GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 2° Corso di Esercizi Spirituali (13)

2° corso di ESERCIZI SPIRITUALI

Nostra conversatio in cœlis est

13. La divina Liturgia

[G. SIRI: Esercizi spirituali, Ed. Pro Civitate Christiana, Assisi, 1962] –

Vi invito a meditare sulla divina liturgia. Questo è l’argomento consequenziale a quello della preghiera, ed è anche consequenziale a quello del Regno di Dio, perché la divina liturgia ci fa veramente vivere all’unisono col Regno di Dio. La divina liturgia offre a noi lo spunto, il mezzo, l’aiuto, lo sfondo, l’accompagnamento per la forma più completa, elevata e fruttuosa di preghiera e dà a noi i mezzi maggiori della grazia. E pertanto è un argomento al quale noi non possiamo sfuggire, tanto più che la divina liturgia è il momento più solenne, più diretto della nostra conversatio in cœlis. È veramente in essa che si riesce adabbandonare, in qualche modo, spiritualmente laterra per vivere in un’altra atmosfera, per sentire un altro palpito di vita e per abbandonare le scorie delle quali si sta coprendo questo povero mondo. Dobbiamo anzitutto volgere uno sguardo a un concetto più generale, che è il culto di Dio, perché la divina liturgia è una specie del culto, è il culto ufficiale voluto e determinato dalla Chiesa, svolto nell’ambito della legge e della tradizione della Chiesa. Pertanto il genere di questa definizione è proprio il concetto di culto. Il culto di Dio è l’atto di riconoscimento della sua divina maestà in qualunque modo e con qualunque strumento tale culto venga praticato. – Ma dobbiamo riflettere in genere che cosa rappresenta il culto di Dio. Il culto di Dio rappresenta questo: anzitutto è la garanzia della morale. Io vi prego di osservare bene i Comandamenti. I Comandamenti sono dieci; ma guardate i primi tre: « Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio fuori di me. Non nominare il nome di Dio invano. Ricordati di santificare le feste ». I primi tre che cosa riguardano? Il culto di Dio. E sono i primi tre quelli che garantiscono gli altri sette, perché è psicologicamente e storicamente vero questo: che se vanno via i primi tre, vanno giù gli altri sette, non reggono. E la ragione è molto semplice: gli altri sette hanno bisogno, per resistere, che si senta la obbligazione di coscienza. Se non si sente la obbligazione di coscienza, gli altri sette non resistono né alla tentazione, né agli allettamenti, né alle comodità, né all’ambiente generico del mondo. Occorrendo, con la massima facilità questi sette comandamenti vengono abbandonati; esigono che agisca fortissimamente la obbligazione di coscienza per resistere; ma l’obbligazione di coscienza ha un punto sostanziale: la presenza di Dio. In tanto esiste la obbligazione di coscienza, quella che è capace di sopravvivere a tutte le tentazioni e di imporsi contro tutti gli allettamenti, in quanto riposa sul concetto di Dio, e di Dio presente in noi e pertanto arbitro della nostra vita, giudice della nostra vita, ragione del bene della nostra vita, punitore del male che abbiamo operato nella nostra vita. – Vedete quindi che il culto di Dio è veramente il guardiano di tutto il resto, e vi prego di applicarlo anche alla vostra vita, perché quando vi sarà nella nostra vita il culto del Signore e la aderenza a quel culto, tanto ci sarà di energia, di forza, di resistenza in tutto il resto. Qualora si anemizzasse questa parte, voi dovreste aspettarvi che logicamente si renda anemico il resto. Naturalmente la grazia di Dio può sorpassare tutto, può fare a meno delle cause ordinarie per mantenere l’equilibrio della nostra anima, se crede di farlo; ma allora si comincia ad andare fuori dell’ordinario, e noi non dobbiamo rischiare di contare o di puntare troppo sullo straordinario. Ma il culto di Dio è quello che garantisce tutto il resto. Questa è la prima cosa che bisogna osservare del culto del Signore. – In secondo luogo il culto del Signore rappresenta veramente la evasione dal peso della vita, perché è un deporre le scorie, è un lasciare l’abitudinarietà delle cose di questo mondo, è un chiudere una porta su di una esperienza che finisce sempre col diventare monotona e banale. È una grande risorsa della nostra esistenza il culto di Dio. Noi osserviamo nella storia che le più grandi epoche di vita cristiana hanno combaciato sempre con