UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – “SACRA VIRGINITAS”

Questa lettera enciclica è quanto ognuno dovrebbe conoscere e far suo sul soggetto della verginità e della castità, virtù cristiane per eccellenza, oggi tanto vituperate e soffocate sotto la melma e l’immondizia ributtante di certe ideologie moderne pseudoscientiche imposte dalla bestia satanica e dalle sue membra, segnatamente la politica atea mondialista, la finanza usuraia e le conventicole di perdizione, nonché dal falso profeta nella figura delle sette protestanti, occultiste e la modernista della sinagoga del Novus Ordo montiniano del vat’inganno. Utili a tal proposito sono pure le parole dell’ultimo vero Sommo Pontefice che ha potuto liberamente esprimersi:  « … Il Nostro cuore paterno si volge con paterna commozione verso quei sacerdoti, quei religiosi e quelle religiose, che coraggiosamente confessano la loro fede fino al martirio. » Dopo aver compiuto un escursus storico apologetico dottrinale – un vero patrimonio dell’umanità ben differente dalle pietre o da sconci edifici antichi diroccati, considerati tali da organismi affiliati alle conventicole –  il Santo Padre termina con una stupenda espressione atta a suscitare lo stupore di un Cristiano sincero: «… Ma per custodire illibata e perfezionare la castità, esiste un mezzo la cui meravigliosa efficacia è confermata dalla ripetuta esperienza dei secoli: e, cioè, una devozione solida ed ardentissima verso la vergine Madre di Dio ». Questa devozione è la stessa che ci preserverà dalle grinfie dello schifoso serpente che, dopo avere avuto il capo schiacciato dal calcagno della Vergine casta, sarà precipitato nello stagno di fuoco con tutti i suoi adepti e con coloro che non hanno amato la verità preferendo credere alla menzogna ed allo spirito di inganno di cui sono schiavi.

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

SACRA VIRGINITAS

LA CONSACRATA VERGINITÀ

INTRODUZIONE

La sacra verginità e la castità perfetta consacrata al servizio di Dio sono certamente, per la Chiesa, tra i tesori più preziosi che il suo Autore le abbia lasciato, come in eredità. Per questo motivo i santi Padri sottolineavano che la verginità perpetua è un bene eccelso di carattere essenzialmente cristiano. Essi osservano a buon diritto che, se i pagani dell’antichità richiedevano dalle vestali un tale tenore di vita, questo era temporaneo; e quando nell’Antico Testamento si comanda di conservare e praticare la verginità, si trattava soltanto di una condizione preliminare al matrimonio (cf. Es XXII, 16-17; Dt XXII, 23-29; Eccle XLII, 9); sant’Ambrogio aggiunge: «Noi leggiamo che anche nel tempio di Gerusalemme vi erano delle vergini. Ma che cosa dice l’apostolo? “Tutte queste cose avvenivano ad essi in figura” (1 Cor X, 11) per preannunciare il futuro». – E, certamente, fin dai tempi apostolici questa virtù cresce e fiorisce nel giardino della Chiesa. Quando negli Atti degli apostoli (At XXI, 9) si dice che le quattro figlie del diacono Filippo furono vergini, più che la loro giovinezza, si vuole indicare uno stato di vita. Non molto tempo dopo, Sant’Ignazio di Antiochia ricorda nel suo saluto le vergini, che costituivano già, insieme con le vedove, un elemento importante della comunità cristiana di Smirne. Nel II sec. – come attesta s. Giustino – «molti e molte, di sessanta e settant’anni, si conservano intatti sin dall’infanzia, per l’insegnamento di Cristo». Poco alla volta si accrebbe il numero di uomini e donne che avevano consacrato a Dio la loro castità; e nello stesso tempo il loro compito nella Chiesa acquistò importanza maggiore, come più diffusamente abbiamo esposto nella Nostra costituzione apostolica Sponsa Christi. – Inoltre i santi padri – come Cipriano, Atanasio, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Girolamo e Agostino e non pochi altri – nei loro scritti celebrarono la verginità con altissimi elogi. Questa dottrina dei santi Padri, arricchita nel corso dei secoli dai dottori della Chiesa e dai maestri dell’ascetica cristiana, influisce certo molto tra i Cristiani d’ambo i sessi nel suscitare e confermare il proposito di consacrarsi a Dio con la perfetta castità e di perseverare in essa fino alla morte. Il numero dei fedeli così consacrati a Dio, dall’origine della Chiesa fino ai nostri giorni, è incalcolabile: gli uni hanno conservato intatta la loro verginità, gli altri hanno votato al Signore la loro vedovanza dopo la morte del consorte; altri, infine, hanno scelto una vita casta dopo aver fatto penitenza dei loro peccati; ma tutti hanno questo di comune tra loro: che si sono impegnati ad astenersi per sempre, per amore di Dio, dai piaceri della carne. Ciò che i santi Padri hanno proclamato circa la gloria e il merito della verginità, sia a tutte queste anime consacrate di invito, di sostegno e di forza a perseverare fermamente nel sacrificio e a non sottrarre e prendere per sé una parte anche minima dell’olocausto offerto sull’altare di Dio. – La castità perfetta è la materia di uno dei tre voti che costituiscono lo stato religioso ed è richiesta nei chierici della Chiesa latina ordinati negli ordini maggiori e nei membri degli istituti secolari, ma è praticata pure da numerosi laici, uomini e donne che, pur vivendo al di fuori dello stato pubblico di perfezione, rinunziano completamente, di proposito o per voto privato, al matrimonio e ai piaceri della carne per poter servire più liberamente il loro prossimo e unirsi a Dio più facilmente e intimamente. – A tutti i dilettissimi figli e figlie, che in qualsiasi modo hanno consacrato a Dio il loro corpo e la loro anima, rivolgiamo il Nostro cuore paterno e li esortiamo vivamente a confermarsi nel loro santo proposito e a restarvi diligentemente fedeli. – Vi sono, però, oggi alcuni che, allontanandosi in questa materia dal retto sentiero, esaltano tanto il matrimonio da anteporlo alla verginità; essi disprezzano la castità consacrata a Dio e il celibato ecclesiastico. Per questo crediamo dovere del Nostro apostolico Ufficio proclamare e difendere, al presente in modo speciale, l’eccellenza del dono della verginità, per difendere questa verità cattolica contro tali errori.

I.

