DOMENICA II DOPO L’EPIFANIA

DOMENICA II dopo l’EPIFANIA (2019)

Incipit


In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus


Ps LXV:4
Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime. [Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo.]

Ps LXV: 1-2
Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus.
[Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: canta salmi al suo nome e gloria alla sua lode.]


Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime.
[Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui coeléstia simul et terréna moderáris: supplicatiónes pópuli tui cleménter exáudi; et pacem tuam nostris concéde tempóribus.
[O Dio onnipotente ed eterno, che governi cielo e terra, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo e concedi ai nostri giorni la tua pace.]

Lectio


Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 6-16
“Fratres: Habéntes donatiónes secúndum grátiam, quæ data est nobis, differéntes: sive prophétiam secúndum ratiónem fídei, sive ministérium in ministrándo, sive qui docet in doctrína, qui exhortátur in exhortándo, qui tríbuit in simplicitáte, qui præest in sollicitúdine, qui miserétur in hilaritáte. Diléctio sine simulatióne. Odiéntes malum, adhæréntes bono: Caritáte fraternitátis ínvicem diligéntes: Honóre ínvicem præveniéntes: Sollicitúdine non pigri: Spíritu fervéntes: Dómino serviéntes: Spe gaudéntes: In tribulatióne patiéntes: Oratióni instántes: Necessitátibus sanctórum communicántes: Hospitalitátem sectántes. Benedícite persequéntibus vos: benedícite, et nolíte maledícere. Gaudére cum gaudéntibus, flere cum fléntibus: Idípsum ínvicem sentiéntes: Non alta sapiéntes, sed humílibus consentiéntes
.”.

OMELIA I

[Mons. Bonomelli, Omelie, vol. I, Torino – 1899, Omelia XIII]

“Avendo noi doni differenti, secondo la grazia, che ci è stata data, se abbiamo la profezia, adoperiamoci a proporzione della fede; se abbiamo il ministero, attendiamo al ministero; se il magistero, attendiamo ad insegnare. Colui che esorta, attenda ad esortare; chi distribuisce, lo faccia con semplicità; colui che presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere pietose, si presti con ilarità. La carità sia senza simulazione: abborrite il male, attenetevi al bene. Amatevi fraternamente: prevenitevi gli uni gli altri nel rendervi onore. Non siate pigri: siate ferventi nello spirito, dedicati al servizio di Dio, allegri nella speranza, costanti nelle afflizioni, perseveranti nell’orazione, partecipi ai bisogni dei santi, facili alla ospitalità. Benedite quelli che vi perseguitano: benediteli e non vogliate maledirli. “Rallegrate vi con chi è allegro, piangete con chi piange. Abbiate tra voi uno stesso sentimento, non rivolgete l’animo a cose alte, ma acconciatevi alle basse „ (Rom. cap. XII, vers. 6-16).

