SANTO NATALE – PRIMA MESSA DURANTE LA NOTTE (2021)

PRIMA MESSA del SANTO NATALE (2021)

DURANTE LA NOTTE

Doppio di I cl. con ottava privileg. di III ord. – Paramenti bianchi.

Stazione a S. Maria Maggiore all’altare del Presepe.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Il Verbo, generato nell’eternità del Padre, (Com. Grad.) ha elevato fino all’unione personale con sé il frutto benedetto del seno verginale di Maria, ciò che significa che la natura umana e la natura divina sono legate in Gesù nell’unità di una sola Persona, che è la seconda Persona della SS. Trinità. E, come quando si parla di figliolanza, è la persona che si designa, si deve dire che Gesù è il Figlio di Dio perché la sua persona è divina; è il Verbo incarnato. Perciò Maria è la Madre di Dio; non perché essa abbia generato il Verbo, ma perché ha generato l’umanità che il Verbo si è unito nel mistero dell’Incarnazione; mistero di cui la nascita di Gesù a Betlemme fu la prima manifestazione al mondo. Si comprende allora perché la Chiesa canti ogni anno a Natale: « Puer natus est nobis et Filius datus est nobis»; un fanciullo è nato per noi, un figlio ci viene dato, (Intr., Allei.). Questo Figlio è il Verbo incarnato, generato come Dio dal Padre nel giorno dell’eternità: Ego hodie genui te, e che Dio genera come uomo nel giorno dell’Incarnazione: Ego hodie genui te; perché con l’assunzione della sua umanità in Dio « assumptione humanitatis in Deum » (Simbolo di S. Atanasio), il Figlio di Maria è nato alla vita divina, ed ha Dio stesso per Padre, perché Egli è unito ipostaticamente a Dio Figlio. – «Con grande amore, dice S. Leone, il Verbo incarnato ha ingaggiato la lotta contro satana per salvarci, perché l’onnipotente Signore ha combattuto con il crudelissimo nemico non nella maestà di Dio, ma nella debolezza della nostra carne » (5a Lez.). E la vittoria che ha riportato, malgrado la sua debolezza, mostra che Egli è Dio. – Fu nel mezzo della notte, che Maria mise al mondo il Figlio primogenito e lo depose in una mangiatoia. Cosi la Messa si celebra a mezzanotte nella Basilica di S. Maria Maggiore, dove si conservano le reliquie della mangiatoia. – Questa nascita in piena notte è simbolica. È il « Dio da Dio, luce da luce » (Credo) che disperde le tenebre del peccato. « Gesù è la vera luce che viene a illuminare il mondo immerso nelle tenebre » (Or.). «Col Mistero dell’Incarnazione del Verbo, dice il Prefazio, un nuovo raggio di splendore del Padre ha brillato agli occhi della nostra anima, perché, mentre conosciamo Iddio sotto una forma visibile, possiamo esser tratti da Lui all’amore delle cose invisibili ». « La bontà del nostro Dio Salvatore si è dunque manifestata a tutti gli uomini per insegnarci a rinunciate alle cupidigie umane, per redimerci da ogni bassezza e per fare di noi un popolo gradito, e fervente di buone opere» (Ep.). «Si è fatto simile a noi perché noi diventiamo simili a Lui (Secr.) e perché dietro il suo esempio possiamo condurre una vita santa » (Postcom.). « È cosi che vivremo in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, attendendo la lieta speranza e l’avvento della gloria del nostro grande Iddio Salvatore e nostro Gesù Cristo » (Ep.). Come durante l’Avvento, la prima venuta di Gesù ci prepara dunque alla seconda.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps II:7.
Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te

(Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato).
Ps II:1
Quare fremuérunt gentes: et pópuli meditáti sunt inánia?

[Perché si agitano le genti: e i popoli ordiscono vani disegni?]

Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te.

[Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato].

Oratio

Orémus.
Deus, qui hanc sacratíssimam noctem veri lúminis fecísti illustratióne claréscere: da, quǽsumus; ut, cujus lucis mystéria in terra cognóvimus, ejus quoque gáudiis in coælo perfruámur:

[O Dio, che questa notta sacratissima hai rischiarato coi fulgori della vera Luce, concedici, Te ne preghiamo, che di Colui del quale abbiamo conosciuto in terra i misteriosi splendori, partecipiamo pure i gaudii in cielo:]

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum
Tit II: 11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc sǽculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[Carissimo: La grazia salvatrice di Dio si è manifestata per tutti gli uomini e ci ha insegnato a rinnegare l’empietà e le mondane cupidigie, e a vivere in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà, aspettando la lieta speranza e la manifestazione gloriosa del nostro grande Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli ha dato sé stesso per noi, a fine di riscattarci da ogni iniquità, e purificare per sé un popolo suo proprio, zelante per buone opere. Insegna queste cose e raccomandale: in nome del Cristo Gesù, Signore nostro.]

Aspirazione. Siate benedetto, o mio divin Salvatore, che vi siete degnato di scendere dal cielo e rivestirvi di nostra carne mortale, per venire ad insegnarmi il cammino giustizia! Riconoscente a sì grande amore e per  profittare di un sì gran benefizio, rinunzio ad ogni empietà e ad ogni inimicizia, ai piaceri della carne ed a tutte le azioni, parole, pensieri che potessero dispiacervi, e prometto fermamente di vivere con temperanza, giustizia e pietà. Deh! la vostra grazia, o mio Dio, mi renda fedele ai disegni che essa m’ispira! (Goffinè: Manuale per la santif. della Domenica, etc …)

Graduale

Ps CIX: 3; 1
Tecum princípium in die virtútis tuæ: in splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.


[Con te è il principato dal giorno della tua nascita: nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

V. Dixit Dóminus Dómino meo: Sede a dextris meis: donec ponam inimícos tuos, scabéllum pedum tuórum. Allelúja, allelúja.

[V. Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra: finché ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Allelúia, allelúia.]

Ps II:7
V. Dóminus dixit ad me: Fílius meus es tu, ego hódie génui te. Allelúja.

[V. Il Signore disse a me: tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secundum Lucam
Luc II:1-14
In illo témpore: Exiit edíctum a Cæsare Augústo, ut describerétur univérsus orbis. Hæc descríptio prima facta est a præside Sýriæ Cyríno: et ibant omnes ut profiteréntur sínguli in suam civitátem. Ascéndit autem et Joseph a Galilæa de civitáte Názareth, in Judæam in civitátem David, quæ vocatur Béthlehem: eo quod esset de domo et fámilia David, ut profiterétur cum María desponsáta sibi uxóre prægnánte. Factum est autem, cum essent ibi, impléti sunt dies, ut páreret. Et péperit fílium suum primogénitum, et pannis eum invólvit, et reclinávit eum in præsépio: quia non erat eis locus in diversório. Et pastóres erant in regióne eádem vigilántes, et custodiéntes vigílias noctis super gregem suum. Et ecce, Angelus Dómini stetit juxta illos, et cláritas Dei circumfúlsit illos, et timuérunt timóre magno. Et dixit illis Angelus: Nolíte timére: ecce enim, evangelízo vobis gáudium magnum, quod erit omni pópulo: quia natus est vobis hódie Salvátor, qui est Christus Dóminus, in civitáte David. Et hoc vobis signum: Inveniétis infántem pannis involútum, et pósitum in præsépio. Et súbito facta est cum Angelo multitúdo milítiæ coeléstis, laudántium Deum et dicéntium: Glória in altíssimis Deo, et in terra pax hóminibus bonæ voluntátis.

[In quel tempo: Uscì un editto di Cesare Augusto che ordinava di fare il censimento di tutto l’impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Quirino era preside della Siria. Recandosi ognuno a dare il nome nella propria città, anche Giuseppe, appartenente al casato ed alla famiglia di Davide, andò da Nazareth di Galilea alla città di Davide chiamata Betlemme, in Giudea, per farsi iscrivere con Maria sua sposa, ch’era incinta. E avvenne che mentre si trovavano lì, si compì per lei il tempo del parto; e partorì il suo figlio primogenito, lo fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non avevano trovato posto nell’albergo. Nello stesso paese c’erano dei pastori che pernottavano all’aperto e facevano la guardia al loro gregge. Ed ecco apparire innanzi ad essi un Angelo del Signore e la gloria del Signore circondarli di luce, sicché sbigottirono per il gran timore. L’Angelo disse loro: Non temete, perché annuncio per voi e per tutto il popolo un grande gaudio: infatti oggi nella città di Davide è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo sia per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, giacente in una mangiatoia. E d’un tratto si raccolse presso l’Angelo una schiera della Milizia celeste che lodava Iddio, dicendo: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA SANTA NOTTE

La notte tenebrosa gravava come una lunga maledizione sul mondo assopito nel sonno. Tutti dormivano: si dormiva a Roma, si dormiva a Gerusalemme, si dormiva a Betlem, dove una moltitudine era accorsa da ogni villaggio per dare il nome al censimento di Cesare Augusto. Solo qualche pastore vegliava nei dintorni, accanto a fuochi morenti, mentre custodiva il gregge. – Ed ecco squarciarsi l’oscurità e sfociare giù dall’alto fiumi di luce e tutto il cielo ardere come una fiamma e sopra i paesi assonnati passare cori invisibili, cantando parole non mai udite sopra la terra: « Gloria a Dio nei cieli più alti; pace agli uomini di buona volontà ». Balzarono attoniti i pastori vigili presso il loro branco di pecore ed una luce li investì. Nella luce videro l’Angelo fulgidissimo del Signore. Si spaventarono; ma l’Angelo disse loro: « Non temete: è una gioia grande per voi e per tutti, che noi portiamo: è nato il Salvatore ». Dunque, il tempo di piangere era finito, la maledizione era passata, la schiavitù del demonio era infranta. – « Gioia grande!» diceva l’Angelo ai pastori prostrati nella luce celeste. « Gioia grande: è nato nella città di Davide Cristo Signore. Vi dò un segno per trovarlo: vedrete un bambino involto in pochi panni, adagiato in una greppia ». Come gli Angeli sparirono, i pastori si guardarono l’un l’altro muti, poi dissero: « Andiamo a Betlem, e vedremo ». Transeamus usque in Betlehem et videamus. Lasciarono le pecore a ruminare sotto la rugiada presso i fuochi ormai spenti,e corsero.Lasciamo ogni altra cura anche noi e corriamo dietro a loro col cuore pieno di fede, col cuore pieno di gioia. Giungono, ansimanti. Et venerunt festinantes. Trovano Maria, trovano Giuseppe e, in una greppia, un Bambino. Gioia grande! Dio si è fatto bambino. La divinità offerta e l’umanità peccatrice si sono abbracciate nel corpicino di Gesù Cristo. Gaudium magnum. Adoriamo anche noi il Bambino e pensiamo: Il padrone del mondo s’è fatto povero, senza casa, senza culla. Il forte, il Dio delle armate, s’è fatto debole e infermo. L’infinito, per il quale son troppo piccoli i cieli, è raccolto in una greppia. Chi ha dato alla terra la virtù di produrre il pane, e alle piante la virtù di produrre frutti, patisce la fame.Il regolatore delle stagioni e del freddo nasce d’inverno, intirizzito dall’aria rigida.  Quelle piccole mani arrossate dalla gelida notte hanno sollevato nei cieli il sole, la luna e tutte le stelle. Ed è per noi, sapete che Dio s’è reso così; per noi Propter nos egenus factus est, cum esset dives (II Cor., VIII, 9). S’è reso così perché noi gli volessimo bene: è il pensiero di S. Pier Crisologo: « sic nasci voluit qui voluit amari ». S’è reso così perché l’imitatissimo: è il pensiero di Tertulliano: « ut homo divine agere doceretur ». Allora diciamogli, con le lacrime agli occhi: « Bambino Gesù! noi ti ameremo,noi ti imiteremo ».NOI TI Ameremo. Elena imperatrice, la madre di Costantino il grande, aveva avuto da Dio la bella missione di ritornare al culto dei fedeli i luoghi santificati dalla vita e dalla morte di Nostro Signore.Quando arrivò a Betlem ed entrò nella grotta della santa nascita, emise un grido d’indignazione. Quel luogo santo era stata profanato: al posto della greppia là dove Cristo aveva vagito per la nostra salvezza s’ergeva la statua infame di Adone. L’imperatore Adriano, acre nemico di nostra fede, con un gusto diabolico l’aveva eretta là, perché il demonio ridesse dove Cristo aveva pianto. La pia regina, con le lacrime, comandò che abbattessero quel diabolico simulacro; ed ella stessa, con le sue mani, godeva di frantumarlo. Poi vi fè edificare un sontuosissimo tempio, che custodisse quell’umile posto, scelto da Dio per venire al mondo. –  È Natale: Dio nasce nei cuori. E c’è forse qualcuno che nel suo cuore, nel luogo dove Cristo deve nascere tien eretto il simulacro del demonio, il peccato?Alessandro il Macedone per conquistarsi l’animo dei Persiani, ha voluto vestirsi come loro, imitare in tutto quelle barbare costumanze; Dio per conquistare il nostro cuore, per farsi amare dagli uomini si è fatto uomo in tutto come noi: habitu inventus ut homo; ha voluto patire come noi e più di noi, e noi non gli vogliamo bene? Noi daremo il nostro cuore al demonio, ma non a lui? Nessuno sarà così pazzo e crudele da far questo. Come Elena regina frantumiamo il peccato dentro di noi, ed una bella confessione purifichi l’anima nostra, e la nascita di Cristo segni il principio di una nuova vita d’amore, di preghiera,di purezza.« Bambino Gesù! » diciamogli sinceramente « io t’amo ».Se la nostra vita passata ci dicesse che queste parole sono una bugia, perché non siamo capaci d’amarlo con le opere, diciamogli così: « Bambino Gesù, se non ti amo, desidero però d’amarti assai ». E se anche questo non fosse vero, perché  il nostro cuore è più attaccato alla roba di questo mondo che al Signore, diciamogli almeno: « Bambino Gesù! mi piacerebbe tanto desiderare d’amarti ».NOI TI IMITEREMO. A Giovanni II, re di Portogallo, annunciarono che stava male un servo, a lui tanto caro. Il re si turbò, poi volle egli stesso scendere dal suo palazzo nella casa del servo. Nel varcare la soglia dell’ammalato, chiese, come si suole, dello stato dell’infermo. Gli risposero che il male era gravissimo, ma il peggio era che l’ammalato non si lasciava indurre a prendere medicine. Quel mattino stesso i medici gli avevano imposto una medicina amara ma tanto salutare. La prese nelle sue mani, e senza indugio, egli stesso ne bevve parecchi lunghi sorsi. Poi, accostandola alla bocca del malato gli disse: «Io il re, sanissimo, ho preso quest’amara bevanda solo per tuo amore, e tu, il servo, ammalato, non prenderai questo poco che resta per amor mio e per tua salute? ».  Il vassallo tese di slancio le mani verso la medicina, e disse: « Datemela: ora la berrei d’un fiato, foss’anche tossico ». Noi siamo servi ammalati: ammalati di superbia perché ci crediamo un gran che e siamo niente; ammalati di collera perché non vogliamo dimenticare e perdonare le offese; ammalati d’avarizia perché non pensiamo che a roba e a danaro; ammalati nella mente, nel cuore di pensieri e di desideri cattivi. È necessaria la medicina amara dell’umiliazione, della povertà, della mortificazione. Il nostro re, il Bambino Gesù, oggi è venuto a trovarci in casa nostra e ce ne dà l’esempio. Egli santissimo Dio, s’è fatto umile nel presepio, povero in una stalla, mortificato dal freddo. E noi non vorremmo portare la nostra croce? Ci lamenteremo ancora della Provvidenza? – Simone Maccabeo, una notte che conduceva l’armata contro i nemici, si trovò la strada tagliata da un torrente gonfio per le piogge recenti. I soldati s’arrestarono, poiché nessuno osava guardare in quel posto. Simone non fece parola, slanciò il cavallo nell’acqua e passò per il primo: transfretavit primus (I Macc., XVI, 6). Tutti allora gli andarono dietro. Ebbene: il nostro capitano Gesù oggi, per il primo, si slancia attraverso il torrente del dolore, della povertà, della mortificazione: a noi non resta che andargli dietro. Bambino Gesù! noi ti imiteremo. Disse l’Angelo ai pastori: « Evangelizo vobis gaudium magnum ». Vi porto una gioia grande. Lungi da noi, dunque, ogni pensiero di tristezza. Che cosa possiamo temere se il Verbo si è fatto carne, se Dio s’è fatto bambino? Quando Dio è con noi, chi può essere contro di noi? Gioia grande! – Il capitano Alfonso d’Albuquerque fu sorpreso da una procella furiosa, in mezzo al mare. La povera nave flagellata dalle onde rabbiose, squassata dal vento, cigolava in ogni connessura quasi volesse sfasciarsi. Le nubi basse e cupe avevano fatto l’oscurità sull’acque; i lampi guizzavano in quella tenebra con un bagliore di sangue. Le donne urlavano; perfino i vecchi marinai piangevano di paura. Il capitano, pazzo dal terrore, strappò dal seno d’una madre un bambino di pochi mesi, salì sulla tolda in alto, e protese verso la rabbia delle nubi quella fragile creaturina: «E se, — diceva — siam tutti peccatori, questo bimbo, o Dio, risparmialo perché è senza peccati ». Subito tacque il vento, si chetò l’acqua, s’aperse il cielo: e attraverso lo squarcio d’una nube discese l’arcobaleno. – Nelle disgrazie della vita, nelle tentazioni, nell’ora della morte e nel giorno del giudizio, quando intorno alla navicella della nostra anima sarà come una fragorosa burrasca, ricordiamoci di questo Bambino che oggi c’è dato, che oggi per noi è nato; innalziamolo a Dio e si farà la pace e la gioia intorno a noi. Tra pochi istanti, quando la Messa sarà all’elevazione, io stesso tra le mie mani prenderò Gesù Bambino ed elevandolo verso il cielo, mi ricorderò delle parole di Alfonso d’Albuquerque: « Se tutti noi siamo peccatori, o Dio, questo Bambino risparmialo perché è senza peccati! ». Per la sua innocenza noi tutti saremo salvati.

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XCV: 11:13
Læténtur cæli et exsúltet terra ante fáciem Dómini: quóniam venit.

[Si allietino i cieli, ed esulti la terra al cospetto del Signore: poiché Egli è venuto.]

Secreta

Acépta tibi sit, Dómine, quǽsumus, hodiérnæ festivitátis oblátio: ut, tua gratia largiénte, per hæc sacrosáncta commércia, in illíus inveniámur forma, in quo tecum est nostra substántia:

[Ti sia gradita, o Signore, Te ne preghiamo, l’offerta dell’odierna solennità: affinché, aiutati dalla tua grazia, mediante questi sacrosanti scambi, siamo ritrovati conformi a Colui nel quale la nostra sostanza è unita alla Tua:]

Prefatio de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ideo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus …

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CIX:3
In splendóribus Sanctórum, ex útero ante lucíferum génui te.

[Nello splendore dei santi, dal mio seno ti ho generato, prima della stella del mattino.]

Postcommunio

Orémus.
Da nobis, quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, qui Nativitátem Dómini nostri Jesu Christi mystériis nos frequentáre gaudémus; dignis conversatiónibus ad ejus mereámur perveníre consórtium:

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, che celebrando con giubilo, mediante questi sacri misteri, la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, meritiamo con una vita santa di pervenire al suo consorzio:]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (4)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (4)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia – Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 – Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO TERZO

CARATTERISTICHE DELL’ATTIVITÀ DELLO SPIRITO SANTO

L’attività dello Spitito Santo nel mondo è infinita, infinitamente ricca e infinitamente varia. Sarà possibile distinguerne le caratteristiche? Si legge nel libro della Sapienza:

«In essa (nella Sapienza) vi è uno Spirito intelligente, santo, unico, molteplice, immateriale, attivo, penetrante, senza macchia, infallibile, impassibile (soave, aggiunge qui la Volgata), amante del bene, sagace,  che non conosce ostacolo, benefico,  buono per gli uomini, immutabile, sicuro, tranquillo, onnipotente, che tutto sorveglia,  che penetra in tutti gli spiriti: negl’intelligenti, nei puri, nei più sottili » (Sap. VII, 22-23). – Ciò che prima di tutto colpisce in questa descrizione, è l’assenza di ogni sintesi. Il profeta o l’autore ispirato, avendo ricevuto in tutta la pienezza il dono d’intelletto, descrive lo Spirito Santo come lo vede, come lo intuisce alla luce di Dio. Lo descrive senza ordine, almeno senza quell’ordine che ci piace mettere nelle nostre idee, nei nostri scritti, nei nostri discorsi. – Si noterà anche l’esordio che richiede una spiegazione: « In essa (nella Sapienza) vi è uno Spirito intelligente, santo ». Seguiamo il testo dei Settanta. Nel manoscritto di Alessandria si legge: Essa (la Sapienza) è uno Spirito intelligente, santo. Qui la Sapienza e lo Spirito sono identificati. Donde viene questa variante nel sacro testo? – Il libro della Sapienza è stato scritto nel secondo secolo avanti Gesù Cristo. L’esposizione della Santissima Trinità è stata fatta progressivamente. Nel libro della Sapienza è ancora all’inizio. Ben presto apprenderemo che, da tutta l’eternità, Dio Padre genera un Figlio unico, che è il Logos, la Sapienza, il Verbo eterno del Padre. E apprenderemo pure che lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio, per la Sapienza. Siamo in diritto di precisare il testo del libro della Sapienza, dicendo: Dalla Sapienza procede lo Spirito Santo. E, siccome nella descrizione che ci presenta le caratteristiche dell’attività dello Spirito Santo, ci è necessario non solo raggrupparle, ma sintetizzarle, diremo dello Spirito Santo, che procede dalla Sapienza e che Egli è:

– lo Spirito d’intelligenza, cioè Colui che possiede l’intelligenza, tutta l’intelligenza, e che dà l’intelligenza;

– lo Spirito di santità, cioè Colui che possiede la santità, tutta la santità, e che dà la santità.

Di questo Spirito d’intelligenza e di santità diremo che è:

– uno e molteplice;

– immateriale, attivo, che tutto penetra: i puri, cioè quelli che vivono seguendo i Suoi impulsi, per maggiormente purificarli; gl’impuri, cioè coloro che vivono in opposizione con Lui, per ispirar loro i rimorsi e con questo condurli a cambiar vita;

– stabile e mobile, cioè infinitamente pieghevole, pur restando il medesimo;

– pieno di soavità, di dolcezza, ricolmo delle tenerezze dell’amore;

– Colui che nulla arresta, quem nibil vetat, traduce energicamente la Volgata.

Secondo il libro della Sapienza, sono queste le sette caratteristiche dell’attività prodigiosa dello Spirito Santo nel mondo.

I.

Dio, il Padre onnipotente, per mezzo del Verbo, nello Spirito, opera nel mondo tutte le cose. Dio, il Figlio unico, generato dal Padre da tutta l’eternità, il Verbo del Padre, è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. E questa luce la comunica per mezzo dello Spirito Santo che manda continuamente nelle anime. Lo Spirito Santo è come il faro luminoso, per mezzo del quale il Verbo illumina il mondo e le anime, tanto quelle che sono nella gloria, quanto quelle che si trovano sulla terra. Perciò si può dire dello Spirito Santo che è lo Spirito d’intelligenza, cioè Colui che possiede l’intelligenza, tutta l’intelligenza, l’intelligenza infinita e Colui che dà l’intelligenza. È questa la prima caratteristica dell’attività dello Spirito Santo, che il libro della Sapienza si compiace di segnalare. – Spirito d’intelligenza, lo Spirito Santo conosce gli esseri come appariscono e nella loro profondità, secondo il significato della parola latina intelligere, da intus legere; li conosce nei loro rapporti con gli esseri che li producono o ne sono le cause, e con lo scopo immediato e finale che perseguono; Egli stima, apprezza giustamente tali rapporti; pensa esattamente ogni cosa, dal verbo pensare, usato in questo senso da san Gregorio Magno, ciò che è, propriamente parlando, pensare. Lo Spirito Santo conosce tutto questo, lo afferma adeguatamente, veramente, assolutamente. Lo fa tanto più e tanto meglio in quanto è lo Spirito creatore, Colui che ha creato, disposto, ordinato tutto, Colui che conserva tutto ciò che esiste mediante una creazione continua, e per il quale, nel quale tutto si trova, tutto si muove, tutto vive. Come lo scultore, che conosce i minimi dettagli dell’opera da lui immaginata e realizzata. Così lo Spirito Santo è Colui che possiede l’intelligenza, tutta l’intelligenza, l’intelligenza infinita, e dà l’intelligenza agli uomini. Egli ha dato l’intelligenza agli Apostoli per renderli atti a comprendere il mistero di Gesù, nostro Salvatore, e per svelar loro il senso profondo del Vangelo. Egli ha illuminato i Padri della Chiesa, i Dottori, i Teologi, i fondatori degli Ordini religiosi. È Lui che ispira le vocazioni sacerdotali e religiose, che addita a ciascuno la sua via. – Per noi vi sono due modi di conoscere il reale. Prima mediante la rappresentazione che ce ne facciamo e i giudizi che formiamo. Questa vista del reale è, e non può essere altro che una forma umana. Per quanto puro, è sempre il nostro modo umano di vedere le cose. È una rappresentazione analogica di ciò che è. Conosciamo egualmente la realtà mediante il sentimento ed il cuore. Questa maniera, difficile ad esprimersi, ma con la quale invitiamo la nostra ragione a controllarsi continuamente e a non abusare dell’assoluto nelle sue affermazioni, è più diretta e più vera. Lo Spirito Santo ci ammaestra nell’uno e nell’altro modo. Suscita dei Dottori che parlano piuttosto il linguaggio del pensiero, come san Tommaso d’Aquino. Ne fa sorgere altri che parlano altrettanto bene il linguaggio del cuore, come san Bonaventura, san Francesco di Sales. – Ciò che lo Spirito Santo si applica particolarmente a farci comprendere, sia per mezzo del pensiero che del cuore, sono queste tre grandi verità: – Dio è presente dappertutto nel mondo, negli esseri, come negli avvenimenti. – Il Salvatore è spiritualmente congiunto alle anime, per illuminarle e condurle a vivere come Lui, per Lui, in Lui: cum Ipso, per Ipsum, in Ipso. Cum Ipso, cioè a Sua imitazione; per Ipsum, ossia nell’abbandono allo Spirito Santo che Egli manda; in Ipso, nella Sua amicizia. Quindi ecco il dogma che sintetizza tutti gli altri, ed è il dogma centrale di tutta la vita cristiana. – Il Salvatore, nell’Eucarestia continua, ma in forma gloriosa, tutti i misteri della Sua vita, quelli della vita nascosta, della vita pubblica e delle Sue sofferenze, in questo senso almeno, che ne ha una memoria attuale così perfetta e viva, che veramente continua a viverne. Inoltre, non cessa di offrirsi, sui nostri altari, per mezzo del ministero dei sacerdoti, sotto apparenze di morte, per perpetuare l’offerta cruenta del Calvario, affinché ogni individuo con la comunione eucaristica, offrendosi a Lui e con Lui, riceva in tale offerta la vita soprannaturale, in una pienezza sempre più grande. – Quando queste tre verità hanno penetrato a fondo un’anima, ispirano e dirigono tutta la sua condotta, intellettuale, morale e religiosa. Nel prossimo si vedrà risolutamente Dio. Al di là del prossimo, che si muove con le sue qualità e i suoi difetti, si scorgerà Gesù, il Maestro adorato, che continuamente comanda di amare e sacrificarsi. Nell’Eucarestia, si vedrà il Pane di vita, del quale è necessario cibarsi. Ci si comunicherà con fervore. Nell’Eucarestia, Colui che in cielo forma la felicità degli eletti è li tutt’intero, a nostra disposizione, sotto le specie sacramentali, nell’atto di offrirsi per noi a Dio Padre, mentre ci chiede di offrirci a Lui e con Lui, e noi ci offriamo a Lui e con Lui. Lo contempleremo, lo ameremo; prenderemo l’energica risoluzione di obbedirgli in tutto, ai Suoi precetti e ai Suoi consigli. Sì, senza dubbio, l’Eucarestia, compresa con fede illuminata e viva, è già il cielo sulla terra. E quando dopo la nostra vita terrena, ci troveremo dinanzi a Dio, proveremo tutti un sentimento di confusione, vedendo quanto poco abbiamo fatto uso della santa Eucarestia, in confronto a come avremmo potuto e dovuto farlo. – Ora, tale intelligenza, mediante lo spirito ed il cuore, ce la dà lo Spirito Santo. È l’effetto dei doni intellettuali dello Spirito Santo, di quei doni che la Chiesa invoca sui fedeli, specialmente nel tempo di Pentecoste, con la seguente strofa di uno degli inni più belli:

O lux beatissima, reple cordis intima, tuorum fidelium!

