J.-J. Gaume: IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (12)

CAPITOLO XXVI

NECESSITA’ DEI CLASSICI CRISTIANI.

RISPOSTA ALLE OBBIEZIONI.

Se nella logica loro concatenazione le conseguenze che precedono non sono attaccabili, esse sono lungi, ben lungi dall’essere compiute nel loro sviluppo. Nondimeno, per quanto esser possa imperfetto il quadro da noi abbozzato, sembra bastante a dimostrare, ad ogni uomo che vuol vedere, i fatali effetti del paganesimo nell’educazione. Grazie ad esso, la società europea si trova condotta sull’orlo d’un vasto precipizio, del quale nessun uomo scandagliare potrebbe la profondità. Qui varie cose vi stupiscono e vi spaventano. Alla vista del verme roditore che le moderne società nutrono da sì lungo tempo nel loro seno, alla vista delle carezze medesime ch’esse gli prodigano, ci chiediamo d’onde provenga un sì strano accecamento? È d’uopo, come noi facemmo, cercarne la cagione nei terribili misteri dell’umana natura. L’introduzione del paganesimo nella educazione fu una reazione possente della carne contro lo spirito, una rivincita lungo tempo meditata del vecchio uomo incatenato dal Cristianesimo dominatore d’Europa, contro l’uomo nuovo, la cui signoria era stata crudelmente scassinata durante il troppo lungo scisma d’Occidente. Tale fu la cagione fondamentale del nuovo ingresso trionfale del paganesimo in seno alle moderne nazioni: la forma letteraria e artistica non fu se non un pretesto. Un fatto palpabile ne è la prova. Questo fatto, troppo poco notato, eccolo qui: il Rinascimento, propagato dapprima con entusiasmo da tutti i nemici della Chiesa, consiste essenzialmente in due cose: nella denigrazione universale delle opere del Cristianesimo; nell’ammirazione parimente universale per le opere del paganesimo; nel profondo disprezzo pei secoli inspirati dal cristianesimo; nel culto fanatico pei secoli nei quali il paganesimo regnò. – Allo stupore succede l’inquietudine. Noi indicammo il male; esso è sì profondo, sì inveterato che ci chiediamo se rimanga ancora qualche probabilità di guarirlo. Ammettendo siffatta probabilità favorevole, la società accetterà essa il rimedio? La risposta è sgraziatamente dubbia. Il rimedio è evidentemente 1’uso dei classici cristiani. Ora, a questo nome, io sento parte della società gridare all’assurdità, al fanatismo, alla barbarie. Malgrado il progresso delle idee, da sedici anni, una tempesta di sarcasmi e d’ingiurie sta aspettando, da parte degli Dei Termini, e il rimedio e lo sgraziato medico che osasse proporlo. Dopo il disprezzo vengono le impossibilità. In verità, codesta esplosione non ci meraviglia; essa ci incoraggia provandoci che noi ponemmo il dito sulla piaga: il paganesimo è sempre simile a sé. – Quando, sotto i Cesari, esso vide apparire il Cristianesimo che si preparava a disputargli la signoria del mondo, faceva rimbombare gli echi delle sue accademie e dei suoi anfiteatri del sanguinario grido: alle belve i cristiani! Padrone oggi delle società moderne, il paganesimo fa sentire in termini diversi lo stesso grido di morte contro il Cristianesimo che viene a rivendicare la signoria della educazione; poiché l’educazione è l’impero, essendo essa l’uomo. Le ingiurie ed i sarcasmi non si confutano: si sta paghi a compiangere colui che ne usa, e si fa di tutto per innalzarsi abbastanza alto per non esserne colpiti. Ma dopo le ingiurie vengono le impossibilità, e la lista ne è lunga. Formulate non solamente dai nemici dichiarati del Cristianesimo, ma ancora da uomini che al medesimo sono sinceramente devoti, richiedono esse un esame serio e imparziale. Ora, codeste impossibilità, ridotte dall’analisi alla loro più semplice espressione, si limitano a tre. In primo luogo si dice che il rimedio sarebbe peggiore del male, giacché esiliando dalla educazione i grandi modelli dell’antichità pagana, sarebbe ciò un ricondurre il mondo alla barbarie letteraria da cui il Rinascimento lo trasse. – In secondo luogo si dice che il rimedio è impossibile, poiché il baccalaureato (in Francia) esige la cognizione degli autori profani, e la più parte dei parenti vorranno che i loro figliuoli siano baccellieri, acciò siano qualche cosa in società, anche a costo di non essere cristiani. – In terzo luogo si dice che il rimedio, fosse pure applicabile, sarebbe inefficace, poiché con dei classici cristiani il professore può sempre, quando lo vorrà, fare dei discepoli pagani.