Questo tratto della epistola ai Romani segue immediatamente a quello che vi spiegai nell’omelia XI e non è che una serie di sentenze morali d’una bellezza veramente stupenda. Esse erompono dall’anima ardente dell’Apostolo con una foga, con una facilità ed efficacia incomparabile. Se queste massime sì sublimi e sì semplici, che rispondono a meraviglia a ciò che vi ha di più intimo e più nobile nella nostra natura, fossero cadute sotto gli occhi di Platone, di Aristotele, di Cicerone e di tanti filosofi pagani, quale stupore ne avrebbero avuto? Con quale entusiasmo le avrebbero abbracciate? Noi le abbiamo sotto gli occhi e negli orecchi ogni giorno e per poco non vi poniamo mente! Nati in mezzo alla luce, non ne comprendiamo il pregio: educati con queste santissime verità, non ne apprezziamo debitamente) l’altezza. Oggi veniamole considerando partitamente e con amore e ne rileveremo la bellezza. – S. Paolo dopo aver fatto osservare, che la Chiesa è somigliante al corpo umano, il quale è uno solo, ma ha molte membra differenti, con differenti uffici, tra loro armonicamente! coordinati, prosegue, e dice: “Avendo noi doni differenti, secondo la grazia, che ci è stata data, se abbiamo la profezia, adoperiamoci a proporzione della fede. „ Il sole è uno solo, eppure crea una varietà sterminata di  colori secondo la natura degli oggetti che illumina: così Dio, che è uno e semplicissimo, produce nelle anime una varietà prodigiosa di doni, che mostrano la grandezza e fecondità inesauribile del donatore. Ciascuno di noi ha i suoi doni particolari? Usiamone. Hai tu il dono della profezia? Qui il dono della profezia non significa propriamente annunziare le cose future, ma la facoltà di parlare delle cose spettanti alla religione. Ebbene: l’adopera nella misura che l’hai ricevuto, secondo le tue forze. “Se abbiamo il ministero, segue l’Apostolo, attendiamo al ministero.„ Abbiamo cioè 1’ufficio di presiedere, di governare? Adempiamolo come si deve. — Se abbiamo il magistero, ossia l’ufficio di ammaestrare, e questo facciamo meglio che per noi si possa. — Colui che esorta, ossia che eccita i fratelli a fuggire il vizio ed a praticare la virtù, vi metta tutto lo zelo. — Chi distribuisce, chi largheggia in elemosine, lo faccia con semplicità, allontanando ogni fine men retto e men nobile, intendendo solo di soccorrere il fratello e far cosa grata a Dio. — Chi presiede e regge altri, faccia il suo dovere con diligenza. — Nella Chiesa vi sono molti ed alti uffici: quelli che li tengono, devono ricordarsi che gli uffici non hanno per scopo di accumulare ricchezze, ricevere omaggi, ritrarne comodi ed onori, ma sì hanno per fine proprio ed immediato il bene delle anime e la salute loro eterna e perciò si vogliono adempire con ogni diligenza. — Chi fa opere pietose, scrive S. Paolo, si presti con ilarità. — Che bella e cara espressione! Soccorri tu il povero? Conforti tu l’afflitto? Ammaestri l’ignorante? Consigli il timido e vacillante? Visiti l’infermo ed eserciti qualunque opera di carità? E a tutto questo col volto ilare e contento, perché così vuole Iddio: Hilarem datorem dilìgit Deus, e perché così l’opera tua sarà più efficace e gradita. Vedi queste Suore di carità che giorno e notte si aggirano per gli ospedali, che vanno da un letto all’altro: che hanno sempre sotto gli occhi lo spettacolo delle miserie umane: esse hanno sempre serena la fronte, il sorriso sulle labbra, la parola soave, l’occhio pieno d’amore: eccovi, o cari, ciò che vuole S. Paolo allorché comanda: “Chi fa opere pietose si presti con ilarità. „ Prosegue l’Apostolo: “La carità sia senza simulazione. Via la finzione, via l’ipocrisia sì nelle parole come negli atti e la nostra carità sia schietta, piena di candore. E qui l’Apostolo, quasi volesse condensare tutto ciò che ha detto e gli resta a dire, esclama: “Abborrite il male, attenetevi al bene. „ Pareva che qui l’Apostolo dovesse por fine alle sue esortazioni ed ai suoi documenti; no. Egli è simile ad un padre amoroso, che non vuole che il bene dei suoi figli ed aggiunge alle esortazioni le preghiere, ai ricordi i comandi e allorché sembra abbia finito, ripiglia da capo: il suo cuore non dice mai: Basta! – E invero qui S. Paolo comincia un’altra esortazione, come se nulla avesse detto. Uditelo: “Amatevi fraternamente. „ È il precetto nuovo, che Gesù Cristo portò sulla terra, Egli, che disse agli apostoli e in loro a tutti gli uomini quella sublime sentenza: ” Vos autem fratres estis — Voi siete fratelli. „ Dunque “come fratelli amatevi. „ Vi furono uomini, che scrissero sulla loro bandiera, come se fosse stata una loro scoperta, questa parola: “Fratellanza,„ imbrattandola tosto di sangue. Ignoravano essi che Gesù Cristo diciotto secoli innanzi l’aveva proclamata: Vos autem fratres, estis, e qui S. Paolo la ripete: Charitate fraternitatis invicem diligentes? Non era possibile. Lo sapevano; ma volevano arrogarsi il vanto d’aver trovata quella sublime dottrina. O cari! più che delle parole e delle vane proteste di fratellanza, siamo solleciti di mostrare le opere della fratellanza, “rispettandoci, amandoci, compatendoci e soccorrendoci a vicenda. „ La carità fraterna è una radice feconda: da essa derivano non solo le opere, ma le parole e perfino quelle convenienze del vivere quieto ed onesto, che alimentano il rispetto reciproco e la mutua benevolenza. Ecco ciò che voleva dire S. Paolo nelle parole sì belle, che seguono: “Prevenitevi gli uni gli altri nel rendervi onore. „ Sì; se la carità regnerà nei nostri cuori ed informerà tutti i nostri atti, ci guarderemo da far cosa che spiaccia ai fratelli e faremo ciò che loro torna gradito e sarà una nobile e santa gara in prevenirci, rendendoci onore gli uni gli altri. E ciò che altrove inculca lo stesso Apostolo scrivendo: “Per umiltà, ciascuno di voi pregiando gli altri più che se stesso — Humilìtate… invicem superiores arbitrantes. „ Dite, o carissimi, il codice di Gesù Cristo, che si compendia nella carità, non è desso anche un perfetto codice di educazione e civiltà sociale? “Non siate pigri, „ soggiunge l’Apostolo; s’intende nei vostri doveri, ma ferventi nello spirito, „ pronti, alacri per il fuoco della carità, acceso in voi dallo Spirito Santo, intesi ad una cosa sola, a servire cioè al Signore, fine ultimo di tutte le opere vostre. – Né qui si ferma S. Paolo, ma, trasportato dall’impeto della sua carità, con una rapidità mirabile accumula verità pratiche sopra verità pratiche, con una concisione ben più grande e sostanziosa di quella di Tacito. “Allegri nella speranza, costanti nelle afflizioni, perseveranti nella preghiera. „ La speranza della mercede rallegra il contadino, che suda sul campo, l’operaio che lavora nell’officina, il mercante che viaggia; e la speranza del premio del cielo fa brillare la gioia sulla fronte del cristiano, che soffre nella lotta della vita, lo tiene saldo in mezzo ai dolori. E quando egli sente venir meno le forze (e ciò non è raro), dia di piglio all’arme sì valida e sì sicura della preghiera e in essa perduri, e la vittoria sarà certa. L’Apostolo non dimentica mai che l’uomo non vive, né può vivere quaggiù isolato: che egli ha dei rapporti e continui ed intimi coi suoi fratelli, ed eccolo di nuovo a ricordarli sotto un’altra forma: “Siate partecipi ai bisogni dei santi, facili alla ospitalità. „ Fate che i bisogni, le necessità di tutti siano comuni a voi, siano come se fossero vostre, e particolarmente quelle dei santi, dei vostri fratelli nella fede, chiamati ad essere santi e, se sono pellegrini, offrite loro l’ospitalità. – La facondia santa dell’Apostolo continua: “Benedite quelli che vi perseguitano, e non vogliate maledirli. „ Quale sentenza! Qual precetto! È qui che la carità di Gesù Cristo tocca il sommo della perfezione. Amare operosamente tutti gli uomini; amare gli stranieri, come fratelli, è già gran cosa, ignota a tutto il mondo pagano; ma amare anche i nemici, benedire perfino quelli che ci perseguitano, beneficarli, se è possibile, è cosa che trascende al tutto l’umano comprendimento, e questo solo precetto (giacche l’amore dei nemici non è consiglio, ma precetto) basta a provare l’origine sovraumana del Vangelo. Qualunque uomo, sia pur buono e virtuoso, deve avere più o meno dei malevoli, degli invidiosi, dei nemici. Li ebbero i santi e gli Apostoli: li ebbe il Santo dei santi, Gesù Cristo; qual meraviglia, che li abbiamo noi, pieni di difetti, sì facili ad offendere il prossimo, talvolta senza volerlo? Ameremo dunque tutti i nostri nemici, o fratelli. Che fare? Ciò che qui comanda l’Apostolo: “Benedite quelli che vi perseguitano: benediteli e non vogliate maledirli. „ Gesù Cristo, dall’alto della croce, rivolto al Padre pregava per i suoi carnefici e li scusava, dicendo: “Padre, perdona loro, perché non sanno quel che si fanno. „ S. Pietro, parlando di Gesù e proponendolo qual modello, scriveva: ” Oltraggiato non oltraggiava, soffrendo non minacciava „ (I. c. II, vers. 23). Perdoniamo le offese, amiamo i nemici, rendiamo bene per male, preghiamo per essi e il buon Dio userà misericordia a tutti. Si sta sì bene, o cari, quando si perdona e si beneficano i nemici! Si gusta tal pace, si sente tal gioia, che la lingua non sa esprimere. È questa tal mercede che anche sola ci compensa ad usura del sacrificio compiuto in far tacere l’amor proprio ferito. – Voi potete scorrere tutti i libri dei sommi filosofi morali del paganesimo, Epitteto, M. Aurelio, Cicerone, Platone, Aristotele: voi potete investigare tutti i codici sacri delle nazioni antiche e moderne fuori del Cristianesimo. Troverete qua e là sentenze belle, ammirabili sull’amore del prossimo, sulla ospitalità, sulla elemosina, sul perdono delle offese: ma non troverete mai queste verità insieme unite, con tanta chiarezza, brevità, sicurezza e perfezione come nel Vangelo e in queste poche sentenze di S. Paolo. E perché? Ah! Perché esse non vengono dagli uomini, ma da Dio. “Rallegratevi con chi è allegro e piangete con chi piange. „ E’ la conseguenza naturale della carità e delle cose sopra inculcate dall’Apostolo. La carità unisce i cuori per guisa che il bene ed il male è comune, e perciò si gode e si soffre insieme. Se il padre vostro, la vostra madre, i vostri fratelli salgono in onore e abbondano d’ogni cosa, voi che fate? Ne siete lietissimi. Se soffrono infermi, se sono tribolati, perseguitati, che fate voi? Soffrite con essi. Perché? Perché l’amore, che a loro vi lega, fa di voi tutti quasi una sola persona e sentite tutti lo stesso dolore o lo stesso piacere. Se questo amore abbracciasse tutti gli uomini, avremmo lo stesso effetto: ci rallegreremmo con chi è allegro e piangeremmo con chi piange. – “Abbiate, conchiude l’Apostolo, lo stesso sentimento. „ Ripete in altra forma ciò che ha detto nel versetto antecedente. “E non siate con l’animo alle cose alte, ma acconciatevi alle basse. „ Non aspirate a grandezze, ad onori, a ricchezze, a quelle cose, delle quali il mondo è sì ghiotto, e che non possono far pago il nostro cuore: ricevete ciò che Iddio vi dà, e collocati in basso stato, di questo accontentatevi e sarete, per quanto lo possiamo essere quaggiù, tranquilli e felici. – Se noi studiamo la causa vera d’una gran parte dei nostri dolori e delle nostre inquietudini, che troviamo? Troviamo che fonte massima di questi dolori e di queste inquietudini è il desiderio d’aver sempre più di ciò che abbiamo: è questo il pungolo, che ci spinge innanzi e ci tormenta, è questo il nostro implacabile carnefice. I desideri non soddisfatti sono il tormento dei nostri poveri cuori; soffochiamo quei desideri, ed avremo la pace, quella pace che il mondo non conosce.

