DOMENICA II DI AVVENTO (2021)

DOMENICA II DI AVVENTO (2021)

Stazione a S. Croce in Gerusalemme.

Semid. Dom. privil. II cl. – Paramenti violacei.

Tutta la liturgia di questo giorno è piena del pensiero di Isaia, (nome che significa: Domini Salus: Salvezza del Signore), che è per eccellenza il profeta che annuncia l’avvento del regno del Cristo Redentore. Egli predice, sette secoli prima, che « una Vergine concepirà e partorirà l’Emanuele »  — che Dio manderà <il suo Angelo >, — cioè Giovanni Battista — per preparare la via avanti a sé (Vang.) e che il Messia verrà, rivestito della potenza di Dio stesso, (I e III antif. dei Vespri) per liberare tutti i popoli dalla tirannia di satana. « Il bue — dice ancora il profeta Isaia — riconosce il suo possessore e l’asino la stalla del suo padrone; Israele non m’ha riconosciuto: il mio popolo non m’ha accolto » (I Dom. 1° Lez. ) — « Il germoglio di Jesse — continua — s’innalzerà per regnare sulle nazioni » (Ep.) e « i sordi e i ciechi che sono nelle tenebre (cioè i pagani) comprenderanno le parole del libro e verranno » (Vang.). Allora la vera Gerusalemme (cioè la Chiesa) « trasalirà di gioia » (Com.) perché i popoli santificati da Cristo vi accorreranno (Grad. All). Il Messia — spiega Isaia — « porrà in Sion la salvezza e in Gerusalemme la gloria » — « Sion sarà forte perché il Salvatore sarà sua muraglia e suo parapetto » cioè il suo potente protettore. Così la Stazione è a Roma, nella Chiesa detta di S. Croce in Gerusalemme, perché vi si conservava una grossa parte del legno della Santa Croce, mandata da Gerusalemme a Roma quando fu ritrovata.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

 Introitus

Is XXX: 30.
Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri.

[Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]

Ps LXXIX:2
Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph.

[Ascolta, tu che reggi Israele, tu che guidi Giuseppe come un gregge.]

Pópulus Sion, ecce, Dóminus véniet ad salvándas gentes: et audítam fáciet Dóminus glóriam vocis suæ in lætítia cordis vestri.

[Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare tutte le genti: il Signore farà udire la gloria della sua voce inondando di letizia i vostri cuori.]

Oratio

Orémus.
Excita, Dómine, corda nostra ad præparándas Unigéniti tui vias: ut, per ejus advéntum, purificátis tibi méntibus servíre mereámur:
[Eccita, o Signore, i nostri cuori a preparare le vie del tuo Unigenito, affinché, mediante la sua venuta, possiamo servirti con anime purificate:]

Lectio

Lectio Epístolæ beáti Pauli Apostoli ad Romános.
Rom XV: 4-13.
Fatres: Quæcúmque scripta sunt, ad nostram doctrínam scripta sunt: ut per patiéntiam et consolatiónem Scripturárum spem habeámus. Deus autem patiéntiæ et solácii det vobis idípsum sápere in altérutrum secúndum Jesum Christum: ut unánimes, uno ore honorificétis Deum et Patrem Dómini nostri Jesu Christi. Propter quod suscípite ínvicem, sicut et Christus suscépit vos in honórem Dei. Dico enim Christum Jesum minístrum fuísse circumcisiónis propter veritátem Dei, ad confirmándas promissiónes patrum: gentes autem super misericórdia honoráre Deum, sicut scriptum est: Proptérea confitébor tibi in géntibus, Dómine, et nómini tuo cantábo. Et íterum dicit: Lætámini, gentes, cum plebe ejus. Et iterum: Laudáte, omnes gentes, Dóminum: et magnificáte eum, omnes pópuli. Et rursus Isaías ait: Erit radix Jesse, et qui exsúrget régere gentes, in eum gentes sperábunt. Deus autem spei répleat vos omni gáudio et pace in credéndo: ut abundétis in spe et virtúte Spíritus Sancti.

 “Tutte le cose che furono già scritte, furono scritte per nostro ammaestramento, affinché per la pazienza e per la consolazione delle Scritture noi manteniamo la  speranza. Il Dio poi della pazienza e della consolazione vi conceda di avere un medesimo sentimento fra voi, secondo Gesù Cristo. Affinché di pari consentimento, con un sol labbro, diate gloria a Dio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo. Il perché accoglietevi gli uni gli altri come Gesù Cristo ha accolto voi a gloria di Dio. E veramente io affermo, Gesù Cristo essere stato ministro della circoncisione per la veracità di Dio, per mantenere le promesse fatte ai patriarchi: i gentili poi glorificare Iddio per la misericordia, siccome sta scritto: Per questo io ti celebrerò fra le nazioni e inneggerò al tuo nome. E altrove: Rallegratevi, o genti, col suo popolo. E ancora: “Quante siete nazioni, lodate il Signore, e voi, o popoli tutti, celebratelo. E Isaia dice ancora: Vi sarà il rampollo di Jesse e colui che sorgerà a reggere le nazioni, e le nazioni spereranno in lui. Intanto il Dio della speranza vi ricolmi di ogni allegrezza e pace nel credere, affinché abbondiate nella speranza per la forza dello Spirito santo. ,, (Ai Rom, XV, 4-13). –

L’intenzione di s. Paolo in questa lettera è di far cessare certe controversie domestiche, che lo spirito di gelosia aveva suscitate tra i Giudei ed i Gentili convertiti alla fede. Quelli si gloriavano delle promesse che Dio aveva fatto ai loro padri, di dare il Salvatore, che sarebbe della loro nazione; questi rimproveravano ai Giudei la manifesta ingratitudine della quale si eran fatti colpevoli uccidendo il loro Redentore. S. Paolo dimostra agli uni come agli altri che essi devono tutto alla grazia ed alla misericordia del Salvatore.

Perché Dio è chiamato il Dio della pazienza, della consolazione e della speranza?

Perché la sua longanimità verso i peccatori lo determina ad aspettare la loro conversione con pazienza; perché da Lui viene questa consolazione interiore che sbandisce ogni pusillanimità; e fa insieme trovar gaudio nelle croci; perché Egli è che ci dà la speranza di pervenire, dopo questa vita a godere Lui stesso.

Aspirazione. O Dio di pazienza, di consolazione e speranza, fate che una perfetta rassegnazione al vostro santo volere versi la gioia e la pace nei nostri cuori, e che la Fede, la Speranza e la Carità ci rechino, con la pratica delle buone opere, al possedimento del bene a cui fummo creati, e che ci attende nell’eternità, se adempiremo fedelmente le condizioni alle quali ci è stato promesso.

Graduale

Ps XLIX: 2-3; 5
Ex Sion species decóris ejus: Deus maniféste véniet,
V. Congregáta illi sanctos ejus, qui ordinavérunt testaméntum ejus super sacrifícia.

[Da Sion, ideale bellezza: appare Iddio raggiante.
V. Radunategli i suoi santi, che sanciscono il suo patto col sacrificio. Alleluia, alleluia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,
Ps CXXI: 1
V. Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dóminibimus. Allelúja.

[V. Mi sono rallegrato in ciò che mi è stato detto: andremo nella casa del Signore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt. XI:2-10

In illo tempore: Cum audísset Joánnes in vínculis ópera Christi, mittens duos de discípulis suis, ait illi: Tu es, qui ventúrus es, an alium exspectámus? Et respóndens Jesus, ait illis: Eúntes renuntiáte Joánni, quæ audístis et vidístis. Cæci vident, claudi ámbulant, leprósi mundántur, surdi áudiunt, mórtui resúrgunt, páuperes evangelizántur: et beátus est, qui non fúerit scandalizátus in me. Illis autem abeúntibus, coepit Jesus dícere ad turbas de Joánne: Quid exístis in desértum vidére? arúndinem vento agitátam? Sed quid exístis videre? hóminem móllibus vestitum? Ecce, qui móllibus vestiúntur, in dómibus regum sunt. Sed quid exístis vidére? Prophetam? Etiam dico vobis, et plus quam Prophétam. Hic est enim, de quo scriptum est: Ecce, ego mitto Angelum meum ante fáciem tuam, qui præparábit viam tuam ante te.  