Esaminiamo in particolare ciascuna di queste obbiezioni.

Sostituendo classici cristiani ai classici pagani, ciò sarebbe, voi dite, un rimedio peggiore del male. Eppure il male è grande come può esserlo, meno che non sia la morte. A noi intorno, tutto è scassinamcnto, tutto è rovina: dal capo alle piante la società è una sola piaga. I medici chiamati a guarirla si dichiarano impotenti: molti la credono all’agonia, ed aspettano da un giorno all’altro ch’essa soggiaccia nelle convulsioni di una lotta suprema. Ecco il male: e voi dite che il rimedio proposto è anco peggiore! Perchè? ve, ne prego. Perché, in ultimo, voi rispondete: meglio vale per una società il perire frammezzo alla luce di una gloriosa civiltà che non il ricadere nella barbarie, la quale pure è una morte, e, per una nazione, di tutte le morti la più vergognosa. Ebbene! esiliando dall’educazione i grandi modelli dell’antichità, sarebbe questo un ricondurre senza fallo il mondo alla barbarie donde il rinascimento lo trasse. Tale è in tutta la sua forza la prima ragione che si oppone al ritorno dei classici cristiani. Noi abbiamo la disgrazia di credere l’opposto: noi sosteniamo che i classici cristiani non ricondurranno il mondo alla barbarie, sia la barbarie in letteratura che in morale; noi sosteniamo che la barbarie, dalla quale si vuole che il Rinascimento abbia tratto l’Europa, non è se non una chimera, e che la restaurazione delle arti è anteriore all’introduzione del paganesimo nella educazione. È vero: si trovano anche oggi molte persone, ben intenzionate di certo, che ripetono quale un assioma che i secoli anteriori al Rinascimento furono secoli barbari: barbari nei loro costumi, barbari nelle leggi loro, barbari nelle loro istituzioni civili e politiche, più barbari ancora nella loro letteratura e nelle loro arti. Queste persone capiscono per fermo quanto dicono. Per me, che nulla affatto le capisco, chiedo licenza di spiegare parola per parola la loro terribile proposizione. – Le tenebre della barbarie seguono le tenebre dell’errore di cui esse sono il prodotto, e le prime stanno sempre in ragion diretta delle seconde. La luce della civiltà, all’opposto, regna colà ove la luce della verità regna. La verità è il Cristianesimo. Per sapere se il medio-evo sia 1′ età della barbarie, basta dunque sapere se il Cristianesimo fosse sconosciuto nel medio-evo; s’esso non fosse per nulla applicato alla società, od anche se fosse men conosciuto, meno applicato che noi sia di presente. Aspetto la vostra risposta… – Aspettandola, vi chiederò perché mai i classici cristiani ricondurrebbero l’Europa alla barbarie? Essi ci farebbero perdere, voi dite, la conoscenza della nostra lingua materna, poiché non si può saper bene alcuna lingua d’Europa senza sapere il latino, dal quale tutte le nostre lingue moderne sono tratte. Una quantità d’ uomini, ed in ispecie di donne, che non sanno di latino, troveranno la vostra proposizione molto poco lusinghiera; infatti essa è troppo assoluta per essere, vera. Prendiamola tutta volta in tutta quanta la sua estensione; ma intendiamoci. Vi sono due lingue latine, lo sapete, e, se fa d’uopo, ve lo proverò in un momento. Ora, voi non potreste ignorare che le nostre lingue volgari sono uscite dalla lingua latina cristiana, e non già dalla lingua latina pagana. Abbiate pazienza, e su questo punto voi sarete ben presto convinto. Voi soggiungete che i classici cristiani ci ricondurrebbero alla barbarie, perché la lingua latina del secolo di Augusto e la lingua greca del secolo di Pericle, cessando d’essere conosciute, noi ci chiuderemmo l’adito ad ogni soda erudizione. Ancora un poco, e voi vedrete che i classici cristiani non faranno punto dimenticare le lingue pagane: all’opposto. Pel