Graduale

Ps CVI: 20-21
Misit Dóminus verbum suum, et sanávit eos: et erípuit eos de intéritu eórum. [Il Signore mandò la sua parola e li risanò: li salvò dalla distruzione.]
V. Confiteántur Dómino misericórdiæ ejus: et mirabília ejus fíliis hóminum. 
[V. Diano lode al Signore le sue misericordie e le sue meraviglie in favore degli uomini. ]

Alleluja


Allelúja, allelúja

Ps CXLVIII: 2
Laudáte Dóminum, omnes Angeli ejus: laudáte eum, omnes virtútes ejus. Allelúja.
[Lodate il Signore, voi tutti suoi Angeli: lodatelo, voi tutte milizie sue. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem. [Joann II: 1-11]


In illo témpore: Núptiæ factæ sunt in Cana Galilaeæ: et erat Mater Jesu ibi.
Vocátus est autem et Jesus, et discípuli ejus ad núptias. Et deficiénte vino, dicit Mater Jesu ad eum: Vinum non habent. Et dicit ei Jesus: Quid mihi et tibi est, mulier? nondum venit hora mea. Dicit Mater ejus minístris: Quodcúmque díxerit vobis, fácite. Erant autem ibi lapídeæ hýdriæ sex pósitæ secúndum purificatiónem Judæórum, capiéntes síngulæ metrétas binas vel ternas. Dicit eis Jesus: Implete hýdrias aqua. Et implevérunt eas usque ad summum. Et dicit eis Jesus: Hauríte nunc, et ferte architriclíno. Et tulérunt. Ut autem gustávit architriclínus aquam vinum fáctam, et non sciébat unde esset, minístri autem sciébant, qui háuserant aquam: vocat sponsum architriclínus, et dicit ei: Omnis homo primum bonum vinum ponit: et cum inebriáti fúerint, tunc id, quod detérius est. Tu autem servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc fecit inítium signórum Jesus in Cana Galilaeæ: et manifestávit glóriam suam, et credidérunt in eum discípuli ejus.