“In quel tempo avendo Giovanni udito nella prigione le opere di Gesù Cristo, mandò due de’ suoi discepoli a dirgli: Sei tu quegli che sei per venire, ovvero si ha da aspettare un altro? E Gesù rispose loro: Andate, e riferite a Giovanni quel che avete udito e veduto. I ciechi veggono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, si annunzia ai poveri il Vangelo; ed è beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Ma quando quelli furono partiti, cominciò Gesù a parlare di Giovanni alle turbe: Cosa siete voi andati a vedere nel deserto? una canna sbattuta dal vento? Ma pure che siete voi andati a vedere? Un uomo vestito delicatamente? Ecco che coloro che vestono delicatamente, stanno ne’ palazzi dei re. Ma pure cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico io, anche più che profeta. Imperocché questi è colui, del quale sta scritto: Ecco che io spedisco innanzi a te il mio Angelo, il quale preparerà la tua strada davanti a te” .

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL PRECURSORE

Siamo vicini al Santo Natale. E la Chiesa, per tre domeniche consecutive, — oggi, la ventura e l’altra ancora — nel Vangelo, ci manda S. Giovanni a dirci: « Preparate i cuori, che il Signore sta per venire ». Ma chi è questo San Giovanni Battista che viene a rimbrottarci per i nostri peccati, e a persuaderci di fare più bene? Sarebbe utile conoscerlo un po’. Ascoltate il brano evangelico di questa seconda Domenica d’Avvento, e conoscerete dalla bocca stessa di Cristo chi è il Precursore. – Siamo nelle prigioni di Macheronte e Giovanni vi è rinchiuso. Tutti sanno perché. E fin là dentro, in quel luogo di martirio e d’ingiustizia, arriva la fama dei miracoli compiuti da Gesù. Il Precursore, la cui anima impetuosa bruciava dal desiderio di far conoscere a tutto il mondo il vero Messia, gli mandò due discepoli con questo messaggio: «Sei tu il Salvatore, o ne dobbiamo aspettare un altro? » Giovanni sapeva bene ch’era Lui; ma a quella domanda, Gesù sarebbe stato costretto a manifestarsi, e allora anche tutta la gente lo avrebbe riconosciuto, e lo avrebbe acclamato. – Il Maestro divino accolse con benevolenza quel messaggio perché intravide l’amore di chi lo mandava, e appena i due discepoli del Battista ritornarono; si rivolse alla folla e disse: – « Chi siete andati a veder nel deserto? Forse una canna dondolata dal vento? «Chi, dunque, siete andati a vedere? Forse un uomo vestito alla moda? no; questa gente non si trova nel deserto, ma nel palazzo dei re. « Chi allora, siete andati a vedere? Forse un profeta? sì, vi dico: un profeta e più che un profeta. Egli è l’Angelo, predetto da Malachia, che camminerà innanzi al Signore ». Poche parole, ma scultoree: balza d’un tratto la grande figura di Giovanni Battista, tutta. – Dentro, senza debolezza: non è una canna. Fuori, senza mollezze: non vestiva con lusso. Dentro e fuori, senza macchia di peccato: un angelo.

NON FU UNA CANNA

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Forse una canna dondolata dal vento? ». Quella folla ch’era accorsa ad ascoltare Giovanni, doveva conoscere molto bene questa pianta, simbolo di debolezza e di volubilità. Doveva averla vista sulle sponde paludose del Giordano tremare nell’aria, e piegarsi fino a terra nel vento: se il vento tirava dal Mar Morto, la canna piegava verso il mar di Genezareth; ma tosto che il vento, cambiata direzione, tirava dal mar di Genezareth, la canna piegava verso il Mar Morto. Giovanni, dunque, era forse una canna dondolata dal vento? No; era una quercia che non si piega a nessun vento. Non come noi che alla mattina facciamo un proposito e alla sera lo troviamo trasgredito; non come noi che se anche ci confessiamo cento volte, cento volte siamo quelli di prima; non come noi che siamo canne pieganti ad ogni vento di tentazione. – Un giovane monaco era molto tentato. Una volta, che non ne poteva più, corse da S. Isidoro, si buttò sulla terra davanti a lui, e singhiozzava: « Padre, perché non mi aiutate? ». Il santo sollevò quell’anima sconvolta dalla bufera, e prendendola con sé, disse: «Vuoi che t’insegni a resistere? ». Il giovane alzò gli occhi pieni di lacrime: «È per questo che sono venuto ». « Allora, ecco il rimedio: «preghiera e mortificazione ». Ubbidì il monaco, e tutti i giorni pregava e si mortificava: ma le tentazioni non cessavano. Ritornò da S. Isidoro e gli chiese nuovamente rimedio. «Come! sei caduto in peccato? ». « No; grazie a Dio ». « Che vorresti, allora? » – «Vorrei essere senza tentazioni ». – Sorrise il vecchio santo, esperto della vita, e gli rispose: « Vedi: io ho settant’anni e neppure un giorno potei requiare; ma non mi sono mai piegato al demonio, come una canna, perché ho pregato e mi son mortificato. Va’, e fa’ lo stesso ». – Questo episodio ci spiega bene due cose: ci spiega perché S. Giovanni Battista non ha mai ceduto a nessuna tentazione, ci spiega perché noi invece cediamo tanto spesso. – Vicino ad ogni uomo c’è un demonio, nemico di Dio e di noi, e tutto il giorno suscita pensieri di odio, desideri di roba altrui, immaginazioni impure. Ci sono poi nella vita dei momenti in cui la tentazione è così forte da farci quasi disperare. Son quei brutti momenti che ha provato anche S. Francesco, quando si gettò, d’inverno, nella neve; son quei brutti momenti che ha provato anche S. Benedetto quando si slanciò a capo fitto nelle spine; sono quei brutti momenti che ha provato anche S. Caterina, quando esclamava: —O Signore, ma dove sei? —; son quei brutti momenti in cui il vento della tentazione cerca di squassarci come una canna. Ebbene, ricordiamolo: senza preghiera e senza mortificazione, è impossibile resistere.

NON FU UN EFFEMINATO

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? forse un uomo vestito sfarzosamente? ». Il Precursore viveva nella solitudine da molti anni, solo, senza casa, senza tenda, senza servi, senza nulla fuor di quello che aveva indosso. E indosso aveva una pelle di cammello, stretta al fianco da una cintola di cuoio. Appariva alto, ossuto, adusto dal sole. La figura austera del Battezzatore, e la lode che Gesù ha fatto del suo vestire, è un forte rimprovero per non pochi Cristiani e Cristiane che hanno la vanità del vestito: lo vogliono di lusso, moderno, scandaloso. In tali acconciature osano anche varcare la soglia della Chiesa, portarsi davanti ai purissimi marmi dell’altare, davanti al Crocifisso nudo e sanguinante sulla croce, davanti a Gesù che vive nella miseria dei nostri tabernacoli. – Quello che più addolora è di vedere come perfino i bambini, innocenti e ignari del male, già dai genitori sono vestiti poco cristianamente. Quei piccoli che Gesù amava, che voleva stretti al suo cuore, crescono così, troppo presto, alla scuola del mal esempio. Mamme, che vi compiacete di profanare l’innocenza dei vostri bambini, sappiate che il Signore non li può abbracciare in quella guisa; e senza l’abbraccio di Gesù che cosa diventeranno i vostri figliuoli? so bene le scuse con cui taluni cercano di giustificarsi, ma non si possono accogliere per buone.- a) Ma è la moda, si dice, è la moda che porta così: noi viviamo nel mondo e bisogna che ci adattiamo. Mostrerò la sciocchezza di questa scusa con un esempio: Dionigi di Siracusa era corto di vista e camminava barcollando e spesso gli accadeva di urtare in qualche cosa, di rovesciare tavolini e di frantumare vasi. Sembrerebbe incredibile eppure, in quella corte, per compiacere al tiranno, tutti i cortigiani stringevano le palpebre facendola da non vedenti e andavano tentoni, investendo sedie e tavolini e talvolta ruzzolando dalle scale. (Il fatto è raccontato da Plutarco). Il mondo non solo è un tiranno corto di vista, ma è cieco di tutti e due gli occhi; e quelli che seguono la sua moda sono più ciechi e più stupidi di lui, e una volta o l’altra finiscono col ruzzolare per le scale giù nell’inferno. – b) Ma io non ho mai avuto intenzione cattiva seguendo le mode! Scusa troppo ingenua per essere valevole. Non la voglio discutere: ricordate però che se le idee cattive non le avete voi, le fate venire agli altri. – C’è nella Storia Sacra una frase espressiva. Un re terribile, con centoventimila fanti e ventiduemila cavalli, assediò la città di Betulia: fece deviare anche l’unico fiume che le dava acqua, e la tormentò con la sete. Gli assediati, piangendo lacrime disperate, si prostravano sulla nuda terra, invocando soccorso dal Cielo. Allora una vedova sorse; vestì gli abiti preziosi di quand’era sposa felice, si ornò con monili d’oro e con gemme, poi, sola, varcò la porta e uscì dalla città assediata verso il nemico in arme. I soldati la videro e la condussero dal re Oloferne. Oloferne pure la vide, ma non l’uccise perchè sandalia eius rapuerunt eum. Bastarono due sandali a far perdere la testa a quel terribile guerriero; e la perse veramente perché, in quella notte, Giuditta gliela tagliò via (Giud., X). – Ma di quante altre persone, cadute in basso, si potrebbe ripetere: sandalia eius rapuerunt eum (Giud., XVI, 11). c) — Allora, — diranno alcuni, — dobbiamo proprio vestirci con pelle di cammello, alla S. Giovanni? Non è questo che io dico. Vi dico soltanto la parola dell’Apostolo: « Nolite conformari huic sæculo » (Rom., XII, 2) Non vogliate seguire la moda scandalosa di questo mondo.

