FRANCHEZZA NEL FARE IL BENE

FRANCHEZZA NEL FARE IL BENE

[V. STOCCHI: “PREDICHE”, Tipogr. A. Befani, ROMA 1882- impr.; predica XIII.]

“Filii huius sæculi prudentiores filiis lucis in generatione sua sunt.” –

Luc. VI. 8.

I. Uno dei più fastidiosi e miserabili spettacoli coi quali questo mondo tutto posto in malignità contrista l’animo di chi ama la virtù, è questo così comune a vedersi anzi presso che universale; che i cattivi non si vergognano di essere e di mostrarsi cattivi, i buoni si vergognano di essere o almeno di mostrarsi buoni. Ma come mai! Siamo uomini ragionevoli: al lume naturale della ragione abbiamo aggiunto il lume soprannaturale della fede e siamo cristiani: viviamo in terra cristiana, e proclamiamo tutto giorno che il vizio è cosa abbominevole e turpe, che è cosa nobile, onorata, preclara, riguardevole la virtù, e pure i cattivi marciano a fronte alta e fanno il male non solo liberamente ma con ostentazione e con fasto, i buoni si vergognano di essere buoni, e o lasciano il bene, o trascorrono al male non tanto per malignità e per nequizia, quanto per inerzia, per dappocaggine e per paura. Or donde, donde si sconcio e turpe disordine? Donde procede? Qual cagione lo genera? Perché in un mondo che ci stordisce da mane a sera le orecchie coi vocaboli di libertà, di dignità umana, di indipendenza; la sola iniquità mostra francamente la faccia, e la virtù o si deturpa o si maschera o si nasconde? La cagione è questa, e la definì con evidenza divina Gesù benedetto là dove disse: Filii huius saeculi prudentiores filiis lucis in generatione sua sunt. I cattivi capiscono che non avendo per se né il numero, né la ragione, né la giustizia, né la verità si conviene che giuochino di baldanza, e non mancano a se medesimi; e usufruttuando i tempi che corrono sì propizi per loro, insolentiscono quasi fiere alle quali è stata rotta la catena e la sbarra. I buoni invece di imitare questa prudenza dei tristi e contrapporre alla baldanza il coraggio, la fortezza alla tirannide, la libertà della verità e della giustizia alla soperchieria della iniquità e dell’ errore, usano la prudenza della dappocaggine e della paura, e piegano per viltà il dorso sotto la verga dispotica dei perversi, subiscono il duro giogo e prevaricano. Cadranno a male in cuore, ma cadono; andranno repugnanti e tergiversanti, ma vanno, e questa miserabile prudenza fa che sembrino un esercito i tristi, i buoni un drappello; mentre in verità senza questa i tristi sarebbero così pochi che dovrebbero nascondersi per vergogna. Però è che io voglio questa mattina insorgere contro questa miseria e argomentarmi di infondere un pò di coraggio nel petto dei timidi e dei dappochi. Per conseguire il quale effetto mostrerò di questa timidezza la vergogna ed il danno, e darò opera di fare una come levata di anime risolute che confessino Gesù Cristo in questo mondo che lo rinnega.

2. E comincio donde forse non aspettate: comincio dal confessare che il vincere la corrente e vendicarsi una nobile libertà nella professione della vita cristiana, è cosa di più bravura e contenzione ai dì nostri che pel passato non era, e vuole per conseguenza ed animo più eretto e cuore più risoluto e prontezza più magnanima alla battaglia. Una volta noi che predichiamo il Vangelo parlando di coloro che si ritenevano dal fare il bene e trascorrevano al male per paura delle dicerie e della persecuzione dei mondani e dei tristi, ci ridevamo del fatto loro e li chiamavamo gente che adombrava in faccia agli spauracchi come gli uccelli, e con ragioni palpabili mostravamo ad evidenza che adombrarne era puerilità, farne caso dappocaggine impaurirsene follia, recedere dal bene per cagione di esse viltà, trascorrere al male intollerabile insania. Ma oggigiorno lo confesso non è così. I tristi, così permettendolo Dio, hanno preso il di sopra, e valendosi del vantaggio che loro danno e la nequizia dei tempi e la tirannide della rivoluzione; mettono paura anche a quelli che li dovrebbero contenere in dovere: i buoni si trovano abbandonati senza difesa, sono oppressi o spaventati dalla efferatezza di coloro che hanno come disse S. Pietro il vocabolo di libertà per velame di malizia. Questo è verissimo. Ma d’altra parte, che conseguenza se non può ragionevolmente inferire? Che dunque si può tenere come suole dirsi il piede in due staffe? Zoppicare da due parti? • Pendere ora a destra ed ora a sinistra? Mareggiare tra poggia ed orza tanto da guadagnare la riva senza fatica? No: questa non è conseguenza da seguaci di Gesù Cristo: è un temperamento da schiavi infelici del mondo. La conseguenza unica, vera, legittima, irrepugnabile, è, che conviene armarsi di coraggio maggiore, e seguitare Gesù Cristo con animo pronto ad ogni sbaraglio. Perché Signori non ci è accaduto niente di singolare, niente di strano, niente che Gesù Cristo non ci abbia mille e mille volte predetto. La vita dell’uomo sopra la terra è milizia diceva Giobbe, e molto più è milizia la vita del Cristiano. Ora nella milizia alle volte corrono tempi di pace, e allora la vita militare porta lucro ed onore ma non espone a pericoli. Ma quando meno si aspetta, l’orizzonte politico si rabuffa e alla pace succede la guerra. E allora conviene cambiare la città col campo, ed esporre il petto al ferro ed al piombo sotto pena di essere bollato con la turpe nota di codardo in faccia al nemico. Il simile avviene nella milizia cristiana: corrono alle volte tempi tranquilli ed equabili: e Gesù Cristo è riconosciuto, riverita la Chiesa: e allora la professione aperta di Cristiano non espone a cimenti gravi e talvolta frutta anche onore: e di questa fatta furono i tempi che antecedettero la rivoluzione. Ma Gesù Cristo non ha mai detto che questo ordine di cose lieto e sereno sarebbe stato nella sua Chiesa ordine giornaliero e molto meno perpetuo. Ardisco anzi di dire che in tutto il Vangelo si trovano ad ogni pagina profezie di tempeste e promesse di soccorso fatte alla sua sposa, ma promesse di pace forse nessuna. Certo i Cristiani dei primi tre secoli furono sempre in battaglia, tregua ebbero talvolta, pace non mai, e i trucidati per Gesù Cristo si contano non a migliaia ma a milioni. Sappiamo ancora che avanti che il mondo finisca, deve venire una tribolazione quale non fu, da che le genti hanno cominciato ad essere, ne sarà mai più, onde i martiri che renderanno a Gesù Cristo testimonianza col sangue saranno molto più nella fine che negli esordi non furono. E quando vengono questi tempi: quando il nemico suona la tromba e presenta la battaglia, che conviene di fare? Scendere in campo e combattere. Allora il tempo che Gesù Cristo intuona ad alta voce. Chi vuol venire dietro a me pigli la sua croce e mi seguiti. Chi non piglia la sua croce e mi seguita non è degno di me. Chi si vergognerà di me al cospetto degli uomini anch’ io mi vergognerò di lui al cospetto del padre mio: non ci è scampo, non ci è via di mezzo, l’inferno incalza, Gesù Cristo non cede, o mostrare la fronte, costi quel che si vuole, o dannarsi. Ora questi tempi sono venuti. A vivere in essi è toccato propriamente a noi: conviene sfoderare la spada e scendere in campo altrimenti siamo perduti. Sentite come anima San Paolo i primi cristiani a cimentarsi da valorosi. Deponentes omne pondus et circumstans nos peccatum per potientiam curramus ad propositum nobis certamen. (Hebr. XII. 1. 2.). Gettiamo via il fardello della nostra dappocaggine e il peso di cui ci grava questa carne di peccato che ci circonda, armiamoci di pazienza e scendiamo in campo dove la tromba della tenzone ci appella. Ma il senso inorridisce, la carne ricalcitra, palpita il cuore, manca la lena: un’occhiata al Crocifisso e avanti. Aspicientes in auctorem fidei et consumatorem Iesum, qui proposito sibi gaudio sustinuit crucem confusione contempla et sedet a deoctris Dei. Ecco qua l’autore e consumatore della fede guardatelo o pusillanimi e confondetevi. Esso è andato avanti: si propose il gaudio di salvare le anime vostre e portarle in paradiso preziosa conquista; non badò a nulla non curò la confusione, sostenne la croce, e ora siede alla destra del Padre e vi chiama: avanti, avanti. La cosa dunque è decisa conviene andare. È arduo il passo non ce ne è altro. Sente di acerbo? Convien andare di qui. O questo o dannarsi.

3. Poiché dunque la cosa è cosi e non ci è transazione, alla prudenza non è lasciato altro partito che questo: di vedere di cavarsela meno peggio che può, e salva l’anima, la coscienza, l’onore di Dio, argomentarsi di soffrire meno che sia possibile. – E questo è buono, questo è lecito, questo è ordinato. Ma la via per soffrire meno, e cavarsela meno peggio col mondo, salva l’anima e la coscienza, qual sarà mai? Quella di cedere, di cagliare, di tenere il piede in due staffe, di porgersi con due manichi a chi ci vuol prendere? No: è quella di essere risoluto e fermo alla bandiera di Gesù Cristo. Ponete mente. Il mondo è cane dice S. Giovanni Crisostomo, e tutti i mondani qual più qual meno tengono del cagnesco. Ora quale è l’indole del cane? È questa di indracarsi contro a chi fugge, di cedere contro a chi mostra la faccia. Ti è accaduto di vedere? Se ne va quel passeggiero spensierato e franco pel suo viaggio e passa vicino alla casa dove il cane inquieto e ringhioso dorme tranquillamente nel suo giaciglio. Ode la mala bestia il mutare dei passi, drizza le orecchie, alza la testa, balza in piedi, scuote il dosso, e con alti latrati, con aspri ringhi corre e si avventa. Che farà il viandante mal capitato per evitare la rabbia e il dente di questo feroce? Darà le reni? Piglierà la fuga? Si renderà vinto? Dio ne lo guardi! La bestia piglierà tanto più di baldanza quanto esso mostrerà più di paura, e divenuta tremenda, implacabile gli farà sentire come fledano i suoi rienti, e non basta: perché tutta la canea del contorno sommossa e tratta dai latrati del maggior cane correrà anch’essa ad aggredirlo in massa, ed egli avrà alle mani assai duro partito. Che farà dunque? si rincuori, confermi l’animo, mostri alla turpe bestia la faccia, la guardi fisso, la bravi, le corra addosso e vedrà. Si arresta alla prima mostra di resistenza il bracco poltrone, poi caglia, poi cede; poi dà le groppe, poi fugge esterrefatto e si invola, e tutta la canea minore cede il campo e s’invola con esso. Il viandante si è vendicato in libertà, potrà passare mille volte per quella via, non patirà più mai molestia nessuna. Così il Crisostomo, il quale seguita domandando, onde avviene che il cane dia le reni e fugga se l’uomo resiste, e s’indraghi invece e diventi terribile se caglia e mostra paura? Avviene così. Sente il tristo animale la propria inferiorità in faccia all’uomo, e non ha altro coraggio che quello che l’uomo gli rinunzia quando abdicando per dire così la propria superiorità e il proprio grado, s’atterrisce e mostra paura. Essendo così, l’uomo è sempre uomo, signori miei e il vizioso sente la propria turpitudine e la propria viltà, e stima naturalmente la virtù e chi la possiede. Di qui è che invidia il virtuoso e, non potendo essere come lui, l’odia e lo perseguita con livore diabolico, ma mentre lo perseguita, lo riverisce interiormente e lo teme. Se l’uomo buono pertanto quando il perverso o lo deride o lo insulta o lo perseguita; si avvilisce, cede, mostra paura, trascorre a connivenze infelici, si nasconde, quasi vergognandosi di essere buono e di stare coi buoni, è finita: il tristo che è per natura vigliacco e ingeneroso, piglia baldanza come il cane in faccia all’uomo spaurato e vi perseguita con tale pertinacia ed efferatezza che non vi dà più pace, e tutta la canea dei tristi di second’ordine insorgerà contro di voi. Volete vincere in questo miserabile certame e vendicarvi la nobile libertà di essere cristiano cattolico a fronte aperta? Non curate questi soperchiatori codardi: alzate loro in faccia gli occhi: intimate liberamente che volete fare di vostro senno, e vedrete; vedrete che stringeranno dapprima i denti e ringhieranno contro di voi: poi daranno addietro, poi taceranno, non passerà gran tempo che potrete fare quel che volete, e non solo non vi molesteranno; ma vi loderanno e diranno di voi che siete uomo di principi e che non ammettete transazioni quando si tratta della coscienza. Girate gli occhi all’intorno e vedrete un certo numero di persone uomini e donne che professano liberamente i principi cattolici e sono rispettati da tutti. Come hanno fatto a imporre silenzio alla canea maggiore e minore? Con questa libertà dimostrata francamente in faccia ai soperchiatori. Oh se ciò intendesse la povera gioventù: oh quanti si salverebbero che miseramente prevaricano! Quella fanciulla ama la virtù e la pietà; le piace frequentare la chiesa, assidersi alla mensa celeste, non ama le leggerezze e le vanità alle quali corre dietro si perdutamente il suo sesso: quel giovane è stato bene educato, ha saldi in mente i sani principi: vuole attendere all’anima sua, aborre dalle sfrenatezze e dalle turpitudini dei dissoluti, dei disonesti e degli sboccati. Ma se ne sono accorti quella fanciulla civetta, quel giovinastro discolo e libertino: se ne sono accorti e quando li vedono li guardano con un cipiglio di scherno, sogghignano, insultano, fate largo, gridano, alla santa e al santo che passano. Sbalordiscono i cattivelli a questi dileggi, rappicciniscono, si tengono perduti, non è fanciullo che tremi tanto sotto la verga del pedagogo come costoro in faccia a questi censori. Semplicetti che siete! Sappiate che quella civetta e quel discolo vi stimano in loro cuore, e vorrebbero essere come voi: alzate la fronte, deridete chi vi deride, date loro i titoli che si meritano, e vedrete rannullarsi quella baldanza e quei censori sì baldanzosi, quasi bracchi poltroni, dare le groppe e pur ringhiando fuggire.

4. E qui guai a me se mi ascoltassero certuni e certune, che pure abbondano ai nostri giorni. Gente buona vedete, ma gente cauta, circospetta, guardinga quando si tratta del bene. – Ahimè direbbero inorriditi, che parlare è mai questo? Ma dunque la discrezione deve fuggire dalla terra? Dunque la prudenza non è più una virtù? Non date ascolto agli intransigenti, ai fanatici. Son tristi tempi: prudenza, per carità, prudenza. Così si grida da mane a sera, e la prudenza è un vocabolo che oramai trova luogo per tutto. Prudenza risuonano le case dei grandi, le officine dei piccoli ripetono prudenza, le sacrestie medesime, i presbiteri, i conventi prudenza echeggiano, prudenza, prudenza. Che farò io fra tanto frastuono? A qual partito mi appiglierò ? Io proporrò un caso di coscienza: voi lo risolverete coi principi di questa prudenza, poi voi ed io udiremo la soluzione magistrale di tale alla sentenza del quale sarà pur forza che ci rendiamo. Allorché Gesù Cristo nostro Signore viveva mortale sopra la terra e predicava la sua celeste dottrina era odiato a morte dagli scribi, dai farisei e da quasi tutti i personaggi di primo conto della sua nazione: aveva, si direbbe ai di nostri la pubblica opinione delle classi intelligenti contro di sé. E l’odio e l’astio il livore pervenne a tale che adunatisi nel Sinedrio che era, si direbbe, l’assemblea legislativa dei Giudei fecero questo decreto. Iam enim conspiraverant Iudœi, ut si quis confiteretur eum esse Christum extra sinagogam fieret. (Io IX, 22.) Che qualunque avesse confessato che Gesù di Nazaret era il Cristo e il Messia fosse espulso dalla Sinagoga. Questa pena era gravissima, ed equivarrebbe tra noi ad essere casso del numero dei cittadini e privato di tutti i dritti civili e politici con una specie di scomunicazione per giunta. Questo decreto fece paura a moltissimi e intorno a Gesù Cristo si fece deserto, e molti che prima erano sempre con Lui lo fuggivano, e se per la strada lo trovavano, facevano vista di non vederlo. Con tutto ciò che volete? L’uomo è pur sempre uomo e Gesù Cristo sbalordiva il mondo non con le parole ma con i miracoli: di che prosegue a dire S. Giovanni, ex principibus multi crediderunt in eum: (Ioan. XII, 42.) molti anche di personaggi di primissimo conto vedendo questi prodigi credettero in Lui. Credettero e credettero fermamente; solo si tenevano la loro fede nel cuore, al di fuori si guardavano bene dal dimostrarla per paura dei farisei e onde non essere cacciati dalla Sinagoga. Sed propter pharisæos non confìtebantur ut e Synagoga non eiicerentur. Questo è il caso: e qui si domanda. Facevano bene questi credenti? Erano degni di scusa? Li avreste assoluti? Sì, certo sì. Credevano e credevano davvero. Ma la fede si tenevano nel cuore: non la mettevano in piazza: era prudenza. I nemici di Gesù Cristo erano potenti, avevano in mano ogni cosa: guai se pigliavano in odio un mal capitato: la dichiarazione dei loro principi non giovava a Gesù, ad essi nuoceva. Perché mettersi in uggia ai primi della nazione? Si tennero indietro, fu prudenza, fecero bene. Questa è la soluzione vostra. Sentiamo ora la soluzione che diede chi mai? Nientemeno che lo Spirito Santo per bocca dell’Apostolo prediletto di Gesù Cristo. Dilexerunt enim magis gloriam hominum quam gloriam Dei. (Io: XII. 43.). Costoro che così fecero, furono una mano di vigliacchi che più amarono la gloria degli uomini che quella di Dio. Furono vigliacchi e più volte Gesù Cristo li rampognò: disse che non erano atti al regno di Dio, sentenziò che erano già giudicati, li fulminò asserendo che la loro fede, non era fede. Voi credete? Voi? Quomodo potestis credere qui gloriam ab invicem accipitis, et gloriam quae a Deo solo est non quæritis ? (Io. V. 44.) Ma che fede è la vostra se andate cercando la gloria l’uno dall’altro: della gloria che viene da Dio solo non vi curate? Il caso dunque è già risoluto e non ci è che ridire: di tal maestro è la risoluzione. Veniamo dunque a noi. Non è dunque più, dicevano, non è più una virtù la prudenza ? Sì, la prudenza è una virtù, e non una virtù qualunque ma una delle quattro che diconsi cardinali: oltrediché è virtù universale e condisce quasi sale tutte le altre virtù e le scorge sì che raggiungano il loro fine. Ma la fede ci insegna che ci sono due generi di prudenza. Una che si appella prudenza della carne, e un’altra che si chiama prudenza dello Spirito. La prudenza della carne consiste in questo: che si cerchi di non aver brighe per conto di Gesù Cristo; che si procuri di passarsela bene col secolo nemico suo, religiosi sì ma non eccessivi: una mano ai farisei, un’altra al Messia. Saper ridere a una bestemmia e biasciare una giaculatoria. Amici di tutti, bene con tutti, questa è prudenza. Prudenza sì ma della carne: e S. Giacomo Apostolo e S. Paolo non ne sentono troppo bene. Poiché S. Paolo dice prudentia carnis mors est (Rom. VIII 6.). La prudenza della carne è morte, e S. Giacomo la chiama sapienza ma sapienza non discesa dal cielo, bensì tutta di terra propria solo dell’animale e del diavolo : Non est enim ista sapientia desursum descendens; sed terrena, animalis, diabolica. (Iac. III. 15.) prudenza terrena, animale, diabolica. Se vi piace questa prudenza tal sia di voi, a noi ancora piace di esser prudenti ma con la prudenza dello spirito, che è quella di Gesù Cristo.

5. Il quale con la divina evidenza delle sue parole consigliò i suoi servi ad esser prudenti perchè si sarebbero trovati come pecore in mezzo ai lupi, ma definì la prudenza che dovevano avere, estote ergo prudentes sicut serpentes (Matth. X . 16.). Siate prudenti come i serpenti. Ora quale è la prudenza per la quale è nominato il serpente? È questa rispondono i Padri. Quando è inseguito e si vede in pericolo mette il capo insicuro: sicurato il capo salva se può anche la striscia che si trascina dietro delle sue spire, se no abbandona al nemico la coda purché il capo sia salvo. Ecco dunque qual è, e in che consiste la prudenza cristiana: prima di tutto salvare il capo, e non mai per pericolare pel rimanente del corpo la salute del capo. E il capo qual è? L’anima, uditori miei riveriti, l’anima, la grazia di Dio, la salute eterna, l’onore e la gloria di Dio e di Gesù Cristo. Questo, questo è il capo: questo e non altro. Questo dunque si salvi a qualunque patto : salvo questo, se si può si salvi anche il resto, se no vada tutto, vada anche la vita, ma il capo si salvi. Non vi impone no Gesù Cristo di essere temerari, audaci, provocatori: vi impone di essere forti. Si tratta per esempio di cedere in qualche cosa alla tirannide della moda ? Purché non intervenga peccato; si faccia: si tratta di arredare la casa così o così? Purché si stia nei limiti del proprio stato; accomodatevi agli usi del vostro tempo. Si tratta di una vesta, di un cappello, di un acconciatura più che di un’altra? Purché sia salva la verecondia, non dirò nulla, al più riderò. No certo non mi cruccerò con quel giovane se alza i capelli al zenit o li deprime al nadir, né appiccherò una lite con quella femmina perché si fabbrica coi capelli non suoi su quella testa un cimiero o una torre: o se spazza un miglio di paese con la coda del vestimento. Sono cose indifferenti potrò compatire chi si fa servo di queste inezie, ma non mi sdegnerò con nessuno. Ma è cosa indifferente il vergognarsi delle pratiche di pietà? Il cercare per adempiere i doveri di cristiano le ore più incompatte e i luoghi più solitari? L’andare a certi spettacoli infami per compiacenza? Il leggere certi libri nefandi per vergogna di rifiutarli? Il calpestare la onestà, l’accomodarsi al turpiloquio per non parere bigotto? È di questa l’atta il bazzicar cogli increduli il bestemmiare con essi la Chiesa e il Papa? L’aderire a certi partiti che altro scopo non hanno fuorché di far guerra a Dio e Gesù Cristo? Eppure trovate innumerabili che per paura di un pugno vile di miserabili, per tremore delle sozze pagine di un giornale, per ispavento di una derisione, di un ghigno, di un lazzo, fanno questo e peggio e il fare di questo modo chiamali prudenza. Prudenza questa? Ma a me pare che si onori troppo chiamandola prudenza della carne, perché è una tiranna che fa dell’uomo un vile mancipio e con le mani e coi piedi legati lo dà in balìa a ciò che è di più turpe e vile sopra la terra. E vaglia la verità. Ponete caso che ad alcuno o ad alcuna dei conoscenti o delle conoscenti che avete si mettesse nell’animo la voglia insana di tenervi di occhio, di spiare tutti i vostri procedimenti, di indagare come suol dirsi perfino i vostri sospiri. Vi venissero quindi per casa, volessero sapere quale è per voi l’ora della levata, quale quella del coricarvi. In quali occupazioni vi passi la giornata; quali ore diate al lavoro, quali al riposo. Quali cibi imbandiscono la vostra mensa, quali persone sono ammesse alla vostra dimestichezza; quali sono i vostri passeggi quali le visite, ciò che sia nei luoghi più riposti di casa vostra nella dispensa per esempio e nello scrigno, e ciò che non sia. E ciò che si conforma al loro capriccio approvassero, e disapprovassero ciò che non si conforma: né approvassero solamente o disapprovassero, ma dispoticamente proibissero o comandassero: mangerete i tali cibi, tratterete con le tali persone, in questi luoghi andrete in quelli no, vestirete così o così. Ammettereste voi questa sopravveglianza? Vi soggettereste a questa schiavitù? Subireste questo ignobile sindacato? Certo no, rispondete sdegnati, immaginando anche solo un procedere così screanzato e villano, e a chi si attentasse di esercitarlo rintuzzeremmo la voglia. Ottimamente avete risposto: e così deve fare qualunque è libero ed uomo. Eppure questi prudenti trascinano una catena e portano un giogo anche più vergognoso di questo. Aggiratevi infatti per le vie: entrate nelle case, mettete il pie’ nei palagi, insinuatevi perfino nel santuario. Quali sono le parole che udite più di frequente? Che si dirà? Non bisogna far dire. Ci vuol prudenza. Che si dirà? Ma da chi? Non bisogna far dire. Ma chi? Ma per rispetto di chi? Esiste una proterva e vilissima generazione di mal creati che pretende di esercitare una tirannide intollerabile sopra di tutti, di tener tutti a catena, di dettare a tutti la legge. Essi comandano a capriccio e a capriccio divietano: a capriccio lodano e a capriccio vituperano: a capriccio vogliono e a capriccio disvogliono. Spingono il temerario sindacato nelle case, investigano il santuario delle famiglie, osservano quel che si fa, notano quel che si lascia, ordinano e vogliono essere obbediti, interdicono e minacciano chi resiste. Si deve fare così, perché ad essi piace, così, perché ad essi non piace, non si deve fare. E con che autorità esercitano questa tirannide? Con nessuna. Chi ha dato loro il diritto di costituirsi legislatori? Nessuno. È tutto arbitrio, tutta audacia, tutta soverchieria. E questi prudenti che fanno? Vestono com’essi vogliono, parlano come essi vogliono, vanno dove essi vogliono, dove essi non vogliono non vanno. Si astengono a un loro cenno e da ciò che piace benché onestissimo, a ciò che ad essi non piace si accomodano benché reo, peccaminoso, turpe, molesto, e dilaniando col nome di opinione pubblica il cicaleccio ed il latrato di costoro, per poco non si fanno legge di non violarne i precetti neppure col pensiero, e se si pigliano talvolta qualche timida libertà, si guardano prima bene all’intorno e tremano come conigli per paura che lo risappiano i suoi tiranni. E tutto ciò lo ripeto non in cose indifferenti né cattive né buone per sé medesime, ma in cose gravissime, santissime, che affettano la religione, la salute dell’anima, i comandamenti di Dio e della Chiesa, e la sostanza medesima della fede e della vita cristiana. Ahimè questa non è prudenza dello spirito anzi neppur della carne. Non dello spirito, perché nemica di Dio, non della carne, perché alla carne, medesima nemica, molesta e pressoché intollerabile. Questa è dappocaggine, vigliaccheria, viltà, codardia, melensaggine. Eppure costoro se li sentite si chiamano spregiudicati, liberi, indipendenti. Voi spregiudicati? Voi indipendenti? Voi liberi? Ma se i nomi di poltrone, di mancipio, di schiavo non fossero nel vocabolario: bisognerebbe inventarli per chiamarvi come vi meritate. Sapete chi sono gli indipendenti ed i liberi? Colui e colei che sanno con petto valido rompere la marea e andare diritto senza impensierirsi di quel che faccia o dica il mondo nemico di Gesù Cristo, più di quello che si impensierisca la luna del notturno latrato dei cani. Eppure questi magnanimi sono derisi, e non è raro che si ascoltino questi codardi dispensar loro i titoli di bigotti, di stupidi, di imbecilli. Perché così va la cosa che ciascuno regala volentieri altrui quelle note che sa benissimo di meritare per sé. Su via, se volete essere veramente liberi e indipendenti, scuotete il giogo vile degli umani rispetti, vendicatevi la libertà della vostra fede e della vostra coscienza, e allora con la libertà e con la indipendenza avrete ancora la prudenza vera cioè la prudenza non della carne ma dello spirito, e prudenti come serpenti sarete anche semplici come colombe perché camminerete per la via diritta, e lasciando il mondo imperversare a sua posta, confesserete Gesù Cristo davanti agli uomini, ed Egli confesserà Voi al cospetto del Padre suo che è nei cieli.