momento, debbo farvi convenir meco che queste lingue non sono mezzi di erudizione così necessari come voi sembrate crederlo. Quali sono mai, ditemelo, i tesori della scienza del diritto pubblico e privato delle nazioni d’Europa, del diritto civile e del diritto canonico, della teologia, della nostra istoria, della filosofia, della medicina, della geologia, delle scienze naturali e delle matematiche, se non forse le opere scritte nella lingua latina cristiana o nelle lingue moderne? Che mai sapreste voi di tutto ciò quando aveste letto gli autori del secolo d’Augusto e di Pericle? Voi insistete dicendo che i classici cristiani ci farebbero perdere il gusto del bello che noi dobbiamo al Rinascimento. Io vi rispondo che il gusto del bello nasce dalla conoscenza del vero. Bisogna dunque provarmi che la conoscenza del vero fosse meno perfetta prima del Rinascimento che nol fu dopo. Nominatemi dunque le verità che il Rinascimento ci fece meglio conoscere. Mostrate in qual genere esso sviluppò il senso del bello. Crediatemelo, non retrocediamo di sessantanni. Il rimprovero di barbarie pronunciato tante volte contro i secoli cristiani non è più accettato da tutti. Si conosce oggi, ed è provato che v’ha del bello, e dì molto, nell’ordine morale, nell’ordine scientifico, nell’ordine sociale, nell’ordine artistico anteriormente all’invasione del paganesimo classico. Da un quarto di secolo specialmente, molti pregiudizi secolari sono caduti: ancora ogni giorno ne cadono. Rimane, lo confesso, un punto sul quale i pregiudizi rimangono quasi interi. Voglio parlare della letteratura anteriore al Rinascimento. Siccome questo punto si è il principale motivo, o, per meglio dire, il pretesto il più ordinario che si ponga innanzi per mantenere il paganesimo nell’educazione, esso richiede un esame particolare. Ciò che fu detto a lungo dell’architettura cattolica, che essa era il tipo del cattivo gusto e della barbarie, che non era degna d’esser paragonata all’architettura greca e romana più che non Lucano a Virgilio, o Seneca il Tragico a Sofocle, si dice anche oggi della letteratura dei secoli cristiani. La medesima prosegue ad essere l’oggetto di un superbo disprezzo; si giunge persino ad arrossire di trovarla sulle labbra della Chiesa, e non viene ancora in mente a certi spiriti che si possa essere abbastanza senza buon gusto per porla a confronto colla letteratura dei secoli pagani. In una parola, Fénélon, il P. Maffei, Scaligero e molti altri lasciarono numerosi eredi della loro ammirazione esclusiva per la letteratura pagana e della loro profonda compassione pel cristianesimo letterario (Nella sua Lettera sull’eloquenza, Fénélon, l’egregio Fénélon non teme di dire che, ai di suoi, l’Europa non faceva se non uscire dalla barbarie, p. 399. È noto che la sua Lettera sull’eloquenza è un panegirico pomposo dell’eloquenza, della poesia, della tragedia, della commedia e dell’epopea pagane, offerte come solo tipo del bello). Fra mille esempi, uno solo ne scelgo, il quale a maraviglia compendia le disposizioni degli animi. Ecco ciò che pubblica, nel 1850, un uomo di alto sapere, di soda istruzione, di venerabile carattere: « L’innario del Breviario parigino è cosa che non si potrebbe abbastanza ammirare; gli è l’idioma latino in tutta la purezza del secolo d’Augusto; egli è il genere lirico in tutta la sua leggiadria, in tutta la sua pompa, in tutto il suo sfarzo; sono le figure le più giuste, le più energiche, le più delicate; i moti dell’anima i più naturali, i più toccanti, i più sublimi, i più pii. In una parola, gli è la cosa la più degna della verità discesa dal cielo. La decenza del culto pubblico richiedeva tale riforma, tale quale fu fatta, in ispecie nel secolo in cui viviamo, nel quale