LO SCUDO DELLA FEDE (169)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (V)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

IV. — Il Cristianesimo cattolico.

b) Schizzo di un’apologia interna.

D. Questo carattere integrale e organico della tua religione ti apparisce senza dubbio una seria presunzione in suo favore, voglio dire in favore di quella origine divina che tu le attribuisci.

R. Una tale presunzione, appunto, ai miei occhi è una prova formale. E io le riconosco una doppia forma: 1° il Cristianesimo cattolico è divino perché presenta una coerenza meravigliosa di tutti i suoi elementi tra loro, coerenza umanamente inesplicabile, e 2°, il Cristianesimo cattolico è divino perché offre, in tutte le sue parti, una capacità di adattamento alla natura e ai fatti, una capacità di reggere la natura e i fatti umanamente inesplicabili.

D. Sono tutte lì le tue prove?

R. Ce ne sono altre in gran quantità; ma in mancanza di altro, io stimo che queste potrebbero e dovrebbero convincere.

D. In che consiste la loro forza di convinzione?

R. Secondo Platone, il carattere delle idee vere è di maritarsi tra loro, e, per le stesse ragioni, il carattere delle idee vere in materia pratica è di adattarsi esattamente a ciò che esse devono reggere. Se dunque l’enunziato della rivelazione, che contiene una così grande somma di nozioni d’ogni specie, e va incontro a una massa anche più grande di fatti esteriori, si mostra a un tempo di una impeccabile unità sintetica e di una perfetta concordanza con tutto l’insieme dei fatti umani, io dico che questo è un segno di verità manifesta.

D. Questa perfetta convenienza, interna ed esterna, supposto che esista, non è forse semplicemente il segno di una notevole sapienza organizzatrice, ma affatto umana?

R. La tua obiezione è naturale; tuttavia, tu stesso sarai meravigliato di vedere quanto poco valore essa abbia. Pesa accuratamente, di grazia, quello che sto per dire.

D. Ascolto.

R. In nessuna parte, nell’universo religioso, si vede all’opera la sapienza organizzatrice « notevole, ma affatto umana » che tu supponi. Nessuno ha concepito i dogmi a titolo d’insieme; nessuno li ha proposti in blocco organicamente, come Sieyès la sua costituzione o Bonaparte il Codice. Il Credo non è un sistema di idee a priori che si sarebbe cercato di rendere coerente e ragionevole prima di consegnarlo ai fedeli, e che si sarebbe poi accuratamente conservato. Le nostre credenze sono agli antipodi di questo, esse poggiano su fatti, e su fatti che si ripartiscono sopra migliaia d’anni, nei dominii più disparati, comparendo, si crederebbe, a piacimento del caso, isolatamente, senza vincoli tra loro, salvo quell’inesplicabile finalità la quale fa sì che si trovino da per tutto dove è necessario, a guisa di quegli eroi da romanzi, disseminati per rapimenti, guerre o tempeste, e che si ritrovano in vista d’un matrimonio.

D. Che cosa intendi per fatti cristiani?

R. Intendo, non solo avvenimenti, ma anche parole, dichiarazioni di principii, enunziati di dottrine, precetti o suggerimenti pratici. E questi fatti, dico, appartengono a tutti i mondi, al mondo giudaico, al mondo evangelico e all’era cristiana tutta quanta; sono fatti grandiosi, come la risurrezione di Cristo o il Discorso del Monte, e umilissimi fatti, come quei che avvengono tra le nostre pareti domestiche o nei nostri cuori; fatti che riguardano tutte le razze e tutte le latitudini come pure tutti i tempi, e hanno il dovere di accomodarvisi. Questi fatti impegnano Dio, la natura e l’nomo; la morale, la storia, l’etnografia, la geografia umana e fisica, la linguistica, l’archeologia, la psicologia vi sono strettamente implicate. In questo gruppo incalcolabile di fatti, ce n’è una folla di arbitrari, di liberi e per conseguenza d’imprevedibili prima dell’avvenimento, ed anche questi saranno tenuti a concordare. Supponiamo che nel corso di tanti secoli di applicazione del regime della grazia, per esempio, l’idea della grazia si fosse modificata nelle teste come al tempo dei Pelagiani, o la nozione della penitenza si fosse modificata come sotto S. Clemente, o la teologia di Cristo stesso, come sotto Ario ed Eutiche, senza che una ferma autorità pensasse di interporsi per ristabilire la dottrina: da quale immenso perturbamento interno il dogma non sarebbe stato assalito! La religione oggi non sarebbe più la stessa; non sarebbe più atta vivere; non si reggerebbe più; quello che sarebbe allora la sua incoerenza, lo possono misurare solo quelli che hanno seguito con uno sguardo chiaro gli avanzamenti del pensiero cattolico. Supponi che un giorno un Papa, per errore o per passione, per pressione d’un partito o per capriccio, sotto l’influsso di un genio, di un principe o di una scuola particolare, si lasci andare a definire un dogma senza vincolo di necessità o di convenienza con gli altri: ecco la nostra unità dogmatica spezzata per sempre. Io cito questi casi tra centomila appartenenti all’ordine del tempo; se ne potrebbe citare altresì un gran numero a proposito delle razze, degli ambienti, delle circostanze, delle idee, delle persone. Qui le difficoltà possono sorgere da tutte le parti. Ebbene si è evitato tutto; si sono vinte tutte le antinomie e si è circolato tra tutte le insidie senza ricorrere ad alcun sistema di precauzioni, che del resto erano per lo più impossibili a prendere ed anche a conoscere. Tutto è stato inquadrato; ogni fatto nuovo risponde come a un appello, ogni dogma particolare corrobora l’insieme e vi si aggiunge per mille legami. E il tutto si adatta all’umanità individuale e sociale, ai suoi caratteri, ai suoi bisogni, alle sue evoluzioni, alla sua coscienza morale soprattutto e al suo senso religioso, con una evidenza di rigore tanto maggiore quanto più profondamente si studia e la nostra umanità da una parte e il dogma dall’altra. Infatti, come osserva Pascal, «la religione non fa che conoscere a fondo ciò che si riconosce tanto più quanto si hanno maggiori lumi ».

