IL SACRO CUORE (69)

IL SACRO CUORE (69)

P. SECONDO FRANCO

SACRO CUORE DI GESÙ (6)

TORINO – Tipografia di Giulio Speirani e fligli – 1875

V° per delegazione di Mons. Arciv. Torino, 1 maggio 1875, Can. Ferdinando Zanotti.

Cuore di Gesù, Cuore di vero uomo.

Il Cuore di Gesù coll’essere il Cuore di un Dio, ci palesa quello Egli possa e sappia e voglia fare in nostro favore: come però per la nostra pusillanimità, mai non finiamo di fidarci di Lui, ci giovi il considerare che Gesù è anche vero uomo, ed il suo Cuore ha tutte le umane proprietà, dalla colpa in fuori. Così ci ravvicineremo in qualche modo a Lui e posto che il Padre ce l’abbia dato, ed Egli sia venuto a bella posta nella nostra condizione, per eccitarci a fiducia, Dio otterrà il suo intento e noi il nostro vantaggio. Diciamo adunque che il Cuore di Gesù essendo il Cuore di Dio è però anche il Cuore di un uomo vero, e così congiunge colla grandezza della divinità 1° le infermità, 2° la compassione, 3° la facilità di essere accostato propria dell’uomo.

I. Le infermità. Iddio nella sua infinita natura poteva usare agli uomini ogni sorta di riguardi, e favorirli con ogni sorta di grazie: gli è però vero che non poteva sentire i loro mali, perocché l’infermità umana non cade nella divinità. Quando si compiacque di farsi uomo per noi, allora egli poté provare e difatti provò nella natura da sé assunta tutte le infermità umane. Percorretele pure a vostro bell’agio e troverete vero quel dell’Apostolo che Egli fu sperimentato in ogni cosa tentatum autem per omnia in ogni genere d’infermità. Le angustie della povertà lo strinsero dalla nascita alla morte, Pauper sum ego. Le fatiche ed i disagi furono suoi indivisibili compagni, In laboribus a iuventute mea. Le pene e i dolori corporei se non si accostarono a Lui per infermità, gli si rovesciarono addosso per la malizia e violenza degli uomini in maniera affatto disusata, come è noto, nella sua dolorosa Passione e morte. Le pene dello spirito che sono poi sempre le più gravi lo investirono sì fattamente che non vi ha esempio non dico uguale ma somigliante nella storia. Il Cielo cospirò colla terra contro di Lui, gli amici ed i nemici, i grandi del secolo ed i popolani, i Principi secolari e i Prelati ecclesiastici, tutti ebbero una ferita da fare a quel Cuore. Il Padre celeste lasciò che Ei soddisfacesse alle colpe umane a tutto rigore di patimenti, i suoi nemici istigati dal demonio inventarono crudeltà inaudite per saziare l’odio che gli portavano, Egli stesso volendo dimostrare agli uomini quanto li amasse, elesse un modo di redenzione pieno per sé di tanti obbrobri, di tante carneficine, di tanti spasimi che dovesse persuadere finalmente a tutti qual fosse verso di noi il suo Cuore. Una sola infermità nostra non poteva Egli prendere sopra di sé, il peccato e tuttavia anche di questo volle provare l’obbrobrio e l’avvilimento: perocché avendo preso a scontare i nostri peccati, volle apparire coperto di essi dinanzi alla tremenda giustizia divina, e sostenerne tutta la vergogna e la confusione. Il perché quando ci accostiamo al Cuor divino non vi ha mai pericolo che Egli non intenda le infermità nostre, che non le senta intimamente. Non vi lagnate dunque che Gesù non capisca i vostri mali, che non li conosca… si sì tutto, tutto ha provato.