cotanto importa che il letterato indifferente od empio, che il fanciullo collegiale nulla trovino a dispregiare nel linguaggio liturgico che è posto sulle labbra al culto ». – Ed ecco la lingua e la poesia cristiana anteriori al Rinascimento, trattate come poco fa era trattata l’architettura gotica. Malgrado la severità di questo giudizio, o piuttosto a motivo di questa severità, il rispettabile autore delle linee sopra citate ci permetterà di discutere la questione e di appellarci a lui medesimo dalla sua propria sentenza. Custode fedele di una delle nostre più sontuose cattedrali, egli è, lo sappiamo, l’ammiratore illuminato dell’Arte cattolica. A questo titolo, egli considererebbe giustamente quale un ignorante ed un vandalo colui che andasse a dirgli: « La sostituzione dell’architettura greca e romana all’architettura gotica è una riforma richiesta dalla decenza del culto pubblico; lo stile artistico del secolo di Augusto e di Pericle è la cosa la più degna della verità discesa dal cielo ». Ebbene! egli ci permetterà di stabilire: 1° che la qualificazione di barbara non potrebbe essere maggiormente applicata alla letteratura cristiana, che all’Arte cristiana, cioè che il letterato indifferente od empio; che il fanciullo collegiale nulla ha a dispregiare nel linguaggio liturgico che gli si pone sulle labbra: 2° che l’idioma latino non ritrovò tutta la sua purezza nel Rinascimento del paganesimo classico, ma che la perdette e finì per perdervisi esso stesso tutto quanto. Dapprima, il semplice buon senso respinge a priori l’argomentazione dei partigiani del Rinascimento. Prima di ogni discussione esso obbliga ogni persona riflessiva a dire con l’illustre vescovo di Langres: « Noi eravamo sulle panche del collegio e già noi ci chiedevamo come poteva mai essere che solo lo spirito di menzogna avesse ricevuto il privilegio delle grazie del linguaggio; e quando poscia fummo incaricati noi stessi d’insegnare agli altri codest’arte del ben dire, la quale, considerata nella prima sua fonte, si è una derivazione meravigliosa del Verbo di Dio, noi non volevamo credere che questo Verbo fatto carne, il quale si era compiaciuto di prodigare un tale ingegno ai suoi nemici, come fa spesso di tutti gli altri doni della natura, l’avesse poi negato a quella Chiesa da lui procacciatasi col suo sangue, e che Egli unì a sé, a segno che, secondo la sublime espressione di San Giovanni, ne fa la sua sposa…. « Ecco quali erano i nostri pensieri in un’epoca di nostra vita, in cui, sotto l’impero di pregiudizi concetti sin dalla nostra tenera età, noi non potevamo ancora apprezzare i tesori letterari della Chiesa, i quali d’altronde noi conoscevamo a mala pena. – « Ma a misura che, innalzandoci al di sopra delle nostre proprie convinzioni, noi esaminammo con imparzialità tranquilla e coscienziosa gli scritti dei nostri dottori e dei nostri padri nella fede, il nostro stupore cangiò di oggetto. Noi ci chiedemmo, non più come mai la Chiesa di Dio non avesse posseduto le sublimi doti del linguaggio così bene come le chiese di Satana, poiché avevamo sott’occhio e sotto mano la manifesta prova dell’opposto; ma come mai fosse avvenuto che nel seno stesso del Cristianesimo si fossero posti da parte, negletti, sconosciuti, e, dal lato della educazione, dimenticati del tutto, i numerosi ed innegabili capi di opera della letteratura cristiana, per non studiare, ammirare, e, umanamente parlando, per non adorare se non le opere letterarie del paganesimo. – « Certo, queste ultime hanno pure il loro notevole merito, e, come dicemmo, la perizia nel parlare e nello scrivere è un dono della natura, lasciato in comune a tutti i figliuoli degli uomini da Colui che fa risplendere il suo sole sui buoni e sui cattivi, che