D. La fede, in tutto questo, non trova quello che essa cerca?

R. Essa trova quello che cerca e meglio ancora, sembra, quello che non cerca. Essa è una relazione universale. La sua profondità nativa la fa coincidere dovunque con l’esperienza. Essa non è sorpresa da niente, in bene o in male. Non è stata inventata, e sarebbe stato necessario inventarla perché la vita si spiegasse, perché la vita avesse i suoi soccorsi innumerevoli; perché avesse soddisfazione ne’ suoi istinti d’integrità, di giustizia, di sociabilità, d’ideale; perché non mancasse punto di consolazioni e di speranze; perché potesse essere preparata agli accidenti che l’attraversano, alle inquietudini che la turbano, e, in mancanza del resto, al suo vuoto. Ma ciò che non ha inventato l’uomo, esiste per un miracolo permanente il quale è giocoforza che sia constatato. Un filosofo poco credente, liberissimo di spirito, Novalis, scrisse: «Si potrà studiare il Cristianesimo ancora per delle eternità, ma esso apparirà sempre più alto, più molteplice e più magnifico ». Il più grande miracolo di Gesù Cristo non è di aver risuscitato dei morti, ma di avere rigenerato a fondo la vita e la coscienza dell’uomo; non è d’avere compiute le profezie giudaiche, ma d’aver realizzato quelle del nostro cuore.

D. Tu presti così al Cristianesimo una specie di necessità ideale.

R. Non è una necessità, ma una straordinaria convenienza che permette di dire: il Cristianesimo era in noi in qualche maniera, prima di essere in se stesso; vi era come una chiamata: Gesù Cristo ha portato come una risposta. E non c’è da dire, questa risposta è perfetta; è «un getto su natura » (AGOSTINO COCHIN). Nell’immensa estensione della vita e delle verità naturali che la esprimono, vi possono essere dei punti di attrito provenienti dalla nostra ignoranza o dalla nostra inesperienza, provenienti anche dalle inevitabili imperfezioni di un sistema che congloba i difetti umani; ma è impossibile rilevare una contradizione. C’è lì un mistero.

D. Non è forse misteriosa ogni nascita?

R. Tant’è che ogni nascita dimostra una causa proporzionata a ciò che nasce, e questo vale in favore del Cristianesimo ugualmente che per una nascita d’uomo. Chi, dunque, in seno alla madre, ha distribuito alle membra, agli organi, ai tessuti, alle cellule innumerevoli del corpo che ella ha generato gli elementi della sua propria nutrizione, in tal modo che questo corpo viva, sia un corpo, e il tipo così realizzato risponda a un pensiero ereditario, a un pensiero eterno? Forse che qualcuno ha disposto gli atomi con la mano? Parimenti nessun uomo o gruppo d’uomini ha organizzato industriosamente e adattato il nostro dogma. Esso è apparso allo stato frammentario, senza piano umanamente preconcetto; l’anima sua, simile all’idea direttrice dell’embrione umano, non è di questo mondo. E allora di qual mondo è?

D. Il sistema cattolico è fondato per pretendere a così alte meraviglie?

R. Il sistema cattolico, nel suo insieme, è l’organizzamento dell’infinito, Ecco un’impresa assai pericolosa per uomini! Vi si devono necessariamente introdurre delle cose che ci stupiscono, delle cose incredibili in se stesse, assurde, si oserebbe dire, se si prendessero a parte, come la presenza reale di un corpo organico, in un’apparenza di pane, come la Risurrezione, quel Ritorno dalle ceneri dell’altro mondo. Chi penserebbe a inventare tutto questo? chi potrebbe poi sperare di metterlo d’accordo, e di mettere d’accordo noi con esso, e ottenere in suo favore la compiacenza infinita del tempo e degli uomini? Ad ogni svolta si può produrre uno squarcio mortale, un fatto che ricalcitra, un agente di esecuzione che fallisce, una dottrina che trionfa e può farsi vedere caduca, uno scioglimento profondo come quelli dei ghiacci che l’inverno aveva ammucchiato e che il sole di primavera disgrega. Nessuno interviene per impedire qualche cosa; una turba di gente è lì per compromettere tutto e tutto cammina a seconda; il sistema funziona, per la grazia d’una potenza immanente che la Chiesa rappresenta, ma che essa non conosce.

D. La Chiesa cattolica può forse ignorare il suo proprio funzionamento?

E. Lo ignora nella sua sintesi completa, nella sua legge misteriosa, che è una grazia di vita, non di cognizione lucida. Gli uomini organizzano con perspicacia degli insieme ristretti; Dio organizza con chiara visione l’insieme totale delle cose; la Chiesa, che organizza da parte sua, entra nell’organizzazione di Dio che conosce la sua portata, che sa dov’essa conduce; per una ispirazione interiore, essa s’adatta all’insieme e lo serve; ma quest’insieme e tutta la somma di provvidenza che vi si dispensa, la Chiesa non ha la grazia di discernerlo.

D. Donde viene a questo gran corpo di dottrine, di fatti e di esseri, il suo « sublime » discernimento?

R. È quello che io domando. Non vi è convergenza del caso; non vi è concorso di illusioni disperse. Una concordanza non ideologica, ancora una volta, ma sperimentale, che la pratica individuale e sociale conferma, che ha la firma dei fatti, questa concordanza estesa in tutte le direzioni e in tutti gli ordini, magnifica per altezza e per profondità, oltre le sue dimensioni temporali e spaziali, vuole una spiegazione.

D. La falsità non ha essa pure le sue riuscite?

R. La falsità è come i bugiardi, si contradice sempre; solamente la verità piena non si prende mai in fallo. «Tu credi alla scienza perché aduna molti fatti, scrive Giacomo Rivière: tanto più devi credere alla religione, perché essa li raccoglie tutti ».

D. Divina istituzione, insomma?

R. Non è forse proprio di una istituzione divina, lo sposare in tutti i suoi contorni e in tutti i suoi annali l’umana e universale realtà? Se il Cattolicismo comprende tutto, non è forse perché esso è al di sopra di tutto, perché il suo Dio è al di sopra di tutto, perché il suo Cristo è il riformatore di tutto, perché lo Spirito che lo governa è la guida suprema di tutto? Nessuna rivelazione riesce bene e neppure ha valore se non è una confermazione; ma ancora una confermazione integrale, e sotto questo aspetto precisa, non si dimostra forse come un’autentica rivelazione? Chi avesse potuto inventarlo avrebbe potuto concepire un universo, e concepire un universo non appartiene se non a chi lo può creare: questa è opera divina.