VERA IDEA DELLA CONDIZIONE VERGINALE

Anzitutto vogliamo osservare che la parte essenziale del suo insegnamento circa la verginità, la Chiesa l’ha ricevuta dalle labbra stesse dello Sposo divino. Quando infatti i discepoli si mostrarono colpiti dai gravissimi obblighi e fastidi del matrimonio che il Maestro aveva loro esposto, gli dissero: «Se tale è la condizione dell’uomo verso la moglie, non conviene sposarsi» (Mt XIX, 10). Gesù Cristo rispose che non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è concesso; alcuni infatti sono impossibilitati al matrimonio per difetto di natura, altri per la violenza e la malizia degli uomini, altri invece si astengono da esso spontaneamente e di propria volontà «per il regno dei cieli»; e concluse: «Chi può comprendere, comprenda» (Mt XIX, 11-12). – Il Maestro divino allude non agli impedimenti fisici per il matrimonio ma al proposito della libera volontà di astenersi per sempre dalle nozze e dai piaceri del corpo. Facendo il paragone tra coloro che spontaneamente rinunciano ai piaceri del corpo e quelli che sono costretti a rinunciarvi dalla natura o dalla violenza umana, non c’insegna forse il divin Redentore che la castità deve essere perpetua, affinché sia realmente perfetta? I santi padri, inoltre, e i dottori della chiesa hanno insegnato apertamente che la verginità non è una virtù cristiana se non la si abbraccia «per il regno dei cieli» (Mt XIX, 12), cioè per poter attendere più facilmente alle cose celesti, per conseguire più sicuramente l’eterna salvezza, per poter condurre infine più speditamente, con diligente operosità, anche gli altri al regno dei cieli. Non possono, quindi, arrogarsi il merito della verginità quei Cristiani e quelle Cristiane che si astengono dal matrimonio o per egoismo o per sfuggirne gli oneri, come avverte sant’Agostino, o anche per ostentare con superbia farisaica l’integrità dei loro corpi: il concilio di Gangra (Asia Minore) condanna chi si astiene dal matrimonio come da uno stato abominevole, e non per la bellezza e la santità della verginità. – L’apostolo delle genti, ispirato dallo Spirito Santo, ammonisce: «Chi non è sposato, è sollecito delle cose di Dio, del modo di piacere a lui… E la donna non sposata e vergine pensa alle cose di Dio per essere santa di corpo e di spirito» (1 Cor VII, 32.34). Ecco lo scopo principale, la prima ragione della verginità cristiana: aspirare unicamente alle cose divine e dirigervi la mente e lo spirito; voler piacere a Dio in tutto; pensare a Lui intensamente, e consacrargli totalmente corpo e spirito. I santi Padri hanno sempre interpretato in questa maniera la parola di Cristo e la dottrina dell’Apostolo delle genti: fin dai primi tempi della Chiesa si stimava verginità la consacrazione fatta a Dio del corpo e dell’anima. San Cipriano richiede dalle vergini «che, per essersi consacrate a Dio, si astengano da ogni piacere carnale, consacrino a Dio il corpo e l’anima … e non siano sollecite di abbigliarsi o di piacere ad alcuno, tranne che al loro Signore». Il Vescovo di Ippona precisa: «La verginità non è onorata perché tale, ma perché consacrata a Dio … e noi non lodiamo le vergini perché tali, ma perché sono vergini consacrate a Dio con devota continenza». I prìncipi dei teologi, san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura si richiamano all’autorità di sant’Agostino per insegnare che la verginità non ha la fermezza della virtù, se non si fonda sul voto di conservarla sempre illibata. Difatti la dottrina di Cristo intorno all’astinenza perpetua del matrimonio viene praticata nel modo più ampio e perfetto da coloro che si obbligano con voto perpetuo alla sua osservanza: né si può giustamente affermare che sia migliore e più perfetto il proposito di coloro che intendono riservarsi la possibilità di liberarsi dall’impegno. I santi Padri hanno considerato questo vincolo di castità perfetta come una specie di matrimonio spirituale fra l’anima e Cristo; alcuni di essi, anzi, sono giunti fino a paragonare con l’adulterio la violazione del voto fatto. Perciò sant’Atanasio scrive che la Chiesa Cattolica è solita chiamare le vergini: spose di Cristo. E sant’Ambrogio, scrivendo concisamente della vergine esclama: «La vergine è sposa di Dio». Gli scritti del dottore di Milano attestano, già al VI secolo, la grande somiglianza tra il rito della consacrazione delle vergini e quello della benedizione nuziale, ancora in uso oggi. Perciò i santi Padri esortano le vergini ad amare il loro Sposo divino più di quanto amerebbero il proprio marito e a conformare sempre i loro pensieri e le loro azioni alla sua volontà. «Amate di tutto cuore il più bello dei figli degli uomini – scrive loro sant’Agostino – voi ne avete tutta la facoltà: il vostro cuore è libero dai legami del matrimonio… Dal momento che avreste dovuto portare un grande amore ai vostri sposi, quanto più dovete amare Colui per amore del quale voi avete rinunziato agli sposi? Sia fisso nel vostro cuore Colui che per voi è stato infisso sulla croce». Tali sono, d’altra parte, i sentimenti e le risoluzioni che la chiesa stessa richiede dalle vergini il giorno della loro consacrazione, quando le invita a pronunciare le parole rituali: «Ho disprezzato il regno del mondo e tutto il fasto del secolo per amore di nostro Signore Gesù Cristo, che ho conosciuto, che ho amato, e nel quale ho amorosamente creduto». È quindi solo l’amore di lui che spinge con dolcezza la vergine a consacrare interamente il suo corpo e la sua anima al divin Redentore, secondo le bellissime espressioni che san Metodio d’Olimpo fa dire a una di esse: «O Cristo, tu sei tutto per me. Io mi conservo pura per te e, portando una lampada splendente, vengo incontro a te, o Sposo mio». Sì, è l’amore di Cristo che spinge la vergine a ritirarsi, e per sempre, dentro le mura del monastero per contemplarvi e amare con maggiore speditezza e facilità il suo Sposo celeste, e la stimola potentemente a impegnarsi con tutte le forze fino alla morte nelle opere di misericordia in favore del prossimo. Riguardo poi agli uomini «che non si sono contaminati con donne, poiché sono vergini» (Ap. XIV, 4) l’apostolo san Giovanni afferma che essi seguono l’Agnello dovunque egli vada. Meditiamo l’esortazione che fa loro sant’Agostino: «Seguite l’Agnello, perché la carne dell’Agnello è anch’essa vergine… voi avete ben ragione di seguirlo, con la verginità del cuore e della carne, dovunque vada. Che cos’è infatti seguire se non imitare? perché Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, come dice san Pietro apostolo, “affinché seguiamo le sue orme” (1 Pt II, 21)». Tutti questi discepoli infatti e tutte queste spose di Cristo hanno abbracciato lo stato di verginità, come dice san Bonaventura, per la conformità allo Sposo Cristo, al quale esso rende conformi i vergini». La loro ardente carità verso Cristo non poteva contentarsi di semplici vincoli di affetto con Lui: essa aveva assoluto bisogno di manifestarsi con l’imitazione delle sue virtù e, in modo speciale, con la conformità alla sua vita tutta consacrata al bene e alla salvezza del genere umano. Se i sacerdoti, se i religiosi e le religiose, se tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno consacrato la vita al servizio di Dio, osservano la castità perfetta, questo è in definitiva perché il loro divino Maestro è rimasto egli stesso vergine fino alla morte. «È proprio il Figlio unico di Dio – esclama san Fulgenzio – e Figlio unico della Vergine, l’unico Sposo di tutte le sacre vergini, frutto, ornamento e ricompensa della santa verginità, che lo ha dato alla luce e spiritualmente lo sposa e dal quale è resa feconda senza lesione dell’integrità, ornata per rimanere sempre bella, incoronata per regnare gloriosa nell’eternità». – Qui crediamo opportuno, venerabili fratelli, spiegare più diffusamente e con maggiore accuratezza per quali ragioni l’amore di Cristo spinga le anime generosamente a rinunciare al matrimonio e quali legami segreti esistano fra la verginità e la perfezione della carità cristiana. L’insegnamento di Cristo, ricordato più sopra, faceva già capire che la perfetta rinunzia al matrimonio libera gli uomini da oneri pesanti e da gravi doveri. Ispirato dallo Spirito di Dio, l’apostolo dei gentili ne dà la ragione in questi termini: «Io vorrei che voi foste senza inquietudini… Chi invece è sposato, si preoccupa delle cose del mondo, del modo di piacere alla moglie ed è diviso» (1 Cor VII, 32-33). Si deve tuttavia notare che l’Apostolo non biasima gli uomini perché si preoccupano delle loro consorti, né le spose perché cercano di piacere al marito; ma afferma piuttosto che il loro cuore è diviso tra l’amore del coniuge e l’amore di Dio e che sono troppo oppressi dalle preoccupazioni e dagli obblighi della vita coniugale, per potersi dare facilmente alla meditazione delle cose divine. Poiché s’impone loro la legge chiara e imperiosa del matrimonio: «saranno due in una carne sola» (Gn II, 24; cf. Mt XIX, 5). Gli sposi infatti sono legati l’uno all’altro negli avvenimenti tristi e in quelli lieti (cf. 1 Cor VII, 39). Si comprende quindi facilmente perché le persone, che desiderano consacrarsi al servizio di Dio, abbraccino lo stato di verginità come una liberazione, per potere cioè servire più perfettamente Dio e dedicarsi con tutte le forze al bene del prossimo. Per citare infatti alcuni esempi, come avrebbero potuto affrontare tanti disagi e fatiche quell’ammirabile predicatore dell’evangelo che fu san Francesco Saverio, quel misericordioso padre dei poveri che fu san Vincenzo de’ Paoli, un san Giovanni Bosco, insigne educatore dei giovani, una santa Francesca Saverio Cabrini, instancabile «madre degli emigranti», se avessero dovuto pensare alle necessità materiali e spirituali del proprio