sparge la fecondatrice sua pioggia sulla terra dei peccatori, del pari che su quella dei giusti. Ma ciò che noi non possiamo ammettere, e ciò che tuttavia fu lasciato credere lungamente, si è che quel dono prezioso sia il privilegio dell’errore. Noi sappiamo, per la consolazione di nostra fede, e proclamiamo oggi a discarico di nostra coscienza, che questo non è vero (Lettera ai sigg, superiore e professori del suo piccolo seminario) ». Prima di ogni esame, noi abbiamo dunque il diritto di respingere la qualificazione di barbara, applicata alla letteratura cristiana; giacché è cosa assurda, per nulla dire di più, lo ammettere che le grazie del linguaggio siano privilegio esclusivo dell’errore. Ma andiamo più lungi, e stabiliamo una distinzione fondamentale, sempre dimenticata dai partigiani del paganesimo letterario; questa distinzione fa crollare tutti i loro sofismi. Il latino fu parlato da due società interamente contrarie nel loro modo di giudicare e di sentire: dalla società pagana e dalla società cristiana. A quella guisa che, per confessione di tutti, v’ha una filosofia pagana ed una filosofia cristiana, una architettura pagana ed un’architettura cristiana, una pittura pagana ed una pittura cristiana, un’oreficeria pagana ed un’oreficeria cristiana, così vi fu un’eloquenza pagana ed un’eloquenza cristiana, una poesia pagana ed una poesia cristiana, una lingua latina pagana, ed una lingua latina cristiana.Queste due lingue hanno ciascuna la propria perfezione relativa ed i proprii caratteri distintivi. Sotto il pennello o sotto lo scalpello dei grandi maestri di Grecia e d’Italia, l’Arte pagana rende bene, molto bene, l’idea pagana, il sentimento pagano; parimente in bocca a Cicerone ed a Tito Livio, o sotto la penna di Virgilio e di Orazio, la lingua latina pagana rende bene, molto bene, l’idea pagana ed il sentimento pagano. Al pari della società di cui è l’espressione fedele, codesta lingua è, soprattutto nel secolo di Augusto, molto polita, molto elegante e molto fredda; talvolta maestosa ed il più spesso imperiosa e superba. – L’unzione le manca, perché la carità manca alla società pagana. Organo esclusivo di passioni e d’interessi puramente naturali, essa è profondamente sensualista. Tutto quanto l’ordine d’idee, di virtù, di sentimenti, di relazioni, nato dal Cristianesimo, rimane nella medesima senza traduzione. Perciò, materialismo puro, sensualismo, egoismo e povertà nel fondo, varietà, eleganza, secchezza nella forma, in versione e rigore nel contesto: tali sono i caratteri principali che la distinguono. Espressione di una società differentissima, la lingua latina cristiana presenta caratteri diametralmente opposti. Spiritualismo puro, ricchezza inesauribile nel fondo; semplicità, dolcezza, unzione, pieghevolezza, chiarezza nella forma: ordine logico soprattutto nel contesto: ecco alcune delle sue qualità. Si scorge che queste due lingue differiscono altrettanto l’una dall’altra quanto le due società medesime, di cui elleno sono la espressione. – Si vede ancora che non è né meno impossibile, né meno assurdo il voler fare della lingua latina pagana l’impalcato del Cristianesimo, quanto il voler fare della lingua latina cristiana l’organo del paganesimo. Sotto il punto di vista dell’Arte, egli è un edificare una cattedrale gotica per onorare Giove, o servirsi dei templi di Pesto per far processioni. Ecco perché i Padri della Chiesa, uomini di buon senso e di genio, impadronendosi delle parole dell’idioma latino, ne composero una nuova lingua latina, atta a rendere benissimo le idee, i sentimenti e gli usi cristiani: nella stessa guisa che gli architetti, gli scultori, i pittori e gli orefici cristiani, riconoscendo nell’Arte pagana certi principi e certe regole