D. Ciò mi sembra importante, e vorrei penetrare meglio il tuo pensiero.

R. Bisognerebbe esplorare i particolari, e ciascuno di essi porterebbe seco la conclusione con una certezza crescente. Preciserò solo qualche caso. – Tutto quanto il dogma dipende dal quadruplice fatto della Trinità, dell’incarnazione, della redenzione e della grazia. La Trinità è un’espansione di Dio in se stesso. L’incarnazione è una manifestazione della Trinità in missione umana. La redenzione è il lavoro del Dio incarnato, della Trinità manifestata e data, lavoro che include tutta la storia, dalle origini fino «all’ultimo avvenimento », nel quale tutto si deve concludere. La grazia è il dono stesso secondo che egli è nell’uomo in virtù dell’incarnazione redentrice e delle missioni trinitarie, e la grazia prende tutte le forme della vita, anzitutto la forma individuale e la forma sociale, con tutti gli aspetti che, nell’ora stessa e nel corso di tutti i tempi riveleranno la vita fisica, la vita morale, la vita professionale, la vita domestica, la vita politica, la vita ecclesiastica, la vita sacramentale e la vita mistica. Tutto questo forma un insieme infrangibile, di una coerenza meravigliosa, che dà soddisfazione alla mente sempre più in proporzione che vi penetra, rispondendo ai più alti pensieri e alle più intime aspirazioni dell’uomo riguardo al divino: infatti è questo il divino eretto, se così posso dire, dalla Trinità, al di sopra di ciò che la ragione ne poteva conoscere, ma è soddisfazione della ragione, come dovremo poi far vedere, ed è poscia il divino ridiscendente in fascio nel creato, per il canale di Cristo, in forme che sposano tutte quelle del creato, riproducono i suoi caratteri, sopraelevano i suoi poteri e li utilizzano senza sforzo né mutilazione.

D. È questa la tua sintesi dogmatica?

E. Ne è uno schema. La Trinità, vita di Dio in se stesso; l’incarnazione, prima tappa delle comunicazioni; la grazia, seconda tappa che utilizza la nostra unità solidale nell’Uomo Dio; la Chiesa, mezzo sociale di un’ampiezza e di un’organizzazione ammirabile, mai interamente penetrata, mai uguagliata; i sacramenti, mezzi della Chiesa e di Cristo che comprendono tutta la vita per rigenerarla, nutrirla, purificarla, fortificarla, reggerla e perpetuarla fino alla vita eterna: si ha il diritto di dire che questo solo risponde pienamente, a fondo, nello stesso tempo trascendentalmente ed esattamente, al senso religioso che l’analisi constata in tutti gli uomini, e gli dà una sovrabbondante soddisfazione.

D. Ad ogni modo io registro il fatto.

R. È tutto quello che io domando. Ma ecco! quest’insieme, espresso schematicamente, ma i cui aspetti sono innumerevoli, conglobando direttamente o indirettamente tutto ciò che è, non può mancare di essere eccessivamente delicato, I teologi lo sanno; alcuni lo sanno anche troppo. Entrandovi, la mente si trova in un terribile ingranaggio; sbagliato il minimo pezzo, è tutto il sistema che non funziona più e non può più servire. Oltreché la complessità è estrema, i legami sono rigidi; niente caucciù lì dentro, niente batuffoli di ovatta; metallo, sempre. Lo stesso Renan, per esperienza, disse: « La teologia cattolica è formata di blocchi di granito legati insieme da ramponi di ferro ». Ora tutto ciò, com’è ben manifesto, non è stato elaborato, umanamente, da nessuno.

D. Non vi sono delle fonti?

R. Se si cercano fonti per ciascuno enunziato di fatto o di dottrina, se ne trovano; ma questa necessità di laboriose ricerche prova già quello che io affermo. Queste fonti si presentano allo stato frammentario e senza nessi visibili. Non si sa ben determinatamente donde ciò esca fuori, La Bibbia è una selva dottrinale. Lo stesso Gesù Cristo si è espresso senza alcuna cura di segnare la coerenza de’ suoi discorsi, a seconda dell’insegnamento. Egli gettò la sua parola alle turbe, e nessun Platone e nessun Senofonte era presente per stabilirvi un ordine, per interpretarla sapientemente o anche per raccoglierla stendendola accuratamente per iscritto.

D. Gesù ebbe dei discepoli.

R. I suoi discepoli fecero come Lui; vissero religiosamente e fecero vivere; insegnarono, ma non costruirono nessuna teologia sistematica; spiegarono dei fatti e ne trassero delle regole pratiche; i loro scritti sono scritti di circostanza, concepiti in vista di un’utilità immediata; i principali, dopo le quattro raccolte di note chiamate Vangeli, sono le Epistole, vale a dire delle lettere. I fatti, le parole e i precetti sacri passarono di là in una tradizione in cui dominavano uomini senza cultura, e la cui mente era orientata in tutti i sensi. Ciò non si è elaborato se non più tardi, e l’elaborazione, notalo bene, consistette nel mostrare l’accordo, non nel crearlo.

D. La Teologia non è una fattrice d’ordine?

R. La teologia mette in luce l’ordine; ma non lo crea punto. La teologia non crea nulla; getta dei ponti d’idee tra certi fatti, tra certi dati che non le appartengono in alcun modo; essa si deve servire di ciò che è, senza modificarlo mai, quand’anche lo potesse, e per lo più, presa la posizione immutabile, essa non lo potrebbe. L’astronomia che inventa un sistema del mondo non crea gli astri.

D. L’accordo così manifestato, secondo te, era dunque nelle cose stesse?

R. Esattamente, e per conseguenza in qualche mente collocata al di sopra delle cose: ecco quello a cui io voglio venire.

D. Quale mente?

R. Lo domando a te stesso. Quale mente assegnare, per un insieme a un tempo disperso e organico di tanti elementi, di tante dottrine delicate ed astruse, di tante asserzioni nuove e generalmente sorprendenti, di tanti fatti gli uni passati o presenti, gli altri futuri, che avvolgono tutte le cose umane? Quale mente, se non una mente sovrumana?