coniuge e dei propri figli? – Vi è però un’altra ragione per la quale le anime che ardentemente desiderano consacrarsi al servizio di Dio e alla salvezza del prossimo, scelgono lo stato di verginità. Essa è addotta dai santi padri, quando trattano dei vantaggi di una completa rinunzia ai piaceri della carne allo scopo di gustar meglio le elevazioni della vita spirituale. Senza dubbio – come essi hanno chiaramente notato – tali piaceri, legittimi nel matrimonio, non sono per sé da condannarsi; anzi il casto uso del matrimonio è nobilitato e santificato da un sacramento speciale. Tuttavia, bisogna egualmente riconoscere che in seguito alla caduta di Adamo le facoltà inferiori della natura resistono alla retta ragione e talora spingono l’uomo ad agire contro i suoi dettami. Secondo l’espressione del dottore angelico, l’uso del matrimonio «trattiene l’animo dal darsi interamente al servizio di Dio». – Proprio perché i sacri ministri possano godere di questa spirituale libertà di corpo e di anima e per evitare che si immischino in affari terreni, la chiesa latina esige da essi che si assumano volontariamente l’obbligo della castità perfetta. «Se poi una tale legge – come affermava il Nostro predecessore d’immortale memoria Pio XI – non vincola nella stessa misura i ministri della Chiesa orientale, anche presso di essi il celibato ecclesiastico è in onore, e in certi casi – soprattutto quando si tratta dei gradi più alti della gerarchia – è necessariamente richiesto e imposto». – I ministri sacri, però, non rinunciano al matrimonio unicamente perché si dedicano all’apostolato, ma anche perché servono all’altare. Se i sacerdoti dell’Antico Testamento già dovevano astenersi dall’uso del matrimonio mentre servivano nel tempio per non contrarre un’impurità legale, come gli altri uomini (cf. Lv XV, 16-17; 22,4; 1 Sam XXI, 5-7), quanto maggiore non è la necessità della perpetua castità per i ministri di Gesù Cristo, i quali offrono ogni giorno il sacrificio eucaristico? Riguardo a questa perfetta continenza dei sacerdoti ecco quanto dice in forma interrogativa san Pier Damiani: «Se il nostro Redentore ha amato tanto il fiore del pudore intatto che non solo volle nascere dal seno di una Vergine, ma volle essere affidato anche alle cure di un custode vergine, ciò quando, ancora fanciullo, vagiva nella culla, a chi, dunque, ditemi, vuole egli confidare il suo corpo, ora che Egli regna, immenso, nei cieli?». – Per questo motivo soprattutto, secondo l’insegnamento della chiesa, la santa verginità supera in eccellenza il matrimonio. Già il divin Redentore ne aveva fatto un consiglio di vita più perfetta ai discepoli (cf. Mt XIX, 10-11). E l’Apostolo san Paolo, dopo aver detto di un padre che dà a marito la sua figlia «egli fa bene», aggiunge subito: «Chi però non la dà a marito, fa meglio ancora» (1 Cor VII, 38). Nel corso del suo paragone tra il matrimonio e la verginità, l’Apostolo più di una volta mostra il suo pensiero, soprattutto quando dice: «Io vorrei che tutti voi foste come me… dico poi ai celibi e alle vedove: è conveniente per essi restare come sono io» (1 Cor VII, 7-8; cf.1 et 26). Se dunque la verginità, come abbiamo detto, è superiore al matrimonio, questo avviene senza dubbio, perché essa mira a conseguire un fine più eccelso; essa poi è un mezzo efficacissimo per consacrarsi interamente al servizio di Dio, mentre il cuore di chi è legato alle cure del matrimonio resta più o meno «diviso» (cf. 1 Cor VII, 33). – L’eccellenza della verginità risalterà ancor maggiormente se ne consideriamo l’abbondanza dei frutti: «poiché dal frutto si riconosce l’albero» (Mt XII, 33). – Il Nostro animo si riempie di immensa e soave letizia al pensiero della falange innumerevole di vergini e di apostoli che, dai primi tempi della Chiesa fino ai giorni nostri, hanno rinunciato al matrimonio per consacrarsi più liberamente e più completamente alla salvezza del prossimo per amore di Cristo, e hanno sviluppato iniziative veramente mirabili nel campo della Religione e della carità. Non vogliamo certo disconoscere i meriti di quelli che militano nell’Azione cattolica, né i frutti del loro apostolato: con le loro opere, essi possono spesso raggiungere delle anime che sacerdoti e religiosi o religiose non avrebbero potuto avvicinare. Ma, senza alcun dubbio, si deve far risalire a questi ultimi la maggior parte delle opere di carità. Costoro, infatti, con grande generosità seguono e dirigono la vita degli uomini in ogni età e condizione; e quando vengono meno per la stanchezza o per malattia, lasciano ad altri, come in eredità, la continuazione della loro missione. Così avviene che il bambino, appena nato, trova sovente delle mani verginali che l’accolgono e non gli fanno mancare quanto l’intenso amore materno potrebbe dargli; fatto grandicello e giunto all’età della ragione, è affidato a educatori o educatrici che vegliano alla sua istruzione cristiana, allo sviluppo delle sue facoltà e alla formazione del suo carattere. Se si ammala, troverà sempre qualcuno che, spinto dall’amore di Cristo, lo curerà premurosamente. L’orfanello, il misero, il prigioniero, non mancheranno di conforto e aiuto: i sacerdoti, i religiosi, le sacre vergini vedranno in lui un membro sofferente del corpo mistico di Gesù Cristo, memori delle parole del divin Redentore: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero pellegrino e mi avete ospitato, nudo e mi avete rivestito, malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi… In verità vi dico, tutto ciò che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt XXV, 35-36.40). Che diremo in lode di tanti missionari, che si consacrano, a costo delle maggiori fatiche e lontani dalla loro patria, alla conversione delle masse infedeli? Che delle spose di Cristo, le quali dànno loro una preziosa collaborazione? A tutti e a ciascuno di essi ripetiamo volentieri le parole della Nostra esortazione apostolica Menti Nostræ: «Per la legge del celibato, il sacerdote, ben lontano dal perdere interamente la paternità, l’accresce all’infinito, perché egli genera figliuoli, non per questa vita terrena e caduca, ma per la celeste ed eterna». – La verginità non è solamente feconda per le opere esteriori a cui permette di dedicarsi più facilmente e più pienamente; essa lo è anche per le forme più perfette di carità verso il prossimo, quali sono le ardenti preghiere e i gravi disagi volontariamente e generosamente sopportati a questo scopo. A ciò hanno consacrato tutta la loro vita i servi di Dio e le spose di Cristo, quelli specialmente che vivono nei monasteri. – Infine, la verginità consacrata a Cristo è per se stessa una tale espressione di fede nel regno dei cieli e una tale prova d’amore verso il divin Redentore, che non c’è da meravigliarsi nel vederla arrecare frutti così abbondanti di santità. Numerosissimi sono le vergini e gli apostoli, votati alla castità perfetta, che sono l’onore della Chiesa per l’alta santità della loro vita. La verginità, infatti, dà alle anime una forza spirituale capace di condurle fino al martirio e questo è l’insegnamento della storia che propone alla nostra ammirazione tante schiere di vergini, da Agnese di Roma a Maria Goretti. – A tutta ragione la verginità è detta virtù angelica; san Cipriano scrivendo alle vergini afferma giustamente: «Quello che noi saremo un giorno, voi già cominciate ad esserlo. Voi fin da questo secolo godete la gloria della risurrezione, passate attraverso il mondo senza contagiarvene. Finché perseverate caste e vergini, siete eguali agli angeli di Dio». All’anima assetata di purezza e arsa dal desiderio del regno dei cieli, la verginità viene presentata «come una gemma preziosa», per la quale un tale «vendette tutto ciò che aveva e la comprò» (Mt XIII, 46). Coloro che sono sposati e perfino quelli che stanno immersi nel fango dei vizi, quando vedono le vergini, ammirano spesso lo splendore della loro bianca purezza e si sentono spinti verso un ideale che superi i piaceri del senso. Lo afferma l’Aquinate scrivendo: «Alla verginità … si attribuisce la bellezza più sublime», e questo è senza dubbio il motivo per cui le vergini sono di esempio a tutti. Difatti tutti costoro, uomini e donne, con la loro perfetta castità non dimostrano forse chiaramente che il dominio dell’anima sul corpo è un effetto dell’aiuto divino e un segno di provata virtù? – Ci piace ancora sottolineare un altro frutto soavissimo della verginità: le vergini manifestano e rendono pubblica la perfetta verginità della stessa loro madre la Chiesa, e la santità dei loro vincoli strettissimi con Cristo. A ciò sapientemente si ispirano le espressioni del Pontefice nel rito della consacrazione delle vergini e nelle preghiere rivolte al Signore: «Affinché vi siano anime più sublimi che, disdegnando nel matrimonio i piaceri della carne, ne cerchino il significato recondito, e invece di imitare ciò che si fa nel matrimonio, amino quanto in esso è simboleggiato». Gloria altissima per le vergini è, certo, l’essere delle immagini viventi in quella perfetta integrità, che unisce la Chiesa al suo Sposo divino. Esse inoltre offrono un segno mirabile della fiorente santità e di quella spirituale fecondità, in cui eccelle la società fondata da Gesù Cristo, alla quale è motivo di una gioia quanto mai intensa. A questo proposito sono magnifiche le espressioni di san Cipriano: «La verginità è un fiore che germoglia dalla Chiesa, decoro e ornamento della grazia spirituale, gioia della natura, capolavoro di lode e di gloria, immagine di Dio che riverbera la santità del Signore, porzione più eletta del gregge di Cristo. Se ne rallegra la chiesa, la cui gloriosa fecondità in esse abbondantemente fiorisce: e quanto più cresce lo stuolo delle vergini tanto più grande è il gaudio della Madre».