II. La compassione. Quindi è al caso di tutto compatire. Chi è stato sempre nell’abbondanza non sa compatire le strettezze della povertà, chi mai non fu infermo poco intende le lagnanze degli ammalati: come colui che ebbe sempre in poppa il vento prospero della fortuna, non sa quanto affannino le persecuzioni, gli odi, le calamità. Non è così il Cuore del nostro Gesù. Egli mai non vide infermità umana che non si commovesse e talora fino alle lagrime. Vede da ogni parte infermi, languenti di ogni ragione, quel Cuore tenerissimo subito è commosso e si fa loro incontro e tutti li risana. senza indugiare un momento. Curans omnem languorem et infirmitatem. Vede le turbe abbandonate senza pascolo di dottrina come pecorelle senza pastore e Gesù si commuove e piange. Incontra una vedovella che versa lagrime inconsolabili sopra un unico figliuolo defunto, e Gesù mescola le sue colle lagrime di lei prima di risuscitarlo alla vita; s’accosta alla città di Gerusalemme, e pensa ai flagelli che si tirerà addosso coll’ostinata sua perfidia nel commettere un Deicidio, e Gesù non può raffrenare le sue lagrime. Vien condotto alla tomba del suo amico Lazzaro già sepolto da quattro giorni, Ei freme nel divino suo spirito e piange. Quanta compassione per la Samaritana, per l’Adultera, per la Cananea, per Zacheo, pel Centurione, per la Maddalena, per tutti i peccatori e per tutte le peccatrici. Ah si è vero che niuna delle nostre infermità trovò mai insensibile il suo Cuore. Qual vantaggio adunque per noi che i tesori della sapienza, della potenza, della bontà di Dio siano alla disposizione di un Cuore di tanta amorevolezza e compassione. Oh lo intendessero i poveri peccatori che più non temerebbero di dover esserne rigettati e respinti. Oh l’intendessero anche quei Giusti sì timidi che non osano sperare il rimedio alle loro orazioni imperfette, alle loro quotidiane mancanze che se ne sentirebbero al tutto riconfortati.

III. La facilità dell’accesso. Tutto sarebbe che si accostassero gli uni e gli altri a quel dolce Cuore. Ma e perché nol farebbero? La sua umanità sacrosanta c’invita, il suo Cuore ci sforza. Quale fu finalmente la ragione per cui Iddio si fece uomo? Certamente acciocché in Lui l’umana natura pagasse i nostri debiti: ma altresì perché in Lui l’uomo si sollevasse; ad una vita divina. E come fare ciò se non si accosta a questa vita? Se avessimo dovuto avvicinarci alla divinità solamente, avremmo fatto come i figliuoli d’Israele. Avremmo detto non ci parli Iddio perché alla presenza della sua Maestà morremmo dallo spavento. Laddove la sua divinità velata dalla sacratissima umanità ora è diventata accessibile. Egli ha un corpo siccome il nostro, un’anima come la nostra, ha menato una vita simile alla nostra, ha sperimentata come noi la nostra infermità. Questa rassomiglianza fa scomparire le differenze, ci ravvicina. Che se consideriamo poi le condiscendenze e degnazioni a cui nella sua Umanità è disceso verso di noi vedremo sino a qual punto il suo Cuore desideri che a Lui ci accostiamo. È poco l’essersi come tolta di fronte la corona smagliante della divinità che ci avrebbe abbagliata la pupilla inferma, che nella sua umanità giunse ad allettarci, ad invitarci, a careggiarci in tutte le maniere più. amabili. Venite ad me, è la sua chiamata generale, rivolta a tutti: Venite da me. Et ego reficiam vos, ed Io vi ristorerò, è il premio che propone e lo stimolo con cui alletta. Tutti i nomi che prende a nostro riguardo come vedremo sono altrettanti titoli con cui ci chiama dintorno a sé. Nella sua vita mortale a quelli che si accostavano a Lui faceva poi le più dolci accoglienze col Cuore sulle labbra, dava loro il dolce nome di figliuoli, ne lodava la fede, li proponeva in esempio anche agli altri e persino allora che doveva riprendere qualcuno per suo vantaggio, non lasciava di mostrare il suo Cuore pietoso. Ai peccatori stessi non negò mai la sua persona, il suo ministero, che anzi si mostrò accessibile tanto a tutti loro che se ne ebbero a scandalizzare i farisei. Il Maestro vostro mangia coi peccatori… lo rinfacciarono agli Apostoli. Ma Gesù Cristo non si sottrasse loro per questo: fa sapere invece che per loro principalmente era venuto. Ora, devoto lettore, quella degnazione che ebbe Gesù un tempo, è pur sempre la stessa. Quel Cuore che ebbe allora è pur sempre quello del nostro Gesù. Quei desideri che ebbe di avere a sé dintorno e giusti e peccatori, è il desiderio che serba pure al presente, i tesori di che disponeva allora il suo buon Cuore non sono esausti, ma sono ancora intatti anche per noi. Perché non profitteremo di un bene sì grande qual è quello che Gesù ci offre nell’umanità sua sacrosanta?

GIAC. Cor Iesu, fili hominis, miserere mei.

OSSEQUIO. Fate in questo giorno qualche atto di confidenza nel suo buon Cuore.