OMELIA II

[Mons. Bonomelli, Omelie, ut supra, Omelia XIV]

“Si fecero delle nozze in Cana di Galilea, e la madre di Gesù era quivi. Ed anche Gesù fu invitato alle nozze coi suoi discepoli. E venuto meno il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno più vino. E Gesù le disse: Che vi è tra me e te, donna? L’ora mia non è ancora venuta. Ma la madre di lui disse ai servi: Fate quanto e gli vi dirà. Erano ivi sei pile di pietra, poste secondo l’usanza della purificazione de’ Giudei, capaci ciascuna di due o tre misure. E Gesù disse a quelli: Empite le pile di acqua: ed essi le empirono fino all’orlo. E poi Gesù disse loro: Attingete ora e portate allo scalco. Ed essi ne portarono. E come lo scalco ebbe assaggiata l’acqua diventata vino (egli non sapeva donde fosse, ma lo sapevano i servi, che avevano attinta l’acqua), chiamò lo sposo, e gli disse: Ogni uomo mette in tavola prima il buon vino e dopo che hanno bevuto largamente, serve il men buono: ma tu hai serbato il buon vino insino ad ora. Questo principio diede Gesù ai miracoli in Cana di Galilea e manifestò la gloria sua e i suoi discepoli credettero in lui.„