D. Perché parlare di cose future?

R. Perché se l’accordo intimo dei dogmi poté essere messo in luce abbastanza presto, avviene affatto diversamente dell’adattamento del dogma, di ciascun dogma, all’insieme e ai particolari di tutti i fatti ai quali una religione universale e permanente si dovrebbe un giorno applicare. Un tale adattamento, per essere così anticipatamente assicurato, non suppone forse una cognizione antecedente o un’intuizione superiore di tutto il contenuto e di tutto lo sviluppo della natura umana, di tutte le sorprese della storia, di tutte le richieste future della civiltà? Chi ha potuto far prevedere ai primi apostoli, quando predicavano la dottrina dell’Uomo Dio, lo sfolgorante successo di questa dottrina straordinaria, incredibile per i pagani, scandalosa per i Giudei; i suoi frutti incomparabili di santificazione; la sua riuscita per Dio stesso, se così posso dire, per il fatto dell’avvicinamento insperato del Creatore e della creatura sopra questo terreno vivente; la potenza con la quale questa dottrina ha attratto le anime, le ha strappate a se stesse, le ha sollevate, le ha lanciate in tutte le imprese, le ha sottomesse a tutti gli sforzi, piegate a tutte le discipline, pacificate in tutte le loro sofferenze, esaltate nei loro sentimenti più generosi, più larghi e più intimamente beatificanti, le ha avvinte a sé con una tenerezza che non si ha per un padre, per un fratello, per un amico, neppure per uno sposo o una sposa, poiché per Lui si è rinunziato alla sposa, allo sposo ed è stato dato a Lui stesso questo nome?

D. Ammetto che ciò sia prodigioso.

R. Pensa al culto della croce, a quello del tabernacolo, a quelle messe che fanno il giro del mondo col sole, a quelle comunioni che inondano i cuori di calorose gioie, e a quelle liturgie che le accompagnano con un decoro non solo spirituale, ma estetico, infatti di lì procede tutta l’arte cristiana. E pensa che si trattava di milioni di esseri, d’una folla d’istituzioni, d’una costellazione di popoli, e di quanti secoli, dopo che il ventesimo è sorto?

D. Ragioni questa volta a proposito dell’ordine sociale?

R. Di fatti! Nell’ordine sociale, chi ha detto a Pietro il barcaiolo e a Paolo di Tarso, a Gesù stesso, che ci sarebbero un giorno dei barbari da incivilire, una situazione imperiale da liquidare, dei re da domare, delle terre immense da dissodare, delle turbe da istruire e da educare, dei comuni da organizzare, delle corporazioni da formare, delle guerre da ridurre o da temperare, una Cristianità da mantenere coerente in un tempo di turbolenta anarchia? ecc., ecc.

D. La religione non ha fatto tutto questo da sola.

R. Io non lo pretendo affatto. Vi ha però collaborato in un modo che si può chiamare materno, nel senso proprio della parola. E per collaborarvi così, non bisognava forse che essa fosse a ciò adatta di sua natura stessa, che il suo principio concordasse con ciò che si può chiamare il principio o lo spirito incivilitore?

D. Tutto ciò è molto lontano da noi.

R. Ma per più tardi, negli stessi tempi nostri, chi ha detto al pescatore d’uomini che vi sarebbe una democrazia da moralizzare, un regime del lavoro da rinnovare, una società internazionale da creare, un capitalismo, un sindacalismo, immensi corpi sociali che offrono dei problemi come nessuno ne conosceva né poteva sospettarne una volta? Chi disse loro che in questi giorni, le soluzioni sarebbero tanto più difficili in quanto che il sentimento della personalità umana e del valore individuale si svilupperebbero nei gruppi sociali come mai si erano sviluppati; che le distinzioni artificiali tra gli uomini sarebbero sempre più ripudiate e cancellate dalle costituzioni politiche; che la vita pubblica sarebbe obbligata a piegarsi a principii di uguaglianza a volte eccessivi, ma in fondo umanissimi e nobilissimi, e che questo non andrebbe scompagnato da furiosi dibattiti e da terribili scosse? Chi, dunque, chi ha potuto far presagire tutto questo agli organizzatori della fede,

D. Io non ne vedo la necessità.

R. Io la vedo in ciò che, in questo nuovo campo, l’adattamento non è meno perfetto di quello che fosse al principio dell’era cristiana; anzi lo è infinitamente di più. Quanto più l’umanità progredisce, tanto più il Vangelo le conviene e le è necessario.

D. Il Vangelo non entra in causa.

R. Io parlo del Vangelo vivente, della Chiesa, e della dottrina precisa della Chiesa. Metti in presenza tutti i fatti contemporanei e il dogma cattolico; fa la critica dei loro rapporti mediante un’analisi comparativa ben condotta, e io ti prometto una meraviglia. I nostri sociologi moderni non sospettano ciò che essi trascurano, Io scrivo freddamente, pronto a provarlo, che questi sapienti «avanzati» sono dei retrogradi; che essi hanno fatto indietreggiare, per cecità spirituale e per presunzione la scienza reale, la scienza profonda degli assettamenti umani, che si trova appunto nel dogma, ad ogni modo importata da esso, concordante con esso e dipendente dal suo aiuto. Lo stesso avviene dell’economia domestica moderna, del regime individuale moderno, che più ancora che i regimi antichi trovano nel dogma cattolico e in esso solo la loro consistenza morale e le loro garanzie di progresso.

D. La tua Chiesa avrebbe dunque risposto a tutto?

R. In nessun modo, e mi preme anche di protestare, come ho fatto molte volte, contro quei che domandano alla religione delle soluzioni che non dipendono se non dalla tecnica e dall’umana esperienza. A ciascuno il suo compito. Ma se tu vi rifletti seriamente, vedrai che alla radice di tutte le difficoltà umane, si trova una o più difficoltà morali, e sono quelle che la Chiesa risolve. In certo modo, nulla di questo mondo la riguarda, poiché essa non è di questo mondo, e tutto la riguarda, perché questo mondo ha tutte le sue radici nell’altro, come la pianta nella terra e nel cielo. La Chiesa, se vuoi, non apre alcuna porta; ma fornisce tutte le chiavi-

D. Non tutti la pensano così.

R. È possibile; eppure, io pretendo di dimostrarne a chi vorrà la verità smagliante. E del resto, in mancanza di una confessione di verità, non è forse sufficiente che una tale pretensione si possa anche solo enunziare; che essa non sia ridicola; che, in una discussione serrata, abbia per sé la minima probabilità seria? Riguardo a una dottrina che risale a venti secoli e predicata da pescatori, tu mi confesserai che questo è già un bel miracolo.

D. Si trattava di una prova.

E. Se si può dire che per il nostro tempo la prova non è fatta, non lo si può dire per il passato, che è acquisito, e che dimostra la coincidenza perfetta del dogma cattolico con la vita, col movimento storico, con la civiltà. Un’altra sola dottrina, religiosa o filosofica, oserebbe qui presentarsi in concorrenza con la dottrina di Cristo? La si attende nella lizza.