II.

CONTRO ALCUNI ERRORI

La dottrina che stabilisce l’eccellenza e la superiorità della verginità e del celibato sul matrimonio, come già dicemmo, annunciata dal divin Redentore e dall’Apostolo delle genti, fu solennemente definita dogma di fede nel concilio di Trento e sempre concordemente insegnata dai santi Padri e dai dottori della Chiesa. I Nostri predecessori, e Noi stessi, ogni qualvolta se ne presentava l’occasione, l’abbiamo più e più volte spiegata e vivamente inculcata. Tuttavia, poiché di recente vi sono stati alcuni che hanno impugnato con serio pericolo e danno dei fedeli questa dottrina tramandataci dalla Chiesa, Noi, spinti dall’obbligo del Nostro ufficio, abbiamo creduto opportuno nuovamente esporla in questa enciclica, indicando gli errori, proposti spesso sotto apparenza di verità. – Anzitutto, si discostano dal senso comune, che la Chiesa ebbe sempre in onore, coloro che considerano l’istinto sessuale come la più importante e maggiore inclinazione dell’organismo umano e ne concludono che l’uomo non può contenere per tutta la vita un tale istinto, senza grave pericolo di perturbare il suo organismo, soprattutto i nervi, e di nuocere quindi all’equilibrio della personalità. – Come giustamente osserva san Tommaso, l’istinto più profondamente radicato nel nostro animo è quello della propria conservazione, mentre l’inclinazione sessuale viene in secondo luogo. Spetta inoltre all’impulso direttivo della ragione, privilegio singolare della nostra natura, regolare tali istinti fondamentali e nobilitarli dirigendoli santamente. – È vero, purtroppo, che le facoltà del nostro corpo e le passioni, sconvolte in seguito al primo peccato di Adamo, tendono al dominio non solo dei sensi ma anche dell’anima, offuscando l’intelligenza e debilitando la volontà. Ma la grazia di Gesù Cristo, principalmente attraverso i sacramenti, ci viene data proprio perché, vivendo la vita dello spirito, teniamo a freno il corpo (cf. Gal V, 25; 1 Cor IX, 27). La virtù della castità non pretende da noi l’insensibilità agli stimoli della concupiscenza, ma esige che la sottomettiamo alla retta ragione e alla legge di grazia, tendendo con tutte le forze a ciò che nella vita umana e cristiana vi è di più nobile. Per acquistare poi questo perfetto dominio sui sensi del corpo, non basta astenersi solamente dagli atti direttamente contrari alla castità, ma è assolutamente necessario rinunciare volentieri e con generosità a tutto ciò che, anche lontanamente, offende questa virtù: l’anima potrà allora regnare pienamente sul corpo e condurre una vita spirituale tranquilla e libera. Come non vedere, alla luce dei principi cattolici, che la castità perfetta e la verginità, lungi dal nuocere allo sviluppo e progresso naturale dell’uomo e della donna li accrescono e li nobilitano? – Abbiamo recentemente condannato con tristezza l’opinione che presenta il matrimonio come il solo mezzo di assicurare alla personalità umana il suo sviluppo e la sua perfezione naturale. Alcuni infatti sostengono che la grazia, concessa dal sacramento ex opere operato, santifica l’uso del matrimonio fino a farne uno strumento più efficace ancora che la verginità, per unire le anime a Dio, poiché il matrimonio cristiano è un sacramento, mentre la verginità non lo è. Noi denunziamo in questa dottrina un errore pericoloso. Certo, il sacramento accorda agli sposi la grazia d’adempiere santamente i loro doveri coniugali e consolida i vincoli dell’amore reciproco che li unisce, ma non fu istituito per rendere l’uso del matrimonio quasi il mezzo in sé più atto ad unire a Dio l’anima degli sposi col vincolo della carità. Quando l’Apostolo san Paolo riconosce agli sposi il diritto di astenersi per qualche tempo dall’uso del matrimonio per attendere alla preghiera (cf. 1 Cor VII, 5), non viene precisamente a dire che una tale rinunzia procura all’anima maggiore libertà per attendere alle cose divine e pregare? Infine non si può affermare – come fanno alcuni – che il «mutuo aiuto» ricercato dagli sposi nel matrimonio, sia un aiuto più perfetto per giungere alla santità che la solitudine del cuore delle vergini e dei celibi. Difatti, nonostante la loro rinuncia a un tale amore umano, le anime consacrate alla castità perfetta non impoveriscono per questo la propria personalità umana, poiché ricevono da Dio stesso un soccorso spirituale immensamente più efficace che il «mutuo aiuto» degli sposi. Consacrandosi interamente a Colui che è il loro principio e comunica loro la sua vita divina, non si impoveriscono, ma si arricchiscono. Chi, con maggiore verità che i vergini, può applicare a sé la mirabile espressione dell’apostolo san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me»? (Gal II, 20). Questa è la ragione per cui la Chiesa sapientemente ritiene che si deve mantenere il celibato dei Sacerdoti, poiché sa bene quale sorgente di grazie spirituali esso costituisca per una sempre più intima unione con Dio. – Crediamo opportuno ricordare brevemente un altro errore ancora: alcuni allontanano i giovani dai seminari e le giovani dagli istituti religiosi sotto pretesto che la Chiesa abbia oggi maggior bisogno dell’aiuto e dell’esercizio delle virtù cristiane da parte di fedeli uniti in matrimonio e viventi in mezzo agli altri uomini, che non da parte di Sacerdoti e di vergini, che per il voto di castità vivono come appartati dalla società. Tale opinione, venerabili fratelli, è evidentemente quanto mai falsa e perniciosa. Non è Nostra intenzione, certamente, negare che gli sposi cattolici con una vita esemplarmente cristiana possano produrre frutti abbondanti e salutari in ogni luogo e in ogni circostanza con l’esercizio delle virtù. Chi però consigliasse, come preferibile alla consacrazione totale a Dio, la vita matrimoniale, invertirebbe e confonderebbe il retto ordine delle cose. Senza dubbio, venerabili fratelli, Noi auspichiamo ardentemente che si istruiscano convenientemente quanti aspirano al matrimonio e i giovani sposi, non solo sul grave dovere di educare rettamente e diligentemente i figli, ma anche sulla necessità di aiutare gli altri, secondo le possibilità, con la professione della fede e l’esempio della virtù. Dobbiamo, tuttavia, per dovere del Nostro ufficio condannare energicamente coloro che si applicano a distogliere i giovani dall’entrare in seminario, negli ordini o congregazioni religiose o dall’emissione dei santi voti, insegnando loro che sposandosi faranno un bene spirituale maggiore con la pubblica professione della loro vita cristiana, come padri e madri di famiglia. Si farebbe molto meglio a esortare col maggiore impegno possibile i molti laici sposati, affinché cooperino con premura alle imprese d’apostolato laico, piuttosto che cercare di distogliere dal servizio di Dio nello stato di verginità quei giovani, troppo rari, purtroppo, oggi, che desiderano consacrarvisi. Molto opportunamente scrive a questo proposito sant’Ambrogio: «È stato sempre proprio della grazia sacerdotale spargere il seme della castità e suscitare l’amore per la verginità». Inoltre giudichiamo opportuno avvertire che è completamente falsa l’asserzione, secondo cui le persone consacrate a una vita di castità perfetta diventano quasi estranee alla società. Le sacre vergini che spendono tutta la loro vita al servizio dei poveri e dei malati, senza distinzione di razza, di condizione sociale e di religione, non partecipano forse intimamente alle loro miserie e alle loro sofferenze, e non li compatiscono forse con la tenerezza di una mamma? E il Sacerdote non è forse il buon pastore che, sull’esempio del divin Maestro, conosce le sue pecorelle e le chiama per nome? (cf. Gv X, 14; X, 3). Ebbene, è proprio in forza della castità perfetta, da loro abbracciata, che questi Sacerdoti, religiosi e religiose possono dedicarsi interamente a tutti gli uomini e amarli del medesimo amore di Cristo. E anche quelli di vita contemplativa contribuiscono certamente molto al bene della Chiesa, con le supplici preghiere e con l’offerta della loro immolazione per la salvezza altrui; sono anzi sommamente da lodare perché, nelle circostanze presenti, si consacrano all’apostolato e alle opere di carità secondo le norme da Noi date nella lettera apostolica Sponsa Christi, né possono quindi venir considerati come estranei alla società, dal momento che doppiamente ne promuovono il bene spirituale.

III.