lo splendore del culto del Signore. Se nel medioevo — quando si è forgiata la civiltà che non si è più arrestata, poiché ha portato al nostro tempo, al progresso della nostra età e della nostra esperienza —, se allora tutta l’Europa non fosse stata costellata di monasteri e questi monasteri non fossero stati il canto continuo della lode di Dio e del culto di Dio, la nostra civiltà non sarebbe cresciuta. Perché, a esaminare tutti gli elementi che l’hanno conservata, che l’hanno attivata, trasmessa e mantenuta, vediamo sempre che sono profondamente legati all’esercizio del culto divino. Vorrei dire che la nostra civiltà è nata in coro, perché soltanto attraverso questo cantico dell’Ufficio divino si è mantenuto l’equilibrio. Ma ora dobbiamo venire alla divina liturgia. – La divina liturgia è il culto reso a Dio in forma ufficiale, cioè il culto della Chiesa Cattolica, il culto i cui atti sostanziali sono stati posti e determinati da N. S. Gesù Cristo e poi regolati dalla legge della Chiesa. È per questo che diventano ufficiali. Voi sapete che questo culto di Dio contiene anzitutto la S. Messa e l’amministrazione dei Sacramenti, i Sacramentali e finalmente la preghiera pubblica e l’ufficiatura. In questa divina liturgia noi dobbiamo vedere, e ne troviamo qui l’aspetto caratteristico, due elementi: la liturgia non è soltanto l’atto degli uomini che, con una ordinata coreografia, rendono il culto al loro Signore e Redentore. Non è soltanto questo: questo è un aspetto, e può avere un punto di rassomiglianza e di contatto con qualunque culto reso a Dio. Ma ne ha un altro, che è assolutamente singolare e rappresenta uno dei punti di originalità della rivelazione cristiana, della rivelazione divina. E cioè: questi stessi atti, che costituiscono il portare la lode di Dio verso l’alto, sono lo strumento per cui dall’alto si dà la grazia agli uomini. Sicché noi abbiamo un incontro in direzioni opposte, con un movimento dal cielo verso la terra e un movimento dalla terra verso il cielo. È soprattutto questo movimento dal cielo verso la terra che rende ricchissima la liturgia, perché noi abbiamo, sotto questo aspetto, gli strumenti della grazia di Dio. – La S. Messa, certo, porta la voce degli uomini verso l’alto; ma porta verso gli uomini Gesù Cristo, l’Eucaristia e tutto ciò che di grazia è legato alla divina Eucaristia. I santi Sacramenti sono sempre, certo, anche dei riti esterni, i quali contengono e sollecitano la lode di Dio nella bocca degli uomini e costituiscono un atto di ossequio al loro Creatore e Redentore; ma nello stesso tempo tutti i Sacramenti sono gli artefici della grazia del Signore; portano qualche cosa di divino: divina realtà, divina dignità, divino aiuto alla debolezza umana. Ed ecco che abbiamo così uno scambio continuo, una reciprocità, un dualismo che si fonde nella unità del bene e della gloria del Signore sugli uomini. Sono questi i due aspetti della divina liturgia, per cui noi nella divina liturgia non siamo soltanto attivi: cantiamo, preghiamo, lodiamo Dio, meditiamo, espletiamo le parti sociali nelle quali si dipana questa divina liturgia; ma in quel momento siamo anche passivi: riceviamo e riceviamo continuamente qualche cosa che va a innervare la nostra vita, ad agire profondamente sulla nostra psicologia, a rettificare il cammino nostro, a eliminare tante difficoltà della nostra esistenza, a irrobustire la nostra volontà, a illuminare supernamente la nostra intelligenza. Insomma riceviamo continuamente qualche cosa che diventa ricchezza della nostra vita. – Questo dobbiamo tener presente, perché allora si comprende sempre meglio che la divina liturgia è per noi il momento massimo della conversatio nostra in cœlis. Allora noi siamo con Gesù Cristo, parliamo con Dio, parliamo con la Vergine, coi santi, con un ordine, un mondo che sta al di sopra di noi. Allora qualche cosa si ripete in noi dei cori angelici e di quella grande realtà nella quale noi attendiamo di consumare, dopo acquisito il merito, il pellegrinaggio della nostra esistenza. È entrare in un altro mondo. Voi sapete che la liturgia si svolge tutta socialmente; la liturgia non è la preghiera arida che ha lo stesso andamento, sia che sia detta da uno, sia che sia detta da molti. No, la preghiera liturgica è tutta distribuita: c’è una parte che deve fare soltanto il celebrante, presidente