D. Ma tu non hai detto come la Chiesa conserva e svolge il deposito che le fu affidato; sta forse lì il segreto de’ tuoi «miracolosi» adattamenti tra il dogma una volta acquisito e î fatti umani.

R. Aspetta! La Chiesa è lei stessa un dogma; sarebbe troppo facile riguardarla come piovuta dal cielo senza farne onore al cielo. La Chiesa è un dogma che ne contiene molti altri, come quell’ammirabile comunione dei santi, sopra la quale bisognerà ritornare, e come l’infallibilità la cui importanza è qui visibilissima. Ora il dogma della Chiesa, della Chiesa infallibile, ci fornisce uno di questi segni di coerenza che io rilevo; perché  esso è legato con un vincolo così necessario ai dogmi della Trinità, dell’incarnazione, della redenzione, e della grazia, che non è possibile separarnelo.

D. Sotto quali rapporti tu ve lo annetti?

R. Sotto il rapporto della loro manifestazione, della loro conservazione e della loro utilizzazione. Il dogma della Chiesa è indispensabile alla manifestazione degli altri; perché la vita interiore della Chiesa è fatta del commercio della Trinità, se mi è lecita l’espressione, con gli uomini invitati alla sua intima dimestichezza. Essa stessa, la Chiesa, è come un’incarnazione e una redenzione continuata, una grazia sociale, pegno e mezzo di tutte le altre, conforme alla nostra natura, che è altresì sociale, e temporale, e sensibile. Il dogma della Chiesa è necessario inoltre all’utilizzazione degli altri dogmi, per gli stessi motivi tratti dalla nostra natura, donde risultano i nostri bisogni individuali e sociali. Ed è non meno necessario alla loro conservazione; perché senza la Chiesa insegnante, e infallibilmente insegnante, tutti i dogmi, compreso quello della Chiesa madre delle anime, sono abbondonati a tutte le variazioni e dati alle bestie.

D. Lo spirito conservatore della Chiesa non è sufficiente garanzia?

E. Lo spirito conservatore della Chiesa appartiene a ciò che io asserisco; del resto esso non potrebbe impedire lente derivazioni. Appunto a questo proposito, un illustre protestante, Augusto Sabatier, dopo ampia discussione, conclude con questo dilemma: o accettare la Chiesa infallibile, o rinunziare a ogni dogma. Egli per conto suo, rinunzia a ogni dogma; ma la sua testimonianza è giusta. Si ha il diritto di dire: Senza la Chiesa sparisce tutto quello che è cattolicismo, e senza le prerogative essenziali che la Chiesa a sé attribuisce, sparirebbe lei stessa. Questa, credo io, è coerenza.

D. Ma come si è stabilito questo dogma della Chiesa?

R. Tanto poco artificiosamente quanto gli altri, per il proprio gioco dei fatti, in virtù di parole, di gesti e d’interventi sporadici. Alcune dichiarazioni semplicissime di Gesù ne sono il punto di partenza, e si crede di metterci nell’imbarazzo dicendo che vi è sproporzione tra queste dichiarazioni e l’immensa macchina attuale, o anche con i suoi abbozzi primitivi, le Chiese di Barnaba o di Paolo. Ma questa sproporzione è per noi un trionfo; io ne concludo che questo ha germogliato affatto da solo, come la pianta quando si è gettato il grano. Il grano germoglia e subito vede tutta la vita della natura collaborare seco, perché? Perché anch’esso è vita, perché vi è in esso uno spirito di vita. Io chiedo qual è, per la Chiesa, lo spirito di vita. Le scosse dei primi giorni, e poi i venti della storia avevano tutto quello che ci voleva in fatto di violenza e di capriccio per sradicare un germoglio senza vita ardente, senza vita miracolosamente salda: a più forte ragione non avrebbero fecondato un germe senza vita.

D. Anzitutto io parlavo della conservazione del dogma.

R. Infatti, vengo ora alla tua domanda: come la Chiesa, così stabilita, ha conservato tutto il resto? Coi medesimi procedimenti tanto poco artificiosi quanto era possibile; coi procedimenti della vita. Un’autorità decide, proprio, come nel vivente, un ordine parte dal cervello per mettere in azione gli organi. Ma nello stesso modo che il cervello non fa altro che servire l’idea vitale inclusa in tutto il corpo e da cui procede esso stesso: così l’autorità dottrinale non fa altro che prestare una voce al dogma immanente nella turba cristiana. Essa non pretende di innovare niente; ma consacra. Essa s’informa precedentemente; ma non in aria, astrattamente; consulta la massa vivente per sapere che cosa essa porta seco. Assistono dei teologi per secondarla; essa riapre i suoi grandi libri: la Bibbia, gli scritti dei Padri, quelli dei dottori illustri, la Somma di S.Tommaso D’Aquino, e i teologi viventi si sforzano d’interpretare questo insieme. Ma i teologi, come ho detto, si son guardati bene dal creare qualche cosa; essi riducono a sistema, ecco tutto il loro compito personale; quanto al resto, raccolgono ed adunano.

D. E dove attingono essi?

R. Te lo dico: nella vita, nella pratica corrente, nelle forme della preghiera, che rivelano loro il «senso della Chiesa », il suo contenuto spirituale, l’anima sua. La tradizione e l’applicazione spontanea, l’unica attestazione del che se ne fa sono così l’unica attestazione del « deposito ». Se l’autorità insegnante riflette, e molto, prima di decidere qualche cosa, la sua riflessione non ha che questo oggetto: quale è il deposito? che cosa contiene il germe? Proclamando tale dottrina, restiamo noi nella specie umano-divina che è il frutto della nostra istituzione, oppure creiamo un ibrido in cui la vita autentica non continuerebbe.

D. E chi finalmente deve dire l’ultima parola per decidere?

R. Tu penseresti che sia il più sapiente, il più influente, il più esperimentato, il più religioso, il più santo, o comunque colui che, nella stima altrui, aduna in sé tutti questi vantaggi! Niente affatto. È un uomo che generalmente è dotato e competente in una sufficiente misura, ma che può anche non esserlo e che a volte non lo fu punto; egli è l’eletto di una maggioranza del caso, un giudice che non offre alcuna garanzia speciale, salvo che egli è regolarmente investito come successore di Pietro e con ciò diventa l’erede della promessa.

