vi è interessata certamente la sua coscienza sacerdotale. Alla Messa bassa, noi dobbiamo pronunciare distintamente, né troppo alto, né basso, né veloce, né troppo lentamente: ciò che è segnato che debba essere pronunciato basso, sia pronunciato basso, di modo tale che gli assistenti non sentano nulla. Per le parole della Consacrazione, vi si è tenuti sub gravi. Vi sono dei Preti che dicono in tono basso tutte le preghiere; talvolta è per tener più raccolti; tuttavia è un abuso, che solo la stanchezza del torace o del laringe può scusare. In questo, come per tutto il resto, bisogna obbedire alle prescrizioni liturgiche che vogliono che la Messa bassa sia letta con voce intellegibile, distinta e mediocremente elevata. Io ho assistito una volta ad una Messa di un devotissimo abate che “declamava” la sua Messa; era toccante e nello stesso tempo molto ridicolo. Il Vangelo era quello della resurrezione di Lazzaro. Alle parole: « Lazare! Veni foras!!!, Lazzaro, esci dalla tomba! » il buon abate lanciò un vero grido di angoscia, e gli assistenti non poterono trattenersi dal ridere. Il maestro di cerimonia di uno dei nostri Seminari, mi raccontava che durante un viaggio in Italia, aveva ascoltato un Sacerdote dire con voce talmente elevata, stridente, le preghiere della Messa bassa che, entrando in chiesa, aveva creduto che vi si pregasse. Se all’altare, non bisogna parlare troppo forte, bisogna pure evitate con cura il tono di voce languido, biascicato, il tono di voce nasale, o rauco e rude; ci sono Sacerdoti che hanno preso la sgradevole abitudine di dir Messa cavallerescamente, bruscamente; si direbbero piuttosto capitani di dragoni che uomini di preghiera; fanno quasi paura ai bambini. Non è così che parlava Nostro-Signore. Come per il tempo della celebrazione, anche qui c’è un modo giusto da osservare, e bisogna dare al buon DIO, alla Messa, la nostra parola nel modo più perfetto possibile. Nella forma come nel fondo, bisogna rappresentare pienamente GESÙ, il Sacerdote dei Sacerdoti, il Santo dei Santi.  

XXXV

Celebrando la Messa, occorre evitare manie, bizzarrie e singolarità

Si chiamano manie, certe abitudini più o meno singolari che poco a poco si lasciano radicare nella vita di ogni giorno, divenendo quasi un diritto, un nostro modo di fare abituale. Le bizzarre, dappertutto rigettabili, le manie all’altare, sono non solamente proibite, ma assolutamente sconvenienti, inopportune e talvolta anche scandalose. In coscienza, noi non dobbiamo permetterle. Vi sono manie nella posa, nella postura. Io ho conosciuto a Parigi un Sacerdote che, durante tutto il tempo in cui il celebrante resta al centro dell’altare, si teneva su una sola gamba, l’altra ripiegata in aria ed appesa, penso, al polpaccio! Un altro molto anziano, aveva preso l’abitudine bizzarra, tutte le volte che si girava per dire: Dominus vobiscum, di stendere quanto più poteva le braccia a destra ed a sinistra, come un crocifisso, e di salutare profondamente il popolo; inoltre più che dire, cantava: Dominus vobiscum, oremus, etc., con una punta culminante in falsetto su tutti gli “us” e gli “um”. La sua Messa appena si intendeva, anche se si vedeva bene che pregasse di buon cuore. Vi sono dei degni Sacerdoti che prorompono con grande schiamazzo regolarmente in questo tal momento della Messa, né prima né dopo; è sacramentale! Vi sono alcuni che aspirano tabacco, senza mai omettere, alla fine del Credo (cosa che non è notata, che io sappia, nella rubrica; altri più “coscienziosi” aspettano fino all’ultima benedizione; ma giunti qua, si arenano, e la santa tabacchiera, destramente tratta dalla tasca, diviene, sembrerebbe, una sorgente di coraggio e di consolazione spirituale durante l’ultimo Vangelo. C’è poi chi tiene la testa penzoloni o il collo torto; chi dopo aver bevuto il prezioso Sangue, ritiene, per così dire, il Calice a lungo e con strepitio; chi ad un dato momento alza i suoi occhiali sulla fronte, coloro che recitano invariabilmente tali preghiere con un certo tono, ed altri ne impiegano uno diverso; chi durante l’Epistola poggia le mani semplicemente sul Messale o sull’altare, e durante l’ultimo Vangelo, quando devono essere giunte, non si evitano di pulirsi meccanicamente le unghie, etc., etc. Manie nella pronunzia, nel canto, manie nei movimenti; quali esse siano, si evitino queste cattive abitudini con spirito di fede e per amor di obbedienza; e noi celebreremo la Messa più perfettamente ed edificheremo più solidamente i fedeli. Talvolta la mania sfocia in eccentricità, soprattutto negli scrupolosi. Un sant’uomo vivendo in comunità, ebbe un giorno la strana idea di farsi purificare la punta del naso dal servente Messa alla seconda abluzione! Egli credeva che l’Ostia santa gli avesse toccato il naso al momento della Comunione; e, troppo fedele osservatore della rubrica che ordina di purificare con il vino e l’acqua ciò che il Santo Sacramento ha toccato inavvertitamente, mette il suo naso con le quattro dita sopra il Calice, ordinando al povero servente stupito di versargli del vino sulla punta del naso. A sua discolpa, bisogna aggiungere che era un po’ infantile. Dunque evitiamo all’altare ogni singolarità; osserviamo le sante rubriche con esattezza estrema ed una semplicità tutta sacerdotale. 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.