primitive, le adottarono modificandole sotto la ispirazione della fede, in modo da formarne gli elementi di un’Arte esclusivamente cattolica. Non è dunque per ignoranza della lingua latina pagana che la lingua latina cristiana fu creata. Chi oserebbe dire, ad esempio, che ignorasse la lingua e la letteratura pagana San Cipriano, il quale prima della sua conversione insegnò a lungo in Cartagine, ed in modo tanto splendido, l’eloquenza pagana? o San Girolamo, sì appassionato per Cicerone, e per Plauto, che non ci volle meno d’un castigo divino per guarirlo dalla sua passione? o Sant’Agostino, il quale prima di essere discepolo dell’Evangelio, lo fu per tanto tempo di Cicerone, di Virgilio e di Terenzio, ed il quale insegnò per lunghi anni la retorica mondana in Roma ed in Milano? Certo, se l’avessero voluto, nessun meglio di codesti uomini immortali avrebbe scritto e parlato il latino del secolo di Augusto. Se non lo fecero, non è già perché non lo potessero fare, ma perché non lo vollero; e non lo vollero perché capirono che una lingua nuova faceva mestieri ad una società nuova. A tale proposito noi abbiamo la irrecusabile testimonianza di Sant’Agostino stesso (S. Aug. opp. t. IlI, part. I, p. 129, De Doctr. christ., lib. IV, c. 14, n. 31, Edit. Paris.). – Del rimanente, non si creda già che respingendo e cacciando via dal latino idioma tutta quella mollezza, tutta quella superfetazione di forme, di misure e di sonorità pagana, i fondatori della lingua latina cristiana abbiano dimenticato la proprietà e la scelta dei termini, e l’eleganza stessa ed il numero. All’opposto, essi davano a tutto ciò una cura particolare, come lo testifica ancora Sant’Agostino. Ma la proprietà e la scelta delle parole; ma l’eleganza ed il numero ch’essi ricercavano, erano appropriati alla lingua latina cristiana, della quale è scopo principale non già lusingare i sensi, ma esprimerechiaramente, fortemente, nobilmente la verità. – Come il precedente, noi dobbiamo questo nuovo segreto del loro lavoro al gran Vescovo di Bona. Perciò, le espressioni ed i termini sono comuni all’una e all’altra lingua; ma il suggello, il genio, l’ordine ed il significalo di un gran numero di parole sono totalmente diversi. Questo divario tra i due idiomi è siffattamente reale che i più esperti in latinità pagana non lo sono per ciò in latinità cristiana: e colui che in prosa si lusinga d’imitar Cicerone, ed Orazio in versi, non è per questo capace di scrivere un discorso che sappia di San Leone o di San Gregorio, né un inno che ricordi Sant’Ambrogio o San Tommaso. La prova ne è fatta. Invano un uomo si sarà, per dir così, appropriato la maniera degli autori profani, e conoscerà benissimo la latinità del secolo di Augusto; s’egli non fa uno studio profondo dei principi della latinità cristiana, si troverà imbarazzato e persino incapace di scrivere e di parlare convenientemente del dogma, della disciplina, in una parola, delle cose cristiane. La sua composizione delle parole e pel numero della frase; ma mancherà di precisione, di gravità, di chiarezza; essa sarà vuota di cose, misera, e spesso ridicola. – Nel sedicesimo secolo si era intravveduto questo grave sconcio. Si era anche temuto, e non senza fondamento, che la lingua pagana non introducesse idee pagane ed errori nel Cristianesimo. « Si è dagli autori cristiani, diceva i l celebre P. Possevino, che i giovinetti toglier devono non solo la sana dottrina, ma ancora il modo di esprimerla con convenienza e con verità. Colui che vorrà scrivere o ragionare delle cose cristiane unicamente colla lingua del secolo di Augusto commetterà perniciosi errori, darà alla religione una fisonomia pagana, cadrà ad ogni passo in sconvenienze di lingua, in vanità di pensiero, spesso