6. Io sono certissimo che qualcuno di voi richiamandomi a quelle parole di Gesù Cristo: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi, vorrebbe dirmi così. Veramente il Cristiano Cattolico senza epiteti, intero, schietto, sincero, si trova a questi tempi come pecora inerme nel mezzo ai lupi e lupi feroci e terribili. Dunque che dovrà fare? Dovrà insorgere, dovrà tempestare, non dovrà conoscere né riserbo né modo? Io risponderò a questa domanda con un esempio che ci diede il nostro maestro Gesù, esempio accomodatissimo ai tempi nostri. Quando Gesù predicava la sua celeste dottrina, la Giudea era agitata da fiere tempeste politiche. I Giudei erano caduti sotto la dominazione romana e portavano il giogo di malissima voglia. Dicevano che essendo essi il popolo di Dio erano per gius divino liberi e indipendenti, che però i romani erano invasori iniqui, e che non era lecito pagar loro il tributo, onde peccatori per antonomasia chiamavano i pubblicani che erano gli esattori delle gabelle. Or di questa condizione di cose e stato degli animi si valsero i farisei per tendere un laccio a Gesù, ed ecco come. Un drappello di essi a Gesù se ne vennero con alcuni partigiani di Erode, e con ipocrita riverenza gli parlarono così: magister scimus quia verax es et viam Dei in veritate doces et non est tibi cura de aliquo. (Matth. XXII. 16). Maestro noi sappiamo che sei verace e insegni in verità la strada di Dio e non guardi in faccia a nessuno. Questo fu l’esordio, col quale lusingandolo, cercarono quei tristi di accalappiare Gesù, cattivandone la fiducia e poi proseguirono. Die ergo nobis quid tibi videtur: licet censum dare Cæsari an non? Dinne dunque su il tuo parere ma netto, esplicito, senza ambagi, senza inviluppi. È lecito pagare il censo a Cesare sì o no? Vogliono mettere Gesù alle strette: vogliono unsi o unno: e qui stava il tranello. Se Gesù rispondeva sì: è lecito; essi lo accusavano ai Giudei e lo mettevano in odio come fautore del dominio straniero e nemico della sua gente. Se rispondeva no: non è lecito: lo accusavano ai Romani come sedizioso o nemico di Cesare, così lo perdevano ad ogni modo e avevano condotto quegli Erodiani perché all’uopo facessero da testimoni. Che farà Gesù? Come si caverà dalla stretta di questo laccio: Con la prudenza del serpente congiunta colla semplicità della colomba. Cognita autem Iesus nequitia eorum ait: quid me tentatis hypocritæ? Prima di tutto fece intendere che li aveva conosciuti: e, ipocriti, disse, che venite qui a tentarmi? E poi proseguì: mostratemi la moneta del censo. Ostendite miài numisma census. Essi gliela diedero in mano, ed Ei proseguì. Di cui è questa immagine e questa scritta? Cuius est imago hœc et superscriptio? Risposero, di Cesare: Dicunt Ei, Cæsaris. Rendete dunque, conchiuse, a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio. Reddite ergo quæ sunt Cœsaris Cœsari, quœ sunt Dei Deo. Trovate se vi riesce una risposta all’insidioso quesito? Non la troverete in eterno. Gesù Cristo non rispose né sì né no, solo enunciò una verità incontrastabile, e così schivò il laccio: confuse la malizia dei suoi nemici e salvò sé medesimo, lasciando coloro scornati e confusi a digerire la rabbia, la confusione e lo scorno. Nel qual cimento mise in opera per sé quell’altro documento santissimo che diede a tutti: Nolite dare sanctum canibus. Eccovi uditori una lezione divina: eccovi come si vive nel mezzo ai lupi schivandone quanto si può, salva l’anima e la coscienza, l’insidie, le zanne e la rabbia. Verrà poi tempo che il lupo la dia per mezzo, e vedendo che le insidie non giovano, spieghi gli unghioni e adopri le zanne. Così fecero questi medesimi farisei con Gesù. Cercarono tutte le vie per coglierlo al laccio con apparenza almeno di ragione. Quando videro che non riuscivano, comprarono Giuda, mandarono ad arrestarlo una corte con lanterne, fiaccole ed armi, e lo crocifissero. Ma intanto a noi sta di togliere il pretesto, e il pretesto si toglie imitando il Signor nostro Gesù. Del quale richiamate l’avviso che è ottimo per noi, suoi Sacerdoti, nelle strette di questi tempi. Nolite dare sanctum canibus neque mittatis margaritas vestras ante porcos, ne forte conculcent eas pedibus suis et conversi dirumpant vos. (Matth VII. 6.) – Non vogliate dare le cose sante ai cani e non gittate dinanzi ai porci le margarite, non forse voltandosi contro di voi col grifo e conle zanne vi sbranino. Esistono, esistono di questi ciacchi e di questi cani che stanno in posta per vedere se gittate dinanzi a loro le cose sante e le perle e sbranarvi. Non le gittate loro: non ne son degni e odiandoli a morte vi preparano, se proseguite, ceppi e catene. A loro non le gittate. Esistono però gli agnelli del pastor buono, le pecorelle di Gesù Cristo, a queste date le cose sante, a queste mettete innanzi le gemme della verità. Che se i ciacchi e i cani grugniscono e latrano minacciandovi unghioni e zanne rispondete così: Noi diamo a Cesare, quel che è di Cesare: a Dio, quel che è di Dio.

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA-APOSTATA DI TORNO: UBI PRIMUM di PIO IX

Questa lettera, che porta identico nome di un’altro importantissimo ocumento di Leone XII del 1824 (già riportato in questa nostra serie), è una delle prime Encicliche di Pio IX, il quale presagiva già l’infiltrazione del clero da parte di empi corruttori delle fede cattolica. Il Santo Padre cercò di porre argine con questa lettera a questo morbo infetto e mortale per le anime, facendola seguire poi da altri importanti documenti. Qui ebbe cura anche di istituire una Congregazione cardinalizia che si occupasse in modo specifico dello “stato degli ordini regolari”. Le raccomandazioni erano rivolte in particolare alla scelta ed alla cura dei giovani che desideravano intraprendere la vita religiosa. Sua Santità aveva intuito, da profondo ed ispirato conoscitore delle trame del “secolo”, che gli empi demolitori dell’opera di Cristo, erano al lavoro proprio per corrompere i costumi non solo della società civile, ma nello specifico, della gioventù che si avviava al noviziato ecclesiale. A tutti oramai è noto come questa strategia della “quinta colonna”, si sia sviluppata nei decenni successivi, onde rendere possibile il “colpo di stato” del 1958 in Vaticano, ed il “ribaltone conciliare” che ha messo sottosopra, la Chiesa cattolica, invertendone tutti i valori e gli aspetti con certosina pazienza e gradualità centellinata in modo da non dar troppo nell’occhio ad incauti ed imprudenti ignoranti colpevolmente la dottrina. Lo spettacolo odierno è sotto gli occhi di tutti, ed è proprio il caso di ribadire il consiglio divino di Gesù, che riportato dal cap. VII di S. Matteo, diceva: “… dai frutti li giudicherete”. Certo oggi assistiamo all’obbrobrio di chierici omosessuali dichiarati ed inverecondi, di pedofili pubblici da sacrestia ed oratorio, per non parlare dei seminari (falsi per fortuna), gli allegri “Gay villages” come oggi si definiscono, delle diocesi maggiori. E allora, dobbiamo dichiarare Pio IX un fallito, la sua politica pontificia perdente ed abbattuta? A giudicare dalla falsa chiesa del “Novus ordo”, sì, è così. Ma ricordiamo che il documento, come tutto il Magistero pontificio, “luogo teologico” per eccellenza, non passerà mai, come la parola del Capo fondatore Gesù Cristo ci ha assicurato, e questa lettera diventerà la pietra fondante di una nuova generazione di figure clericali, figure sante, immacolate, come le desidera il “Capo”, e sarà stampato nella memoria e nella volontà di coloro che vogliono essere sinceri collaboratori dell’opera della Chiesa cattolica, pietre vive dell’edificio eterno della nuova Sion, la Santa Chiesa Cattolica: una, santa cattolica, apostolica romana che, dopo la sua momentanea eclisse, come Gesù nel sepolcro, tornerà a risplendere quando, dichiarata morta dagli infami e dagli empi festanti “nemici di Dio e di tutti gli uomini”, risorgerà per brillare luminosa fino alla fine dei tempi. … et “non praevalebunt”.

Pio IX
Ubi primum

Quando, per arcana decisione della divina Provvidenza, fummo elevati al governo di tutta la Chiesa, fra le precipue cure e sollecitudini del Nostro Ministero Apostolico nulla avemmo più a cuore che abbracciare con singolare affetto della Nostra paterna carità le vostre Religiose Famiglie, seguirle, proteggerle e difenderle con la massima attenzione, interessati a provvedere al loro sempre maggior bene e splendore. Esse, infatti, istituite – per la maggior gloria di Dio Onnipotente e per procurare la salvezza delle anime – ad opera di santissimi uomini sotto l’afflato dello Spirito Santo, e confermate da questa Sede Apostolica, con le loro molteplici caratteristiche formano quella bellissima varietà che mirabilmente abbellisce la Chiesa, e costituiscono quelle scelte milizie ausiliarie che furono sempre di grandissimo ornamento e di aiuto sia alla comunità cristiana, sia alla società civile. – Infatti i loro membri, chiamati per singolare dono divino a professare i precetti della sapienza evangelica, stimando che per loro nulla vale a confronto dell’eminente scienza di Cristo Gesù, disprezzando con animo eccelso e invitto tutti i beni della terra e guardando unicamente a quelli celesti, furono sempre visti intenti ad opere egregie e a compiere gloriose imprese con le quali hanno così grandemente meritato, sia per la Chiesa Cattolica che per la società civile. Nessuno infatti ignora né può ignorare che le Famiglie Religiose fin dalla loro prima istituzione furono celebri per la presenza di innumerevoli uomini egregi che, insigni per tante opere di dottrina e di cultura, con l’ornamento di tutte le virtù, risplendenti della gloria della santità, illustri anche per altissime cariche e ardenti di grandissimo amore verso Dio e verso gli uomini; fatti spettacolo al mondo, agli Angeli e agli uomini, non trovarono nulla di più delizioso che dedicarsi giorno e notte con ogni cura e costanza alla meditazione delle cose divine, portare sempre nel proprio corpo la mortificazione di Gesù, propagare la fede e la dottrina cristiana dal sorgere al tramontar del sole, combattere decisamente per esse, sopportando validamente amarezze, tormenti e supplizi, e dando anche la vita, per condurre popoli rudi e barbari dalle tenebre dell’errore, da costumi selvaggi e dalla abiezione del vizio alla luce della verità evangelica e alla cultura di una società civile, coltivando le lettere, le varie discipline e le arti, salvandoli dalla rovina; plasmando le tenere menti dei giovanetti e i loro ingenui cuori alla pietà e alla onestà, arricchendoli di sane dottrine e richiamando gli erranti alla salvezza. E questo non basta; infatti, rivestiti di intima misericordia, non c’è alcun genere di eroica carità che essi non abbiano esercitato, come prestare ogni genere di aiuto della cristiana beneficenza e provvidenza ai prigionieri rinchiusi nelle carceri, ai malati, ai moribondi e a tutti i miseri, ai poveri, ai colpiti da calamità per lenire il loro dolore, tergere le lacrime e provvedere alle loro necessità con ogni opera e possibile aiuto. – Da qui consegue che i Padri e i Dottori della Chiesa meritatamente e a pieno titolo hanno sempre esaltato con grandi lodi questi amanti della perfezione evangelica e hanno sempre combattuto contro i loro oppositori che temerariamente osano denunciare queste Sacre Istituzioni come inutili ed esiziali per la società. – I Pontefici Romani Nostri Predecessori, dimostrando sempre un benevolo affetto verso gli Ordini Regolari, non hanno mai desistito dal proteggerli con il patrocinio dell’Autorità Apostolica, dal difenderli e dal gratificarli con privilegi ed onori sempre maggiori, ben sapendo quali e quanti vantaggi ed utilità da questi Ordini si sono riversati in ogni tempo sull’intera Cristianità. Anzi, i Nostri Predecessori furono sempre tanto solleciti per questa così eletta porzione del gregge del Signore, che, appena sono venuti a sapere che il nemico di nascosto seminava zizzania in mezzo al buon grano e che le piccole volpi demolivano i fiorenti tralci, immediatamente si sono adoperati con ogni cura a svellere dalle radici e a distruggere qualsiasi cosa che potesse impedire i frutti copiosi e lieti della buona semente. Per questa ragione specialmente Clemente VIII, e pure Urbano VIII, Innocenzo X, Alessandro VII, Clemente IX, Innocenzo XI, e così pure Innocenzo XII, Clemente XI, Pio VII, Leone XII, Nostri Predecessori, sia prendendo salutari deliberazioni, sia emanando sapientissimi Decreti e Costituzioni non cessarono di usare tutti i mezzi della vigilanza Pontificia per rimuovere radicalmente i mali che in circostanze tristissime di eventi e di tempi si erano insinuati nelle Famiglie Religiose, onde difendere o restaurare in esse la regolare disciplina. – Noi, pertanto, per il grande amore che nutriamo per questi Ordini, emulando gli esempi illustri dei Nostri Predecessori e ispirandoci soprattutto alle sapientissime decisioni dei Padri del Concilio Tridentino, per il Nostro supremo ufficio di Apostolato abbiamo deciso di rivolgere tutte le nostre cure e i Nostri pensieri, con tutto l’affetto del cuore, alle vostre Famiglie Religiose, con lo speciale intento di consolidare ciò che fosse malfermo, di risanare ciò che fosse malato, di riannodare ciò che fosse sciolto, di recuperare ciò che fosse perduto, di rialzare ciò che fosse caduto, affinché rifioriscano l’integrità dei costumi, la santità della vita, l’osservanza della regolare disciplina, gli studi delle lettere, delle scienze, specialmente di quelle sacre, e le regole proprie di ciascun Ordine siano sempre più vigorose e fiorenti. Sebbene Ci rallegriamo nel Signore che vi siano molti membri di queste sante Famiglie che, memori della loro santa vocazione e distinguendosi nell’esempio di tutte le virtù e per la larghezza del sapere, si sforzano – seguendo santamente le vestigia dei loro Padri fondatori – di lavorare nel ministero della salvezza e di diffondere ovunque il buon profumo di Cristo, tuttavia Ci rattristiamo di trovare alcuni che, dimentichi della loro professione religiosa e della loro dignità, si sono talmente allontanati dalle Regole assunte che, non senza un grandissimo danno degli stessi Ordini e dei Fedeli, mettono in mostra soltanto una parvenza e un atteggiamento di pietà, mentre poi contraddicono con la vita e i loro costumi la santità, il nome e l’abito degli stessi Istituti che hanno abbracciato. – Inviamo quindi a Voi, Diletti Figli, che siete alla guida di codesti Ordini, questa Lettera che vi annuncia la Nostra sollecita e premurosa volontà, riguardo a Voi e ai Vostri Ordini Religiosi, e la Nostra intenzione di restaurare la regolare disciplina. Questa decisione intende soltanto raggiungere, stabilire e portare a termine, con l’aiuto di Dio, tutto quello che può contribuire a difendere l’incolumità e la prosperità di ciascuna Famiglia Religiosa, per procurare il vantaggio dei popoli, estendere il culto di Dio e accrescere sempre più la Gloria di Dio. Infatti nell’opera di rinnovamento della disciplina dei vostri Ordini, il Nostro intento e il Nostro desiderio sono di poter avere dagli stessi Ordini operai attivi e diligenti, che si distinguano non soltanto per la pietà, ma anche per la sapienza, perfetti uomini di Dio, preparati ad ogni iniziativa buona, in modo che possiamo usare della loro opera nel coltivare la vigna del Signore, nel propagare la fede cattolica, specialmente fra i popoli infedeli, e nel curare i gravissimi problemi della Chiesa e di questa Sede Apostolica. Affinché poi si realizzi prosperamente e felicemente un’impresa di tanta importanza per la religione e per gli stessi Ordini Regolari, come è grandissimo desiderio di tutti, e si raggiunga l’effetto auspicato, ripercorrendo le vestigia dei Nostri Predecessori abbiamo istituito una speciale Congregazione dei Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, che abbiamo denominata “Dello Stato degli Ordini Regolari“, affinché questi Nostri Venerabili Fratelli con la loro singolare sapienza, con la loro prudenza, con il loro consiglio e con la loro esperienza nell’operare Ci diano una mano in un’impresa tanto importante. – Ma a compartecipare a quest’opera chiamiamo anche Voi, Figli Diletti, e ardentemente Vi ammoniamo, esortiamo e scongiuriamo nel Signore di voler collaborare attivamente in questo Nostro lavoro, affinché il Vostro Ordine Religioso rifulga della pristina dignità e del primitivo splendore. Pertanto, per il posto che occupate, per l’ufficio di cui siete stati insigniti, non lasciate nulla di intentato affinché i Religiosi a Voi soggetti, meditando seriamente sulla vocazione alla quale sono stati chiamati, degnamente camminino in essa e si adoperino ad osservare sempre religiosamente quei voti che un tempo hanno fatto a Dio. – Provvedete con ogni vigilanza che essi, seguendo le vestigia insigni dei loro Maggiori, custodendo la santa disciplina, avversando completamente gli allettamenti del mondo, gli spettacoli e le occupazioni cui hanno rinunciato, si dedichino incessantemente alla preghiera, alla meditazione delle cose celesti, allo studio e alla lettura; si occupino della salvezza delle anime secondo le norme del proprio Istituto e, mortificati nella carne, ma vivificati nello spirito, si mostrino al Popolo di Dio modesti, umili, sobrii, benigni, pazienti, giusti, irreprensibili nell’integrità e nella castità, ferventi nella carità, degni di essere onorati per la sapienza, per non essere di offesa a chicchessia, ma in grado di mostrare a tutti l’esempio di buone opere, affinché chi è contrario si vergogni, non avendo nulla da dire contro di essi. Voi ben sapete di quale santità di vita e di quale ornamento di tutte le virtù devono risplendere coloro che, avendo rigettato radicalmente tutte le blandizie, le voluttà, gl’inganni e le vanità delle cose umane, hanno promesso e si sono consacrati a Dio soltanto e al culto di Dio, affinché il popolo cristiano, guardando a loro come in un nitidissimo specchio, ne tragga argomenti di pietà, di fede e di ogni virtù, onde percorrere le vie del Signore con passo sicuro. – E poiché lo stato e il decoro di ogni Religiosa Famiglia dipendono dalla oculata ammissione dei postulanti e dalla loro migliore formazione, Vi esortiamo caldamente di esaminare prima con cura l’indole, l’intelligenza, i costumi di coloro che vogliono entrare nella vostra Religiosa Famiglia e di investigare per quale deliberazione, con quale spirito e per quale ragione si sentano portati ad iniziare la vita religiosa. E allorché avrete conosciuto che essi nel disegno di abbracciare la vita religiosa non aspirano ad altro che alla gloria di Dio, all’utilità della Chiesa, alla salvezza propria ed altrui, dedicatevi con ogni cura e diligenza a quest’opera; cioè che nel tempo del probandato e noviziato siano educati piamente e santamente da ottimi Maestri, secondo le regole del proprio Ordine, e siano formati all’esercizio di ogni virtù e a vivere perfettamente la Regola di vita dell’Istituto che hanno abbracciato. E poiché fu sempre un particolare e illustre titolo di lode degli Ordini Regolari il favorire e coltivare lo studio delle lettere e illustrare la scienza delle cose divine e umane con tante opere dotte e laboriose, per questo Noi grandemente Vi invitiamo e Vi esortiamo a promuovere con la massima cura e solerzia la gestione degli studi e con ogni sforzo far sì che i vostri alunni si dedichino costantemente all’apprendimento delle lettere umanistiche e delle più severe discipline, specialmente quelle sacre, affinché essi per primi preparati nelle più sane e acute dottrine, sappiano affrontare le mansioni del proprio ufficio ed esercitare i sacri ministeri con fede e sapienza. Poiché grandemente desideriamo che tutti coloro che militano nel campo del Signore, tutti ad una sola voce rendano gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo e, perfetti nel medesimo sentimento e nel pensiero, siano solleciti nell’osservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace, Venerabili Fratelli, Noi Vi chiediamo che, uniti ai Vescovi ed al Clero secolare con strettissimo vincolo e patto di concordia e di carità, con somma unione di animi, niente Vi stia più a cuore che usare tutte le Vostre forze per l’opera del ministero, per l’edificazione del Corpo di Cristo, emulando sempre i migliori carismi. “Esistendo infatti un’unica Chiesa di Prelati Regolari e Secolari e di sudditi, sia esenti o non esenti, al di fuori della quale nessuno può salvarsi, e che hanno tutti lo stesso Signore, la stessa fede ed un unico Battesimo, è necessario che tutti coloro che appartengono allo stesso Corpo abbiano anche la stessa volontà e, come fratelli, siano sempre stretti dal vincolo della carità” . – Queste sono le esortazioni e gli ammonimenti che abbiamo voluto esprimere con questa Nostra Lettera, affinché comprendiate quanta benevolenza nutriamo per Voi e le Vostre Religiose Famiglie e con quanta sollecitudine vorremmo provvedere alla conduzione, all’utilità, alla dignità e allo splendore delle Vostre comunità. Non dubitiamo che anche Voi, per la Vostra esimia pietà, virtù, prudenza e per il grandissimo amore verso il Vostro Ordine, sarete santamente orgogliosi di rispondere pienamente ai Nostri desideri, alle Nostre cure e ai Nostri consigli. – Con questa fiducia e con questa speranza, e come testimonianza della Nostra particolarissima benevolenza e carità verso Voi e tutti i Religiosi Vostri Confratelli, impartiamo a Voi, Diletti Figli Religiosi, e ad essi, con tutto il cuore, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 17 giugno 1847, anno primo del Nostro Pontificato.

DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2018)

… véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos!!!

DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLVI:2.  Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Ps XLVI:3 Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis: Rex magnus super omnem terram. [Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.] Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. [O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Oratio

Orémus. Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas. [O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VI :19-23

“Fratres: Humánum dico, propter infirmitátem carnis vestræ: sicut enim exhibuístis membra vestra servíre immundítiæ et iniquitáti ad iniquitátem, ita nunc exhibéte membra vestra servíre justítiæ in sanctificatiónem. Cum enim servi essétis peccáti, líberi fuístis justítiæ. Quem ergo fructum habuístis tunc in illis, in quibus nunc erubéscitis? Nam finis illórum mors est. Nunc vero liberáti a peccáto, servi autem facti Deo, habétis fructum vestrum in sanctificatiónem, finem vero vitam ætérnam. Stipéndia enim peccáti mors. Grátia autem Dei vita ætérna, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

Omelia I

[Mons. Bonomelli, Omelie, vol. III, omelia XV.-Torino 1899]

Parlo da uomo, secondo la vostra naturale debolezza: siccome offriste le vostre membra a servire alla immondezza ed alla iniquità per la iniquità, così ora fate di offrirle alla giustizia per la santificazione. E invero, quando eravate servi del peccato, eravate franchi dalla giustizia. Ora qual frutto ricavaste da quelle opere, delle quali ora arrossite? Perché termine di quelle è la morte. Ma ora affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per termine la vita eterna. Perché lo stipendio del peccato è morte; ma il dono di Dio è vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore„ (Ai Rom. VI, 19-23).