deli assemblea; ci sono parti che debbono fare i suoi ministri; c’è una parte che deve fare il popolo; c’è una parte che debbono fare quelli che cantano, e tra quelli che cantano ce ne sono alcuni che debbono fare i solisti; ci sono i canti antifonici, ci sono i canti responsoriali. È un variare continuamente. Non è mai il semplice unisono, non è mai il suono monocorde; è sempre la pluralità dell’azione. E mentre si snoda la preghiera, si snoda il canto, si attua il simbolo, si compie l’atto di ossequio, e tutte queste cose si intrecciano; è una divina regìa, e questa divina regìa viene componendo qualche cosa, sensibilizzando qualche cosa attraverso il cristallo del simbolo, ricostruendo una realtà che è vera, che è lontana dai nostri sensi, che è al di sopra di noi e che entra divinamente ed efficacemente nella nostra vita. È un altro mondo nel quale, è il caso di dire, molte volte noi troviamo l’unico rifugio dall’amara, arida, oscura esperienza di questo mondo: là dove tutto viene assunto, dalle arti, dalla letteratura, dal canto, dalla profezia, dalla patristica, dove entrano i sermoni e dove entrano gli slanci della poesia, tutto viene assunto e viene assunto in una luce altissima, in una aspirazione, come se la pesantezza del mondo si fosse allontanata per lasciare soltanto lo sfogo verso l’alto e l’anticipata esperienza di realtà eterne. Nella divina liturgia noi troviamo la famiglia di Dio. – Ma veniamo a una terza considerazione. La liturgia ha non soltanto lo scopo di renderci presente un mondo che sta al di là di noi e nel quale si decidono le nostre sorti, e farcelo gustare attraverso il simbolo e lo slancio dell’anima e la purificazione dell’anima; ma ha anche lo scopo di farci perennemente rivivere qualche cosa che è stato nella storia. Il passato ritorna tutto, nella liturgia, quasi a garantire che della storia degli uomini non cade nulla. Anche il loro male si trasformerà nella purificazione della penitenza. Quando noi pensiamo che è il tempo in cui si vive in terra che costituisce il merito di cui si vivrà in cielo, si capisce come tutta la storia sarà presente per tutta l’eternità, perché là io avrò quel grado di gloria per quel momento meritorio che ho vissuto quaggiù. E mentre alla nostra pochezza è dato soltanto di coprire la gran parte del passato con l’oblio e col silenzio, davanti a Dio tutto ritorna. Ed è per questo che, come sarà in cielo, così in una forma certo infinitamente lontana ma che già la echeggia, la storia ritorna tutta nella divina liturgia. Ed è per noi un anticipato invito a quello che sarà un giorno la vera ed eterna conversatio in cœlis, quando avremo raggiunto la pace e la gloria. – Voi sapete che la liturgia si svolge su tre cicli: 1° il ciclo ebdomadario; 2° il ciclo temporale; 3° il ciclo santorale. E tutti e tre hanno un grande significato. Il primo, il ciclo ebdomadario, si svolge dalla domenica, col quale si apre, al sabato di tutte le settimane. E l’anima del ciclo ebdomadario è il Salterio. In questo ciclo ebdomadario si recitano o si cantano tutti i 150 salmi del Salterio detto davidico. E cioè, attraverso questo ciclo ebdomadario, che cosa ritorna? Notate che è imperniato essenzialmente sui salmi, non sul rimanente. Che cosa ritorna? Ritorna la ispirazione profetica dell’attesa di Gesù Cristo, il mondo che l’aspetta. Lo aspettava allora, anche senza saperlo; lo aspetta oggi sempre senza saperlo. In fondo a ogni peccatore, a ogni distratto, a ogni miscredente c’è sempre un’anima che aspetta: l’aspettativa, la sete, che è portata dalla stessa condizione di deserto in cui molte volte deve svolgersi la nostra vita. – Il Salterio, ciclo ebdomadario, ci porta l’attesa; non solo l’attesa messianica, ma l’attesa di chi ancora non ha e attende. È sempre l’aspirazione alla vittoria sui propri nemici, alla pace nelle proprie disgrazie, alla presenza di Dio contro l’aridità della vita, all’aiuto del Signore contro la sperimentata debolezza della nostra esistenza. Il Salterio è tutto su questi motivi, i motivi che costituiscono l’incarnazione più propria del dramma umano, che fu potente prima di Gesù Cristo, perché Gesù Cristo non c’era, perché non c’era ancora la sua certezza, la sua pace e l’ampiezza della sua grazia; perché c’era soltanto la speranza di lui futuro. E questo, che fu anima della storia e