2.

Lo Spirito Santo è anche Colui che possiede la santità, tutta la santità, la santità infinita, e che dà la santità. È santo chi è separato da quanto è peccato, da tutto ciò che è male. Lo Spirito di Dio è santo. Viene chiamato Spirito Santo, perché è infinitamente lontano dal peccato, dal male. Come la luce e le tenebre sono in ragione inversa, così lo Spirito Santo e il peccato o il male, sono in opposizione assoluta. Lo Spirito Santo ha somma avversione, completo allontanamento dal peccato e dal male. È lo Spirito Santo che suscita nell’anima nostra una irresistibile inclinazione verso tutto ciò che è bene, verso il Sommo Bene, verso Dio, come diceva sant’Agostino: Fecisti nos ad Te, Deus, et îrrequietum erit cor nostrum, donec requiescat în Te. – Da un altro lato, è lo Spirito Santo che mette in noi la irresistibile avversione per il male, almeno per tutto quanto ci sembra male. È Lui che ispira al cuore dell’uomo il necessario giudizio della coscienza che bisogna fare il bene, non operare il male, e le fa chiamare bene ciò che è bene o le appare bene, e male, ciò che è male. E se, purtroppo, l’uomo commette il male che la sua coscienza riprova, è lo Spirito Santo che fa sorgere il rimorso. – È lo Spirito Santo che ci dà le prime attrattive soprannaturali, il pius credulitatis affectus, e i primi lumi della fede. È Lui che dà la grazia di corrispondervi, e corrispondervi gradatamente, di meglio in meglio. Noi chiamiamo santo colui che, avendo sempre corrisposto alla grazia, ha realizzato in sè un edifizio morale conforme a Dio. La santità concreta è l’imitazione di Gesù Cristo. Il Verbo di Dio si è fatto uomo e, per mezzo dello Spirito Santo, ha comunicato, quanto è possibile, all’umanità da Lui assunta, la pienezza della Sua divinità. E ciò per comunicarci, per il Suo divino Spirito, della pienezza di questa divinità. Lo Spirito Santo viene dunque in noi e ci fa convergere verso la santa umanità del Cristo in modo da riprodurne nella nostra vita una copia sempre più fedele. Egli ci invita a partecipare alla Sua religione verso Dio, Suo Padre, adorandolo, ringraziandolo con Lui ed in Lui; offrendoci a Dio, e pregandolo con Lui ed in Lui. Siccome la religione deve esercitarsi in ginocchio, nell’umiltà, Egli c’invita a partecipare alla Sua umiltà che in Lui giunse fino all’obbedienza della morte e della morte di croce. – L’ardente carità per il Padre Suo e per noi uomini fu, in qualche modo, l’anima del Verbo di Dio fatto uomo. Lo Spirito Santo che il Cristo non cessa di mandarci, c’invita a partecipare alla Sua carità e a darne la prova con la nostra dedizione, il nostro disinteresse, il sacrificio di noi stessi. Lo Spirito del Cristo che ci è comunicato, c’invita a partecipare al Suo odio per il peccato, al Suo zelo pet la salvezza delle anime. È la santità in atto, che è chiamata ad un accrescimento sempre più grande, finché giunga pet noi l’ora della morte, che dovrà essere, in unione col Cristo per lo Spirito Santo, una suprema adorazione di Dio Padre, un supremo ringraziamento a Dio, una suprema offerta della nostra vita al Padre, una suprema invocazione a Lui per noi e per coloro che lasciamo sulla terra; prima, per quelli che ci sono più vicini, poi per tutti gli uomini, gl’infelici, i peccatori, i santi. Possa questa santità ben compresa, divenire la nostra!

3.

Spirito di ogni intelligenza, Spirito di ogni santità, lo Spirito Santo è innanzi tutto, secondo il libro della Sapienza, uno e molteplice. Lo Spirito Santo è come un soffio che va dal Padre al Figlio e torna dal Figlio al Padre. È il soffio d’amore dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre. E il loro reciproco amore. Amore per quel che lo caratterizza, senza tuttavia costituirlo personalmente, lo Spirito Santo è più particolarmente il principio dell’amore di Dio, nel mondo. In maniera ad un tempo più completa e più esatta. Egli è colui per il quale, col. quale, nel quale il Padre ed il Figlio amano, al di fuori di se stessi, cioè nel mondo, tutto ciò che Essi amano. È così che lo Spirito Santo è uno. Ma questo amore, che è lo Spirito Santo, si differenzia in altrettante maniere quante sono le anime nelle quali esercita la Sua azione. Simile, secondo il paragone di san Giovanni Crisostomo, alla sorgente, che, dopo aver formato un unico ed abbondante corso d’acqua, si divide in una infinità di ruscelli che vengono ad irrigare le pianure, i prati e formano in seguito le riviere ed i fiumi. Simile pure alla pioggia benefica, che cade sulla. terra, si trasforma in linfa, diviene verde nella pianta; bianca, rosa, rossa nei fiori, gialla nel frutto. È l’amore ardente del Cristo che ha sostenuto nel martirio gli Apostoli, migliaia di confessori, di giovani vergini come santa Cecilia, sant’Agnese, santa Lucia. L’amore del Cristo ha condotto e non cessa di condurre una moltitudine di Cristiani ad una vita di totale abnegazione mediante la pratica dell’obbedienza a una regola, a un superiore; della povertà affettiva ed effettiva, o almeno affettiva e della castità. Gli uni mettono in primo piano nella loro vita l’abnegazione e in secondo piano l’amore. Si sacrificano per amore. Gli altri invece, pongono in primo piano l’amore di Cristo e in secondo piano la mortificazione sotto tutte le forme. Amano, e l’amore li conduce al sacrificio. È un affare di punto di vista che corrisponde a mentalità diverse e molte volte a educazione differente. Può sembrare cosa di poca importanza. Bisogna amare e sacrificarsi. Che ci si sacrifichi per amore oppure si ami risolutamente in modo che l’amore trascini al sacrificio, l’essenziale non è forse fare l’uno e l’altro? Sì, senza dubbio. Ma, nel mondo delle anime, vi sono delicatezze infinite. E giustamente, una persona per fare una di queste due cose, è necessario sappia prendere anche l’altra. – Questa differenza di punto di vista è invece di tale importanza che ha determinato, nella Chiesa, due correnti di spiritualità, due scuole che hanno ciascuna i loro dottori, i loro metodi, i loro vantaggi e i loro inconvenienti. Alcuni ordini religiosi sono stati fondati mettendo in primo piano nella loro tegola la mortificazione sia mediante l’obbedienza, come i Benedettini, sia per mezzo della povertà affettiva ed effettiva, come i Francescani. Altri religiosi invece, hanno posto in primo piano nelle loro Costituzioni la carità, come i Domenicani e i Carmelitani. Nulla di più meraviglioso di quell’infinita varietà di forme di vita religiosa tutte intese a tributare alla Santissima Trinità, in unione col Cristo, il gran Religioso di Dio, il medesimo omaggio di adorazione, di riconoscenza, di offerta e d’invocazione. È la grande preghiera che non cessa di essere rivolta a Dio per il compimento nel mondo dell’opera redentrice. – Ora lo Spirito Santo, uno e molteplice ad un tempo, è Colui che anima tutta questa vita religiosa. È Lui che ne assicura l’unità perfetta e l’infinita varietà. – E ciò, come sta scritto nel libro della Sapienza, perché lo Spirito Santo è immateriale, attivo e penetra tutto. Lo Spirito è opposto alla materia. Lo Spirito Santo, che è per essenza lo Spirito, è assolutamente opposto alla materia. Affrancato dalla materia, è infinitamente attivo. Penetra tutto. Penetra gli esseri materiali e spirituali, per sostenerli nell’esistenza e dirigerne l’attività. Penetra l’anima umana fino ai più profondi recessi. Penetra i puri, cioè quelli che vivono seguendo le Sue ispirazioni, per dar loro la testimonianza della buona coscienza, la gioia migliore che si possa provare in questo mondo, quella che, a rigore, deve bastare, e basta all’uomo saggio, quelle che nulla quaggiù può turbare o togliere, né le ingiustizie, né le calunnie, né la vita, né la morte. Penetra gl’impuri, cioè coloro che non ascoltano i Suoi inviti, per ispirar loro il rimorso, che per essi può essere un principio di conversione. – Lo Spirito Santo è anche stabile e mobile. È stabile in Se stesso. Egli è sempre il medesimo movimento vitale, che viene dal Padre per il Figlio e torna al Padre per il Figlio. Egli è egualmente sempre stabile nella sua azione ad extra. Ci conduce verso il Figlio, Verbo di Dio fatto uomo, e per il Figlio verso il Padre, affinchè, divenuti simili al Figlio, possiamo essere figli di Dio. Ma quale non è la Sua mobilità o pieghevolezza! Vi è una pieghevolezza di animo che consiste nell’adattarsi a coloro in mezzo ai quali si vive, ai loro difetti come alle loro qualità, alle loro esigenze buone o cattive, in modo da guadagnarli alla propria persona, alla propria causa, al proprio partito, per vana compiacenza e spesso per ambizione. Una tale pieghevolezza è meschina; procede dall’egoismo e da una grande bassezza d’animo. Vi è invece un’altra pieghevolezza di animo, che proviene da un’idea nobile, da una volontà di giustizia e di carità. Si vede e si ama il prossimo in Dio. Si vuole il suo bene con fervore e disinteresse. E allora ci si applica a comprenderlo con i suoi difetti, le. Sue qualità, i suoi bisogni, le sue esigenze. Senza nulla perdere né delle proprie convinzioni, né della propria dignità personale, ci si adatta a lui in ciò che ha di buono, per cercare di elevarlo sempre più in alto, cambiarlo, trasformarlo in modo di giungere a farne una persona umana, un Cristiano di carattere. Una tale pieghevolezza richiede grande spirito di giustizia, una carità ferma e risoluta, grande bontà fatta di pazienza, di amabilità, di dolcezza. Essa si eserciterà sempre nel più gran rispetto della volontà del prossimo, in una dedizione intelligente che non si scoraggerà, né si stancherà di nulla. – Tale pieghevolezza è una grandissima perfezione. Eleviamola all’infinito e avremo un’immagine della pieghevolezza dello Spirito Santo, di quella pieghevolezza che Egli non cessa di esercitare nel governo delle anime, riguardo a ciascuno di noi. In tutta la misura nella quale ci prestiamo alla Sua azione, rispettando infinitamente la nostra volontà libera, ci prende quali noi siamo, ci trascina, ci eleva, ci santifica. Unito a noi, alla nostra vita, quanto può esserlo; resta sempre il medesimo, lo Spirito Santo, Colui che viene dal Padre per il Figlio e torna al Padre per il Figlio, ma questa volta, prendendoci con Sé, per conformarci alla santa umanità del Figlio di Dio fatto uomo. Così lo Spirito Santo è stabile e mobile. Pur rimanendo il medesimo, è sommamente pieghevole. – Questa pieghevolezza nella direzione delle anime lo Spirito Santo la esercita sempre con infinita dolcezza e perfetta soavità. Lo Spirito Santo, leggiamo nel libro della Sapienza, è pieno di soavità, di dolcezza, ricolmo delle tenerezze dell’amore. Nel lavoro è riposo; nell’ardore dell’azione ci calma; ne dolore è conforto. È il consolatore per eccellenza, dolce ospite dell’anima, dolce refrigerio. Se abbiamo corrisposto generosamente alla grazia dello Spirito Santo, avremo tutti provato, in certi momenti della nostra vita, questa dolcezza dello Spirito Santo ed esclamato come gli Apostoli sul Tabor: « Maestro è bene per noi star qui! » Avremmo voluto restarvi sempre. Però non siamo su questa terra per godere! ma per lavorare e soffrire. Il tempo della gioia è il cielo. Se ogni tanto un po’ di gioia tutta celeste ci è data, è per incoraggiare nel nostro lavoro ed aiutarci a meglio lottare, in mezzo alle difficoltà. Niente arresta lo Spirito Santo nel mondo, soggiunge l’autore del libro della Sapienza. Lo Spirito Santo tutto governa; dirige tutto, domina tutto. – Come ha creato tutto e tutto conserva nell’esistenza mediante una creazione continua: così potrebbe annientare ogni cosa. Ma allora perché il male è nel mondo? E, poiché il male esiste, perché lo Spirito di Dio non lo arresta? La presenza del male nel mondo è sempre stata lo scandalo di molti. I non filosofi ne rendono Dio responsabile. Bestemmiano e si chiudono nella loro irreligione. Alcuni filosofi, per spiegare il male, hanno immaginato la presenza, nel mondo, da tutta l’eternità, di un principio cattivo di fronte a Dio, principio buono. L’uno e l’altro sono in assoluta opposizione. Da ciò, ovunque nel mondo, il bene è in lotta contro il male, il male in lotta contro il bene. E in ciascuno di noi esiste un dualismo di desideri, di pensieri, di energie, la lotta dello spirito contro la carne e della carne contro lo spirito. Questa teoria è insostenibile. Il principio cattivo non può essersi levato da tutta l’eternità contro Dio, principio buono, come è stato detto. Se esistesse, non avrebbe potuto essere creato che da Dio. E Dio che è il principio buono, non può aver creato il principio cattivo. Il male non viene da Dio. Viene da noi uomini. Questa è tutta la spiegazione. Dio, infinitamente buono, ha creato il mondo unicamente per bontà. Aveva messo l’uomo nel mondo, per vivere con lui in rapporti di dolce amicizia. Sarebbe questo il suo destino; la sua ragione d’essere sulla terra. Mentre le altre creature servirebbero Dio necessariamente, per ordine delle manifestazioni della loro attività naturale, l’uomo servirebbe Dio vivendo con Lui come un amico vive col proprio amico. Perché potesse essere così, lo aveva fatto simile a Sé mediante la comunicazione di una vita tutta divina. A motivo di tale vita tutta divina, Dio si era compiaciuto di perfezionare la natura umana. Le aveva dato una intelligenza superiore, una forte volontà; per mezzo di un concorso fisico e vitale straordinario, le rendeva facile ogni lavoro; le avrebbe accordato una vita perenne. Ma ecco. L’amore vuol essere libero. L’uomo creato da Dio era libero. Libero di amare il suo Dio o di non amarlo. Anziché rispondere al disegno di Dio, l’uomo, abusando della propria libertà, si levò contro Dio. Ricusò di servirlo, gli rifiutò obbedienza. Era ricusare di riconoscere Dio quale Sovrano Signore; era rifiutare di amarlo. L’uomo si metteva così in opposizione col suo destino e con la sua ragione di essere in questo mondo. Dio si ritirò da lui, gli sottrasse la Sua grazia e tutti i doni di privilegio che ne erano la conseguenza. – Malum ex quocumque defectu, dice il filosofo. Per essere completo, devo dire: Malum ex quocumque defectu Dei. Dio si allontanò da noi e fu la morte: fu il male, il male morale e quello fisico. – Vecchia storia, vecchia soluzione, senza dubbio! Ma poiché essa è la vera e l’unica soluzione, perché perdersi in discorsi e dissertazioni per cercarne un’altra ? « L’uomo è più inconcepibile senza questo mistero, di quel che non lo sia tale mistero per l0’uomo », ha scritto Pascal (Pensieri sez. VII). È permesso andare ancora più innanzi. Poiché lo Spirito Santo è ovunque e può tutto, perché non arresta il male? Dio impedisce il male; ma lo impedisce rispettando sempre la nostra volontà libera. Il Redentore è venuto. Ha lavato nel Suo Sangue tutte le iniquità. Tocca a ciascuno di noi appropriarsi i benefizi della Redenzione mediante il buon uso della nostra volontà libera. Durante tutto il corso della nostra vita lo Spirito Santo, che il Cristo ci manda, per mezzo delle grazie che Egli ci offre, ci circonda, ci tormenta perché seguiamo le Sue ispirazioni, i Suoi impulsi, perché per Suo mezzo ci uniamo al Cristo, imitiamo la Sua vita, partecipiamo alle Sue virtù, riproduciamo tutti i Suoi misteri. Egli c’insegue così senza stancarsi sino alla fine della nostra esistenza. Niente lo arresta, se non la nostra cattiva volontà libera, finale, che è il peccato contro lo Spirito, quel peccato che non può venir perdonato né in questo mondo, né nell’altro. – Se obbediamo allo Spirito Santo, è per la nostra eterna salvezza. Tuttavia, se la grazia di Dio che è una similitudine divina, una similitudine vitale, ci è data, ci è restituita, in tutta la pienezza del nostro buon volere, i doni di privilegio che furono accordati al primo uomo e che lo rendevano esente dalla sofferenza non ci sono resi. – Raggiungeremo la nostra salvezza portando la croce, al seguito del nostro Salvatore che, per riscattarci dalla schiavitù del peccato, si è umiliato, rendendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. La sofferenza o la croce così considerata, i santi, e santi dobbiamo diventarlo tutti, l’ameranno, invocandola con grande desiderio. E sarà in ciascuno di noi, con noi, per noi, l’ultima grande vittoria dello Spirito Santo sul male, la vittoria di colui che nulla arresta in questo mondo, se non il peccato nel quale il peccatore si ostina.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (5)

CRISTO REGNI (2)

CRISTO REGNI (2) 

P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. Vita E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur – Mediolani, die 4 febr. 1926

Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR

In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 – Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

PREM. TIP. PONT. ED ARCIV. S., GIUSEPPE – MILANO

CAPITOLO I

L’AUTORITA’ DEL RE DEI RE DIMINUITA

I. Il grande male moderno

lo non ho mai avuto gran timore degli attacchi rabbiosi dei settari che combattono contro la Chiesa e i suoi altari. La loro potenza aggressiva è limitata in virtù della misericordia di Gesù, che conosce la nostra miseria e che non permette che noi siamo tentati al di là dalle nostre forze; del resto, la collera dell’inferno è una prova che sta tutta a favore degli apostoli e delle anime. – Più della potenza dei nemici, io temo la debolezza degli alleati, e l’indifferenza dei buoni. Se Nostro Signore, infatti, ha affermato a santa Margherita Maria, in un modo così sicuro, che Egli regnerà « non ostante i suoi nemici », non ha con questo affatto contraddetto un’altra affermazione: che è indispensabile per completare l’interpretazione dello spirito della sua promessa: Egli regnerà soprattutto in misura della fedeltà dei suoi amici, e giammai malgrado coloro che Egli si è degnato eleggere per suoi amici ed apostoli del suo cuore. Il Re d’Amore regnerà nonostante l’inferno ed i suoi seguaci, si … Ma Egli non regnerà se vi sarà tiepidezza e fiacchezza in coloro che sono la sua falange di destra; non regnerà malgrado i figli della sua luce e gli eletti del suo amore. – Uno dei mali rilevati ed aggravati dagli avvenimenti, riguarda precisamente una cerchia di persone cristiane e cattoliche, dominata in parte dallo spirito mondano. Un insieme di massime perniciose, un andazzo di vita mondana e pagana, si sono in esso infiltrate, smovendo gli amici del Maestro, inquinando soprattutto i costumi, le abitudini e l’educazione della famiglia cristiana. E tutto questo con una grande abilità, senza toccare l’esteriorità cristiana, senza profanare, con manifesta empietà, le tradizioni sacre. Si è sempre cattolici di nome, si possiede l’amore proprio del titolo di cattolico e se ne conserva l’apparenza, ma l’anima di questo cattolicesimo si evapora q goccia a goccia. Che distanza immensa tra lo spirito, la mentalità, il costume, le abitudini, l’educazione di due successive generazioni! Che eredità di nobiltà morale e cristiana dilapidata dalle esigenze assurde ed inique di una società che, di fatto se non di diritto, condanna come cosa fuor di moda il Vangelo, la sua morale ed il suo spirito. – In questo studio sommario, terrò lungi dal mio pensiero coloro che sono veri e propri mondani, i frivoli per educazione, gli indifferenti e gli irreligiosi, ma tratterò esclusivamente di quello ch’io chiamerei mondo cattolico, ove la società e la famiglia cristiana si manifestano profondamente contaminate da alcune idee stravaganti e pericolose, e soprattutto per i costumi troppo liberi e paganeggianti. – Alle famiglie credenti soltanto rivolgerò il lamento che ad essi fece il Cuore di Gesù quando disse: « lo sono stato ferito in casa dei miei e fra i miei ». Costretto per debito di coscienza ad aprire gli occhi altrui, vorrei avere il tono persuasivo di un convinto, e nello stesso tempo l’accento afflitto d’un cuore sacerdotale. Lungi da me il pensiero ed il tono di una critica sferzante, che non s’addice mai alla penna del sacerdote. Il mio linguaggio è consacrato unicamente a sradicare il male, mostrando il bene, certamente con la piena sincerità di una coscienza sacerdotale, ma anche con la delicatezza e la dolcezza ineffabile del Vangelo che ama e rispetta il malato che bisogna guarire.

II. – Gesù è sempre ricevuto in casa di Simone

Una lettera molto gentile mi invita a fare l’Intronizzazione del Cuore di Gesù in una cospicua e grande famiglia. Dico grande, perché è nobile e ricca, e perché ha un nome molto cristiano. Mi si fissa il giorno e l’ora; mi si prega anche, arrivando in casa di fermarmi in portineria per farvi la stessa cerimonia. lo vado. Fin dalla soglia della portineria, l’intera famiglia del portiere, piena di gioia e di riconoscenza si prepara a ricevermi. La piccola stanza da pranzo è adornata di fiori e risplende di luci. Quante preziose economie sono state impiegate per la bella immagine del Re, amico di Betania, che spicca nella gran cornice dorata, in un’armonia di semplicità e di decoro! I fanciulli sono stati dispensati dalla scuola, e di buon mattino tutta la famiglia s’è inginocchiata alla Sacra Mensa. Ed ora essa canta, prega e piange di gioia. Io pronuncio poche parole, poi i fanciulli, i genitori da parte dell’Amico che rimane a presiedere il focolare, e vuol partecipare alle sue gioie ed ai suoi dolori… Ma prima di lasciarli, bisogna ch’io firmi alcune immagini ricordo, e prometta loro una Messa di ringraziamento, per l’onore e la grazia che il Re Gesù ha concesso, e perché essi si mantengano degni della amicizia di Lui. – Ed ora, toccate con mano qual doloroso contrasto! Tutto pieno ancora di commozione per l’amore semplice e forte di questi poveri, per il Povero divino, salgo in ascensore, e dopo qualche secondo, vengo introdotto nella sontuosa dimora della famiglia X … È mezzogiorno. La padrona di casa mi riceve, e dopo qualche parola di ringraziamento, mi invita a cominciare la cerimonia… Guardo attorno a me e cerco l’altare, o almeno l’immagine del Sacro Cuore. La signora X… indovina il mio desiderio e mi conduce in fondo al salone. Là, trovo, confuso fra cento ninnoli cinesi, una piccola e minuscola statua. Non un fiore, non una piccola lampada. I candelabri di bronzo restano spenti. Essi conservano la loro luce per altri, e non per Gesù! Domando con discrezione: — La famiglia assisterà a questa funzione ufficiale? — Il marito ed il figlio maggiore sono ancora in letto, perché son tornati dal teatro molto tardi; e le due giovani figlie sono appena uscite per fare a tempo, se sarà possibile, ad ascoltare l’ultima Messa. Dunque dinanzi a Madama X… e a due domestiche si rinnova il banchetto di Simone! Con brevi parole commento la scena evangelica, mi lamento di una accoglienza tanto fredda, e la biasimo: il Maestro è stato invitato, è vero, ma ahimè, è stato ricevuto senza onori; Gesù, riconosciuto forse, ma senza amore, quasi come un Re detronizzato!… Questo quadro rappresenta tutta una mentalità, tutto uno spirito di Cristianesimo convenzionale, ancora sincero, ma anemico, diluito, sfigurato. Il posto d’onore, voglio dire il trono vivente di gloria e di regalità d’amore, che Nostro Signore desidera e reclama, Egli non lo trova più, in generale, nella casa dei suoi, cioè nella sua casa. – La famiglia cristiana, salvo alcune belle eccezioni, venendo a patti con le esigenze mondane, lo misconosce di fatto. Non si vorrebbe tuttavia che Egli se ne allontanasse, e che, all’esterno, si creda o si dica questo; tuttavia, il posto intimo che gli spetta per diritto divino, nell’anima dei genitori, e per conseguenza in quello dei figli, non è più il suo. Per una conseguenza logica, se nella coscienza e nei cuori, Gesù non è più il Re che governa, il Padrone che comanda, non potrà esserlo, del pari, nella vita pubblica della società. Se per Lui c’è rimasto soltanto un certo protocollo di etichetta cattolica, si deve al fatto che Nostro Signore non è più se non un Re, un Sovrano che si riceve in incognito, con estrema prudenza. In qualunque casta sociale, questo male è penetrato; e dovunque, i timorosi e i pavidi si piegano, sotto il giogo del paganesimo moderno. Si adora furtivamente il Divino Crocifisso, aspettando che i tempi cambino, per alzare il suo labaro ed elevare il suo Vangelo e la sua Legge agli onori della vita sociale. Nostro Signore è sempre più allontanato dallo sguardo e dal cuore della società; Egli non è più il Maestro! La migliore prova di questa affermazione è il fatto concreto, eloquente e costante di una vita familiare e di una vita collettiva soprattutto, in aperta contraddizione: coi più elementari principî di una coscienza cristiana. Quel che dicono le labbra, in Chiesa, la domenica; quel che mormora il cuore, sempre in segreto, è sconfessato dagli atti della vita pubblica, tanto è vero che non si può servire due padroni in una volta. Onde bisogna tristemente concludere che, se si seguono i mondani, non si ha di Cristiani che il nome; e la fede allora è debole a tal punto, che non ha più il potere di arrestare sulla soglia del cuore e del focolare domestico, il flutto invadente e fangoso del piacere proibito.

