GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 1° corso di ESERCIZI SPIRITUALI “LA PERFEZIONE” (12)

GREGORIO XVII:

IL MAGISTERO IMPEDITO

corso di ESERCIZI SPIRITUALI

LA PERFEZIONE

(12)

14. L’amore di Dio

Poiché non è possibile realizzare la perfezione cristiana senza l’amore di Dio, la carità verso Dio, è necessario che noi ne parliamo. E così, accanto allo spirito di fede, accanto allo slancio della speranza, bisogna mettere l’ordine della carità. Naturalmente io parlo dell’amore di Dio sotto il profilo di questi Santi Esercizi. Ne parlo cioè in quanto per realizzare pienamente la perfezione bisogna realizzare pienamente l’amore di Dio nella nostra vita: questo è il punto di arrivo. Ma guardate un po’, non è soltanto un punto di arrivo, è uno strumento per arrivarci. Pertanto l’amore di Dio va considerato, non solo come quello che realizziamo ora; ma quando avremo fatto tutto, lo avremo realizzato perfettamente. Bisogna realizzarlo giorno per giorno; esso è termine ed è via nello stesso tempo; lo si raggiunge avendolo; lo si aumenta usandone. Allora vi prego di tener presente le seguenti considerazioni.

Prima considerazione. Che cos’è l’amore di Dio? Cerchiamo di avere qualche idea semplice e chiara. L’amore è essenzialmente un atto di volontà, né più né meno. Quindi è un atto che si compie nella sfera dell’anima, il suo livello è l’anima. Esiste anche un amore sensitivo, ma è un’altra cosa, appartiene al numero delle passioni filosofiche; l’amore sensitivo, che è vibrazione del sentimento, vibrazione che porta ad avvicinare, ad appetire, può essere utile, come è utile il sego sullo scalo per far scivolare la nave quando deve essere varata. Ma questo non è l’amore. L’amore è un atto di volontà. E quale atto di volontà? È un atto appetitivo della volontà, ossia l’atto col quale la volontà vuole qualcosa e il bene di qualcosa. Amare una persona nel senso dignitoso e netto, senza complicanze di carattere diverso, volere bene a quella persona, volere il bene di quella persona. Amore di Dio che cosa vuol dire? Vuol dire volere Dio, tendere a Dio, volere Lui e volere il bene suo. Intendiamoci, non è che noi glielo possiamo dare, ma Lui, che è sommo Bene, diventa termine del movimento dell’anima nostra. Questo è amare Dio, ridotto così, schematicamente, semplicemente, con termini inequivocabili. Vi prego di averli presenti. Quello che io chiamo amore, cioè amore sul serio, amore non ridicolo, amore non contaminato da sentimenti e da attività che sono perfettamente impropri, accezioni assolutamente contaminanti. L’amore di Dio è questo. Il discorso non è finito. Per quale motivo si deve amare Dio? Come per l’atto di fede, ci vuole un motivo. Quale è il motivo dell’amore di Dio? È il bene stesso che è in Dio. Dio lo si ama perché è Lui il Sommo Bene. E pertanto il sommo appetibile. È la caratteristica delle virtù teologiche, che hanno per motivo Dio stesso. Nella virtù della fede è Dio rivelante il motivo dell’atto di fede; nell’atto di speranza è Dio promettente e fedele il motivo dell’atto di speranza; nell’atto d’amore è Dio Sommo Bene. Naturalmente nella dizione: Dio Sommo Bene, ci possono entrare tutte le manifestazioni con le quali Dio ha mostrato il suo amore per noi, la sua paternità e tutto quello che rientra nell’amore di Dio. – E’ per questo che l’amore di Dio è una virtù teologica. Perché non ha soltanto per oggetto Dio, ma ancora Dio per motivo unico e adeguato. Notate bene che l’amore perfetto di Dio non esclude un motivo di ordine secondario, esclude solo che quest’ultimo motivo sia primario e determinante; non esclude cioè che Dio, che si ama primamente e per sé, perché è bene in sé stesso, in secondo luogo lo si