LA VERGINITÀ È UN SACRIFICIO

Passiamo ora, venerabili fratelli, alle conseguenze pratiche della dottrina della Chiesa circa l’eccellenza della verginità. Innanzi tutto, bisogna dire chiaramente che, dalla superiorità della verginità sul matrimonio, non segue che essa sia mezzo necessario alla perfezione cristiana. È possibile giungere alla santità anche senza consacrare a Dio la propria castità, come lo prova l’esempio di tanti santi e sante, fatti oggetto di culto pubblico dalla Chiesa, i quali furono coniugi fedeli, eccellenti padri e madri di famiglia; e non è raro incontrare anche oggi persone coniugate, che tendono alla perfezione, con grande impegno. Si osservi, inoltre, che Dio non impone la verginità a tutti i cristiani, come insegna l’apostolo san Paolo: «Intorno alle vergini non ho nessun comando di Dio, ma do un consiglio» (1 Cor VII, 25). La castità perfetta, quindi, non è che un consiglio, un mezzo capace di condurre più sicuramente e più facilmente alla perfezione evangelica e al regno dei cieli quelle anime «a cui è stato concesso» (Mt XIX,11). «Essa non è imposta, ma proposta», nota sant’Ambrogio. – La castità perfetta come, da parte dei Cristiani, esige una libera scelta prima della loro offerta totale al Signore, così, da parte di Dio, richiede un dono e una grazia. Già lo stesso divin Redentore l’aveva annunciato: «Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli a cui è concesso. … Chi può comprendere, comprenda» (Mt XIX, 11.12). Commentando le parole di Cristo, san Girolamo invita «ciascuno a valutare le proprie forze, e vedere se gli sarà possibile adempiere gli obblighi della verginità e della castità. Di per sé, infatti, la castità è soave e attira a sé tutti. Ma bisogna ben misurare le forze, affinché chi può comprendere, comprenda. È come se la voce del Signore chiamasse i suoi soldati e li invitasse alla ricompensa della verginità. Chi può comprendere, comprenda: chi può combattere, combatta, vinca e trionfi». – La verginità è una virtù difficile. Perché la si possa abbracciare, non basta solamente aver fatta la risoluzione ferma e decisa d’astenersi per sempre dai piaceri leciti del matrimonio: bisogna anche saper padroneggiare e domare con una vigilanza e una lotta costanti le rivolte della carne e le passioni del cuore; fuggire le allettative del mondo e vincere le tentazioni del demonio. Aveva ben ragione san Giovanni Crisostomo di affermare: «La radice e il frutto della verginità è una vita crocifissa». Al dire di sant’Ambrogio, la verginità è quasi un sacrificio e la vergine è «l’ostia del pudore, la vittima della castità». San Metodio d’Olimpo giunge a paragonare le vergini ai martiri e san Gregorio Magno insegna che la castità perfetta sostituisce il martirio: «Il tempo delle persecuzioni è passato, ma la nostra pace ha un suo martirio: anche se non mettiamo più il nostro collo sotto il ferro, tuttavia noi uccidiamo con la spada dello spirito i desideri carnali della nostra anima». La castità consacrata a Dio esige, quindi, anime forti e nobili, pronte al combattimento e alla vittoria, «per il regno dei cieli» (Mt XIX, 12). – Prima di incamminarsi per questo arduo sentiero, chi per propria esperienza si sentisse impari alla lotta, ascolti umilmente l’avvertimento di san Paolo: «Coloro che non possono contenersi, si sposino: è meglio sposarsi che bruciare» (1 Cor VII, 9). Per molti, infatti, la continenza perpetua sarebbe un peso troppo grave, per poterla ad essi consigliare. Così i Sacerdoti, direttori spirituali di giovani che credono di avere una vocazione sacerdotale o religiosa hanno lo stretto dovere di esortarli a studiare attentamente le loro disposizioni e di non lasciarli entrare per tale via, qualora presentino poche speranze di poter camminare fino alla fine con sicurezza e buon esito. Tali Sacerdoti esaminino prudentemente le attitudini dei giovani e – se parrà opportuno – chiedano il consiglio dei medici. Se, infine, restasse ancora qualche serio dubbio, soprattutto nei riguardi della loro vita passata, intervengano con fermezza per farli desistere dall’abbracciare lo stato di castità perfetta o per impedire la loro ammissione agli ordini sacri o alla professione religiosa. Benché la castità consacrata a Dio sia una virtù ardua, la sua pratica fedele, perfetta, è possibile alle anime che, dopo aver bene considerato ogni cosa, hanno risposto con cuore generoso all’invito di Gesù Cristo e fanno quanto è loro possibile per conservarla. Infatti, per l’impegno assunto nello stato di verginità o di celibato esse riceveranno da Dio una grazia sufficiente per poter mantenere la loro promessa. Perciò, se vi fosse qualcuno che non sentisse d’aver ricevuto il dono della castità (anche dopo averne fatto voto),(52) non cerchi di mettere innanzi la sua incapacità di soddisfare all’obbligazione assunta. «Perché “Dio non comanda l’impossibile, ma, comandando, ammonisce di fare quanto puoi e di chiedere quello che non puoi” e ti aiuta affinché possa». Ricordiamo questa verità, tanto consolante, anche a quei malati che sentono infiacchita la loro volontà in seguito ad esaurimenti nervosi e ai quali certi medici, talora anche cattolici, consigliano troppo facilmente di farsi dispensare dai loro obblighi, sotto pretesto di non poter osservare la castità senza nuocere al proprio equilibrio psichico. Quanto invece più utile e più opportuno sarebbe aiutare tali infermi a rinforzare la volontà e convincerli che la castità non è impossibile neppure per essi! «Fedele è Dio, il quale non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze, ma con la tentazione provvederà anche il buon esito dandovi il potere di vincere» (1 Cor X, 13). I mezzi raccomandati dal divin Redentore stesso per difendere efficacemente la nostra virtù sono: una vigilanza continua, con la quale facciamo quanto ci è possibile da parte nostra e una costante preghiera con la quale chiediamo a Dio ciò che noi non possiamo fare a causa della nostra debolezza: «Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione, lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt XXVI, 41). – Una tale vigilanza, che si estenda ad ogni tempo e circostanza della nostra vita, ci è assolutamente necessaria: «la carne, infatti ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito desideri contrari alla carne» (Gal V, 17). Se alcuno cedesse, anche leggermente, alle lusinghe del corpo, facilmente si sentirebbe trascinato a quelle «opere della carne» (cf. Gal V, 19-21), enumerate dall’Apostolo, che costituiscono i vizi più abominevoli dell’umanità. Perciò dobbiamo anzitutto vigilare sui movimenti delle passioni e dei sensi, dobbiamo dominarli anche con una volontaria asprezza di vita e con le penitenze corporali, in modo da renderli sottomessi alla retta ragione e alla legge di Dio: «Quelli che sono di Cristo, hanno crocifisso la loro carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze» (Gal V, 24). Lo stesso Apostolo delle genti confessa di sé: «Maltratto il mio corpo e lo rendo schiavo, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso diventi reprobo» (1 Cor XIX, 27). Tutti i santi e le sante hanno vegliato attentamente sui movimenti dei sensi e delle loro passioni e li hanno rintuzzati, talora con somma asprezza, secondo il consiglio del divin Maestro: «Ma io dico a voi, che chiunque avrà guardato una donna con cattivo desiderio, in cuor suo ha già peccato con lei. Se il tuo occhio destro ti scandalizza, strappalo e buttalo via da te: è meglio per te che perisca una delle tue membra piuttosto che mandare tutto il tuo corpo all’inferno» (Mt V, 28-29). Con tale raccomandazione è chiaro quello che richiede da noi il divin Redentore: non dobbiamo, cioè, neppur col pensiero cedere mai al peccato e dobbiamo allontanare energicamente da noi tutto ciò che possa macchiare, anche leggermente, questa bellissima virtù. E in questo nessuna diligenza è troppa; nessuna severità è esagerata. Se la salute malferma o altre cause non permettono a qualcuno maggiori austerità corporali, non lo dispensino mai tuttavia dalla vigilanza e dalla mortificazione interiore. A questo proposito giova anche ricordare quello che i santi Padri e i dottori della Chiesa insegnano: è più facile vincere le lusinghe e le attrattive