II. – Qual è la conseguenza più immediata di questa apostasia latente?

È la mancanza d’autorità nella famiglia, con tutti i suoi effetti funesti. La gerarchia dei diritti e dei doveri è tale, che quando se ne toccano le fondamenta, tutto l’organismo resta scosso. Così, nella misura in cui la famiglia elimina la sovranità sociale di Nostro Signore, perde il suo prestigio ed il suo equilibrio; l’autorità dei genitori ne risente, e la felicità familiare crolla fatalmente, presto o tardi. – « Venga a casa, presto, Padre mio », mi supplica un giorno un signore, in preda a viva commozione. Gli domando perché, ed egli cerca di spiegarsi; ma poiché i singhiozzi lo soffocano, lo faccio sedere e aspetto. « Ecco — mi dice, dopo qualche minuto; — Lei conosce il mio figlio maggiore, e sa quali sacrifizi abbiamo fatto per la sua educazione ed il suo avvenire. Ma Lei sa, pure, che sei mesi fa egli partì in cattiva compagnia, e, dopo d’allora, siamo rimasti senza sue notizie. Ecco che arriva all’improvviso, va diritto in camera sua, senza neanche salutare né sua madre né me. Indignati, andiamo verso di lui, rimproverandogli la sua condotta, chiedendogli donde viene e cosa ha fatto… Ebbene, sa Lei quale è stata la sua risposta? Ha insultato me, suo padre, ed ha alzato la mano sulla madre sua! Oh, che ingrato! … Venga Padre, venga con me a parlargli ». — « Caro signore, non vengo ». — « Ma io non comprendo perché non vuol cercare di parlargli e di convertirlo ». — « No, no, mi scusi, non posso venire assolutamente ». — « Padre, perché dunque? Mi spieghi almeno la sua condotta, tanto contraria alle sue predicazioni? » — « Sì, signore, lo farò in poche parole ». E avvicinandomi, prendo affettuosamente la mano dell’infelice padre, e gli dico gravemente, ma col cuore commosso di tenera pietà: « Ecco, è tanto tempo, che sua moglie ed io la supplichiamo di piegare i ginocchi e di compiere i suoi doveri di Cristiano; ebbene, dimenticando lei il primo comandamento, ha insegnato a suo figlio a dimenticare il quarto. Non è questo logico? Se suo padre disobbedisce agli ordini di un Dio, egli può bene disconoscere l’autorità di suo padre, che, dopo tutto, non è che una creatura. Lei è stato buono con la sua sposa e i suoi figli buono con i suoi amici ed i suoi domestici: ma è stato crudele verso Nostro Signore; Egli è il solo che Lei abbia misconosciuto; Suo figlio è stato buono per i suoi amici; troppo buono e condiscendente. tutti, forse, eccetto che con Lei, suo padre. Si metta in ginocchio, riconosca l’autorità del Maestro, confessi le sue colpe, ed allora, sì, noi andremo a casa, vi condurremo Gesù, e convertiremo il giovane ». La sua confessione fu ammirabile di sincerità e pentimento, e la conversione del figlio, che ne seguì fu non meno bella e vera. Ecco l’equilibrio ristabilito nell’ordine e per l’ordine del Vangelo. La pace non ne è che una logica conseguenza. Non si dirà mai abbastanza che il gran male moderno non è la guerra, la rivoluzione o il caro prezzo della vita. No, il male radicale trascendente, sta nel focolare domestico scosso, perché totalmente o in parte scristianizzato. Non bisogna ragionare da fanciulli e giudicare l’importanza di un fenomeno dal fracasso prodotto, dalle sue remote ripercussioni. Per i semplici, un colpo di cannone è più spaventoso di un microbo o di un libro. Ora, noi sappiamo che tutti i cannoni non hanno fatto tanto male quanto un microbo, dal punto di vista fisico, e quanto un libro, dal punto di vista morale. I tre quarti di male che devastano l’Europa, radendo fino alle radici quel che la guerra aveva lasciato ancora in piedi, sono la conseguenza d’un male che è alla sorgente stessa della umanità: nella famiglia.  Leggete questa frase uscita dal cuore angosciato del Papa Pio XI: « Si è decretato che Dio, che il Cristo Signore non presiederebbe più alla costituzione della famiglia! » (Enciclica citata). Ecco il male radicale, che lo stesso S. S. Benedetto XV denunziava nella sua lettera del 25 aprile 1915, preconizzando la crociata dell’Intronizzazione del Cuore di Gesù nelle famiglie. – Noi dimentichiamo troppo ingenuamente che la famiglia è scuola per eccellenza, di virtù o di vizio, di santità o di delitto, e trascurando di purificare questa sorgente, ci lamentiamo sterilmente di mali che ci vengono a colpire per nostra negligenza. Le famiglie mondane si trasformano rapidamente in pagane, per divenire addirittura laicizzate. Non si capovolgono impunemente i principî del Vangelo; l’edificio della Redenzione è fondato su Nazareth, ed è la famiglia cristiana che dovrà sempre perpetuare il frutto del Calvario. A misura dunque che la tempesta satanica neutralizza l’esempio di Nazareth, vale a dire l’influenza del santuario domestico, per eccellenza cristiano, essa compromette i frutti della Redenzione. Questo è un principio positivo di legge divina. Il Signore avrebbe potuto procedere altrimenti, ma Egli tracciò questa legge, e vi si sottomise Lui stesso; fondò la famiglia e la divinizzò elevando il matrimonio alla dignità ed alla sublimità di un sacramento.

IV. – L’apostasia sociale, dolorosa e logica conseguenza della apostasia famigliare.

Si potrebbe forse trovare, tanto tra i saggi ed i ricchi, quanto fra la folla degli avventurieri, dei semplici e dei poveri, un tale esercito di gente senza fede né legge, che dirige la cosa pubblica, che influisce potentemente sui destini dei popoli, che lavora con pertinacia a laicizzare la società, che studia con passione i mezzi di sopprimere Dio ed il suo Cristo da tutte le attività della vita; si potrebbe, dico, trovare un’armata tanto formidabile, se la famiglia cristiana fosse rimasta una cittadella di verità e di morale cristiana? No, mille volte no! Confesso; certo, che qualche unità di questo immenso esercito possa essere formata da vili apostati di qualche focolare cristiano, ma noi siamo obbligati a constatare che la immensa maggioranza è il frutto naturale d’una società neo-pagana. Questo male non è stato improvvisato dal recente conflitto d’armi. La barca navigava già senza bussola: andava alla deriva, quando fu urtata da questa mina subacquea che fu la guerra.  a famiglia cattolica era già stata colpita mortalmente dal Giansenismo, eresia più pericolosa di qualunque altra, perché la più ipocrita e la più astuta nel suo sistema d’attacco, e nelle sue tendenze di distruzione. Conservare, come insegna, il blasone di un Cristianesimo scrupoloso ed integrale, che abilità satanica! Servirsi della Croce, per avvelenare il focolare domestico, con un veleno ad azione lenta, profonda, mortale, quale potente fortuna di diabolico successo!… Il Giansenismo è il monaco apostata, diventato, per orgoglio, un novello satana, ma un satana che conserva l’abito, l’aspetto, la dignità esteriore del religioso. – Accentuando, per principio, la sua apparenza di virtù austera e penitente, gravemente, con l’aureola d’un anacoreta, d’un uomo di preghiera e di disciplina, è penetrato nel santuario familiare, infiltrandovi uno spirito tanto più forte e penetrante, quanto la forma estetica di questo mentitore corrispondeva ad un ideale di austerità, vagheggiata da talune famiglie cristiane. – Il Giansenismo non si fermò ai rigoristi, ai ferventi dell’osservanza alle leggi divine, ma invase abilmente e risolutamente tutto il fiore della cristianità, non già per predicare, come il protestantesimo, un rilassamento, ma per reagire contro i rilassati e i non curanti. Da principio, il Giansenismo non avvelenò tanto le folle, quanto un nucleo di famiglie, influenti per la loro situazione sociale, o per il credito della loro virtù cristiana. Predicando in questo ambiente, una crociata di terrore, col suo rigorismo ad oltranza; sostituendo il timore alla carità, facendo agire arbitrariamente la giustizia divina da inesorabile, là dove il Vangelo e la Chiesa predicano la Misericordia, esso provocò in un gran numero di famiglie cristiane, e perfino nelle istituzioni religiose, dopo un focoso assalto alle austerità, una profonda nevrastenia morale, quasi sempre inguaribile perché basata sulla rivolta dello spirito, sull’orgoglio. La religione di cotesti seminatori di terrore non poteva reggersi lungamente. Un Cristianesimo fatto soltanto di timore e di spavento, non poteva formare che una casta di farisei e di formalisti. Questa religione di costrizione, che confondeva il rispetto col servilismo, che condannava l’espansione del cuore cristiano, il suo canto d’amore e di confidenza, come un’insolenza contro il Cielo, questa tremenda deformazione del Vangelo, cadde a poco a poco, ma lasciò dietro di sé la fatica, il malessere profondo, la nausea dell’idea religiosa. – Quando la corda troppo tesa si ruppe, non restò nelle anime che un tetro silenzio: si sentirono deluse, e si vendicarono della lunga e dura quaresima che si era loro fatta subire, passando quasi furiosamente da questo esasperante rigore, al carnevale sociale in cui anemizza e muore la coscienza cristiana. Fu un poco quel che potemmo vedere anche noi, durante la guerra europea: il timore formidabile dei primi mesi, empì le chiese di folle rigurgitanti, e non mancarono gli ingenui che credettero ad una conversione repentina, splendida. Tuttavia, siccome la vittoria si fece attendere, l’entusiasmo cessò, e seguì il rilassamento. Il più gran delitto del Giansenismo fu di spegnere la fiaccola d’amore che ardeva per Gesù Cristo, nel santuario familiare. Il Cristianesimo è sostanzialmente carità, poiché il suo Fondatore non è che amore: e sopprimere questo carattere dal cuore e dal focolare domestico è proscriverne il suo Re; è calpestare il primo dei suoi diritti sovrani, quello d’essere appassionatamente amato; è impedire l’intimità di Betania col suo amico divino Gesù: « Voi, amici miei » aveva detto Egli stesso. Il Giansenismo commetteva questo delitto di soffocare il cuore del Cristiano, sotto il pretesto del rispetto per la maestà di Dio. Di questo Dio, che lasciò nel cielo la sua gloria per dirci, abbassandosi immensamente ed immensamente amandoci, quelle parole: « Venite tutti! » sotto il pretesto, dico, del rispetto per quel Dio che chiama e rassicura: « Venite tutti… son io… non temete… » Inconcepibile aberrazione! Credere che la confidenza, escluda il rispetto, che l’avvicinarsi a Gesù, il desiderio di andare a Lui, di vederlo, significhi misconoscere la nostra indegnità e la nostra miseria… prendere per orgoglio, il desiderio che ognuno dovrebbe avere, e la dolce realtà di essere amico di Lui… non poterlo servire in ginocchio, cantando con amore il suo amore, senza avere dinanzi l’ossessione di un inferno minaccioso… temere mille volte di più essere castigato, che il non essere amato e non amare… è questo l’orribile Giansenismo. Ahimè! Sì, conservare la pace, nonostante la propria miseria, credere con immensa fede alla pietà di un Salvatore che ci conosce e ci ama come noi siamo, abbandonarsi alla sua misericordia, al suo Cuore, riconoscendo le proprie colpe, era, dicevano essi, provocare infallibilmente una sentenza di vindice giustizia. Pertanto, Gesù-Ostia, il Dio fatto uomo, prigioniero per amore, assetato dell’amore dell’uomo, rinchiuso per sempre, dal Giansenismo, nel Tabernacolo, come in una fortezza inespugnabile. Non è un fosso soltanto che si scava, ma un abisso immenso, insuperabile, fra il Cuore di Gesù, che fa sua delizia l’abitare fra i figli degli uomini, e il cuore dell’uomo, la cui debolezza aspira alla forza, e la cui tenerezza tende all’unione divina dell’amore. – « No — dice l’eretico — il Dio del Tabernacolo non si può avvicinare nella sua santità. Il Dio di penitenza è vendicatore nella sua giustizia. Il Dio della Croce schiaccia, più ancora del peccato, i poveri peccatori. Il Dio del Paradiso è terrificante nella sua maestà e nella sua gloria… tenetevi lontani da Lui! » Così tutta la economia redentrice e vivificante del Vangelo viene impugnata. Il terrore religioso regna sulle anime. Noi raccogliamo ancora la messe avvelenata che questa abbominevole dottrina ha seminato nel fior fiore delle famiglie cristiane d’Europa. L’educazione puramente formale, artificiale, vana e fittizia che si dà ai nostri giorni, è in parte la conseguenza del veleno del Giansenismo. La mancanza di carità grande, ardente, vigorosa non poteva produrre che frivolezza. Non essendo Gesù più il Re, ed il centro «della famiglia, è stato sostituito dall’idolatria « del proprio io » nelle due manifestazioni che sono le più pericolose: la vanità e la sensibilità. Ed ecco come, mentre rimane la veste superficiale di Cristiani, gli idoli domestici, gli Dei lari sono riapparsi nel focolare. – Difatti, la mondanità che infesta le famiglie cristiane è divenuta tanto ai giorni nostri il peccato di moda, che non ha ormai neppure più il triste privilegio di essere uno scandalo.  Che dissipazione di tempo, di gioventù, di ricchezza e soprattutto di tesori spirituali e morali, in questa vita mondana, non solamente vana ed inutile, ma pericolosa per l’esempio, quando questo esempio viene dall’alto, da coloro che sono ancora considerati i conservatori della morale evangelica. – E non si creda che questa frivolezza sia soltanto una forma esteriore, che questa mondanità sia solamente un abito sconveniente, ma che nasconde invece un’anima sana ed in fondo onesta e cristiana. Se essa si rivela attraverso una spaventosa immodestia esteriore e di conseguenza attraverso manifestazioni di vanità, essa penetra molto al di là dall’epidermide; entra nel cuore, succhia a poco a poco tutta la potenzialità morale, dovuta all’educazione, all’atavismo, alla tradizione cristiana. Essa distrugge moralmente il senso soprannaturale e la concezione cattolica delle migliori famiglie. – Così è avvenuto in casa della signorina X…, giovanetta di nobile stirpe, di educazione e di modi distinti, e la cui famiglia è molto cristiana di nome, molto mondana di fatto. Ella parla al suo fidanzato con sincerità, come essa stessa racconta, due settimane prima del matrimonio. Gli dichiara la felicità che prova nell’aver trovato in lui il giovane di spirito superiore, indipendente nelle sue opinioni, fiero delle sue convinzioni personali, libero dai tanti pregiudizi della religione e della razza. Egli è proprio il marito che aveva sognato e che certamente non le imporrà, nella pienezza della gioventù, il giogo crudele ed altrettanto ridicolo di una famiglia… I fanciulli toglierebbero la libertà di godere e di viaggiare… « non ho mai avuta la vocazione di nutrice o di istitutrice », conclude essa in uno scoppio di riso… Io lo ripeto (escludendo completamente dal mio pensiero quell’ambiente che si considera emancipato da quelli che si chiamano i ceppi della religione, e dove non sì conosce appena il Nome di Nostro Signore), Gesù Cristo non comanda quasi più in mezzo ai suoi. – Si tratta di una rivoluzione sociale segreta che pervade i salotti e si insinua fino nell’intimità dei santuari familiari per seminarvi la menzogna e la sventura. E nel suo sistema raffinato e sapiente, fa opera di morte, con maggiore efficacia forse del fermento rivoluzionario, che agita le popolazioni dei trivi e delle bettole. – Se si conoscessero le sventure innumerevoli di questa mondanità! Esse non si esibiscono, ahimè, come i gioielli o i broccati, ma quante gioconde commedie dissimulano tremende agonie… Pax; pax! . et non erat pax! (ler VI, 14). Se si sapesse che quella tale famiglia tanto ricca, non è esteriormente che il lussuoso sepolcro imbiancato di tutte le speranze e di qualche bagliore di felicità svanita!… Il capo è quasi sempre assente dal focolare domestico, e quando c’è, si fa servire in camera sua… La moglie rimane spesso nella tetra solitudine che le sue tre figlie giovanette le creano, vivendo fuori una vita, malsana quasi certamente, ma che sollevi dal silenzio mortale e dalla opprimente tristezza della casa ch’esse chiamano, con ironico disgusto, « il catafalco ». Ci si ritrova tuttavia « ufficialmente », nelle visite che conviene rendere o ricevere insieme, o al teatro… ma altrove, ci si sfugge reciprocamente, non ci si saluta nemmeno. L’intesa di questa disunione è fatta da lunghi anni. Si dorme sotto lo stesso tetto; ci si rimane per forza, quando si è ammalati… e questo è tutto, e anche troppo… Oh, se almeno questa famiglia fosse unica nella sua infelicità! Ahimè! migliaia e migliaia di focolari domestici, quel bandito elegante, forsennato, crudele che si chiama mondo, saccheggia spietatamente. Egli ne scaccia invariabilmente il suo eterno rivale, il Maestro crocifisso; ma lascia prudentemente, al posto della « Divina Realtà », per soddisfazione di una coscienza falsata e soprattutto per salvare le apparenze di una vita cristiana, per la dissimulazione dell’apostasia, esso lascia — l’ingannatore — il blasone cattolico. La grande ricetta del secolo: salvare le apparenze! Mancando il Re, il suo labaro continua a sventolare, per coprire, con la sua gloria, le molteplici disfatte della morale. Questa vita vertiginosa, che si chiama vita del gran mondo, non è che una morfinomania, una ricerca di narcotici che addormenti per un’ora tanti intimi rimorsi. Non posso paragonarla ad altro che a un banchetto in cui nessuno gode tranquillamente degli alimenti che sono serviti, ma nel quale i convitati assistono ad una sfilata di vivande che assaggiano appena, per alzarsi di tavola tediati, stanchi e ancora affamati. – Stordirsi così, andando da un salone a una spiaggia, da un teatro ad un ballo; stordirsi, cambiando maschera, in questo carnevale apparentemente elegante e di buon gusto; stordirsi ricercando nuove distrazioni e nuove raffinatezze del piacere, la più eloquente dichiarazione di una profonda infelicità? – In mezzo alle più belle feste, fra due sorrisi mendaci, si soffocano talora dei singhiozzi… E l’amarezza mortale di questi mondani pet debolezza e per moda, viene dall’assenza si potrebbe dire con Marta, se Tu fossi stato qui, nostro fratello non sarebbe perito… » – Le croci di disperazione che li schiacciano, sono tanto differenti da quelle che dà il Re d’amore. Il calice che il mondo offre ai suoi amici, pieno di amarezza e di torbido, è molto diverso da quello del Getsemani, a cui il Maestro ci invita a partecipare. Tuttavia, Gesù-Re, bandito da quelle famiglie e quei cuori, non varcherà mai, contro la loro volontà, la soglia della loro porta. Ma aspetterà paziente, perché è il Salvatore, che il dolore li obblighi a ricordarsi di Lui: « Signore… colui che tu ami è malato! » – Quanto a noi, il nostro compito, dinanzi a questa terribile crisi familiare, è quello di ripetere con tutte le nostre forze: « Il Maestro è là… Batte alla porta vostra… Vi chiama: apritegli! » « Il suo scettro è di luce e di pace, il suo giogo è dolce e lieve, Lui solo può promettere la felicità vera delle anime, senza opprimere peraltro la sorgente delle lacrime, ma divinizzando e fecondando ogni pena ». – « Apparisce chiaramente », dice l’Enciclica di S. S. Pio XI, « che non vi ha alcuna pace di Cristo fuori di Cristo, e che in conseguenza noi non possiamo cooperare più efficacemente a ristabilire la pace, se non restaurando il Regno di Cristo ». Ricostituiamo dunque integralmente i diritti del Maestro, del solo Re delle anime, della famiglia, della società; intronizziamo profondamente in maniera vitale e vissuta, Gesù Cristo, il solo Liberatore, il solo Salvatore, ed avremo restaurato in Lui ogni cosa, e con Lui, l’ordine e la pace individuale e sociale. – Affrettiamo il suo Regno sociale, il suo Regno d’amore: adveniat! Per la nostra salute eterna Egli deve regnare: Domine, Salva nos, perimus! (Matteo VIII, 25).

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (3)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (3)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO SECONDO

ATTIVITÀ DELLO SPIRITO SANTO NEL MONDO

Essendo, la nostra natura umana, finita, non esiste che in una sola persona. Dato invece che la natura divina è infinita, la Rivelazione c’insegna che esiste in tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. È una vita infinita di cui il Padre è la sorgente, il Figlio ne è il Verbo o la parola, la luce, la Sapienza. Quanto allo Spirito Santo è come un soffio di amore che va continuamente dal Padre al Figlio e torna di continuo dal Figlio al Padre. Sempre secondo la Rivelazione, al Padre si attribuisce più particolarmente la potenza; al Figlio il pensiero; allo Spirito Santo l’amore. Ma la potenza del Padre appartiene egualmente al Figlio e allo Spirito Santo; il Pensiero del Figlio appartiene egualmente al Padre e allo Spirito Santo; l’amore dello Spirito Santo appartiene egualmente al Padre ed al Figlio. Nella Trinità Santa non vi è di distintivo e, per conseguenza, di costitutivo delle Persone che le relazioni: la relazione di paternità, per la quale il Padre genera eternamente il Figlio, la relazione di filiazione per la quale il Figlio è generato eternamente dal Padre; la relazione di spirazione passiva per la quale lo Spirito Santo procede eternamente, come da un solo principio, dal Padre e dal Figlio, Secondo la concezione che la Rivelazione ci dà, la Trinità Santa appare come un movimento vitale, ineffabile, infinito che parte continuamente dal Padre e termina allo Spirito Santo, passando per il Figlio, e ritorna continuamente verso il Padre, passando per il Figlio. Perciò lo Spirito Santo appare come il termine della vita divina. È Colui per il quale, col quale, nel quale il Padre ed il Figlio compiono tutte le loro azioni nel mondo. Ma in tutte queste opere esterne, il Padre ed il Figlio agiscono quanto lo Spirito Santo. La Scuola dice molto bene: Omnia opera ad extra Sanctissimae Trinitatis sunt communia tribus personis. Tuttavia il Padre ed il Figlio agiscono sempre per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, come lo esprimono, sotto le più varie forme, con altrettanta poesia che pietà, le dossologie liturgiche. – Poiché lo Spirito Santo è il termine della vita divina, ed è in qualche modo Colui per il quale la vita trinitaria è rivolta verso il mondo, Colui per il quale, col quale, nel quale essa agisce, ne risulta che devono essere più particolarmente attribuite allo Spirito Santo tutte le operazioni esterne della Santissima Trinità. E siccome Egli è l’Amore che va al Padre per il Figlio, Verbo incarnato, e che trascina le anime, prima verso il Verbo incarnato, e, per il Verbo incarnato, verso il Padre, tutto ciò che lo Spirito Santo fa nel mondo, lo fa sempre per amore e per un disegno di santificazione. S’intuisce l’attività prodigiosa, meravigliosa, infinita, infinitamente ricca e varia dello Spirito Santo nel mondo. – È questa attività che cercheremo di descrivere.

I

Nella descrizione dell’attività dello Spirito Santo nel mondo, ci limiteremo a indicare quella che gli è esplicitamente attribuita dai Libri Santi e dalla Tradizione. Prima di tutto salutiamo lo Spirito Santo come Spirito creatore. Nel capitolo primo del Genesi leggiamo: «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso, e lo Spirito Santo si librava sopra le acque » (Gen. 1, 1-2). Così, in principio Dio creò il cielo e la terra. – Creò il cielo e la terra per mezzo del Suo Verbo nello Spirito Santo. E lo Spirito Santo si librava al di sopra del caos per formare il mondo, simile all’aquila che, sulle vette ove ha fatto il nido, si libra sopra i suoi piccoli per riscaldarli, comunicar loro forza e audacia, e vivificarli. L’autore del Genesi si è ispirato a questa commovente immagine. La conservazione nell’esistenza è una creazione continua. Lo Spirito Santo crea e conserva creando. Egli è dappertutto immanente nel mondo, sebbene dovunque distinto dal mondo. È in tutti gli esseri. Mediante una creazione continua li conserva tutti nell’esistenza, li dirige verso uno scopo determinato, e secondo un piano d’insieme. A tal punto che se lo Spirito Santo si ritirasse dal mondo, non vi sarebbe più in esso né direzione particolare, né direzione d’insieme, non esisterebbe più alcun essere. Sarebbe il nulla. Nella misura in cui Egli si ritira dal mondo e da noi, scacciato dall’abuso della nostra volontà libera, è il disordine. Creatore del mondo, lo Spirito Santo è il creatore della vita, di ogni vita. «E il Signore formò l’uomo dal fango della terra e gli ispirò in faccia il soffio della vita e l’uomo divenne persona vivente » (Gene II, 7). Dio prese un po” di fango delle sponde di uno dei grandi fiumi che cominciavano a solcare la terra. Con un soffio del Suo Spirito Santo, Dio animò questo fango e l’uomo diventò essere vivente. Mentre gli comunicava la vita naturale, con un soffio del Suo Spirito Santo Dio animò l’uomo della vita soprannaturale. E unitamente a questa duplice vita, ma a motivo della vita soprannaturale, Dio si compiacque perfezionare nell’uomo la vita naturale, perché in lui non vi fosse troppa distanza tra la vita naturale e quella soprannaturale. Gli diede un’intelligenza vigorosa. Lo gratificò di una volontà forte, libera, ben equilibrata, capace di mantenere in lui l’armonia fra tutte le potenze e assicurare l’ordine tra la natura e la grazia. Così l’uomo divenne persona vivente, vivente della vita naturale e di quella soprannaturale, simile a Dio. Dio lo aveva creato simile a Sé per farne il proprio amico e vivere con lui in rapporti di dolce intimità. L’uomo adorerebbe il suo Dio, lo ringrazierebbe, si offrirebbe a Lui, lo pregherebbe. Lavorerebbe la terra, svilupperebbe e approfondirebbe le sue cognizioni mediante lo studio. Ma i doni di privilegio che aveva ricevuto, gli avrebbero reso tutto facile. Sarebbe felice. E tutti i suoi discendenti erediterebbero gli stessi doni di Dio. – Creatore del mondo e creatore della vita, lo Spirito Santo è presentato nell’Antico Testamento come l’autore dei doni speciali, cioè di quei doni da cui dipende tutto l’avvenire del popolo di Dio. È lo Spirito Santo che illumina Giuseppe e gli fa comprendere i sogni di Faraone (Gen. XLI, 14-36). È lo Spirito Santo che dà a Giosuè le virtù che gli permetteranno di succedere a Mosè (Num. XXVII, 18). – È lo Spirito Santo che illumina i profeti. Il profeta dichiara da sé di essere l’uomo dello Spirito Santo (Osea IX, 7). – È lo Spirito Santo che ispira il sacro scrittore e dirige la sua mano. Risultato meraviglioso di questo lavoro divino-umano compiuto nel corso di molti secoli, sarà la Bibbia. È lo Spirito Santo che, mediante la comunicazione della pienezza dei Suoi doni, conferirà l’unzione messianica al Re venturo. Gli comunicherà i doni di sapienza e d’intelletto; i doni di consiglio e di fortezza; quelli di scienza e di timor di Dio. Perciò il Servo di Dio dirà per bocca del profeta Isaia: « Sopra di me è lo Spirito del Signore; poiché, Dio mi ha unto per portare la buona novella agl’infelici » (Is. XI, 1-3). È per opera dello Spirito Santo che il Verbo di Dio si è fatto uomo nel seno della Vergine Maria (Lc. I, 35). È lo Spirito Santo che fa sapere al vecchio Simeone che non morrà prima di aver visto il Redentore del mondo, e gl’ispira il cantico che noi recitiamo: «Or lascia, o Signore, che il Tuo servo, secondo la Tua parola, se ne vada in pace, perché gli occhi miei hanno mirato il Redentore del mondo » (Lc.: II, 27-32). È lo Spirito Santo che, per mezzo di un Angelo, dà a Giuseppe l’ordine di fuggire in Egitto per sottrarsi alla persecuzione di Erode (Mt. II, 13-15). Al battesimo di Gesù, sulle rive del Giordano, lo Spirito Santo sotto il simbolo della colomba, si libra sul Salvatore, e la voce di Dio Padre risuona: «Ecco il mio Figlio diletto: ascoltatelo » (Mt. III, 13-17; Mc. I, 9-11; Lc. :III, 21-22). – Autore dei doni speciali, lo Spirito Santo è l’autore della vita soprannaturale nelle anime. Per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo che Egli manda, il Salvatore spinge i peccatori alla penitenza e alla fede. La penitenza e la fede, ecco il principio della vita del regno che è venuto a stabilire. Tutti i peccati verranno rimessi eccettuato uno solo, che non può essere rimesso in questo mondo e neppure nell’altro, il peccato contro lo Spirito Santo, cioè il rifiuto di cedere ai lumi, agl’inviti, alle ingiunzioni del divino Spirito nell’anima. Tutti coloro che accettano di cedere allo Spirito Santo si convertono, credono in Gesù, lo seguono. È per mezzo dello Spirito Santo che il Salvatore sceglie e forma gli Apostoli. Quando non sarà più visibilmente presente, lo Spirito Santo sarà in essi e manterrà l’unione tra il Maestro e i discepoli; finirà di illuminarli e mostrar loro i misteri; riceveranno lo Spirito Santo in tutta la pienezza, e per lo Spirito, con lo Spirito, andranno alla conquista spirituale del mondo. Per lo Spirito Santo rigenereranno le anime; rimetteranno i peccati; daranno alle anime la forza di lottare contro la potenza delle tenebre che è nel mondo, e contro tutte le forme di rispetto umano. L’epiclesi della cerimonia eucaristica, cioè l’invocazione allo Spirito Santo, sarà la grande preghiera con la quale si chiederà l’unione di tutti i fedeli, prima in un solo corpo eucaristico, e poi, mistico. Lo Spirito Santo formerà il cuore dei diaconi, e farà dei sacerdoti, altri cristi. Li sosterrà, li illuminerà, animerà la Chiesa fino alla fine dei tempi. Alle origini del Cristianesimo, sostiene i martiri, i confessori, le vergini, come ce ne rende testimonianza il fatto seguente, scelto tra mille. È il 13 dicembre dell’anno 303, a Siracusa, in Sicilia; Diocleziano è imperatore. Una vergine che conta appena qualche anno di più di sant’Agnese, è tradotta davanti al prefetto di Siracusa. Si chiama Lucia. Essa dichiara di aderire a Gesù, per lo Spirito Santo, con tutte le fibre del cuore. E il prefetto le rivolge questa domanda: « Credi dunque che lo Spirito Santo è in te e ti suggerisce le parole che dici? » – « Credo », risponde la vergine, « che quelli che vivono nella castità, sono tempio dello Spirito Santo ». La spada si abbatte sul capo della vittima innocente, testimone del Cristo e dello Spirito Santo. Così è della Chiesa: né l’odio, né la cattiveria, né l’incomprensione, né la stoltezza degli uomini, le impediranno di vivere, fino alla fine del mondo, per compiervi la sua opera di salvezza, perché essa è illuminata, sostenuta, animata dallo Spirito Santo.