L’omelia, che tengo, come sapete, si riduce costantemente ad un commento del Vangelo o della Epistola della Domenica corrente. Questo metodo ha il vantaggio di seguire l’esempio dei Padri, di rispondere alla lettera ed spirito della prescrizione tridentina, di esporre l’insegnamento divino della Scrittura, ma non va immune da alcune difficoltà, delle quali la principale è questa: il testo del Vangelo o della Epistola, che si legge nella santa Messa, è tolto qua e là da uno dei quattro Vangeli e dalle Lettere apostoliche. Naturalmente staccato dagli antecedenti e dai conseguenti, raro è che presenti un tutto insieme, che stia da sé e si possa comprendere separatamente dal contesto, e ciò specialmente quanto alla Epistola. Se voi vedete un ramo tagliato dal suo albero, per giudicarne siete obbligati di guardare all’albero, dal quale fu tagliato. Così avviene a me nella spiegazione in particolar modo della Epistola; per conoscere debitamente il senso della parte, che riferisco, sono obbligato a vedere ciò che precede il testo, affine di seguire il filo del ragionamento e trovare il nesso che congiunge le parti. – Scopo dell’apostolo Paolo in questo capo sesto della lettera ai Romani è di mostrare che il battezzato ha l’obbligo di vivere una vita nuova, la vita di Cristo, rimovendo la vita dell’uomo vecchio, la vita del peccando. Svolgendo questa verità, S. Paolo si avvia ad una applicazione pratica bellissima, e dice che tutto quello che in noi servì di strumento alle passioni ed al peccato prima del Battesimo, deve servire a strumento di virtù dopo il Battesimo: come prima eravamo servi del peccato, cosi dopo dobbiamo essere servi della giustizia. E qui comincia il testo dell’Apostolo, che avete udito e che deve formare il soggetto della presente omelia. – “Parlo secondo uomo per la vostra naturale debolezza: perché siccome offriste le vostre membra a servire alla immondezza ed alla iniquità, così or fate di offrirle alla giustizia per la santificazione. „ Vi ho detto, che voi col Battesimo siete diventati servi della giustizia: Servi facti estis justitiæ. Questa parola “servi”, soggiunge l’Apostolo quasi scusandosi, vi torna grave e quasi vi offende, perché l’essere servi importa l’aver perduto ciò che l’uomo ha di più alto e di più caro, la libertà; ma ho dovuto usare questa parola, non avendone altra a mano e che risponda alla cosa. Sono costretto a parlare così per la povertà del nostro linguaggio e per farmi intendere come meglio posso, e voi o Romani, non offendetevi della parola “servi” “Humanum dico, propter infìrmitatem carnis vestræ”. – Fors’anche questa frase Humanum dico, può significare: vi dico cosa piana affatto, naturale, facile ad intendersi. E qual è? Finché voi vivete nel peccato, seguendo le vostre passioni, voi foste servi delle stesse e portaste il loro giogo vergognoso. Le vostre membra furono strumento al peccato, gli occhi, le orecchie, la lingua, le mani, i piedi, tutto il vostro corpo, che altro fecero se non servire in mille modi al peccato? Voi, che disprezzate il servo e non volete essere servi di chicchessia, pure serviste ad ogni turpitudine, “Immunditiæ”, ad ogni iniquità in guisa di precipitare da iniquità in iniquità: Iniquitate in iniquitatem, ora non dovete aver vergogna d’essere servi della giustizia, della virtù, affine di santificarvi. Udite il commento che questa sentenza ci lasciò un Padre della Chiesa: “Con queste parole San Paolo vuole che i suoi lettori arrossiscano di se stessi, affinché facciano per la virtù quello che prima fecero pel vizio, quasi dicesse: prima i vostri piedi correvano al delitto, ora corrano alla virtù; prima le vostre mani si allungavano per rapire l’altrui, ora si stendano per largheggiare del vostro; prima i vostri occhi si volgevano intorno per bramare d’avere l’altrui, ora si volgano intorno per soccorrere i poverelli, e quel servizio che ciascun membro del vostro corpo prestò ai vizi, ora lo renda alle virtù, e se un tempo corse dietro a sozzi piaceri, ora batta le vie della castità e della santità. „ Vi torna amara questa parola” servi della giustizia, „ – “Servi facti estis justitiæ”; non la vorreste udire, perché vi sembra un oltraggio alla vostra dignità; ma ricordatevi di quel tempo, nel quale “eravate servi del peccato, ed eravate franchi, cioè liberi del giogo della giustizia: “Cum servi essetis peccati, lìberi fuistis justitiæ”. – Qui è necessario spiegare più largamente il pensiero dell’Apostolo. Vi è il bene, vi è il male; vi è la virtù, vi è il vizio; vi è la legge di Dio, vi è la legge del mondo e della carne: noi siamo posti tra la legge di Dio e la legge del mondo, tra il vizio e la virtù, tra il bene ed il male: dobbiamo necessariamente appigliarci all’uno od all’altro; lo starcene indifferente è impossibile e vorrebbe dire, se pure fosse possibile, che ci gettiamo dalla parte del male, del vizio e del mondo, perché chi non è con Cristo è contro di Lui. È dunque condizione assoluta dell’uomo il servire al bene od al male, al vizio od alla virtù, a Dio o al mondo; è la sua stessa natura, che l’obbliga a mettersi dall’una o dall’altra parte, a scegliere d’essere servo di Dio o del mondo, del peccato o della giustizia. Per quanto gli spiaccia questa parola servire, non è in poter suo sottrarsi a questa legge sovrana. Ora fino al giorno nel quale avete creduto a Cristo e avete ricevuto il battesimo, a chi avete voi servito? domanda l’Apostolo. Al peccato: Cum servi essetis peccato. Servendo al peccato, per fermo non servivate alla giustizia, eravate sciolti e franchi dal suo giogo: ora vi sembra, così argomenta l’Apostolo, che sia più degno dell’uomo servire al peccato od alla giustizia? Poiché vi è pur forza piegare il collo sotto il gioco dell’uno o dell’altra, chi non vede che è meglio servire alla giustizia che al peccato? – Strana e quasi incredibile contraddizione quella dell’uomo! Egli ha una tendenza innata, che gli fa considerare come nemico chiunque metta un limite alla sua indipendenza, e come un diritto sacro inalienabile quello di usare come meglio gli piace della sua libertà. Egli non vede che i suoi diritti e la sua libertà; di doveri e di dipendere non ama che gli si parli e volentieri li dimentica. Che cosa è la libertà debitamente intesa? È il potere di usare delle proprie forze, di fare o non fare certi atti, di non essere impedito nell’esercizio delle sue facoltà e de suoi diritti. Ora si può essa comprendere questa libertà dell’uomo senza il dovere di rispettare i diritti altrui, ossia la libertà altrui? Evidentemente, no. Intorno ad ogni uomo vi sono altri uomini, che hanno diritti eguali ai suoi, e vi sono libertà che limitano la sua, giacché dove comincia la libertà degli altri cessa la nostra. Al di sopra di lui vi è l’autorità civile e politica con le sue leggi: vi è la Chiesa con le sue leggi, e al di sopra della civile autorità e della Chiesa vi è Dio, il Padrone assoluto di tutti. In faccia ai diritti dei suoi simili, in faccia alle autorità umane, alla Chiesa, a Dio, che a tutti sovrasta, qual è il dovere d’ogni uomo? Che uso deve egli fare della sua libertà? L’uso ch’egli deve fare della sua libertà è quello di sottoporla a chi ha diritto d’averla a sè sottoposta. Allora essa è al suo posto, usa debitamente delle sue forze e con l’adempimento esatto dei suoi doveri si mostra rispettosa pei diritti altrui ed è vera libertà. – Come sarei felice se potessi farvi comprende che la libertà vera sta riposta, non già nel fare ciò che a noi piace, sia bene, sia male, ma solamente nell’adempire i nostri doveri e fare il bene, che solo veramente ci giova! L’occhio per vedere deve dipendere dalla luce, i polmoni per respirare devono dipendere dall’aria, il sangue per fare il suo giro deve dipendere dal cuore e così via via dite di tutte le membra del corpo, ciascuna delle quali più o meno dipende dalle altre. Oltre che direste voi se col pretesto di voler piena libertà l’occhio respingesse la luce, i polmoni non volessero aver che fare coll’aria, il sangue rigettasse ogni dipendenza dal cuore ed ogni membro rifiutasse sottostare all’altro e volesse fare da sé? Avremmo il disordine più perfetto e la morte. È la dovuta dipendenza quella che crea e mantiene la libertà di ciascun membro del nostro corpo: così la legittima dipendenza, o in altre parole l’adempimento perfetto dei nostri doveri verso i nostri simili, verso tutte le autorità e sovra tutto verso Dio quello che ci dà ed assicura la nostra vera libertà, e in questo senso Cristo disse, che chi commette il peccato è schiavo del peccato, e quegli è libero chi è liberato da lui. Dunque, o cari, non confondiamo le cose, non diamo il santo nome di libertà alla schiavitù, né col brutto nome nome di schiavitù vogliamo designare la vera libertà. Schiavo è colui che ubbidisce alle passioni, che serve al peccato; libero invece è quegli che frena le passioni, caccia da sé il peccato e serve alla giustizia ed alla virtù, perché l’uomo di sua natura è fatto per servire alla virtù e non per servire al peccato. – Vi è un figliuolo: egli rifiuta di ubbidire ai suoi genitori ed ubbidisce ad un servo, al quale deve comandare, vantandosi d’essere libero di così fare. Direte voi che questo figliuolo è veramente libero? Voi direte che è libero il figliuolo che ubbidisce ai suoi genitori e comanda al suo servo, perché così vuole la giustizia e l’ordine. Similmente noi diremo che chi respinge il giogo del peccato e serve a Dio, suo Padre, e a cui servire è regnare, è veramente libero. Deh! Carissimi cessiamo dal chiamare luce le tenebre e le tenebre luce, libertà la schiavitù e la schiavitù libertà. Siamo servi della giustizia, servi di Dio, e saremo liberi dal peccato e franchi dal mondo. Forse non mai nel corso dei secoli si parlò tanto di libertà come ai nostri tempi e forse non mai se n’ebbe un’idea sì confusa e sì falsa. Quanti al giorno d’oggi credono ci sia libertà vera fare ciò che piace, sia bene sia male! Quanti che vogliono per sé la libertà più sconfinata, non badando che questa importa la violazione dell’altrui libertà! Siffatta libertà metterebbe il mondo sossopra e produrrebbe la più brutta schiavitù. Ricordatelo bene: la libertà vera secondo la ragione e secondo il Vangelo, è rispettare e osservare le leggi di Dio, della Chiesa e di tutte le autorità anche civili: libertà vera è adempiere ciascuno i propri doveri, rispettando i diritti degli altri. Voi, ne sono certo, vi atterrete a questa legge, e così sarete veramente liberi. – Seguitando ora il nostro commento, vedete come l’Apostolo rincalzi a meraviglia la verità sopra accennata, vale a dire che dobbiamo essere servi della giustizia, e non del peccato. “Qual frutto aveste allora da quelle opere delle quali ora arrossite? „ Un tempo, così S. Paolo, prima di ricevere il battesimo, eravate servi del peccato, facevate le opere del peccato: ora, illuminati dalla verità, considerando quelle opere, non è vero che vi sentite salire sul volto la fiamma della vergogna? Non è vero che sentite tutta la vergogna di quel vituperoso servaggio? Ecco una prova indubitata che il servire al peccato non è libertà, ma servitù indegna, perché se fosse libertà non ne avremmo vergogna, anzi ne andremmo alteri. – Non solo il servire al peccato ci fa vergognare, continua l’Apostolo, ma vi è ben peggio: “Termine, ossia frutto delle opere del peccato è la morte, „ Finis illorurn mors est. Quale morte? La morte eterna! Bando adunque al servaggio del peccato, che dopo averci coperto di vergogna, spesso agli occhi del mondo, sempre a quelli della coscienza e di Dio, ci getta in braccio alla morte eterna. Bando al servaggio del peccato, che ci disonora ed uccide l’anima! – Che faremo dunque? “Sciolti o affrancati dal peccato e divenuti servi di Dio, avete per frutto la santificazione e per termine la vita eterna. „ In questo versetto S. Paolo ha condensato i doveri tutti dell’uomo nel tempo ed il suo destino nella eternità: romperla con le passioni e con il loro frutto, il peccato, santificarsi con l’esercizio della virtù e così toccare la meta ultima, il conseguimento della vita eterna: Finem vero vitam æternam. – Il versetto che segue, ultimo del capo e ultimo della nostra lezione è, possiam dire, la ripetizione di quello che abbiamo spiegato: “Perché lo stipendio del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore.„ L a parola stipendio qui adoperata, è tolta dall’uso militare e per sé significa il soldo che si dava qual mercede al soldato. Sì, sembra gridare l’Apostolo: se voi servirete alle passioni, al peccato, e come soldati militerete sotto la sua bandiera, avrete anche dal peccato la mercede dovuta alla vostra miserabile milizia: il vostro stipendio sarà la morte eterna. Volgerete voi le spalle al peccato?” Correrete sotto la bandiera della giustizia e combatterete animosamente per essa? Il vostro stipendio, !a vostra mercede sarà il dono di Dio, che è la vita eterna: autem Dei, vita æterna, e questa la dovrete ai meriti di Gesù Cristo. – Questa sentenza di S. Paolo ci presenta una difficoltà, ed è questa: S. Paolo ci insegna ripetutamente in altri luoghi, che la vita eterna è corona dovuta a chi combatte e vince: è mercede dovuta a chi lavora e dovuta rigorosamente per giustizia: Gesù Cristo stesso ci dice di rallegrarci, perché grande ed abbondante è la mercede, che ci è riserbata in cielo; ora come sta che qui S. Paolo la chiama dono o grazia di Dio? Gratia autem Dei, vita æterna? Se è grazia, non è mercede: se è mercede non può essere grazia. Forsechè l’Apostolo bruttamente contraddice a se stesso? L’Apostolo certamente non può contraddire a se stesso, e la risposta non è difficile. La vita eterna è mercede di giustizia dovuta alle opere nostre: Dio non può negarla a chi opera rettamente. Ma come, con qual mezzo facciamo noi le opere meritevoli della vita eterna? Col mezzo della grazia che Dio ci ha data. E la grazia, la prima grazia, è essa nostra, o dono di Dio? La grazia, la prima grazia non è opera nostra, non la possiamo in alcun modo meritare, ed è dono della bontà divina. La vita eterna pertanto considerata nella sua radice, che è la grazia, è dono di Dio affatto gratuito: considerata nelle opere, frutto della grazia e della nostra corrispondenza alla medesima, è mercede: corona a noi dovuta. Volete comprendere questa verità con una similitudine comunissima, che tolgo dal Vangelo e precisamente dalla parabola dei talenti? Udite. Un ricco signore vi dà una grossa somma da trafficare a vostro talento. Che diritto avete voi a quella somma? Nessuno: essa è dono, ch’egli vi fa per sola sua bontà. Voi trafficate e fate con quella somma, mercé della vostra industria un grosso guadagno. Quel guadagno è frutto delle vostre fatiche e insieme del dono ricevuto da quel generoso signore, ed io potrei dire il vostro guadagno è dono del signore ed anche che è mercede delle vostre fatiche, perché l’una e l’altra cosa è egualmente vera: così è vero il dire, che il cielo è grazia e dono di Dio, ed è vero altresì, che è mercede e ricompensa delle nostre fatiche, perché per guadagnarlo è necessaria la grazia di Dio e necessaria l’opera nostra, e se l’uno o l’altra fa difetto, è impossibile ottenerlo.

Graduale Ps XXXIII:12; XXXIII:6

Veníte, fílii, audíte me: timórem Dómini docébo vos. – V. Accédite ad eum, et illuminámini: et fácies vestræ non confundéntur. [Venite, o figli, e ascoltatemi: vi insegnerò il timore di Dio. V. Accostatevi a Lui e sarete illuminati: e le vostre facce non saranno confuse.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps XLVI:2 Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. Allelúja. [O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt VII:15-21 “In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Atténdite a falsis prophétis, qui véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos. Numquid cólligunt de spinis uvas, aut de tríbulis ficus? Sic omnis arbor bona fructus bonos facit: mala autem arbor malos fructus facit. Non potest arbor bona malos fructus fácere: neque arbor mala bonos fructus fácere. Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum, excidétur et in ignem mittétur. Igitur ex frúctibus eórum cognoscétis eos. Non omnis, qui dicit mihi, Dómine, Dómine, intrábit in regnum coelórum: sed qui facit voluntátem Patris mei, qui in cœlis est, ipse intrábit in regnum cœlórum.”

Omelia II

[Mons. G. Bonomelli, ut supra, Omelia n. XVI]

 “Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in sembianze di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Voi li riconoscerete dai loro frutti. Si colgono forse uve dalle spine o fichi dai triboli? Così ogni albero buono fa frutti buoni, ma l’albero tristo fa frutti tristi. Non l’albero buono fa frutti tristi, né l’albero tristo fa frutti buoni. Ogni  albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco. Voi dunque li riconoscerete dai loro frutti. Non chiunque dirà: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, quegli entrerà nel regno dei cieli „ (S. Matteo, VII, 15-21).

In questi sette versetti, che parola per parola ho reso nella nostra lingua, voi avete il tratto dell’Evangelo, che or ora si è letto nella S. Messa, e che si trovano precisamente nel capo VII di S. Matteo. Queste sì belle e sì pratiche sentenze fanno parte di quel maraviglioso discorso, detto del monte, nel quale Gesù Cristo compendiò la sostanza tutta del suo insegnamento morale. Nei quattordici versetti che precedono la nostra lezione Gesù Cristo ci vieta di giudicare i nostri fratelli e vuole che prima di correggere gli altri, badiamo ad emendare noi stessi: poi ricorda di non dare le cose sante agli indegni, inculca la preghiera e ne mostra la efficacia, e dopo aver detto che la via della salute è stretta, e larga quella della perdizione, ci mette in guardia contro i corruttori della verità, contro i maestri d’errore, che si atteggiano ad annunziatori della dottrina evangelica. Voi vedete, o cari, che se questo ammonimento era necessario al tempo di Gesù Cristo, oggi è senza confronto più necessario, perché i seminatori di scandali e di perverse dottrine di dieci tanti sono cresciuti. Un padre amoroso, che ha dato ai suoi cari figliuoli un grande tesoro; che da una parte vede la loro inesperienza, e dall’altra conosce le arti e le insidie dei tristi, che faranno ogni prova per ispogliarli, con grande insistenza raccomanda loro di stare in sull’avviso e di custodire con ogni diligenza il tesoro ricevuto. Qual cosa di questa più naturale? È ciò che fa Gesù Cristo nel Vangelo: dopo aver annunziato le più sublimi verità morali agli Apostoli ed alle turbe che l’ascoltavano, troppo bene conoscendo i pericoli che li circondavano, disse: “Guardatevi dai falsi profeti „ Attendite a falsìs prophetis. Voi sapete che la parola profeta ha vari significati nei Libri santi: ora significa uomo che annunzia cose future, ora uomo pio e virtuoso, ora uomo operatore di miracoli, ora semplicemente maestro delle cose sacre; questa parola nel testo che ci sta innanzi, è presa in quest’ultimo senso, come è chiaro. Ma come vi sono maestri buoni e maestri cattivi, uomini veramente pii e uomini ipocriti, così vi sono profeti veri e profeti falsi, maestri di verità e maestri di errori, e se dobbiamo ascoltare quelli, a questi dobbiamo chiudere le orecchie e, fuggirli, onde Gesù Cristo ci grida: “Guardatevi dai falsi profeti. „ Chi sono questi falsi profeti o maestri designati da Gesù Cristo? Erano gli scribi, i farisei, che facevano opera di allontanare da Lui la gente, che mettevano in mala voce la sua dottrina: erano gli eretici, gli scismatici, e tutti quelli che prevedeva sarebbero sorti nel corso dei secoli ed avrebbero tentato di rapire e corrompere il deposito della fede. Miei cari! ponetevi bene nell’animo queste verità: finché dura il presente stato di prova (e durerà fino alla fine dei tempi), durerà altresì la lotta tra il bene ed il male, tra il vizio e la virtù, tra la dottrina di Gesù Cristo e le massime false del mondo. Come l’ombra segue sempre il corpo e la malattia cammina a fianco della sanità, pronta ad assalirla, così accanto alla verità sta sempre l’errore, e mescolati con i maestri del Vangelo, si vedono sempre i suoi corruttori. Vi fu mai tempo, o paese sì privilegiato, che ne fossero al tutto immuni? No: con il buon grano più o meno crescono le male erbe, con il frumento si vede la paglia e con i maestri della verità sono frammisti i maestri dell’errore, i falsi profeti. Ed oggidì, che vediamo noi? Forse non mai nei passati tempi si videro tanti maestri d’errori, tanti e sì scaltri seduttori, quanti ne vediamo nel nostro. Essi spargono il veleno delle loro massime nei libri, nelle figure, a voce, in iscritto, in pubblico, in privato, nelle scuole, nelle adunanze e nelle conversazioni, in tutti i modi, liberamente!… Oh quanti maestri d’errore sono sparsi dovunque! Quanto veleno di dottrine false e di corruzione si versa dovunque, a piene mani, impunemente con rovina estrema di innumerevoli anime! La terra tutta ne è inondata. Che possiamo far noi, ministri della Chiesa? Noi non possiamo far altro che ripetere a voi tutti il grido doloroso di Gesù Cristo: “Guardatevi, guardatevi dai falsi profeti; „ ma specialmente poi da quelli “che vengono in sembianze di pecore e dentro sono lupi rapaci. „ – I maestri dell’errore si possono partire in due classi: quelli che scopertamente insegnano l’errore e si studiano di corrompere i costumi, e quelli che lo fanno copertamente. Ciascun vede che, se sono pericolosi e da fuggirsi i primi, lo sono maggiormente i secondi, perché con questi siamo meno cauti e più facilmente possiamo essere vittime delle loro insidie. Tali sono, o cari, certi libri, che nascondono il veleno di dottrine irreligiose e corruttrici; certi romanzi, che accendono il fuoco di laide passioni senza averne l’apparenza; tali sono certi maestri, che si danno l’aria di rispettare la religione, perché non ne parlano mai, perché si atteggiano ad indifferenti, perché lasciano altrui la piena libertà di praticarla, come se questa indifferenza non fosse per se stessa un’offesa alla Religione. E non offende gravemente i genitori quel figlio, che tratta con essi come con gli estranei, che non adempie con essi i suoi più sacri doveri? “Guardatevi dai falsi profeti, dice Cristo, e specialmente da quelli che si coprono della pelle di pecora e sono lupi rapaci. „ Guardatevi! E che dobbiamo fare per adempire questo precetto imposto da Cristo e che ha la sua radice nella natura stessa, giacché la stessa natura ci obbliga a scansare ogni pericolo di male che ci minacci, e pericolo di male gravissimo è senza dubbio il vivere in mezzo ai falsi profeti? Dobbiamo uscire da questo mondo? Dobbiamo separarci da ogni convivenza sociale? Rinunciare ai nostri uffici? Ridurci nella solitudine d’un chiostro? No, non si esige tanto. Varie sono le condizioni nelle quali ciascuno di noi si può trovare e vari i pericoli, che possiamo correre in questo mondo pieno di scandali e di errori. Faccia ciascuno del suo meglio per sfuggire a questi scandali, per cessare questi errori, e quando non è in poter suo cessare i pericoli e chiudere le orecchie ai falsi profeti, quali che essi siano, preghi fervidamente Iddio, confidi in Lui, ed Egli non permetterà mai che sia messo a prova superiore alle sue forze. “Guardatevi dai falsi profeti! „ Sì, o Signore, noi ce ne guarderemo, come voi comandate e come richiede la carità che dobbiamo a noi stessi. Ma come conoscerli con sicurezza, se Voi stesso dite che si possono nascondere sotto la pelle di pecora? Qual segno ci date per distinguerli? Udite la risposta del divino Maestro : “Voi li riconoscerete dai loro frutti. Forse si colgono le uve dalle spine, o i fichi dai triboli? Così ogni albero buono porta buoni frutti, ma l’albero tristo dà tristi frutti. „ Il segno per distinguere i maestri di verità dai maestri d’errore, per sentenza di Cristo, è guardare ai frutti, alle opere: se queste son buone, buono è il maestro; se cattive, cattivo è il maestro e non ascoltatelo. Questa regola dataci da Gesù Cristo non è immune da alcune difficoltà, che è prezzo dell’opera esaminare e sciogliere. Gesù Cristo, al principio di questo capitolo dice: ” Non vogliate giudicare affinché non siate giudicati, „ ed è sentenza ripetuta dall’Apostolo Paolo e scaturisce dal sentimento della nostra debolezza ed ignoranza e più ancora dalla legge della carità, la quale non vuole che apriamo l’animo nostro ad alcun sospetto sinistro che offenda il prossimo; come va dunque che in questo luogo, Gesù comanda di scrutare bene la condotta di chi annunzia la parola di Dio, e vedere se le loro opere siano conformi alla loro dottrina? Non è questo un dubitare della loro condotta? Non è questo un costituirci loro giudici contro la sentenza di Gesù Cristo stesso, che proclamò: “Non vogliate giudicare affinché non siate giudicati? „ Per fermo Gesù Cristo non può in questo luogo comandare ciò che vieta più sopra in questo stesso capo. Noi non dobbiamo mai giudicare il prossimo e nemmeno dubitare della sua onestà e bontà, quando non abbiamo motivo ragionevole di ciò fare, come senza motivo ragionevole non possiamo né correggerlo, né fuggire la sua compagnia; ma allorché si tratta di conoscere se questi è maestro di verità o maestro d’errore, e per conseguenza si tratta di cosa gravissima, che interessa la mia salute eterna, non solo posso, ma devo esaminare ed investigare accuratamente e giudicare se mi sia lecito od illecito porgergli orecchio. La carità che devo avere con altri e verso di me giustifica pienamente il mio giudizio, e sarei imprudente e colpevole se non lo facessi. Se in questi casi io non avessi il diritto di mettere alla prova dei fatti la dottrina che mi si annunzia, io sarei obbligato di credere a chiunque mi si presenti e mi dichiari che mi annunzia la verità, e diventerei necessariamente la vittima di qualunque apostolo di errore. A che mi varrebbe la ragione datami da Dio se non l’adoperassi per conoscere la verità ed abbracciarla, per conoscere l’errore e respingerlo? Dunque io non offendo la carità, anzi rendo omaggio alla carità quando, per amore della verità, sottopongo alla prova della ragione i titoli che un uomo mi mette innanzi per ottenere il mio assenso. – Ben è vero poi, o cari, che questo giudizio nostro vuol essere fatto con prudenza, con discernimento, chiedendo lume a chi per senno ed autorità spetta darcelo e può guidarci al conoscimento della verità. Dove l’autorità legittima ha pronunciato il suo giudizio, noi possiamo e dobbiamo ad esso acquetarci; ma prima del suo giudizio è forza seguire quello della nostra ragione e porre ogni studio affinché esso sia retto. Un’altra difficoltà, e certo non spregevole, ci si fa innanzi a proposito di questa regola dataci da Gesù Cristo, per discernere i maestri di verità dai maestri d’errore: “Voi li riconoscerete dai loro frutti, „ cioè la loro vita, le loro opere saranno la prova della dottrina che insegnano. “Forseché, direte, i ministri della Religione sono impeccabili? Gesù Cristo non disse forse, accennando ai maestri d’Israele: Fate quel che vi dicono, non ciò che essi fanno? Con queste parole ci fece intendere, che talvolta gli uomini possono tenere una condotta che contraddice alla verità, che insegnano. E noi stessi non vediamo talora la vita e le opere dei sacri ministri condannate dalla dottrina che predicano? E non conosciamo persone, che vivono onestamente ed hanno voltate le spalle al Vangelo di Gesù Cristo e lo combattono? Come dunque il Salvatore può dirci: Volete conoscere la verità d’una dottrina? Guardate alle opere di coloro che la promulgano: se le loro opere sono buone, buona è la dottrina; se cattive, cattiva altresì è la dottrina, “perché l’albero buono dà buoni frutti, e l’albero cattivo fa cattivi frutti. „ Guai a noi se le opere dei sacri ministri fossero sempre il criterio sicuro ed infallibile della verità della dottrina per loro insegnata! Come dunque è da intendere questa regola evangelica proposta da Gesù Cristo istesso? Questa regola non si vuole applicare costantemente a tutti ed a ciascun maestro: se così fosse, sarebbe fallace ed erronea, perché  è manifesto che un cattivo ministro può annunziare le più sante verità, come Caifa fu profeta, eppure consigliò di uccidere Cristo, anzi pronunciò solennemente contro di Lui la sentenza di morte, e un ministro dell’errore può avere una condotta morale buona, un miscredente può esercitare alcune virtù talvolta meglio di certi credenti. Gesù Cristo adunque ci dà questa regola per discernere i veri dai falsi profeti, non in modo assoluto, ma generale, utile e buona nel maggior numero dei casi. Così noi pure diciamo: Non fidatevi degli adulatori ; né delle persone che parlano molto: vi tradiranno. Noi non intendiamo di dire che gli adulatori e le persone che parlano molto, tradiscano sempre e tutti, ma vogliamo dire soltanto che spesso tradiranno e non conviene fidarci di loro. Similmente Cristo volle dire: Guardatevi dai falsi profeti: voi li riconoscerete generalmente dalle opere loro, perché per lo più chi opera male insegna anche male, e il frutto mostra la qualità dell’albero. Considerando attentamente le parole di Cristo, penso che si possano intendere in un altro senso anche più chiaro e più conforme al contesto evangelico. Volete voi conoscere la bontà d’una dottrina qualunque? Guardate, non alla condotta di chi l’annunzia, ma alle conseguenze ed alle applicazioni pratiche della dottrina stessa. Vi sono certe dottrine che per se stesse producono frutti di sì rea e sì maligna natura, da farvene conoscere prontamente la falsità senza bisogno di lungo studio e di profondo esame. Per ragion d’esempio vi dicono: — Bisogna seguire gli istinti tutti della natura per essere felici: dopo la vita, presente non c’è più nulla, perché tutto finisce nel cimitero: tutte le religioni sono egualmente buone: ciascuno ha diritto di pensare e fare come gli piace, ed il proprio vantaggio è l’unica norma che devesi seguire: per salvarsi basta la sola fede senza le opere: l’uomo non ha libertà e tutto ciò che fa, lo fa necessariamente. — Voi comprendete tosto col solo lume della ragione, che codeste dottrine messe in pratica devono produrre i frutti più tristi per se stesse: non avete bisogno d’altre prove per giudicare falsi profeti quelli che le spacciano, e fuggirli a tutto potere. Come l’albero cattivo non può dare che frutti cattivi, così codesti maestri e codeste dottrine non possono dare che opere cattive. Carissimi! che giova dissimularlo? Al giorno d’oggi troppo spesso ci avviene di leggere sui libri e sui pubblici diari, o di udire nelle conversazioni, nei ritrovi, o dalle cattedre del pubblico insegnamento dottrine, che applicate distruggerebbero ogni idea di morale, di giustizia, di vizio o di virtù, di bene o di male, di vero o di falso, e rovescerebbero dalla base non solo ogni religione, ma l’ordine stesso domestico e sociale. Ebbene: voi, al solo leggere od udire siffatte dottrine, sapete qual giudizio sia da farne. I frutti che esse producono nell’individuo e nella società sarebbero malefici e fatali: dunque via queste dottrine e lungi da coloro che le diffondono: essi sono falsi profeti; le opere loro abbastanza li manifestano: Ex fructibus eorum cognoscetis eos. Cattivi i frutti, dunque cattivi anche gli alberi: Mala arbor malos fructus facit. Che farà Iddio di questi alberi cattivi, che non danno che frutti cattivi? Ciò che fa il contadino degli alberi che non danno frutti, o li danno bacati, acerbi, disgustosi, cattivi: li taglia, li sbarbica dal suolo, che inutilmente ingombrano, e li getta sul fuoco. Così Iddio: Egli, alla morte, getterà questi miserabili seminatori di dottrine perverse, pascolo alle fiamme eterne: Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum: excìdetur et in ignem mittetur. Chiosando questa sentenza terribile, Gesù Cristo pronuncia un’altra sentenza gravissima, con la quale si chiude la nostra omelia: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è ne’ cieli, quegli entrerà nel regno de’ cieli. „ Egli ha parlato di albero buono e di albero cattivo, di frutti buoni e di frutti cattivi, e che da questi si conosce la natura e la qualità dell’albero: ha detto che l’albero senza frutti buoni sarà inesorabilmente gettato pasto alle fiamme: ora Gesù Cristo insiste sulla necessità dei frutti, ossia delle opere buone, e queste si riducono a fare il volere divino, in altri termini, all’osservanza della legge divina. Allora, come anche al presente, vi erano molti, i quali praticamente mostravano di ridurre la religione alla fede, poco o nulla curando le opere, come se queste non fossero necessarie non meno della fede. Invocar Dio, recarsi al tempio, adempire le pratiche materiali della religione, offrire sacrifici, fare lunghe orazioni, prostrarsi dinanzi alla sua maestà e gridare : Signore, Signore; ecco la loro religione. Quanto poi alla mondezza del cuore, all’umiltà dello spirito, all’osservanza della giustizia, alla mortificazione delle passioni, all’amore del prossimo, in una parola, alle opere nelle quali si attua la vera Religione, non se ne davano pensiero: onoravano Dio, così Cristo nel Vangelo, con le labbra, ma il loro cuore era lontano da Dio. Ah! tutti costoro, grida il divino Maestro, non entreranno nel regno dei cieli. – Dilettissimi! io non vorrei che anche tra voi si trovasse qualcuno, al quale si potesse rivolgere il rimprovero e la minaccia di Cristo. Buone e sante cose sono frequentare la Chiesa, pregare, far pellegrinaggi ed osservare altre pratiche religiose; ma badate bene di non ingannarvi: queste sole non bastano: si domandano le opere della carità, la purezza del cuore, la vittoria delle nostre passioni, in una parola, la vita cristiana. Senza di questa, tutto il resto è apparenza, è pula che si porta via il vento, è fogliame lussureggiante, che non salverà l’albero, che se ne ammanta, dalla condanna al fuoco eterno.