ami anche perché è bene per noi. Ma capite che se si amasse Dio soltanto perché è bene per noi, l’amore non sarebbe più puro. Sapete la distinzione che c’è tra l’amore di benevolenza e l’amore di concupiscenza. Parlo di concupiscenza in senso filosofico, non morale, evidentemente. L’amore di benevolenza si ha quando si ama una cosa per sé stessa. Ed è per questo che l’amicizia deve sempre essere di un amore di benevolenza; se non è fatta d’amore di benevolenza, è finita. – Invece l’amore di concupiscenza si ha quando una cosa si ama perché ne viene bene a noi. Quando si ama di un amore di concupiscenza, chi è che si ama? L’amante ama sé stesso. Uno vuol bene ai cuscini perché gli salvano le ginocchia, cioè vuol bene a sé stesso. Vi prego di osservare che i tre quarti dell’amore, a questo mondo, sono amori di concupiscenza; in questo senso che sono società di mutuo sfruttamento. Di amori di benevolenza ce ne sono piuttosto pochi, questo senza affatto voler diminuire i nostri simili. Molti matrimoni sono fatti d’amore di concupiscenza, è vero? Infatti durano poco. Perché l’uno ama l’altra? Perché gli viene bene. L’altra ama l’uno perché le viene bene. È fatto così questo amore di concupiscenza; è soggetto ai quarti lunari, c’è e non c’è, viene e non viene, non ha una consistenza solida. Ecco, il motivo di concupiscenza non può essere mai il primo motivo dell’amore di Dio; non può esserlo mai perché l’amore di Dio sarebbe degradato, perderebbe di essenza teologica. Noi in realtà non ameremmo Dio ma noi stessi. Non si fermerebbe a Dio il nostro amore; ritornerebbe sopra di noi e, in fondo, finiremmo con l’avere la religione di noi stessi, non la religione di Dio. Riflettete quanto sia importante decifrare, definire il motivo vero, primo, per cui si deve amare Dio. Però Dio è il più umano di tutti, non esclude che più giù, come piccola e umile appendice al primo motivo, ci possa essere anche il secondo: noi lo amiamo perché viene bene anche a noi. E lo possiamo dire questo, perché ce lo ha insegnato Lui: ci ha insegnato Lui a desiderare la vita eterna, e pertanto ci ha autorizzato a metterci anche un po’ di questo, ma sotto, in secondo piano, anche in terzo, in quarto. – C’è stata nel ‘600 una donnetta, una vedovella, una certa Guyon, che si era messa a spifferare certe sentenze sul perfetto amor di Dio che escludeva i motivi secondari; e c’è cascato anche il suo confessore, che era, nientemeno, l’Arcivescovo di Cambrai, Fénelon, il grande Fénelon. Ma le faccende sono andate male per il Vescovo e per la vedovella. Perché c’è stata la condanna di Roma. Questa storia dell’amore puro di Dio è una concezione errata; Dio stesso ha voluto che noi volessimo il nostro bene. E allora un posticino, recondito, più in giù, lo si può lasciare. Vedete la discrezione, l’equilibrio umanissimo della Chiesa! Le teorie dell’amore puro furono condannate; e là si vide la grande virtù di Fénelon, e fu il più grande gesto che egli ha fatto. Quando arrivò la condanna, fu lui che montò sul pulpito della Cattedrale di Cambrai e lesse al popolo la sua condanna dicendo: « Non potrei essere il vostro Vescovo se non incominciassi a inginocchiarmi davanti a chi è il mio superiore ». E fece fare poi un ostensorio, nel cui piede si vedeva un angelo che calpestava un suo libro nel quale era contenuto qualche riflesso delle teorie della Guyon. Questo ho voluto dirvi perché a nessuno di voi venga in mente che questo amore di Dio abbia una maschera spaventosa; no. È un atto di virtù teologica, ma è umano. Non esclude che al secondo posto si ami Dio anche per il nostro bene, perché il nostro fine, la nostra felicità e la nostra corona sarà Dio stesso. – Ma come si fa a prendere