D. Questo veramente ti basta?

R. Con questo tutto Va bene; la vita continua; nessuna alterazione si produce; nessuna perdita minaccia, la coerenza dogmatica non si smentisce mai; si evitano delle difficoltà alle quali soccombono le più grandi menti, quando speculano per loro conto; l’adattamento all’umanità e alle sue miriadi di condizioni si manifesta sempre più ricco, come lo accertano oltre i risultati della vita, gl’immensi lavorio di confrontazione e di approfondimento a cui si dedicano i teologi, storici e i sociologi di tutti i tempi. Pascal direbbe: ciò supera l’uomo.

D. L’adattamento di cui parli è solamente sociale, o anche individuale?

R. Bisogna che sia individuale per essere sociale; perché, ad onta dei sociologi inesperti, la società prende i suoi caratteri appunto nel cuore dell’individuo e nel quadro della famiglia, individuo completo. Una dottrina di vita ha dunque il dovere di adattarsi a tutte le particolarità individuali legittime, a tutte le attitudini, a tutti i temperamenti morali, a tutti gli stati di vita, a tutte le professioni; altrimenti la sua nozione stessa e specialmente i suoi mezzi non avrebbero niente di concreto; non sarebbe che uno schema senza utilità realmente pratica. Ogni cristiano dovrà indubbiamente sentirsi figlio di Cristo, partecipe della sua salute, stimolato da Lui a vivere conforme alla legge di amore e a tutte le sue conseguenze comuni; ma nello stesso tempo egli si sentirà una « vocazione », delle «chiamate», un ideale proprio, un « dovere di stato », delle «grazie di stato », e anche delle «grazie attuali», vale a dire grazie di atto, grazie per ciascun atto e che ne prenderanno la forma; a tal segno che egli saprà di essere stato preso di mira nella singolarità del suo caso e della sua persona.

D. Di ciò vi sono tracce antiche?

R. È quello che fa vedere la dottrina cattolica prima ancora della sua nascita effettiva, nella persona del Precursore. Giovanni Battista non raccomanda a tutti quello che fa egli stesso; parla ai soldati dei doveri del soldato, al pubblicano, al doganiere dei doveri dell’esattore delle imposte. Gesù alla sua volta, pur lodando il Battista come il più grande degli uomini, ha cura di notare che non farà come lui; Egli proclama la varietà; la consacra con la sua azione, che parte sempre dal fatto personale, dal caso e dalla disposizione presente; e ne dà questa ragione sublime: Così la Sapienza sarà giustificata da tutti i suoi figliuoli, cioè dall’insieme de’ suoi figliuoli.

D. Ciò è continuato indubbiamente?

R. Più tardi, i santi, quelli che tra i fedeli incarnano meglio la dottrina, non si dànno alcun pensiero di rassomigliarsi; sono dei potenti originali, a volte fino all’eccentricità, come lo Stilita, Benedetto Labre o Filippo Neri. Non hanno neppure la cura di rassomigliare a se stessi nelle varie fasi della loro vita; essi seguono lo Spirito; ma lo Spirito è uno; tutti vivono del medesimo succo, che si mostra così conveniente alle piante umane e alle più disparate forme di evoluzione umana.

D. Vi sono altri segni di questa verità?

R. Eccone uno: tra le persone che vivono attorno a noi, se ne vedono di quelle che aderiscono o ritornano alla Religione Cattolica per le ragioni più diverse: ragioni propriamente religiose, ragioni sociali, ragioni politiche, ragioni estetiche, ragioni sentimentali, delle quali ben si vede il lavoro, nel corso di una procedura che si sforza di oltrepassarle. Ciascuno ha cercato il suo adattamento personale, l’ha trovato e si figurerebbe volentieri che la Chiesa sia fatta specialmente per offrirgli quello che a lui importa. Ma un altro ha raggiunto la verità da un altro lato, un terzo da un altro ancora, e tutti insieme ne provano l’integrità, il carattere compito, come una statua ben riuscita è dimostrata conforme alle leggi dell’equilibrio delle masse e della giustezza dei profili, dove si svela la forma perfetta. «In fondo, è il Cattolicismo che noi oggi cerchiamo tutti », scriveva recentemente un giovane Ebreo convertito (MARCELLO SCHWOB).

D. Donde viene la tua fiducia in un simile adattamento per l’avvenire?

R. Dal fatto che l’avvenire di cui tu parli è un avvenire di uomini, e che s’incontra necessariamente quest’avvenire incontrando l’uomo. Per il Cattolicismo, essere un risultato autentico del passato, una sintesi perfetta del presente e un’esatta previsione dell’avvenire, è la stessa cosa.

D. Ma l’uomo aspira al progresso.

R. Se queste speranze di progresso si effettuano, io dico che la ricchezza dell’adattamento andrà sempre crescendo; perché la nostra fede rappresenta un ideale. Essa si offre ad un’umanità imperfetta con tutto quel che ci vuole per trarre partito dalle sue imperfezioni; ma spinge di sua natura al perfezionamento e in seguito vi si accorda. Di tappa in tappa, può condurci, e seguirci, e condurci ancora, fino all’impossibile ideale di Cristo: Siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto.

D. Una tale dottrina della vita non sembra un po’ fuori della vita?

R. Essa è la vita stessa. La vita non è altro che uno sforzo più o meno riuscito verso l’ideale, un eroismo, come dice William James. Ciò non si oppone per nulla alla semplicità e al senso pratico. La fede cattolica è tanto pratica quanto ideale, tanto semplice quanto profonda e ricca. Ce n’è per i pastori e per i magi, per i passeri e per gli elefanti. Chiunque, grande o piccolo, ritorna in sé e si trova collocato in faccia ad essa, la riconosce.

D. Allora, perché discutere?

R. Si discute con l’ineredulo, per forza; egli non si vorrebbe arrendere senza argomenti; gli argomenti sono la sua difesa istintiva, le sue armi. Ma in fondo, lo slancio decisivo non viene dalla disputa, ma dalla connaturalità ben manifestata, poi riconosciuta, del Vangelo e dell’anima, del dogma e della vita. La verità è una cosa « tanto naturale quanto il sole e l’acqua fresca, scrive Paolo Claudel, tanto facile all’anima quanto il pane e il vino ». Per questo il povero incredulo, una volta fatto il passo, è di solito stupefatto del tempo è degli sforzi che gli occorsero per varcare un abisso che non esiste.