2.

Esiste però un problema che ha già tormentato molti spiriti. Da un lato tutte le operazioni della Santissima Trinità, nel mondo, sono comuni alle tre Persone; e, dall’altro, secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione dei Padri, a cui, per essere completi, è necessario aggiungere l’esperienza dei santi, le operazioni esteriori della Santissima Trinità sono attribuite allo Spirito Santo con tale insistenza da sembrare che tali operazioni siano unicamente opere dello Spirito Santo. Come conciliare quest’apparente contraddizione? La maggior parte dei teologi scolastici insegnano che se, nella Sacra Scrittura e nella Tradizione dei Padri, la santificazione delle anime è sempre attribuita allo Spirito Santo, è unicamente a motivo della relazione che esiste fra il carattere di tale operazione e il nome distintivo e personale di questa divina Persona. La santificazione delle anime, non è propria dello Spirito Santo, ciò che richiederebbe l’esclusione delle altre Persone; essa gli è solamente appropriata. Si tratta dunque di un’attribuzione fondata sopra una semplice appropriazione. Il P. Petau, l’illustre rinnovatore della teologia positiva, ha creduto poter sostenere un’opinione assai differente. « L’unione dello Spirito Santo con l’anima giusta, scrive nei suoi Dogmata theologica, procede dalla divinità comune alle tre Persone, ma in quanto questa divinità sussiste nell’ipostasi dello Spirito Santo. Così esiste una certa ragione secondo la quale la Persona dello Spirito Santo si applica alle anime dei giusti e che non conviene alle altre Persone nella medesima maniera (De Deo trino, 1. vir, cap. VI, 6). Qual è questa maniera che conviene specialmente allo Spirito Santo? « Le tre Persone, prosegue l’autore, abitano realmente nell’anima giusta. Ma solo lo Spirito Santo è come la forma santificante, quasi forma sanctificans, ed è Lui solo che, per mezzo della comunicazione di Se stesso, rende l’uomo giusto » (Ibid. 8). Che cosa vuol dire il P. Petau, quando scrive che solo lo Spirito Santo è come la forma santificante, ed è il solo ad unirsi sostanzialmente, secondo un’espressione tolta da san Gregorio Nazianzeno e a san Cirillo Alessandrino? Petau ha già spiegato il senso di questa formula. « Nessuno nega, egli scrive, che le tre Persone abitino nel giusto. Ora tutta la questione sta nel sapere il modo di abitazione. Non è necessariamente lo stesso in tutti i casi. Così il Padre e lo Spirito Santo non abitano meno del Verbo nell’Uomo-Cristo. Ma il modo di esistere è differente. Poiché, oltre il modo che gli è comune con le altre Persone, il Verbo ha un modo speciale, in virtù del quale è come una forma che rende Dio, quest’uomo… Parimente, nell’uomo giusto, abitano le tre Persone. Ma solo lo Spirito Santo è come la forma santificante ». Non bisognerebbe far dire al P. Petau, il cui testo è tanto preciso e luminoso, ciò che è ben lungi dal suo pensiero. Non dice che vi è parità fra il modo di unione del Figlio con la natura umana, nell’Incarnazione, e il modo di unione dello Spirito, Santo con l’anima giusta, nella santificazione. Insegna soltanto che l’unione dello Spirito Santo con l’anima giusta, è propria o speciale allo Spirito Santo, come, ma in tutt’altro modo, l’unione del Verbo con l’umanità è propria o speciale al Verbo. Così il P. Petau distingue fra l’abitazione nell’anima e il modo di quest’abitazione, tra l’inabitazione e l’unione. L’inabitazione appartiene egualmente alle tre Persone: l’unione è propria allo Spirito Santo. L’opinione di Petau è condivisa da parecchi altri teologi. Tutti questi autori pretendono che tale dottrina sia quella dei Padri greci. E tuttavia se si ha cura di esaminare più da vicino la patristica greca, sembra che essa esiga un’altra interpretazione. Così, come lo dice benissimo il P. Petau, l’inabitazione delle tre Persone nell’anima giusta appartiene egualmente a tutte e tre. Esse, secondo il loro linguaggio, vi abitano sostanzialmente, termine, diciamolo subito, che bisogna tradurre con l’espressione in sostanza, per evitare un’altra questione. I Padri greci sono unanimi su questo punto. Ma il modo d’inabitazione o l’unione è una proprietà dello Spirito Santo? Sembra che essi abbiano identificato l’inabitazione e il modo d’inabitazione o l’unione santificante. Quando i teologi scolastici contestano la distinzione del P. Petau, non già, è vero, in nome della critica testuale, ma in nome della ragione teologica, il che è più facile, ciò non è senza qualche fondamento. Da un altro lato, i Padri greci distinguono accuratamente tra l’inabitazione o l’unione santificante (che oppongono all’unione ipostatica, che è propria al Verbo Incarnato) e l’atto che ha per termine quest’abitazione. In altre parole, essi distinguono fra l’inabitazione passiva e l’inabitazione attiva. E insegnano che l’inabitazione attiva è più particolarmente opera dello Spirito Santo. Qui bisogna vedere soltanto una conseguenza della maniera dei Padri greci di rappresentarsi la vita trinitaria. Poiché lo Spirito Santo è il termine della vita divina, se questa vita agisce sulle creature, non può essere se non per mezzo dello Spirito Santo che procede dal Padre per il Figlio e che ritorna al Padre per il Figlio. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo agiscono egualmente. Ma il Padre ed il Figlio agiscono per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo. Così l’inabitazione attiva è più particolarmente opera dello Spirito Santo, perché tale è, in certo modo, l’ordine o la legge fondamentale della vita trinitaria di non agire ad extra che per mezzo dello Spirito Santo. Il Padre e il Figlio agiscono per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo. Ad extra, tutto si fa per lo Spirito, con lo Spirito, nello Spirito, senza che vi sia in nessun modo esclusività del Padre e del Figlio. Senza dubbio sarebbe preferibile rinunziare a questa espressione scolastica di azione propria, che richiede sempre un intervento, ad esclusione degli altri interventi, per adottare un’espressione alla quale l’uso accordi un significato più largo e meno tecnico. Ne segue che la trasformazione dell’anima, che consiste nell’infusione di una vita nuova e nella sparizione del peccato, sarà più particolarmente opera dello Spirito Santo. Ma è permesso allargare il soggetto, quanto può esserlo, e dire che tutte le operazioni ad extra della Santissima Trinità, che si tratti della creazione del mondo materiale, della creazione della vita, della comunicazione di doni speciali, oppure dell’Incarnazione del Verbo, di tutte le opere ad extra della Santissima Trinità, sia nell’ordine della natura che in quello della grazia, sono più particolarmente opere dello Spirito Santo. Niente si oppone a ciò che la soluzione che ne abbiamo data, e che s’ispira alla rivelazione che ci è stata fatta della vita trinitaria, non serva a spiegare le operazioni che, nella Sacra Scrittura e secondo la Tradizione dei Padri, sono attribuite unicamente, almeno sembra, al Padre, al Figlio o allo Spirito Santo. – Allo Spirito Santo appartengono più particolarmente tutte le operazioni ad extra della Santissima Trinità. L’espressione è stata compresa e giudicata. Ma inoltre, secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione dei Padri, nella Trinità Santa, al Padre, sembra appartenere unicamente la potenza; al Figlio, unicamente il pensiero; allo Spirito Santo, unicamente la carità, l’amore. Si tratta forse di un’attribuzione che dipende unicamente dalla relazione che esiste tra il carattere di una data azione e il nome distintivo o personale di una Persona divina determinata? Oppure di un’attribuzione fondata sopra una semplice appropriazione, come lo insegnano la maggior parte dei teologi scolastici? Vi è di più? – Allo Spirito Santo; secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione dei Padri, appartiene la carità, l’amore. Questa attribuzione dipende esclusivamente dalla relazione che esiste fra il carattere dell’amore, che è come un soffio, e il nome distintivo della Persona dello Spirito Santo, che è come un soffio? Vi è di più? – Termine e pieno sviluppo della vita divina, perfezione della vita trinitaria, lo Spirito Santo non può essere che la carità, l’amore, come la carità dovrà essere il termine, lo sviluppo sempre più completo la perfezione ognor più compiuta della nostra vita soprannaturale. Perciò san Giovanni, servendosi per nominare Dio, della perfezione che ne è il compimento, il termine, ha potuto dire: Dio è Amore (1 Giov. IV, 16). – Allo Spirito Santo appartiene dunque più particolarmente l’amore. Tale attribuzione è fondata sull’ordine intimo, sull’economia della vita trinitaria, quale la Rivelazione ce la fa conoscete, sul posto dello Spirito Santo nella vita trinitaria, quindi sulla missione più particolare che Esso vi compie. Al Padre, secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione dei Padri, appartiene la potenza. Qui dobbiamo fare la stessa domanda. Questa attribuzione dipende unicamente dalla relazione che esiste tra la potenza e il nome distintivo della persona del Padre? La vita trinitaria ci è stata rivelata con un movimento vitale, ineffabile, infinito che parte continuamente dal Padre e termina allo Spirito Santo, passando dal Figlio, e torna continuamente verso il Padre passando dal Figlio. Il Padre è come la sorgente della vita trinitaria, come il punto di partenza che le conferisce il suo slancio, la sua potenza. Perciò al Padre si attribuisce più particolarmente la potenza. – Al Figlio, secondo la Sacra Scrittura e la Tradizione dei Padri, appartiene il pensiero. Quest’attribuzione dipende forse unicamente dalla relazione che esiste tra il pensiero e il nome distintivo della Persona del Figlio? – Il Verbo è Colui per il quale il Padre va allo Spirito Santo, come è Colui per il quale lo Spirito Santo va al Padre. Egli è il centro della vita trinitaria. Ne è il pensiero, la Sapienza, il Logos, la parola, il Verbo di Dio; ne è come il piano vitale che ha servito alla ricostruzione dell’umanità decaduta. Come in principio servì alla creazione della prima umanità, perciò al Figlio appartiene più particolarmente il pensiero. – Non ci resta che chiedere perdono alla Santissima Trinità per aver cercato di penetrarne i misteri e rivolgerle questa preghiera d’invocazione, nella quale metteremo tutta la nostra adorazione, la nostra riconoscenza e il nostro amore:

Eterno Padre, siate la perfezione dell’anima mia:

Figlio di Dio, siatene la luce;

Spirito Santo, che l’anima mia sia mossa unicamente da Voi!

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (4)

CRISTO REGNI (1)

CRISTO REGNI (1)

 P. MATHEO CRAWLEY

(dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione – SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur Mediolani, die 4 febr. 1926

Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR

In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 – Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

PREM. TIP. PONT. ED ARCIV. S., GIUSEPPE – MILANO

—————————————

1° L’autorità del Re dei re diminuita.

2.° La santità del Re d’Amore oltraggiata.

Crisi di pudore, di modestia, di morale.

3.° L’onore del Re della gloria disdegnato.

Crisi di vocazioni sacerdotali e religiose.

PREFAZIONE

Salve Regina

A te, Regina dei cuori dedico queste pagine scritte col sangue del mio povero cuore, in difesa dei diritti del Re d’Amore, tuo Figlio.

Salve Regina!… Tu, che nella notte del primo Natale, vegliasti tra le sofferenze, senza poter trovare né un tetto che ti ricoprisse, né una porta aperta che ti ricevesse… Tu, la grande Riparatrice, aiutami a restaurare la sovranità di Gesù nelle famiglie e nella società, batti Tu stessa alle porte dei cuori e delle famiglie cristiane, chiedendo un trono di gloria per il Cristo-Re!

Salve Regina !… Tu la sola bella, santa, immacolata, aiuta la nostra impotenza nelle lotte contro le iniquità di un mondo senza Dio; aiutaci a distruggere il vituperio di un Cristianesimo falsato; aiutaci a far risplendere nei focolari che ti sono devoti l’antica austerità dei costumi ed il sole del tuo purissimo Cuore tra i fanciulli, le vergini, le spose, le madri cristiane; oh! Madre senza macchia! Che il Cuore di Gesù troneggi nel tabernacolo delle famiglie, adornato del giglio della purezza e della modestia. – Che il Vangelo, in tutta la sua integrità sia l’unica legge di dignità sociale e di virtù cristiana. Dissipa, o Regina di purezza, le nubi dei pregiudizi pagani, delle convenienze assurde e vigliacche per le quali Gesù vien flagellato. Oh! fa ch’Egli diventi nuovamente, nelle famiglie e nella società, il Cristo-Re!

Salve Regina !… Tu sei la Regina del Cenacolo della Chiesa, Tu la dolce Sovrana del clero e dei chiostri, Tu comunichi ai preti ed alle spose consacrate una parte della tua divina maternità, moltiplicando per mezzo di essi i Gesù che daranno Gesù alle anime ed al mondo. Grazie!… ma, ohimè! Tu sai, o Maria, che il mondo che odia Gesù, vorrebbe anche spegnerne la discendenza più che nobile, inaridendo la sorgente degli apostoli, distruggendo gli altari e spogliando i giardini fioriti dei chiostri. Sii, o Regina del Cuore di Gesù, più forte di una armata schierata in battaglia, dà Tu stessa il grande assalto e noi avremo certamente la vittoria. – Oh! per assicurarla alla Chiesa dacci dei sacerdoti, dei sacerdoti-apostoli, e degli apostoli-ostie!… Maria, Mediatrice, esaudiscici, non tardare più, la Chiesa piangendo ti tende le braccia… Ritorna sulla terra, benedici le famiglie, spargi tra di esse una semenza divina, fa che in esse fioriscano i germi di santità sacerdotale, fiori di santità verginale per gli altari, fiori benedetti per i chiostri… Dà, o Regina d’amore, subito la vittoria al Cristo-Re!…

Salve Regina!

P. MATHEO CRAWLEY

Braine-le-Comte, 22-12-1922.

INTRODUZIONE

Nisi Dominus ædificaverit domum, invanum laboraverunt qui ædificant eam.

(P. CXXVI, 1).

[Se il Signore non edifica la casa, invano lavorano coloro che la edificano.]

V’è un male morale, vera cancrena della vita privata e sociale, l’estensione ed i danni del quale, palesatisi attraverso gli avvenimenti, ci spaventano. – Dopo il conflitto armato, dopo le epidemie, mortifere più ancora della stessa guerra, questo flagello, terribile come una epidemia morale, angoscioso come una malattia mortale, triste come una lotta interiore, implacabile come un’offensiva vittoriosa che distrugge ed abbatte qualunque barriera, questo flagello, dico, ci opprime e sembra spingerci nell’abisso. – Non intendo far qui allusione all’effervescenza rivoluzionaria, né allo squilibrio politico delle nazioni, né all’incoerenza delle folle che si sollevano, desiderose di far nascere e stabilire una comunanza universale. – Limito invece le mie osservazioni esclusivamente al piccolo, ma nello stesso tempo grande regno che è la famiglia, a questa sorgente di vita e d’azione sociale, — il focolare — così profondamente sminuito e pervertito da questo male. – Ohimè! La morale sociale e privata, messa dalla guerra a sì dura prova, non ne è uscita né purificata né rinnovellata. E tuttavia, questo male, o meglio, questo groviglio di mali sì gravi, che alcuni immaginano nuovi, e di cui anche i più noncuranti si lamentano, è proprio un frutto della guerra? Sì, in una certa misura. Per la sua stessa natura, la guerra, che è un disordine, non ha potuto che contribuire al disordine generale ed al rilassamento dei principî. E se alcuni sono stati veramente rigenerati dalle sofferenze, quanti altri invece ne sono stati sfiorati soltanto superficialmente! La guerra ha aperto degli abissi nella società! Ma noi crediamo tuttavia che la maggior parte di tali mali, di cui un giorno potremo dolerci, non sono stati che svelati e caratterizzati dalla guerra. Questa è stata come una bomba caduta in un giardino pubblico; la cui esplosione ha messo allo scoperto dei cadaveri in putrefazione e delle ossa disseccate. Non si sapeva più ciò che quel terreno fiorito ricoprisse; e si danzava su quel tappeto di terra verdeggiante: la dinamite ha messo in luce il vecchio cimitero che vi giaceva sotto. – Un triplice male, estremamente grave, male mortale, rodeva intanto nascostamente le viscere della società moderna, senza che essa volesse rendersene conto. Aveva paura di constatarlo? La sua noncuranza, in ogni modo, non faceva che accentuarlo.

1° Era un male di raffinato orgoglio, ossia una corruzione dello spirito. Due manifestazioni tipiche e tormentose ce ne rivelarono l’esistenza: una profonda ignoranza religiosa sempre più sistematica, in certe categorie apparentemente intellettuali e dirigenti; quindi, come logica conseguenza, un disprezzo orgoglioso del divino; e infine, l’odio, crescente come un’onda di rabbia settaria, e che minacciava di sommergere le istituzioni del diritto pubblico, cristiano ed ecclesiastico.

2° Era un male d’apatia rapidamente trasformatosi in un male di indifferenza e di disgusto per l’idea e le cose religiose, perché la corruzione della coscienza cristiana segue da vicino la corruzione dello spirito. Com’è grande, tra la gente onesta, il numero di coloro che sono completamente indifferenti ad un regime, qualunque esso sia, religioso o laico!  L’agitarsi dei problemi dell’educazione dell’infanzia, del matrimonio o della legislazione cristiana, tutto quello insomma che non tocca da vicino l’interesse ed il piacere, non riesce a smuovere la loro calma e beata indifferenza…

3.° Era soprattutto un male di voluttà, una febbre spaventosa, un delirio intenso dei piaceri sensuali. Questa corruzione dei sensi già esisteva adunque, ed era un orribile tumore che il coltello della guerra ha aperto, rivelando agli occhi attoniti degli stessi grandi Maestri di sociologia, nuovi abissi d’infamia. – Allorché scoppiò la guerra, questi grandi mali, e tutti gli altri che, come dal loro naturale focolaio, sono da essi scaturiti, erano molto più profondamente radicati di quello che la società nostra, così fiera della sua cultura e della sua civiltà, non credesse. Precisamente questa società, che si crede cristiana, che si vanta di esserlo, e soprattutto di sembrarlo era contaminata dai suoi vizi mortali, anche più di quanto si pensasse. – Soltanto quando il sangue ha zampillato, si è constatato con sorpresa ch’esso era già corrotto. La crudele e spaventosa amputazione fatta dalla guerra. non è stata soltanto una provocazione nefasta ma anche una rivelazione benefica di tanti mali. E la Provvidenza che tutto guida, l’ha permessa perché si facesse la luce. luce; e con la luce, la guarigione delle famiglie e della società. – È ovvio che alcuni istinti perversi, alcune malattie morali e profonde, non potevano essere facilmente guarite; anzi, la guerra, nel rivelarle, le ha acutizzate. Essa ha fatto conoscere il punto debole e gli abissi latenti della nostra società, più cristiana all’epidermide che nello spirito, e piuttosto pagana nei costumi. – Ascoltate S. S. Pio XI: « Molto prima che la guerra incendiasse l’Europa, la principale causa di queste grandi calamità già si agitava » (Enciclica Ubi arcano Dei).  Si dormiva, ed anche più, si danzava sull’orlo di un abisso. Veder oggi tutto questo sì da vicino, ci spaventa; esaminarlo a due passi, ci irrita, perché esso suona accusa per molte persone intelligenti e colpevoli, e per tanti malfattori che eran creduti gente onesta. Ma questa visione d’orrore, questo risveglio di soprassalto al rombo del cannone, sarà per molti la tavola di salvezza.  Parliamo francamente e cristianamente. È meglio certo fare, anche contro la volontà del malato, la diagnosi della malattia, per portare il necessario rimedio, che far l’autopsia del cadavere, per constatare il male che ne causò la morte. Che i mali immensi, del resto, di cui ci lamentiamo, siano o non siano frutto nefasto della guerra, non importa; quel che ci preme è che essi son là, come una voragine aperta, che minaccia d’inghiottire quello che non è stato ancora distrutto dal conflitto mondiale. Noi attraversiamo una crisi morale e sociale, eccezionalmente acuta; tuttavia io sono e resto ottimista, perché credo. Questa crisi, per quanto formidabile essa sia, non è la più grave della storia. L’umanità, prima della venuta di Nostro Signore, ne ha conosciute delle altre e ancora più gravi, per il fatto istesso che Gesù Cristo, nostro Liberatore, non era ancora venuto. Io credo in Lui ch’è venuto. Credo in Lui, che è e sarà sempre la origine della vita immortale, la forza redentrice, la sorgente della virtù, la resurrezione dei morti. Questo Maestro, questo Legislatore, questo Re, questo Liberatore, non è passato già come un bagliore che lascia soltanto una scia luminosa e brillante dietro a sè. No, Egli non è passato; Egli è venuto ed è restato con noi, Sole e Luce delle anime e della società. E non ci ha lasciato soltanto il suo mantello, ma il suo. Cuore palpitante che batte all’unisono coi nostri cuori, a due passi degli infermi, a portata di mano di tutti gli uomini, suoi fratelli. – Quegli che disse: «Io sono la Risurrezione » non è solamente il Verbo, estatico nella visione del Padre celeste, ma è l’uomo Dio, il Figlio di Maria: Egli si chiama Gesù. Risiede in mezzo a noi colla sua presenza reale nella Santa Eucaristia, e governa la Chiesa, sotto le vesti del Pontefice di Roma. Noi non siamo ancora perduti, perché Egli è il Re, e il Centro della terra che ha bevuto il suo sangue, e che gli vuole riscattare col suo amore. – Dal Tabernacolo e dalla Chiesa, come un tempo sul lago di Genezareth, Egli domina le tempeste, le placa, ed i flutti tumultuosi sono ove la sua mano li dirige. Per rassicurare la Chiesa, e i credenti, Egli non ha che a dire queste parole: « Sono io… Venite, non temete… Io ho vinto il mondo! » – Noi possiamo e dobbiamo vincerlo con Lui. Più forte della più forte tempesta, è la pentecoste della carità del Cuore di Gesù; più potente dell’inferno la onnipotenza misericordiosa del Dio d’Amore che è Gesù, il Verbo, il Figlio di Dio e Figlio di Maria. Ricordiamoci la sua parola: « Il Figlio dell’Uomo è venuto a salvare ciò che era perduto » (Matteo XVII, I).

L’unico Liberatore, sei Tu, o Gesù!

Ma per questo: Oportet: è necessario ed urgente ch’Egli sia di fatto un Re.

CRISTO REGNI (2)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (2)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (2)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO PRIMO

SIMBOLI DELLO SPIRITO SANTO

Dio si è rivelato agli uomini mediante il pensiero umano che Egli ha illuminato, di cui ha diretto le espressioni verbali, le parole, come cantiamo nel nostro Simbolo: Qui locutus est per prophetas. Egli ha pure assistito gli autori ispirati che scrivevano la parola rivelata. È in questo modo che ci sono venuti i Libri Santi. La Tradizione, diretta da Dio, ci ha trasmesso la parola non scritta nei Libri Santi, alla quale si riferiscono spesso i Padri della Chiesa. Ma soprattutto ci ha trasmesso il pensiero rivelato e scritto nei Sacri Libri. Nel medesimo tempo ha approfondito questo pensiero in modo da penetrarne sempre più gli aspetti. La Chiesa, assistita da Dio, ha diretto questo duplice lavoro di trasmissione e di approfondimento. Il lavoro di trasmissione o di tradizione può considerarsi terminato con san Gregorio Magno, morto nel 604. Ma quello di approfondimento o di penetrazione, continua. La Chiesa assistita da Dio, nei Concili o per mezzo del Papa infallibile, ha definito i termini di questo lavoro di trasmissione e di approfondimento, o di solo approfondimento. È così che Dio dapprima si è fatto conoscere. Ma san Tommaso ci avverte che il linguaggio umano, sia pure pieno dell’assistenza di Dio, resta sempre umano, quindi relativo alle categorie del pensiero umano, enunciativo del mistero di Dio senza dubbio, ma in forma umana o, come si suol dire, in modo analogico. E ci dà questo avvertimento a proposito del più grande dei misteri, enunciato in linguaggio umano, il mistero di un solo Dio in tre persone (Summa theol. 1, q. 30, a. 3.). – Dio si è egualmente fatto conoscere per mezzo del sentimento umano, cioè mediante le intuizioni del cuore. E questa maniera di farsi conoscere, essendo più diretta, meno elaborata, meno umanizzata, ha maggiori probabilità di essere esatta. È ancora san Tommaso che ce ne avverte quando dice di avere appreso i misteri di Dio più nelle meditazioni davanti al crocifisso, che mediante la lettura di tutti gli scritti sacri o profani. Dio si è pure rivelato per mezzo dei fatti. Siamo a Cafarnao. Viene presentato a Gesù un paralitico. Di fronte alla fede di quest’uomo e di coloro che glielo hanno portato, Gesù gli dice: « Ti sono rimessi i tuoi peccati ». I Farisei presenti, Dottori della legge, Scribi, si scandalizzano. E che dicono, additando Gesù, ecco che Egli si attribuisce un  potere tutto divino, quello di rimettere i peccati — infatti, i peccati che sono offese di Dio, non possono essere rimessi se non da Dio solo — ecco che si fa eguale a Dio e si dice Dio. Egli bestemmia! E Gesù risponde: affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha veramente il potere di rimettere i peccati: « Alzati e cammina », dice al paralitico che si alza tosto e cammina. Qui Dio parla per mezzo di un fatto sull’importanza del quale nessuno può ingannarsi. Egli firma, accredita con un fatto, la dichiarazione del Salvatore e l’interpretazione che i Farisei ne dànno: Gesù è proprio eguale a Dio, è Dio. – Ma Dio parla ancora per mezzo degli elementi che sono nel mondo. Si serve pet questo dei più potenti: il vento, l’acqua, il fuoco. Con tali elementi, da Lui animati, Egli significa o simboleggia la Sua presenza, le diverse forme della Sua azione. Ed è specialmente lo Spirito Santo, la Sua presenza e i suoi molteplici interventi, che ha significato o simboleggiato servendosi degli elementi. Forse con questo modo di rivelarsi si fa conoscere meno. Il più delle volte non abbiamo delle nostre potenze fisiche e intellettuali, che una coscienza confusa. Un’osservazione più attenta di noi stessi ce le fa conoscere. Avviene lo stesso dello Spirito Santo. Ci muoviamo in Lui nell’ordine della natura e in quello della grazia. Troppo spesso non abbiamo di Lui che un sentimento vago. Si è anche potuto chiamarlo il « Divino Sconosciuto ». Ma lo sguardo penetrante della fede viva non s’inganna. E, per essa, il linguaggio degli elementi è più espressivo e rivelatore dell’umano linguaggio. Lo Spirito Santo è il Dio che la vivifica, il Dio che essa adora e glorifica con le sue dossologie, Colui per mezzo del quale va continuamente al Figlio, Verbo di Dio fatto uomo e, per il Figlio, al Padre.

1.