Gesù Cristo uscito dal deserto, dove aveva digiunato per quaranta giorni e superata la triplice tentazione, era venuto sulle rive del Giordano, dove predicava Giovanni, e di là erasi ritirato nella sua Galilea, dove cominciò la sua vita pubblica, operando il primo miracolo, narratoci da Giovanni e che or ora vi ho recitato. Il miracolo descrittoci da Giovanni non abbisogna di spiegazione; ma esso ha un’importanza specialissima, perché è operato da Gesù Cristo per secondare il desiderio della Madre e perché è uno di quei tratti evangelici rarissimi, dove si parla di Maria e si riferiscono le sue parole. “Si fecero delle nozze in Cana di Galilea, e la madre di Gesù era quivi. „ Cana era un villaggio ad un’ora da Nazaret, sulla via, se via si può dire, che conduce a Tiberiade: al presente è un gruppo di miserabili capanne di contadini, forse duecento. Vi sono due piccole chiese, l’una nella sala dove si dice essere avvenuto il miracolo, l’altra dove si dice sorgesse la casa di Natanaele o S. Bartolomeo. – In una valletta, che si trova ad oriente di Cana, si vede una misera fonte, l’unica di Cana, dove vuolsi attinta l’acqua trasmutata in vino. Chi fossero gli sposi che celebravano quelle nozze, col relativo convito d’uso antico ed universale, l’Evangelista non lo dice, né importa gran fatto il saperlo. È cosa affatto naturale supporre, che fossero congiunti o almeno amici di Maria e di Gesù, che sembra fosse invitato per riguardo della Madre, e per riguardo di Gesù furono invitati eziandio quei quattro o cinque discepoli, che l’avevano seguito, cioè Pietro, Andrea, Natanaele o Bartolomeo, che era di Cana, e Filippo. L’Evangelista ha cura di indicare il villaggio, dove si celebrarono le nozze, Cana di Galilea, per distinguerlo da un altro Cana, sui confini della Fenicia. Vedete amabile condiscendenza di Gesù Cristo! Accetta l’invito di questi sposi, che dovevano essere assai poveri, come apparisce dal fatto istesso del mancare il vino: siede a quell’umile desco con la Madre e coi discepoli, onora i poverelli e con la sua presenza, santifica quelle nozze e mostra come alla vera virtù e alla massima santità non disdica punto partecipare alle feste di famiglia, alle gioie domestiche, che siano oneste e pure. Ciascuno di noi può facilmente immaginare quale potesse essere il convito nuziale di Cana, dove sedevano Gesù e Maria ed alcuni discepoli. Quanta dignità e modestia! Quanta amabilità e soavità di modi! La letizia del convito serbava in tutti la giusta misura in ogni cosa. Dilettissimi! quanta differenza coi nostri banchetti, dove troppe volte la lingua trascorre al frizzo, alla maldicenza, al lazzo e la moderazione nel bere e nel mangiare è sbandita! – “E venuto meno il vino, la Madre di Gesù disse a lui: Non hanno più vino. „ Il banchetto doveva essere verso la fine, come si ricava dalle parole dello scalco, allorché, passando di bocca in bocca, quasi furtivamente, si sparse la notizia, che non c’era più vino. Maria raccolse tacitamente quella voce, o forse lesse la cosa sul volto dei due poveri sposi, rossi per la vergogna, e mossa a compassione dell’imbarazzo, che sentiva vivissimo in cuore, con fidanza tutta materna e con uno sguardo pieno d’amore si volse al Figlio, che le doveva essere presso, e gli disse: “Non hanno più vino. „ Ella non domanda nulla, non prega: espone al Figlio il bisogno dei due sposi: si rimette alla bontà, al cuore di Gesù, sicura che provvederà. Giovi osservare, che Maria si fa interceditrice presso il Figlio a favore dei due sposi, senza esserne richiesta da loro o da altri, unicamente mossa dalla pietà e dalla tenerezza del suo cuore. Questo solo fatto vi mostra qual era il cuore di Maria. Che se tanta pietà sentì per quei due sposi e per un bisogno materiale tantoché si fece loro mediatrice, ancorché non richiesta, che farà Ella alla vista di tante nostre miserie spirituali e da noi pregata? – Che rispose Gesù alle parole della Madre? “Che vi è tra te e me, donna? L’ora mia non è ancora venuta. „ Se voi considerate superficialmente questa risposta, sareste tentati di vedervi una cotale irriverenza; ma tolga il cielo che noi pur sospettiamo, Cristo essere venuto meno alla riverenza dovuta alla Madre, o la Madre aver meritato un rimprovero. Più volte troviamo questa maniera di esprimersi nei Libri santi ( II dei Re , capo XVI, 10; XIX, 22; II Paral., XXXV, 21), e significa semplicemente: Questa cosa non appartiene a te, non ci hai che fare, ecc. Se noi pronunciamo queste parole seccamente, con ira o dispetto, certo suonano offensive e irriverenti; ma se le pronunciamo con accento di confidenza e con volto sorridente, non hanno nulla di duro o di sprezzante, e così le dovette pronunciare Gesù Cristo, massimamente se consideriamo che senz’altro fece pago il desiderio della Madre. In sostanza Gesù Cristo volle dire: Tu, o Madre, mi chiedi un miracolo; questo è opera della divina natura, che ricevo dal Padre, non dell’umana, che ho da te: perciò in questo tu non hai diritto alcuno; in ciò devo stare al volere del Padre mio, e l’ora di fare il miracolo non è ancor venuta. Né vi rechi meraviglia, che Gesù chiami Maria, non col dolce nome di madre, ma sì di “Donna”. In quel caso Egli volle far comprendere che i diritti suoi di Madre cessavano per dar luogo al solo volere del Padre. Del resto, e presso gli antichi ed anche presso alcuni moderni, i figli talvolta chiamano la madre col nome di signora per mostrare il rispetto. Bisogna dire che Gesù Cristo aggiungesse altre parole, con le quali indicava d’essere disposto a fare il desiderio della Madre, perché questa voltasi ai servì, disse loro: Fate ciò ch’Egli vi dirà. “Erano ivi sei pile di pietra, poste secondo l’usanza della purificazione dei Giudei, capaci ciascuna di due otre misure. „ – Usavano gli Ebrei lavarsi spesso le mani e i piedi, massime prima di mangiare, e perciò in tutte le case vi erano queste pile di pietra piene di acqua. L’Evangelista ce ne dà la capacità approssimativa, dicendo che potevano contenere ciascuna due o tre misure, che è quanto dire, ragguagliata ogni cosa, circa 500 litri di acqua. Ora “Gesù disse ai servi: Riempite le pile di acqua: quelli le empirono fino all’orlo. „ Ponete mente che Gesù vuole che i servi riempiano di acqua quelle pile, affinché il miracolo sia manifesto e i servi stessi ne siano testimoni. Poiché ebbero riempite quelle pile di acqua sotto gli occhi di tutti i convitati, disse ai servi: ” Ora attingete e portate allo scalco, „ ossia a colui che presiedeva al convito, che chiamavasi architriclino, che in nostra lingua vuol dire capo dei letti, perché gli antichi, sì Romani come Ebrei, usavano pranzare e cenare mettendosi a giacere sopra piccoli letti. Il miracolo del mutamento dell’acqua in vino dovette farsi nell’atto che Gesù comandò di attingere. “Come lo scalco ebbe assaggiata l’acqua diventata vino (egli non sapeva donde fosse, ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: Ogni uomo prima mette in tavola il buon vino e poi che hanno bevuto largamente, serve il men buono; ma tu hai serbato il buon vino fino ad ora. „ Questi particolari sono riferiti dall’Evangelista all’intento di accertare il fatto del miracolo, come ciascuno facilmente comprende. E qui, o dilettissimi, fermiamoci per considerare due cose degne di tutta la vostra attenzione. Questo è il primo miracolo operato da Gesù Cristo, e con esso apre la sua vita pubblica. E da chi fu mosso ad operarlo? Da Maria, sua Madre, e mosso da Lei, allorché protestava che l’ora sua non era ancora venuta, quasi volesse dire: Per me, ora non farei il miracolo; ma poiché tu, o Madre mia, lo desideri, lo farò. Così Gesù volle lasciare a Maria, sua Madre, la gloria del primo miracolo, onde, come Ella lo introdusse nel mondo, generandolo nell’umana natura, così Ella lo introduce nella vita pubblica e lo fa conoscere, inducendolo ad operare il suo primo miracolo. E qui notate un altro fatto, che non vuolsi lasciar passare inosservato. – I miracoli di Gesù Cristo appartengono a due classi distinte: altri sono miracoli nell’ordine visibile e materiale, come la guarigione degli infermi, la risurrezione dei morti e quello di cui oggi ci occupiamo; ed altri spettano all’ordine spirituale ed invisibile, come la conversione della Maddalena, della Samaritana e via dicendo. I miracoli di questa seconda classe sono più eccellenti di quelli della prima, perché questi sono mezzi a quelli. Ora qual è il primo miracolo operato da Gesù Cristo nell’ordine spirituale? Senza dubbio, la santificazione del Precursore, narrata da S. Luca. E come, per qual mezzo Gesù Cristo, appena concepito, santificò il Battista? Per mezzo della Madre sua. Ella lo porta nella casa di Elisabetta; Ella è lo strumento, onde Gesù si vale per riempire di grazia il Precursore ed infondere lo spirito profetico nella madre di lui, come è chiaro dalle parole di lei: “Appena la voce del tuo saluto, dice a Maria, mi è pervenuta agli orecchi, il fanciullino balzò di allegrezza nel mio seno; „ ed ella, la madre, fu ripiena di Spirito santo. – Il miracolo odierno appartiene all’ordine visibile e materiale e n’è il primo, come espressamente avverte S. Giovanni. Il primo miracolo pertanto operato da Gesù Cristo nel doppio ordine visibile ed invisibile, materiale e spirituale, si deve a Maria, come interceditrice e come strumento. Quale onore, qual gloria per Maria! Quale insegnamento per noi e quale argomento della nostra fiducia in Lei, fatta dispensatrice di tutte le grazie. Gesù per Lei è fatto uomo ed entra nel mondo; per Lei accende la sua prima e più luminosa lucerna, Giovanni Battista: Ille lucerna erat lucens et ardens; per lei fa brillare illampo della sua divinità e lega a sè i primi discepoli, i quali ” credettero in Lui, „ come dice S. Giovanni. La loro fede allora non era certamente una fede perfetta e distinta nella divina Persona di Gesù Cristo, ma un po’ vaga e confusa e diremo quasi iniziale, come si fa manifesto da tutta la storia evangelica che segue. Era per altro tal fede, che fu bastevole a determinarli fin d’allora a seguirlo come Maestro. Credo anche che questo primo miracolo fosse ordinato a preparare la fede de’ suoi discepoli nel mistero dei misteri, nella S. Eucaristia, che avrebbe istituita in sul chiudersi a della sua vita pubblica, e così il principio legava al termine, all’ultima prova della infinita sua carità.

