TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (10)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (10)

TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia – Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO OTTAVO

LO SPIRITO SANTO PROCEDE DAL PADRE PER IL FIGLIO

Amico lettore, aguzza bene la tua mente per renderla il più possibile penetrante. Vorrei qui esporti e farti comprendere, un poco, il mistero della vita divina e, in questa vita divina, vorrei farti afferrare il mistero della processione dello Spirito Santo. Per maggior semplicità e chiarezza, procederò sotto forma di Lezione, come in un corso.

1.

Cominciamo dall’analisi di noi stessi.

L’atto proprio del nostro spirito è di concepirsi, mentre concepisce gli oggetti esterni. Se egli giunge a concepirsi il più perfettamente possibile, non è per questo diviso: resta uno. Tuttavia, in esso vi è come lo spirito-padre del pensiero e questo medesimo concetto, che è come il pensiero-figlio dello spirito. Ma ben presto lo spirito che si conosce e si contempla nel concetto che si è formato di se stesso, si sente attratto verso questo pensiero da un movimento di compiacenza e di amore. Supponiamo un istante che tale pensiero, invece di essere fuggevole, inconsistente, si sia potuto elevare a un grado di perfezione sufficiente per poter sussistere in se stesso: si volgerebbe spontaneamente con compiacenza ed amore verso lo spirito che lo ha concepito. E questo duplice movimento di amore, risultato misterioso di questa duplice corrente affettiva che andrebbe e verrebbe dal primo al secondo termine, unendoli assieme, loro reciproco amore, costituirebbe un terzo termine, distinto dal primo e dal secondo. Giungeremmo di colpo all’idea più elevata che noi uomini ci possiamo formare della Santissima Trinità.

2.

Riprendiamo la nostra analisi.

L’atto proprio del nostro spirito è di concepirsi, di esprimersi e dire se stesso, nel medesimo tempo che concepisce, esprime e dice gli oggetti esterni. Manteniamo solamente questo verbo: che esso dice. In tale dottrina abbiamo bisogno delle parole, sì, della vacuità delle parole, ed anche della loro sonorità, per elevarci spiritualmente alle grandi idee. Così, dunque se il nostro spirito giunge a dire se stesso il più perfettamente possibile, non è per questo, diviso, resta uno. Si possono tuttavia distinguersi in esso:

il principio che dice se stesso: dicens,

l’atto col quale dice se stesso: dictio,

il termine che è detto: dictum.

Questo dictum, secondo la filosofia platonica, a cui evidentemente il Vangelo di san Giovanni s’ispira, per la terminologia, è chiamato in greco λόγος [= logos], ciò che in latino si traduce con la parola verbum, il verbo.

Riferiamo a Dio.

Da tutta l’eternità Dio dice se stesso, perfettamente, adeguatamente. Dicendo se stesso così, produce il Suo Verbo. Non è per questo diviso: resta uno. Ma in Lui vi è:

Colui che dice se stesso: Dicens: è Dio Padre;

l’atto col quale Dio Padre dice se stesso dictio: è la generazione eterna del Figlio, del Verbo;

Colui che è detto: Dictum seu Verbum; è il Figlio di Dio, il Verbo eterno del Padre.

Così Dio Padre è la sostanza divina che dice se

stessa. Dio Figlio, Dio Verbo, è la sostanza divina che è detta. Questa dictio del Padre al Figlio, quando Gli dice: Tu sei mio Figlio: oggi ti ho generato, è la generazione eterna del Figlio, del Verbo. Di qui non solo la solitudine, ma l’identità della sostanza del Padre e del Figlio, la loro consustanzialità.

3.

Torniamo all’analisi di noi stessi.

L’atto proprio del nostro spirito è di concepirsi, mentre concepisce gli oggetti esterni. Se esso giunge a concepire se stesso il più perfettamente possibile non è per questo diviso, resta uno. Tuttavia in esso vi è lo spirito che si concepisce e il concetto che di se stesso si fa. Poi vi è l’atto della concezione. – Di qui derivano questi termini di « principio che concepisce », di « concezione », di « concetto », che s’incontrano in tutte le filosofie, e sono stati presi in prestito dalla generazione umana. Usiamo tali termini e cerchiamo, con essi, di afferrare il pensiero divino che racchiudono. – La generazione viene definita: Productio viventis a vivente conjuncto ad efformandam naturam specifice similem, vi productionis. Vi è generazione, quando mediante la comunicazione della propria sostanza, un vivente produce un altro vivente, che gli è specificamente simile, di una similitudine che risulta dalla produzione stessa. È ciò che avviene quando noi pensiamo. Il nostro spirito esprime se stesso più o meno completamente, E, come lo indica la parola, questa espressione è simile allo spirito che esprime se stesso. Inoltre, essa è della medesima natura spirituale. Poi, la similitudine risulta dalla stessa conoscenza. Quindi è con ragione che nell’analisi che noi facciamo del nostro pensiero, parliamo dell’intelletto come di un principio che concepisce, del pensiero come di un concetto, e chiamiamo « concezione » l’atto di pensare.