La parola Spirito, Spiritus, significa soffio, vento. Serve a designare la terza Persona della Santissima Trinità, perché questa divina Persona ci è stata rivelata ed è come un soffio, talvolta potente e maestoso, che scuote e rinnova la faccia della terra; tal’altra lieve e dolce che increspa la superficie delle riviere e dei laghi, fa ondulare le messi quasi mature, agita delicatamente le foglie dei grandi alberi, accarezza i fiori, rinfresca la nostra fronte: e, ancor più, perché la terza Persona dell’Augusta Trinità ci è stata rivelata ed è come quel soffio inspirato continuamente nei nostri polmoni per ossigenarvi il sangue, ed anche di continuo espirato per espellere dal sangue l’acido carbonico, duplice soffio d’inspirazione e di espirazione che chiamiamo respirazione, talmente necessaria alla nostra vita che la continuazione di essa mantiene e significa la vita e la sua cessazione, provoca e significa la morte. – Così lo Spirito Santo ci è stato rivelato ed è soprattutto come il soffio di Dio che producendo la respirazione in tutto ciò che vive, ne assicura la vita, e sospendendola, ne cagiona lo sfacelo e ben presto la morte. – Ma qui il simbolismo della respirazione si trasforma e si eleva. Lo Spirito Santo è come un duplice soffio che ci dà Dio e, dopo averci rinnovati, mediante la comunicazione della grazia e la purificazione dell’anima nostra, ci dà a Dio. Dio è Vita, Luce e Amore. Lo Spirito Santo è come un soffio che ci vivifica, c’illumina, c’infiamma e fatto questo, ci dà a Dio, Vita, Luce e Amore. Lo Spirito Santo ci prende e, dopo averci rinnovati, ci trascina nel movimento della vita divina. Dio formò l’uomo dal fango della terra e gl’ispirò in faccia il soffio della vita, leggiamo all’inizio del Genesi, e l’uomo divenne persona vivente (Gen. II, 7. È lo spirito che ci anima. Di qui queste due parole, spirito e anima per designare il principio misterioso, che è in noi capace di conoscete, stimare, pesare o pensare, capace anche di volere liberamente, e, come tale, spirituale e immortale, e che costituisce la nostra trascendenza. Unito sostanzialmente al nostro corpo, fa di noi ciò che siamo.). Diventò un essere vivente della vita naturale ed anche, nel medesimo tempo, della vita soprannaturale, come per mezzo della fede affermiamo. – Per essere il più possibile esatti, diciamo che, in questo soffio di Dio che ci anima, si può distinguere come un soffio creato, uno spirito creato, che chiamiamo il nostro spirito o l’anima nostra; poi un soffio creato consistente nel duplice movimento continuo d’inspirazione e di espirazione, che si chiama respirazione ed è necessario alla nostra vita terrena; quindi, immanente, ma distinto, sia nel soffio creato che è l’anima nostra, come nel soffio creato che è la nostra respirazione, un soffio increato che anima l’anima nostra e la nostra respirazione ed è come il soffio di Dio, la terza Persona della Santissima Trinità, lo Spirito Santo. – E, per essere questa volta, non soltanto esatti, ma completi, diciamo che vi è come il soffio di Dio nell’ordine naturale, che ha per termine la nostra vita semplicemente umana, e come il soffio di Dio nell’ordine soprannaturale che ha per termine la nostra vita in Dio mediante la fede e la carità. – Questo soffio di Dio, la Chiesa non cessa d’invitarlo, in un ordine o nell’altro, con questa preghiera che pone sulle labbra di coloro che lavorano — soprattutto di quelli che si dànno con slancio agli esercizi della vita spirituale e allo studio delle verità religiose — e che si affaticano, e vogliono santificare il proprio lavoro e la loro fatica: «Vieni, o Santo Spirito, riempi i cuori dei Tuoi fedeli, e accendi in essi il fuoco del Tuo amore ». « Manda il Tuo Spirito per mezzo del quale non cessi di conservare e di creare tutte le cose: e mediante il quale rinnoverai la faccia della terra ». – «Ti preghiamo, o Signore, che hai ammaestrato i cuori dei fedeli mediante il lume dello Spirito Santo; donaci in questo divino Spirito e per questo divino Spirito, di amare ciò che è vero e trovar sempre la nostra più grande gioia nelle sue consolazioni ». – Il simbolo del soffio, del vento, dello spirito, col quale abbiamo cercato di farci qualche idea della terza Persona dell’Augusta Trinità, ci ha messi di fronte ad una realtà assai complessa e misteriosa, sulla quale tuttavia è riuscito a proiettare un po’ di luce. Soprattutto questa. Lo Spirito Santo è il vincolo vivente che ci unisce a Dio, ci fa vivere in Dio nell’ordine della natura, come in quello della grazia. È come una respirazione misteriosa che ci dà Dio e, dopo averci rinnovati, ci dà a Dio. Con questa divina respirazione, è la vita: senza di essa, è la morte. Torna al pensiero, ma applicandola più particolarmente allo Spirito Santo, secondo, del resto, il suo significato profondo, la celebre parola dell’Apostolo san Paolo, il Dottore della teologia dello Spirito Santo: In ipso enim vivimus, et movemur, et sumus. Così egli insegnava all’Areopago, come già avevano detto alcuni filosofi greci (Atti XVII, 28). –

2.

Lo Spirito Santo è ancora simboleggiato o significato dall’acqua. È come un fiume d’acqua viva, scrive il veggente dell’Apocalisse: « E ostendit mihi fluvium aquæ vivæ, procedentem de sede Dei et Agni. Emi mostrò un fiume d’acqua viva, che scaturivano dal Trono di Dio e dell’Agnello » (Apoc. XXII; 1). Questo fiumed’acqua viva che procede dal Trono di Dio.cioè da Dio Padre, per l’Agnello, cioè il Verbo incarnato, simboleggia lo Spirito Santo, spiega Sant’Agostino (De Gen. contr. Manich. n. 37). E nel Salmo 45, 5, scrive lo stesso sant’Agostino (In Ps. 45, n. 5), si tratta pure dello Spirito Santo quando il Salmista esclama: « Fluminis impetus lætificat civitatem Dei: sanctificavit tabernaculum suum Altissimus.Il corso di un fiume rallegra la città di Dio,l’Altissimo ha santificato il Suo tabernacolo ».Secondo il Salmista, lo Spirito Santo è anche un fiume immenso che irriga, feconda e rallegra la città celeste, il santuario ove abita l’Altissimo.Se uniamo i due simboli dell’Apocalisse e del Salmista formandone uno solo, otteniamo un simbolo di potentissimo effetto. Lo Spirito Santo è come un fiume che dal Padre si frange nel Figlio, edal Figlio rimbalza verso il Padre trascinando seco la moltitudine delle anime beate, prima verso il Figlio, Verbo di Dio fatto uomo, in un movimento di contemplazione, cioè d’intuizione e d’amore, e, per il Figlio, verso il Padre. Eccoci elevati in piena vita trinitaria. La teologia dei Padri greci c’insegnerà infatti, che la vita trinitaria consiste in un movimento immenso e ineffabile, senza principio, senza soste, senza fine, che parte dal Padre e termina allo Spirito, passando per il Figlio, e si rivolge verso il Figlio, e dal Figlio, verso il Padre. Ne segue che, per lo Spirito Santo e nello Spirito Santo, tutte le anime degli eletti vivono in Dio nella più stretta unione. Esse vivono tra loro della vita più intensa e più intima che mai possa esistere. Nessuna parola umana diretta, può dire queste cose. Solo quel meraviglioso simbolo del fiume che si frange e del fiume che rimbalza, analogo al simbolo del duplice soffio respiratorio che ci dà Dio e ci dà a Dio, può lasciarle intravedere. È il cielo. Noi siamo sulla terra. Ora, in questo mondo, è mediante le proprietà dell’acqua, che lo Spirito Santo simboleggia o significale differenti forme della Sua attività nelle anime.« Rorate celi desuper, et nubes pluant Justum, aperiatur terra, et germinet Salvatorem.Cieli, spandete dall’alto la vostra rugiada e le nubi facciano piovere il Giusto.Si apra la terra e germini il Salvatore ».È questa la preghiera ardente che la liturgia prende dal libro di Isaia (Is. XLV, 8) e ne fa il motivo principale della sua supplica durante il tempo dell’avvento. Questa rugiada benefica, queste nubi abbondanti, che nel periodo di siccità s’invocano con desiderio così grande soprattutto nei paesi di Oriente, quasi nubes pluviæ in tempore. siccitatis (Eccli. XXXV, 26), sono ordinariamente, nei Libri Santi, simbolo dello Spirito Santo. Qui si domanda che la rugiada e le nubi si riversino sulla terra per provocarvi la fecondità e la germinazione. Simbolismo molto espressivo per significare l’attività dello Spirito Santo nel compimento del mistero dell’Incarnazione del Verbo. Infatti, è per opera dello Spirito Santo che il Figlio eterno del Padre si è fatto uomo. È per suo mezzo che si è operata la soprannaturale germinazione nel seno della Vergine Maria: Et incarnatus est de Spiritu Sancto, ex Maria Virgine: et homo factus est. È ancora mediante le proprietà dell’acqua che lo Spirito Santo simboleggia e significa la Sua attività nell’opera della nostra santificazione. «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva, » ha detto il Salvatore. « Dal seno di chi crede in me scaturiranno fiumi di acqua viva. Egli diceva questo, » scrive san Giovanni, « dello Spirito che dovevano ricevere e già ricevevano quelli che credono in Lui » (Giov. VII, 37-38). Ora quest’acqua mistica abbondante e rapida come le acque dei fiumi, che simboleggia e significa lo Spirito Santo, purifica il cuore mediante la penitenza, unisce l’intelligenza e la volontà a Dio per mezzo della fede, slancia l’anima verso Dio, Sommo Bene, mediante la speranza, ci unisce strettamente a Dio con la carità, stabilisce in noi un equilibrio moderatore con le virtù di prudenza, giustizia, fortezza, temperanza e con tutte quelle che da esse derivano. – Verrà istituito un sacramento che per mezzo dell’abluzione dell’acqua conferirà lo Spirito Santo, con tutte le grazie da esso simboleggiate o significate, e che tutti gli uomini dovranno ricevere per entrare nel regno dei Cieli. « Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto, non potest introire in regnum cælorum.Chi non rinascerà per acqua e Spirito Santo, non può entrare nel regno dei Cieli» (Giov. III, 5). Questo sacramento è il Battesimo. Così l’acqua diventa il simbolo, il segno, il sacramento, nel quale e per mezzo del quale lo Spirito Santo si comunica o vuol comunicarsi a tutti gli uomini, per rigenerarsi, purificarli, comunicar loro la Sua grazia, farne dei fratelli del Verbo di Dio fatto uomo, dei figli di Dio Padre. « Euntes ergo docete omnes gentes, baptizantes eos în nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Andate dunque ed ammaestrate tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e de Figlio e dello Spirito Santo » (Mt. XXVIII, 19). – Lo Spirito Santo ci è stato rivelato. come un soffio, un soffio inspiratore per mezzo del quale Egli ci dà Dio, per rinnovare l’anima nostra, e un soffio espiratore per mezzo del quale, una volta rinnovata l’anima nostra, ci diamo a Dio. Così, per lo Spirito Santo che è come la nostra divina respirazione, viviamo per mezzo di Dio, viviamo in Dio.

3.

Lo Spirito Santo ci è stato pure rivelato come un fiume che viene dal Padre per il Figlio, Verbo di Dio fatto uomo, e che trascina verso il Padre, per il Figlio. Quando si tratta degli eletti che sono in cielo, lo Spirito Santo viene e trascina, come in un flusso e riflusso continuo e armonioso. Nessun irrigidimento da parte delle anime beate: invece, una infinita docilità, il più perfetto slancio. Lo Spirito Santo dà all’anima il Verbo di Dio, Vita e Luce, e dà l’anima al Verbo di Dio, Vita e Luce. È la contemplazione al grado più elevato. Nello stesso modo, lo Spirito Santo viene in noi per darci il Verbo di Dio e trascinarci verso di Lui. Ma quale peso da sollevare, quante difficoltà da sormontare, quanti peccati da vincere! Talvolta lo Spirito Santo si adopera a ciò durante tutta la nostra vita, fino al termine di essa; non cede, non si ritira che di fronte alla nostra ultima cattiva volontà. – Così lo Spirito Santo è, per noi che viviamo sulla terra, lo Spirito purificatore. La purificazione si fa mediante la penitenza. Ed è unita all’illuminazione per mezzo della fede. E tale illuminazione è tanto più viva quanto la purificazione è più completa e profonda. La fede opera per mezzo della carità. La carità sarà tanto più perfetta quanto più la fede sarà viva. Il fuoco è ciò che purifica meglio. È una fiamma che illumina ed incendia. Esso significa mirabilmente le proprietà dello Spirito Santo. Quindi non reca stupore che lo Spirito Santo ci sia stato rivelato sotto il simbolo del fuoco. «Ignem veni mittere în terram et quid volo nisi ut accendatur? Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che posso desiderare se non che si accenda ?»(Lc. XII, 49). Il Salvatore diceva questo dello Spirito Santo che era venuto a portare sulla terra: lo Spirito Santo sarà come un fuoco che purificherà le coscienze,una luce che illuminerà le menti, una fiamma che incendierà i cuori, suscitando in essi l’ardore della carità, lo zelo, la dedizione, il sacrificio.Fate penitenza dei vostri peccati. È il primo e principale messaggio del Salvatore, come fu il messaggio di Giovanni Battista e quello di tutti i profeti. Entrando nel mondo Gesù aveva voluto che la Sua vita fosse presentata, nel suo insieme, quale omaggio di adorazione a Dio Suo Padre (Ebr. X, 5), in opposizione al rifiuto di adorazione che trovasi infondo ad ogni peccato degli uomini.Fin dall’inizio del Suo ministero pubblico, dichiara implacabile lotta al peccato. Lo insegue in tutti i partiti, Farisei, Sadducei, Pubblicani, non appartenendo per questo ad alcun partito; in tutti gli ambienti, giudeo, greco o gentile, in tutte le classi,tra i ricchi, come fra i poveri. Là ove trova il pentimento perdona e, in segno di perdono, opera miracoli. In cielo, Egli dichiara, si fa più festa per un peccatore pentito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di perdono. Al Getsemani, la sofferenza che lo opprimerà, che lo getterà nell’angoscia fino a provocare un sudore di sangue, sarà cagionata dalla vista chiarissima dell’ingratitudine del peccato degli uomini. È questa l’azione esteriore del Salvatore; la esercita già per lo Spirito. Santo. Essa è unita ad un’azione interiore intensa che,per lo Spirito Santo, il Salvatore opera nelle menti e nei cuori. Egli si applica a far comprendere e sentire a ciascuno tutto ciò che il peccato ha di odioso. Esso è ad un tempo un’offesa fatta a Dio, sovrano Signore, una disobbedienza alle Sue leggi,un’ingiustizia, un disordine, un errore, un’ingratitudine.L’uomo è stato creato per adorare Dio, amarlo e servirlo. Col peccato, ricusa di servire amare e adorare il suo Dio. Va contro il proprio destino; perde la sua ragione d’essere, si mette in opposizione col bene, col proprio bene. Sono le vedute, i sentimenti, i rimproveri, i rimorsi che, per mezzo dello Spirito Santo che Egli manda, il Salvatore non cessa di mantenere nelle coscienze. Una purificazione s’impone e deve tradursi in un raddrizzamento delle volontà e in un cambiamento di vita. In verità lo Spirito Santo è come un fuoco Purificatore acceso sulla terra dal Salvatore il quale vuole che arda. Fate penitenza, Egli dice, e credete. La purificazione delle coscienze si accompagnava all’illuminazione degli spiriti mediante la fede. Lo Spirito Santo che è come un fuoco che purifica, è nel medesimo tempo una luce che illumina. Dovete credere di avere un medesimo Padre che è nei cieli e di essere tutti fratelli senza distinzione di razze, di nazioni, di caste, di famiglie. Se tra voi scoppiano dei conflitti, cosa inevitabile, fate che si risolvano sotto il segno della fraternità umana che vi unisce. – Credete che la vita presente deve terminare in una vita che non finisce, la vita eterna, quindi deve esserne la preparazione, l’iniziazione, il principio. Credete molto di più. Il Verbo di Dio, Vita e Luce, si è fatto uomo. Ha comunicato all’umanità che ha assunto, la pienezza della Sua vita e della Sua luce, affinché, da questa umanità, mediante la fede e la comunione eucaristica, riceviamo della pienezza di questa vita e di questa luce. È per mezzo dello Spirito che il Verbo di Dio ci manda, che noi riceviamo, della pienezza di questa vita e di questa luce. Così lo Spirito Santo è la luce che brilla nello spirito e nel cuore di ciascun uomo. È un fuoco che brucia e una luce che illumina. Tutti uniti per la fede e l’Eucarestia, nel Verbo di Dio fatto uomo, tutti fratelli in Lui, ed in Lui figli del medesimo Padre che è nei cieli, un vincolo che deve unirci. Di questo vincolo, lo Spirito Santo è l’ispiratore, l’autore, l’anima. La volontà del divino Spirito è che tale vincolo diventi sempre più vivente, sempre più intimo e si manifesti mediante la dedizione e i sacrifici di ogni genere, e sia come una fiamma che incendia tutti i cuori. Così lo Spirito Santo, fuoco che purifica, luce che illumina, è anche una fiamma che incendia. Il fuoco è il simbolo che meglio significa lo Spirito Santo, la Sua, presenza e la Sua azione. – Quando il Salvatore ebbe compiuto sulla terra l’opera della nostra Redenzione, era necessario ricordare agli Apostoli i minimi particolari della vita di cui erano stati testimoni, fissarli nell’anima loro. Bisognava rammentare loro gl’insegnamenti ricevuti che non avevano quasi compresi e non avevano potuto comprendere, come Gesù stesso aveva detto. Erano imbevuti dei pregiudizi del loro tempo, ancora preoccupati dei loro meschini interessi e di quelli materiali di questo mondo. Restava da compiere in essi un lavoro di purificazione, d’illuminazione e di carità disinteressata. Sarà questa l’opera dello Spirito Santo. – Dieci giorni sono trascorsi dall’Ascensione del Salvatore. Gli Apostoli sono radunati nel Cenacolo, divenuto il luogo abituale della loro riunione. La mattina del decimo giorno, pregano con maggiore ardore del solito. La Santissima Vergine è in mezzo a loro. Si ode un rumore come di vento impetuoso che scuote la casa dove si trovano e quelle dei dintorni. Sul loro capo splendente di vivissima e purissima luce appaiono delle lingue di fuoco. Sotto il simbolo del fuoco, è lo Spirito Santo che viene in essi per purificarli, illuminarli, infiammare il loro cuore di carità ardente che si affermerà fino alla testimonianza del sangue. Con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, il Maestro adorato ed amato, il Verbo incarnato, asceso alla gloria, tornava tra loro, per partire con essi alla conquista del mondo. Sarà in mezzo a loro, con loro tutti i giorni, fino alla fine dei secoli, confermando con segni e miracoli la verità della dottrina che insegnano. Il fuoco, simbolo dello Spirito Santo, per opera del quale si compiono tutte queste cose, brilla ovunque, purifica, infiamma.

4.

Come si legge nel Genesi, alle origini dell’umanità sopravvenne un cataclisma per purificare gli uomini già tarati di ogni vizio. Quando tutto fu terminato, apparve nel cielo una colomba, la cui bianchezza è simbolo dell’innocenza, il cui canto lo è della dolcezza. Essa recava un ramo d’ulivo, emblema della pace. Da quel momento la colomba che porta il ramoscello d’ulivo è stata sempre considerata; in tutte le letterature religiose e profane, quale simbolo della pace. La colomba simboleggia lo Spirito Santo. Nei tempi antichi, sotto il segno della colomba recante il ramo di ulivo, lo Spirito Santo annunziava e portava al mondo la pace di Dio. «Io non maledirò più la terra a causa degli uomini, dice Dio, perché i sensi e i pensieri del cuore umano sono inclinati al male fin dall’adolescenza; quindi non colpirò più ogni vivente come ho fatto. Finché durerà la terra, sementi e messe, freddo e caldo, estate e inverno, notte e giorno non cesseranno mai » (Gen. VIII, 21-22). Sulle rive del Giordano, mentre Giovanni Battista battezzava il Salvatore, leggiamo nei tre Sinottici, una voce si fece udire: « Questo è il mio Figlio diletto: ascoltatelo » (Mt. III; 11-17; Mc. 1. 6-11; Lc. III; 15-22). Era la proclamazione dell’unzione messianica di cui Cristo era stato oggetto fin dal suo ingresso in questo mondo. Lo Spirito Santo, sotto il simbolo di una colomba, riposava sopra Gesù, per significare la missione della quale era rivestito e che Egli doveva continuare, attraverso il mondo, fino alla fine dei tempi: una missione di pace nell’ordine, nella verità, nella giustizia, nella carità, nel lavoro rimuneratore e benefico per tutti, sotto tutte le forme, per il bene degl’individui, delle famiglie, delle nazioni, dell’umanità. Spirito Santo che procedi dal Padre per il Figlio, vieni in noi!

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – “CUM MULTA SINT”

« … dove la Religione viene soppressa, è inevitabile che vacilli la solidità di quei principi che sono il fondamento della salute pubblica, che ricevono grande vigore dalla Religione e che consistono soprattutto nel governare con giustizia e moderazione, nell’ubbidire per coscienza del proprio dovere, nel domare con la virtù la cupidigia, nel dare a ciascuno il suo, nel rispettare i beni altrui … ». Si tratta di uno dei passaggi chiave con cui il Sommo Pontefice Leone XIII si rivolge ai fedeli e ai Pastori spagnoli, invitandoli all’unità sociale sulla linea dei princìpi cattolici base della coabitazione pacifica di popoli e singoli. L’adesione alla Chiesa Cattolica deve avvenire con la stretta unione dei fedeli alla sacra Gerarchia, cioè in primis ai Vescovi, capi delle Chiese locali, a loro volta obbedienti e in sintonia perfetta con il Vicario di Cristo, capo in terra della vera ed unica Chiesa di Cristo, la Cattolica romana. Queste adesioni strutturano un corpo sociale solido avendo come fondamento e pietra angolare, il Cristo Figlio di Dio, e come anima l’azione dello Spirito Santo che abita mediante la grazia nei veri Cristiani. Su questa struttura modellante si conforma anche il corpo sociale e politico delle Nazioni che trae tutti i benefici materiali e morali idonei a creare uno sviluppo armonico delle parti ed il benessere di una vita vissuta nella fede e nella speranza della vita soprannaturale, quindi sulla carità. La mancanza di queste solide radici rende tutte le strutture traballanti, vacillanti e soggette alla rovina economica e sociale prima, spirituale poi. Ecco perché la nostra società pseudo-civile, fondata un tempo su valori cristiani, è oggi pressoché crollata in ogni suo aspetto senza che se ne possa vedere una ripresa seppur lontana. Eliminando la Pietra angolare su cui tutta la costruzione fonda, cioè Dio, il Cristo e la sua vera Chiesa, l’uomo ha creato le premesse per una catastrofe già in atto, e della quale sarà sempre più evidente lo sfascio fino al tracollo estremo e non più rimediabile. La realtà è sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono guardare senza paraocchi, realtà per altro ben descritta dalle divine Scritture a più riprese e oggi irrimediabilmente materializzata. Fuori Dio, fuori il Cristo Re, fuori la sua vera Chiesa militante, Corpo mistico vivo, sostituita da una sinagoga infame ed ingannevole, si è diventati ancora una volta schiavi del serpente antico! Ma non ci illudiamo, non è finita qua sul nostro pianeta desinato al fuoco, il peggio arriverà dopo, nella vita eterna, e là … sarà pianto e stridor di denti.