Credo…

Offertorium


Orémus

Ps LXV: 1-2; 16
Jubiláte Deo, univérsa terra: psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja
. [Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: cantate un salmo al suo nome: venite, e ascoltate, voi tutti che temete Iddio, e vi racconterò quanto Egli ha fatto per l’anima mia. Allelúia.]

Secreta


Oblata, Dómine, múnera sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda.  [Santifica, o Signore, i doni offerti, e mondaci dalle macchie dei nostri peccati.]

Communio


Joann II: 7; 8; 9; 10-11
Dicit Dóminus: Implete hýdrias aqua et ferte architriclíno. Cum gustásset architriclínus aquam vinum factam, dicit sponso: Servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc signum fecit Jesus primum coram discípulis suis. [Dice il Signore: Empite d’acqua le pile e portate al maestro di tavola. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino disse allo sposo: Hai conservato il vino migliore fino ad ora. Questo fu il primo miracolo che Gesù fece davanti ai suoi discepoli.]

Postcommunio


Oremus.
Augeátur in nobis, quǽsumus, Dómine, tuæ virtútis operatio: ut divínis vegetáti sacraméntis, ad eórum promíssa capiénda, tuo múnere præparémur.
[Cresca in noi, o Signore, Te ne preghiamo, l’opera della tua potenza: affinché, nutriti dai divini sacramenti, possiamo divenire degni, per tua grazia, di raccoglierne i frutti promessi.]

LO SCUDO DELLA FEDE (XLVI)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XLVI

IL PURGATORIO.

Il dogma del purgatorio. — desso un luogo determinato e fisso? — Quali ne sono le pene e qual è la loro durata? — Il purgatorio non è forse invenzione dei preti? — Non si fanno per esso dei traffici indegni sulla celebrazione della Messa?

— E passando ora a quella parte della Chiesa chiamata purgante, mi dica un po’ qual è propriamente il dogma del purgatorio, che la Chiesa ci propone e che noi dobbiamo credere per essere veri Cristiani?

Eccolo: esso si può esprimere in queste semplici parole: « Esiste un purgatorio, in cui le anime dei fedeli morti in istato di grazia, ma con peccati veniali o senza aver compiuta la penitenza dovuta sia ai peccati veniali, sia ai peccati mortali perdonati quanto alla colpe e alla pena eterna, sono purificate e scontano del tutto la pena temporale; e a queste anime noi possiamo recar sollievo per mezzo dei nostri suffragi, e specialmente col sacrificio della santa Messa ».

— Il Purgatorio è desso veramente un luogo determinato e fisso, oppure è uno stato particolare delle anime dei defunti, le quali soffrono in qualsiasi luogo di questo mondo piaccia a Dio?