Credo …

Offertorium

Orémus Dan III:40

“Sicut in holocáustis aríetum et taurórum, et sicut in mílibus agnórum pínguium: sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi: quia non est confúsio confidéntibus in te, Dómine”. [Il nostro sacrificio, o Signore, Ti torni oggi gradito come l’olocausto di arieti, di tori e di migliaia di pingui agnelli; perché non vi è confusione per quelli che confidano in Te.]

Secreta

Deus, qui legálium differéntiam hostiárum unius sacrifícii perfectione sanxísti: accipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica; ut, quod sínguli obtulérunt ad majestátis tuæ honórem, cunctis profíciat ad salútem. [O Dio, che hai perfezionato i molti sacrifici dell’antica legge con l’istituzione del solo sacrificio, gradisci l’offerta dei tuoi servi devoti e benedicila non meno che i doni di Abele; affinché, ciò che i singoli offrono in tuo onore, a tutti giovi a salvezza.]

Communio Ps XXX:3. Inclína aurem tuam, accélera, ut erípias me. [Porgi a me il tuo orecchio, e affrettati a liberarmi.]

Postcommunio

Orémus. Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et ad ea, quæ sunt recta, perdúcat. [O Signore, l’opera medicinale (del tuo sacramento), ci liberi misericordiosamente dalle nostre perversità e ci conduca a tutto ciò che è retto.]

 

LO SCUDO DELLA FEDE (XVIII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XVIII.

LA SANTISSIMA TRINITÀ.

È il più. profondo dei misteri. — In che consista. — La divina fecondità. — Le divine processioni. — Tre persone e un solo Dio. — Ciò è mistero, ma non assurdo.

— La fede cattolica insegna che Dio è uno e trino ad un tempo. Di questo mistero della Trinità non capisco proprio niente.

Sì, caro mio, la fede cattolica, in conformità a quello che Iddio ha lasciato scorgere ai profeti dell’antica legge e a quello che ha pienamente rivelato Gesù Cristo, ci insegna il mistero della santissima Trinità. Ed io ti avverto subito che questo mistero, il quale si può chiamare il fondamento di nostra santa Religione, è il più profondo dei misteri, che con la sola ragione non si può dimostrare, che anzi la mente umana non avrebbe mai potuto concepire, se Iddio non ce lo avesse rivelato. Basti il dire che S. Agostino col suo ingegno penetrante ed acutissimo lo fece oggetto di lunghissimi studi, senza speranza tuttavia di riuscire neppure a squarciare il gran velo che lo avvolge. – Io credo che tu sappia bene quel che si narra di lui in proposito. Un dì passeggiando sulla riva del mare, vide un fanciullo che, fatto un piccolo incavo nella sabbia, vi trasportava a cucchiaiate l’acqua e gli domandò che cosa voleva fare. Il fanciullo gli rispose che intendeva di mettere in quell’incavo tutta l’acqua del mare. S. Agostino sorrise e disse tosto al fanciullo che ciò era impossibile. Ma il fanciullo che era un Angelo del cielo, si fe’ tosto a soggiungergli: che era più facile far stare tutta l’acqua del mare in quell’incavo, che capire, come egli pretendeva, il mistero della Santissima Trinità.

— Dunque di questo mistero colla nostra ragione non possiamo farci alcuna idea?

Io non ho detto questo, e questo non è. Conla nostra ragione non possiamo né dimostrare, né conoscere questo mistero; tuttavia dopo che ci è stato rivelato e noi l’abbiamo appreso per fede, possiamo con la ragione, e specialmente per modo di analogia, formarcene un’idea come fecero appunto i più grandi geni del Cristianesimo.

— Allora amerei che mi dicesse anzitutto in che cosa propriamente consiste questo mistero.

Te lo dirò, ma tu acuisci la tua intelligenza. Ecco: il mistero della Santissima Trinità consiste in ciò che in un solo Dio vi sono tre Persone: Padre, Figliuolo e Spirito Santo, che ogni Persona è vero Dio, e non sono tuttavia tre dèi, che ogni Persona è realmente distinta dalle altre due, che queste tre Persone hanno relazioni tra di loro, un nome particolare, ed anche un ordine, per cui una è la prima, l’altra la seconda, l’altra la terza, che intanto sono tutte e tre uguali in perfezione e tutte e tre eterne.

— Ma per quale ragione tutte queste tre Persone divine si chiamano coi nomi di Padre Figlio e Spirito Santo?

Noi diamo il nome di padre a chi genera dei figli comunicando loro la sua stessa natura; diamo il nome di figlio a chi ha ricevuto con la esistenza la stessa natura o sostanza del padre, da cui si distingue; e diamo il nome di spirito o di alito, a ciò che emana da una persona o più persone, ed è da essa distinto. Or bene la prima Persona della Santissima Trinità si chiama Padre, perché esistendo da se stesso da tutta l’eternità, non essendo stato né creato, né generato da alcuno, genera da tutta l’eternità la seconda Persona, alla quale perciò diamo il nome di Figliuolo. E la terza Persona poi si chiama Spirito Santo perché da tutta l’eternità è prodotto dal Padre e dal Figliuolo, ossia emana, procede da essi, e da essi si distingue. Come vedi adunque le Persone della Santissima Trinità sono chiamate con i nomi di Padre, Figlio e Spirito Santo per l’analogia o somiglianza, che la nostra mente scorge tra i vicendevoli rapporti esistenti fra di esse, e il significato che questi tre vocaboli hanno nell’uso nostro comune di parlare.

— E come mai Iddio Padre genera un Figliuolo?

Vedi; ogni essere vivente su questa terra sia pure dotato di un sol fil di vita, possiede la fecondità, quella forza per cui riproduce degli altri esseri della sua stessa natura e della sua stessa specie. E così l’uccello riproduce l’uccello, il pesce il pesce, l’insetto l’insetto, la pianta la pianta, e l’uccello aquila riproduce uccelli aquile, il pesce spada pesci spada, l’insetto zanzara insetti zanzare, la pianta pesco piante peschi; insomma ogni generante riproduce esseri a sé uguali, non superiori, non inferiori, ma della stessa natura e specie, per guisa che il generato è come la continuazione del generatore e forma con esso una sola cosa. Ora questa fecondità, questa forza meravigliosa di riprodursi, che vi ha in tutti gli esseri viventi, da chi viene? Se tu dici dalla natura, ed io ti domanderò da chi l’ha ricevuta la natura e tu dovrai finire per rispondermi che l’ha ricevuta da Dio. Se Dio adunque è in fondo in fondo la causa della fecondità, che esiste in tutti gli essere viventi, e se l’effetto è necessariamente precontenuto, e con la massima perfezione, nella sua causa, bisogna conchiudere che anche Iddio è fecondo, che anch’Egli deve essere Padre, dal quale secondo la frase di S. Paolo, proviene ogni paternità in cielo e in terra (V. Lettera agli Efesini, capo III, versetto 15).

— Ma se Dio è fecondo, se Egli deve essere padre, perché non genera molti figliuoli, ma un solo?

La tua domanda è giustissima. Ed io ti rispondo che Dio Padre non può generare che un unico Figlio, perché essendo Egli essere infinito, nell’atto di generare spiega tutta quanta la sua attività infinita, e spiegando tutta la sua attività infinita deve naturalmente produrre la sua immagine perfetta, che non può essere che una sola, ed è l’unico Figliuolo di Dio.

— Dunque che il Padre generi il Figliuolo è una necessità?

Senza dubbio. Il Padre, sebbene con infinito gaudio della sua volontà generi il Figlio, tuttavia non può far a meno di generarlo, come pure è una necessità che Padre e Figlio producano lo Spirito Santo.

— E come avviene ciò?

Non so se arriverai bene a capirlo. Te lo dirò nondimeno nei termini più chiari e precisi. Il Padre conoscendo perfettamente sé medesimo deve formare nello stesso tempo una immagine perfettissima di sé, e questa immagine siccome origina dalla intelligenza ossia dalla conoscenza, che il Padre ha di se stesso, perciò si chiama il Verbo, ossia la sua parola, il suo pensiero. Questo Verbo, che è generato per tal guisa dalla intelligenza del Padre è il Figliuolo. Siccome poi il Padre, vedendo il suo Figliuolo, in tutto perfettissimo al pari di lui, con la sua volontà sentesi indotto ad amarlo, e il Figliuolo vedendo il suo Padre sentesi indotto ad amare Lui, amandosi vicendevolmente spirano l’uno verso l’altro un soffio di amore, che è infinito al pari delle due Persone, da cui procede. E questo amore distinto dalle due Persone,  che lo producono, forma la terza Persona, ossia lo Spirito Santo. Per tal modo si compiono nell’Essere divino due processioni interne: l’una, quella con cui il Figlio è generato dal Padre, per modo d’intelletto, l’altra, quella per cui lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio per modo di amore. Perciò il Padre si chiama anche Genitore, il Figliuolo Unigenito, lo Spirito Santo Procedente, come si canta nella seconda strofa del Tantum ergo.

— E questi nomi di Padre, Figliuolo e Spirito Santo li ha inventati la Chiesa?

No, essi ci furono appresi dallo stesso Gesù Cristo, quando prima di ascendere al cielo comandò agli Apostoli di battezzare tutti gli uomini « nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo (Vedi Vangelo di S. Matteo, capo XXVIII, versetto 19).

— Ma se queste tre Persone sono distinte fra di loro, non si può forse dividere la loro natura in tre parti e riguardarle come tre divinità?

No, ciò non è possibile. Tutte e tre le Persone divine, benché distinte fra di loro, vale a dire non confuse l’ima con l’altra, ma aventi ciascuna una personalità ben determinata, hanno tutte e tre una stessa indivisibile essenza e natura, cioè un’essenza e natura che non si può dividere in parte, perché semplicissima, cioè non composta di parti. Perciò essendo noi ammaestrati dalla fede che vi sono tre Persone divine, cioè tre soggetti, a cui questa essenza e natura appartiene come propria, ne viene di conseguenza, che essa è tutta nel Padre, tutta nel Figlio, tutta nello Spirito Santo. E quindi il Padre è vero Dio, il Figliuolo è vero Dio, cioè lo stesso Dio che il Padre, lo Spirito Santo è vero Dio e precisamente lo stesso Dio che il Padre ed il Figliuolo, ragione per cui la essenza e natura divina non si può dividere, né le tre Persone divine possono formare tre divinità. Se vuoi farti una qualche idea di ciò guarda il sole. Da esso viene la luce e il calore. E sebbene il sole, la luce e il calore siano tre cose distinte, tuttavia non formano che una cosa sola.

— Dunque le tre Persone divine sono tutte e tre uguali nelle loro perfezioni?

Certissimamente: hanno la stessa sapienza, la stessa bontà, vivono con la stessa vita, conoscono con l’istesso intelletto, vogliono con la stessa volontà, operano con la stessa onnipotenza, e non vi ha in nessuna di esse il menomo grado di superiorità od inferiorità alle altre. E la ragione di ciò è sempre la stessa, che cioè hanno la medesima natura e sostanza divina, e benché tre Persone distinte non sono che un solo Dio.

— Mi sembra però un assurdo questo mistero della Santissima Trinità.

Se parli così è segno che hai capito ancor poco di quanto ti ho detto. L’assurdo implica contraddizione nei termini, come se tu dicessi che un oggetto è nero e bianco ad un tempo. Ma quale contraddizione vi ha nei termini esprimenti il mistero della Santissima Trinità? Se si dicesse che Dio è uno e nel medesimo tempo è tre divinità, allora sì, in ciò vi sarebbe l’assurdo. L’uno non è tre, come tre non è uno. Ma è così che si dice? No affatto. Si dice che vi è una sola essenza e natura divina e che vi sono tre Persone aventi la stessa essenza e natura: così che l’uno si riferisce alla natura, il tre alle Persone, e natura e persona non sono due concetti identici. Certo è misterioso che la natura divina sia una sola e senza dividersi o moltiplicarsi si trovi tutta in tre Persone. Ma appunto perché la mente umana non vede nulla di questo mistero non è autorizzata a gridare all’assurdo. Del resto si sarebbe per dire che il Signore ha disseminato in tutta quanta la creazione le vestigia di questo mistero. « Gli angeli, dice il Monsabrè, il tempo, lo spazio, l’universo, i corpi, il movimento, i regni della natura, gli astri, la vita, la nostra carne, la nostra anima, le nostre operazioni intellettuali, le nostre famiglie ne portano l’impronta ». Difatti il mondo angelico ha tre gerarchie, ed ogni gerarchia ha tre cori; il tempo si compone di oggi, ieri e domani, di presente, passato e futuro; lo spazio ha tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità; la materia ha tre stati, solido, liquido e gazoso; il mondo terrestre ha tre regni, minerale, vegetale, animale; l’uomo possiede tre vite, la vegetativa, la sensitiva, la razionale; nell’anima sono tre facoltà, la memoria, l’intelligenza e la volontà; la famiglia si compie in tre persone, padre, madre e figlio ecc ».

— Queste cose sono bellissime e adombrano assai bene il gran mistero della Trinità.

DEVOZIONE AL CUORE DI GESU’ (6) – Terzo fine: imitarlo

DEVOZIONE AL CUORE DI GESÙ – Terzo fine: imitarlo

Terzo fine della divozione al Sacro Cuore di Gesù:

[A. Carmignola, IL SACRO CUORE DI GESU’, S.E.I. Torino, 1920 – Disc. VI]

È un fatto innegabile, che in tutti gli uomini è fortissimo l’istinto dell’imitazione, e che d a tutti, più o meno, si coordina la vita agli esempi, che cadono dinanzi agli occhi. Ma con questo istinto di imitazione potrà forse l’uomo darsi ad imitare indifferentemente tutte le altrui azioni, gli altrui portamenti, le altrui qualità morali? No, certamente. La stessa ragione ci dice, che noi non dobbiamo imitare negli altri se non ciò che è bene; anzi ci sprona incessante ad imitare ciò che è miglior bene e, se fosse possibile, ciò che è veramente perfetto. Ma questo dettame della ragione, come ogni altro, in realtà è un dettame di Dio medesimo, perché è Dio colui, che dando agli uomini un’anima ragionevole, vi ha stampato altresì la legge, che la regola e governa ne’ suoi giudizi. E se è Iddio stesso colui, che ci anima all’imitazione del buono, del meglio, del perfetto, non era forse conveniente, che egli ci mettesse innanzi il tipo di perfezione per eccellenza, sopra del quale avessimo a gettare lo sguardo per ricopiarlo in noi? – Or ecco appunto quello che fece Iddio nel mandare in sulla terra il suo divin Figliuolo. Ci presentò in lui il più perfetto modello, ed invitandoci ad imitarlo, disse a ciascun degli uomini: Inspice et fac secundum esemplar, quod tibi monstratum est. (Esod. XXX, 40) Perciocché, come nota S. Basilio, due furono i fini, per cui il Verbo divino si fece uomo: il primo ed il maggiore fu di operare la redenzione del mondo; il secondo di dare agli uomini l’esempio perfetto di ogni virtù. Ma con qual mezzo massimamente Gesù Cristo, Verbo incarnato, adempiendo la volontà del suo celeste Padre, raggiunse pure quaggiù questo secondo fine, di farsi a noi modello di ogni virtù? Col suo Cuore Sacratissimo, perciocché è nel cuore che risiedono le buone qualità morali di una persona. Ed è perciò, che Gesù Cristo, nell’invitarci Egli stesso a ricopiarlo, non ci disse soltanto: Imparate da me, che sono virtuoso; ma disse: Imparate da me, che sono virtuoso di cuore: Discite a me quia mitis sum et humilis corde; (MATT. XI, 29) per farci appunto conoscere, che essendo pel suo Cuore e nel suo Cuore, che ha esercitato perfettamente ogni virtù, è ancora il suo Sacratissimo Cuore, che più propriamente ci offre a ricopiare in noi. Ed ecco il terzo fine, che deve avere la divozione al Sacro Cuore, Se è vero quel che dice S. Agostino, che la vera divozione consiste sopra tutto nell’imitare coloro che onoriamo: Vera devotio imitari quod colimus, e se è giusto l’assioma, che l’amore o trova dei simili o li rende tali: amor aut pares inventi, aut pares facit, non dovremo impiegare tutta la nostra sollecitudine per ricopiare il Sacro Cuore di Gesù in noi e farci a Lui somiglianti più che sia possibile? Sì, o carissimi, per questo appunto la Chiesa così prega Gesù nella festa del Sacro Cuore. « O Signore Gesù, fa che noi ci rivestiamo delle virtù del tuo Cuore…. affinché, conformandoci all’immagine della tua bontà, meritiamo di essere altresì partecipi della tua Redenzione. » E questo sia il tema del presente discorso.

I. — Uno fra gli usi più belli e più utili seguiti dagli uomini è quello di innalzare dei monumenti a coloro, che si segnalarono per il loro ingegno, per il loro valore, per le loro virtù. È bensì vero che talora e massime oggidì, per un’aberrazione incredibile dello spirito umano, i monumenti vengono innalzati anche a coloro che, anziché segnalarsi nelle belle e buone imprese, si resero famosi piuttosto o per i tradimenti, o per le codardie, o per le rapine e benanco per i vizi; ma con tutto questo uso non lascia di essere per se stesso bello e gioevole, sia perché con esso si intende di eternare la memoria degli uomini valorosi, sia perché coi monumenti, quasi pubblici ammonimenti, si intende di ammonire gli uomini a ricopiare ciascuno in sé, per quel che gli spetta, quelle virtù, quel valore, quello spirito, di cui i grandi ci hanno lasciato l’esempio. Or bene, o miei cari, il Sacratissimo Cuore di Gesù può ben riguardarsi come il monumento per eccellenza, che Dio stesso ha innalzato nella sua Chiesa. Questo monumento ricorderà in eterno la carità divina per noi, e per tutti i secoli della vita del mondo ammonirà gli uomini a ricopiare in se stessi non solo questa o quell’altra virtù, ma le virtù tutte senza eccezione di sorta, perciocché Gesù Cristo pel suo Sacratissimo Cuore si mostra a noi ed è veramente modello perfettissimo di ogni virtù. Prima che egli venisse in sulla terra, come bellamente immagina un poeta cristiano, le virtù vagavano pel mondo in cerca di decente abitazione e non la trovavano, perciocché qua e là non si presentavano loro dinanzi, che intelletti ottenebrati e cuori guasti, nei quali non potevano né spandere la loro luce, né accendere la loro fiamma. Così che agitate e vergognose si ritirarono nel deserto, quando una notte udirono risuonare per l’aria questo cantico celestiale: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! » A questo segno conobbero che era nato il Messia; andarono alla sua capanna, si presentarono a Gesù Cristo, e Gesù Cristo le accolse tutte nel suo Cuore, e dal suo Cuore divino prese a mostrarle a tutti gli uomini del mondo, perché, vedendole in Lui, più facilmente si invaghissero di ricopiarle. E così è, non solo in figura poetica, ma in realtà. Nel suo Cuore Sacratissimo Gesù Cristo ci mostra accolte tutte quante le virtù; ci mostra l’amor di Dio, nel quale superò infinitamente tutti i Serafini del Cielo, e l’amor degli uomini, per cui con una generosità suprema si sacrificò per essi. Ci mostra l’umiltà, per mezzo della quale si è abbassato al punto da esinanirsi e prendere la forma di servo; ci mostra l’obbedienza, per cui non solo fu soggetto a Maria ed a Giuseppe pei trent’anni di sua vita privata, ma adempì sempre la volontà del suo divin Padre fino alla morte e morte di croce. Ci mostra la povertà, per cui essendo infinitamente ricco, si fece povero per noi, e volle nascere in una spelonca, e volle vivere guadagnandosi il pane col sudore della fronte, e volle esser privo di un tetto, sotto il quale ricoverarsi a posare la testa, e volle morire ignudo sulla croce. Nel suo Sacratissimo Cuore ci mostra la purità, per cui volle nascere da Madre purissima, volle avere per custode un castissimo uomo, e per precursore un martire di purità, ed alle anime pure mostrare la sua predilezione. Ci mostra la pazienza, per cui, come agnello che non bela sotto le forbici di chi lo tosa, sopportò nel modo più eroico tutte le atrocissime pene della sua Passione; ci mostra la mansuetudine, per cui non solo non odiò mai i suoi nemici, ma li amò sempre, fece sempre loro del bene, pregò per essi sulla croce il suo celeste Padre a volerli perdonare. Ci mostra la sua misericordia, per cui i peccatori, respinti dagli uomini, trovavano in Lui un’accoglienza festosa ed un sincero rifugio. Ci mostra il suo zelo per la gloria di Dio, la sua rettitudine d’intenzione, il suo spirito di vigilanza, di preghiera e di mortificazione, ci mostra insomma tutte le virtù, e nel grado più perfetto. Sì, nel grado più perfetto. Noi abbiamo un bel leggere la vita dei più grandi santi, che spinsero le loro virtù sino al più ammirabile eroismo, ma non troveremo mai in alcun di essi una santità sì elevata e sì perfetta come quella di Gesù Cristo. L’apostolo ed evangelista S. Giovanni ci dice che il Vangelo non è altro che un compendio brevissimo della vita di Cristo e degli atti suoi; di modo che è certo che non tutti i tratti di virtù da Cristo compiuti ci sono manifestati. Ma quando pure nel Vangelo tutto fosse narrato, non ci sarebbe tuttavia possibile mai di penetrare nel santuario del Cuore di Cristo per intravedere, non che comprendere, la sublimità e perfezione, a cui elevossi ogni sua virtù. Quindi è che a differenza degli stessi più grandi santi, nella cui vita vi hanno dei momenti in cui, se la virtù non vien meno, tuttavia appena appena arriva ad essere tale, in Gesù Cristo invece tutte le virtù, senza eccezione di sorta, anche le più ardue, toccano sempre, senza menomo sforzo, l’ultimo apice. – E queste virtù le mostra a noi, di qualsiasi età, stato e condizione, perché anche qui in Gesù Cristo, oh quale differenza dai santi! Benché essi in generale abbiano avute tutte le virtù, non di meno negli uni spiccò di più questa, negli altri quella. In questo santo si ammira di più lo spirito di contemplazione e di preghiera, in quello invece più si ammira lo spirito di slancio e di operosità cristiana; in questo splende maggiormente l’umile e cieca obbedienza, in quello splende invece maggiormente una santa fierezza e uno zelo ardente; in questo il carattere dominante è la dolcezza e la semplicità dei modi, in quello il carattere dominante è invece il rigore delle penitenze e l’austerità della vita. Insomma ciascuno dei santi svolge il meglio delle sue forze in questa o in quell’altra virtù, per la quale grandeggia, manifestando ad un tempo stesso essere impossibile all’umana debolezza esercitarle tutte ad un tempo stesso nello stesso grado di perfezione. Gesù invece non così; Egli tutte, senza eccezione di sorta, tutte le virtù die come Uomo-Dio poteva esercitare, le ha esercitate tutte nel modo più eroico, ragione per cui Egli è modello di tutti, modello sovrano, che a tutti si addice. È modello ai sacerdoti, perché Egli è sacerdote per eccellenza secondo l’ordine di Melchisedech, che offerse a Dio il sacrifìcio di se stesso, e di sacerdote esercitò tutti gli altri uffici, predicando con zelo il suo Vangelo e diffondendo nei cuori degli uomini l’abbondanza della sua grazia. È modello ai coniugati, perché congiunto in mistiche nozze alla sua sposa, la Chiesa, la amò di un amor puro e santo e con tale generosità da versare il sangue per lei, per renderla bella, splendida, senza macchia alcuna. È modello ai padri e alle madri di famiglia, perché è egli che ha generato gli uomini alla vera vita morendo per essi, è egli che col latte della sua dottrina e col cibo dei suoi Sacramenti ha nutrito e fatto crescere noi, suoi figliuoli, è Egli che ha paragonato il suo Cuore a quello di un padre e di una madre. È modello dei figliuoli, perché Figlio del divin Padre da tutta l’eternità ha voluto essere figlio di Maria nel tempo, e come figlio affettuoso si diportò sempre, sia col suo Celeste Padre, sia con la sua Madre divina, e persino con colui, che di padre non gli teneva che le veci. È modello ai giovani e modello ai vecchi, modello ai ricchi e modello ai poveri, modello ai dotti e modello agli idioti, modello ai grandi e modello ai piccoli, modello ai re e modello ai sudditi, modello ai lieti e modello agli afflitti, modello ai giusti e modello persino ai peccatori, perciocché Egli, che non conobbe il peccato, si pose addosso i peccati di tutti gli uomini, ed espiandoli coi meriti della sua passione e morte, indicò anche ai peccatori la via che debbono seguire per riconciliarsi con Dio; insomma egli non è un modello soltanto, ma è il modello per eccellenza, il modello unico, il supremo, il perfettissimo modello di tutti. O Cuore Sacratissimo di Gesù, o scuola, o cattedra di sapienza divina, dove per mezzo dell’esempio si insegnano agli uomini tutte quante le virtù, come non ci appresseremo a voi, per studiarle, per impararle, per ricopiarle in noi? in noi massimamente che intendiamo essere i vostri devoti?