della passione, evitandole con una pronta fuga, che affrontandole direttamente. A custodia della castità, dice san Girolamo, serve più la fuga che la lotta aperta: «Per questo io fuggo, per non essere vinto». E tale fuga consiste non solo nell’allontanare premurosamente le occasioni del peccato, ma soprattutto nell’innalzare la mente, durante queste lotte, a Colui al quale abbiamo consacrato la nostra verginità. «Rimirate la bellezza di Colui che vi ama», ci raccomanda sant’Agostino. – Tutti i santi e le sante hanno sempre considerato la fuga e l’attenta vigilanza per allontanare con diligenza ogni occasione di peccato come mezzo migliore per vincere in questa materia: purtroppo, però, sembra che oggi non tutti pensino così. Alcuni sostengono che tutti i Cristiani, e soprattutto i Sacerdoti, non devono essere segregati dal mondo, come nei tempi passati, ma devono essere presenti al mondo e, perciò, è necessario metterli allo sbaraglio ed esporre al rischio la loro castità, affinché dimostrino se hanno o no la forza di resistere. Quindi i giovani chierici devono tutto vedere, per abituarsi a guardare tutto tranquillamente e rendersi così insensibili ad ogni turbamento. Per questo permettono loro facilmente di guardare tutto ciò che capita, senza alcuna regola di modestia; di frequentare i cinematografi, persino quando si tratta di pellicole proibite dai censori ecclesiastici; sfogliare qualsiasi rivista, anche oscena; leggere qualsiasi romanzo, anche se messo all’Indice o proibito dalla stessa legge naturale. E concedono questo perché dicono che ormai le masse di oggi vivono unicamente di tali spettacoli e di tali libri; e, chi vuole aiutarle, deve capire il loro modo di pensare e di vedere. Ma è facile comprendere quanto sia errato e pericoloso questo sistema di educare il giovane clero per guidarlo alla santità del suo stato. «Chi ama il pericolo, perirà in esso» (Eccli. III, 27). Viene opportuno l’avviso di sant’Agostino: «Non dite di avere anime pure, se avete occhi immodesti, perché l’occhio immodesto è indizio di cuore impuro». – Un metodo di formazione così funesto, poggia su un ragionamento molto confuso. Certo, Cristo nostro Signore disse dei suoi Apostoli: «Io li ho mandati nel mondo» (Gv XVII, 18); ma prima aveva anche detto di essi: «Essi non sono del mondo, come neppure io sono del mondo» (Gv XVII, 16), e aveva pregato con queste parole il suo Padre divino: «Non ti chiedo che li tolga dal mondo, ma che li liberi dal male» (Gv XVII, 15). La Chiesa quindi, che è guidata dai medesimi principi, ha stabilito norme opportune e sapienti per allontanare i sacerdoti dai pericoli in cui facilmente possono incorrere, vivendo nel mondo; con tali norme la santità della loro vita viene messa sufficientemente al riparo dalle agitazioni e dai piaceri della vita laicale. – A più forte ragione i giovani chierici, per essere formati alla vita spirituale e alla perfezione sacerdotale e religiosa, devono venire segregati dal tumulto secolaresco, prima di essere inseriti nella lotta della vita; restino pure a lungo nel seminario o nello scolasticato per ricevervi un’educazione diligente e accurata, imparando poco alla volta e con prudenza a prendere contatto con i problemi del nostro tempo, conforme a quanto scrivemmo nella Nostra esortazione apostolica Menti Nostræ. Quale giardiniere esporrebbe alle intemperie delle giovani piante esotiche, col pretesto di sperimentarle? Ora, i seminaristi e i giovani religiosi sono pianticelle tenere e delicate, da tenersi ben protette e da allenare progressivamente alla lotta. Gli educatori del giovane clero faranno opera ben più lodevole e utile, inculcando a questi giovani le leggi del pudore cristiano. Non è forse il pudore la migliore difesa della verginità, tanto da potersi chiamare la prudenza della castità? Esso avverte il pericolo imminente, impedisce di esporsi al rischio e impone la fuga in occasioni, a cui si espongono i meno prudenti. Il pudore non ama le parole disoneste o volgari e detesta una condotta anche leggermente immodesta; fa evitare attentamente la familiarità sospetta con persone di altro sesso, poiché riempie l’anima di un profondo rispetto verso il corpo, che è membro di Cristo (cf. 1 Cor VI, 15) e tempio dello Spirito Santo (cf. 1 Cor VI, 19). L’anima veramente pudica ha in orrore il minimo peccato di impurità e tosto si ritrae al primo risveglio della seduzione. Il pudore inoltre suggerisce e mette in bocca ai genitori e agli educatori i termini appropriati per formare la coscienza dei giovani in materia di purezza. «Pertanto – come in una recente allocuzione abbiamo ricordato – tale pudore non deve essere spinto fino ad un silenzio assoluto, sino ad escludere dalla formazione morale qualsiasi prudente e riservato accenno a tale problema». Tuttavia, troppo spesso, ai giorni nostri, alcuni educatori si credono in dovere di iniziare fanciulli e fanciulle innocenti a segreti della procreazione, in una maniera che offende il loro pudore. Ora proprio il pudore cristiano esige in questa materia una giusta misura. – Esso poi è alimentato dal timore di Dio, quel timore filiale che si basa su una profonda umiltà e che ispira orrore per il minimo peccato. San Clemente I, Nostro predecessore, già l’aveva affermato: «Chi è casto nel suo corpo, non se ne vanti, ben sapendo che da un altro gli viene il dono della continenza». Nessuno forse, meglio di sant’Agostino, ha dimostrato l’importanza dell’umiltà cristiana per salvaguardare la verginità: «La perpetua continenza, e molto più la verginità, sono uno splendido dono dei santi di Dio; ma con somma vigilanza bisogna vegliare che la superbia non lo corrompa… Quanto maggiore è il bene che io vedo, tanto più temo che la superbia non lo rapisca. Tale dono della verginità nessuno lo custodisce meglio di Dio che l’ha concesso; e “Dio è carità” (1 Gv IV, 8). La custode, quindi, della verginità è la carità, ma l’abitazione di tale custode è l’umiltà». Un altro consiglio ancora è da ricordarsi: per conservare la castità non bastano né la vigilanza né il pudore. Bisogna anche ricorrere ai mezzi soprannaturali: alla preghiera, ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia e ad una devozione ardente verso la santissima Madre di Dio. La castità perfetta, non dimentichiamolo, è un eccelso dono di Dio. «Esso è stato dato (cf. Mt XIX, 11) – osserva acutamente san Girolamo – a quelli che l’hanno chiesto, a quelli che l’hanno voluto, a quelli che si sono preparati a riceverlo. Perché a chi chiede sarà dato, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto (cf. Mt VII, 8)». Sant’Ambrogio aggiunge che la fedeltà delle vergini al loro Sposo divino dipende dalla preghiera. E, come insegna sant’Alfonso de’ Liguori, così ardente nella sua pietà, nessun mezzo è più necessario e più sicuro per vincere le tentazioni contro la bella virtù, che un ricorso immediato a Dio. Alla preghiera, tuttavia, bisogna aggiungere la pratica frequente del sacramento della penitenza: esso è una medicina spirituale che ci purifica e ci guarisce. Così pure bisogna nutrirsi del pane eucaristico: il Nostro predecessore d’immortale memoria Leone XIII lo additava come il migliore «rimedio contro la concupiscenza». Quanto più un’anima è pura e casta, tanto più ha fame di questo Pane, da cui attinge forza contro ogni seduzione impura e col quale si unisce più intimamente al suo Sposo divino: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui» (Gv VI, 57). – Ma per custodire illibata e perfezionare la castità, esiste un mezzo la cui meravigliosa efficacia è confermata dalla ripetuta esperienza dei secoli: e, cioè, una devozione solida e ardentissima verso la vergine Madre di Dio. In un certo modo, tutti gli altri mezzi si riassumono in tale devozione: chiunque vive la devozione mariana sinceramente e profondamente, si sente spinto certamente a vegliare, a pregare, ad accostarsi al tribunale della penitenza e all’eucaristia. Perciò esortiamo con cuore paterno i sacerdoti, i religiosi e le religiose a mettersi sotto la speciale protezione della santa Madre di Dio, Vergine delle vergini; ella, che – secondo la parola di sant’Ambrogio – è «la maestra della verginità» e la madre potentissima soprattutto delle anime consacrate al servizio di Dio.