anche in inesattezze di credenza, le quali aprono la porta all’eresia. Del che noi abbiamo numerosi e tristi esempi in Lorenzo Valla ed in Erasmo, chiamati non senza ragione, da giudiziosissime persone, i precursori di Lutero ». – In prova di quanto asserisco, posso anche citare la testimonianza di un uomo noto a tutta Europa per la sua erudizione profonda e per la sua meravigliosa prestanza nella letteratura latina. Monsignor Laureani, custode della Biblioteca Vaticana, i cui scritti in prosa e in Verso latino sono quanto vi ha di più elegante, di più soave e di più ricco, faceva poco fa ingenuamente questa confessione: « Lo studio di Cicerone ( col quale si può dire ch’egli si sia identificato) non mi servì a nulla o quasi a nulla per trattar convenevolmente gli argomenti cristiani. Da principio, mi sentiva molto imbarazzato per iscrivere sulle cose religiose. Allora mi applicai allo studio di San Leone: ho trovato in questa continua lettura la vera lingua della Chiesa, colla sua eleganza, colla sua forma, colla sua chiarezza. Da quel punto potei dissertare agevolmente sulle materie ecclesiastiche (De oper. SS.Eccl. Pati: in litterar., etc. p. 52.). » Il dotto prelato avrebbe potuto aggiungere ch’egli aveva attinto a quella sorgente 1’eloquenza, il numero e la grazia inimitabile di linguaggio che così altamente lo illustrano. Da tutto ciò conchiudere bisogna non solo che vi sono due lingue latine benissimo separate; ma eziandio che, se si può fare un paragone tra un autore pagano ed un altro autore pagano, tra Cicerone, ad esempio, e Quintiliano, è cosa assurda il voler paragonare un autore cristiano ad un autore pagano, Cicerone, per esempio, a Sant’Ambrogio, o Quintiliano a Sant’Agostino; gli scrittori del secolo d’Augusto agli scrittori del secolo XIII. Infatti, gli uni parlano la lingua latina pagana e gli altri la lingua latina cristiana. Ora, queste due lingue differiscono essenzialmente per la forma, pel numero dei periodi, per l’ordine della sintassi ed anche pel senso di una quantità di parole. « Come mai, grida qui il dotto Vescovo sopraccitato, come mai si concede senza protestare, ad ogni autore di grido il diritto di avere il suo modo di scrivere, e non si concede alla Chiesa di Dio? Forse che la frase di Tito Livio non varia sensibilmente da quella di Tacito? Forse che la poesia di Orazio non ha una fisonomia ben diversa da quella di Virgilio? Chi pensò mai di dar carico ad uno di loro di cattivo gusto solamente pel suo paragone coll’altro ? E tuttavia, non si è forse ciò fatto nella riprovazione assoluta e collettiva dei Tertulliani, dei Cipriani, dei Lattanzii, degli Ambrogi, degli Agostini, dei Girolami, ecc., poscia dei Gregorii da Nazianzo, dei Basilii e dei Grisostomi? Si cercò negli uni la frase ciceroniana, e non fu trovata; negli altri le forme di Demostene, e nemmeno ivi si trovarono; per ciò solo si conchiuse che quegli scrittori fossero di gusto traviato, senza chiedere a se medesimi, se nello speciale loro modo di scrivere essi non contenessero bellezze affatto pure e di altissimo ordine? Ma da quando in qua il genere di uno scrittore forma legge assoluta in letteratura? Si danno a studiare in pari tempo vari autori pagani, sebbene di generi diversissimi: perchè questo, se non affinché il gusto si formi ed ogni nascente ingegno si determini appunto con siffatto paragone? Quale è dunque lo spirito di menzogna che non volle che da trecent’anni in qua venissero seguitate, in quanto riguarda gli scrittori di Santa Chiesa, quelle regole così generali e così naturali ? » L’ esistenza di una doppia lingua latina essendo così resa innegabile, noi respingiamo come un’odiosa menzogna la denominazione di bassa latinità, adoperata per designare l’idioma