II. — E questo è propriamente il nostro assoluto dovere. Udite. Un giorno si presentarono dal divin Redentore alcuni discepoli dei farisei, da loro appositamente spediti, nella folle speranza di poterlo cogliere in parole. Costoro adunque maliziosamente si fecero ad interrogare Gesù Cristo, dicendo: Maestro, dinne un po’: è egli lecito o no di pagare il tributo a Cesare? Essi pensavano: Se egli dice di sì, noi abbiamo argomento per metterlo in odio presso la moltitudine, che così di mala voglia paga il tributo; e se dice di no, noi avremo il pretesto di accusarlo dinanzi ai Romani, ai quali si paga il tributo. Ma il divin Redentore, conosciuta la malizia del loro cuore: ipocriti, rispose, perché mi tentate? Mostratemi una moneta del tributo; di chi è V immagine e l’iscrizione che v’è sopra? Di Cesare, risposero allora quei discepoli de’ farisei. Dunque, soggiunse il Redentore, rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio: Reddite ergo Cæsari quæ sunt Cæsaris, Deo quæ sunt Dei. ( MATT. XXVIII, 15-22) Stupenda risposta, colla quale Gesù Cristo, non solo fece ammutolire i suoi nemici, ma per mezzo della quale diede pure a noi una grande lezione. Noi, o carissimi, per grazia di Dio siamo Cristiani. E ciò che ci rese Cristiani è il Santo Battesimo, il quale ha impresso sull’anima nostra il carattere, l’immagine di Gesù Cristo, dal quale appunto prendiamo il nome. Ed oh! Abbiamo noi già riflettuto abbastanza a questo benefizio immenso che Iddio ci ha fatto a preferenza di tanti altri uomini? Coloro, i quali ancor « giacciono tra le tenebre e le ombre di morte » giacciono anche ora nell’abbrutimento e nella barbarie. Quell’idolatria, che prima della venuta di Gesù Cristo avviliva la maggior parte degli uomini nelle più stupide ed immorali superstizioni, continua oggidì ad avvilire tanti poveri selvaggi, ed altri che non sono più selvaggi, no, ma restano tuttavia nell’ultimo gradino della civiltà, quali ad esempio i Musulmani ed i Buddisti. Quei costumi così corrotti, in cui gli uomini prima di Gesù Cristo vivevano, a mo’ delle bestie, sono gli stessi costumi, che lì disonorano oggidì, perciocché anche oggidì, dove non risplendette il Vangelo, non vi ha che la schiavitù orribile dei sensi, l’appagamento più animalesco delle passioni e degli istinti della carne. Quella cecità, che prima di Gesù Cristo travagliava gli umani intelletti è la cecità medesima, che pur presentemente rimane fra tanti popoli, facendo loro scambiare il vizio con la virtù e la virtù col vizio, e mantenendo in loro una moltitudine infinita di errori riguardo alla loro origine, alla loro natura ed al loro fine. Noi invece siamo nati in paesi cristiani, noi abbiamo ricevuto il Battesimo, e col Battesimo la fede cristiana, e con la fede cristiana la verità, che ci illumina e che ci guida, la forza che ci anima e ci sostiene, l’adozione di figli di Dio, che ci rende fratelli di Gesù Cristo e ci abilita a diventare suoi coeredi del cielo. Oh! benefizio immenso, che è mai questo! Come non benedire le mille volte quell’anno, quel mese, quel giorno, quell’ora, quel punto, in cui ci avvenne di nascere in terra cristiana e di ricevere, per mano del sacro ministro, su questa nostra fronte quelle acque, che salgono a vita eterna, su queste labbra il sale della vera sapienza, e su questo petto l’unzione dei santi crismi? E qual merito vi era in noi, perché a preferenza di tanti milioni di altri uomini, risplendesse a noi la luce di Dio? Ah! non per altro, dice S. Paolo, non per altro noi fummo chiamati alla vera fede, che pel proposito di Dio, e per la grazia che ci fu data in Gesù Cristo! – Or bene se per la bontà immensa di Dio e per la grazia di Gesù, Cristo noi fummo fatti Cristiani, e se con l’essere stati fatti cristiani noi abbiamo il nome da Gesù Cristo, e di Gesù Cristo portiamo scolpita sull’anima la immagine, di chi siamo noi? a chi dobbiamo appartenere adesso e per sempre? Gesù ce lo ha fatto abbastanza chiaramente intendere con quel suo: Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio. Noi siamo dello stesso Gesù Cristo, del quale portiamo il nome e l’immagine, e dobbiamo appartenere perciò a Lui, a Lui solo, adesso e per sempre. Ma noi ci sbaglieremmo assai, se credessimo, che bastasse a questo fine di avere il nome ed il carattere di Cristiani. Ah! non ostante questo nome e questo carattere potrebbe accadere pur troppo che al termine della vita, presentandoci al tribunale di Gesù Cristo, ci intendessimo a dire da Lui: Nescio vos; non vi conosco! Per poter appartenere a Gesù Cristo adesso e per sempre è necessario, che noi al nome di cristiano facciamo rispondere i fatti. I Cristiani, ha detto S. Bernardo, ricevettero il nome da Cristo, ma è pregio dell’opera che siccome furono eredi del nome, lo siano ancora della santità. Bisogna che noi medesimi attendiamo a manifestare in noi, nei nostri pensieri, nei nostri affetti, nei nostri desideri, nelle nostre parole, nelle nostre opere la vita di Gesù: Vita Iesu manifestetur in corporibus vestris; (II Cor. IV, 10) bisogna in somma che ci sforziamo di renderci pienamente conformi a Gesù Cristo, seguendo le sue vestigia, imitando i suoi esempi. Perciocché dice S. Paolo: coloro che Iddio ha preveduti con la sua prescienza eterna dover essere nel novero degli eletti, li ha pure predestinati ad essere conformi all’immagine del suo divin Figliuolo: Quos præscivit, et prædestinavit conformes fieri imagini Filii sui. (Rom, VIII, 29) Ed è per tal guisa appunto che si sono formati i Santi. Si son formati gli Apostoli, che in Gesù Cristo imitarono lo zelo per la salute delle anime e la vita di sacrifizio; si son formati i martiri, che in Gesù Cristo imitarono il coraggio più eroico nell’affrontare la morte per la più santa causa; si son formati i penitenti, che in Gesù imitarono la vita di sofferenza e di mortificazione; si son formati i vergini, che in Gesù imitarono la purità più sublime; si son formati i santi Pontefici, che da Gesù imitarono l’amore per il gregge: si sono formati i santi confessori che in Gesù imitarono il disprezzo dei beni mondani e il desiderio delle cose celesti; si sono formati i santi re, che in Gesù imitarono l’umiltà nella gloria e l’abbassamento nella grandezza; si sono formati insomma tutti i santi, perché, studiando attentamente la loro vita, dobbiamo riconoscere. che sebbene non abbiano potuto imitare in tutto e a perfezione Gesù Cristo, perché ciò non è affatto possibile, ricopiarono tuttavia in se stessi più splendidamente non pochi tratti della sua fisionomia divina. – L’imitazione adunque delle virtù del Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo è per tutti gli uomini indispensabile a salute. E tale imitazione, aggiungono i Santi Padri e i Dottori della Chiesa, ha da essere così fedele, che il Cristiano appaia come un altro Gesù Cristo: Christianus alter Christus; perché indarno, dice S. Bernardo, si può credere Cristiano colui, che non segue più che gli è possibile Gesù Cristo; e non assomigliandosi a Lui ne deve temere la punizione. – Epperò notate qui, o carissimi, quanti vi sono tra gli stessi Cristiani, che a questo riguardo da per se stessi stoltamente si ingannano! Perciocché molti vi hanno, che si credono essere seguaci di Gesù Cristo e conseguire un dì l’eterna salute, solo perché hanno ricevuto il battesimo, e credono così in generale ed in confuso alle verità della fede, cui associano molti errori, è fanno qualche volta alcuna di quelle cose che la fede impone. Ma in costoro dov’è l’umiltà e la mansuetudine? dov’è la purezza della vita e il distacco dai beni della terra? dov’è la preghiera e la mortificazione cristiana? dov’è la pazienza e la conformità ai voleri divini? dove sono in somma tutte le altre virtù di Gesù Cristo? Ah! che in costoro di Cristiano non v’è altro pur troppo che il nome, perché, come die S. Agostino, christiani vocantur, et in rebus christiani non inveniuntur. E che importa per costoro il chiamarsi, e ben anche il vantarsi tali, se manca in essi la conformità all’immagine di Gesù Cristo? anzi vi ha in essi la conformità al nemico, all’odiatore di Gesù Cristo, a satana e ne portano sull’anima la fisionomia! quella fisionomia, che con tanta verità ed energia S. Giovanni ha chiamato il carattere della bestia, characterem bestiæ! Perciocché, o carissimi, è questo purtroppo che accade nel Cristiano, allorché non si studia di diventare simile a Gesù Cristo con l’imitare le sue virtù; egli, per contrario, anche non pensandovi, divien simile al demonio, di cui segue le vestigia a preferenza di quelle di Gesù Cristo. Avviane in lui una trasformazione somigliante a quella del superbo Nabucco. Costui volendo essere come Dio, fu da Dio terribilmente punito e da uomo tramutato in fiera. Un dì, passeggiando nella sua corte, guardava i grandi veroni, i giardini pensili, le torri superbe, tutte le magnificenze, che si presentavano ai suoi sguardi, e il suo cuore si gonfiava e la sua anima si esaltava orgogliosa. « Non. è forse questa, diceva egli, la gran Babilonia che io ho costrutto nella pienezza della mia forza e nello splendore della mia gloria? » Egli parlava ancora, quando si udì una voce dal cielo, la quale diceva: « O re, ecco ciò che t’annunzio: il tuo regno è sul finire. Tu sarai scacciato dalla società degli uomini, tu abiterai colle bestie della terra e come il bue tu mangerai l’erba dei campi. » Ed ecco che all’improvviso gli si mutarono le forme della persona, gli si allungarono i peli, gli crebbero le unghie, e divenuto qual bestia, cacciato dalla reggia, fu costretto a pascersi di fieno come il bue. Il somigliante accade, se non nel corpo, nell’anima del Cristiano, che non intende trasformarsi in Gesù Cristo; lasciando di diventar simile a Lui, a cagione dell’abbandono di Dio e delle colpe e dei vizi, a cui si dà in preda, diventa simile non solo ad una bestia, ma alla bestia per eccellenza, come è chiamato satana nelle Sacre Scritture. Or bene se tanto assoluto è per ogni cristiano l’obbligo di imitare le virtù del Cuore di Gesù Cristo, e tanto grave è la disgrazia che incorre chi non adempie quest’obbligo, i veri devoti del Sacratissimo Cuore non dovranno attendere sopra tutti gli altri ad adempirlo? Oh! senza dubbio è a loro massimamente, che Gesù Cristo, come un giorno a’ suoi Apostoli, dice: Exemplum dedi vobis, ut quemadmodum ego feci, ita et vos faciatis; (Io. XIII, 15) Io vi ho dato l’esempio, affinché voi facciate come ho fatto Io. Si quis vult post me venire, sequatur me. ( MATTH. XVI, 2 4 ) Chi vuol venire dietro a me, chi vuol essere tra i miei amici, chi vuol amare e stimare davvero il mio Cuore divino, ne imiti le virtù.

III. — Se non che parmi di intendere taluni di voi a dire: Ma come? noi, cristiani, noi, sopra tutto, devoti del S. Cuore di Gesù, dobbiamo imitarlo? Ed è ciò possibile all’uomo, anche più elevato? Non si tratta forse di un modello troppo sublime? Miei cari, io rispondo subito, voi credete adunque che Gesù vi comandi l’impossibile? Vi comanda Egli forse, che lo imitiate in quelle opere che più lo manifestano Dio? Vi comanda Egli di fabbricare il mondo? di operare dei miracoli? di guarire gli infermi? d’illuminare i ciechi? di far risuscitare i morti? Oh no certamente! Lo sfoggio e la pompa della divinità Gesù Cristo non la chiede da voi, che sa essere miserabili creature: egli vi chiede che lo imitiate nella dolcezza, nell’umiltà, nella pazienza, nella misericordia, nella carità, nella purezza, nelle sue virtù insomma e non nella sua gloria. E queste virtù, sempre che voi ne abbiate una vera volontà, non potete ricopiarle? Ditelo, in verità, come non vi sarebbe possibile essere dolci, essere umili, essere pazienti, essere casti, essere amanti di Dio e del vostro prossimo? – Tuttavia è certo, che tutti i nostri sforzi per imitare le virtù del Cuore Sacratissimo di Gesù sarebbero vani, se noi non fossimo aiutati dalla grazia di Dio. Ma ecco lo stesso Santissimo Cuore venire in nostro soccorso, e meritarci e darci con abbondanza questa divina grazia. Gesù Cristo, in quanto Dio, è la sorgente di ogni grazia; ma anche in quanto uomo ha sulla grazia un potere sovrano. Perciocché, se come Dio Egli dà alle sue opere, ai suoi patimenti, alle sue parole, ai suoi sospiri, a’ suoi palpiti un valore infinito, è tuttavia come uomo, cogli atti liberi e santi della sua umanità, che Egli ha compiute tutte queste opere meritorie. Iddio pertanto ricompensando nell’umanità di Gesù Cristo i suoi meriti di valore infinito, ha riversato nel suo Cuore un cumulo infinito di grazie. E questo Cuore ridondante della grazia di Dio, non la riverserà alla sua volta sopra quanti vi si accostano con la loro divozione? Oh sì, è a questa fonte divina, che attingeremo con gaudio l’acqua salutare della grazia di Dio: Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris; (Is. XII, 3) è dalla pienezza di Lui, che tutti riceveremo l’aiuto necessario a ricopiarlo: De plenitudine eius nos omnes accepimus. (Io. I, 16) Lo stesso Gesù ci ha appreso questa confortante verità con la più bella similitudine: « Io sono, egli disse, la vera vite; rimanete in me ed io rimarrò in voi. E come il tralcio non può dare alcun frutto da se stesso, se non rimane congiunto alla vite, così sarà di voi, se non rimarrete in me. » (Io. XV, 1-4) Dal Cuore adunque di Gesù Cristo, per ragione della Divinità, sorgente di tutte le grazie, e per ragione dell’umanità riempiuto da Dio della pienezza delle grazie, si trasfonderà in noi tutti quell’umore vivifico, che ci renderà non solo possibile, ma facile eziandio la imitazione delle sue virtù. Perciocché, se, come insegnano i santi dottori, la pienezza della grazia, che è in Gesù Cristo, è la causa meritoria di tutte le grazie date agli uomini ed agli Angeli stessi del paradiso, e con queste grazie i Patriarchi, i Profeti dell’antica legge, e nella legge nuova gli Apostoli, i Martiri, i Confessori, i Vergini e i Santi tutti poterono imitare con facilità le virtù del divino modello; per mezzo di tali grazie ciò sarà facile anche a noi, ed anche noi potremo ripetere con l’Apostolo: Omnia possum in eo, qui me confortat: (Phil. IV, 13), io posso tutto nel Cuore di Gesù, che mi riconforta. Ma oltreché il Sacro Cuore con l’abbondanza delle sue grazie, noi ancora con due altri mezzi potremo facilitarci la grande opera della sua imitazione, e sono l’amore e lo studio di questo Cuore Santissimo. Come il fiore spunta dallo stelo, così   l’imitazione nasce dall’amore, perché come mai amare taluno ardentemente e non studiarci di renderci a Lui conformi? E così amando il Sacro Cuore di un amore ardente, sarà sempre più viva in noi la brama di farci simili a Lui. Se Gesù è amato, dice l’Apostolo, sarà pure imitato. Parimenti se praticando la esortazione di S. Paolo: Considerate Jesum: (Hebr. III, 1) fatevi a ben studiare Gesù; e quella di S. Pietro: Crescite in cognitione Domini nostri Salvatoris Jesn Christi: (II Piet., III, 18) Crescete nella cognizione di nostro Signor Gesù Cristo; per mezzo della parola di Dio, dello studio del Vangelo, delle sante letture e considerazioni, noi verremo a conoscere gli ammirabili esempi di Gesù Cristo, tanto più ci sentiremo animati di imitarlo. E non è forse la cognizione degli altrui esempi, massime degli uomini illustri, che ci è sprone efficacissimo ad azioni lodevoli, benché ardue? Il soldato allora si accende nella battaglia, quando con la vista conosce il coraggio del capitano. Così accadde appunto ai soldati di Gedeone; vedendo lui scagliarsi animoso contro i nemici, deposta la timidità, da cui erano stati invasi alla vista delle numerose schiere avversarie, si lanciarono ancor essi a combattere come leoni e le misero in rotta. •sì ancora avvenne ai soldati di Giuda Maccabeo. Nell’in seguire i nemici, incontratisi improvvisamente in un grosso torrente, già si arrestavano per la paura di affogare tragittandolo. Ma avendo visto il fortissimo Giuda pungere il suo cavallo, lanciarlo nelle acque e quasi in un attimo trovarsi dalla sponda opposta, tutti ne seguirono tosto l’esempio. Or ecco ciò che accadrà pure a noi; dalla maggior conoscenza del Cuore di Gesù Cristo noi saremo fortemente eccitati a ricopiarlo in noi medesimi. – Coraggio adunque: il Sacro Cuore di Gesù, modello perfettissimo di tutte le virtù ci si pone innanzi come l’ideale, a cui, come Cristiani e devoti suoi, dobbiamo aspirare di pervenire. La grazia per conseguire questo gran fine non ci verrà meno. Nell’amore e nello studio di questo Cuore Santissimo accendiamoci ognor più dal desiderio di riprodurlo in noi, ed allora potremo essere certi, che questo Cuore istesso, dopo di essere stato il nostro modello di vita, sarà il nostro premio e il nostro gaudio in cielo. Sì, o Cuore Sacratissimo di Gesù, questo sarà d’ora innanzi il nostro sommo ed unico impegno, renderci simili a Voi più che sia possibile, ricopiando nel cuor nostro le vostre splendide virtù. Ma deh! riguardando voi alla debolezza nostra, degnatevi di venire in nostro aiuto. Nella vostra infinita misericordia state a noi vicino in tutti gli istanti del vivere nostro e fateci sentire la vostra dolcissima presenza, affinché siamo animati a mirarvi e a ricopiarvi. Fate, insomma, che ci vestiamo delle vostre virtù, e ci accendiamo dei vostri affetti, affinché meritiamo di renderci conformi all’immagine della bontà vostra e di essere partecipi della vostra Redenzione.

IL CATECHISMO DI BALTIMORA (IX) – Lez. 26-28

CATECHISMO DI BALTIMORA (IX) – Lez. 26-28

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 26 –

SUL MATRIMONIO

D. 1005. Cos’è il Sacramento del Matrimonio?

R. Il Sacramento del Matrimonio è il Sacramento che unisce un uomo e una donna Cristiani in legittimo matrimonio.

D. 1006. Quand’è che le persone sono lecitamente sposate?

R. Le persone sono legalmente sposate quando osservano tutte le leggi di Dio e della Chiesa relative al matrimonio. Sposarsi illecitamente è un peccato mortale e priva le anime della grazia del Sacramento.

D. 1007. Quando è stato istituito il Matrimonio per la prima volta?

R. Il Matrimonio fu istituito per la prima volta nel Giardino dell’Eden, quando Dio creò Adamo ed Eva e ne fece marito e moglie; ma allora non era un Sacramento, poiché la loro unione non conferiva alcuna grazia speciale.

D. 1008. Quando fu stabilito il contratto di Matrimonio con la dignità di Sacramento?

R. Il tempo esatto in cui il contratto dei Matrimoni è stato elevato alla dignità di Sacramento non è noto, ma il fatto che sia stato così elevato è certo dai passi nel Nuovo Testamento e dal costante insegnamento della Chiesa sin dal tempo degli Apostoli. Nostro Signore non ha semplicemente aggiunto la grazia al contratto, ma ha reso il contratto un vero Sacramento, in modo che i Cristiani non possano stipulare questo contratto senza ricevere il Sacramento.

D. 1009. Qual è il segno esteriore nel Sacramento del Matrimonio, e in che cosa consiste l’intera essenza del contratto matrimoniale?

R. Il segno esteriore nel Sacramento del matrimonio è il mutuo consenso degli sposi, espresso da parole o segni in conformità con le leggi della Chiesa. L’intera essenza del contratto di Matrimonio, consiste nella consegna reciproca tra le persone dei loro corpi e nel dichiarare con le parole o il segno che fanno questa resa, prendendosi reciprocamente per marito e moglie per tutta la vita.

D. 1010. Quali sono i principali fini del Sacramento del Matrimonio?

R. I principali fini del Sacramento del matrimonio sono:

– Consentire al marito e alla moglie di aiutarsi a vicenda nel garantire la salvezza delle loro anime;

– Propagare o mantenere l’esistenza della razza umana, mettendo al mondo i bambini per servire Dio;

– Prevenire i peccati contro la santa virtù della purezza, obbedendo fedelmente alle leggi dello stato di matrimonio.

D. 1011. Possono un uomo e una donna Cristiani essere uniti in legittimo Matrimonio in qualsiasi altro modo che non sia il Sacramento del Matrimonio?

R. Un uomo e una donna Cristiani non possono essere uniti in un Matrimonio legittimo in nessun altro modo che non sia il Sacramento del Matrimonio, perché Cristo ha innalzato il Matrimonio alla dignità di un Sacramento.

D. 1012. Allora, tutti i matrimoni prima della venuta di Cristo erano illegittimi ed invalidi?

R. Tutti i matrimoni prima della venuta di Cristo non erano illegittimi e invalidi. Erano entrambi leciti e validi quando le persone che li contraevano seguivano i dettami della loro coscienza e le leggi di Dio secondo la loro conoscenza; ma tali matrimoni erano solo dei contratti. A causa delle loro inclinazioni malvagie molti dimenticarono o trascurarono il vero carattere del matrimonio, finché Nostro Signore non lo ripristinò nella sua unità e purezza originaria.

D. 1013. Che cosa intendiamo per impedimenti al Matrimonio?

R. Per impedimenti al Matrimonio intendiamo certe restrizioni, imposte dalla legge di Dio o della Chiesa, che rendono il matrimonio invalido o illecito qualora vengano violate nel contrarlo. Queste restrizioni riguardano l’età, la salute, le relazioni, l’intenzione, la religione e altre questioni che riguardano la bontà del Sacramento.

D. 1014. Può la Chiesa dispensare o rimuovere questi impedimenti al Matrimonio?

R. La Chiesa può dispensare o rimuovere gli impedimenti al Matrimonio derivanti dalle sue stesse leggi; ma non può dispensare dagli impedimenti che derivano dalle leggi di Dio e dalla natura. Ogni legislatore può cambiare o dispensare dalle leggi fatte da lui stesso o da un suo pari, ma non può, di sua propria autorità, cambiare o dispensare dalle leggi emanate da un Potere superiore.

D. 1015. Che cosa è richiesto perché la Chiesa possa concedere, quando è in grado, deroghe dagli impedimenti al Matrimonio o da altre leggi?

R. Perché la Chiesa possa concedere deroghe dagli impedimenti al Matrimonio o da altre leggi, ci deve essere una ragione valida ed urgente nel concedere tali dispense. La Chiesa non concede dispense senza causa seria, o semplicemente per soddisfare i desideri di coloro le chiedano.

D. 1016. Perché la Chiesa a volte richiede alle persone a cui sono concesse le dispense di pagare un balzello o una tassa per il privilegio?

R. La Chiesa a volte richiede alle persone a cui sono concesse le dispense di pagare un balzello o una tassa per il privilegio:

– Perché le persone a causa di questa tassa siano trattenute dal chiedere dispense e possano rispettare le leggi generali;

– Perché la Chiesa non debba sostenere spese per mantenere un ufficio che conceda privilegi solo a pochi.

D. 1017. Che cosa dovrebbero fare le persone che stanno per sposarsi?

R. Le persone che stanno per sposarsi dovrebbero avvisare tempestivamente il loro pastore delle loro intenzioni, fargli conoscere a priori qualunque cosa sospetta possa essere un impedimento al Matrimonio, e assicurarsi di tutti gli accordi, prima di invitare i loro amici.

1018. Come dovrebbe essere data al Sacerdote la notifica tempestiva del Matrimonio, e perché?

R. Al Sacerdote dovrebbero essere date almeno tre settimane di preavviso del Matrimonio, perché, secondo le leggi della Chiesa, i nomi delle persone che stanno per sposarsi devono essere annunciati ed il loro Matrimonio previsto, pubblicato nella Messa principale nella loro parrocchia per tre domeniche successive.

D. 1019. Perché le pubblicazioni del Matrimonio sono pubblicate nella Chiesa?

R. Le pubblicazioni del Matrimonio sono pubblicate nella Chiesa affinché chiunque possa aver conoscenza di qualsiasi impedimento al Matrimonio, possa avere l’opportunità di dichiararlo privatamente al Sacerdote, prima che il Matrimonio stesso abbia luogo e quindi impedire un Matrimonio non valido o illegale. Le persone che sono a conoscenza di tali impedimenti e non riescono a dichiararli a tempo debito, sono colpevoli di peccato.

D. 1020. Quali cose in particolare dovrebbero far conoscere al Sacerdote le persone che organizzano il loro matrimonio?

R. Le persone che organizzano il loro Matrimonio dovrebbero far sapere al Sacerdote se sono cristiani e cattolici; se uno sia stato solennemente fidanzato con un’altra persona; se hanno mai fatto alcun voto a Dio riguardo alla castità o simili; se sono consanguinei e in che misura; se uno sia mai stato sposato con un membro della famiglia dell’altro e se sia mai stato padrino nel Battesimo per l’altro.

D. 1021. Cos’altro devono far conoscere?

R. Devono anche far sapere se uno dei due sia stato sposato prima e quale prova può essere data della morte dell’ex coniuge; se abbiano davvero intenzione di sposarsi, e lo facciano di propria spontanea volontà; se siano di età legale; se siano sani nel corpo o soffrano di qualsiasi deformità che potrebbe impedire il loro matrimonio e, infine, se vivano nella parrocchia in cui chiedono di essere sposati, e se è così, per quanto tempo abbiano vissuto in essa.

D. 1022. Che cosa è particolarmente necessario che le persone facciano, come loro dovere nello stato matrimoniale?

R. Perché le persone possano fare il loro dovere nello stato matrimoniale, è particolarmente necessario che, prima di entrarvi, siano istruite bene nelle verità e nei doveri della loro Religione perché possano poi insegnarli ai loro figli.

D. 1023. Il vincolo del Matrimonio cristiano può essere sciolto da un qualunque potere umano?

R. Il legame del Matrimonio cristiano non può essere sciolto da alcun potere umano.

D. 1024. Un divorzio concesso dalle corti di giustizia, non spezza il vincolo del matrimonio?

R. Il divorzio concesso dalle corti di giustizia o da qualsiasi altro potere umano non infrange il vincolo del Matrimonio, e chi si avvale di tale divorzio per risposarsi, mentre il coniuge ancora vive, commette un sacrilegio e vive nel peccato di adulterio. Un divorzio civile può dare una ragione sufficiente alle persone di vivere da sole e può determinare i loro diritti per quanto riguarda il sostegno, il mantenimento dei figli e altre cose temporali, ma non ha alcun effetto sul legame e sulla natura spirituale del Sacramento.

D. 1025. La Chiesa non permette talvolta a marito e moglie di separarsi e vivere separati?

R. La Chiesa a volte, per valide ragioni, permette a marito e moglie di separarsi e vivere separati; ma ciò non è dissolvimento del vincolo del Matrimonio, o divorzio come è chiamato, perché sebbene separati sono ancora marito e moglie, e nessuno dei due può risposarsi fino a quando l’altro non muoia.

D. 1026. La Chiesa non ha forse permesso ai Cattolici, una volta sposati, di separarsi e risposarsi?

R. La Chiesa non ha mai permesso ai Cattolici, una volta sposati, di separarsi e risposarsi, ma a volte ha dichiarato le persone, apparentemente sposate, libere di risposarsi, perché il loro primo Matrimonio era nullo; cioè, non c’è stato Matrimonio a causa di qualche impedimento non scoperto se non dopo la cerimonia.

D. 1027. Quali mali seguono il divorzio così comunemente rivendicato da coloro che sono al di fuori della vera Chiesa e concessi dall’autorità civile?

R. I mali che seguono il divorzio così comunemente rivendicato da coloro che sono al di fuori della vera Chiesa e concessi dall’autorità civile, sono moltissimi; ma principalmente:
1. Il disprezzo per il carattere sacro del Sacramento e per il benessere spirituale dei bambini;
2. La perdita della vera idea di casa e di famiglia seguita da una cattiva morale e una vita peccaminosa.

D. 1028. Quali sono gli effetti del Sacramento del Matrimonio?

  1. R. Gli effetti del Sacramento del Matrimonio sono:

– Santificare l’amore tra marito e moglie;

– Dare loro la grazia di sopportare le reciproche debolezze;

– Consentire di allevare i loro figli nel timore e nell’amor di Dio.

D. 1029. Che cosa intendiamo per sopportare le reciproche debolezze?

R. Per sopportare le debolezze reciproche, intendiamo che il marito e la moglie debbano essere pazienti con i difetti degli altri, con le cattive abitudini o con le disposizioni, scusarli facilmente e aiutarsi a vicenda nel superarli.