Sant’Atanasio osserva che la verginità è entrata nel mondo per Maria,(70) e sant’Agostino insegna: «La dignità verginale ebbe i suoi esordi con la Madre di Dio». Seguendo il pensiero di sant’Atanasio, sant’Ambrogio propone alle vergini la vita di Maria vergine come modello: «O figliuole, imitate Maria! La vita di Maria rappresenti per voi, come in un quadro, la verginità; in tale vita contemplate la bellezza della castità e l’ideale della virtù. Prendetene l’esempio per la vostra vita: poiché in essa, come in un modello, sono espresse le lezioni della santità; vedrete ciò che avete da correggere, copiare, conservare… Essa è l’immagine della verginità. Maria, infatti, fu tale che basta la vita di lei sola a formare l’insegnamento per tutti… Sia, dunque, Maria a regolare la vostra vita». «Tanto grande fu la grazia sua, che ella non riservava solo per sé il dono della verginità, ma anche a quelli che vedeva conferiva il pregio dell’integrità». Sant’Ambrogio aveva ben ragione di esclamare: «O ricchezze della verginità di Maria!». A motivo di tali ricchezze, ancora oggi alle sacre vergini, ai religiosi e ai sacerdoti è quanto mai utile contemplare la verginità di Maria, per osservare con più fedeltà e perfezione la castità del loro stato.