questa volontà e mandarla verso Dio? Come si fa praticamente a tenere questo arco teso verso l’infinito? Perché dire che costituzionalmente l’amore di Dio è questo, si fa presto, ma a realizzarlo! Perché quando si passa dal dire teorico al fare pratico, potrebbe sembrare che niente ci sia di più difficile che prendere la volontà e spingerla avanti, come se fosse un missile. Come si fa? Veniamo al concreto. Ce l’ha detto Nostro Signore Gesù Cristo come si fa. Per amare Dio e volere Dio, si fa quello che vuole Dio. Ecco il modo col quale questa volontà tende concretamente, praticamente, obbiettivamente verso Dio. Gesù ha detto: « Non chi dice: Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre ». E pertanto Gesù ci ha insegnato come si fa ad amare Dio e ha confermato che il primo dei precetti è questo: « Ama Dio con tutta la tua mente, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze ». Ossia saranno gli atti buoni della tua mente, della tua anima conformi alla divina volontà; sarà il pieno uso di tutte le tue forze secondo quella divina volontà che realizzerà l’attenzione, la gettata della volontà verso Dio. E questo mi pare che sia abbastanza semplice, e sicuro, perché ce l’ha detto Nostro Signore Gesù Cristo. Ma, arrivati a questo punto, noi dobbiamo preoccuparci di scendere a qualche dettaglio più pratico, perché la cosa diventi afferrabile nei dettagli dei fatti e non lasci in ombra qualche cosa che è di somma importanza. L’amore di Dio per realizzarsi deve passare attraverso gli atti concreti e conformi alla divina volontà. Ma questo impone al nostro amore di Dio di andare a passare da certe parti, e se da quelle parti non ci si passa, non si arriva lassù. E qui viene qualche cosa di duro, come ho già detto: « Chi non prende la croce e non mi segue non è degno di me ». E Gesù ha detto di sé stesso: « Io amo il Padre perché faccio la volontà del Padre » e l’ha detto a proposito della passione. Nell’orto degli Olivi ha detto: « Passi da me, se è possibile, Padre, questo calice; però non la mia, ma la tua volontà ». « È un battesimo, aveva detto un’altra volta, del quale ardo di essere battezzato », e questo battesimo era la sua croce. Ossia l’amore di Dio deve passare per il cammino della croce. Gesù continua, e il secondo comandamento è simile al primo: « Ama il prossimo tuo come te stesso ». Se l’amore di Dio non passa attraverso il prossimo, perde la strada, e a Dio non ci si arriva. Ecco, questo è il punto. Noi non amiamo Dio se non amiamo quello che vuole Dio, e Dio vuole che amiamo il nostro prossimo. Il nostro amore verso Dio è autentico quando è passato attraverso l’amore del nostro prossimo. È necessario vedere il carattere completivo dei due oggetti nei quali si ripartisce l’atto teologico della carità e dell’amore: Dio e il prossimo. Notate bene, sono tutt’e due atti di carità perché hanno lo stesso motivo. Il prossimo lo si deve amare per amore di Dio, cioè per lo stesso motivo per cui si ama Dio; e pertanto anche l’amore del prossimo è virtù teologica perché ha lo stesso motivo per cui si ama Dio. Ma se non si vede il carattere completivo dell’uno rispetto all’altro, ci si sfasciano nelle mani tutt’e due, ci si sfascia l’amore di Dio. Perché non si illuda di amare Dio chi non ama il prossimo, e non si illuda di amare il prossimo chi non ama Dio. La proposizione è reversibile, e capite perché. Se il prossimo si ama per amore di Dio, allora ce la si fa ad amare; ma se non lo si ama per amore di Dio, io vi sfido tutti a dire quanto dura. Perché, che volete mai? una parte del nostro prossimo si presenta qualche volta, a cominciare dall’esteriore, scostante: come si fa ad amarlo? Ci vuole altro! Se si ama Dio, ci