D. 1030. In che modo i genitori sono particolarmente adatti a crescere i loro figli nel timore e nell’amor di Dio?

R. I genitori sono appositamente preparati per allevare i loro figli nella paura e nell’amore di Dio:

– Con la grazia speciale che ricevono per consigliare e dirigere i loro figli e per metterli in guardia dal male;

– Dall’esperienza che hanno acquisito passando attraverso la vita dall’infanzia alla condizione di genitori. I bambini dovrebbero quindi cercare e accettare coscienziosamente la direzione dei buoni genitori.

D. 1031. Per ricevere degnamente il Sacramento del Matrimonio è necessario essere nello stato di grazia?

R. Per ricevere degnamente il Sacramento del Matrimonio è necessario essere nello stato di grazia, ed è anche necessario rispettare le leggi della Chiesa.

D. 1032. Quali leggi della Chiesa siamo tenuti ad adempiere nel ricevere il Sacramento del Matrimonio?

R. Nel ricevere il Sacramento del Matrimonio siamo tenuti a rispettare qualunque legge della Chiesa riguardi il Matrimonio; come le leggi che vietano il Matrimonio solenne in Quaresima e nell’Avvento; la presenza, al Matrimonio, di parenti o persone di un’altra religione (soprattutto i modernisti del novus ordo – ndr. -), e in generale tutte le leggi che fanno riferimento a qualsiasi impedimento al matrimonio.

D. 1033. In quanti modi possono esservi legami tra le persone?

R. Le persone possono essere legate tra loro in quattro modi. Quando sono legati dal sangue, la loro relazione è chiamata consanguineità; quando sono collegati per matrimonio, si chiama affinità; quando sono legati dall’essere padrini di Battesimo o di Cresima, questo è chiamato affinità spirituale; quando sono correlati per adozione, si parla di affinità legale.

D. 1034. Chi ha il diritto di emanare leggi sul Sacramento del Matrimonio?

R. Solo la Chiesa ha il diritto di emanare leggi sul Sacramento del Matrimonio, sebbene lo Stato abbia anche il diritto di emanare leggi concernenti gli effetti civili del contratto di Matrimonio.

D. 1035. Che cosa intendiamo per leggi riguardanti gli effetti civili del contratto di Matrimonio?

R. Per le leggi riguardanti gli effetti civili del contratto di Matrimonio intendiamo le leggi relative alla proprietà o ai debiti del marito e della moglie, l’eredità dei loro figli o qualunque cosa riguardi i loro affari temporali. Tutte le persone sono obbligate ad obbedire alle leggi del loro Paese quando queste leggi non siano contrarie alle leggi di Dio.

D. 1036. La Chiesa proibisce il Matrimonio dei Cattolici con persone che hanno una religione diversa o nessuna religione?

R. Si, la Chiesa proibisce il Mratrimonio dei Cattolici con persone che hanno una religione diversa o nessuna religione.

D. 1037. Perché la Chiesa proibisce il Matrimonio dei Cattolici con persone che professino una religione diversa o nessuna religione?

R. La Chiesa proibisce il matrimonio dei cattolici con persone che professano una religione diversa, o nessuna religione, perché tali matrimoni generalmente portano all’indifferenza, alla perdita della fede e alla negligenza dell’educazione religiosa dei bambini.

D. 1038. Come si chiamano i matrimoni dei Cattolici con persone di un’altra religione e quando la Chiesa li concede per dispensa?

R. I matrimoni dei Cattolici con persone di un’altra religione sono chiamati matrimoni misti. La Chiesa li concede per dispensa solo a certe condizioni e per motivi urgenti; principalmente per prevenire un male maggiore.

D. 1039. Quali sono le condizioni in base alle quali la Chiesa permette ad un Cattolico di sposare uno che non è cattolico?

R. Le condizioni in base alle quali la Chiesa permette a un Cattolico di sposare una persona che non è cattolica sono:

– Che al Cattolico sia permesso il libero esercizio della sua Religione;

– Che il Cattolico proverà con l’insegnamento ed il buon esempio a guidare colui che non è cattolico ad abbracciare la vera fede;

– Che tutti i bambini nati dal matrimonio saranno educati nella Religione cattolica. La cerimonia di Matrimonio non deve essere ripetuta da un ministro eretico. Senza queste promesse, la Chiesa non acconsentirà ad un matrimonio misto, e se la Chiesa non acconsente al matrimonio, esso è illegale.

D. 1040. Quale pena la Chiesa impone ai Cattolici che si sposano davanti a un pastore protestante?

R. I Cattolici che si sposano prima da un pastore protestante, incorrono nella scomunica; cioè, una censura della Chiesa o pena spirituale, che impedisce loro di ricevere il Sacramento della Penitenza, finché il Sacerdote che ascolta la loro confessione ottenga facoltà speciali o il permesso del Vescovo (Vescovo Cattolico vero – ndr. -); perché con un tale matrimonio essi fanno professione di appartenenza ad una falsa religione, riconoscendo come sacerdote uno che non ha né potere sacro né autorità (questo vale oggi pure per i falsi sacerdoti del novus ordo e degli scismatici lefebvriani e sedevacantisti – ndr. -).

D. 1041. In che modo la Chiesa mostra il suo dispiacere per i matrimoni misti?

R. La Chiesa mostra il suo dispiacere per i matrimoni misti con la freddezza con cui li sanziona, proibendo ogni cerimonia religiosa, e vietando al Sacerdote di usare qualsiasi paramento sacro, l’acqua santa o la benedizione dell’anello in tali matrimoni, proibendo pure che siano svolti nella Chiesa o anche in sacrestia. D’altra parte, la Chiesa mostra la sua gioia e l’approvazione per un vero Matrimonio cattolico con la Messa nuziale e le cerimonie solenni.

D. 1042. Perché i Cattolici dovrebbero evitare i matrimoni misti?

R. I cattolici dovrebbero evitare i matrimoni misti:

– Perché sono sgraditi alla Chiesa e non possono apportare la misura piena della grazia e della benedizione di Dio;

– Perché i figli dovrebbero avere il buon esempio da entrambi i genitori nella pratica della loro Religione;

– Perché tali matrimoni danno luogo a frequenti dispute su questioni religiose tra marito e moglie e tra i loro parenti;

– Perché chi non è Cattolico, ignorando il carattere sacro del Sacramento, può chiedere il divorzio e sposarsi di nuovo, lasciando il Cattolico sposato, abbandonato.

D. 1043. La Chiesa cerca di fare proseliti convertiti con le sue leggi riguardanti i matrimoni misti?

R. La Chiesa non cerca di fare conversioni con le sue leggi sui matrimoni misti, ma cerca solo di impedire che i suoi figli perdano la fede e diventino pervertiti dalla compagnia costante di persone non cattoliche. La Chiesa non desidera che le persone diventino cattoliche solo per il gusto di sposare i Cattolici. Tali conversioni sono, di regola, non sincere, non fanno bene, ma piuttosto rendono tali convertiti ipocriti e colpevoli di peccati più grandi, in particolare di peccati di sacrilegio.

D. 1044. Perché molti matrimoni si dimostrano infelici?

R. Molti matrimoni si dimostrano infelici perché sono maturati in fretta e senza degni motivi.

D. 1045. Quando i matrimoni sono maturati in fretta?

R. I matrimoni vengono fatti frettolosamente quando le persone non considerano e investigano a sufficienza il carattere, le abitudini e le disposizioni di colui che intendono sposare. È saggio cercare qualità durature e solide virtù in un compagno per tutta la vita e non essere trascinato da caratteristiche che soddisfino solo temporaneamente.

D. 1046. Quando sono validi ​​i motivi del Matrimonio?

R. I motivi del Matrimonio sono degni quando le persone si uniscono per fare la volontà di Dio e realizzare il fine per il quale Egli ha istituito il Sacramento. Qualsiasi cosa si opponga al vero oggetto del Sacramento, la santificazione del marito e della moglie, deve essere motivo indegno.

D. 1047. Come dovrebbero prepararsi i Cristiani ad un matrimonio santo e felice?

R. I Cristiani devono prepararsi per un matrimonio santo e felice ricevendo i Sacramenti della Penitenza e della Santa Eucaristia; pregando Dio di concedere loro una retta intenzione e di dirigerli nella loro scelta; cercando il consiglio dei loro genitori e la benedizione dei loro pastori.

D. 1048. In che modo i genitori possono essere colpevoli di grave ingiustizia nei confronti dei loro figli in caso di Matrimonio?

R. I genitori possono essere colpevoli di granve ingiustizia verso i loro figli in caso di matrimonio, cercando la gratificazione dei loro scopi e desideri, piuttosto che il bene dei loro figli, e costringendo quindi, per motivi egoistici e irragionevoli, i loro figli a sposare persone che non amino o impedire loro di sposare le persone scelte dai dettami della loro coscienza, o costringerli a sposarsi quando non hanno alcuna vocazione per una tale vita o nessuna vera conoscenza dei propri obblighi.

D. 1049. Possono le persone ricevere il Sacramento del Matrimonio più di una volta?

R. Le persone possono ricevere il sacramento del Matrimonio più di una volta, a condizione che siano certi della morte dell’ex marito o moglie e che siano conformi alle leggi della Chiesa.

D. 1050. Dove e in quale momento del giorno i Cattolici dovrebbero sposarsi?

R. I Cattolici dovrebbero sposarsi davanti all’altare nella Chiesa. Dovrebbero essere sposati al mattino e, se possibile, con una Messa nuziale.

D. 1051. Che cosa non deve mai essere dimenticato da coloro che partecipano ad una cerimonia di Matrimonio nella Chiesa?

R. Coloro che partecipano a una cerimonia di Matrimonio nella Chiesa, non devono mai dimenticare la presenza del Santissimo Sacramento, e che tutte le risate, i discorsi e le irriverenze sono vietate allora come in altri momenti. Le donne non devono mai entrare alla presenza del Santissimo Sacramento a testa scoperta, e il loro vestito deve essere in armonia con la rigida modestia richiesta dalla presenza di Nostro Signore, a prescindere da cosa possano richiedere la vanità o le maniere mondane.

LEZIONE 27 –

SUI SACRAMENTALI

D. 1052. Che cos’è un sacramentale?

R. Un sacramentale è qualcosa che viene scelto o benedetto dalla Chiesa per eccitare i buoni pensieri e aumentare la devozione e, attraverso questi movimenti del cuore, per rimettere il peccato veniale.

D. 1053. In che modo i Sacramentali eccitano i buoni pensieri e aumentano la devozione?

R. I Sacramentali eccitano i buoni pensieri ricordando alle nostre menti una ragione speciale per fare il bene ed evitare il male; in particolare ricordandoci di qualche persona santa, evento o cosa attraverso cui le benedizioni ci sono giunte. Aumentano la devozione fissando le nostre menti su particolari virtù e aiutandoci a capirle e desiderarle.

D. 1054. I Sacramentali da se stessi rimettono i peccati veniali?

R. I Sacramentali da se stessi non rimettono i peccati veniali, ma ci muovono verso una devozione più vera, verso un amore più grande per Dio e un dolore più grande per i nostri peccati, e questa devozione, l’amore e la tristezza ci portano grazia, e la grazia rimette i peccati veniali.

D. 1055. Perché la Chiesa usa i Sacramentali?

R. La Chiesa usa i Sacramentali per insegnare ai fedeli di ogni classe le verità della religione che si possono apprendere anche dalla loro vista e dal loro ascolto; poiché Dio vuole che impariamo le Sue leggi con ogni mezzo possibile, con ogni potenza dell’anima e del corpo.

D. 1056. Si dimostra con un esempio come i Sacramentali aiutino l’ignorante nell’apprendere le verità di fede.

R. I sacramentali aiutano l’ignorante ad imparare le verità di fede così come i bambini imparano dalle immagini, già prima di essere in grado di leggere. Così uno che non può leggere il racconto della passione di Nostro Signore, può impararlo dalle Stazioni della Via Crucis; uno che si inginocchia davanti ad un crocifisso e guarda la testa sanguinante, le mani trafitte e il costato ferito, è maggiormente capace di comprendere le sofferenze di Cristo rispetto a chi non abbia visto mai un crocifisso.

D. 1057. Cosa sono le stazioni o la via crucis?

R. La Via dolorosa o la Via Crucis, è una devozione istituita dalla Chiesa per aiutarci a meditare sulla passione e morte di Cristo. Quattordici croci o stazioni, ciascuna con l’immagine di qualche scena della passione, sono disposte a distanza diversa. Passando da una stazione all’altra e pregando qualche momento, prima di meditare sulla scena che si rappresenta, facciamo la Via Crucis in memoria del doloroso viaggio di Cristo durante la sua passione, e otteniamo l’indulgenza concessa per questo pio esercizio.

D. 1058. Le preghiere e le cerimonie della Chiesa sono anche sacramentali?

R. Le preghiere e le cerimonie della Chiesa sono anche sacramentali, perché eccitano i buoni pensieri e aumentano la devozione. Qualunque cosa la Chiesa dedichi a un uso pio o ecciti all’adorazione di Dio, può essere definita sacramentale.

D. 1059. Su quale base la Chiesa fa uso di cerimonie?

R. La Chiesa fa uso di cerimonie:

– Secondo l’esempio della vecchia legge, nella quale Dio ha descritto e comandato cerimonie;

– Secondo l’esempio di Nostro Signore, che ha strofinato, ad esempio, l’argilla sugli occhi del cieco, quando ha voluto ridare la vista, sebbene Egli avesse potuto compiere il miracolo senza alcun atto esterno;

– Sull’autorità della Chiesa stessa, a cui Cristo ha conferito il potere di fare tutto il necessario per l’istruzione di tutti gli uomini;

– Aggiungere solennità agli atti religiosi.

D. 1060. In che modo le persone possono peccare usando i Sacramentali?

R. Le persone possono peccare usando i Sacramentali usandoli in un modo o per uno scopo proibito dalla Chiesa; anche credendo che l’uso dei Sacramentali ci salverà, nonostante le nostre vite peccaminose. Dobbiamo ricordare che i Sacramentali possono aiutarci solo attraverso la benedizione che la Chiesa dà loro e attraverso le buone disposizioni che eccitano in noi. Non hanno quindi alcun potere per se stessi e mettere troppa fiducia nel loro uso, conduce alla superstizione.

D. 1061. Qual è la differenza tra i Sacramenti e i Sacramentali?

R. La differenza tra i Sacramenti e i Sacramentali è:

1. I Sacramenti furono istituiti da Gesù Cristo e i Sacramentali furono istituiti dalla Chiesa;
2. I Sacramenti danno la grazia di per se stessi quando non vi poniamo ostacoli all’azione;
3. I Sacramentali eccitano in noi le pie disposizioni, mediante le quali possiamo ottenere la grazia.

D. 1062. Può la Chiesa aumentare o diminuire il numero dei Sacramenti e dei Sacramentali?

R. La Chiesa non può mai aumentare né diminuire il numero dei Sacramenti, perché siccome li ha istituiti Cristo stesso, solo Egli ha il potere di cambiarne il numero; ma la Chiesa può aumentare o diminuire il numero dei Sacramentali come richiede la devozione del suo popolo o le circostanze del tempo e del luogo, poiché avendoli la Chiesa istituiti, essi dipendono interamente dalle sue leggi.

D. 1063. Qual è il principale sacramentale usato nella Chiesa?

R. Il principale sacramentale usato nella Chiesa è il segno della croce.

D. 1064. Come facciamo il segno della croce?

R. Facciamo il segno della croce mettendo la mano destra sulla fronte, poi sul petto e poi sulla spalla sinistra e poi la destra, dicendo: “Nel nome del Padre e del Figlio, e del Spirito Santo, Amen. ”

D. 1065. Qual è l’errore più comune di molti che si segnano?

R. Un errore comune di molti che si segnano, è quello di fare un movimento affrettato con la mano che non è in alcun modo un segno della croce. Essi eseguono questo atto di devozione senza pensiero o intenzioni, dimenticando che la Chiesa concede un’indulgenza a tutti coloro che si segnano con vivo dolore per i loro peccati.

D. 1066. Perché facciamo il segno della croce?

R. Facciamo il segno della croce per dimostrare che siamo Cristiani e per professare la nostra fede nei principali misteri della nostra Religione.

D. 1067. In che modo il segno della croce è una professione di fede nei principali misteri della nostra Religione?

R. Il segno della croce è una professione di fede nei principali misteri della nostra Religione perché esprime i misteri dell’Unità e Trinità di Dio e dell’Incarnazione e morte del nostro Signore.

D. 1068. In che modo il segno della croce esprime il mistero dell’Unità e della Trinità di Dio?

R. Le parole “Nel nome” esprimono l’Unità di Dio; le parole che seguono “del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” esprimono il mistero della Trinità.

D. 1069. In che modo il segno della croce esprime il mistero dell’Incarnazione e morte del nostro Signore?

D. Il segno della croce esprime il mistero dell’Incarnazione ricordandoci che il Figlio di Dio, divenuto uomo, ha sofferto la morte sulla croce.

D. 1070. Quale altro sacramentale è di uso molto frequente?

R. Un altro sacramentale, in uso molto frequente, è l’acqua santa.

D. 1071. Che cos’è l’acqua santa?

R. L’acqua santa è acqua benedetta dal Sacerdote con una preghiera solenne per chiedere la benedizione di Dio a coloro che la usano e la protezione dai poteri delle tenebre.

D. 1072. Come differisce l’acqua del Sabato Santo, o l’Acqua di Pasqua, come viene chiamata, dall’acqua santa benedetta in altri tempi?

R. L’acqua benedetta il Sabato Santo, o Acqua di Pasqua, come è chiamata, differisce dall’acqua santa benedetta in altri tempi in questo: che l’acqua di Pasqua è benedetta con maggiore solennità, ed il cero pasquale, che rappresenta Nostro Signore risorto dalla morte, viene immerso in essa con speciale preghiera.

D. 1073. L’acqua è mai stata benedetta in onore di certi santi?

R. L’acqua è a volte benedetta in onore di certi santi e per scopi speciali. La forma di preghiera da usare in tali benedizioni si trova nel Rituale Romano – il libro che contiene preghiere e cerimonie per l’amministrazione dei Sacramenti e delle benedizioni autorizzate dalla Chiesa.

D. 1074. Ci sono altri Sacramenti oltre al segno della croce e dell’acqua santa?

R. Accanto al segno della croce e dell’acqua santa ci sono molti altri Sacramentali, come le candele benedette, le ceneri, le palme, i crocifissi, le immagini della Beata Vergine e dei santi, i rosari e gli scapolari.

D. 1075. Quando sono benedette le candele nella Chiesa e perché vengono usate?

R. Le candele sono benedette nella Chiesa nella festa della Purificazione della Beata Vergine, il 2 febbraio. Sono usati principalmente per illuminare e ornare i nostri altari, come segno di rispetto per la presenza di Nostro Signore e di gioia per la Sua venuta.

D. 1076. Quale consuetudine è ora in uso in molti luoghi?

R. Una consuetudine ormai in uso in molti luoghi è l’offerta da parte dei fedeli, nella festa della Purificazione, delle candele per l’uso dell’altare durante l’anno. È bello pensare che abbiamo candele che bruciano nel nostro nome sull’altare di Dio, e se il popolo ebraico annualmente faceva offerte al loro tempio, i Cristiani fedeli non dovrebbero trascurare i loro altari e le chiese in cui dimora Dio stesso.

D. 1077. Quando sono benedette le ceneri nella Chiesa e perché vengono usate?

R. Le ceneri sono benedetti nella Chiesa il mercoledì delle ceneri. Sono usate per ricordarci la nostra umile origine e di come il corpo di Adamo, nostro antenato, fu formato dal fango o argilla della terra; ed anche per ricordarci della morte, quando i nostri corpi ritorneranno alla polvere e della necessità di fare penitenza per i nostri peccati. Queste ceneri si ottengono bruciando le palme benedette nell’anno precedente.

D. 1078. Quando sono benedette le palme e cosa ci ricordano?

R. Le palme sono benedette la domenica delle Palme. Ci ricordano l’entrata trionfale di Nostro Signore a Gerusalemme, quando il popolo, desiderando onorarlo e renderlo re, distese rami di palma e persino le proprie vesti sul suo cammino, cantando: Osanna al Figlio di Davide.

  1. 1079. Qual è la differenza tra una croce e un crocifisso?
  2. Una croce non ha figura mentre un crocifisso ha la figura di Nostro Signore. La parola “crocifisso” significa fissato o inchiodato alla croce.

D. 1080. Che cos’è il Rosario?

R. Il Rosario è una forma di preghiera nella quale diciamo un certo numero di Pater noster e Ave Maria, meditando o pensando per un breve periodo prima di ogni decina; cioè, prima di ogni Padre Nostro e dieci Ave Maria, meditiamo su qualche evento particolare nella vita di Nostro Signore. Questi eventi sono chiamati “misteri del Rosario”. Il filo di grani sul quale sono dette queste preghiere è anche chiamato “rosario”. I Rosari ordinari sono composti da cinque decadi, o un terzo di tutto il Rosario intero.

D. 1081. Chi ha insegnato l’uso del Rosario nella sua forma attuale?

R. È San Domenico che ha insegnato l’uso del Rosario nella sua forma attuale. Con esso, istruì i suoi ascoltatori nelle principali verità della nostra santa Religione e convertì molti alla vera fede.

D. 1082. Come si dice il Rosario?

R. Per recitare il Rosario, si segniamo con la croce, quindi si recita il Credo degli Apostoli e il Pater noster sul primo grano grande, poi l’Ave Maria su ognuna dei tre piccoli grani, e poi il Gloria al Padre ecc. Quindi menzioniamo o pensiamo al primo mistero che desideriamo onorare, e recitiamo un Padre Nostro sul granulo grande e un’Ave Maria su ciascun granulo dei dieci che seguono. Alla fine di ogni decina, o dieci Ave Maria, diciamo “Gloria al Padre”; ecc. Quindi menzioniamo il mistero successivo e facciamo come prima, e così via fino alla fine.

  1. D. 1083. Quanti misteri del Rosario ci sono?

R. Ci sono quindici misteri del Rosario disposti nell’ordine in cui questi eventi si sono verificati nella vita di Nostro Signore e divisi in cinque “gioiosi”, cinque “dolorosi” e cinque misteri “gloriosi”.

D. 1084. Quali sono i cinque misteri gioiosi del Rosario.

R. I cinque misteri gioiosi del Rosario sono:

– L’Annunciazione – l’Angelo Gabriele che dice alla Vergine di essere la Madre di Dio;

– La Visitazione: la Beata Vergine va a far visita a sua cugina, Santa Elisabetta, madre di San Giovanni Battista;

– La natività, o nascita, di Nostro Signore;

– La presentazione di Gesù Bambino nel tempio: i suoi genitori lo offrirono a Dio;

– Il ritrovamento del Bambino Gesù nel tempio – I suoi genitori lo hanno perso a Gerusalemme per tre giorni.

D. 1085. Quali sono i cinque misteri dolorosi del Rosario.

R. I cinque misteri dolorosi del Rosario sono:

– L’agonia nel giardino del Getsemani – Nostro Signore era in un’angoscia terribile e si bagnava di sudore sanguinante;

– La flagellazione alla colonna: Cristo fu spogliato delle sue vesti e frustato in modo crudele;

– L’incoronazione di spine – Fu deriso come un re da uomini senza cuore;

– Il trasporto della croce – dal luogo in cui fu condannato, fino al Calvario, il luogo della crocifissione;

– La crocifissione – È stato inchiodato alla croce tra gli scherni e le bestemmie dei suoi nemici.

D. 1086. Dì i cinque gloriosi misteri del Rosario.

R. I cinque gloriosi misteri del Rosario sono:

  1. – La risurrezione di nostro Signore;

– L’Ascensione di Nostro Signore;

– La discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli;

– L’Assunzione della Beata Vergine: dopo la morte fu portata in cielo e in corpo;

– L’incoronazione della Beata Vergine – entrando nel cielo fu fatta Regina di tutti gli Angeli e dei Santi e posta in dignità accanto al suo Divin Figlio, il nostro Beato Signore.

D. 1087. In quali giorni, secondo la pia consuetudine dei fedeli, si dicono di solito i diversi misteri del Rosario?

R. Secondo la pia consuetudine dei fedeli, i diversi misteri del Rosario si dicono di solito nei giorni seguenti, vale a dire: i gaudiosi il lunedì e il giovedì, i dolorosi il martedì e il venerdì e il glorioso la domenica, il mercoledì e il sabato.

D. 1088. Che cosa significano le lettere INRI sul crocifisso?

R. Le lettere INRI sul crocifisso sono le prime lettere di quattro parole latine che significano Gesù di Nazareth, re degli ebrei. Nostro Signore ha detto che era il re dei Giudei, ma ha anche detto che non era il loro re temporale o terrestre, ma il loro Re spirituale e celeste.

D. 1089. A che cosa possiamo attribuire il desiderio degli ebrei di mettere Cristo a morte?

R. Possiamo attribuire il desiderio degli ebrei di mettere Cristo a morte alla gelosia, all’odio e alla malvagità dei loro sacerdoti e farisei, le cui colpe Egli ha rimproverato e dimostrando la loro ipocrisia. Essi, con le loro calunnie e menzogne ​​hanno indotto il popolo a seguirli nel chiedere la crocifissione di Nostro Signore.

D. 1090. Con chi ha vissuto la Beata Vergine dopo la morte di Nostro Signore?

R. Dopo la morte di Nostro Signore, la Beata Vergine visse per circa undici anni con l’apostolo San Giovanni Evangelista, chiamato anche il Discepolo Amato, che scrisse uno dei quattro Vangeli, tre Epistole e l’Apocalisse, o Libro delle rivelazioni – l’ultimo libro della Bibbia. Ha vissuto fino all’età di cento anni o più ed è morto ultimo fra tutti gli Apostoli.

D. 1091. Che cosa intendiamo per Assunzione della Beata Vergine e perché ci crediamo?

R. Per Assunzione della Beata Vergine intendiamo che il suo corpo è stato portato in cielo dopo la sua morte. Noi ci crediamo:

– Perché la Chiesa non può insegnare l’errore, eppure sin dalla tenera età la Chiesa ha celebrato la festa dell’Assunzione;

– Poiché nessuno ha mai affermato di avere una reliquia del corpo di nostra Madre Benedetta, e sicuramente gli Apostoli, che l’hanno conosciuta e amata, si sarebbero assicurati una reliquia, se il suo corpo fosse rimasto sulla terra.

D. 1092. Che cosa significano le lettere IHS su un altare o su cose sacre?

R. Le lettere IHS su un altare o su cose sacre indicano il nome Gesù; perché è in questo modo che il Santo Nome è scritto in lingua greca, anche se alcune delle lettere sono tralasciate.

D. 1093. Che cos’è lo scapolare e perché è indossato?

R. Lo scapolare è un lungo pezzo di stoffa di lana che fa parte dell’abito religioso di monaci, Sacerdoti e suore di alcuni ordini religiosi. È indossato sulle spalle e si estende dalle spalle fino ai piedi. Il piccolo scapolare fatto ad imitazione di esso e formato da due piccoli pezzi di stoffa uniti da fili, viene indossato dai fedeli come promessa o prova della loro volontà di praticare una particolare devozione, indicata dal tipo di scapolare che indossano.

D. 1094. Quanti tipi di scapolari ci sono in uso tra i fedeli?

R. Tra i fedeli ci sono molti tipi di scapolari in uso, come lo scapolare marrone o scapolare del Monte Carmelo, indossato in onore della passione di Nostro Signore; il bianco, in onore della Santa Trinità; il blu, in onore dell’Immacolata Concezione; e il nero, in onore dei sette dolori della Beata Vergine. Quando questi sono uniti e indossati tutti in uno, sono chiamati i cinque scapolari. Lo scapolare marrone è il meglio conosciuto e dà diritto a chi lo indossa ai più grandi privilegi ed indulgenze.

D. 1095. Cosa sono i sette dolori della Beata Vergine?

R. I sette dolori della Beata Vergine sono i principali eventi dolorosi nella vita di Nostra Signora. Essi sono:

– La Circoncisione del nostro Signore – quando vide il suo sangue versato per la prima volta;

– La sua Fuga in Egitto – per salvare la vita di Gesù Bambino quando Erode cercò di ucciderlo;

– I tre giorni in cui smarrì suo Figlio a Gerusalemme;

– Quando lo vide portare la croce;

– Quando lo vide morire;

– Quando il suo cadavere fu tolto dalla croce;

– Quando fu deposto nel sepolcro o tomba.