La meditazione delle virtù della beata Vergine non vi basti, tuttavia, dilettissimi figli e figlie: ricorrete a lei con una confidenza assoluta, e seguite il consiglio di san Bernardo che esorta: «Chiediamo la grazia e chiediamola per mezzo di Maria». In modo particolare durante quest’anno mariano affidate a Maria la cura della vostra vita spirituale e della perfezione, seguendo l’esempio di san Girolamo che asseriva: «Per me la verginità è una consacrazione in Maria e in Cristo».

IV.

TIMORI E SPERANZE

Nelle gravi difficoltà, che la chiesa sta attraversando, è di grande consolazione al Nostro cuore di pastore supremo, venerabili fratelli, vedere la stima e l’onore tributati alla verginità, che fiorisce nel mondo intero, anche oggi, come sempre nel passato, nonostante gli errori ai quali abbiamo accennato e che vogliamo credere passeggeri. Non nascondiamo, tuttavia, che alla Nostra gioia fa ombra una certa tristezza, perché vediamo che, in non poche nazioni, va man mano diminuendo il numero di coloro che, rispondendo alla chiamata divina, abbracciano lo stato della verginità. Ne abbiamo già accennato sufficientemente le cause principali, e non c’è motivo di ripeterle. Confidiamo piuttosto che gli educatori della gioventù, caduti in questi errori, si ravvedano al più presto, li ripudino e si sforzino di ripararli. Essi aiuteranno con tutto l’impegno i giovani che si sentono chiamati da una forza soprannaturale al sacerdozio o alla vita religiosa e li assisteranno del loro meglio perché possano raggiungere questo alto ideale della loro vita. Piaccia al Signore che novelle e folte schiere di sacerdoti, di religiosi e di religiose sorgano al più presto proporzionate in numero e santità ai bisogni presenti della chiesa, per coltivare la vigna del Signore. Inoltre, come esige la coscienza del Nostro ministero apostolico, esortiamo i genitori ad offrire volentieri al servizio di Dio quei loro figli che vi si sentissero chiamati. Se questo costa a loro, se ne provano tristezza o amarezza, meditino le riflessioni indirizzate da sant’Ambrogio alle madri di famiglia di Milano: «Parecchie fanciulle io ho conosciuto, che volevano essere consacrate vergini, ma le loro madri vietavano loro perfin di uscire… Se le vostre figlie volessero amare un uomo, potrebbero legittimamente scegliersi chi loro piace. E così, chi ha il diritto di scegliere un uomo, non ha il diritto di scegliere Dio?» Ripensino, quindi, i genitori al grande onore di avere un figlio sacerdote o una figlia che ha consacrato allo Sposo divino la sua verginità. «Voi avete capito, o genitori! – esclama ancora sant’Ambrogio a riguardo delle sacre vergini -. La vergine è un dono di Dio, un’oblazione del padre; è il sacerdozio della castità. La vergine è l’ostia della madre, il cui sacrificio quotidiano placa la collera divina». -Non vogliamo terminare questa lettera enciclica, venerabili fratelli, senza volgere in modo speciale il Nostro pensiero e il Nostro cuore verso le anime consacrate a Dio che, in non poche nazioni, soffrono dure e terribili persecuzioni. Prendano esse esempio da quelle vergini della primitiva Chiesa, che con invitto coraggio subirono il martirio per la loro verginità. – Perseverino tutti con fortezza d’animo nella loro santa risoluzione di servire a Cristo «fino alla morte» (Fil II, 8). Si ricordino del grande valore che le loro sofferenze fisiche e morali e le loro preghiere hanno al cospetto di Dio per l’avvento del suo regno nelle loro nazioni e nella chiesa intera. Si confortino, infine, nella certezza che «chi segue l’Agnello ovunque vada» (Ap. XIV, 4), canterà eternamente un «cantico nuovo» (Ap XIV, 3), che nessun altro potrà cantare. – Il Nostro cuore paterno si volge con paterna commozione verso quei sacerdoti, quei religiosi e quelle religiose, che coraggiosamente confessano la loro fede fino al martirio. Noi preghiamo per essi come anche per tutte le anime consacrate, in ogni parte del mondo, al servizio divino, perché Dio le confermi, le fortifichi, e le consoli, e vi invitiamo ardentemente, venerabili fratelli, insieme con i vostri fedeli, a pregare in unione con Noi, al fine di ottenere a tali anime le consolazioni celesti e i soccorsi divini. – Frattanto, a voi, venerabili fratelli, a tutti i sacerdoti e religiosi, a tutte le sacre vergini, in modo speciale a tutti quelli «che soffrono persecuzioni per la giustizia» (Mt V, 10), e a tutti i vostri fedeli, impartiamo di gran cuore l’apostolica benedizione, come pegno delle grazie divine e attestato della Nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, nella festa dell’Annunciazione della santissima Vergine, il 25 marzo 1954, anno XVI del Nostro pontificato.

PIO PP. XII