Riferiamo a Dio.

Da tutta l’eternità Dio si pensa. Dio si concepisce. E si concepisce perfettamente. Di qui, similitudine tra il principio che si pensa e il concetto che Egli si fa di se stesso. Tale similitudine viene dalla comunicazione di tutta la sostanza del principio che si pensa al concetto che di se stesso si fa. Di qui, generazione nel significato trascendente. E veramente il principio che si pensa dev’essere chiamato « Padre »; e il concetto che di se stesso si fa, dev’essere chiamato « Figlio ».

Così la generazione eterna del Verbo è trascendente, e sorpassa tutto ciò che possiamo rappresentarci. Essa non introduce, in Dio, nessuna inferiorità dal Figlio al Padre, come avviene nelle generazioni umane. Il Padre ed il Figlio sono egualmente Dio, sono egualmente il nostro solo vero Dio. Questa generazione è eterna. Essa è, è sempre stata; sempre sarà. Né cessazione o arresto: è una generazione eterna. O mistero del nostro Dio!

4.

Torniamo ancora una volta all’analisi di noi stessi.

Ma tosto, lo spirito che conosce se stesso e si contempla, nel concetto che di sé si è formato, si trova trascinato da un movimento di compiacenza e di amore verso questo pensiero. Supponiamo un istante, dicevamo, che tale pensiero invece di essere fuggevole, incostante, abbia potuto elevarsi a un grado di perfezione sufficiente per poter sussistere in se medesimo: esso si volgerebbe, spontaneamente, con compiacenza ed amore, verso lo spirito che lo ha concepito. E questo duplice movimento di amore, risultanza misteriosa di questa duplice corrente affettiva che andrebbe e verrebbe dal primo al secondo termine, unendoli assieme, loro reciproco amore, costituirebbe un terzo termine, distinto dal primo e dal secondo.

Riferiamo a Dio.

Da tutta l’eternità, Dio si pensa. Dio si concepisce. Da tutta l’eternità, in Dio, il Padre genera il Figlio. E generando il Figlio, è trascinato verso il Figlio da un movimento di compiacenza e d’amore. E, per avvicendamento, il Figlio ritorna verso il Padre con eguale movimento di compiacenza e d’amore. È lo Spirito Santo. – Quest’amore del Padre e del Figlio, del Figlio e del Padre, risulta dalla generazione eterna del Figlio dal Padre. Esso è in questa stessa generazione, a tal punto che la generazione del Figlio dà luogo all’amore reciproco del Padre e del Figlio, talmente che l’origine dello Spirito Santo è nella generazione eterna del Figlio dal Padre.

O Santo Spirito del mio Dio!

Per il mio Signor Gesù,

vieni in me,

prendimi, e conducimi a Lui!

5.

Ecco adesso la tradizione e, su questo punto preciso, anche la teologia dei Padri della Chiesa. Come si vede, lo Spirito Santo procede dal Padre come dal Figlio. Essendo il risultato della generazione eterna del Figlio, si dice che viene dal Padre per il Figlio. Egli procede. da entrambi, come diceva san Cirillo Alessandrino, ἐξ ἀμφοίν [= ex amfoin]. Ciò significa, soggiunge, che viene dal Padre per il Figlio (De recta fide, 21; P.G. 76, 1408). Sant’Agostino traduce: Spiritus Sanctus a Patre Filioque procedit (De Trinitate, l. 15, c. 17, 29; P.L. 1081).

Il Concilio di Toledo 447 introduce il Filioque nel simbolo di Nicea;

Nell’809, a Costantinopoli, dei monaci latini, cantando il simbolo in latino, accentuano assai il Filioque. Alcuni monaci greci rivolgono loro dei rimproveri. Ne segue una lotta: la cosa s’inasprisce. Carlomagno impone il Filioque in tutto l’impero. Non era questo il mezzo adatto. Infatti, non è con la forza che s’impongono le idee, anche se questa forza è quella di un imperatore cristiano potentissimo. La forza che si esercita imponendo le idee, conduce alle divisioni; in tale circostanza l’intervento di Carlomagno non fece che precipitare lo scisma greco, nel secolo IX, quella deplorevole divisione degli spiriti, se non del tutto delle credenze, nella grande famiglia cristiana. Le idee s’impongono mediante la luce che da esse emana e che su di esse facciamo riflettere, e, almeno altrettanto, per mezzo dell’amore, quell’inclinazione del cuore che suscitano nelle anime. Allora soltanto si ammettono e vi si crede.

Conclusione.

Crediamo in un solo Dio, Padre, nel significato trascendente.

Crediamo in un solo Dio, Figlio, nel significato trascendente.

Dalla generazione trascendente del Figlio, risulta o procede lo Spirito Santo. È quanto affermiamo col Filioque. – E questa risultanza, questa processione nell’amore, della generazione eterna del Figlio dal Padre, dà lo Spirito Santo.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (11)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.