D. 1096. Cosa sono le sette perle dolorose, e come le diciamo?

R. Le sette perle dolorose, sono perle costruite con sette medaglie, ognuna recante la rappresentazione di uno dei sette dolori, e sette perle tra una medaglia e l’altra. Per ogni medaglia meditiamo sul dolore relativo e diciamo un’Ave Maria su ciascuna delle perle che la seguono.

D. 1097. Che cos’è l’Agnus Dei?

R. L’Agnus Dei è un piccolo pezzo di cera d’api con l’immagine di un agnello e una croce. È solennemente benedetto dal Papa con speciali preghiere per coloro che lo portano sulla loro persona in onore del Nostro Redentore, che noi chiamiamo l’”Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”. La cera è solitamente ricoperta di seta o di materiale pregiato.

LEZIONE 28 –

SULLA PREGHIERA

D. 1098. C’è qualche altro modo per ottenere la grazia di Dio oltre ai Sacramenti?

R. Sì, c’è un altro mezzo per ottenere la grazia di Dio, ed è la preghiera.

D. 1099. Che cos’è la preghiera?

R. La preghiera è l’innalzamento delle nostre menti e dei nostri cuori a Dio, adorarlo, ringraziarlo per i suoi benefici, chiedere il Suo perdono e implorare a Lui tutte le grazie di cui abbiamo bisogno, sia per l’anima che per il corpo.

D. 1100. Quanti tipi di preghiera ci sono?

R. Ci sono due tipi di preghiera:

– La preghiera mentale, chiamata meditazione, nella quale trascorriamo il tempo pensando a Dio o ad una o più delle verità che Egli ha rivelato, e con questi pensieri possiamo essere persuasi dal condurre una vita più santa;

– Preghiera vocale, in cui esprimiamo questi pensieri pii con le parole.

D. 1101. Perché la preghiera mentale è più utile per noi?

R. La preghiera mentale è molto utile per noi perché ci obbliga, mentre siamo impegnati, a mantenere la nostra attenzione fissa su Dio e le Sue leggi sacre e per mantenere i nostri cuori e le nostre menti innalzati a Lui.

D. 1102. Come possiamo fare una meditazione?

R. Possiamo fare una meditazione:

– Ricordando che siamo alla presenza di Dio;

– Chiedendo allo Spirito Santo di darci la grazia di beneficiare della meditazione;

– Riflettendo seriamente su alcune sacre verità riguardanti la nostra salvezza;

– Traendo una buona risoluzione dai pensieri che abbiamo avuto;

– Ringraziando Dio per la conoscenza e la grazia conferite a noi attraverso la meditazione.

D. 1103. Dove possiamo trovare soggetti o punti per la meditazione?

R. Possiamo trovare materie o punti per la meditazione nelle parole del Padre Nostro, dell’Ave Maria o del Credo degli Apostoli; anche nelle domande e risposte del nostro Catechismo, nella Sacra Bibbia e nei libri di meditazione.

D. 1104. È necessaria la preghiera per la salvezza?

R. La preghiera è necessaria per la salvezza, e senza di essa non si può salvare nessuno che abbia l’uso della ragione.

D. 1105. In quali momenti particolari dovremmo pregare?

R. Dovremmo pregare in particolare la domenica e nei giorni festivi, ogni mattina e ogni sera, in tutti i pericoli, nelle tentazioni e nelle afflizioni.

D. 1106. Come dovremmo pregare?

R. Dovremmo pregare:

– Con attenzione;

– Con il senso della nostra impotenza e di dipendenza da Dio;

– Con un grande desiderio di ottenere le grazie;

– Con la fiducia nella bontà di Dio;

– Con perseveranza.

D. 1107. Come dovrebbe essere la nostra attenzione alla preghiera?

R. La nostra attenzione alla preghiera dovrebbe essere triplice, cioè l’attenzione alle parole, affinché possiamo dirle correttamente e distintamente; l’attenzione al loro significato, affinché le comprendiamo, e l’attenzione a Dio, a cui sono rivolte le parole.

D. 1108. Quale dovrebbe essere la posizione del corpo quando preghiamo?

R. Nella preghiera la posizione più conveniente del corpo è in ginocchio, ma se preghiamo in ginocchio, in piedi o seduti, la posizione del corpo dovrebbe sempre essere quella che indica riverenza, rispetto e devozione. Possiamo pregare anche sdraiandoci o camminando, perché Nostro Signore stesso dice che dovremmo pregare in ogni momento.

D. 1109. Cosa dovremmo fare per poter pregare bene?

R. Per poter pregare bene dovremmo prepararci prima della preghiera:

– Richiamando alla mente la dignità di Dio, a cui stiamo per parlare, e la nostra indegnità di comparire alla Sua presenza;

– Determinando la richiesta della grazia o la benedizione precisa che intendiamo richiedere;

– Ricordando la potenza e la volontà di Dio nel concedere, se veramente ne abbiamo bisogno e di chiedere ardentemente in umiltà e con fiducia.

D. 1110. Perché Dio non sempre esaudisce le nostre preghiere?

– Dio non sempre esaudisce le nostre preghiere per questi e altri motivi:

– Perché non preghiamo nella maniera corretta;

– Affinché possiamo imparare la nostra dipendenza da Lui, provare la nostra fiducia in Lui e meritare premi con la nostra pazienza e la perseveranza nella preghiera. Le persone prudenti non accettano ogni richiesta; perché, allora, dovrebbe farlo Dio?

D. 1111. Che assicurazione abbiamo che Dio ascolti sempre e ricompensi le nostre preghiere, sebbene Egli non possa concedere tutto ciò che chiediamo?

R. Abbiamo la certezza di Nostro Signore Stesso che Dio ascolta sempre e ricompensa le nostre preghiere, sebbene Egli non possa concedere ciò che chiediamo; poiché Cristo disse: “Chiedete e vi sarà dato”, e “se chiedete al Padre qualcosa nel Mio nome, Egli lo darà a voi”.

D. 1112. Quali sono le preghiere più raccomandate per noi?

R. Le preghiere più raccomandate per noi sono la Preghiera del Signore, l’Ave Maria, il Credo degli Apostoli, il Confiteor e gli Atti di Fede, Speranza, Carità e di Contrizione.

D. 1113. Le preghiere dette con distrazioni ci sono comunque di utilità?

R. Le preghiere dette con distrazione volontaria non servono a nulla.

D. 1114. Perché le preghiere dette con distrazione volontaria non ci sono utili?

R. Le preghiere dette con distrazione volontaria non servono a nulla perché sono semplici parole, come potrebbe dirle un automa, e perché non c’è elevazione della mente o del cuore esse non possono essere una preghiera.

D. 1115. Allora, le distrazioni che spesso abbiamo durante la preghiera privano le nostre preghiere di ogni merito?

R. Le distrazioni che spesso abbiamo durante la preghiera non privano le nostre preghiere di ogni merito, purché non siano ostinate quando cerchiamo di tenerle lontane, perché Dio ricompensa le nostre buone intenzioni e gli sforzi che facciamo per pregare bene.

D. 1116. Che cos’è, allora, una distrazione?

R. Una distrazione è qualsiasi pensiero che, durante la preghiera, entri nella nostra mente per allontanare i nostri pensieri e i nostri cuori da Dio e dal sacro dovere che stiamo eseguendo.

D. 1117. Quali sono i frutti della preghiera?

R. I frutti della preghiera sono: ESSA

– Rafforza la nostra fede,

– nutre la nostra speranza,

– aumenta il nostro amore per Dio,

– ci mantiene umili,

– ci merita la grazia ed espia il peccato.

D. 1118. Perché dovremmo pregare quando Dio già conosce i nostri bisogni?

R. Preghiamo Dio non per ricordargli o dirgli ciò di cui abbiamo bisogno, ma per riconoscere che Egli è il Datore Supremo, per adorarlo e rendergli culto, mostrando tutta la nostra dipendenza da Lui per ogni dono all’anima o al corpo.

D. 1119. Possiamo dire piccole preghiere anche sul lavoro?

R. Anche al lavoro possiamo dire piccole giaculatorie, come “Mio Dio, perdona i miei peccati, Benedetto sia il Santo Nome di Gesù, Spirito Santo, illuminami, Santa Maria, prega per me,” ecc.

D. 1120. Lo stesso Nostro Signore ha pregato, perché?

R. Lo stesso Nostro Signore ha pregato molto spesso, passando spesso l’intera notte in preghiera. Pregava prima di ogni azione importante, non che avesse bisogno di pregare, ma per darci un esempio di come e quando dovremmo pregare.

D. 1121. Perché la Chiesa conclude la maggior parte delle sue preghiere con le parole “per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore”?

R. La Chiesa conclude la maggior parte delle sue preghiere con le parole “per mezzo del Signore Nostro Gesù Cristo”, perché è solo attraverso i suoi meriti che possiamo ottenere la grazia, e perché “non c’è nessun altro Nome dato agli uomini per mezzo del quale possiamo essere salvati”.

D. 1122. C’è qualche promessa speciale fatta a favore delle preghiere fatte di due o più persone unite?

R. Una speciale promessa fu fatta a favore delle preghiere di due o più persone unite, quando Nostro Signore disse: “Dove ci sono due o tre riuniti nel Mio nome, Io sono in mezzo a loro”. Pertanto, le preghiere unite di una congregazione, di una comunità, della famiglia e, soprattutto, le preghiere pubbliche di tutta la Chiesa, hanno grande influenza su Dio. Dovremmo unirci alle preghiere pubbliche con vera devozione, e non per abitudine o, peggio ancora, per mostrare la nostra pietà.

D. 1123. Qual è il posto più adatto per pregare?

R. Il luogo più adatto per la preghiera è la Chiesa – casa di preghiera – resa santa dalle benedizioni speciali e, soprattutto, dalla presenza reale di Gesù che dimora nel Tabernacolo. Nondimeno, Nostro Signore ci esorta a pregare anche in segreto, poiché il Padre suo, che vede in segreto, ci ripagherà.

D. 1124. Per cosa dovremmo pregare?

R. Dovremmo pregare:

1. Per noi stessi, per ottenere benedizioni dell’anima e del corpo e perché possiamo essere devoti servitori di Dio;

2. Per la Chiesa, per tutti i desideri spirituali e temporali, ed affinché la vera fede possa essere conosciuta e professata ovunque;

3. Per i nostri parenti, amici e benefattori, in particolare per quelli che potremmo in qualche modo aver ferito;

4. Per tutti gli uomini, per la protezione dei buoni e la conversione dei malvagi, perché prosperi la virtù e possa sparire il vizio;

5. Per i nostri governanti spirituali, il Papa, i nostri Vescovi, Sacerdoti e comunità religiose, affinché possano compiere fedelmente i loro sacri doveri;

6. Per il nostro Paese, i governatori temporali, affinché possano usare il loro potere per il bene dei loro sudditi e per l’onore e la gloria di Dio.

CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (VIII) – Lez. 23-25

CATECHISMO DI BALTIMORA (VIII) – Lez. 23-25

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 23 –

SUL FINE PER IL QUALE È STATA ISTITUITA LA SANTA EUCARISTIA

D. 895. Perché Cristo istituì la Santa Eucaristia?

R. Cristo ha istituito la Santa Eucaristia:

1. Per unirci a sé e nutrire la nostra anima con la sua vita divina.
2. Per aumentare la grazia santificante e tutte le virtù nella nostra anima.
3. Per ridurre le nostre inclinazioni malvagie.
4. Come pegno di vita eterna.
5. Per adattarsi ai nostri corpi per una gloriosa risurrezione.
6. Per continuare il sacrificio della Croce nella sua Chiesa.

D. 896. La Santa Eucaristia ha qualche altro effetto?

R. La santa Eucaristia rimette i peccati veniali disponendoci a compiere atti di amore e contrizione. Ci preserva dal peccato mortale, eccitandoci ad un maggiore fervore e rafforzandoci dalla tentazione.

D. 897. In che modo siamo uniti a Gesù Cristo nella Santa Eucaristia?

R. Siamo uniti a Gesù Cristo nella Santa Eucaristia mediante la Santa Comunione.

D. 898. Che cos’è la Santa Comunione?

R. La santa Comunione è: ricevere il corpo e il sangue di Cristo.

D. 899. Non è sminuire la dignità di Nostro Signore, entrare nei nostri corpi sotto l’apparenza del cibo ordinario?

R. Non è sminuire la dignità di Nostro Signore entrare nei nostri corpi sotto l’apparenza del cibo ordinario, non meno di quanto fosse diminuita in dignità l’entrare nel corpo della Sua Benedetta Madre e rimanere lì come un bambino normale per nove mesi. La dignità di Cristo, essendo infinita, non può mai essere sminuita da alcun atto né da parte sua, nè da parte nostra.

D. 900. Perché la Chiesa non dà la Santa Comunione al popolo anche sotto l’aspetto del vino come fa con il sacerdote?

R. La Chiesa non dà la Santa Comunione al popolo come fa al sacerdote, anche sotto l’aspetto del vino, per evitare il pericolo di spargere il Preziosissimo Sangue; per impedire l’irriverenza che qualcuno potrebbe mostrare se obbligato a bere da un calice usato da tutti e, infine, per confutare coloro che negavano che il sangue di Nostro Signore fosse presente anche sotto l’apparenza del pane.

D. 901. Che cosa è necessario per fare una buona Comunione?

R. Per fare una buona Comunione è necessario essere nello stato di grazia santificante e digiunare secondo le leggi della Chiesa.

D. 902. Cosa dovrebbe fare una persona che, attraverso l’oblio o qualsiasi altra causa, abbia interrotto il digiuno necessario per la Santa Comunione?

R. Una persona che per dimenticanza o per qualsiasi altra causa abbia rotto il digiuno necessario per la Santa Comunione, dovrebbe di nuovo digiunare e ricevere la Santa Comunione il mattino seguente, se possibile, senza tornare alla confessione. Non è un peccato spezzare il digiuno, ma sarebbe un peccato mortale ricevere la Santa Comunione dopo aver consapevolmente interrotto il digiuno necessario.

D. 903. Colui che riceve la Comunione in peccato mortale riceve il corpo e il sangue di Cristo?

R. Chi riceve la comunione in peccato mortale riceve il corpo e il sangue di Cristo, ma non riceve la sua grazia e commette un grande sacrilegio.

D. 904. Basta essere liberi dal peccato mortale per ricevere in abbondanza le grazie della santa Comunione?

R. Per ricevere in abbondanza le grazie della Santa Comunione, non è sufficiente essere liberi dai peccati mortali, ma dovremmo essere liberi da ogni affetto pur anche al peccato veniale, e dovremmo compiere atti di viva fede, di ferma speranza edardente amore.

D. 905. Qual è il digiuno necessario per la Santa Comunione?

R. Il digiuno necessario per la Santa Comunione è l’astensione dal cibo, dalle bevande alcoliche e dalle bevande analcoliche un’ora prima della Santa Comunione. L’acqua non rompe il digiuno.

D. 906. La medicina presa per necessità o il cibo preso per caso spezza il digiuno della Santa Comunione?

R. La medicina non rompe il digiuno; né il cibo preso per inavvertenza entro un’ora prima che della Comunione.

D. 907. È permesso a qualcuno ricevere la Santa Comunione se non è digiuno?

R. Per proteggere il Santissimo Sacramento dall’insulto o dall’ingiuria, o quando si è in pericolo di morte, la Santa Comunione può essere ricevuta senza digiuno.

D. 908. La Santa Comunione è chiamata con qualche altro nome quando viene data a qualcuno in pericolo di morte?

R. Quando la Santa Comunione è data a qualcuno in pericolo di morte, si chiama Viatico e viene data con la sua forma di preghiera. Nel dare la Santa Comunione il sacerdote dice: “Possa il corpo di nostro Signore Gesù Cristo custodire la tua anima alla vita eterna”. Nel dare il Viatico santo dice: “Ricevi, fratello (o sorella), il Viatico del corpo di Nostro Signore Gesù Cristo, che ti proteggerà dal nemico malvagio e ti guiderà nella vita eterna”.

D. 909. Quando siamo obbligati a ricevere la santa Comunione?

R. Siamo tenuti a ricevere la Santa Comunione, sotto pena di peccato mortale, durante il tempo pasquale e in pericolo di morte.

D. 910. È bene ricevere spesso la Santa Comunione?

R. È bene ricevere spesso la Santa Comunione, poiché nulla è più di aiuto per una vita santa che ricevere spesso l’Autore di ogni grazia e la Sorgente di ogni bene.

D. 911. Come sapremo quanto spesso dovremmo ricevere la Santa Comunione?

R. Sapremo quanto spesso ricevere la Santa Comunione solo dal consiglio del nostro confessore, dal quale dobbiamo essere guidati e a cui dobbiamo obbedire rigorosamente in questo, come in tutte le questioni riguardanti lo stato della nostra anima.

D. 912. Che cos’è una comunione spirituale?

R. Una comunione spirituale è un desiderio sincero di ricevere la Comunione nella realtà, con il quale desideriamo fare tutti i preparativi ed i ringraziamenti che faremmo nel caso in cui davvero ricevessimo la Santa Eucaristia. La Comunione spirituale è un atto di devozione che deve essere gradito a Dio e portarci benedizioni da Lui.

D. 913. Cosa dovremmo fare dopo la santa Comunione?

R. Dopo la santa Comunione, dovremmo passare un po’ di tempo ad adorare Nostro Signore, ringraziandolo per la grazia che abbiamo ricevuto e chiedendogli le benedizioni di cui abbiamo bisogno.

D. 914. Che tempo dovremmo dedicare al ringraziamento dopo la santa Comunione?

R. Dovremmo dedicare un tempo sufficiente al Ringraziamento dopo la Santa Comunione per mostrare la dovuta riverenza al Santissimo Sacramento, poiché Nostro Signore è personalmente con noi finché rimane l’aspetto del pane e del vino.

D. 915. Che cosa dovremmo essere in particolare riguardo alla ricezione della Santa Comunione?

R. Quando riceviamo la santa Comunione, dovremmo essere particolarmente:

1.  Rispettosi nel modo con cui ci avviciniamo e allontaniamo dall’altare;
2. Curati nel nostro aspetto personale, in particolare nella decenza e pulizia;
3. Pronti nell’alzare la testa, aprire la bocca e sporgere in avanti la lingua nella maniera corretta;
4. Cauti nell’ingoiare l’Ostia Sacra;
5. Attenti a muovere con cura con la lingua, nel caso in cui dovesse aderire alla bocca, senza mai usare le dita per nessuna circostanza.

LEZIONE 24 – SUL SACRIFICIO DELLA MESSA

D. 916. Quando e dove il pane e il vino sono cambiati nel corpo e nel sangue di Cristo?

R. Il pane e il vino sono cambiati nel corpo e nel sangue di Cristo alla Consacrazione nella Messa.

D. 917. Che cos’è la Messa?

R. La Messa è il Sacrificio incruento del corpo e del sangue di Cristo.

D. 918. Perché questo Sacrificio è chiamato la Messa?

  1. Questo Sacrificio è chiamato la “Messa” molto probabilmente dalle parole “Ite Missa est”, usato dal Sacerdote mentre dice alla gente di partire quando il Santo Sacrificio è finito.

D. 919. Che cos’è un Sacrificio?

R. Un sacrificio è l’offerta di un oggetto da parte di un sacerdote a Dio solo e il consumo di esso per riconoscere che Egli è il Creatore e il Signore di tutte le cose.

D. 920. La Messa è lo stesso Sacrificio di quello della Croce?

R. La Messa è lo stesso Sacrificio di quello della Croce.

D. 921. In che modo la Messa è lo stesso Sacrificio di quella della Croce?

R. La Messa è lo stesso Sacrificio di quello della Croce perché l’Offerta e il Sacerdote sono uguali: Cristo nostro Signore benedetto; e i fini per i quali viene offerto il Sacrificio della Messa sono gli stessi di quelli del Sacrificio della Croce.

D. 922. Quali furono i fini per i quali fu offerto il Sacrificio della Croce?

R. I fini per cui fu offerto il Sacrificio della Croce erano:

– Onorare e glorificare Dio;

– Ringraziarlo di tutte le grazie conferite al mondo intero;

– Soddisfare la giustizia di Dio per i peccati degli uomini;

– Ottenere tutte le grazie e le benedizioni.

D. 923. Come vengono distribuiti i frutti della Messa?

R. I frutti della Messa sono così distribuiti:

– Il primo beneficio è conferito al Sacerdote che dice la Messa;

– Il secondo alla persona per la quale viene detta la Messa, o per l’intenzione per la quale è detta;

– Il terzo a coloro che sono presenti alla Messa, in particolare a coloro che la servono e

– Il quarto a tutti i fedeli che sono in comunione con la Chiesa.

D. 924. Tutte le Messe hanno lo stesso valore in se stesse o differiscono in valore?

R. Tutte le Messe sono di valore uguale in sé e non differiscono nel valore, ma solo nella solennità con cui sono celebrate o al fine per il quale sono offerte.

D. 925. Come sono distinte le Messe?

R. Le Messe si distinguono così:
R. 1. Quando la Messa viene cantata da un Vescovo, coadiuvato da un diacono e da un Sub-diacono, viene chiamata Messa pontificale;

2. Quando viene cantata da un Sacerdote, coadiuvato da un diacono e da un sub-diacono, si chiama Messa solenne;

3. Quando viene cantata da un Sacerdote senza diacono e sub-diacono, si chiama Missa Cantata o Messa alta;

4. Quando la Messa viene letta solo a toni bassi, viene chiamata Messa bassa o privata.

D 926. Per quale fine o intenzione si può offrire la Messa?

R. La Messa può essere offerta per ogni fine o intenzione che tende all’onore e alla gloria di Dio, al bene della Chiesa o al benessere dell’uomo; ma mai per qualsiasi oggetto che sia cattivo in sé o nei suoi scopi; né può essere offerta pubblicamente a persone che non sono membri della vera Chiesa.

D. 927. Cosa si intende per Messa da Requiem, Messa Nunziale e Messa Votiva.

R. Una Messa da Requiem è detta con paramenti neri e con preghiere speciali per i defunti. Si celebra una Messa nuziale nel matrimonio di due Cattolici e ha preghiere speciali a il loro beneficio. Una Messa votiva è detta in onore di qualche particolare mistero o Santo, in un giorno non separato dalla Chiesa per l’onore di quel mistero o santo.

D. 928. Da che cosa possiamo conoscere che dobbiamo offrire il Sacrificio con il Sacerdote?

R. Potremmo conoscere che dobbiamo offrire il Sacrificio Sacro con il Sacerdote dalle parole usate nella Messa stessa; poiché il Sacerdote, dopo aver offerto il pane e il vino per il Sacrificio, si rivolge alla gente e dice: “Orate Fratres”, ecc., che significa: “Pregate, fratelli, che il mio sacrificio e il vostro possano sia gradito a Dio Padre Onnipotente “, e il servente risponde, a nome nostro: “Possa il Signore ricevere il Sacrificio dalle tue mani a lode e gloria del suo Nome, a nostro beneficio e a quello di tutta la sua santa Chiesa “.

D. 929. Da che cosa è nata l’usanza di fare un’offerta al Sacerdote per aver detto la Messa?

R. La consuetudine di fare un’offerta al Sacerdote per aver detto la Messa è nata dalla vecchia usanza di portare al Sacerdote il pane e il vino necessari per la celebrazione della Messa.

D. 930. Non è forse simonia, o acquisto di una cosa sacra, dare denaro al Sacerdote perché dica Messa per la propria intenzione?

R. No, Non è simonia, o acquisto di una cosa sacra, l’offrire denaro al Sacerdote per dire Messa per la nostra intenzione, perché il Sacerdote non prende i soldi per la Messa stessa, ma solo allo scopo di fornire le cose necessarie alla Messa e per il suo sostentamento.

D. 931. C’è qualche differenza tra il Sacrificio della Croce e il Sacrificio della Messa?

R. Sì; il modo in cui viene offerto il Sacrificio è diverso. Sulla croce Cristo ha veramente versato il suo sangue ed è stato veramente ucciso; nella Messa non c’è vero spargimento di sangue né vera morte, perché Cristo non può più morire; ma il Sacrificio della Messa, mediante la consacrazione separata del pane e del vino, rappresenta la sua morte in croce.

D. 932. Quali sono le parti principali della Messa?

R. Le parti principali della Messa sono:

1. L’Offertorio, in cui i Sacerdoti offrono a Dio il pane e il vino da cambiare alla Consacrazione;

2. La Consacrazione, in cui la sostanza del pane e del vino sono cambiati nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo;

3. La Comunione, in cui il Sacerdote riceve nel proprio corpo la santa Eucaristia sotto Le specie del pane e del vino.

D. 933. In quale parte della Messa si svolge l’Offertorio, e quali parti della Messa lo precedono?

D. L’Offertorio si svolge immediatamente dopo la scoperta del calice. Le parti della Messa che lo precedono: L’introito, Kyrie, Gloria, Preghiere, Epistola, Vangelo e Credo. L’introito, le preghiere, l’epistola e il Vangelo variano per ogni Messa in coincidenza della festa celebrata.

D. 934. Qual è la parte della Messa, in cui si dicono le Parole della Consacrazione?

R. La parte della Messa in cui si dicono le parole della Consacrazione è chiamata Canone. Questa è la parte più solenne della Messa, ed è solo raramente e leggermente modificata in ogni Messa.

D 935. Cosa segue la Comunione alla Messa?

R. Dopo la Comunione della Messa, ci sono le preghiere di ringraziamento, la benedizione del popolo e la lettura dell’ultimo Vangelo.

D. 936. Quali cose sono necessarie per la Messa?

R. Le cose necessarie per la Messa sono:

1. Un altare ricoperto con teli di lino, le candele, il crocifisso, la pietra d’altare e il Messale;

2. Un calice con tutto il necessario per il suo uso e pane di farina di grano e vino d’uva;

3. Paramenti per il sacerdote, e

4. Un accolito o un servente.

D. 937. Cos’è la pietra d’altare e cosa ci ricorda?

R. La pietra dell’altare è quella parte dell’altare su cui il Sacerdote posa il Calice durante la Messa. Questa pietra contiene alcune sacre reliquie sigillate in esso dal Vescovo, e se l’altare è di legno, questa pietra viene inserita proprio davanti al Tabernacolo. La pietra d’altare ci ricorda la storia antica della Chiesa, quando le tombe dei Martiri venivano usate come altari dai cristiani perseguitati.

D. 938. Quale lezione traiamo dalla pratica dell’uso antico di usare le tombe dei martiri per gli altari?

R. Dalla pratica di usare le tombe dei martiri per gli altari, impariamo le difficoltà, le sofferenze ed i pericoli che i primi Cristiani subirono volontariamente per il piacere di ascoltare la Messa. Poiché la Messa è la stessa ora come allora, dovremmo sopportare ogni inconveniente piuttosto che essere assenti dalla Messa la Domenica o nei giorni festivi.

D. 939. Quali cose vengono usate con il calice durante la Messa?

R. Le cose usate con il calice durante la Messa sono:

– Il purificatoio o panno per pulirne l’interno;

– La patena o piccola lastra d’argento, utilizzata nella manipolazione dell’ostia;

– La palla, o carta bianca, usata per coprire il calice alla Messa;

– Il panno corporale o di lino su cui poggiano il calice e l’ostia.

D. 940. Che cos’è l’ostia?

R. L’ostia è il nome dato alla sottile fetta di pane usata alla Messa. Questo nome viene generalmente applicato, prima e dopo la Consacrazione, alla grande particola di pane usata dal Sacerdote, sebbene le piccole particole date al popolo siano anch’esse chiamate con lo stesso nome

D. 941. Grandi e piccole ostie sono consacrate durante ogni Messa?

R. Una grande ostia è consacrata ad ogni Messa, ma le piccole ostie sono consacrate solo in alcune Messe per poter essere date al popolo, o collocarle nel Tabernacolo, per la Santa Comunione dei fedeli.