La sentenza più comune è più probabile è che il purgatorio sia veramente un luogo determinato e fisso. Così la pensano S. Bernardo, S. Tommaso d’Aquino, S. Bonaventura, il Suarez e molti altri. La liturgia Cattolica chiama il purgatorio col nome di inferno, di lago profondo, di tartaro, di luogo oscuro, di bocca del leone; ma tali parole non vogliono significare altro che luogo incognito e pieno di tormenti e di privazione. Epperò quando la Chiesa invoca Iddio a favore di quelle anime, dicendo: Libera eas de pœnis inferni, de profundo lacu, le ore leonis, ne absorbeat eas tartarus, ne cadant in obscurum, non intende far altro che supplicare la divina misericordia, che si degni di liberare dalle pene del purgatorio quelle anime giuste e riceverle fra gli splendori immortali della gloria celeste. Tuttavia benché sia più probabile che si trovi pel purgatorio un luogo fisso e determinato, dove vadano e siano rilegate le buone anime dei defunti, non creerebbe nessuna difficoltà il dire, come fanno S. Gregorio Magno, S. Pier Damiani ed altri Santi, in alcuni loro racconti, che qualcuna di quelle anime per disposizione particolare di Dio, debba scontare altrove la sua penitenza. Non accade forse lo stesso presso i governi di questo mondo? Anch’essi hanno i loro carceri, ove di legge ordinaria si rinchiudono tutti i condannati -, ma questo non impedisce, che taluno di essi sia talvolta per qualche ragione speciale mandato altrove ad espiare la sua pena, in una cittadella, o su di una nave, o in un ospedale, o in altro luogo particolare. – Adunque può essere benissimo che per ragioni da Dio conosciute le anime del purgatorio errino qua e là nel nostro mondo, si trovino in qualche luogo particolare di esso, entrino persino nelle nostre abitazioni, ma ciò deve essere una eccezione, e probabilmente eccezione molto rara. Ed ecco, mio caro, tutto ciò che secondo l’insegnamento dei sacri dottori si può dire intorno al luogo del purgatorio. Il fare noi altri ricerche ed ipotesi sono cose al tutto inutili e pericolose. Poiché adunque Iddio non volle rivelare dove sia il purgatorio, ci basti sapere e credere quello che Egli ci ha rivelato, che cioè il purgatorio esiste.

Bisogna credere che le anime vi soffrono la privazione temporaria di Dio. È poi dottrina universale della Chiesa, benché non definita, che vi soffrano pure la pena del fuoco.

— Come mai le anime purganti essendo separate dai loro corpi possono soffrire la pena del fuoco?

Ciò anzitutto non si può dimostrare che sia impossibile. Ma quando pure alla ragione umana sembrasse tale, è certo che Iddio con la sua onnipotenza può anche far questo, che le anime benché prive del corpo soffrano, come accade certamente per i demoni nell’inferno, ancorché siano spiriti privi di corpo e per le anime dannate prima dell’universale giudizio. Senza alcun dubbio le anime purganti per essere anime separate dal corpo soffrono in un modo affatto diverso da quello, con cui soffriamo noi nel mondo, ma precisamente perché noi non abbiamo alcuna esperienza, né alcuna idea di un tal modo di soffrire, non possiamo dire nulla del medesimo.

— È vero che le pene del purgatorio siano eguali a quelle dell’inferno?

Potranno essere somiglianti per l’intensità, ma per la loro durata solo temporaria, e per lo scopo a cui servono, e per l’effetto che producono di purificare le anime sono così diverse da quelle dell’inferno, da costituire tra se stesse e quelle un vero oceano di separazione e di distanza.

— È giusto quello che pensano taluni, che le anime del. purgatorio, come i dannati dell’inferno si abbandonino a lamenti, a gridi, ad urli e simili?

Ciò è falsissimo. Le anime del purgatorio amano Iddio di un amore ardentissimo, epperò conformano pienamente la loro volontà alla sua, ed altro non vogliono che purificarsi in quel modo che piace a Dio, e a ciò si adattano con ineffabile piacere. Epperò ha ben ragione il nostro sommo poeta, Dante, quando dipingendo con profonda verità teologica lo stato delle anime del purgatorio, parla dei dolci assenzi, dei dolci martirii, del patire che dovrebbesi chiamare gioire e pone in bocca a quelle anime non grida di dolore, ma soltanto preghiere, sospiri e teneri lamenti.

— E per quanto tempo le anime del purgatorio dovranno soffrirne le pene?

Anche a questa domanda non si può dare una risposta precisa. Tuttavia la stessa ragione insegna che la durata delle pene del purgatorio non è eguale per tutti, ma bensì più o meno lunga a seconda dei diversi demeriti delle anime. Così è certo, come ci insegna la Chiesa, che le pene del purgatorio non si estenderanno al di là del giorno del giudizio, perché in quel giorno Gesù Cristo condurrà seco in paradiso tutti i giusti, epperò a quelli che moriranno negli ultimi tempi e dovrebbero fare un lungo purgatorio, Iddio regolerà per la necessaria riparazione. Ma all’infuori di ciò nulla possiamo precisare.

— Ma io ho inteso più volte a dire che il purgatorio è un’invenzione dei preti, anzi la loro bottega.

Così dicono gl’increduli e i protestanti. Ma chi si compiaccia per poco studiare questo punto di dottrina non verrà forse a conoscere che sempre, da per tutto, presso tutti i popoli vi è stata questa credenza? Gli uomini dei diversi tempi e dei diversi luoghi del mondo, come insegna il Bellarmino, hanno potuto con le favole di loro invenzione intendere e spiegare in modo diverso l’esistenza del Purgatorio, come hanno fatto per ciò che riguarda l’esistenza di Dio e l’esistenza del Paradiso e dell’Inferno: tuttavia tutti si sono accordati nella verità sostanziale di questo dogma, tutti cioè hanno riconosciuto esservi un luogo dove le anime dei trapassati, non ancora del tutto pure, si vanno purgando delle loro colpe, e che i viventi della terra possono venir loro in aiuto.

— Ad ogni modo però del purgatorio non si parla affatto nelle Sacre Scritture.

Sì, i protestanti dicono anche questo, ma per dar valore alla loro asserzione sai che cosa hanno fatto? Oltre all’avere contestata la forza dimostrativa di vari passi della Scrittura relativi a questo dogma, hanno tolto persino dalla medesima il Libro dei Maccabei, che ne parla nel modo più esplicito. Di fatti ivi si narra che Giuda Maccabeo dopo una battaglia campale ordinò una colletta fra i superstiti, che fruttò 12000 dramme di argento, 6000 lire all’incirca della nostra moneta, colletta che mandò al tempio di Gerusalemme, perché là si facessero sacrifici pei defunti, ritenendo esser cosa santa e salutare il pregare per i morti, affinché siano sciolti dai loro peccati.