si riesce, e ci vuole tutta; ma se non si ama Dio, è garantito che non ci si riesce. Sono tutte storie quelle che vanno predicando qua e là sull’umanitarismo; sono tutte sciocchezze alle quali non credono neanche loro. – Quelli che non vogliono sentir parlare nemmeno di Dio, tanto meno di amor di Dio, ridacchiano tranquilli, ma perché non amano sul serio, amano perché fa loro comodo, finché una persona abbastanza presentabile, abbastanza simpatica, abbastanza vicina. Nossignori; si deve amare anche chi è antipatico, anche chi ci ha fatto del male, i nostri avversari, i nostri nemici, i nostri assassini, anche quelli si devono amare. – Un giorno quei farisei sofisti che Gesù aveva sempre tra i piedi, gli hanno chiesto: « Ma chi è il nostro prossimo? ». Speravano che Egli, dopo aver parlato tanto del prossimo, facesse una certa cernita, e naturalmente ci mettesse loro, e poi tutti quelli che essi non amavano li escludesse. Guardate che cosa ha combinato Gesù. Ha raccontato una parabola in cui, a far la parte dell’amante del prossimo, ci ha messo un loro nemico, uno dei loro pessimi nemici, un samaritano, e a fare la parte di amato come prossimo ci ha messo un giudeo. Quelli si devono essere tagliati la lingua fra i denti. Ma Gesù ha dato loro questa risposta: Signori giudei, vostro prossimo sono i peggiori uomini che esistano al mondo, cioè i samaritani, e per farveli andar giù anche meglio, la parte bella la faccio fare a un samaritano, non a voi. Anche il peggiore degli uomini bisogna amare. – Costa, sapete, costa. Andate un po’ nel mondo, impicciatevi di tante e tante cose, vedrete come costa. Fintanto che il prossimo si vede in una comunità ordinata, anche lì ci vuole un po’ d’amore di Dio sul serio per resistere. Ma quando vi saltano fuori dei campioni, delle facce così false, dei filibustieri, dei mentitori, dei rivenditori di menzogne, delle vere canaglie negli affari, degli avversari politici, è garantito che bisogna tirar fuori l’amore di Dio e attaccarcisi con tutte e due le mani, altrimenti non ci si riesce. – Allora, che cosa è interessante qui, per arrivarci e perseverare? Fare la volontà di Dio e accettarla. Voi vedete come l’atto d’amor di Dio ha bisogno della obbedienza. Senza l’obbedienza, si sfascia l’amor di Dio nella nostra vita. Perché se non c’è questa accettazione, questo continuo piegarsi al Nostro Creatore, al nostro Padre che sta nei cieli, non si ama Dio. L’amore ha bisogno dell’obbedienza, ed è per questo che si deve fare un discorso speciale sulla virtù dell’obbedienza. Perché bisogna che nell’anima di nessuno rimanga l’equivoco che uno possa credere di amare Dio distruggendo in sé il principio della subordinazione a tutto quello che, in un modo o nell’altro, nelle persone, nei fatti, nelle leggi, nelle tradizioni, nei costumi, ci porta l’eco della divina volontà. Però se l’amore di Dio per realizzarsi ha bisogno dell’obbedienza, ha bisogno anche di un’altra cosa, ha bisogno del distacco dai beni terreni, perché è più che evidente, nella sua logica intuitiva, che un atto col quale si va verso Dio comporti l’allontanarci dalla terra. Se è atto di congiunzione tra due punti che sono distanti, avvicinarsi all’uno equivale allontanarsi dall’altro. Com’è possibile amare Dio, se non si distacca il cuore dai beni terreni? E allora l’esercizio del distacco del cuore dai beni terreni — che è certo la più grandiosa realizzazione della nostra esistenza, in quanto ci dà la vera libertà, la vera fierezza, la vera intoccabilità e la vera extraterritorialità dal mondo — diventa condizione necessaria per la sincerità dell’amore di Dio. Perché se il mio cuore se ne rimane terra terra, se io amo disordinatamente le creature, non