Cuore dl Gesù, Cuore di Redentore.

Non poté essere senza qualche grande e degna cagione che l’Unigenito divino venisse sulla terra a vestire le nostre spoglie. Quale fu dunque questa? Essa è molteplice ,senza dubbio, ma la prima e più solenne è quella che viene espressa dalla fede cristiana, quando chiama Gesù Redentore degli uomini. Erano questi sia per la colpa del primo padre, sia per quelle tante più che essi v’avevano aggiunte personalmente schiavi di lucifero, esclusi dalla finale beatitudine. Gesù venne per saldare i nostri debiti colla divina giustizia, sottrarci alla tirannia infernale, rimetterci sulla via del cielo. È dunque questo il primo e più solenne ufficio che Egli esercitò per noi e perciò considerate come la Redenzione 1° Gesù Verbo eterno la volle; 2° Gesù Verbo incarnato la effettuò; 3° ed il suo Cuore divino ne dié la misura.

I. Gesù Verbo eterno la volle. Quando vogliamo concepire in qualche modo il disegno della divina Incarnazione siamo soliti a raffigurarci le divine Persone che radunate in consiglio trattano del grande affare della nostra salute. Ora come è che fu preso sì alta determinazione che il Verbo di Dio prendesse la nostra carne ed in essa soddisfacendo alla divina Giustizia ci riscattasse dalla servitù infernale? Fu il Verbo divino il quale per immensa degnazione di amore si offerse per noi. Niuno il costrinse, niuno il forzò, oblatus est quia ipse voluit. Ma deh! che cosa è questo? Se si mira alla persona che si offre è un eccesso di amore che sopraffà ogni mente creata. L’Unigenito di Dio è Dio come il Padre, la sua vita nel seno paterno è vita di beatitudine infinita, di che cosa poteva abbisognare, qual cosa poteva volere se a sé stesso è infinito bene? Spieghi a sé medesimo il Cristiano quale smisurato oceano di amore sia quello che mosse il Verbo di Dio ad una opera così eccelsa. Se si mira la viltà della condizione a cui elesse di sottoporsi ricresce ancora ai nostri occhi la smisuratezza del suo amore: perocché non v’ha proporzione tra la sua grandezza e la nostra viltà, tra il suo tutto ed il nostro nulla, ed il volere farsi come uno di noi Egli che è infinito è un abbassamento d’inestimabile amore. Se noi vedessimo il figliuolo di un Monarca gettarsi legato mani e piedi in un fondo di torre per salvare altri prigionieri ci parrebbe un eccesso incredibile: eppure tra un Monarca ed un prigioniero per quanto vile vi sarebbe proporzione poiché vi è medesimezza di natura. Ora che sarà che il Figliuolo di Dio elegga la condizione abbiettissima di un uomo per salvare gli uomini? chi potrà farne degna estimazione? Questo fu sempre quell’eccesso che rapi in ammirazione gli uomini più sapienti della Chiesa e che rinfocò di amore i Santi più illuminati. Che il Verbo divino si contentasse di sottoporsi a sì alta umiliazione: ed a noi quale senso desterà una piena sì ineffabile di amore?