D. Tuttavia, nel dogma, si rilevano apparenti contradizioni.

R. Non vedi che queste contradizioni dipendono appunto dalla sua pienezza e dalla sua integrità? Quando si tiene tutta la strada, si tengono i due fossati, e si trova sempre qualcuno che ti dice: tu sei troppo a destra; tu sei troppo a sinistra; oppure: tu raccomandi nello stesso tempo la destra e la sinistra. Al che il Cattolicismo risponderebbe: È vero, ma io armonizzo tutto. Il dogma è il maestro della giustezza; esso raduna in sé tutto e spinge tutto alla sua pienezza, senza che vi sia nulla di discorde. Ma abbracciando tutta la vita, deve sembrare che esso si contraddica; perché le circostanze della vita sono infinitamente diverse, e quello che conviene oggi o qui, domani o là, si fa vedere contrario. Onde, per questo solo che abbiamo definito la dottrina cattolica una relazione universale, potremmo definirla, per il fatto delle sue opposizioni apparenti: un paradosso universale; ma ciò sarebbe una suprema lode.

D. Ti farebbe dunque piacere l’opposizione degli estremisti e nello stesso tempo quella del « giusto mezzo »?

R. Esattamente per la stessa ragione, Le persone estreme sono estreme non perché raccomandano un estremo; ma perché non ne raccomandano che uno solo. Quelli che tu chiami del «giusto mezzo» si tengono in un posto intermedio donde non si sprigiona nessun orizzonte. La dottrina cattolica tiene tutto lo spazio, ed è lontana dalla mediocrità quanto dalla parzialità di questo o di quel dato estremo. È quello che aveva profondamente colpito Pascal in ciò che riguarda l’eminente dignità e la miseria dell’uomo, con tutte le loro conseguenze. La fede cristiana è al confluente di questi contrari e ammette diversamente l’uno e l’altro. Essa è ottimista e pessimista a fondo, secondo il punto di vista da cui uno si colloca. Esalta a un tempo il misticismo e la positività, l’austerità e la gioia, la verginità e l’amore, la sollecitudine di se Stesso e il generoso sacrifizio, il dolore e la felicità, la libertà e la subordinazione, l’uguaglianza e la gerarchia, la pace e la giusta guerra, la dolcezza e la fermezza, la prudenza e la facile confidenza, l’abbandono alla Provvidenza e il lavoro, la fede e le opere, il libero arbitrio e la grazia, il distacco e l’ardore di vivere, la misericordia e la giustizia, la pietà e la bontà paziente in tutte le tappe della prova terrestre, e la necessaria implacabilità del supremo giudizio.

D. Lì, ce n’è per tutti!

R. Sì, ce n’è per tutti al positivo; ma ce n’è anche per tutti al negativo, cioè, vi è di che suscitare delle opposizioni da tutte le parti, e dei rimproveri e delle contese che si distruggono a vicenda quando si mira la totalità, ma che, lasciate ciascuna a se stessa, sembrano giustificate e turbano le teste. È la luce totale del Vangelo che, offendendo tutti per una ragione o per un’altra, accumula attorno a sé le nubi. Così il sole è offuscato dagli effetti del suo proprio irradiamento.

D. Non è così delle altre dottrine?

R. Le altre dottrine mi offrono precisamente la controprova di ciò che io affermo. Non ce n’è nessuna che non risponda a qualche punto di vista del pensiero e a qualche esigenza della vita. Ciò che non corrispondesse a niente non si potrebbe far riconoscere, poiché il bisogno che si crede di averne è quello stesso che lo crea. Ma la concordanza col bisogno umano non è mai se non parziale; si afferma una verità, se ne dimentica un’altra complementare, come noi lo davamo a giudicare un po’ più sopra. « La loro colpa, dice Pascal, non è di seguire una falsità, ma di non seguire un’altra verità ». « Perciò, aggiunge egli, il mezzo più spedito per impedire le eresie (0 tutti gli errori di qualsiasi genere) è istruire su tutte le verità, e il più sicuro mezzo di confutarli è dichiararle tutte », sapere tutte le verità.

D. Queste dottrine che tu dici insufficienti possono essere coerenti in se stesse?

R. Ciò non è possibile. Da questo difetto di adattamento alla realtà, che si chiama errore, risulta necessariamente, in materia religiosa, un’incoerenza interna. Ciò che ha rapporto a tutto e non si adatta a tutto non si può adattare a se stesso. Una chiave universale che non apre certe porte dimostra un difetto che si dovrebbe riconoscere anche prima di tentare di aprire.

D. È tale il caso di tutte le dottrine di cui parlo io?

R, Tal è il caso di tutte le dottrine tranne la sola dottrina cattolica. Tutte offrono un carattere di parzialità facile a svelarsi, delle dimenticanze che nel Cristianesimo cattolico fanno brillare la sua trascendente esperienza, delle mutilazioni che, per trovare il rimedio invitano a ricorrere a Colui « che sapeva quello che è nell’uomo » e alla sua rappresentanza autentica, la Chiesa.

D. Così tu rifiuti ogni parità!

R. Di tutte le dottrine ce n’è una sola che sia sensata, ed è quella che si dice soprannaturale; ce n’è una sola che sia umana, ed è quella che si presenta come divina. Tutto il vasto movimento di riflessione e di indagini al quale si dedicano gli nomini, checché ne sia di passeggere fluttuazioni e di fuggitive esperienze, non è diretto che a una cosa: rovesciare le dottrine avversarie della fede e confermare la fede; convincere d’insufficienza e d’inumanità parziale tutto ciò che non è la pura e semplice verità cattolica, e giustificare la Chiesa Cattolica.

D. Certi dicono tuttavia che la religione va morendo; si dice perfino che sia morta.

R. È forse per questo che la questione religiosa, la quale, nel mondo civile, si è sempre confusa con la questione cristiana, e si confonde sempre più con la questione cattolica, è quella che domina apertamente o sordamente tutte le altre? Strana morte, quella che riempie il nemico d’inquietudine e il cimitero di rumore!

D. Quello che tu chiami il nemico, appartiene indubbiamente prima di tutto al mondo politico?

R. Difatti. Ora la società politica riconosce la Chiesa poiché si difende da essa. La società politica riconosce il pregio della Chiesa, poiché gareggia d’influenza con essa, poiché applica sotto altri nomi i suoi principii civilizzatori.

D. Si sente dire che l’istituzione cristiana ha fallito al suo compito e che la sua ricerca d’un ideale di umanità è finito in una sconfitta.