CUM MULTA SINT

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

Pur essendo molti i meriti per cui eccelle la generosa e nobile nazione Spagnola, tuttavia è da porre in primo piano quello di aver conservato (dopo il vario succedersi di vicende e di uomini) l’antico e quasi ereditario amore per la fede cattolica, con il quale parvero sempre congiunte la salute e la grandezza del popolo Spagnolo. Molti motivi confermano un siffatto amore: specialmente il grande rispetto verso questa Sede Apostolica, del quale gli Spagnoli offrono spesso chiara testimonianza con ogni sorta di espressioni, con lettere, con generosità, con pellegrinaggi affrontati per motivi religiosi. Né si perderà la memoria di questi ultimi tempi in cui l’Europa ammirò il loro animo parimenti forte e puro, quando avversi eventi turbarono la Sede Apostolica. In tutti questi fatti, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, oltre ad una speciale grazia di Dio Noi ravvisiamo il frutto della vostra vigilanza e il lodevole comportamento del popolo stesso che in tempi così ostili al Cattolicesimo si stringe con tanto zelo alla Religione avita e non esita ad opporre alla grandezza dei pericoli pari grandezza e fermezza d’animo. Certamente non vi è nulla che con ragione non si possa sperare dalla Spagna, se a tale disposizione degli animi daranno sostegno l’amore e una durevole concordia di volontà. – Ma a questo proposito non nasconderemo la realtà; pensando al modo di agire che alcuni Cattolici di Spagna ritengono giusto adottare, l’animo Nostro è colto da un certo dolore che ha qualche somiglianza con quell’ansiosa sollecitudine sofferta un tempo dall’Apostolo Paolo per causa dei Corinzi. Si era conservata costà una sicura e tranquilla concordia dei Cattolici, sia tra loro, sia soprattutto coi Vescovi; a tal proposito Gregorio XVI, Nostro Predecessore, giustamente lodò il popolo Spagnolo poiché gran parte di esso “perseverava nel suo antico rispetto verso i Vescovi e verso i pastori più umili, costituiti secondo i canoni” . Ora però, sopraggiunte le passioni di parte, appaiono tracce di dissensi che dividono gli animi quasi in diverse schiere, e non poco turbano quelle stesse società che si erano formate per merito della Religione. Accade spesso che tra coloro che discutono circa il modo migliore di difendere il Cattolicesimo, l’autorità dei Vescovi sia considerata meno del dovuto. Anzi, talora se il Vescovo dà un suggerimento, se prende una decisione conforme ai propri poteri, non mancano coloro che provano fastidio o apertamente contestano, mostrando di credere che egli abbia voluto favorire gli uni e nuocere ad altri. – In verità si avverte chiaramente quanto sia importante conservare intatta la concordia degli animi, tanto più che fra una così rilevante e diffusa licenza di opinioni aberranti, in una così aspra e insidiosa ostilità verso la Chiesa Cattolica, è assolutamente necessario che tutti i Cristiani, unendo le loro forze e con il più attivo concorso delle volontà, resistano in modo da non soccombere separatamente, vinti dall’astuzia e dall’impeto degli avversari. Pertanto, sospinti dal pensiero di siffatte difficoltà, con questa lettera facciamo appello a Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, e vi chiediamo con insistenza che, come interpreti dei Nostri salutari ammonimenti, usiate la Vostra prudenza e la Vostra autorità per consolidare la concordia. – Sarà inoltre opportuno, in primo luogo, ricordare la interdipendenza delle questioni religiose e civili, poiché molti cadono nell’errore opposto. Taluni, infatti, sono soliti distinguere la politica dalla Religione, non solo ma addirittura le disgiungono nettamente in modo che nulla vi vogliono scorgere di comune né ritengono che l’una possa influire sull’altra. Costoro, per certo, non sono molto lontani da chi preferisce una società costituita e amministrata senza Dio Creatore e Signore di tutte le cose, e incorrono in un errore tanto più grave in quanto avventatamente sottraggono allo Stato una copiosa fonte di beni. Infatti, dove la Religione viene soppressa, è inevitabile che vacilli la solidità di quei principi che sono il fondamento della salute pubblica, che ricevono grande vigore dalla Religione e che consistono soprattutto nel governare con giustizia e moderazione, nell’ubbidire per coscienza del proprio dovere, nel domare con la virtù la cupidigia, nel dare a ciascuno il suo, nel rispettare i beni altrui. – Ma come si deve evitare un errore tanto empio, così anche si deve rifuggire dalla contraria opinione di coloro che mescolano la Religione con qualche fazione civile e le confondono in un unico insieme fino al punto che coloro che sono di altro partito sono ritenuti quasi disertori del Cattolicesimo. Questo significa sospingere avventatamente le fazioni politiche nel campo augusto della religione: voler spezzare la concordia fraterna, spalancare l’ingresso e la porta a una funesta serie di sventure. – Pertanto, è necessario che si tengano separate, nel giudizio e nella opinione, la sfera del sacro da quella della politica, che per origine e per natura sono distinte. Infatti, questo genere di questioni civili, per quanto oneste e serie di per se stesse, non oltrepassano mai i confini della vita che conduciamo in terra. Invece la Religione che, nata da Dio, a Dio tutto riconduce, si espande più in alto e raggiunge il cielo. Essa infatti questo vuole, a questo tende: a educare l’animo, che è la parte più nobile dell’uomo, nella conoscenza e nell’amore di Dio e a condurre sicuramente tutto il genere umano nella futura città che andiamo cercando. Perciò è giusto che si consideri di ordine superiore la Religione e tutto ciò che ad essa è collegato con un vincolo particolare. Da ciò deriva che, essendo il sommo bene, essa deve conservarsi integra nella varietà delle umane vicende e nelle stesse mutazioni delle comunità statali: infatti essa abbraccia tutte le distanze di tempo e di luogo. I fautori di partiti opposti, pur dissentendo in parte, devono poi tutti convenire sulla necessità che il Cattolicesimo sia fatto salvo nel consorzio umano. – A codesto nobile e necessario devono tendere con ardore, e quasi stretti ad un patto, tutti coloro che amano il nome cattolico; devono tacere un poco sulla questione politica, pur essendo diverse le opinioni che si vorrebbero imporre e che al momento opportuno possono essere difese in modo legittimo e onesto. Infatti, la Chiesa non condanna affatto attività di tal genere se non contrastano con la Religione e con la giustizia; ma estranea ad ogni chiassoso contrasto, continua l’opera sua in favore del comune vantaggio, nell’amare con sentimento materno tutti gli uomini, soprattutto coloro la cui fede e pietà sono più grandi. – La concordia di cui abbiamo parlato è il fondamento stesso del Cristianesimo e di ogni bene ordinata repubblica; cioè l’obbedienza al legittimo potere che, comandando, vietando, guidando, rende pienamente concordi i mutevoli animi degli uomini. A questo proposito ricordiamo cose note e conosciute da tutti: tali, tuttavia, da non serbare soltanto nella memoria ma da rispettare nei costumi e nel comportamento quotidiano come regola della propria attività. E come il Pontefice Romano è maestro e principe di tutta la Chiesa, così i Vescovi sono i rettori ed i capi delle Chiese che i singoli, secondo il rito, hanno il mandato di governare. È buona norma che essi, ciascuno nella propria giurisdizione, presiedano, ammaestrino, correggano e in generale decidano sulle questioni che riguardano la vita cristiana. Infatti essi sono partecipi della sacra potestà che Cristo Signore ricevette dal Padre e lasciò alla Sua Chiesa: per questo motivo il Nostro Predecessore Gregorio IX disse ai Vescovi: “Non abbiamo alcun dubbio che i chiamati ad affrontare parte dei Nostri doveri religiosi sono da considerare vicari di Dio” . E questo potere appartiene ai Vescovi con sommo vantaggio di coloro sui quali esso si esercita: infatti per sua natura mira alla “edificazione del corpo di Cristo” e agisce in modo che ogni Vescovo unisca e quasi incateni nella comunione della fede e della carità i Cristiani ai quali è preposto, tra loro e col Sommo Pontefice, come membra con il capo. In materia è importante la sentenza di San Cipriano: “La Chiesa consiste in loro, nel popolo che si aduna attorno al sacerdote, nel gregge che si stringe attorno al suo Pastore”. Più importante è quest’altra: “Devi sapere che il Vescovo è nella Chiesa, e la Chiesa nel Vescovo, e se qualcuno non è col Vescovo, non è nella Chiesa”. Tale è la costituzione della repubblica cristiana, ed è immutabile e perenne; se non verrà religiosamente osservata, è inevitabile che sopravvenga un profondo turbamento dei diritti e dei doveri una volta che venga sciolto l’ordinamento delle membra, sapientemente unite nel corpo della Chiesa, “il quale, strutturato e costruito con nessi e correlazioni, cresce in gloria di Dio” (Col II,19). Da tutto ciò risulta che verso i Vescovi occorre usare il rispetto dovuto alla dignità del loro ufficio, e che occorre obbedire in quei casi che rientrano nel loro potere. – Considerate dunque le passioni che costì agitano molte coscienze in questi tempi, non solo esortiamo ma scongiuriamo tutti gli Spagnoli perché si ricordino di questo così importante dovere. E specialmente procurino con ogni impegno di praticare la modestia e l’obbedienza coloro che fanno parte del Clero, le parole e l’azione dei quali hanno ovunque grande influenza in ogni parte come esemplari. Sappiamo che quanto essi fanno nell’adempimento del proprio dovere sarà assai fruttuoso per loro e salutare per il prossimo se si piegheranno agli ordini e al cenno di colui che regge le sorti della Diocesi. Invero, i sacerdoti che si abbandonano alle passioni di parte in modo da sembrare più solleciti dei beni umani che dei celesti, non si comportano come esige la loro missione. Comprendano dunque che si devono guardare dal varcare i limiti della serietà e della misura. Adottata questa cautela, siamo certi che il Clero Spagnolo si renderà ogni giorno più benemerito, con la virtù, con la dottrina, col sacrificio, non meno della salute delle anime che del progresso civile. – In soccorso dell’opera sua giudichiamo assai opportune quelle associazioni che sono come le schiere ausiliarie nel promuovere il cattolicesimo. Pertanto, approviamo la loro istituzione e la loro attività, e desideriamo vivamente che, crescendo in numero e in impegno, producano frutti sempre più abbondanti. Invero, qualora essi si propongano la tutela e la diffusione del Cattolicesimo, e le questioni cattoliche siano affrontate nelle singole Diocesi dal Vescovo, ovviamente consegue che esse siano soggette ai Vescovi ed è doveroso attribuire gran merito alla loro autorità e al loro comando. E non meno essi devono impegnarsi nel preservare l’unione degli animi: infatti è in primo luogo comune ad ogni gruppo di persone far derivare la loro forza ed efficienza dal concorso delle volontà; quindi, sommamente conviene che in tali sodalizi risplenda il mutuo amore, il quale deve essere compagno di ogni opera buona e distinguere i seguaci della dottrina cristiana come un segnale e un vessillo. E siccome gli associati possono facilmente avere opinioni diverse circa lo Stato, perché non sia spezzata la concordia degli animi dalle opposte passioni di parte, occorre ricordare a qual fine tendano le associazioni che prendono il nome di cattoliche; nel prendere decisioni, occorre volgere gli animi verso l’unico proposito di non appartenere a nessuna fazione, memori della divina sentenza di San Paolo: “Tutti voi che siete battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non vi è più Giudeo né Greco, non vi é più schiavo né uomo libero… tutti voi, infatti, siete uno in Cristo” (Gal III, 27-28). In questo modo si avrà il vantaggio che non solo i singoli soci ma anche le varie associazioni del genere si troveranno tra loro in amichevole e benevolo rapporto: il che occorre perseguire con grande zelo. Deposte dunque, come dicemmo, le passioni di parte, saranno anche rimosse le prevalenti cause di nefaste competizioni; ne verrà di conseguenza che una sola causa attiri a sé tutti, in quanto eccelsa e nobilissima, tale da non consentire alcun dissenso tra i Cattolici degni di questo nome. – Infine, è di grande importanza che si adeguino a questa stessa disciplina coloro che con gli scritti, specialmente se quotidiani, combattono per l’integrità della Religione. Ci è noto a qual fine essi tendano, e con quanta volontà si battano, né possiamo fare a meno di rivolgere loro la giusta lode di meritarsi il nome di Cattolici. Invero la causa da essi abbracciata è tanto eccellente e sublime che richiede molte qualità, alle quali non devono venir meno i difensori della giustizia e della verità: infatti essi, adempiendo ad un dovere, non possono trascurare gli altri. Dunque, gli avvertimenti che rivolgemmo alle associazioni, li rivolgiamo anche agli scrittori, affinché, rimossi i contrasti, assicurino con la dolcezza e la mansuetudine l’unione degli animi sia tra loro, sia nel popolo: l’opera degli scrittori, infatti, ha molto potere su entrambe le parti. Nulla poi è così avverso alla concordia come le parole aspre, i sospetti temerari, le simulazioni sleali: pertanto è necessario rifuggire con la massima cautela da tutto ciò, fino ad odiarlo. Per i sacri diritti della Chiesa, per i principi del Cattolicesimo non si ricorra ad aspre dispute, ma queste siano moderate e temperate, tali da assicurare allo scrittore la vittoria nel conflitto, più con il peso della ragione che con uno stile troppo veemente ed aspro. – Siamo convinti che queste norme pratiche possono contribuire moltissimo a rimuovere le cause che impediscono la perfetta concordia degli animi. Sarà vostro compito, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, farvi interpreti del Nostro pensiero presso il popolo e impegnarvi per quanto vi è possibile, in modo che tutti regolino la loro vita quotidiana secondo quanto dicemmo. Confidiamo che gli Spagnoli seguiranno spontaneamente questi precetti, sia per la nobile disposizione d’animo verso questa Sede Apostolica, sia per gli auspicabili benefìci della concordia. Richiamino alla memoria i domestici esempi; pensino che i loro antenati, se compirono molte imprese, in patria e altrove, con splendido valore, questo avvenne non certo per aver dissipato le energie nelle contese, ma per aver agito con animo e mente concordi. Infatti, animati da amore fraterno e “avendo gli stessi sentimenti l’uno per l’altro”, trionfarono sul vessatorio dominio dei Mori, sulla eresia, sullo scisma. Seguano dunque le orme di coloro da cui trassero la fede e la gloria e imitandoli facciano in modo di essere riconosciuti non solo eredi di quel loro nome, ma anche delle loro virtù. – D’altra parte riteniamo, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, che per ottenere l’unione degli animi e l’uniformità della disciplina, giovi che vi riuniate in consiglio, quanti siete nella vostra provincia di residenza, tra voi e con l’Arcivescovo, per consultarvi insieme sui comuni problemi; quando poi la situazione lo richieda, è opportuno rivolgersi a questa Sede Apostolica, da cui promanano l’integrità della fede e la virtù della disciplina insieme con la luce della verità. I pellegrinaggi che ovunque dalla Spagna si dipartono, offrono, in proposito, una agevole opportunità d’incontro. Infatti, a comporre dissidi e a dirimere controversie nulla è più idoneo della voce di Colui che Cristo Signore, Principe della Pace, designò come vicario del Suo potere, nonché l’abbondanza dei carismi celesti che in gran copia emanano dai sepolcri degli Apostoli. – Ma poiché “ogni nostra capacità viene da Dio” pregate fervidamente Dio insieme con Noi perché renda efficaci le Nostre ammonizioni e disponga l’animo dei popoli pronto all’obbedienza. L’augusta Madre di Dio Maria Vergine Immacolata, patrona degli Spagnoli approvi le comuni imprese; ci assista l’Apostolo Giacomo; ci assista Teresa di Gesù, vergine legislatrice, grande luce di Spagna, nella quale l’amore della concordia, la carità di patria, l’obbedienza cristiana rifulsero come ammirevole esempio. – Frattanto, auspice di celesti doni e testimonianza della Nostra paterna benevolenza verso Voi tutti, Diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli, e verso tutte le genti di Spagna, impartiamo con affetto, in nome del Signore, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 dicembre 1882, anno quinto del Nostro Pontificato.

DOMENICA IV DI AVVENTO (2021)

IV DOMENICA DI AVVENTO (2021)

Stazione alla Chiesa dei 12 Apostoli.

Dom. privil. Semid. di II cl. Paramenti violacei.

Come tutta la liturgia di questo periodo, la Messa della Quarta Domenica dell’Avvento, ha lo scopo di prepararci al doppio Avvento di Cristo, avvento di misericordia a Natale, nel quale noi commemoriamo la venuta di Gesù, e avvento di giustizia alla fine del mondo. L’Introito, il Vangelo, l’Offertorio e il Communio fanno allusione al primo, l’Epistola si riferisce al secondo, e la Colletta, il Graduale e l’Alleluia possono applicarsi all’uno e all’altro. Le tre grandi figure delle quali si occupa la Chiesa durante l’Avvento ricompaiono in questa Messa. Isaia, Giovanni Battista e la Vergine Maria. Il Profeta Isaia annuncia di S. Giovanni Battista, ché egli è: « … la voce di colui che grida nel deserto: preparate la via del Signore, appianate tutti i suoi sentieri, perché ogni uomo vedrà la salvezza di Dio ». E la parola del Signore si fece sentire a Giovanni nel deserto: ed egli andò in tutti i paesi intorno al Giordano e predicò il battesimo di penitenza (Vang.). « Giovanni, spiega S. Gregorio, diceva alle turbe che accorrevano per essere battezzati da lui: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a fuggire la collera che sta per venire? La collera infatti che sovrasta è il castigo finale, e non potrà fuggirlo il peccatore, se non ricorre al pianto della penitenza. « Fate dunque frutti degni di penitenza. In queste parole è da notare che l’amico dello sposo avverte di offrire non solo frutti di penitenza, ma frutti degni di penitenza. La coscienza di ognuno si convinca di dover acquistare con questo mezzo un tesoro di buone opere tanto più grande quanto egli più si fece del danno con il peccato » (3° Nott.). « Iddio, dice anche S. Leone, ci ammaestra Egli stesso per bocca del Santo Profeta Isaia: Condurrò i ciechi per una via ch’essi ignorano e davanti a loro muterò le tenebre in luce, e non li abbandonerò. L’Apostolo S. Giovanni ci spiega come s’è compiuto questo mistero quando dice: Noi sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza perché possiamo conoscere il vero Iddio ed essere nel suo vero Figlio » (2° Nott.). – Per il grande amore che Dio ci porta ha inviato sulla terra il Suo unico Figlio, che è nato dalla Vergine Maria. Proprio questa Vergine benedetta ci ha dato di fatto Gesù; così, nel Communio, la Chiesa ci ricorda la profezia di Isaia: « Ecco che una Vergine concepirà e partorirà l’Emmanuele », e nell’Offertorio Ella unisce in un solo saluto le parole indirizzate a Maria dall’Arcangelo e da Santa Elisabetta, che troviamo nei Vangeli del mercoledì e del venerdì precedenti: « Gabriele, (nome che significa « forza di Dio »), è mandato a Maria — scrive S. Gregorio — perché egli annunziava il Messia che volle venire nell’umiltà e nella povertà per atterrare tutte le potenze del mondo. Bisognava dunque che per mezzo di Gabriele, che è la forza di Dio, fosse annunciato Colui che veniva come il Signore delle Virtù, l’Onnipotente e l’Invincibile nei combattimenti, per atterrare tutte le potenze del mondo » (35° Serm.). La Colletta fa allusione a questa «grande forza» del Signore, che si manifesta nel primo avvento, perché è nella sua umanità debole e mortale che Gesù vinse il demonio, come anche ci parla dell’apparizione della sua «grande potenza» che avverrà al tempo del suo secondo avvento, quando, come Giudice Supremo, verrà nello splendore della sua maestà divina, a rendere a ciascuno secondo le sue opere (Ep.). Pensando che, nell’uno e nell’altro di questi avventi, Gesù, nostro liberatore, è vicino, diciamogli con la Chiesa « Vieni Signore, non tardare ».

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Exod XVI :16; 7
Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]


Ps XXIII: 1
Dómini est terra, et plenitúdo ejus: orbis terrárum, et univérsi, qui hábitant in eo.

[Del Signore è la terra e quanto essa contiene; il mondo e e tutti quelli che vi abitano.]

Hódie sciétis, quia véniet Dóminus et salvábit nos: et mane vidébitis glóriam ejus.

[Oggi saprete che verrà il Signore e ci salverà: e domattina vedrete la sua gloria.]

Oratio  

Oremus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: et magna nobis virtúte succúrre; ut per auxílium grátiæ tuæ, quod nostra peccáta præpédiunt, indulgéntiæ tuæ propitiatiónis accéleret:

[O Signore, Te ne preghiamo, súscita la tua potenza e vieni: soccòrrici con la tua grande virtú: affinché con l’aiuto della tua grazia, ciò che allontanarono i nostri peccati, la tua misericordia lo affretti.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Corinthios
1 Cor IV: 1-5
Fratres: Sic nos exístimet homo ut minístros Christi, et dispensatóres mysteriórum Dei. Hic jam quaeritur inter dispensatóres, ut fidélis quis inveniátur. Mihi autem pro mínimo est, ut a vobis júdicer aut ab humano die: sed neque meípsum judico. Nihil enim mihi cónscius sum: sed non in hoc justificátus sum: qui autem júdicat me, Dóminus est. Itaque nolíte ante tempus  judicáre, quoadúsque véniat Dóminus: qui et illuminábit abscóndita tenebrárum, et manifestábit consília córdium: et tunc laus erit unicuique a Deo.

[ “Fratelli miei, così ci consideri ognuno come ministri di Cisto, e dispensatori dei misteri di Dio. Del resto poi ciò che si richiede ne’ dispensatori è che sian trovati fedeli. A me pochissimo importa di esser giudicato da voi, o in giudizio umano; anzi nemmeno io giudico di me stesso. Poiché non ho coscienza di nessun male; ma non per questo sono giustificato; e chi mi giudica, è il Signore. Onde non vogliate giudicare prima del tempo, finché venga il Signore: il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre, e manifesterà i consigli de’ cuori, ed allora ciascuno avrà lode da Dio”.]

A qual fine la Chiesa fa leggere oggi questa lettera?

Per avvertire quelli che ieri ricevettero i sacri Ordini a distinguersi per la fedeltà ai loro doveri e per la santità della vita, quanto sono distinti per l’alta dignità del loro stato; per ispirare il rispetto dovuto ai sacerdoti. che sono i ministri di Gesù Cristo, e i dispensatori dei divini misteri; ed in ultimo per ricordare ai Fedeli questa seconda venuta del Figliuolo dell’uomo; ed invitarli così a giudicarsi da se stessi, a purificare il loro cuore per la festa del Natale, ed a ricevere degnamente Gesù Cristo come Salvatore, sicché non l’abbiamo a temer come Giudice.

Perché S. Paolo non voleva giudicar se stesso?

Perché non sapeva come Dio lo giudicava, sebbene di niente gli rimordesse la coscienza: senza una rivelazione di Dio, nessuno sa se sia degno d’amore o d’odio. Dio scandaglia i cuori e le reni; nulla può sfuggire al suo sguardo, ed i giudizi di Lui sono ben differenti da quelli degli uomini, che accecati dall’amor proprio e dalla passione, spesso non vedono il male che fanno; nascondono sé a se stessi, e si giustificano quando dovrebbero condannarsi. Tale si crede innocente e si riguarda come santo, che al giorno poi del giudizio sarà ricoperto di confusione, quando Dio svelerà in faccia all’universo tutte le azioni di lui e tutti gli interni segreti. Non giudichiamo gli altri; di loro ci è ignoto l’interno; ma giudichiamo noi stessi: esaminiamoci accuratamente, pesiamo tutte le nostre azioni, scendiamo nel fondo della nostra coscienza, frugando tutte le pieghe e i nascondigli del nostro cuore; ed imiteremo s. Paolo che si giudicava così da se stesso; ma imitiamo parimente s. Paolo che in un altro senso non si giudicava da sé, cioè se dopo un’esatta ricerca, non troviamo nulla di riprensibile in noi, senza troppo fidarci del nostro giudizio, rimettiamo a Dio il giudizio definitivo, ed affatichiamoci per la nostra salvezza con timore e tremito, ponendo la confidenza nella misericordia del Signore.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale 

Ps CXLIV:18; CXLIV:  21
Prope est Dóminus ómnibus invocántibus eum: ómnibus, qui ínvocant eum in veritáte.

[Il Signore è vicino a quanti lo invocano: a quanti lo invocano sinceramente.]


V. Laudem Dómini loquétur os meum: et benedícat omnis caro nomen sanctum ejus.

[La mia bocca dia lode al Signore: e ogni mortale benedica il suo santo Nome.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
V. Veni, Dómine, et noli tardáre: reláxa facínora plebis tuæ Israël. Allelúja

[Vieni, o Signore, non tardare: perdona le colpe di Israele tuo popolo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc III:1-6
Anno quintodécimo impérii Tibérii Cæsaris, procuránte Póntio Piláto Judæam, tetrárcha autem Galilaeæ Heróde, Philíppo autem fratre ejus tetrárcha Ituraeæ et Trachonítidis regionis, et Lysánia Abilínæ tetrárcha, sub princípibus sacerdotum Anna et Cáipha: factum est verbum Domini super Joannem, Zacharíæ filium, in deserto. Et venit in omnem regiónem Jordánis, praedicans baptísmum pæniténtiæ in remissiónem peccatórum, sicut scriptum est in libro sermónum Isaíæ Prophétæ: Vox clamántis in desérto: Paráte viam Dómini: rectas fácite sémitas ejus: omnis vallis implébitur: et omnis mons et collis humiliábitur: et erunt prava in dirécta, et áspera in vias planas: et vidébit omnis caro salutáre Dei.”

“L’anno quintodecimo dell’impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Ponzio Pilato, e tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello tetrarca della Galilea Erode, e Filippo suo fratello, tetrarca dell’Idurea della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i Pontefici Anna e Caifa, il Signore parlò a Giovanni figliuolo di Zaccaria, nel deserto. Ed egli andò per tutto il paese intorno al Giordano, predicando il battesimo di  penitenza per la remissione dei peccati: conforme sta scritto nel libro dei sermoni d’Isaia profeta: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore; raddrizzate i suoi sentieri: tutte le valli si riempiranno, e tutti i monti e le colline si abbasseranno: e i luoghi tortuosi si raddrizzeranno, e i malagevoli si appianeranno: e vedranno tutti gli uomini la salute di Dio”. (Luc. III, 1-6).