II. Gesù Verbo incarnato la effettuò. Come poi una volontà si amorosa fu recata ad effetto? Giunta la pienezza dei tempi, il Figliuolo di Dio dié compimento al suo disegno. Venne di fatto sulla terra e nel seno verginale di Maria, presa la nostra carne, compì la grande opera della Redenzione. Questa richiedeva come suo fondamento che fosse placata la divina Giustizia irritata sì giustamente contro dell’uomo prevaricatore. Ed ecco che Gesù impiegando tutta la sua vita mortale in opere d’immenso servigio di Dio, e soprattutto offrendo se stesso in sull’altar della Croce, diede alla SS. Trinità per le nostre colpe un compenso valevole a tutto rigore di giustizia, e così poté la divina Misericordia largheggiare cogli uomini del suo perdono. Fu compenso a tutto rigore di giustizia. Imperocché sebbene fosse l’Umanità in Cristo quella che dolorava, pativa e moriva, tuttavia essendo quella Umanità SS. sussistente nella Persona del Verbo, e quindi vera Umanità di Dio, da quella ineffabile unione ritraeva una infinita dignità che la rendeva idonea e proporzionata ad una piena e totale soddisfazione ed estinzione di tutti i nostri debiti. Placata così la divina Giustizia abbisognavamo della grazia santificante la quale ci sottraesse alla dominazione dell’inferno, e ci rendesse amabili agli occhi divini: ed ecco che Gesù coi meriti della sua vita, della sua passione e morte c’impetrò anche questo. Ci meritò quella qualità sublimissima o per parlare con S. Pietro, quella partecipazione della divina natura che è la grazia santificante, e questa ci ritolse dal servaggio diabolico e ci rese amabili alle divine Persone. Restava che tutti questi frutti preziosi ci venissero applicati. Ebbene Gesù col sacrificarsi che aveva fatto per noi, diventando capo dell’umana natura, acquistò un doppio diritto: diritto sopra di noi, diritto sopra de’ beni che aveva accumulati. Ora valendosi di questi suoi diritti, Egli ordinò tutte le vie per cui i frutti della sua Redenzione ci fossero conferiti. Ordinò la Chiesa cui cementò del suo sangue, costituì sacramenti che fossero come i canali per cui fluissero le sue grazie, ordinò un sacerdozio permanente che dispensasse in nome suo i tesori preziosi che aveva raccolti, e così efficacemente dopo d’averci placato il cielo ci corroborò sulla terra. Qual cumulo immenso di grazie e di misericordie! Gli anni della nostra vita non bastano a scoprirle tutte, a ringraziarne la sua bontà, e nei secoli eterni solo comprenderemo qualche cosa di quello che per noi ha fatto.

III. Il suo Cuore divino ne dié la misura. Che se desideraste una qualche misura onde fare concetto di quello che colla sua Redenzione Egli ci ha ottenuto, e voi troverete questa nel suo Cuore sacrosanto. La sua Redenzione non fu solo bastevole, ma fu soprabbondante. Copiosa apud eum Redemptio. È indubitato che a saldare i nostri debiti colla divina giustizia, ad ottenerci ogni maniera di grazia sarebbe stato bastevole un atto qualsiasi del divin Redentore. Una lagrima de’ suoi occhi, un sospiro del suo Cuore, una parola del suo labbro, una preghiera qualunque, posta la dignità infinita che in Cristo risultava dalla Persona divina, avrebbe avuto merito e valore per la Redenzione di mondi innumerevoli, se tanti ve ne fossero stati. Ma dove Gesù avesse con questo, che alla cecità degli uomini sarebbe apparso sì poco, redento gli uomini, chi avrebbe creduto di essere molto amato da Gesù Cristo? Il suo Cuore divino e l’abbondanza dell’amore suo sarebbero stati disconosciuti. Ora Gesù che mirava con tante opere che faceva ad acquistarsi il cuore nostro, volle ed elesse patimenti sì gravi, passione sì amara, morte sì atroce che niuno potesse più dubitare al cospetto di prove sì vive, del quanto da Gesù fosse amato. Non ragguagliò pertanto le pene solo alla necessità della Redenzione ma eziandio alla tenerezza del suo Cuore per noi, al desiderio suo di essere riamato. Ond’è che la moltitudine e la gravità de’ suoi patimenti sono come altrettante bocche che ci rivelano l’amor del suo Cuore. Prenda dunque il Cristiano di qui la norma per giudicare il Cuor divino. Quel capo trafitto sì duramente grida l’amore che arde nel suo Cuore, amore gridano quegli occhi coperti di sputi e di sangue, quella bocca amareggiata di fiele, quelle spalle solcate dai flagelli, que’ piè, quelle mani trafitte sì duramente dai chiodi, quel corpo estenuato, sfinito, languente: e molto più ancora quelle tante pene interiori da cui è sì duramente straziato, altro non sono che prove della carità che arde nel suo Cuore sacrosanto. Perché tanto ha amato, per questo ci ha redenti con tanta soprabbondanza di carità. Quale stimolo qui a riamarlo, quale speranza di dover partecipare i frutti preziosi della Redenzione! Se tanto ha fatto per attirarsi il nostro amore, come ci negherà quello che è necessario a riamarlo nel tempo per poterlo amare nei secoli eterni? E se tanto ci ha amati, e d’un amore così gratuito, anzi così immeritato, che cosa farà per noi quando ci sforzeremo di corrispondergli? Oh Cuore dolce del mio Redentore, fatemi conoscere quel che avete fatto per me e fatevi da me una volta amare efficacemente.

GIAC. Cor Jesu Redemptoris nostri: miserere mei.

OSSEQUIO. Ringraziate per qualche momento il Cuore di Gesù di tutto quello che ha fatto e patito per voi.