che è rimasto, dopo Gesù Cristo, realtà di ogni distanza da Gesù Cristo, ritorna tutto e lo si rivive tutto. – Io penso che talvolta molti superficiali e distratti non capiscono perché si cantino i salmi. Ma questa è l’anima del mondo; è anche la tua. Non ti puoi distrarre da essa, non puoi dire: non è cosa che mi riguardi; afferra anche te; hai bisogno anche tu continuamente della stessa preghiera, della stessa aspirazione. La Chiesa non si stancherà mai di cantare i salmi. E la Chiesa da un estro melodico le cui origini si perdono nei secoli arriva a una sistemazione che è stata fatta definitiva da S. Gregorio Magno, che forse fu il più grande dei Papi e uno dei più grandi uomini. Ma quella dell’estro melodico non è il frutto di un uomo solo: è il frutto di una collettività le cui unità, i cui nomi si sono perduti ma rimane un respiro d’anime. Potete voi esprimere la nostalgia profonda, la originalità assoluta, l’incalzo mirabile degli otto toni gregoriani coi quali noi cantiamo i salmi? Talvolta la stessa modulazione dello stesso tono ritorna per una lunga serie di versetti; ma non ha mai stancato nessuno. E badate che quei toni non si cantano soltanto da pochi decenni; si cantano da 14-15 secoli per lo meno; gli stessi toni, e non hanno ancora stancato nessuno! E il ritmo dei salmi, e la melodia del coro è sempre qualche cosa di fascinoso!

– E poi viene il ciclo temporale. Temporale, da tempo. È la cosiddetta liturgia del tempo. Si chiama così, lo sapete, perché segue il calendario liturgico, ossia i grandi tempi liturgici. Incomincia col tempo natalizio, che si apre coi primi Vespri della prima domenica d’Avvento e dà inizio al nuovo anno ecclesiastico. Si apre il periodo della grande avventura dell’uomo con Dio. Il secondo tempo è intorno alla Pasqua, prima e dopo; il terzo è intorno alla Pentecoste. L’Incarnazione nel Natale, la Redenzione nella Pasqua, la Santificazione nella Pentecoste. Il primo ricostruisce tutta la venuta di Gesù Cristo, perché l’Incarnazione e Redenzione del Signore è l’unico fatto originale della storia umana. Il tempo natalizio ricostruisce questo e fa rivivere tutto nell’attesa, nel fatto della Incarnazione del Signore nostro Gesù Cristo, che non fu, ma è, perché l’unione ipostatica della natura umana con la Persona divina continua tuttora e continuerà per tutta l’eternità in Gesù Cristo. È per questo che il Natale e il suo tempo non sono una cosa lontana: sono una cosa che rimane sempre incredibilmente vicina. – Il secondo tempo ricostruisce il dramma della Passione del Salvatore nostro Gesù Cristo, e tutto ciò che l’ha preceduta e tutto ciò che l’accompagna, e tutta la storia del peccato nel mondo, che ne è la ragione accidentale; ragione per cui al principio del tempo pasquale, che comincia con la domenica di Settuagesima, si legge il libro del Genesi: la storia del peccato di origine. Incomincia col giorno delle Ceneri e arriva fino ai primi Vespri della domenica della SS. Trinità, toccando il vertice nella solennità della Pasqua, giorno che ha fatto il Signore, solennità delle solennità, Pasqua nostra, Risurrezione del Salvatore nostro Gesù Cristo. – Il terzo tempo s’incentra nella Pentecoste. Ricostruisce un fatto: la santificazione di allora. Ma la discesa dello Spirito Santo è eterna, perché la santificazione è un fatto continuo e durerà fino alla fine dei tempi. È questo il tempo della Pentecoste che, appena oltrepassata la Pentecoste e oltrepassata la festa della SS. Trinità, prende come suo colore negli apparati liturgici il verde. Ha un tono speciale. La liturgia delle domeniche che seguono la Pentecoste ha un tono pacato, un tono distaccato. Prende, specialmente nei tratti poetici salmodici, responsoriali, antifonici, un tono sereno e anche leggermente malinconico, ma di quella malinconia che è poesia, che serve, come i tratteggi neri, a far risaltare il campo del colore chiaro e della luce. E pare che riprendano tutta l’aspettativa della gloria eterna. E così si arriva a saldarsi con  l’anno nuovo, col quale ricomincerà il tempo natalizio. E si rivive tutta questa divina storia, questa divina avventura che è stata negli uomini, che è stata tra gli uomini, che rimane al di sopra degli uomini, che resta sempre la grande travatura della storia degli uomini e rimane per gli uomini l’unico cammino della loro speranza.