arrivo a Dio, vado in direzione opposta. Il polo mio non è quello, io sono bell’e extrapolato, se non mi sono distaccato sufficientemente dalle creature. Voi sapete che questo distacco dalle creature non significa che si debbano disprezzare, non usare, non amare, vuol dire che devono essere ricercate non più di quello che possono essere ricercate, per amore di Dio, come ponti per arrivare a Dio, non come strade diversive da Dio. Il distacco del cuore dalle creature non vuol dire che si debbano odiare o che si debba loro negare l’amore che meritano; ma questo deve essere un mezzo per arrivare a Dio, non un tiranno sopra di noi che venga a escludere l’amore di Dio; ma queste cose terrene devono rimanere strumenti, non padroni. E pertanto il distacco del cuore dai beni terreni non è disumano, ma è soltanto un mettere ordine. Quello che è strumento deve rimanere strumento. Il mio vestito non è il padrone, è il mio vestito. Non sono io il servo del mio vestito, è il vestito che deve servire a me. È uno strumento. Se io metto tutta la gioia nel mio vestito, sono uno scemo, perché sono io che faccio da servo al mio vestito e non viceversa. È uno strumento il danaro; sta sotto, io devo star sopra. Questo deve essere il mio strumento, non il mio padrone; se comanda, se è il mio valore e la mia gioia, se apre e chiude la porta del mio cuore, se fa a me i giorni belli e brutti, se mi fa la faccia bella e brutta, se mi spinge più in là che di qua, se mi dà ordini, se mi fa diventare iracondo, violento, interessato, e io come un cagnolino eseguo tutti questi suoi ordini, sono il ridicolo, ridicolissimo servitore del mio servo. Capite che cosa vuol dire avere il cuore distaccato dai beni terreni? Non vuol dire né il disprezzo né il non uso; vuol dire tenerli al loro posto di strumenti, non di padroni. E se sono cose più nobili, come le persone, anche allora devono stare al loro posto di archi del ponte per arrivare a Dio, non di sponda alla quale io devo arrivare. Se invece di fare da archi per portarmi a Dio, fanno da sponda, allora debbo ricordarmi che il Signore ha detto: « Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me ». Tutte le cose possono essere amate per quel che sono, per quel che valgono obbiettivamente, per quella che è la loro funzione. Il distacco del cuore dai beni terreni, la povertà di spirito non è una grande rivoluzione, un atto di violenza, un gran saccheggio, una strage degli innocenti, una calata di barbari, un sacco di Roma. Niente di tutte queste cose; è semplicemente che le cose facciano quello che hanno da fare; il tappeto faccia da tappeto, io ci cammino sopra. Ricordatevi che come l’amore di Dio deve passare attraverso l’amore del prossimo, altrimenti non è degno; come deve passare attraverso la obbedienza, perché la obbedienza è quella che ci permette di fare la volontà di Dio, così deve avere come base di lancio il distacco del cuore dai beni terreni. Altrimenti noi diciamo di amare Dio, ma non è vero; ameremo noi stessi, ci illuderemo, ci metteremo davanti qualche idolo scrivendovi sopra: Dio Padre; ma è un idolo, non Dio. Questo è in concreto amare Dio. Io non vi ho parlato di sospiri: amore, amore! Sospiri languidi, infinito di qui, infinito di là, tesoro di qui, tesoro di là. Beh, se vi vengono bene, ditele pure quelle parole; ma c’è molto pericolo che queste parole facciano perdere la strada. Ecco quello che noi dobbiamo dire, con assoluta fermezza, prima di concludere la nostra meditazione: attenti! l’amore di Dio va difeso da tutte quelle modanature dolciastre di cui facilmente cerchiamo di circondarci per avere l’illusione di trovare in quelle Dio, mentre in quelle troviamo semplicemente la soddisfazione