FU UN ANGELO

«Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Forse un profeta? Sì, vi dico, un profeta e più che un profeta. Un angelo che annunzia il Signore ». Si può lodare di più un uomo? Mai nessuno fu esaltato così dal labbro di Cristo. Nel Vangelo però (Giov., X, 40) c’è un riferimento a S. Giovanni, forse poco meditato. Gesù, passato il Giordano, arrivò dove il Battista soleva battezzare. Le canne tremanti sulla sponda, il deserto che appariva in una lontananza giallastra e uniforme, l’acqua pura del fiume precipitoso rievocarono al Messia quella persona a lui tanto cara, che un re adultero aveva trucidato. Gesù commosso, quasi per riposare in quella melanconica ricordanza, si fermò là. Et mansit illic. Tutti compresero che il Maestro pensava a Giovanni Battista, ma non capivano come mai amasse tanto un uomo che non aveva fatto neppure un miracolo. Anzi molti osarono dirgli: « Del resto Giovanni non fece miracoli. Joannes quidem nullum signum fecit » (Giov. X, 41). E Gesù non rispose. Ma è tanto facile capire perché Giovanni non ha fatto miracoli! Perché noi lo potessimo imitare nella sua santità. Perciò la Chiesa in queste domeniche di Avvento ce lo propone quale modello. Vengano dunque gli avari a specchiare la propria cupidigia in chi ha rifiutato ogni bene terreno. Vengano i superbi a specchiare la propria arroganza in chi predicava: « E’ necessario ch’io sia disprezzato e che Lui, Cristo, onorino gli uomini ». Vengano i disonesti a specchiare la propria anima infangata in chi visse vergine tutta la vita. Vengano i golosi a specchiare la propria voracità in chi non si cibava che d’erbe e di miele selvatico. Da questo confronto deducano un proposito di vita nuova. – Quando i Giudei, strappati dalla loro terra, furono confinati in Persia, alcuni timorati di Dio presero il fuoco sacro dell’altare e lo nascosero in una valle ov’era un pozzo fondo, senz’acqua. E dentro là lo riposero al sicuro, talché a tutti fu ignoto quel luogo. Ma quando, finiti gli anni della schiavitù, tornarono in patria, subito si cercò il fuoco sacrificale. Andarono nella valle, scoprirono il pozzo fondo, ma ivi il fuoco s’era spento e non trovarono che acqua marcia. Neemia allora ordinò che cavassero di quell’acqua e la ponessero sull’altare sopra la legna e si aspettasse la nascita del sole. Appena dietro le grasse nubi sfolgorò il primo raggio, un gran fuoco s’accese sull’altare e tutti ne restarono meravigliati (II Macc., I, 19-22). – Noi pure oggi, confrontando la nostra anima con quella di S. Giovanni Battista, abbiam trovato che in fondo al nostro cuore non c’è più il fuoco dell’amore di Dio, ma c’è l’acqua stagnante della nostra tiepidezza, o peggio c’è l’acqua marcia dei peccati e delle passioni. Cristiani! prendiamo, piangendo, questo nostro cuore pieno di miserie e poniamolo sull’altare, appena Gesù Bambino, sole delle anime, nel prossimo Natale spunterà sul mondo, lo vedrà, ne avrà compassione, e riaccenderà quel fuoco che noi, coi nostri peccati, abbiamo spento.

FORTI CONTRO IL RISPETTO UMANO

Federico II, imperatore di Prussia, soleva tenere nel suo palazzo ed alla sua stessa mensa tanti uomini insigni per la scienza o per le arti. Strano e bizzarro com’era, volle un giorno di venerdì invitare a pranzo un principe romano cattolico per tentarne la fede e mettere a prova il suo coraggio religioso. L’imperatore non era cattolico. Ma le vivande erano fatte con carne ed il principe romano, tranquillo e disinvolto, lasciava passare, accontentandosi di ingannare la fame soltanto con qualche pezzetto di pane. L’imperatore osservava senza parlare; ma poi, tra lo scherzoso ed il serio: « Perché, disse, non mangiate? Forse la cucina di Germania non vi piace? ». « No, Maestà, la vostra cucina è eccellente per gli altri giorni della settimana, ma oggi per un Cattolico è cattiva. La Chiesa proibisce di mangiar carne al venerdì ». Alla nobile e franca risposta, Federico soggiunse: « Vi ammiro: avete reso un grande omaggio alla vostra religione! Ora passate nella sala vicina, ove sono preparati cibi di magro. Verrò anch’io a farvi l’onore che meritate ». – Quel principe di Roma non era una canna agitata dal vento. Era un uomo di carattere. E sì che si trovava alla mensa dell’Imperatore, fra tante illustri personalità che non la pensavano come lui. I Cristiani dovrebbero essere tutti così. Se siamo persuasi che la nostra Religione è la sola vera, che Dio esiste, che Gesù Cristo è la sola salvezza e fuori di Lui e della sua Chiesa non c’è che rovina eterna, dobbiamo sentirci capaci di manifestare queste idee anche all’esterno. Invece, purtroppo, ci sono ancora moltissimi Cristiani dalle mezze misure che non vogliono rinunciare alla fede e nello stesso tempo non hanno il coraggio delle proprie convinzioni. Sono schiavi di un sentimento vile che li piega come canne sotto il vento. Tale sentimento si chiama rispetto umano: un bel nome, ma applicato malissimo. Prima bisogna rispettare Dio, prima bisogna rispettare la propria fede, poi, si abbia pure riguardo ai nostri fratelli. Questo tenete a mente quando fra persone che parlano male, che vestono male, che offendono apertamente le leggi di Dio, voi sentiste paura a fare diversamente da loro. – Del resto capita spesso quanto occorse al principe cattolico alla mensa di Federico. – Quelli stessi che scherzano o fanno le meraviglie sono i primi ad ammirare e stimare i buoni che hanno il coraggio delle loro idee. Alle volte, una fede sincera e aperta vale la conquista di anime per le quali i fatti contano assai più delle parole. Ricordiamo inoltre quello che Gesù affermava ai discepoli e a tutti quelli che lo seguivano: « Davanti al Padre mio che è nei cieli, anch’Io avrò vergogna di chi ha avuto vergogna di me davanti agli uomini » (Mt., X, 33).