— Ma perché Gesù Cristo non ne ha parlato Egli espressamente nel suo Vangelo?

Essendo questa una dottrina già universalmente creduta, non occorreva che egli ne parlasse in modo esplicito. Tuttavia ne parlò in modo implicito. Al capo XIII del Vangelo di S. Matteo indicando certa bestemmia ingiuriosa allo Spirito Santo, dice che è tale peccato, che non solo non verrà perdonato. nella vita presente, ma neanche nella futura. Vi sono adunque secondo l’insegnamento di Gesù Cristo dei peccati, che per non essere gravi, sono rimessi nella vita futura, epperciò secondo questo stesso insegnamento vi deve essere un luogo, dove con la espiazione del peccato questa remissione vien fatta. Non ti pare?

— Ciò è chiarissimo.

D’altronde la stessa ragione dimostra la esistenza del purgatorio.

— E come?

Se le anime che passano di questa vita con soli peccati veniali o senza aver fatta una adeguata penitenza delle colpe gravi, di cui furono perdonate, non possono assolutamente entrare in paradiso, dove non entra alcunché di macchiato, e non debbono essere dannate all’inferno, non apparisce chiaro dovervi essere un luogo di mezzo, ove passino a purificarsi e a scontare la loro pena temporale?

— Certamente. E dopo tutto non si capisce come il protestantesimo neghi questo dogma, che alla fin fine torna pure di grande consolazione e di vivo conforto al nostro cuore. Ma ho pur inteso a dire che la Chiesa Cattolica ha inventato il purgatorio per far celebrare delle Messe e così arricchire i suoi preti.

Senza dubbio, di redola ordinaria quando il Cristiano vuole che un sacerdote celebri delle sante Messe secondo la sua intenzione, o per ottenere delle grazie per sé, o per la sua famiglia, o per i suoi amici e conoscenti, o per suffragare le anime del purgatorio, allora dà al sacerdote una conveniente elemosina (e dico elemosina e non paga, perché la paga si dà per ciò che si vende, ma non si potrà vendere giammai la santa Messa); ma il Cristiano dando al Sacerdote la elemosina in compenso della celebrazione della Messa secondo la sua intenzione fa né più né meno di quello che è conforme alla giustizia. Poiché essendo ammessa e dovendosi ammettere la Religione, e non essendovi la Religione senza il Sacerdote, perché il Sacerdote rimanga nel suo stato e possa compiere gli uffici sacerdotali, deve egli pure avere i mezzi per campar la vita. Ciò è chiaro come il sole, e costituisce pel Sacerdote un indiscutibile diritto. E però l’apostolo S. Paolo, al quale sì spesso a proposito ed a sproposito ricorrono i protestanti, appoggiandosi al diritto delle genti, alla ragione naturale ed alle consuetudini dell’antica Sinagoga degli Ebrei, dice esplicitamente, che il Sacerdote deve pur vivere del suo ministero (V. Lettera la ai Corinti, capo IX, versetti 4, 14). E forsechè i ministri protestanti, i pastori evangelici, non si valgano di questo diritto? Forsechè rifiutino essi le belle sterline, con cui sono pagati per la semplice lettura e interpretazione della Bibbia? La elemosina pertanto, che si dà al sacerdote per la celebrazione della santa Messa, è un giusto e necessario compenso che gli si deve, affinché egli abbia anche per questo il mezzo, onde campare onestamente la vita. Questa elemosina, a seconda della condizione del Cristiano, che la dà, può essere talvolta senza dubbio maggiore di quella minima, che i Vescovi per giuste convenienze prescrivono, e servire per tal guisa insieme con altri mezzi inerenti alla condizione, all’ufficio, all’ingegno del sacerdote, a costituire per lui un certo qual cespite di agiatezza. – Ma pur ammesso tutto ciò, che è senza dubbio pienamente ragionevole, io domando: È propriamente per questo fine, che la Chiesa tanto raccomanda ai fedeli di far celebrare delle Messe per le anime del purgatorio? No, assolutamente. La vera e principalissima ragione, per cui la Chiesa Cattolica fa ai fedeli tale raccomandazione, si è il sapere come fra tutti i mezzi, che Dio ci ha fornito per suffragare le anime del purgatorio, questo della santa Messa sia il più efficace.

— Ma si dice ancora che questo sistema è tutto a prò dei ricchi, che così facilmente possono liberare se stessi e i loro cari dal purgatorio, e tutto in danno dei poveri, che non potendo pagare le Messe liberatrici, debbono soffrir lo strazio di sapere che essi e i loro parenti rimarranno molto tempo a patire in purgatorio.

Anche questo è spudorata menzogna; perciocché Iddio, che è sommamente giusto e buono non esige di certo da alcuno l’impossibile, e se vi sono di coloro che non possono far celebrare delle messe per sé e a prò delle anime purganti, potranno tuttavia soccorrere se stessi e le anime del purgatorio coll’ascoltare anche solo delle Messe devotamente, e col valersi dei tanti altri mezzi, che Iddio, oltre a quello della Messa, ha posto a nostra disposizione per nostro vantaggio e per recar sollievo a quelle anime; anzi può benissimo, che il Signore, non ostante il valore intrinseco della santa Messa, faccia poi di un’altra buona opera qualsiasi di un Cristiano il quale non ha i mezzi per far celebrar Messe, che non di moltissime Messe fatte celebrare da chi alla fin fine per ragione ricchezze e de’ suoi obblighi era in dovere di farle celebrare.

— Ed ora, anche per questo dogma non ho più alcuna difficoltà nella mente.