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

APRI IL TUO CUORE AL SIGNORE CHE NASCE

Pochi giorni ci separano dal santo Natale. Penso a molti secoli fa, nell’imminenza del grande avvenimento, quando a Betlemme gremita di forestieri, entrarono due modesti sposi che venivano da Nazareth. Penso alla trepidazione di Giuseppe che supplicava con la parola e con gli occhi sulle porte degli alberghi, perché facessero al Padrone del mondo un po’ di posto, per nascere. In mezzo agli uomini non ce n’era più: dovette trovarglielo in mezzo alle bestie. Se per il prossimo Natale S. Giuseppe ritornasse a cercargli un posto, lo credereste più fortunato dopo venti secoli? Purtroppo il crudele rifiuto si ripeterebbe punto per punto. Immaginiamolo. – Ecco S. Giuseppe batte alla porta del ministero di qualche nazione moderna, ove si forgia il destino dei popoli, e chiede umilmente: « Fate la carità di un posto per nascere al Re del Cielo! ». «Ma non c’è più il Cielo. Non sapete ch’era una fandonia inventata per tener quieti quelli che non potevano mangiare abbastanza sulla terra?… ». «…È il Padrone del mondo ». «Il padrone del mondo siamo noi. Noi lo coltiviamo con le macchine e con i concimi chimici, noi lo scaviamo per estrarne oro e petrolio, noi lo percorriamo inalto e basso, per lungo e per traverso, con treni, con navi, con aeroplani. E poiché il rombo del temporale non fa più paura, noi lo spaventiamo con il rombo dei cannoni e lo scoppio delle bombe atomiche ». «… È Dio ». «Silenzio! Noi abbiamo le temibili organizzazioni dei « Senza Dio ». Ed ecco S. Giuseppe in giro per le città moderne. Batte alla porta dei cinema e dei teatri, dei caffè, delle osterie, ma spesso si vedono e si dicono cento cose che non è conveniente siano udite o viste dalla Vergine Maria: e lo respingono. Batte alla porta di negozi e di officine, ma si sente dire in faccia: « Indietro! Se ti facciamo un posto, poi bisognerà osservare la morale nel commercio. E con la morale non si fanno affari, e si va alla malora ». Batte alle edicole dei giornali, per chiedere se qualcuno inserisca tra gli avvisi economici una domanda d’alloggio per lui e per la Vergine Maria, e per il Bambino che deve nascere. «Ah no! — gli rispondono. — Se incominciamo a mettere sui giornali i nomi dei Santi e le cose vere e serie della Madonna e del Signore, i lettori s’infastidiscono, e non li vogliono più leggere. Perfino i Cattolici preferiscono i giornali un po’ liberali e larghi, e lasciano volentieri entrare in casa certi settimanali, illustrati magari con poca arte, ma con molta immodestia… » S. Giuseppe si decide a battere alla porta di famiglie private. Gli viene incontro il capo di casa che gli getta addosso uno sguardo non incoraggiante. « Impossibile; non ho stanze. Di figliuoli in casa non ne voglio più, primo perché non ho posto, e poi perché mia moglie ha già troppi fastidi, figurarsi se posso prendermi in casa un figlio di altri, sia pure il Figlio di Dio! ». – Che resta ancora a S. Giuseppe? Gli resta da battere alla porta del nostro cuore. Non lo sentite parlarvi, in questi giorni di santa aspettativa, con la voce della coscienza, con la voce della liturgia, con la voce innocente dei vostri bambini? « Apri il tuo cuore al Signore che nasce ». Il tuo cuore! da quanto tempo è forse ingombro di passioni cattive e di affetti illeciti e di peccati non confessati, o confessati male, o confessati senza né dolore né proponimento! Il nostro cuore forse è diventato una regione dove il demonio impera con la sua legge d’orgoglio, con i piaceri della sensualità, con le frodi e le ipocrisie. Come quando in una città deve arrivare il Re, ferve da per tutto il lavoro di pulizia, di riordino, di abbellimento, così con tutte le forze dobbiamo in questi giorni lavorare, nel raccoglimento, intorno al nostro cuore per disporvi le degne accoglienze al Re dei re. E che dobbiamo fare? Ce lo dice S. Giovanni nel Vangelo di questa domenica. « Udite la voce che grida nel deserto: preparate la via del Signore. Spianate i monti.  Coltivate le valli. Raddrizzate i sentieri tortuosi ». – SPIANATE I MONTI. Le vette da rovesciare sono quelle irte e gelide dell’odio e del rancore. Nel Vangelo è detto: « Da questo vi riconoscerò per miei discepoli se vi amerete tra di voi» (Giov., XIII, 35). Ecco che Gesù viene nel santo Natale, e guarda i cuori che sono suoi, per entrarvi. Ma dove c’è rancore, desiderio di vendetta, odio, Egli non li riconosce per suoi, e non entra. Nel Vangelo è detto: « Se stai per presentarti all’altare e ti ricordi che c’è una ruggine tra te e il tuo fratello, torna indietro, e va prima a riconciliarti » (Mt., V, 23-24). Se questo comandamento vale per ogni occasione, tanto più nella massima festa cristiana del santo Natale. «Ho già perdonato una volta e due — si scuserà qualcuno — ma poi mi ha fatto peggio ». Anche questo caso è contemplato nel Vangelo. « Se tuo fratello ha sbagliato verso di te, perdonagli. E quand’anche sbagliasse sette volte al giorno, se egli venisse sette volte al giorno a chiederti scusa, tu sempre gli perdonerai ». (Lc., XVII, 3-4). COLMATE LE VALLI. Le valli da colmare, acquitrinose e malariche, donde esala un’aria febbricosa. sono quelle dei piaceri sensuali, degli affetti morbidi, dei desideri impuri. Per nascere, al Figlio di Dio non importò né di ricchezze, né di casa, né di cuna. D’una sola cosa non poté fare a meno, essendo Dio: della purezza. Nacque da una Vergine. Beati quelli che saranno trovati in questi giorni col cuore puro: la grazia del santo Natale li inonderà, sentiranno la bellezza e il fascino di questa virtù che ci rende capaci di vedere Dio, godranno la pace promessa dagli Angeli agli uomini di buona volontà. Buona volontà di mortificare i sensi e il cuore, perché Dio non può nascere « dove i demoni ballano e le sirene fanno il nido ». (S. GEROLAMO, P. L. XXII, 398). – RETTIFICARE I SENTIERI TORTUOSI. I sentieri tortuosi sono tutte quelle vie coperte di frodi, di furti più o meno piccoli, di inganni, di bugie, di sotterfugi di cui troppo spesso si lascia inquinare anche l’uomo onesto. « Sono inezie, è un danno di cui non s’accorge nessuno! ». – « Colui che è fedele nelle piccole cose è anche fedele nelle grandi, e colui ch’è infedele nelle piccole è anche infedele nelle grandi ». (Lc., XVI, 10). – «Fanno tutti così ». Eppure vi dispiacerebbe che si sapesse che anche voi fate come tutti; che si sapesse quella vostra astuzia, o la provenienza di quella roba, o il modo di farvi dare quel denaro. E del Signore, che lo sa non vi rincresce? Non temete la sua giustizia? S. Giovanni grida ancora nel deserto: « Ah, gente tortuosa come le vipere chi vi insegnerà a sfuggire l’ira ventura? Viene il Signore col ventilabro, e separerà nettamente il grano dalla pula ». Raddrizzate i sentieri del vostro lavoro e del vostro commercio. – S. Francesco d’Assisi, parecchi giorni prima della festa di Natale, chiamò un uomo molto pio, di nome Giovanni, e gli disse che desiderava passare il Natale a Greccio. Doveva però preparargli nella foresta un presepio con la mangiatoia e col bue e l’asino, per rappresentare in una maniera viva il mistero della divina nascita. Nella santa notte arrivò la gente da tutte le parti con fiaccole e con lanterne: tutta la foresta palpitava di luce e risonava di gioia, Francesco con i suoi frati, in ginocchio, cantava le lodi del Signore davanti alla mangiatoia. Fu allora che al buon Giovanni parve di vedere una cosa meravigliosa. Nella greppia c’era un Bambino con gli occhi chiusi, come un morto. San Francesco s’avvicinò dolcemente e lo svegliò da quel profondo sonno di morte. Cristiani, il Natale è qui. Ma nella cuna di tanti cuori, il Bambino Gesù è morto. Sono stati i peccati a ucciderlo, così piccolo ed innocente! Lo dice S. Paolo che chi commette peccato lo fa morire nel proprio cuore. Bisogna farlo rinascere. – Sardanapalo, famoso re d’Assiria, statua di fango e di vizi da vivo, ha voluto che dopo la sua morte gli fosse eretta sulla pubblica piazza una statua di bronzo, con questa infame iscrizione sul piedestallo: «Passante, bevi, mangia, godi: il resto è nulla». Aristotile stesso ch’era un pagano leggendola esclamò: « Che altro scriveresti sul sepolcro non di un re, ma di un bue? ». Eppure Sardanapalo, simbolo del godimento sensuale, è oggi deificato da per tutto, sulla grande piazza pubblica del mondo e gli uomini ripetono il grido che San Paolo pose in bocca ai disperati mondani: « Non ci sia piacere che l’anima nostra non abbia provato: incoroniamoci di rose prima che marciscano; mangiamo e beviamo perché domani morremo » (I Cor., XV, 32). Ma in faccia alla statua di Sardanapalo, da due mila anni, un’altra fu eretta, non di bronzo, ma di legno; e sul legno inchiodato e sanguinante sta Gesù Cristo che morendo dice: « Se qualcuno mi vuol seguire, prenda la sua croce, e vi configga sopra spietatamente le sue cattive passioni ». (Mt. XVI, 24). Dove ci mettiamo noi? Sotto la statua di Sardanapalo o sotto la croce? Sceglieremo i piaceri del mondo e la vita sensuale delle bestie, o la penitenza di Cristo e la vita spirituale degli Angeli? Sceglieremo la strada larga dell’inferno, o quella stretta del Paradiso? Quello che ci convien fare, ce lo predica dal Vangelo San Giovanni Battista. Regnava a Roma da quindici anni Tiberio Cesare, Ponzio Pilato era governatore di Gerusalemme, Erode tetrarca della Galilea, Anna e Caifa, sommi sacerdoti, quando il figliuol di Zaccaria venne nei paesi lungo il Giordano a predicare il battesimo della penitenza. Prædicans baptismum pœnitentiæ. A quelli che l’ascoltavano diceva: « Razza di vipere! chi v’insegnò a fuggire l’ira che vi sovrasta? fate penitenza. Già l’ascia è sulla radice della pianta: fate penitenza. Già s’avvicina il regno dei cieli: fate penitenza ». Non è dunque la vita spensierata, ma la vita dura del proprio dovere che impone il Precursore; e dopo il mangiare, il bere e il godere ricordiamoci che c’è l’ira che ci sovrasta, c’è l’ascia che abbatte, c’è il regno dei cieli per i buoni e l’inferno per i cattivi. Facciamo dunque penitenza. – Ma che cos’è la penitenza? Ce lo spiega chiaramente S. Gregorio Magno: transacta flere, ea illa deinceps non committere. È il dolore, dunque, dei peccati, ed il fermo proposito di evitarli. Il dolore è la penitenza che cancella i peccati commessi. Il proposito è la penitenza che preserva i peccati futuri. PENITENZA CHE CANCELLA I PECCATI. Dopo la Pentecoste, S. Pietro uscì sulla pubblica piazza e predicò con parole ferventissime. « Uomini d’Israele! Ascoltatemi in silenzio. Gesù Nazareno, figlio di Dio, famoso per dottrina, per virtù, per miracoli, voi l’avete ucciso. Vos interemistis. Perché l’avete ucciso? forse perché illuminò i vostri ciechi, o forse perché mondò i lebbrosi? Forse perché guariva i vostri ammalati, o perché abbracciava, benedicendo, i vostri bambini? Perché l’avete ucciso? rispondete! ». Sotto la rovente foga di quel discorso la folla doveva sussultare come un bosco battuto dal vento. Gli uomini d’Israele si guardavano in faccia, atterriti, e gemevano tristamente: « Quid faciemus, viri fratres? ». Che faremo adesso per cancellare il delitto enorme? Come S. Pietro li udì mormorare così, rispose: « Fate penitenza! ». Pœnitentiam agite (Atti, II, 38).Non appena ai Giudei, ma anche a noi S. Pietro potrebbe ripetere: «Gesù Nazareno,voi l’avete ucciso. Voi coi vostri peccati, l’avete di nuovo crocifisso nell’anima vostra ». Quando avete assecondato quei pensieri disonesti, voi l’avete novellamente crocifisso sul legno infame della vostra impurità. Quando avete trasgredito il precetto del venerdì voi l’avete nuovamente crocifisso sul legno infame della vostra golosità. E potrei continuare. Ma allora, o fratelli, se noi siamo colpevoli di così gran delitto, che dobbiamo fare? Pœnitentiam agite. Buttiamoci ai piedi del crocifisso, guardiamo quelle piaghe che noi abbiamo aperte, e domandiamogli perdono. Questa contrizione delle nostre colpe, questo vivo rincrescimento d’aver offeso Dio che è tanto buono, questo dispiacere grande d’aver nuovamente crocifisso Cristo, è la penitenza che predicava S. Giovanni nei paesi lungo il Giordano, quella penitenza che è simile al Battesimo perché ci lava da ogni peccato. Prædicans baptismum pœnitentiæ. Il dolore d’aver offeso Dio, quanto più è perfetto, tanto più ci otterrà, non solo il perdono dei peccati, ma la remissione della pena dovuta al peccato.Quando S. Vincenzo Ferreri predicò in Francia, un giovane andò a gettarsi ai suoi piedi, piangendo. Aveva condotto una vita dissoluta, ora la grazia di Dio lo toccava in un modo mirabile. Il santo ascoltò la sua lunga confessione, poi gli assegnò una penitenza austera di sette anni.« Ma come, padre! — ripigliò il giovane — a me che tanto peccai, solo sette anni di penitenza! » e singhiozzava. Il santo, vedendo tanto dolore, rispose. « Figlio, andate: farete soltanto tre giorni di penitenza perché Dio è tanto buono ». – « Appunto perché Dio è buono e ciò nonostante io l’offesi, merito una grande penitenza ».« Orsù — rispose il santo — contentatevi di recitare tre Ave ». Allora il giovane scoppiò in pianto e S. Vincenzo Ferreri, per virtù di Dio, vide la sua anima così bianca che se fosse morto in quell’istante, senz’altra penitenza che il suo dolore, sarebbe volato direttamente al Cielo. – PENITENZA CHE PRESERVA DAL PECCATO. E Gesù entrò in Gerico. Passando sotto un sicomoro, scorse tra le foglie una breve figura d’uomo: Zaccheo. Lo chiamò: « Zaccheo, scendi in fretta che ho pensato di venire a casa tua ». La guardia doganale confusa e commossa, si calò giù dall’albero e si trovò in faccia al Signore: « Andiamo, Zaccheo, — disse Gesù — oggi voglio fermarmi un poco da te ». E s’avviarono. Zaccheo intanto pensava alle sue ingiustizie, ai furti, alle esose estorsioni di danaro fatte sulle carovane che passavano il confine tra la Giudea e la Perea; Zaccheo intanto sentiva i mormorii della folla scandalizzata al vedere il divin Maestro prendere stanza presso quel doganiere. Pensava e sentiva tutto questo con un senso di disgusto e di dolore per la sua vita passata. Ma a che sarebbe valso questo dolore, se non fosse stato seguito dal proposito efficace? Per ciò quando furono sul limitare si rivolse e disse: « Signore! dò la metà dei miei beni ai poveri e per ogni estorsione ingiusta, restituirò il quadruplo ». – Gesù guardò con amore quell’uomo di forte proposito, e in faccia alla folla gli rispose: « Questa casa ha ricevuto la salute, oggi, poiché anche costui è diventato figlio d’Abramo » (Lc., XIX, 19). – Da questo brano evangelico consegue che la vera penitenza non consiste solo nel detestare i peccati commessi, ma soprattutto nel ripararli, e nell’usare tutti quei mezzi che possono preservare dalle ricadute. Non bastano quindi parole e sospiri: mi confesso, mi pento, è mia colpa, mia massima colpa; ci vogliono i fatti. A quante persone si potrebbe dire: la tua voce è quella di Giacobbe, ma la tua mano è quella d’Esaù! Di parole e di promesse ne hai tante, ma in pratica c’è troppo poco. Il santo Natale è vicino, Gesù ha pensato di venire in casa nostra: come un giorno nella casa di Zacheo; via le chiacchiere adunque e convertiamoci. È necessario distruggere il corpo del peccato che è dentro di noi come dice l’apostolo: Ut destruatur in vobis corpus peccati (Rom., VI, 6). Rinunciamo a quelle mille cose dilettevoli che acuiscono in noi le passioni; perciò via dai nostri occhi soggetti e libri che suscitano la concupiscenza. Via dal nostro labbro quella scandalosa libertà di parola che rovina la nostra anima e l’altrui. Via quegli spettacoli, dei quali l’unico effetto è ridestare le immagini più losche. Via quelle amicizie morbose nelle quali noi stessi presentiamo vicina la caduta fatale. Anche la gola bisognerà mortificare, anche la pigrizia che ci tiene a letto quando alla prim’alba le campane ci chiamano alla Messa. Il regno dei cieli si conquista con la violenza; con la violenza che ciascuno di noi deve fare alla propria carne. Castigo corpus meum et in servitutem redigo (I Cor., IX, 27). – Ma dunque, dirà qualcuno spaventato da questo battesimo di penitenza, la Religione cristiana è proprio melanconica. Aveva ragione il poeta paganeggiante quando diceva a Cristo: cruciato martire, tu cruci gli uomini. Ascoltate: Gesù un giorno andò a un banchetto di nozze che si faceva in Cana. Sul più bello del convito manca il vino: nessuno ci aveva pensato. Gesù allora, benché a malincuore, — ma come resistere alla Madonna che lo pregava! — chiamò i servi: « Riempite le idrie d’acqua e poi versate che ne uscirà vino ». Tutti bevvero il vino del miracolo; ma come l’ebbe saggiato l’architriclino, ne fu meravigliato. Ne centellinò qualche sorso e poi esclamò: « Maestro! tutti, in principio, offrono ai convitati il vino migliore e poi, quando sono ubriachi, li riempiono di quello scadente; tu invece hai fatto il contrario. Hai dato prima il vino peggiore ed hai serbato alla fine un vino estasiante ». Cristiani: il calice del mondo è del demonio, il calice di Sardanapalo comincia col dolce, e poi dopo averci ubriacati nei vizi, finisce con il fiele del rimorso in questa vita, e con l’inferno nell’altra. Il calice di Cristo comincia con l’amaro della penitenza e finisce con la pace e la benedizione di Dio in questa vita, e con il paradiso nell’altra. – VOCE NEL DESERTO. Dice S. Tommaso da Villanova che l’anima del peccatore è un deserto. Ne ha infatti tutto l’aspetto: è arida e incolta, non produce frutto alcuno di vita, è ingombra dei rovi di cattivi pensieri, delle spine di cattivi desideri, delle ghiande di passioni immonde. E neppure mancano i serpenti, che sono i demoni. E poi, quanta solitudine dove Dio manca! quanta siccità dove la grazia non piove!… Ebbene, in questo deserto Dio non cessa di parlare per chiamarci al battesimo della penitenza e alla remissione dei peccati. E ci chiama con la voce della predicazione e con quella dell’ispirazione; con la voce del beneficio e con quella del castigo. a) Voce della predicazione. — Come in quei tempi il Signore si fece preparare i cuori dalle prediche del Battista, così attraverso i secoli Egli si è sempre servito della parola dei sacerdoti. La predicazione è come l’acqua fecondatrice: ove essa non discende, vi è terra dura e sterile. La predicazione è come la manna alimentatrice: chi non ne raccoglierà morirà di fame spirituale. La predicazione è come l’olio che nutre la lampada: chi non se ne procura, rimarrà al buio. S. Ilario d’Arles vide una volta alcune persone che, appena ebbe cominciata la spiegazione del Vangelo, si dileguarono fuori di chiesa per sottrarsi alla noia d’una predica. Il santo allora gridò verso di quelli: « Uscite pure: ora potete fuggire dalla chiesa, ma verrà tempo che non potrete fuggire dall’inferno ». – b) Voce dell’ispirazione. — Ma talvolta il peccatore è così indurito che nessuna voce esteriore può penetrarlo, nessun grido può risvegliare il suo deserto. E allora Dio, buono e misericordioso, parla direttamente a quel cuore, parla quella sua parola viva, più acuta della spada a due tagli, che penetra gelida e rovente fino alle più intime compagini dell’anima (Hebr., IV, 12). « Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?» diceva l’Innominato dei Promessi Sposi, quell’uomo che aveva riempito di spavento e di delitto una intera regione. E a lui il Card. Federico Borromeo rispondeva così: «Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo. confessiate, l’imploriate? ». – c) Voce dei benefici. — Ci sono certi periodi della vita in cui Dio ci manda ogni fortuna: salute, danaro, onori; ed aspetta quasi che l’uomo dica: « Anima mia, serviamo un Padrone così buono e generoso: non vedi che meritiamo pene e ci dà gioie? ». Ma invece l’uomo non riconosce attraverso le creature la voce del suo Padrone: Il cielo grida: «O uomo, io giro per tuo comodo e utilità ». Il sole grida: «O uomo, io ti riscaldo e ti fortifico: io, a primavera, rinnovo la terra e l’adorno come un paradiso; io faccio crescere i frutti sulle piante e le piante sul suolo ». Grida la terra: «O uomo, io ti lavo, rinfresco, e fecondo ogni cosa ». E tutte insieme dicono le creature: « Riconosci dunque, e ringrazia il tuo generoso Signore ». L’uomo non ode. E Dio si lamenta: « anche il bue è grato all’uomo che lo nutre, anche l’asino riconosce che la stalla è del suo padrone: solo Israele non ha conosciuto me, solo il mio popolo lascia cadere nel deserto la mia voce » (Is., I, 3). – d) Voce dei castighi. — Come un padre che ama suo figlio ricorre ai castighi quando non è ubbidito, così il Padre eterno fa con noi. Anche i suoi castighi sono un segno del suo grande e tenero amore. Se la malattia non lo avesse costretto a letto, Ignazio di Loyola forse non sarebbe diventato mai santo. Se una ostinatissima piaga non avesse travagliato Camillo de Lellis, egli non sarebbe forse mai diventato il grande amico degli ammalati. Se la morte non avesse rapito crudelmente il marito a Margherita di Cortona, noi ora non la venereremmo. E se la miseria e la tribolazione non avessero colpito i fratelli di Giuseppe, essi non si sarebbero giammai pentiti del loro peccato orribile ». « Merito hæc patimur, — dicevano, — quia peccavimus în fratrem nostrum » (Gen. XLII, 21). I veri Cristiani che non sono sordi alla voce di Dio così devono dire nei dolori: « Soffro giustamente, perché ho peccato contro il mio fratello Gesù Cristo ». – PREPARARE LA STRADA DEL SIGNORE. La strada per la quale il Signore deve venire nel nostro cuore, al prossimo Natale, ora impedita, forse, dalle colline del peccato, dalle valli che simboleggiano la mancanza delle buone opere, dai sentieri tortuosi che invece di mirar diritto al fine si perdono nei piaceri e nelle lusinghe del mondo. – a) Abbattiamo i colli del peccato con una sincera confessione. Sarebbe un’ironia crudele per un Cristiano festeggiare la venuta del Salvatore, mentre il suo cuore è già occupato dal demonio. Una buona confessione dunque! Non come quella di Saul che disse a Samuele: « Ho peccato!» e si sentì rispondere: «Il Signore ti ha rigettato », perché non era pentito; ma una confessione sincera e dolorosa come quella di David che disse a Nathan: « Ho peccato! »  e si sentì rispondere: « Il Signore ha già distrutto il tuo peccato ». – b) Non basta la confessione, se poi non si continua, con le opere buone, a camminare sulla strada intrapresa. Le opere buone che ci preparano meglio al santo Natale sono la preghiera e la elemosina: la preghiera perché senza di essa noi siamo come una città senza difesa; l’elemosina perché in cielo è preferita a qualsiasi penitenza corporale: «Non sapete quale sia il digiuno che io prediligo? dice il Signore Iddio: Spezzare il proprio pane con l’affamato, Albergare i poveri senza asilo, Vestire chi si trova ignudo, Non sottrarsi alle necessità. del proprio fratello. Allora la tua luce spunterà come l’aurora… ». (Is., LVIII, 6-8) – c) Ed infine viviamo un po’ più ritirati; amiamo un poco anche noi il deserto, come S. Giovanni Battista. Lontani dai divertimenti pericolosi, lontani dai ritrovi rumorosi, lontani dalle compagnie corrompitrici; noi vivremo dolcemente, cristianamente tra la nostra casa e la nostra chiesa. Senza questa volontà di isolamento le antiche abitudini cattive ci riprenderanno facilmente. Quando S. Antonio passò da Alessandria, il governatore d’Egitto voleva fermarlo per qualche giorno. Gli rispose il santo: « Capita al monaco quello che capita al pesce: l’uno muore se lascia l’acqua, l’altro muore se lascia la sua solitudine ». Capita anche al Cristiano quello che capita al pesce: l’uno muore: se lascia l’acqua, l’altro muore alla grazia se lascia la solitudine della sua casa e della sua Chiesa, e si espone ai pericoli e alle seduzioni del mondo: – E un’altra volta è vicino il Natale del Signore, In questa solennità, alcuni vedono una festa di piacere. Già stanno organizzando veglie danzanti, spettacoli lussuriosi, ricevimenti mondani, e trascorreranno la notte santa in cui il Salvatore venne al mondo per redimerli, nell’ebbrezza dei sensi, sprofondando sempre più nel fango e nel peccato. – Altri vedono invece nel Natale una festa di benessere corporale. Anche i più poveri per un giorno almeno all’anno possono nutrirsi a sazietà e con cibi succulenti e con bevande corroboranti; quelli poi che non son poveri imbandiscono la loro mensa con inconsuete e laute vivande. Sicché c’è della gente che tutta questa settimana sarà indaffarata per il pranzo di Natale, senza trovare tranquillità e tempo per pensieri diversi da quelli gastronomici. – Vi sono altri ancora che vedono nel Natale una festa sportiva. Alla vigilia o all’antivigilia, con maglioni e calzettoni per difendersi dal rigore invernale, partiranno per la montagna, a sciare. « Ah che religiosità commovente — dicono — contemplare dalle finestre d’un albergo alpino le stelle della notte natalizia scintillanti sugli abeti coperti di neve! che senso di pace e di purezza volar tutto il giorno come Angeli sui campi immacolati!». E la Messa di Natale? « Probabilmente non mancherà. Forse verrà lassù un prete a celebrare ». Così tutta la santificazione della grande solennità cristiana si esaurisce in una ipotetica Messa. E nessuno, che non sia maligno, sospetti ipotetiche profanazioni. Altri, infine nel Natale non vedono che una festa di poesia domestica. Nessuno manca della famiglia, anche i lontani sono ritornati, almeno per un giorno. È gioia del cuore raccogliersi in casa, dove tutto luccica per la recente pulizia, e arde il focherello sul camino; e c’è l’albero fosforescente di cordelline e di dolciumi, e c’è il presepio, e c’è qualche fanciullo che declama un complimento in rima stringendo nelle mani i doni del Bambino Gesù. – Ma non è Natale veramente e compitamente cristiano se non quello in cui si vede con la fede il Signore. « E vedrà ogni uomo la salvezza di Dio ». Questo è l’insegnamento che S. Giovanni Battista ci dà nel Vangelo odierno. Infatti, prima che Gesù incominciasse la vita pubblica, egli si mosse a preparargli la strada, e predicando la penitenza, diceva: « Preparate la via al Signore che viene! Ogni valle si colmi; ogni colle si spiani, ogni tortuosità si rettifichi. Così vedrà ogni uomo la salvezza in Dio ». Bisogna dunque prepararci al Santo Natale in modo tale da meritare di vedere spiritualmente il Signore. Ma per meritare tanta grazia occorre prepararci con la purità dell’anima, con la bontà delle opere. – Perché l’anima veda Iddio, non basta colmare le valli del peccato con una sincera confessione, non basta spianare ogni ostacolo opaco con la custodia dei sensi: occorre che Dio viva nell’anima con le opere buone. – Verso il Natale del 396, l’ultimo che gli restava da vivere in terra; S. Ambrogio si sentiva stanco e alla fine delle sue eroiche fatiche; ma aveva il cuore pieno d’una pace vasta e serena com’è quella del colono, quando in certe domeniche d’autunno contempla beato la sua campagna colma di frutti, mentre in lontananza campane suonano a distesa. In quei giorni appunto, a Paolino, il suo fedele segretario, dettava queste parole: « Cristo vive in me: cioè, vive quel Pane vivo che discese dal cielo e nacque a Betlemme, vive la sua carità, vive la sua pace, vive la sua giustizia, vive la sua sapienza». Mirabili espressioni, che ci suggeriscono con quali buone opere Cristo deve nascere in noi nel prossimo Natale. Vive in me quel Pane vivo, la prima opera, la più bella e cara a Lui che sta per venire: è la santa Comunione. – I pastori si ritennero fortunatissimi in quella notte in cui lo poterono vedere e forse baciare. I re magi fecero lunghissimo e pericoloso viaggio per poterlo trovare. Il vecchio Simeone per i molti anni della sua vita non desiderò altro; e come lo poté stringere tra le sue braccia tremanti, disse che non gli importava di morire, perché il suo cuore non chiedeva più nulla. La gioia dei pastori, dei magi, di Simeone, ci è vicina: perché non ne approfitteremo? È vero che siamo peccatori e oppressi d’infinite miserie, però se un rincrescimento profondo delle nostre colpe, se un desiderio vivo di farci più puri per più vedere il Signore c’è dentro di noi, quel Dio che venne al mondo in una stalla, non sdegnerà il nostro povero cuore. – Vive in me la sua carità: Non può gustare il Natale cristiano chi si priva della consolazione di fare in questi giorni un po’ di carità, con le opere di misericordia corporali e spirituali. I poveri pastori e i ricchi magi non si presentarono a mani vuote al Celeste Bambino, ma ciascuno con un dono proporzionato alla propria condizione: agnellini, frutti agresti, formelline di tenero cacio erano i doni dei poveri, oro, incenso, mirra erano i doni dei re. Così tutti noi, poveri e ricchi, dobbiamo avvicinarci alla culla di Gesù col nostro dono proporzionato. È dato al Dio nato poverissimo e inerme tutto quanto è donato senza ostentazione. ai poveri e agli infermi. Vive in me la sua pace. Colui che nasce fu vaticinato come il Principe della pace. Egli stesso ha detto: «Io vi dono la mia pace: ma non ve la dono come fa il mondo » (Giov. XIV, 27). Il mondo, quando vuol sembrare buono, fa la pace con quelli che la meritano; i Cristiani, che vogliono essere buoni, fanno pace con tutti, anche con quelli che non la meritano e da cui sono stati offesi. Perciò nessuna scusa è valevole, nessuna ragione è plausibile, perché tra noi si conservi anche un solo rancore durante il santo Natale. Vive in me la sua giustizia: Quand’Egli nacque gli Angeli dissero agli uomini: «Non temete più: vi annunciamo una grande gioia ». Ora che il suo Natale ritorna, c’è forse qualcuno che non può gioire per colpa nostra? Nessuno dei nostri fratelli può accusarci d’ingiustizia nei danari, nella roba, nei commerci, nei contratti, nei debiti e nei crediti? Non abbiamo nulla con noi che invoca il suo legittimo padrone? – Vive in me la sua sapienza: Ascoltiamo e meditiamo volentieri in questi giorni santi la parola di Dio per poter capire qualche cosa almeno dell’infinita sapienza nascosta nel mistero della natività del Salvatore. Se vi si offre il tempo e l’occasione, leggete nel Vangelo il racconto della nascita di Gesù, così lo potrete raccontare alla sera ai vostri figliuoli, che sono avidissimi d’ascoltarlo dalle vostre labbra. – Un giorno Napoleone passava in rivista le sue truppe. Un umile soldato anziano attirò il suo sguardo, per alcune cicatrici che gli apparivano sul volto. L’imperatore  si fermò davanti a lui, e, con un gesto consueto gli pose una mano sulla spalla; poi, guardandolo negli occhi gli rivolse brevissime domande. «Tu, a Ulm?». « C’ero ». «A Austerlitz? ». « C’ero ».  «A Iena? ». « C’ero ». –  «A Wagram? ». « C’ero ». – «A Dresda? ». « C’ero ».  «Bene, capitano! ». L’altro, ch’era soltanto soldato, voleva correggere il grado credendo fosse uno sbaglio. Ma l’imperatore, senza correggersi, aggiunse: « Capitano, decreto per voi la grande croce della legione d’onore ». Quando preparate le strade secondo il consiglio di Giovanni Battista, il nostro Re divino giungerà nel santo suo Natale e passerà in rivista i suoi fedeli; felice colui che potrà rispondere alle sue domande franco e ardito come quel soldato napoleonico.  «Alla dottrina cristiana? ». « C’ero ». – «Alla messa festiva? ». « C’ero ». – « Al confessionale? ». « C’ero ».  – «Alla balaustra? ». « C’ero » – « Nella resistenza aspra contro le tentazione? ». « C’ero ». – «Nella professione coraggiosa della fede in faccia a chiunque? ». « C’ero ». – « Bene, servo buono e valoroso: perché nel poco sei stato fedele, ti darò autorità sul molto, e verrai nella gioia del tuo Re ».

Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, gratia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

Sacrifíciis pæséntibus, quǽsumus, Dómine, placátus inténde: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno alle presenti offerte: affinché giovino alla nostra devozione e alla nostra salvezza.]

Comunione spirituale:

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Is. VII:14
Ecce, Virgo concípiet et páriet fílium: et vocábitur nomen ejus Emmánuel.

[Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio: e si chiamerà Emanuele.]

Postocommunio

Orémus.
Sumptis munéribus, quǽsumus, Dómine: ut, cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus.

[Assunti i tuoi doni, o Signore, Ti preghiamo, affinché frequentando questi misteri cresca l’effetto della nostra salvezza.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (186)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXIII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

II. — Il Battesimo.

D. In che modo il Battesimo è un punto di partenza?

R. Esso segna il Cristiano e lo rende atto agli atti religiosi, nel che la vita cristiana consiste. È quello che si chiama il suo carattere oramai incancellabile. Il Battesimo. nel nome della Trinità è il segno spirituale del Cristiano come la circoncisione del giudeo era il suo segno carnale.

D. È dunque un’iniziazione, guisa degli antichi misteri?

R. È un’iniziazione, ma senza alcuna di quelle superstizioni che degradavano i misteri pagani. Esso fa entrare nella vera vita, la vita con Dio, che, fin di quaggiù, è una vita eterna. La vita con Dio promessa per più tardi è posta così anticipatamente in nostro possesso; perché, dice S. Agostino, la rigenerazione battesimale e la vita dell’altro mondo non sono che una sola e medesima opera.

D. Come comprendi tu in questo caso il Battesimo di Cristo? Facendosi battezzare sulle rive del Giordano, Gesù entrava forse nella vita cristiana?

R. Vi entrava come il sole entra nel giorno; dopo di Lui, per la stessa via, passeranno i satelliti che siamo noi.

D. Non dici che il Battesimo cancella la colpa originale?

R. Il Battesimo applicandoci i meriti di Cristo, cancella la colpa originale e tutte quelle che noi abbiamo potuto aggiungervi di nostra iniziativa; ma questo non è che un preludio e una disposizione negativa. Positivamente, si tratta di entrare nel Regno de’ cieli terrestre, cioè nella Chiesa, in vista del Regno de’ cieli celeste, da conquistare mediante l’uso della grazia battesimale.

D. Il Battesimo conferisce dunque una grazia?

R. Solo così può esso introdurre il cristiano nella vita soprannaturale il cui principio è la grazia. Per il fatto stesso che è un’iniziazione, il Battesimo è dunque una grazia, la grazia fondamentale, se si può dire così; esso qualifica l’anima cristiana per il suo fine proprio; la munisce per il viaggio, nello stesso tempo che le apre la via.