FORTI CONTRO LE PASSIONI

Prima che S. Vincenzo de’ Paoli cominciasse a fondare le grandi opere di carità, era Parroco di un piccolo paese della Francia. La fama della sua santità si era diffusa nelle terre vicine e a udire le sue prediche, a confessarsi da lui accorrevano anche alcuni che da tempo non erano a posto col Signore. C’era un conte rinomato per i tanti duelli che aveva sostenuto. Tutte le volte che veniva offeso anche leggermente, sfidava il suo avversario a combattere con la spada ed era sempre così fortunato che non si contavano più le sue vittime. Una volta però, udendo una predica di S. Vincenzo, fu tocco dalla grazia di Dio e si convertì. Vendette le sue terre e col prezzo ricavato fondò monasteri e consolò i poveri. Bisognava che S. Vincenzo lo moderasse tanta era la generosità con cui si era dato al Signore. Ma gli rimaneva ancora la spada che gli era servita così spesso per offendere il Signore e non sapeva decidersi a separarsene. Quella spada teneva sempre acceso in lui un po’ di affetto alla sua vita passata; e siccome ai primi fervori erano successi dei momenti di freddezza, se avesse continuato a tenere quell’arma sarebbe forse ritornato alla vita di prima. Ma un giorno, preso dalla vergogna di tale debolezza, arresta il suo cavallo, scende, trae la spada e la spezza in mille scintille contro una roccia e, rimontando a cavallo, esclama: « Finalmente sono libero! » – Un paragone alla spada di quel conte sono le passioni che ciascuno di noi porta con sé dalla nascita. Alcuni sono inclinati alla superbia, alla vanagloria, all’arroganza. – Altri invece amano le cose terrene, hanno il cuore troppo attaccato ai denari, agli affari. Altri ancora sentono la smania del godere e vorrebbero sempre e solo soddisfare i cattivi istinti. – L’aver le passioni non è un male: è solo il segno di essere uomini. Ma possono diventare spade taglienti, strumenti di peccato quando non sono soggette alla legge di Dio. Se con la fermezza di una volontà risoluta noi non teniamo le redini ai nostri pensieri, ai nostri istinti, alle nostre inclinazioni, diventiamo canne agitate dal vento, e dopo un periodo breve di fervore e di bontà, pieghiamo subito ad una vita scorretta. Non le fragili canne, ma gli alberi robusti sanno resistere al soffio rovinoso del vento: le canne finiscono nella corruzione del fango. Per evitare questa pessima fine, bisogna voler seriamente spezzare quelle spade. Un colpo solo non basta. La vittoria sulle nostre passioni non è così facile e così pronta come poté essere l’infrangere la spada del duello. Bisogna resistere sempre ed ogni giorno, ogni ora che passa si devono dar due colpi decisi, persuasi che soltanto la morte le spezzerà per sempre. – Però quanto più avanziamo in questa lotta spirituale, tanto più diventiamo forti e la grazia di Dio, che si congiunge alla nostra volontà, dà all’anima cristiana una dolce sicurezza di vivere nell’amore del Signore. – « Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi, e mette la sua compiacenza nella legge del Signore. Egli è come un albero che è piantato lungo correnti di acque, che darà il frutto a suo tempo e tutto quello che fa riesce bene » (Salmo 1). I cattivi invece sono come canne che il vento passa ed abbassa; anzi sono come un nuvolo di polvere che il vento solleva e disperde. Impii tanquam pulvis quem projicit ventus. – La perfezione cristiana non consiste nelle azioni grandiose. Gli Apostoli lasciarono e la casa e il loro mestiere, e senza danaro e senza bisaccia e senza un’arma, camminarono tutta la vita per regioni deserte e selvagge, predicando il Vangelo. Ma non a tutti conviene la missione degli Apostoli: però tutti possono, devono fare qualcosa per difendere e propagare la nostra santa Religione: E prima di tutto col buon esempio, con l’assiduità alle funzioni di Chiesa, col rifuggire da ogni discorso, da ogni lettura che sia contro la fede. Poi con l’aiutare i sacerdoti nell’azione cattolica, perché essi sono i successori degli Apostoli. I martiri nei tormenti e nella morte confessarono Cristo: e chi veniva sbranato da belve, e chi immerso in caldaie bollenti e in fuoco, e chi straziato con uncini e ricoperto di calce viva, e chi colpito con la spada. Ma non è questo che Dio vuole ora da noi: però tutti siamo obbligati alla mortificazione. Mortificazione degli istinti cattivi che si ridestano in noi, mortificazione dei nostri sensi. Che cosa vieta che anche un padre di famiglia sia temperante nel bere, nel giocare, nel fumare, per amor di Cristo? Che cosa vieta che una donna si mortifichi il lusso delle vesti, la vanità della acconciatura, la frivolezza dei discorsi? Queste sono opere buone che Dio vuole da noi specialmente in questo tempo di Avvento. Gli anacoreti fuggirono dalle città e dall’abitato, e s’inoltrarono nelle solitudini del deserto e là trascorsero la vita in grotte e in capanne sconnesse, senza vivanda fuor che i frutti selvatici, senza bevanda fuor che l’acqua del torrente. Non questo esige da noi, non è nel deserto che Egli ci aspetta. È nella nostra famiglia dove ognuno ha la sua croce da portare. Ivi i genitori devono essere di esempio ai figliuoli, ivi i figliuoli devono crescere nel timore di Dio, nell’ubbidienza, nella bontà. I santi davano tutto ai poveri e poi sì ritiravano a pregare, e Dio li favoriva con le estasi e le visioni. Ma non tutti sono così ricchi di beni di fortuna per fare abbondanti elemosine; non tutti si ritrovano così indipendenti nella vita da poter rimanere nelle chiese per ore e ore, ogni giorno, conversando col Signore. Però, chi è quella persona così misera da non poter largire qualche soldo ai poveri, alle opere buone della parrocchia? Perfino la vedova del Vangelo trovò due danari da offrire al tempio di Gerusalemme, e fu tanto lodata da Gesù. E se non si ha tempo di fermarsi lungamente in Chiesa, chi vieta all’operaio mentre lavora di ripetere, anche solo col cuore, delle fervorose giaculatorie? Chi vieta alla mamma di famiglia di pregare mentre culla, mentre nutre i suoi bambini? Per quante occupazioni si abbia, si può trovare il tempo anche d’ascoltare qualche Messa nei giorni feriali e di ricevere i sacramenti con opportuna frequenza. Sono queste, o Cristiani, le opere buone che Dio domanda del proprio stato. Se in esse saremo fedeli, avremo il Paradiso. Quia super pauca fuisti fidelis, intra in gaudium Domini tui (Mt.. XXV, 23). – Un enorme fico aduggiava la terra con la sua ombra. Sotto, un giorno, passa il Signore: scruta tra i rami fronzuti e non trova un frutto. «Sii maledetta tu, pianta sterile! ». Subito la ficaia inaridì. Dieci vergini aspettano lo sposo. Una notte, quando più nessuno l’aspettava ed il sonno aveva vinto anche i più vigili, arriva lo sposo. Un grido e tutti si risvegliano e accendono le lampade: ma cinque vergini improvvide si trovarono senz’olio. Corsero per acquistarne ma al ritorno trovarono la porta del convito chiusa, e udirono una voce dal di dentro che disse: « Non vi conosco ». – Un padrone ritorna da un viaggio lungo e chiama il servo al rendiconto. « Padrone », balbetta il poverino «io sapevo la vostra esosità, e che domandate fin quello che non avete dato, e che mietete fin dove non avete seminato: per ciò nascosi il vostro talento sotterra ed oggi ve lo rendo intatto ». « Prendete il servo inutile! — comandò il padrone, — e gettatelo fuori nell’oscurità e nel dolore ». Il Natale non è lontano e Gesù ritorna. Egli è il viandante che desidera dissetare le sue labbra con qualche frutto dell’anima nostra. Egli è lo sposo a cui bisogna muovere incontro con lampade provviste di olio di buone opere. Egli è il nostro Padrone e viene a domandarci il rendiconto. – Affrettiamoci a radunare un ricco tesoro di opere virtuose da presentargli davanti alla cuna insieme ai doni degli antichi pastori. – Un pomeriggio domenicale, una persona di mondo entrò nella canonica del parroco d’Ars, attratta da quello che si diceva intorno all’austerità di quell’umile prete, alla generosità con cui donava tutto per vivere poi egli stesso in una povertà estrema, allo zelo con cui si prodigava di giorno e di notte per la salvezza delle anime. «Signor Curato, — disse quella persona — crede proprio a tutto quanto dice il Vangelo? ». – « Sì, a tutto». « Ma è proprio sicuro che dopo la morte ci sarà il Paradiso? ». « Sicurissimo ». « Proprio sicuro, come dopo quest’oggi che è domenica verrà il lunedì? ». « No, molto più sicuro ». « Proprio sicuro come il sole che è tramontato adesso, sorgerà domani mattina? ». « No. Molto, molto più sicuro. Poiché può darsi anche che venga una domenica dopo la quale non ci sia più il lunedì, un giorno nel quale ci sia un tramonto dopo il quale non ci sia più aurora, un inverno dopo il quale non ci sarà più primavera, ma non può darsi assolutamente che le parole di Cristo non s’avverino ». « Quali parole? ». « Queste: Io sono la Resurrezione e la Vita: chi crede in me, anche se fosse morto, vivrà… Io lo risusciterò nell’ultimo giorno ». – Quella persona partì commossa e persuasa d’aver capito il segreto di quella grande santità. Soltanto una convinzione così profonda poteva dargli la forza di vivere come viveva. Tale profondità di convinzione era quella che condusse Giovanni Battista nel deserto, che gli diede il coraggio di rinfacciare al re il suo nefando peccato, che lo fece intrepido quando si lasciò troncare la testa. Tale profondità di convinzione era quella che sostenne i martiri: Agnese, bella e ricca ereditiera d’una cospicua famiglia romana, che a 13 anni, mentre le fiamme del rogo già la lambivano, esclamava: « Ecco che finalmente io vengo a Voi, Signore, che io amavo, cercavo, desideravo, senza intermissione »; Pancrazio di 14 anni che lasciò sbranare dalle belve la sua giovane vita, ma non sacrificò agli idoli; Policarpo di 85 anni, Simeone di 120, entrambi col corpo tremante di vecchiezza, ma con l’anima immobile nella certezza della fede. Né si creda che questa convinzione capace di sfidare perfino la morte, sia un ricordo archeologico di tempi antichi che non ritornano più. È del nostro tempo il fatto di una fanciulla americana, (Grazia Minford), convertita dal protestantesimo e divenuta suora domenicana. Suo padre morendo le lasciò la somma favolosa di 12 milioni e mezzo di dollari, a patto che abbandonasse il convento. Che cos’ha risposto quella fanciulla? «Il mio Padre del cielo è assai più ricco del mio padre della terra, e mi darà una ricompensa più grande ancora ». Questa è convinzione e forza veramente cristiana! («Schonere Zukunft », 1-5-1927). – Convinzione cristiana spinge ancora tante figliuole a rinunciare a un sogno di felicità, piuttosto che sposare una persona che non rispetterebbe la loro coscienza, a rinunciare a un impiego lucroso piuttosto che sgualcire il candore della loro innocenza in certi uffici. Convinzione cristiana sostiene il padre di famiglia in gravi e lunghi sacrifici piuttosto che violare la legge del Signore. – L’uomo di carattere sa dimostrare la sua volontà decisa davanti al mondo, a sé, a Dio. – Davanti al mondo. Il mondo ha due armi terribili per trascinare al male: la lusinga e lo scherno. Le lusinghe del mondo sono le amicizie, certe amicizie specialmente; sono i divertimenti, come gli spettacoli licenziosi, i balli, passeggiate sbrigliate e promiscue. Gli scherni del mondo sono fatti di sorrisi maliziosi, di mormorazioni, di ironia, di disprezzo, e perfino di persecuzioni; poiché spesso i buoni si vedono preclusa la via alle loro legittime aspirazioni, e alle ricompense meritorie. La volontà energica dell’uomo di carattere non cede alle lusinghe, non teme gli scherni: ma va diritta e sicura, ascoltando sempre la voce della coscienza. – Davanti a sé. Un nemico potente è entrato in noi stessi per il peccato originale, ed ha esteso il suo nefasto impero un poco su tutte le facoltà dell’anima. Bisogna riconquistare e difendere la nostra libertà interiore. I cattivi pensieri la minacciano nella nostra mente, i cattivi desideri nel rostro cuore, i cattivi istinti nella nostra carne: quale campo di battaglia aspra e incessante per la volontà! Chi cede è rammollito. – Davanti a Dio. Dio ogni giorno per purificarci o per provarci ci manda la nostra parte di fatica e di sofferenza. È necessaria la volontà energica, che tronchi ogni querela e ogni impazienza, e ci faccia accettare con santa e lieta rassegnazione la sua paterna e misteriosa volontà. La volontà energica sa placare la natura ferita, e la induce a ripetere quella preghiera che, quando è sincera, vuole coraggio e amore: «La tua volontà sia fatta! ». – Santa Giovanna è all’assedio d’Orléans. Sette ore ha combattuto, sempre calma e intrepida, in mezzo alle sue truppe; ora è il momento in cui deve strappare al nemico la famosa bastiglia di Tourelles. Repentinamente si slancia, afferra la scala, l’appoggia alla torre, e sale impetuosa. Una freccia la colpisce in mezzo al petto: sgorga sangue. Ella impallidisce, trema: sospesa a metà della scala, piange di dolore e di paura. Ridiscende e si nasconde a curarsi. Ecco la debolezza umana. Gli Inglesi imbaldanziscono, ed i Francesi spauriti cedono il campo, e suonano la tromba della ritirata. Ma al primo squillo, Giovanna scatta in piedi: ricorda le visioni che ebbe, le voci che udì, e fa una breve preghiera. Poi di colpo si strappa la freccia, e col petto chiazzato di sangue, grida: « Avanti, siamo vincitori! » E vince. – Cristiani, la vita è una battaglia per la conquista del regno di Dio. Se ci capitasse qualche momento di paura e di debolezza, richiamiamo i motivi della nostra fede, ravviviamo le nostre condizioni, e chiediamo forza con la preghiera. Poi come Santa Giovanna andiamo avanti, sicuri che la vittoria è nostra. – S’avvicina il giorno in cui la Chiesa ricorderà a tutto il mondo il mistero della ancora nascita di Gesù. E la Grazia che da questo mistero sgorgò allora, verrà diffusa a tutti i cuori, nella misura che se ne renderanno capaci. Dio Eterno che nasce bambino per noi! C’è qui un abisso di amore e di degnazione di cui non ci sarà mai possibile vedere il fondo. Santa Maddalena de’ Pazzi con incessante amorosa adorazione ripeteva centinaia di volte al giorno: «Il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi ». S. Alfonso de’ Liguori non sapeva studiare se sul suo tavolo di lavoro non vedeva la cara immagine di Gesù Bambino. Ed infinite volte la baciava, adorando Colui che vi era rappresentato. Cristiani: in questa settimana d’Avvento più volte al giorno, sull’esempio dei Santi, diremo col cuore: « Bambino Gesù, io ti ringrazio d’essere nato per me! ». Ma forse qualcuno penserà: « Come farò a ricordarmelo? ». Ebbene: perché non l’abbiate a dimenticare tre volte al giorno, al mattino, al mezzodì, alla sera, la Chiesa fa suonare le campane dell’Angelo che annunzia l’incarnazione del Verbo. Nessuno dunque si scordi, almeno in questa settimana, che udendo quel suono deve pensare al Figlio di Dio che si fece uomo per la nostra salvezza. – Orbene, Cristiani: la santa Chiesa in principio dell’Avvento, imitando il gesto del Precursore, manda anche noi a considerare i frutti della venuta del Salvatore perché abbiamo a credere più fermamente in Lui, a seguirlo più coraggiosamente. Questi frutti sono molti, ma i principali sono tre: la pace, la luce, l’amore.