R. Il mondo non è finito. La « sconfitta » del Cristianesimo è la nostra civiltà! Vi è una sconfitta relativa in ragione delle nostre infedeltù e delle nostre resistenze; vi è però un trionfo, trionfo parziale che un’altra éra ha per missione di completare.

D. Attribuisci dunque ad onore del Cristianesimo tutta la civiltà?

R. In questo io non faccio altro che ispirarmi ai più grandi annalisti e ai pensatori meno cattolici: Renan, Taine, Harnack, Guizot, Agostino Thierry, Disraeli, Strauss stesso, che, dopo avere tentato di scoronare Cristo, scriveva a suo dispetto: « La morale di Cristo è il fondamento della civiltà umana ».

D. Vedi bene! si tratta della morale, e non del dogma.

R. Conosci tu una morale di Cristo che “operi storicamente” e che sia indipendente dal dogma? Invano si pretende che il Vangelo in se stesso sia una pura morale e che il dogma sia una creazione ecclesiastica. Ma questo non ci interessa. La morale di cui si parla così non consiste che in belle sentenze. Si fa parlare Gesù « come un libro  »; ma non è un libro e neppure il suo, che ha rinnovato il mondo; è un’istituzione vivente, operante, senza la quale il libro chiamato Vangelo non avrebbe maggiore importanza umana e influenza incivilitrice che il Manuale di Epitteto o il Baghava-Gita. Ora l’istituzione vivente e operante uscita da Cristo non ha morale che non sia dogmatica. La sua morale è una parte della sua teologia, e la sua teologia è dogmatica alla base: la parte morale non è che una conclusione, come già in S. Paolo. Te lo spiega Bossuet, con una grandiosa immagine: « Non ci vogliono punto due soli, nella religione del pari che nella natura, e chiunque ci è mandato per illuminarci nei costumi, il medesimo ci dà la conoscenza delle cose divine, che sono il fondamento necessario della buona vita ».

D. La religione non insegna i costumi per mezzo di massime pratiche?

R. La Religione rende costumata la società con l’applicazione effettiva e con l’azione concreta del suo insegnamento riflettente la natura dell’uomo soprannaturalizzato dalla grazia, unito per mezzo di Cristo al Padre, nell’unità dello Spirito, e orientato, in comunione coi suoi fratelli, nella Chiesa, verso la vita eterna. Tal è il principio civilizzatore; non ce n’è altro. Coloro che parlano di morale cristiana separata si attaccano a un’astrazione, oppure si lasciano prendere dalle puerilità a volte eloquenti, ma sempre ingannatrici e spesso nefaste. Il Gran Rabbino Lyon scriveva sapientemente: « Per apprezzare l’influenza del carattere e dell’opera di Gesù sul progresso dell’umanità, ci vorrebbe la scienza universale ». Un Gran Rabbino si onora di parlare in tal modo. Ma lui parla, con ragione dell’opera di Gesù, e non delle sue parole. Ora l’opera di Gesù è la Chiesa, la Chiesa dogmatica, o non è niente: sopravvive a Lui realmente nella storia; solo questo opera nel suo Nome. E se per apprezzare il risultato ci vuole «la scienza universale », è dunque perché il risultato è universale, perché esso si estende a tutto, perché niente di umano, di vivente, di moderno gli è estraneo.

D. Per me l’opera di Gesù è soprattutto spirituale

R. Difatti, noi dimenticavamo qui l’essenziale, voglio dire quella corrente di santità che, attraverso alla civiltà esterna e nel più profondo de’ suoi immensi veli, si espande come un Gulf-Stream spirituale, attestante il fuoco divino sorto dal Vangelo. Si può contestare questo fatto quando ci si lascia ipnotizzare dai mille difetti che l’umanità presenterà sempre; ma questa stessa severità dei nostri giudizi, donde viene se non dalla santità introdotta nel mondo da Cristo e che suscita la critica, quando non può suscitare la virtù? Prima di Cristo, la perfezione morale era una rarità, quasi un’anomalia; in seno alla Chiesa, essa è combattuta, ma comune e non ci stupisce se non per la sua grandezza.

D. Tu fai così allusione agli eroi di santità; ma non ce ne sono forse in tutti i gruppi religiosi?

R. Trovami un S. Vincenzo de’ Paoli mussulmano; una Giovanna d’Arco buddista, un curato d’Ars pastore protestante, un S. Vincenzo Ferreri o un S. Francesco Saverio salutista. E dico questo, credimi, non per disconoscere delle grandi anime, né per sdegnare il bene sparso dovunque. Asserisco soltanto che la spiritualità vera, il succo evangelico sbocciato nelle profondità, l’eroismo spirituale che fa capo a quella pienezza di donazione, a quel calore di sacro entusiasmo, a quella carità nel grande senso in cui consiste la santità, questo non si vede manifestamente, e al completo, se non nella nostra Chiesa.

D. Vi sono delle santità nascoste.

R. Ve ne sono anche presso di noi; spero molte; saranno queste le nostre scoperte del cielo. Ma perché non ve ne sono di splendide, e di pubbliche, e che si completano, se non in un solo gruppo? Un tal caso fortuito sarebbe assai meraviglioso. La risposta naturale non è forse piuttosto che là dove sorgono gli eroi religiosi, ivi appunto si formano, normalmente, gli uomini religiosi, e che se la religione si estende a tutto, è condizione di tutto, si fa vedere preziosa per ogni cosa, è lì, normalmente, che si dovrebbero formare gli uomini?

D. Da ciò si dovrebbe concludere che per essere uomo, bisogna farsi Cattolico Romano.

R. È veramente quello che io ne concludo. Se ciò ti sembra offensivo, è perché ti collochi dal punto di vista delle persone. Io rispetto le persone, e so fare le loro parti. Ma parlando di dottrina, dico: Sì, per essere pienamente uomo secondo il punto di vista dell’ideale adottato, del programma e dei mezzi, bisogna essere Cattolico Romano. Ciò non significa affatto che questi o quei Cattolici Romani valgano più di questi o quegli altri; ma significa che essi hanno la verità e che gli altri non l’hanno. Chiunque non sia esplicitamente o implicitamente Cattolico non è uomo al completo. È indubbiamente per questo che il convertito ha sempre l’impressione di ritrovare se stesso e di reintegrarsi in se stesso. E viceversa, come dice finemente Giacomo Rivière, l’incredulo « ha sempre l’aria di uno al quale si nasconde qualche cosa, e che non se lo immagina ».

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.