D. Hai parlato dell’entrata nella vita cristiana come di una incorporazione a Cristo: è questo l’effetto del Battesimo?

R. Il Battesimo di fatto c’incorpora a Cristo; ossia ci fa rivestire Cristo secondo la metafora energica di S. Paolo.

D. Che cosa significano esattamente queste espressioni?

R. Essere incorporato a Cristo è far parte di ciò che chiamiamo suo corpo mistico, ossia spirituale, cioè la Chiesa. – Rivestire Cristo esprime questa stessa incorporazione sottolineando il suo benefizio. Prima, noi eravamo nudi; la nostra natura peccatrice era sola; i meriti del Salvatore non la coprivano, non la corazzavano contro il male, non la ornavano come una figlia di Dio, una erede, una coerede di Cristo.

D. Non chiami tu il Battesimo il sacramento della fede?

R. Esso è il sacramento della fede, perché la prima condizione per entrare in un gruppo religioso è aderire all’idea sociale che forma questo gruppo, ai fini che esso si propone e ai considerandi delle sue leggi. Ecco l’oggetto della fede. Venendo a Dio, dice S. Paolo, bisogna sapere che Egli è, e che è rimuneratore, e tutto il resto di quello che Egli disse agli uomini per bocca del suo Cristo per rischiarare la via eterna.

D. Allora sembra che il Battesimo dovrebbe essere riservato a quei che sono in grado di credere. Perché voi altri battezzate i bambini?

R. La fede non è unicamente dell’uomo. L’abbiamo già detto: è una grazia, e vedremo più tardi che essa è un atto comune di Dio e dell’uomo, dell’uomo che acconsente e di Dio che inclina il suo cuore. In quanto che è una grazia, essa può prevenire il consenso, prepararlo e attenderlo. Perciò, riguardo al bambino stesso, il Battesimo si chiama illuminazione, per notare l’azione interiore dello Spirito Santo, alla quale più tardi si darà l’anima.

D. Perché questa anticipazione? Perché una società spirituale ammette colui nel quale non ha ancora palpitato lo spirito?

R. La vita cristiana è più larga di questa obiezione individualista. Soprannaturalmente come secondo la natura, noi siamo una stirpe; l’individualità sboccia in grembo alla stirpe; essa segue, ma non precede, come abbiamo spiegato studiando la Chiesa. Come dunque un padre, in seno a una patria, iscrive suo figlio allo stato civile, lo impegna in una corrente di vita materiale, intellettuale e morale che il bambino non può controllare, ma che egli giudicherà un giorno, quando sarebbe troppo tardi per ottenerne il pieno benefizio: così un padre, in grembo alla Chiesa che ha benedetto la sua unione e ne attende i frutti, introduce suo figlio là dov’è lui stesso, là dove crede che è la via, la verità e la vita. A questo figlio più tardi, spetta di giudicare il dono che egli ha ricevuto, di sanzionarlo con la sua libera accettazione; salvo che egli non preferisca o non creda di dover ripudiare insieme Dio e l’amorosa pietà paterna.

D. Ammetti che sì rigetti così il proprio Battesimo?

R. Non l’ammetto certamente. Se non è un gran delitto, è ad ogni modo una gran disgrazia.

D. Ciò non può essere altro che una disgrazia?

R. Sì, nel caso di quell’errore che noi chiamiamo invincibile.

D. Ma la grazia del Battesimo si può perdere senza colpevolezza?

R. No; ma nel caso contemplato, la grazia del Battesimo non sarebbe perduta. Abbiamo detto che si può avere la grazia senza saperlo ed essere figli di Cristo anche nell’incoscienza.

D. Sono casi strani.

R. Strana è la nostra vita; ma Dio è pieno di giustizia e di misericordia.

D. Perché l’entrata nella vita cristiana ha luogo sotto il segno dell’acqua?

R. La ragione essenziale si è che l’entrata nella vita cristiana suppone come condizione negativa, come dicevamo, la cancellazione del peccato, il ripudio dell’antico stato di allontanamento in cui era la nostra stirpe per rapporto a Dio. Il simbolo dell’acqua è allora indicatissimo: come l’acqua lava il corpo, così la grazia di Cristo purifica l’anima nostra.

D. Vi sono altre ragioni?

R. Ce n’è una più profonda, benché meno immediata. Le tradizioni umane hanno sempre accostato l’elemento liquido all’origine prima delle cose, come per un’anticipazione delle teorie moderne che traggono la vita dal fondo dei mari. Sotto questo aspetto, il Battesimo vorrebbe dire: Tu che nascesti dal mare, ripiombati in questo Mare più profondo: nella Divinità di cui l’acqua del mare non è che uno zampillo. Origine delle origini, sorgente delle sorgenti, in essa tu devi perderti un giorno, per ritrovarti veramente, e fin d’ora, per la grazia e per la santa vita, essa deve comporre il tuo ambiente interiore, come l’acqua del mare, ambiente originale della vita, bagna le tue membra.

D. È questa veramente una concezione tradizionale?

R. Io l’ho presa dagli antichi dottori, e l’ho modernizzata solamente nella forma. Essi aggiungono più semplicemente che la freddezza naturale dell’acqua e la sua purezza refrigerante sono il simbolo del rinfrescamento che la grazia oppone a quell’eccitazione carnale, figlia del peccato di razza, che ci trascina al male. L’acqua, essendo diafana, significa ancora la ricettività dell’anima per rapporto ai lumi divini. Quando s’immergevano i catecumeni, nelle cerimonie più complete di una volta, vi si vedeva altresì, con S. Paolo, una specie di morte e di seppellimento, seguiti da una risurrezione, come se l’uomo di peccato fosse annegato e lasciasse il posto all’uomo nuovo generato dall’azione di Cristo.

D. Il Battesimo è indispensabile alla salute?

R. Il Battesimo è indispensabile alla salute al medesimo titolo che l’incorporazione a Cristo, l’adesione a Dio per Cristo, e l’entrata nella Chiesa di Cristo.

D. Allora chi non è battezzato è perduto?

R. Ciò non ne segue affatto, poiché noi sappiamo che l’incorporazione è Cristo, la vita in Dio per Cristo e l’appartenenza alla Chiesa spirituale se non alla Chiesa visibile, possono avere luogo senza alcuna condizione esteriore.

D. Dunque il mezzo di salute chiamato Battesimo non è, finalmente, un mezzo necessario?

R. Finalmente, cioè assolutamente e senza eccezione, no, poiché esso comporta dei supplementi morali; ma è nondimeno il mezzo necessario in diritto, il mezzo ufficiale, il mezzo sociale; di modo che, se da una parte la società spirituale non l’applica punto, e se, d’altra parte, il soggetto non reca o non può recare nessun supplemento morale, la salute come la intendono i Cristiani non si potrebbe ottenere.

D. Perché queste precauzioni di linguaggio?

R. Lo vedrai; ma tu devi intendere che si tratta specialmente dei piccoli esseri che non arrivano all’età della ragione e muoiono senza Battesimo.

D. Vuoi che questi piccoli si dannino?

R. La parola dannazione, ammessa un tempo, dev’essere eliminata, perché suggerisce un’idea falsa. Parlando del peccato originale, abbiamo detto: Esso implica una colpevolezza della stirpe, ma per nulla una colpevolezza personale. Ora, osserva S. Tommaso, un soggetto personalmente innocente non potrebbe giustamente essere privato dei beni della natura, benché si possa giustamente, nel nome di una responsabilità solidaria, privarlo dei benefizi gratuiti concessi alla sua stirpe e da essa perduti. Ne segue che l’anima immortale sfuggita da questo mondo senza rigenerazione battesimale non può, senza dubbio, accedere al soprannaturale, ottenere la salute cristiana, che è una vita sublime nella Trinità; ma noi crediamo alla sua beatitudine naturale, senza avere nessuna nozione positiva riguardante questo stato.

D. Ciò pare ingiusto! Perchè l’uno è battezzato, mentre l’altro non è battezzato?

‘R. Non giudichiamo la Provvidenza. Abbiamo riconosciuto più sopra la nostra incompetenza in simili questioni. Del resto, si può sfidare chiunque a trovare qui ombra d’ingiustizia?

D. Non vi è ingiustizia a trattare diversamente quelli che non hanno agito diversamente?

R. Il bambino battezzato e il bambino non battezzato non hanno agito diversamente, poiché non hanno agito affatto. Ma il primo, non avendo fatto niente personalmente, trae benefizio da un’azione collettiva e deve essere riconoscente. – Il secondo, non avendo parimenti fatto nulla, non ha avuto la medesima felicità: è una felicità in meno e non ne può essere afflitto; non ci si può affliggere per lui; ma poiché non ha fatto niente e non gli si toglie niente di ciò che appartiene al suo caso normale, come si potrebbe parlare d’ingiustizia? Avviene come di un bambino nato nella Guyana da parenti deportati, e i cui fratelli per una felice sorte fosser ricondotti in patria. Questi avrebbero da lodare Dio; ma l’altro non ha da elevare sdegnose rivendicazioni. Non è punito personalmente. La Guyana permette di vivere. Se un fortunato ritorno nel suo paese gli è rifiutato per un fatto d’una responsabilità di famiglia, è un affare negativo; molte fortune positive gli restano, e se la deportazione della famiglia fu giusta, non vi è ingiustizia.

D. Ad ogni modo vi è disuguaglianza. Perché questi, perché non quegli? Si capiscono queste sorti in un ordine umano; ma non sì capiscono in un ordine divino.

R. L’ordine divino non è indipendente dall’ordine umano; esso l’avvolge; lo rispetta; lo utilizza e si compone con esso. La sorte stessa, come abbiamo detto, entra nella provvidenza.

D. Ma gli esseri devono soffrire dell’evento provvidenziale?

R. Ancora una volta, non si tratta di soffrire. Noi non martirizziamo nessuno. Si tratta dell’assenza non dolorosa di una felicità di soprappiù, di una felicità non sperimentata, alla quale il soggetto non è naturalmente adatto, che noi stessi, che patrociniamo in suo favore, non immaginiamo neppure, di cui spesso, troppo spesso non ci curiamo, che tutt’a un tratto ci ritorna in mente per accusare la Provvidenza. Il gioco non è serio. Il non battezzato appartiene a un’altra classe di esseri, ecco tutto. Il suo destino risponde alla sua classe; esso è buono; è anch’esso creato per lodare Dio, e se egli si lagnasse perché altri, in ragione della stessa provvidenza, ebbero accesso a una felicità più grande, Dio gli potrebbe rispondere quello che il padrone della vigna rispose agli operai gelosi della parabola: Non sono libero di fare quello che voglio? O bisogna che il vostro occhio sia cattivo perché io sono buono?

D. Dio può essere inegualmente buono?

R. Dio non può essere inegualmente buono in se stesso, essendo la bontà infinita; ma guardando agli effetti, se Dio fosse ugualmente buono, siccome la sua bontà è la causa degli esseri, tutti gli esseri sarebbero uguali in tutte le maniere; non vi sarebbero dunque nature diverse; non vi sarebbero gradi; non vi sarebbero neppure scambi; non vi sarebbero movimenti e progresso; non vi sarebbe universo.

D. Ciò pare strano.

R. Penetra bene l’idea, che del resto abbiamo già incontrata a proposito della provvidenza, e vedrai che esigere l’uguaglianza, sotto il falso nome di giustizia, sia nel mondo materiale sia nel mondo morale, è negare l’universo.

D. Io vedo benissimo un universo in cui tutti sarebbero salvi.

R. Provati a costruirlo senza perpetui miracoli: non ci riusciresti.

D. Ritorno al caso dell’adulto. Tu dici che egli può supplire, con le sue disposizioni, all’assenza del Battesimo?

R. Sì, a condizione che il Battesimo non sia disprezzato o gravemente trascurato, ma ignorato, o impossibile, sia materialmente, sia moralmente.

D. Allora che cosa è che supplisce?

R. Il buon volere che implica l’adesione esplicita o implicita ai mezzi di Dio, e per conseguenza al Battesimo.

D. Dunque il Battesimo, sotto questa forma indiretta, è ancora il mezzo di salute.

R. Sì, si può dire, ed è ciò che vuol significare la celebre distinzione dei tre battesimi: Battesimo d’acqua, Battesimo di sangue e Battesimo di desiderio.

D. Che cosa è il Battesimo di sangue?

R. È il martirio, nel caso in cui vi è assenza involontaria del Battesimo d’acqua, ma in cui il dono di sé spinto fino all’eroismo prova sovrabbondantemente il buon volere che noi abbiamo richiesto.

D. E il Battesimo di desiderio?

R. Là dove il desiderio del Battesimo è esplicito, l’espressione si comprende da se stessa. Se il Battesimo è ignorato o involontariamente sconosciuto, il Battesimo di desiderio si compendia nella conversione del cuore, come dice S. Agostino, vale a dire, sotto l’impulso della grazia, nell’amore del bene divino così come è appreso, e nella disposizione sincera prenderne i mezzi, appena che saranno conosciuti.

D. Tu chiami questa semplice disposizione un Battesimo?

R. Sì, perché essa costituisce una specie di Battesimo in intenzione; perché assicura d’altra parte i frutti del Battesimo reale e incorpora colui che vi accede non solo a Dio, che vede il cuore, ma alla Chiesa stessa, non alla Chiesa gerarchica, visibile, poichè, per ipotesi, essa è sconosciuta o disconosciuta, ma alla Chiesa interiore, invisibile e universale, di cui l’altra non è che il simbolo e il mezzo.

III. — La Confermazione:

D. Che cosa è la Confermazione?

R. È un rito complementare del Battesimo, che una volta si dava nel medesimo tempo, e il cui significato è quello di un accrescimento: accrescimento di grazia dalla parte di Dio; accrescimento di buon volere e di fedeltà, nel Cristiano, riguardo alle realtà superiori.

D. Perché ciò fare in due volte?

R. Perché la nostra vita è sottomessa al tempo, e per seguire sempre più le condizioni del simbolismo, che è alla base delle nostre istituzioni sacramentali. Vi è un sacramento della nascita spirituale; e ci dev’essere un sacramento della virilità spirituale, dell’età adulta, atta all’azione fruttuosa e alla lotta.

D. Ci dovrebbe dunque essere anche un sacramento della vecchiaia.

R. Nello spirituale, non c’è vecchiaia; la vita cristiana deve normalmente crescere sempre, fino al perfetto che la vita eterna realizza.

D. A che età si conferisce il sacramento della virilità?

R. A un’età qualsiasi, per quella stessa ragione d’indipendenza dello spirituale, e specialmente del soprannaturale, rispetto alla vita fisica. Come il « sacramento della fede » a chi non può attualmente credere: così il sacramento della fortezza si può conferire a un debole bambino. Aggiungi che di questa fortezza il bambino sa dare esempi all’uomo. I sette figli di Felicita, saldi davanti alle tenaglie e alle caldaie, o il giovane Tarcisio morente con l’eucaristia sul suo cuore, provano che anche per l’eroismo religioso «il valore non attende il numero degli anni ».

D. Il confermato è dunque una specie di soldato?

R. È anzitutto un perfetto cittadino, per una stretta e ferma ubbidienza alla legge sociale cristiana. Per l’esterno, è un soldato di fatto; il sacramento lo fa entrare in uno stato marziale, gli suggerisce uno spirito di diffusione e di conquista. Gli si fa capire che essere illuminato vale quanto essere delegato alla luce per il mondo oscurato; essere elevato a un piano superiore di vita vale quanto essere invitato a tendere la scala agli altri, ed essere arrolato da Cristo in un gruppo spirituale sempre militante significa che si deve «combattere la buona battaglia » per la comune vittoria.

D. Chi è incaricato di questa promozione, di questo conferimento di grado?

R. Naturalmente il capo supremo di ciascun gruppo religioso: il Vescovo. Un’azione completiva riguarda colui che è rivestito del sacerdozio completo. L’artista ritocca il marmo, dopo il lavoro dell’abbozzatore.

D. Che materia adopera questo sacramento?

R. Poiché si tratta di fortezza, l’atletismo offre naturalmente l’arsenale delle immagini. L’atleta antico ungeva d’olio il suo corpo, per fortificarlo, proteggerlo, per renderlo flessibile nelle lotte corporali. Si ammetterà l’unzione, e l’olio, che ne è la materia, come segno del rafforzamento dell’anima e della sua preparazione alle lotte cristiane. Di più, dovendo la virilità cristiana impiegarsi ad aiutare la vita attorno a sé, si aggiunge all’olio dei forti il balsamo, per significare che nello spirituale, il profumo che si spande, vale a dire l’esempio, è una forza. Donde questa espressione: Il buon odore di Cristo, spesso usata da S. Paolo in poi.

D. Come sono adoperate queste materie?

R. Si fa l’unzione in forma di croce, come s’impone la spada o il vessillo al cavaliere, per invitarlo alle battaglie di giustizia. Si segna la fronte, come il luogo più nobile e il più apparente, quello su cui si afferma la saldezza dell’atteggiamento, come, in caso di debolezza, vi si manifesterebbe il rossore della timidezza o il pallore della paura.

D. E tu attribuisci a queste unzioni un effetto interiore?

R. Noi crediamo che l’anima tragga il benefizio di una grazia, e che essa, come il corpo, sia segnata di un carattere che le faciliterà la realizzazione dei simboli. Come gli apostoli, nel Cenacolo, furono trasformati, in vista di tutta la Chiesa, dalla venuta dello Spirito: così noi crediamo a una misteriosa conformazione dell’anima, in rapporto con ciò che abbiamo detto della grazia e dell’azione dello Spirito Santo.

D. Ci dovrebbe dunque essere qui, come nel Cenacolo, qualcosa di strepitoso.

R. Si suonano le campane per la comunità; ma non si suonano per l’entrata d’un fedele alla messa. Nel Cenacolo ebbe luogo la confermazione solenne della Chiesa: donde le lingue di fuoco, segno di conquista ardente e di comunicazione collettiva, e il vento violento, che corre gli spazi di terra e di mare, come i portatori della Buona Novella. Per la confermazione intima di un semplice Cristiano, non si ha bisogno di strepito.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (1)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (1)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

——–

PREFAZIONE

La teologia dello Spirito Santo viene generalmente insegnata nel Trattato della Santissima Trinità, in quello del Verbo Incarnato o nei trattati di teologia ascetica e mistica. Ciò spiega perché essa non ha ricevuto tutto il suo sviluppo, tutta l’ampiezza che merita. Cercheremo di colmare tale lacuna pubblicando il presente « Trattato dello Spirito Santo ». –  Adottiamo un titolo che fu caro a san Basilio, quello dei tre Padri Cappadoci che ha più e meglio esposto e difeso la dottrina dello Spirito Santo. Tutto il nostro desiderio è di continuare la tradizione di questo padre per il quale abbiamo sempre avuto speciale affezione, in modo da condurre le menti a meglio comprendere lo Spirito Santo, lo Spirito che il Maestro si compiaceva chiamare il Suo Spirito, che Egli mandò In tutta la pienezza agli Apostoli per attrarli maggiormente a Sé, per mezzo del quale si rivelava, si faceva loro conoscere, li fortificava, li consolava, li animava; per Il quale, col quale, nel quale durante î tre anni della Sua vita pubblica ha fatto ogni cosa; per il quale, col quale, nel quale continua a fare tutto nel mondo; per il quale, col quale, nel quale dal seno della Sua gloria, vive in noi per farci vivere in Lui, in modo sempre più perfetto ed intenso, In attesa dell’ora gloriosa della nostra unione con Lui, per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, ora che ci permetterà di vedere lo Spirito Santo in tutta la pienezza della Sua attività, della Sua grandezza, di tutta la Sua beltà, lo Spirito Santo, terza Persona della Santissima Trinità, consustanziale al Padre e al Figlio, lo Spirito Santo, nostro Dio.

Ecco l’ordine che seguiremo in questo « Trattato dello Spirito Santo ».

Dopo un Prologo nel quale il dogma dello Spirito Santo è esposto in uno sguardo d’insieme, vengono gli undici articoli seguenti:

I. I simboli dello Spirito Santo.

II. L’attività dello Spirito Santo nel mondo.

III. Le caratteristiche dell’attività dello Spirito Santo.

IV. La Pentecoste.

V. Come il Verbo di Dio fatto uomo ci ha rivelato il Padre, così ci ha rivelato lo Spirito Santo.

VI. La dottrina dello Spirito Santo secondo le Lettere di san Paolo.

VII. Lo Spirito Santo è Dio, consustanziale al Padre ed al Figlio.

VIII. Lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio.

IX. L’abitazione dello Spirito Santo nelle anime giuste.

X. Le missioni dello Spirito Santo.

XI. I doni dello Spirito Santo.

La Conclusione è un invito ad abbandonarci al Padre per mezzo del Figlio con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, per lo Spirito Santo.

Che lo Spirito Santo di Nostro Signor Gesù Cristo c’illumini e ci guidi affinché in questo Trattato, non scriviamo neppure una parola che non contribuisca a farlo meglio conoscere, amare e servire!

PROLOGO

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli è Dio da Dio, luce di luce, Figlio eterno del Padre, Suo unico Figlio, consustanziale al Padre. Dal Padre e dal Figlio, procede lo Spirito Santo, consustanziale al Padre ed al Figlio Dio come il Padre ed il Figlio. – Tutte le cose sono state fatte per mezzo del Verbo, più esplicitamente per mezzo dello Spirito che procede dal Padre e dal Verbo, a tal punto che nulla assolutamente nulla delle cose create, è stato fatta senza lo Spirito che procede dal Padre e dal Verbo. In Lui, come nel Verbo, era la vita, e la vita era la luce degli uomini. Fin dall’origine, il Verbo del Padre, pet mezzo dello Spirito ha creato l’uomo. Lo ha fatto ad immagine di Dio, santo per eccellenza, comunicandogli parte della pienezza della Sua vita e della Sua luce. Ma lo creò libero di scegliere per o contro Dio. E l’uomo non tardò ad optare contro il suo Dio ricusandogli obbedienza ed amore. – Così l’uomo introdusse il peccato nel mondo. Il peccato era la ribellione contro Dio. Era ad un tempo ricusare la vita di Dio e rifiutare la luce. Secondo il linguaggio dei Libri Santi, il peccato era una schiavitù, cioè il servaggio del nostro spirito, del nostro cuore e dei nostri sensi a una potenza di peccato. Era immergerci nelle tenebre dell’errore e del vizio. Il peccato era la morte alla vita di Dio in noi. – Tuttavia, il Verbo del Padre continuò a vivificare e illuminare gli uomini per mezzo del Suo Spirito. Non permise al peccato di soffocare la vita, né alle tenebre d’invadere la luce. Ma a quanti ricevettero la Sua vita e la Sua luce, diede il potere di diventare figli di Dio. Poi scelse nel mondo un popolo che sarà il Suo popolo, e, in esso, dei re e dei profeti, dei re che lo governeranno con saggezza e fermezza, dei profeti che saranno le sue guide intellettuali e religiose, insegneranno il regno di Dio nel mondo, e annunzieranno progressivamente il Suo disegno di riscattare l’umanità dalla schiavitù del peccato. In questo popolo eletto, dalla famiglia di David, il più grande dei re d’Israele, da un padre e da una madre, poveri secondo il mondo, ma infinitamente ricchi di doni divini e dei quali la storia ha conservato i nomi, Gioachino ed Anna, sotto la direzione dello Spirito Santo, nacque la Santissima Vergine Maria, la più bella, la più pura, la più santa di tutte le Vergini, l’Immacolata. Crebbe; poi, quando fu giunto il tempo, il Verbo di Dio per opera delle Spirito Santo s’incarnò nel Suo seno. Nacque, piccolo fanciullo, Dio fatto uomo, a Betlemme, borgata della Giudea, patria del re David, Suo grande antenato. Gli Angeli vennero ad adorarlo e i pastori dei dintorni si prostrarono dinanzi a Lui. Giunsero anche i Magi. Poi, silenzio. Il Dio Bambino crebbe sotto lo sguardo di Maria Sua Madre, circondato dall’affetto dolcissimo, tenero ed illuminato di Lei Mai il Cielo è stato né sarà maggiormente presente sulla terra. È la Trinità Santa circondata da una gloria di Angeli, di Arcangeli, di Serafini, cioè: Padre, il Figlio di Dio fatto uomo e lo Spirito Santo con la Santissima Vergine Maria e san Giuseppe padre putativo della Sacra Famiglia. – Gesù, Verbo di Dio fatto uomo, ha trent’anni. È giunta la Sua ora. Comincia la predicazione del Suo Vangelo. Per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo che lo anima, uno col Suo divino Spirito insegna, illumina, commuove: cambia le menti ed i cuori; converte le moltitudini. Egli chiama i dodici Apostoli, dà loro un capo, Pietro. Con essi e sotto i loro occhi, per ben fondare le loro convinzioni e la loro fede, come per fondare le convinzioni e la fede della Sua Chiesa, moltiplica i miracoli. I ciechi vedono, gli zoppi camminano, risorgono i morti. Per mezzo del Suo Spirito, col Suo Spirito, una cosa sola col Suo divino Spirito, agisce nei cuori e nelle menti, agisce nelle coscienze. Trasforma la società di quel tempo. I poteri civili si commuovono. Sono gl’intellettuali di allora, i Farisei, gli Scribi, i Dottori della legge. È il potere civile, rappresentato da Erode, re di Giudea, e soprattutto dal procuratore romano, Ponzio Pilato. Gesù è tradito da uno dei Suoi, preso, accusato di sedurre le folle. È condannato a morte, alla morte più crudele ed ignominiosa, alla morte di croce. Questa morte, il Verbo di Dio fatto uomo l’ha voluta. È l’atto di umiliazione, di obbedienza e di amore che Egli offre a Dio Suo Padre per il riscatto di tutti gli uomini dalla schiavitù del peccato, per la salvezza del mondo. Tre giorni dopo, risuscita da morte. Prima di morire sul Calvario, aveva istituito l’Eucarestia, nella quale resterà sempre presente. Era il sacrificio con cui annunziava la Sua morte di croce. E dopo la Risurrezione, sarà il sacrificio mediante il quale perpetuerà la Sua presenza e il Suo sacrificio sulla Croce, e il sacramento nel quale si darà in cibo a tutti i Suoi. Non si contenta di venire in essi spiritualmente, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, uno col Suo Spirito. Vuol venire corporalmente con la Sua umanità, risorta e gloriosa, per essere in ciascuno di essi, il nutrimento della vita spirituale che Egli ha dato loro e vuol perpetuare. Cristo risuscitato, il Verbo di Dio fatto uomo, organizza la Chiesa che deve continuare la Sua opera di salvezza fino alla fine dei tempi. Gli Apostoli ne sono i capi. Egli dà loro il Suo Santo Spirito. Per il Suo Spirito, col quale, nel quale sarà con essi e in essi, avranno il potere di rimettere i peccati, il potere che non appartiene che a Dio. Egli li manda alla conquista spirituale del mondo, che proseguiranno fino alla fine dei tempi. Ma non saranno soli. Sarà con loro, in loro col Suo divino Spirito, per illuminarli, fortificarli, animarli, sostenerli nella vite nel martirio. Torno al Padre mio, disse prima di ascendere al cielo, ma abbiate fiducia, non vi lascerò soli, non vi lascerò orfani; è questa la parola usata da Lui, per far meglio risaltare il carattere delle relazioni paterne che ha con essi, tornerò con voi, sarò con voi per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito, per illuminarvi, animarvi, aiutarvi, confortarvi nella vita, nella morte, nella testimonianza che mi renderete in mezzo agli uomini. Ed ecco l’Ascensione in una gloria talmente incomparabile, che gli occhi degli Apostoli ne restano e ne resteranno abbagliati. Dieci giorni dopo: la Pentecoste, risposta alla grande promessa. È la venuta dello Spirito Santo nell’anima degli Apostoli. Con lo Spirito Santo, per lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, è il ritorno di Cristo, Verbo eterno del Padre, Figlio unico di Dio, Dio, in mezzo agli Apostoli, nel cuore degli Apostoli. – La Pentecoste è un mistero che si perpetua nel cuore di tutti i Cristiani attraverso il tempo e attraverso lo spazio. Per lo Spirito che non cessa di mandare agli Apostoli o ai loro successori, e a tutti i fedeli, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, il Cristo, Verbo eterno del Padre, Figlio unico di Dio, Dio, vive nel cuore di tutti i Suoi, per illuminarli, animarli, sostenerli e aiutarli a rendere testimonianza al Suo nome, nella vita, in un arduo ed incessante lavoro, in mezzo a persecuzioni di ogni sorta, nella morte, nella gloria. Non temete, abbiate fiducia. Per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito, tutti i giorni sono con voi, in voi, fino alla fine dei tempi.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (2)