1. LA PACE: a) Tra Dio e l’uomo: dal momento che il primo uomo peccò, Dio voltò via la sua faccia sdegnata e abbandonò la nostra natura al giogo del demonio. Passarono migliaia e migliaia d’anni in cui nessun uomo poté, benché santo, entrare in Paradiso: né Adamo, né Mosè, né Isaia, né Davide, alla loro morte, lo trovarono aperto. – Finalmente nel seno verginale di Maria la natura divina e la natura umana s’abbracciarono nell’unica Persona nel verbo incarnato. Come Iddio poteva continuare la sua inimicizia con gli uomini, se uomo era anche il suo Figlio Unigenito? – b) Tra l’Angelo e l’uomo. Fino alla venuta di nostro Signore Gesù, gli Angeli trattavano gli uomini come stranieri con superiorità ed asprezza. Perciò quando apparvero ad Abramo, a Loth, a Giacobbe, a Mosè, ad Ezechiele, a Davide gli uomini tremanti si gettavano a terra per adorarli come padroni. Ma dal giorno della venuta del Signore, tutta la schiera angelica ci è diventata benevola ed amica: ai loro occhi cessammo di apparire la razza degradata e maledetta, poiché vedono che il Figlio di Dio ha voluto rivestire umana natura, farsi uomo in carne ed ossa come noi. Se Dio ebbe di noi tanta misericordia da diventare uno dei nostri, gli Angeli come ci potrebbero ancora trattare duramente? Quando a S. Giovanni Evangelista apparì un Angelo, egli, secondo l’uso dell’Antico Testamento, fece per gettarsi sulla nuda terra ad adorarlo. Ma la celeste creatura glielo impedì, dicendo: « Che fai? Io sono come te un servo dell’Altissimo ». – c) Tra uomo e uomo. Prima che il Salvatore discendesse su questa terra, il sentimento più diffuso tra gli uomini era l’odio. I pagani odiavano i Giudei, i Giudei odiavano gli immondi pagani. I Greci chiamavano barbaro chiunque non fosse della loro nazione; i Romani non riconoscevano i diritti se non dei cittadini di Roma. La guerra e l’odio implacabile per i nemici era un vanto. Venne Gesù: e davanti a Lui non ci furono più né Giudei né Gentili, né Greci né barbari, né rivali né nemici, ma tutti gli uomini divennero fratelli suoi, compartecipi della sua natura umana: e perciò figli tutti d’un Padre unico, Iddio. L’uomo dunque da Dio, dagli Angeli, dagli uomini stessi era odiato e disprezzato come un lebbroso. Gesù Redentore, portandoci la pace con Dio, con gli Angeli, con gli uomini, ci ha mondati da quella lebbra. Leprosi mundantur. Ma guai a quelli che ritornano negli odi antichi! per loro il frutto dell’avvento divino è maturato invano.