– E c’è il terzo ciclo: è il santorale, il ciclo che ricorda i Santi. Mentre il temporale ricorda la Redenzione, Dio, Gesù Cristo, Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, ed è la grande travatura della liturgia, il santorale ha un altro andamento. Comincia anche quello con la prima domenica d’Avvento e normalmente, quando il calendario non lo lascia fuori, con la festa di S. Andrea Apostolo. E ricorda i santi; la Vergine soprattutto, perché questo ciclo è punteggiato tutto delle feste della Vergine SS. La principale è la festa della Assunta; l’altra, molto solenne, è la festa della Immacolata. Sono queste due le massime. Voi sapete che le altre feste della Vergine hanno avuto un’origine: momenti di disdetta, momenti di disgrazia, rifugio del popolo cristiano nelle pieghe del manto della Madonna per salvarsi e poi per ricordarsene e dirle grazie. – Il santorale comprende poi le feste dei Santi. Il gruppo degli Apostoli rimane imperterrito, « fundamentum veritatis », e nessuno lo toccherà mai. Il gruppo dei martiri della Chiesa Romana credo che nessuno oserà mai toccarlo, perché sono della Chiesa Romana, che è il fondamento di tutte le altre Chiese: « Ad hanc enim Ecclesiam omnem oportet convenire Ecclesiam », scriveva S. Ireneo nel sec. II, riassumendo la tradizione dell’Oriente e dell’Occidente. È il gruppo dei martiri più illustri della Chiesa primitiva, perché sono sempre il ricordo della nascita e dell’infanzia della Chiesa, il ricordo della sua prima e vera conquista del mondo, di cui essi sono stati gli alfieri e alla quale essi hanno intessuto un manto di porpora. E poi tutti gli altri santi, quelli più rilevati che sono venuti dopo. Ogni Chiesa particolare ricorda i suoi, perché non si possono mettere tutti, in 365 giorni, nel calendario della Chiesa universale. – Ogni ordine monastico e religioso ricorda i suoi; ogni abbazia ricorda i suoi, in modo che non si dimentichi nessuno; ma nella Chiesa universale è soltanto un gruppo: scelti. Questo gruppo potrà variare, perché man mano che si infittisce la schiera dei santi canonizzati, bisognerà pure far loro posto, e allora ci potranno essere delle riforme. E perciò non tutti rimarranno. Tornano i santi. Lasciateli tornare! Sono i nostri fratelli. Fratelli al sicuro, mentre noi al sicuro non ci siamo ancora. Fratelli vicini, fratelli che sanno, fratelli che hanno per noi una tenerezza di cui noi non abbiamo l’idea; fratelli che con la permissione divina entrano ancora, con la intercessione loro, nella nostra vita e ne diventano sostegno, corroboramento, conforto. Lasciateli entrare: la loro storia è la storia più bella, l’unica storia pulita che abbia il mondo. Osservate che cosa si vive in tutto questo: il dramma che è nel ciclo della settimana un giorno lo rivivremo in cielo; guardando nell’eterna realtà di Dio che l’ha accolto, vedremo quello che fu. E tutto il ciclo del temporale lo canteremo in eterno, perché è il fatto della nostra salvezza, e pertanto sostanza del nostro amore. Il santorale sarà la « communio sanctorum » della gaudiosa famiglia nell’eterna pace, alla quale aspettiamo di ricongiungerci per trovare coloro che abbiamo amato. Voi capite perché la liturgia è conversatio nostra in cœlis. Che essa vi aiuti sempre, che possa essere sempre mirabile e ineguagliabile strumento di questa conversatio in cælis.