della Chiesa; a più forte ragione noi respingiamo di nuovo e con tutte le nostre forze il qualificativo di barbara, applicato alla lingua latina cristiana, la quale, elaborata dai più bei geni d’ Occidente, dice egualmente bene in prosa ed in verso. La poesia latina cristiana ha per creatori e per modelli, oltre Sant’Ambrogio e Sant’Agostino, San Gregorio, San Fulgenzio, Innocenzo III, San Bonaventura e San Tommaso. Quanto alla prosa, questa ricevette tutta quanta la sua perfezione da San Leone e soprattutto da San Gregorio. – Essa fu mirabilmente parlata dai Concili e dai più grandi uomini del medio-evo, e prima ancora, come p. e. da Sant’Eucherio, da San Massimo, da San Vincenzo da Lérins, da San Piero Grisologo, da San Prospero, da San Fulgenzio, da Boezio, da Cassiodoro, da Sant’Isidoro, da Sant’Ildefonso, da Beda, da Rabano, da Aimone, da San Bernardino da Siena, da Sant’Antonio da Padova, da San Pier Damiano, da Sant’Anselmo, da San Bruno, da San Bernardo, da Ugo e da Riccardo di San Vittore, da Pietro di Blois, da Alberto il Grande, da San Bonaventura, da San Tommaso, e da una quantità d’altri ai quali né l’antichità, né i tempi moderni nulla hanno a paragonare. Essa prosegue a parlarsi ed a scriversi con gran perfezione nelle congregazioni romane e negli atti ufficiali della Santa Sede. Tale si è la lingua che si osa chiamare barbara! Come se tutti quegli uomini immortali, come se tutti quei secoli cristiani che rivestir seppero il loro pensiero con sì meravigliose forme artistiche, fossero stati colpiti da idiotismo e da impotenza quando trattasi di esprimerlo colla parola! Non basta affermare; mostrateci l’esistenza di somigliante contraddizione. Mostrateci i titoli scientifici e letterari che vi danno autorità di lanciare l’oltraggio sulla fronte della Chiesa cattolica. Senza di questo, quando voi vi permetterete di qualificare di barbaro il latino dell’Evangelio e di San Bernardo, che forse non avete mai letto; di Tommaso da Kempis e di tanti altri, il cui stile presenta qualità ammirabili e quasi divine, voi provate di essere voi stessi ignoranti e barbari, simili a coloro che poco fa trattavano di gotici e di barbari i nostri capi d’opera d’architettura, la cui inimitabile perfezione non è oggidì negata da alcun uomo di buon gusto. Esaminando la questione intrinsecamente, e fatta astrazione dalle testimonianze esterne, noi siamo anche meglio fondali a respingere le qualificazioni di spregiativi, delle quali è argomento la lingua latina della Chiesa. Trattasi di sapere non già se questa lingua sia la lingua del secolo d’Augusto, ma se essa sia meno perfetta; in altri termini, se la lingua latina cristiana esprima le idee, i sensi e le cose del Cristianesimo men perfettamente di quello che la lingua latina pagana esprimesse le idee, i sensi e le cose del Paganesimo? se in bocca a San Leone, per esempio, a San Gregorio, a San Bernardo, a San Tommaso, il sovrannaturale sia meno eloquente, meno nobile, meno abbondante, meno sublime, meno semplice, meno chiaro, meno vario che noi sia il naturalismo in bocca a Tito Livio, a Quinto Curzio od a Cicerone? Chi può mai, colle prove in mano, rispondere affermativamente? Ecco circa la relativa perfezione dell’uno e dell’altro idioma. Circa la loro perfezione assoluta, volete voi sapere a che attenervene? Ricordatevi che il bello è lo splendore del vero: che lo splendore od il raggiare del vero si appalesa nell’arte e nella parola; che quanto più una società possiede il vero, tanto più il suo stile, la sua arte e la sua lingua sono belli. Ciò posto, a voi basta, per decidere quale delle due lingue sia all’altra superiore, il rispondere al quesito seguente: « il Cristianesimo possiede egli maggior verità che non il Paganesimo? ».