2. LA LUCE

Tutti i popoli camminavano nelle tenebre e nell’ombra della morte. In Egitto si adoravano le cipolle e il bue; in Grecia si erano costruite divinità viziose e libidinose; in Roma si incensavano i tiranni crudeli. Le madri uccidevano i loro figliuoli per placare le ire di Baal o di Astharte, idoli sanguinarî. Anche gli uomini più intelligenti d’allora non riuscivano a sapere del loro eterno destino quanto ora ne sa anche l’ultimo dei nostri bambini. Gesù venne: e fu come se si squarciasse la maligna nuvolaglia che ottenebrava il mondo e risplendesse improvvisamente il sole. Sole di giustizia è Gesù! Luce del mondo è Gesù! – Quante meravigliose verità ci ha Egli disvelate riguardo a Dio, all’anima nostra, alla vita eterna… Tutte le cose più utili al nostro vero bene il Vangelo ce le insegna. – I nostri occhi erano ciechi, ed ora vedono. Cæci vident. Eppure ci sono di quelli che la dottrina cristiana hanno dimenticata, che non vogliono più impararla. Eppure ci sono di quelli che vivono solo per mangiare e guadagnare, veri adoratori delle cipolle e del bue; di quelli che vivono per accontentare ogni istinto bestiale, veri adoratori delle passioni immonde; di quelli che i proprî figli non educano cristianamente e sacrificano la loro innocenza al demonio. Guai a questi che ritornano nell’antica tenebrosa ignoranza! per loro il frutto dell’avvento divino è maturato invano.

3. L’AMORE

« Signore, perché sei venuto sulla terra? ». «Sono venuto a portare il fuoco dell’amore sulla terra ghiacciata, e non bramo altro che di incendiarla tutta in questa mistica fiamma ». Anche senza l’Incarnazione, nella sua infinita misericordia, Dio avrebbe saputo trovare il modo di perdonarci e salvarci. Ma era l’amore della sua creatura, che il Creatore dell’universo voleva: e si fece uomo per amore. Nell’Antico Testamento avevano imparato a temerlo e a rispettarlo; lo sentivano presente nel fragore del tuono, nell’urlo della bufera, nell’ardore del fuoco; ma gli uomini non riuscivano ad amare un Dio invisibile. Ma ora Egli si è fatto visibile, e tutto il mondo vede la sua dolce Umanità. « Fratelli, — scriveva S. Paolo — dopo la sua venuta più nessuno può vivere per sé, ma solo per Lui, che visse e morì per noi ». E sorsero allora moltitudini di uomini, di donne, di fanciulli che con desiderio offrirono la loro vita nel martirio. Sorsero allora infinite schiere di Monaci e di Vergini che si ritirarono nei deserti a vivere solo per suo amore, già fatti angeli prima di morire. Sorsero in ogni tempo i Santi che non temettero penitenze e umiliazioni, fatiche e malattie, tribolazioni e persecuzioni, accesi com’erano nell’amore di Cristo, il Dio fatto Uomo. – Senza questo eterno amore, che sarebbero stati gli uomini se non dei cadaveri? – Gesù venne e li risuscitò. Mortui resurgunt. Eppure sono troppi quelli che non amano il Signore: passano lunghe settimane senza un pensiero e un palpito per lui! Troverete di quelli che neppure una Messa alla festa sanno ascoltare per suo amore; per suo amore non sanno nemmeno compiere una piccola rinuncia. E se si volesse entrare nel segreto delle famiglie, quanti ne trovereste che non sanno più rispettare la castità coniugale e vivono nell’egoismo brutale, dissacrando ogni legge di Dio e di natura! Guai a questi che ritornano nell’antica morte dell’indifferenza e del peccato! Per loro la primavera della redenzione è venuta senza fiori e senza frutti. – Dopo due millenni, nuovamente ci prepariamo al Santo Natale per partecipare maggiormente ai frutti della divina venuta. – S. Gaetano da Thiene sì struggeva in affettuose preghiere; S. Filippo Neri si ritirava nelle catacombe a meditare; San Francesco d’Assisi s’avviava verso Greccio gridando: « Amiamo il Bambino celeste! ». Noi che faremo? Facciamo pace con Dio e con gli Angeli togliendo via i peccati dal cuore, facciamo pace con gli uomini perdonando e chiedendo perdono. Ritorniamo a frequentare la Chiesa, a studiare la dottrina cristiana, ad ascoltare la parola di Dio. Infine, per amore di Gesù che tanto ci amò, facciamo un po’ di penitenza, di elemosina, di mortificazione. – Così la pace, la luce, la carità del nostro Signore ritorneranno in noi.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIV: 7-8
Deus, tu convérsus vivificábis nos, et plebs tua lætábitur in te: osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam, et salutáre tuum da nobis.

[O Dio, rivolgendoti a noi ci darai la vita, e il tuo popolo si rallegrerà in Te: mostraci, o Signore, la tua misericordia, e concedici la tua salvezza.]

Secreta

Placáre, quǽsumus, Dómine, humilitátis nostræ précibus et hóstiis: et, ubi nulla suppétunt suffrágia meritórum, tuis nobis succúrre præsídiis.

[O Signore, Te ne preghiamo, sii placato dalle preghiere e dalle offerte della nostra umiltà: e dove non soccorre merito alcuno, soccorra la tua grazia.]

Comunione spirituale:

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Bar V: 5; IV:36
Jerúsalem, surge et sta in excélso, ei vide jucunditátem, quæ véniet tibi a Deo tuo.

[Sorgi, o Gerusalemme, e sta in alto: osserva la felicità che ti viene dal tuo Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Repléti cibo spirituális alimóniæ, súpplices te, Dómine, deprecámur: ut, hujus participatióne mystérii, dóceas nos terréna despícere et amáre cœléstia.

[Saziàti dal cibo che ci nutre spiritualmente, súpplici Ti preghiamo, o Signore, affinché, mediante la partecipazione a questo mistero, ci insegni a disprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (185)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXI)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO TERZO

LA CHIESA

III. L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA

c.) Le tre Chiese e la Comunione dei Santi.

D. Hai chiamato la tua Chiesa « l’organizzazione dell’infinito » essa dunque non è tutta nel visibile; dunque non è tutta nel tempo.

R. La nostra Chiesa oltrepassa il tempo e getta il suo amplesso attraverso ai mondi. Essa crede alla continuità della vita in tutti i sensi, sia pure nel mistero e nell’incoscienza, sia pure al di là delle barriere della morte, e ciò che essa crede, la sua propria costituzione consacra. O si canti questa unità nella messa, o la si esprima solamente, tu dovrai confessare che la si proclama a buon diritto.

D. Come la intendi tu?

R. Anzitutto in questo mondo stesso, il regime sociale della grazia non è interamente espresso dalla Chiesa visibile. Come ora vedremo, vi è una Chiesa delle anime, più vasta, incomparabilmente, che il gregge arruolato, — almeno così si spera — una Chiesa delle buone volontà raggiunte da Cristo, coperte de’ suoi meriti, animate dalla sua intima azione, e in unione implicita, fosse pure nell’ignoranza e nella negazione, con l’opera sua sopra la terra. Non è possibile che tra queste due Chiese, o piuttosto in grembo a questa Chiesa unica, la cui anima valica il corpo, non vi siano degli scambi vitali, una comunicazione spirituale, una comunione, come si dice nel linguaggio mistico. Inoltre quando ci si unisce a Cristo e al suo Spirito, non è solo per il tempo, non è solo per il mondo, ma per sempre e dovunque si debba estendere la nostra vita. Quelli che sono morti nel Signore non hanno abbandonato il Signore, dunque non hanno abbandonato, spiritualmente, quelli che essi lasciano nell’esercito visibile. Il Signore e lo Spirito formano il vincolo; la fraternità ha il dovere di esser sempre attiva. Sia che essi godano attualmente la felicità dei santi, sia che si trovino trattenuti nel luogo del dolore espiatore, essi sono i fratelli dei viatori, dei militanti di quaggiù. Ecco quello che si vuole esprimere con questa distinzione di tre Chiese: l’una militante, quella della terra, un’altra paziente, quella del purgatorio, una terza trionfante, quella del cielo. Non è che una famiglia con tre nomi.