dei nostri istinti. Attenti, l’amore di Dio è una cosa di acciaio, è una cosa forte, è una cosa rude. Di natura sua, non è volto alla dilettazione. Qualche volta la porta anche; e se la porta, ringraziamone il Signore; ma non è affatto vero che dobbiamo averle le dolcezze, le esperienze superne che fanno parte della nostra patria futura. – Ricordatevi che Lutero si è rotto il collo per avere sbagliato qui; da tipo pazzoide e squilibrato com’era, s’è gettato alla mistica, lui, un frate agostiniano. E della mistica si è messo a ricercare la dilettazione divina, i gaudi del paradiso. E’ per questo che vi dico: l’amore di Dio, nel suo concetto e nella sua pratica va difeso dal sentimentalismo. L’amore di Dio è tanto più meritorio quanto più viene a essere, così permettendolo il Signore, nei momenti della nostra prova, spoglio di ogni consolazione interiore. La famosa notte oscura è uno di quei momenti a cui mi permetto di richiamare quelli che hanno letto i mistici: ma la notte oscura non occorre essere mistici per averla provata. La notte oscura sta anche al di qua del livello della mistica. Quando proprio le papille sono tutte cauterizzate e non si sente più nulla, quando pare di essere diventati sordi e non si avverte più, quando è notte fonda, senza luna e senza stelle, quando non c’è più niente che vibri, morti con una sopravvivenza puramente cerebrale, allora è la notte oscura. Oh, non occorre essere mistici per aver provato la notte oscura. Però v’avverto che sono i momenti di notte oscura quelli in cui si ama Dio sul serio. Quando non c’è proprio nessun diletto, quando tutto è volontà nuda e cruda. Allora veramente si ama Dio. S. Teresa, dopo essere entrata nel suo tirocinio, è stata per 18 anni nella notte oscura. In quegli anni ha provato persino a non credere all’esistenza di Dio. I 18 anni, come piacque a Dio, finirono, e quando finirono, essa era S. Teresa. Da allora il cammino dell’anima sua è stato trionfale, perché si è aperto, fino alla fine della vita, in una forma che è accaduta poche volte nella storia della Chiesa. Ma badate 18 anni! Viene freddo, sapete! Che cosa avremmo fatto noi? Per 18 anni, niente! Che queste mura non dicano niente, che questo altare non dica niente, che Dio non dica niente, che quel tabernacolo non dica niente, che il Crocifisso non dica più niente, niente per 18 anni. È proprio una gran santa quella! Sapete, gli spagnoli dicono che Santa Teresa si è preso un quarto del cervello di ogni donna; metà se l’è preso la Madonna, l’ultimo quarto è da dividersi fra tutte le altre. Io non accetto questo proverbio spagnolo, ma è una forma paradossale per fare l’elogio di una delle donne più grandi che abbia conosciuto il genere umano. Dico il genere umano. Anche come letterata, essa fa testo nella letteratura spagnola. Ma quei 18 anni! – Arrivare così a questo amore, difenderlo, spogliarlo da ogni cosa eterogenea e distante, liberarlo da ogni contaminazione, proteggerlo da ogni ombra, purificarlo da ogni sospetto, poterselo portare in mano per l’ultimo giorno e poter dire: Dio, Signore, Padre, io ti amo! Perché agli altri possiamo anche raccontare qualche storia, in fatto di amore, ma a Dio non possiamo raccontare storie; e allora la vita deve essere tesa a una serenità austera, ma che la innerva, che le dà fierezza, grandezza, decoro e dignità, purché si arrivi a questo atto ultimo che riassume la vita, l’amore di Dio. Il resto passerà; si spegnerà la nostra fede quando vedremo Dio; si spegnerà la nostra speranza, quando l’avremo raggiunto; ma non si spegnerà mai l’eterna carità. E pensare che questa ce la stiamo facendo ora. E allora facciamocela!

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.