D. Come concepisci i rapporti fra questi tre gruppi diversi?

R. Siccome vi si adora lo stesso Dio, si partecipa allo stesso Spirito, si fa corpo in Colui del quale tutte le anime di buona volontà sono i membri, così per il fatto stesso ci si trova impegnati in un mutuo scambio di servizi; per giunta vi si è invitati. Preghiere scambievoli, riversibilità dei meriti sotto il controllo della Provvidenza, diffusione del bene nel campo delle anime, carità con tutti i suoi effetti: tal sarà il regime che si chiama Comunione dei santi, prendendo la parola santo nel senso antico, per indicare ogni essere rigenerato e santificato da Cristo.

D. Tu dici che questa comunione sì effettua ipso facto?

R. È inevitabile. Non è forse di regola che in un ambiente organizzato il bene di un elemento giovi a tutti e il bene di tutti a ciascuno? «Tutti per ciascuno, ciascuno per tutti », questa bella regola positivista è indubbiamente un invito, ma è anche una legge di fatto, dal momento che vi è realmente vita comune. Quest’ultima condizione è indispensabile; perché, come osserva Pascal, non si diventa ricchi perché si vede un estraneo che è ricco; ma bensì perché si vede il proprio padre o il proprio marito che è ricco ». Ma poiché tal è il fatto, in grazia della nostra anima comune che è lo Spirito di Cristo, in grazia dei «legami e delle giunture » che connettono il corpo di Cristo, ne segue l’effetto, anche se nessuno vi pensa.

D. È una strana solidarietà.

R. Di piuttosto sublime. La solidarietà, di cui si parla tanto, non potrebbe trovare espressione più completa. La Comunione dei santi abolisce i limiti dell’essere per rilegarlo all’universale. Ciascuno, per essa, è forte della forza di tutti; ciascuno è compatito dalla pietà di tutti; ciascuno è amato dall’amore di tutti; ciascuno è salvato, per poco che lo voglia, dalla barca di tutti, la barca di Cristo, in seno al gran naufragio della vita.

D. Ma vi è anche una forma deliberata e volontaria di questa comunione?

R. Essa si rivela mediante le preghiere dei vivi per i vivi e per i morti, degli eletti per i viatori e dei pazienti per i combattenti della terra, mediante retrocessioni di meriti che Dio incoraggia e misura, mediante sforzi e sacrifizi consentiti e, in ciò che riguarda specialmente questo mondo, mediante gl’insegnamenti, le esortazioni, i consigli, gli esempi. In mezzo alle anime che dimenticano, ve ne sono che si ricordano per loro; in mezzo ad anime che annegano, ve ne sono che si gettano a nuoto e, con loro rischio riconducono a riva i naufraghi. Si stabilisce così un immenso sistema di soccorso, d’irradiamento spirituale, di santificazione, di felicità. È un’espansione di vita divina regolata secondo le più alte leggi psicologiche e sanzionata dai misericordiosi voleri del nostro Dio. È una gravitazione universale delle anime.

D. Nella Comunione generale dei santi, vi sono comunioni più speciali?

R. Certamente. Le anime formano delle costellazioni, come gli astri. Noi non siamo una polvere di esseri, tutti i nostri legami naturali hanno il loro equivalente soprannaturale e ritrovano i loro effetti.

D. I due ordini, a questo riguardo, vanno di pari passo?

R. No; due fratelli secondo la natura possono essere soprannaturalmente assai distanti; ma non devono essere degli estranei, perché anche la famiglia è in Cristo. In quanto agli estranei secondo la natura che sono soprannaturalmente fratelli, essi allargano l’idea di famiglia e presentano un altro aspetto dei nostri legami.

D. La Comunione dei santi è secondo te un dogma propriamente detto?

R. Lo trovi nel Credo: Io credo… nella Comunione dei santi. E questo dogma particolare, come quello della Chiesa nel suo contenuto molteplice, ripeto, dà la più ampia e più magnifica soddisfazione al nostro senso sociale, a quel desiderio naturale che abbiamo di lavorare a qualche cosa d’immortale, al nostro bisogno di solidarietà, di dedizione scambievole, di comunicazione, di sacrifizio.

D. Siamo noi sociali fino a tal punto?

R. Tali noi siamo per natura, e più per soprannatura; non cessiamo di essere tali se non per il peccato.

D. Questa solidarietà è dunque insieme interna ed esterna, apparente e nascosta?

R. Essa è resa apparente nella Chiesa visibile, e dalla Chiesa visibile si estende sino ai confini dell’invisibile.

D. Gli spiriti puri che tu chiami Angeli ne fanno parte?

R. Vi sono associati di diritto. Infatti è una regola immutabile, dice Bossuet, che gli spiriti che si uniscono a Dio si trovino nello stesso tempo uniti tutti insieme» e formino una sola «città di Dio », avente il medesimo capo che è Dio, la medesima legge che è la carità.

D. Tu mescoli così tutti i cieli e tutte le terre.

R. Noi non mescoliamo niente; distinguiamo tutto; ma sotto un solo governo, non vi è che un solo dominio. I tempi e gli spazi qui non contano niente. Bisogna che vi sia una religione attraverso alle durate, attraverso alle specie delle creature ragionevoli, attraverso ai luoghi abitati e attraverso agli stati, attraverso a tutte le altre differenze oltre alle spirituali. Dio è necessariamente tutto in tutti.

d) La necessità della Chiesa. “Fuori della Chiesa, nessuna salute”.

D. Dopo tutti questi allargamenti, quasi non sì comprende più quello che voi volete dire con questa formula rigida e tagliente come una lama: « Fuori della Chiesa, nessuna salute ».

R. Di fatto è necessario spiegarci, e si può anche pensare che la formula, gettata così, non è felice, perché si presta terribilmente ad equivoco. Tuttavia, sopra il terreno dov’è collocata, ha la sua piena e intera giustificazione.

D. Qual terreno?

R. Quello del diritto, quello del piano divino per la salvezza degli uomini. Vi è Dio; vi è l’Incarnazione; vi è la vita e la morte redentrice; vi è la successione autentica di Gesù per mezzo del gruppo apostolico con Pietro alla sua testa, per mezzo della Chiesa col Papa alla sua testa: tal è l’organizzazione autentica della salute, corrispondente a quello che è la natura umana, a un tempo corpo ed anima, individuale e sociale. Nessuno se ne deve allontanare. Colui che conosce questa organizzazione o che ha il mezzo di conoscerla è giudicato da essa; allontanandosene si perde; abbandona la via, la verità e la vita; esce dall’edifizio non manufatto in cui si trova la porta delle pecorelle, quella per cui devono passare, per andare ai pascoli divini, tutte le pecorelle umane. « Fuori della Chiesa, nessuna salvezza », in questo senso, significa: fuori di Cristo e dei mezzi di Cristo, non vi è nessuna salvezza; fuori di Dio, non vi è nessuna salvezza, ed è una evidenza.

D. Il diritto non è il fatto.

R. Appunto ci arrivo. Il diritto, in ogni materia morale, non esprime che una verità parziale. Fa d’uopo entrare nelle coscienze e conoscere quali sono le loro disposizioni riguardo a Dio, la loro sottomissione ai mezzi di Dio, sia che li conoscano o li ignorino.

D. È possibile essere sottomessi a ciò che non si conosce?

R. Vi si può essere sottomessi per disposizione eventuale, e un’autorità benevola accoglie questa sottomissione.

D. Così sarà uno salvo senza la grazia?

R. Nessuno può essere salvo senza la grazia, poiché essere salvo è entrare nell’ordine soprannaturale ed è la grazia che vi ci introduce. Ma la grazia non è invariabilmente legata a un mezzo esterno qualsisia, benché essa abbia per mezzo ufficiale ed ordinario i Sacramenti della Chiesa. « La grazia di Dio non è incatenata ai Sacramenti », dicono i teologi.

D. Né alla Chiesa stessa?

E. Né alla Chiesa stessa, in ciò che ha di esterno. Alessandro VIII condannò Arnaldo perché negava che vi fosse grazia fuori della Chiesa.

D. Qualche incredulo può dunque avere la grazia?

R. Possono avere la grazia non solo degli increduli, ma anche degli atei, e perfino dei persecutori apparenti, che non sono che dei traviati.

D. Che cosa ci vuole perché l’abbiano?

R. Che siano nella disposizione di ubbidire alla verità che essi ignorano o combattono; che, per trovarla, appena sono nel dubbio, facciano sforzi seri, e intanto pratichino i doveri importanti che sono loro noti.

D. Ma questo non è la fede, e tu dici che la grazia, quando occupa il fondo dell’anima, produce nell’intelletto la fede.

R. Gl’increduli di cui parlo hanno la fede; aderiscono di cuore, e perfino il loro intelletto aderisce implicitamente, per tendenza, «in intenzione » (P. GARDEIL), a tutto ciò che ignorano. I bambini battezzati hanno veramente la fede, benché essi non sappiano niente: il povero incredulo crede di sapere altro; crede di negare; ma attraverso alle negazioni della mente, Dio vede il cuore fedele; anche nella mente, Egli vede l’orientamento, in mancanza dell’oggetto riconosciuto, ed è presente a quel cuore con la sua grazia, artefice di carità soprannaturale, a quella mente per la virtù soprannaturale e segreta della fede.

D. E tu dici che questi individui appartengono alla Chiesa?

R. Sì, in quanto a ciò che fa della Chiesa una società propriamente spirituale, cioè l’unione intima con Cristo e con lo Spirito di Cristo, sia pure nell’incoscienza e nel segreto.

D. È quello che tu chiami l’anima della Chiesa?

R. S. Tommaso lo chiama anche Corpo mistico della Chiesa, il suo corpo nascosto, ed è la stessa cosa.

D. La tua Chiesa è un vivente strano!

R. È un vivente spirituale, un vivente immortale: perciò essa non ha di visibile che una parte di se stessa, e ne ha due invisibili, una nel mondo sopraterrestre, l’altra nei cuori.

D. Ce n’è ancora un’altra, secondo quello che dicevi: quella che precedette la sua nascita storica, formata dei giusti di altri tempi pagani, o Giudei.

R. Sì, poiché Cristo precedette se stesso per l’efficacia anticipata della sua azione; poiché nel pensiero di Dio, « l’Agnello di Dio è stato immolato dall’origine del mondo » ($. GIOVANNI).

D. Si possono chiamare Cristiani i falsi increduli che ora hai descritto?

R. Evidentemente, poiché vivono nell’unione di Cristo. «Vi sono più Cristiani che non si pensi», diceva $. Giustino. Per lui Socrate era un Cristiano; parimenti Seneca per S. Agostino; altrettanto, per S. Tommaso, il centurione Cornelio, in grazia di una «fede implicita ».

D. E gli eretici, gli scismatici?

R. Dal punto di vista in cui siamo, non vi sono eretici e scismatici se non quelli che dal P. Gratry sono chiamati « gli eretici del genere umano », cioè i cattivi.

D. Tu non escludi dalla Chiesa e dalla salute della Chiesa se non i cattivi?

R. Sì, chiamando cattivi coloro che, per malizia o per grave negligenza, si rifiutano ostinatamente alla verità di Dio e alle leggi di Dio.

D. La salute è dunque accessibile a tutti?

R. Dio ci ama a tal segno, che una sola cosa ci può strappare al suo amore: la nostra cattiva volontà.

D. Mi viene un dubbio circa l’autenticità di questa dottrina, così larga e così contraria a quello che si sente generalmente.

R. Mi rallegro teco. Ma ti citerò un’autorità che ti può tranquillare pienamente, poiché si tratta di un Papa vituperato presso gl’inereduli per la sua «intransigenza », il Papa stesso del Sillabo, Pio IX, nella sua celebre allocuzione del 9 dicembre 1854. «La fede, dice egli, obbliga a credere che nessuno può essere salvo fuori della Chiesa cattolica e romana, che è l’unica arca di salute, fuori della quale perirà chiunque non vi entra ».

D. Ma ciò è spaventoso! e tu appoggi là sopra la tua opinione larga?

R. Aspetta! Lì sta quello che ho chiamato il diritto, o se si vuole la verità ufficiale, il piano autentico. Ecco ora il fatto: «Tuttavia bisogna ugualmente tenere per certo che quelli che ignorano la vera religione senza loro colpa, non possono portare agli occhi del Signore la responsabilità di questa condizione ».

D. Ma forse la colpa qui è giudicata per presunzione; o forse ancora si riserva una responsabilità collettiva, come per la « colpa »originale.

R. Ascolta la continuazione: « Ora chi avrà la presunzione di fissare i limiti di questa ignoranza secondo la natura e la varietà dei popoli, dei paesi, degli spiriti e di tante altre circostanze così numerose? Quando sciolti dai vincoli di questo corpo, vedremo Dio tal quale è, noi comprenderemo per quale stretta e magnifica unione sono legate la misericordia e la giustizia divina… Ma i doni della grazia celeste non faranno mai difetto a quelli che, con un cuor sincero, vogliono esser rigenerati da questa luce e la domandano ».

D. È davvero una bella ampiezza; ma allora a che servono le tue opere di apostolato? Se la salute è dovunque, è inutile attirare la gente nella Chiesa visibile.

R. È un grande errore. La salute è dovunque possibile; ma non è dovunque ugualmente probabile, e soprattutto non è ugualmente facile, né ugualmente glorioso per Cristo. A parità di buon volere, non è identica la situazione di colui che è nella Chiesa e di colui che ne è fuori. È forse la medesima cosa abitare in una fredda catapecchia o in una casa ben riscaldata? È forse la medesima cosa ricevere attraverso a fitti strati di nubi una luce diffusa o trovarsi in pieno sole? I mezzi che la Chiesa presenta per l’uso del buon volere sono immensi; essi permettono un progresso molto maggiore e più rapido della vita divina in un’anima; garantiscono quest’anima contro i pericoli formidabili ai quali l’altra resta esposta. Del resto tu dimentichi i bambini non battezzati, i quali, non arrivando all’età della ragione, non possono trarre benefizio né dai supplementi interiori di cui parliamo, né dall’azione collettiva incanalata dai riti. Aggiungi che la gloria esterna di Cristo e il benefizio comune vorrebbero una incorporazione visibile e attiva di tutta l’umanità alla società spirituale, che è come il corpo di Cristo, e, per l’apostolo, ciò è capitale.

D. Credi tu che le Chiese dissidenti, cristiane o pagane, possano servire a questa salute interiore degli individui che tu dichiari possibile dovunque?

R. Per se stesse, le Chiese dissidenti, per Cristo e per l’opera di Cristo, sono delle nemiche. Esse lacerano o disconoscono l’unità che è la legge gloriosa del mondo; esse offrono mezzi di salute che non sono i veri, o che esse restringono ed alterano, a scapito delle anime. Ma anche questa, come per i casi degli individui, non è se non una verità parziale. Infatti, queste Chiese dissidenti, che in tutto ciò che esse hanno di buono riflettono e rappresentano la Chiesa vera, ne possono dunque in proporzione e accidentalmente esercitare il compito. La Chiesa vera le avvolge in una certa maniera, come avvolge tutte le anime figlie di Dio. Utili provvidenzialmente, queste Chiese sono per l’opera autentica della Provvidenza qualcosa come delle dipendenze.

D. Dei ripari, per chi non ha trovato la sua casa?

R. Dei ripari d’occasione: è infatti il nome che loro conviene, nello stesso modo che prima di Cristo la Sinagoga era un asilo autentico provvisorio.

D. Si può dire che Cristo è in questi asili?

R. Egli è dovunque sono i suoi figliuoli, ma non nella stessa maniera. È a Roma in casa sua; a Benares o alla Mecca come presso lo straniero.

D. Ma egli benedice il maomettano, l’indù, l’ortodosso e il protestante di nobile cuore?

R. «Pace in terra agli uomini di buona volontà ».

(Ma colui che si ostina a restar fuori dalla Chiesa di Cristo – pur avendone la possibilità – e a non riconoscerne il Capo nel Vicario successore di s. Pietro, designato dallo Spirito Santo, può esser mai considerato un uomo di buona volontà? Si veda l’opera del Rev. M. Müeller, C. SS. R. nel suo volume: Extra ecclesiam nullus omnino salvatur in ExsurdatDeus.org..

Per l’appartenenza al Corpo mistico, abbiamo la Lettera del Santo Officio all’Arcivescovo di Boiston, dell’8 agosto 1949, che chiarisce definitivamente la questione e tronca ogni libera teologica discussione – ndr. –).

http://chi appartiene al corpo mistico di Cristo e chi no exsurgatdeus.org