D. 942. Quali paramenti utilizza il sacerdote durante la Messa e che cosa significano?

R. I paramenti usati dal sacerdote durante la Messa sono:

1. L’Amitto, un panno bianco attorno alle spalle per indicare la resistenza alla tentazione;

2. L’alba, una lunga veste bianca a significare l’innocenza;

3. La Cintura, una corda attorno alla vita, per indicare la castità;

4. Il Manipolo, o paramento appeso al braccio sinistro, a significare la penitenza;

5. La Stola o lungo paramento sul collo, per indicare l’immortalità;

6. La Casula, o paramento lungo su tutto il corpo, per significare l’amore e ricordare al Sacerdote, con la sua croce davanti e dietro, la Passione di Nostro Signore.

D. 943. Quanti colori di paramenti sono usati e cosa significano i colori?

R. Sono usati cinque colori di paramenti, cioè il bianco, il rosso, il verde, il viola o violaceo e il nero. Il bianco significa innocenza, e viene usato per le feste di Nostro Signore Benedetto, della Beata Vergine e di alcuni Santi. Il rosso significa amore, ed è usato nelle feste dello Spirito Santo e dei Martiri. Il Verde significa speranza ed è generalmente usato dalla domenica dall’Epifania a Pentecoste. Viola significa penitenza ed è usato in Quaresima e in Avvento. Il nero significa dolore, ed è usato il Venerdì Santo e nelle Messe per i defunti. L’oro è spesso usato in sostituzione del bianco in occasione di grandi feste.

D. 944. Che cos’è il Tabernacolo e cos’è il Ciborio?

R. Il Tabernacolo è la parte a forma di casa dell’altare, dove sono custoditi i vasi sacri contenenti il ​​Santissimo Sacramento. Il Ciborio è il grande vaso d’argento o d’oro che contiene il Santissimo Sacramento mentre si trova nel Tabernacolo e dal quale il Sacerdote dà la Santa Comunione al popolo.

D. 945. Che cos’è l’Ostensorio?

R. L’Ostensorio è un bellissimo recipiente a forma di ruota in cui il Santissimo Sacramento è esposto e custodito durante la Benedizione.

D. 946. Come dovremmo assistere alla Messa?

R. Dobbiamo assistere alla Messa con un grande raccoglimento interiore e pietà e con ogni segno esteriore di rispetto e devozione.

D. 947. Qual è il modo migliore di ascoltare la Messa?

R. Il modo migliore di ascoltare la Messa è quello di offrirla a Dio con il Sacerdote per lo stesso scopo per cui è detta, per meditare sulle sofferenze e la morte di Cristo e per andare alla Santa Comunione.

D. 948. Che cosa è importante per l’ascolto corretto e rispettoso della Messa?

R. Per l’ascolto corretto e rispettoso della Messa è importante essere al nostro posto prima che il Sacerdote arrivi all’altare e non lasciarlo prima che il Sacerdote lasci l’altare. In questo modo evitiamo la confusione e la distrazione causate dall’arrivo tardivo e dall’abbandono prematuro. Si dovrebbe evitare con molta attenzione lo stare sulle porte bloccando i passaggi, il discutendo negli spazi, per rispetto del Santo Sacrificio.

D. 949. Che cos’è la Benedizione del Santissimo Sacramento e quali paramenti vi si usano?

R. La benedizione del Santissimo Sacramento è un atto di adorazione divina in cui il Santissimo Sacramento, posto nell’ostensorio, è esposto per l’adorazione del popolo e viene innalzato per benedirlo. I paramenti usati per la benedizione sono: un grande mantello di seta e un velo omerale o da spalla.

D. 950. Perché il Sacerdote indossa paramenti speciali ed usa certe cerimonie mentre svolge le sacre funzioni?

R. Il sacerdote indossa paramenti speciali e usa certe cerimonie mentre svolge i suoi sacri doveri:

1. Per dare maggiore solennità e richiedere maggiore attenzione e rispetto al culto divino;

2. Per istruire le persone nelle cose che significano questi paramenti e tali cerimonie;

3. Per ricordare al Sacerdote stesso l’importanza e il carattere sacro della funzione nella quale è il rappresentante di Nostro Signore. Quindi dovremmo imparare il significato delle cerimonie della Chiesa.

D. 951. Come dimostriamo che le cerimonie della Chiesa siano ragionevoli e corrette?

R. Dimostriamo che le cerimonie della Chiesa siano ragionevoli e appropriate, dal fatto che tutte le persone con autorità, governanti, giudici o maestri, richiedono determinati atti di rispetto dai loro sudditi, e siccome sappiamo che Nostro Signore è presente sull’altare, la Chiesa richiede determinati atti di riverenza e di rispetto per i servizi che si tengono in Suo onore e alla Sua presenza.

D. 952. Ci sono altri motivi per l’uso delle cerimonie?

R. Ci sono altri motivi per l’uso delle cerimonie:

– – Dio ordinò che le cerimonie venissero usate nella vecchia legge, e

– Il Signore stesso ha fatto uso di cerimonie nell’eseguire alcuni dei suoi miracoli.

D. 953. Come sono denominate le persone che prendono parte ad una Messa solenne o ai Vespri?

R. Le persone che prendono parte ad una Messa solenne o ai Vespri sono così denominate: Il Sacerdote che dice o celebra la Messa, è chiamato il celebrante; quelli che lo assistono, come diacono e il sub-diacono, sono chiamati ministri; quelli che servono sono chiamati accoliti, e colui che dirige le cerimonie è chiamato: maestro delle cerimonie. Se il celebrante è un Vescovo, la Messa o i Vespri sono chiamati: Messa pontificale o vespri pontificali.

D. 954. Che cosa sono i Vespri?

R. I Vespri sono una parte dell’Ufficio Divino o preghiera quotidiana della Chiesa. È cantato in genere nelle Chiese, la domenica pomeriggio o la sera, e di solito è seguito dalla Benedizione del Santissimo Sacramento.

D. 955. Si può soddisfare il precetto, avendo trascurato la Messa la domenica, con l’ascoltare i vespri lo stesso giorno?

R. No, avendo trascurato la Messa la Domenica, non si soddisfa il precetto ascoltando i vespri lo stesso giorno, perché non c’è nessuna legge della Chiesa che ci obblighi, sotto pena di peccato, a partecipare ai Vespri, mentre c’è una legge che ci obbliga, sotto pena di peccato mortale, a sentire la Messa.

LEZIONE 25 –

SULLA ESTREMA UNZIONE E GLI SACRI ORDINI

D. 956. Cos’è il Sacramento dell’Estrema Unzione?

R. L’Estrema unzione è il Sacramento che, attraverso l’unzione e la preghiera del sacerdote, dà salute e forza all’anima, e a volte al corpo, quando siamo in pericolo di morte per malattia.

D. 957. Perché questo Sacramento è chiamato Estrema Unzione?

R. “Estrema” significa ultima, e “Unzione” significa unzione o strofinamento con olio, e poiché i Cattolici sono unti con olio al Battesimo, alla Confermazione e agli Ordini Sacri, l’ultimo Sacramento in cui viene usato l’olio è chiamato appunto Estrema Unzione, o l’ultima Unzione o unzione dell’infermo.

D. 958. Questo Sacramento è chiamato sempre Estrema Unzione, anche se la persona si riprende dopo averla ricevuta?

R. Questo Sacramento è sempre chiamato Estrema Unzione, anche se deve essere dato più volte alla stessa persona, poiché Estrema Unzion è il nome proprio del Sacramento, e può essere dato ogni volta che una persona si riprenda da un attacco morboso, ed è nuovamente in pericolo di morte per altro evento. In una malattia persistente può essere ripetuta dopo un mese o sei settimane, se la persona recupera leggermente e ricade nuovamente in una condizione di pericolo.

D. 959. A chi può essere data Estrema Unzione?

R. L’estrema unzione può essere data a tutti i Cristiani gravemente malati, che siano state in grado di commettere peccato dopo il Battesimo e che abbiano le giuste disposizioni per il Sacramento. Quindi non viene mai dato ai bambini che non hanno raggiunto l’uso della ragione, né alle persone che sono sempre state dementi.

D. 960. Quali sono le giuste disposizioni per L’Estrema Unzione?

R. Le giuste disposizioni per l’Estrema Unzione sono:

– La rassegnazione alla Volontà di Dio nei riguardo della nostra guarigione;

– Uno stato di grazia o almeno una contrizione per i peccati commessi,

– L’intenzione o un desiderio generale di ricevere il Sacramento. Questo Sacramento non viene mai dato agli eretici in pericolo di morte, perché non si può supporre che abbiano l’intenzione necessaria per riceverlo, né il desiderio di utilizzare il Sacramento della Penitenza mettendosi in uno stato di grazia.

D. 961. Quando e da chi è stata istituita l’Estrema Unzione?

R. L’Estrema Unzione fu istituita al tempo degli Apostoli, perché Giacomo l’Apostolo esorta i malati a riceverlo. Fu istituito da Nostro Signore stesso – sebbene non sappiamo in quale momento particolare – poiché solo Lui può rendere un atto visibile, mezzo di grazia, e gli Apostoli e i loro successori non avrebbero mai potuto ritenere che l’Unzione estrema fosse un Sacramento, usandolo in quanto tale, se non avessero avuto l’autorità nel farlo, da Nostro Signore.

D. 962. Quando dovremmo ricevere l’Estrema Unzione?

R. Dovremmo ricevere l’Estrema Unzione in pericolo di morte per malattia, per ferite o incidenti.

D. 963. Quali parti del corpo sono unte Nell’Estrema Unzione?

R. Le parti del corpo unte nell’Estrema Unzione sono: gli occhi, le orecchie, il naso o le narici, le labbra, le mani e i piedi, perché rappresentano i nostri sensi della vista, dell’udito, dell’olfatto, del gusto e del tatto, che sono i mezzi attraverso i quali abbiamo commesso la maggior parte dei nostri peccati.

D. 964. Quali cose dovrebbero essere preparate nella stanza del malato quando il Sacerdote viene a dare gli ultimi Sacramenti?

R. Quando il Sacerdote viene a portare gli ultimi Sacramenti, devono essere preparate le seguenti cose: una tavola coperta con un panno bianco; un crocifisso; due candele accese in candelabri; l’acqua santa in una bacinella, con un rametto di palma per aspergere; un bicchiere di acqua pulita; un cucchiaio, un tovagliolo o un panno, da porre sotto il mento di colui che riceve il viatico. Oltre a questi, se si deve dare anche l’Estrema Unzione, ci dovrebbe essere del cotone e un pezzetto di pane o limone per purificare le dita del Sacerdote.

D. 965. Che cosa sembra essere più appropriato circa le cose necessarie per gli ultimi Sacramenti?

R. Sembra molto appropriato che le cose necessarie per gli ultimi Sacramenti, vadano accuratamente custodite in ogni famiglia Cattolica e non dovrebbero mai, se possibile, essere utilizzate per nessun altro scopo.

D. 966. Che altro si deve osservare sulla preparazione per la amministrazione degli ultimi Sacramenti?

R. L’ulteriore preparazione per l’amministrazione degli ultimi Sacramenti richiede che, per rispetto dei Sacramenti stessi, ed in particolare per la presenza di Nostro Signore, tutto ciò che riguarda la stanza del malato, l’ammalato e anche gli astanti, dovrebbero essere resi decenti e il più pulito possibile. Soprattutto il volto, le mani e i piedi di chi deve essere unto, che siano perfettamente puliti.

D 967. Dovremmo aspettare fino a quando siamo in grave pericolo, per ricevere l’estrema unzione?

R. Non dovremmo aspettare di essere in estremo pericolo per ricevere l’Estrema Unzione, ma se possibile dovremmo riceverla quando ancora abbiamo l’uso dei nostri sensi.

D. 968. Che cosa dovremmo fare in caso di malattia grave se l’ammalato non acconsente o ha paura di ricevere i Sacramenti o, almeno, desidera rimandare la loro ricezione?

R. In caso di malattia grave, se il malato non acconsente, o ha paura di ricevere i Sacramenti, o almeno, desidera rinviare la loro ricezione, dovremmo interpellare subito il Sacerdote e lasciargli fare ciò che pensa sia meglio fare nel caso, e così ci libereremo dalla responsabilità di lasciare morire un Cattolico senza gli ultimi Sacramenti.

D. 969. Quali sono gli effetti del Sacramento dell’estrema unzione?

R. Gli effetti di Estrema Unzione sono:

– Confortarci nelle pene della malattia e rafforzarci dalle tentazioni;

– Rimettere i peccati veniali e purificare la nostra anima dai resti del peccato;

– Rimetterci in salute, qualora Dio lo ritenga opportuno.

D. 970. L’Estrema Unzione toglierà il peccato mortale se la persona morente non è più in grado di confessarsi?

R. L’Estrema Unzione toglierà il peccato mortale se il morente non è più in grado di confessarsi, purché abbia per i suoi peccati lo stesso dispiacere che sarebbe necessario per la degna recezione del Sacramento della Penitenza.

D. 971. Come sappiamo che questo Sacramento, più di ogni altro, sia stato istituito a beneficio del corpo?

R. 1. Sappiamo che questo Sacramento sia stato istituito più di ogni altro a beneficio del corpo:
1. Dalle parole di San Giacomo che ci esorta a riceverlo;

– Esso viene dato quando l’anima è già purificata dalle grazie della Penitenza e del santo Viatico;

– Uno dei suoi principali scopi è quello di riportarci alla salute se questa è necessaria al nostro bene spirituale, come indicano la maggior parte delle preghiere dette nel dare questo Sacramento.

D. 972. Dato che l’estrema unzione può riportarci in salute, non dovremmo essere noi contenti di riceverlo?

R. Dal momento che l’estrema unzione può riportarci in salute. dovremmo essere contenti di riceverlo, e non dovremmo ritardare la sua ricezione fino ad essere così vicini alla morte tanto che Dio possa risollevarci solo per miracolo. Ancora, questo Sacramento, come gli altri, conferisce la Grazia santificante e sacramentale, che dovremmo essere desiderosi di ottenere non appena la nostra malattia sia migliorata tanto da darci il privilegio di ricevere gli ultimi Sacramenti.

D. 973. Che cosa intendi per “resti” del peccato?

R. Per “resti” del peccato intendiamo l’inclinazione al male e la debolezza della volontà, che sono il risultato dei nostri peccati e che rimangono anche dopo che i nostri peccati siano stati perdonati.

D. 974. Come dovremmo ricevere il Sacramento dell’Estrema Unzione?

R. Dovremmo ricevere il Sacramento dell’Estrema Unzione nello stato di grazia, con viva fede e rassegnazione alla volontà di Dio.

D. 975. Chi è il ministro del Sacramento dell’Estrema Unzione?

R. Il ministro del Sacramento dell’Estrema Unzione. è il Sacerdote

D. 976. Qual preparazione finale dovremmo fare per ricevere gli ultimi Sacramenti?

R. La preparazione finale che dovremmo fare per ricevere gli ultimi Sacramenti consiste in uno sforzo sincero di rassegnazione alla Santa Volontà di Dio, nell’eccitarci al vero dolore per i nostri peccati, approfittare delle grazie che ci vengono date, cacciare dalla mente i pensieri del mondo e disporci, come meglio possiamo, alla degna ricezione dei Sacramenti e delle benedizioni per una buona morte.

D. 977. In qual momento le persone gravemente ammalate dovrebbero procedere alla sistemazione finale dei loro affari temporali o mondani?

R. Le persone gravemente ammalate dovrebbero procedere alla sistemazione finale dei loro affari temporali o mondani, proprio all’inizio della loro malattia, affinché queste cose non possano distrarli nell’ora della morte, per cui possano dedicare interamente le ultime ore della loro vita alla cura della loro anima.

D. 978. Cos’è il Sacramento degli Ordini Sacri?

R. Gli Ordini Sacri sono un Sacramento con il quale Vescovi, Sacerdoti e altri Ministri della Chiesa, sono ordinati. ricevondo il potere e la grazia per compiere i loro sacri doveri.

D. 979. Oltre ai Vescovi e ai Sacerdoti, chi sono gli altri Ministri della Chiesa?

R. Oltre ai Vescovi e ai Sacerdoti, gli altri Ministri della Chiesa sono i diaconi ed i suddiaconi, che, nel prepararsi al sacerdozio, hanno ricevuto alcuni degli Ordini Sacri, ma a cui non è stata ancora conferita la pienezza dei poteri del Sacerdote.

D. 980. Perché questo Sacramento si chiama Ordine Sacro?

R. Questo Sacramento è chiamato Ordine Sacro, perché è conferito attraverso sette diversi gradi o passi che si susseguono in un ordine fisso, in base al quale i sacri poteri del Sacerdozio vengono gradualmente conferiti a chi viene ammesso in quello stato di santità.

D. 981. Quali sono i gradi in base ai quali si giunge al Sacerdozio?

– I gradi con cui si ascende al Sacerdozio sono:

– La tonsura, o taglio dei capelli da parte del Vescovo, con cui il candidato al Sacerdozio si dedica al servizio dell’altare;

– I quattro ordini minori sono: Ostariato, Lettorato, Esorcistato e Accolitato, con cui si è autorizzato a svolgere determinati compiti che i laici non dovrebbero svolgere;

– Con il sub-diaconato, ci si assume l’obbligo di condurre una vita di perpetua castità e di dire ogni giorno l’Ufficio Divino;

– Il diaconato, mediante il quale si ricevere potere di predicare, battezzare e dare la santa Comunione. Il successivo passo, il Sacerdozio, conferisce il potere di offrire il Santo Sacrificio della Messa e perdonare i peccati. Questi Ordini non sono tutti dati subito, ma sono fissati di volta in volta dalle leggi della Chiesa.

D. 982. I diversi ordini non sono separati come Sacramenti?

R. Questi diversi ordini non sono Sacramenti separati. Nell’insieme, alcuni costituiscono una preparazione per il Sacramento, gli altri sono solo l’unico Sacramento dell’Ordine; così come le radici, il tronco e i rami formano solo un unico albero.

D. 983. Quale nome viene dato al sub-diaconato, diaconato e Sacerdozio?

R. Sub-diaconato, diaconato e sacerdozio sono chiamati ordini maggiori o superiori, perché coloro che li ricevono sono destinati a vivere definitivamente al servizio dell’altare e non possono tornare al servizio del mondo, per vivere come laici ordinari.

D. 984. Quale doppio potere la Chiesa possiede e conferisce ai suoi Pastori?

R. La Chiesa possiede e conferisce ai suoi pastori, il potere dell’Ordini e il potere di Giurisdizione; cioè, il potere di amministrare i Sacramenti e santificare i fedeli, e il potere di insegnare e legiferare in modo da dirigere i fedeli al loro bene spirituale. Un Vescovo ha il pieno potere dell’Ordine e solo il Papa ha il pieno potere di Giurisdizione.

D. 985. Come si classificano i pastori della Chiesa secondo l’autorità?

– I pastori della Chiesa si classificano, secondo l’autorità, come segue:

– Sacerdoti, che governano le parrocchie o le congregazioni in nome del loro Vescovo;

– Vescovi, che governano un certo numero di parrocchie o diocesi;

– Arcivescovi, che hanno autorità su un certo numero di diocesi o su una provincia;

– Primati, che hanno autorità sulle province ecclesiastiche, su vasti territori o su una nazione;

– Patriarchi, che hanno autorità su un intero Paese;

– ultimo e più alto, il Papa, che governa la Chiesa in tutto il mondo.

D. 986. In che modo i prelati o gli ufficiali superiori della Chiesa hanno dignità?

  1. R. I prelati o le più alte cariche della Chiesa sono dignitari con rango di autorità che, oltre a coloro che hanno dignità di Cardinali, sono accanto al Papa; i Vicari apostolici, i Monsignori ed altri con diversi titoli, sono inferiori ai Vescovi. I delegati pontifici e quelli appositamente nominati dal Papa si classificano secondo i poteri che sono stati dati loro.

 D. 987. Chi sono i Cardinali, quali sono i loro doveri e come sono divisi?

R. I Cardinali sono i membri del Consiglio supremo o del Senato della Chiesa. Il loro dovere è quello di consigliare ed aiutare il Papa nel governo della Chiesa, di eleggere un nuovo Papa quando il Papa regnante muore. Essi sono divisi in comitati chiamati Sacre Congregazioni, ciascuna delle quali ha il suo particolare lavoro da eseguire. Tutte queste Congregazioni prese nell’insieme sono chiamate “Sacro Collegio dei Cardinali”, il cui numero totale è settanta.

D. 988. Cos’è un Monsignore?

R. Un Monsignore è un degno sacerdote al quale il Papa conferisce tale titolo come segno di stima. Questo titolo conferisce certi privilegi e il diritto di indossare la porpora come un Vescovo.

D. 989. Che cos’è un Vicario generale?

R. Un Vicario generale è una prelato nominato dal Vescovo per essere aiutato nel governo della sua diocesi. Egli condivide il potere del Vescovo e in sua assenza agisce come Vescovo, con la sua autorità.

D. 990. Che cos’è un abate?

R. L’abate è colui che esercita su di una comunità religiosa maschile, l’autorità simile in molte cose a quella esercitata da un Vescovo sulla sua diocesi. Ha anche alcuni privilegi generalmente concessi ai Vescovi.

  1. 991. Che cos’è il pallio?
  2. Il pallio è una veste di lana bianca indossata dal Papa e inviata da lui a Patriarchi, Primati e Arcivescovi. È il simbolo della pienezza del potere pastorale e ricorda a chi lo indossa il Buon Pastore, di cui deve seguire l’esempio.

D. 992. Che cosa è necessario per ricevere degnamente gli ordini sacri?

R. Per ricevere degnamente gli Ordini sacri è necessario essere nello stato di grazia, avere la conoscenza necessaria e una “chiamata” divina a questo sacro ufficio.

D. 993. Quale nome viene dato a questa “chiamata” divina e come possiamo conoscere questa chiamata?

R. Questa chiamata divina è chiamata vocazione alla vita sacerdotale o religiosa. Possiamo riconoscerla dalla nostra costante inclinazione ad una vita votata al puro e santo motivo di servire Dio come meglio, insieme alla nostra idoneità ad essa, o, almeno, nella nostra capacità di prepararci, ad una vera pietà e al dominio sulle nostre passioni peccaminose e desideri illeciti.

D. 994. Come dovremmo determinare finalmente la nostra vocazione?

R. Dovremmo finalmente determinare la nostra vocazione:

(1) Conducendo la vita più santa che possiamo, per essere degni di essa;

(2) Pregando lo Spirito Santo che ci dia luce sull’argomento;

(3) Cercando il consiglio di persone sante e prudenti e soprattutto del nostro confessore.

D. 995. Che cosa dovrebbero pensare i genitori ed i tutori per quanto riguarda le vocazioni dei loro figli?

R. I genitori e i tutori dovrebbero tenere a mente per le vocazioni dei loro figli:

– Che è loro dovere aiutare i figli a scoprire la loro vocazione;

– È peccaminoso resistere alla Volontà di Dio, cercando di allontanare i figli dalla vera vocazione o impedire di seguirla ponendo ostacoli sulla loro strada e, peggio ancora, di spingerli ad entrare in un stato di vita al quale non siano stati chiamati divinamente;

– Che nel dare il loro consiglio debbano essere guidati solo dal futuro bene e dalla felicità dei loro figli e non da alcun movente egoistico né mondano che possa condurre alla perdita dell’anima.

D. – 996. Come i Cristiani dovrebbero considerare i Sacerdoti della Chiesa?

– I Cristiani dovrebbero considerare i Sacerdoti della Chiesa come messaggeri di Dio e dispensatori dei Suoi misteri.

D. 997. Come sappiamo che i Sacerdoti della Chiesa sono i messaggeri di Dio?

– Sappiamo che i Sacerdoti della Chiesa sono i messaggeri di Dio, perché Cristo ha detto ai suoi Apostoli, e attraverso di loro ai loro successori: “Come il Padre ha mandato me, anch’Io mando voi”; vale a dire, predicare la vera religione, amministrare i Sacramenti, offrire Sacrifici e fare ogni sorta di bene per la salvezza delle anime.

D. 998. Quando i Sacerdoti della Chiesa hanno ricevuto questo triplice potere di predicare, perdonare i peccati e consacrare il pane e il vino?

R. I Sacerdoti della Chiesa hanno ricevuto questo triplice potere di predicare, perdonare i peccati e consacrare il pane e il vino, quando Cristo disse loro, attraverso gli Apostoli: “… insegnate a tutte le nazioni”; “… a chi perdonerete i peccati, saranno perdonati” e “… fate questo in commemorazione di Me”.

D. 999. Perché dovremmo mostrare grande rispetto per i Sacerdoti e i Vescovi della Chiesa?

R. Dovremmo mostrare grande rispetto per i Sacerdoti e i Vescovi della Chiesa:

– Perché sono i rappresentanti di Cristo sulla terra, e

– Perché amministrano i Sacramenti senza i quali non possiamo essere salvati. Pertanto, dovremmo essere più attenti in ciò che facciamo, diciamo o pensiamo riguardo ai ministri di Dio. Per mostrare il nostro rispetto in proporzione alla loro dignità, rivolgiamoci al sacerdote con “Reverendo”, al Vescovo con “Reverendissimo”, all’Arcivescovo con “Reverendissimo”, e al Papa con “Santo Padre”.

D. 1000. Dovremmo fare anche qualcosa di più che rispettare semplicemente i ministri di Dio?

R. Dovremmo fare di più che rispettare semplicemente i ministri di Dio. Dovremmo pregare seriamente e frequentemente per loro, affinché possano essere messi in grado di svolgere i compiti difficili e importanti del loro santo stato in modo gradito a Dio.

D. 1001. Chi può conferire il Sacramento degli ordini sacri?

R. I Vescovi possono conferire il Sacramento dell’Ordine.

D. 1002. Come sappiamo che esiste un vero sacerdozio nella Chiesa?

– Sappiamo che esiste un vero sacerdozio nella Chiesa:

– Perché nella religione ebraica, che era solo una figura della Religione cristiana, esisteva un vero sacerdozio stabilito da Dio;

– Perché Cristo ha conferito ai suoi Apostoli e non a tutti i fedeli, il potere di offrire Sacrifici, distribuire la santa Eucaristia e perdonare i peccati.

D. 1003. Ma – c’è bisogno di uno speciale Sacramento dell’Ordine per conferire questi poteri?

R. C’è bisogno di uno speciale Sacramento dell’Ordine per conferire questi poteri:

– Perché il Sacerdozio che deve continuare il lavoro degli Apostoli deve essere visibile nella Chiesa, e deve quindi essere conferito da qualche cerimonia visibile o segno esteriore;

– Poiché questo segno esteriore chiamato Ordine Santo non dà solo il potere ma pure la grazia, e fu istituito da Gesù Cristo, gli Ordini Sacri devono essere un Sacramento.

D. 1004. I Vescovi, i Sacerdoti e gli altri Ministri della Chiesa possono sempre esercitare il potere che hanno ricevuto negli Ordini Sacri?

R. I Vescovi, i Sacerdoti e gli altri Ministri della Chiesa non possono esercitare il potere che hanno ricevuto negli Ordini sacri se non autorizzati ed inviati dai loro legittimi superiori. Il potere non può mai essere autonomamente assunto da essi, perché il diritto di usarlo potrebbe essere ritirato per cause stabilite nelle leggi della Chiesa, o per le ragioni che meglio sembrano a chi ha autorità su di loro. Qualsiasi uso del Potere Sacro senza autorità è peccato, e tutti coloro che prendono parte a tali cerimonie, sono colpevoli di peccato.

 

 

 

CATECHISMO DI BALTIMORA (VII) – Lez. 20-22

CATECHISMO DI BALTIMORA (VII) – Lez. 20-22

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 20 –

SUL MODO DI FARE UNA BUONA CONFESSIONE

D. 825. Cosa dovremmo fare nell’entrare nel confessionale?

R. Entrando nel confessionale dovremmo inginocchiarci, fare il segno della croce e dire al sacerdote: “Benedicimi, padre”; quindi aggiungere: “Confesso a Dio Onnipotente è a te, padre, che ho peccato”.

D. 826. Quali sono le prime cose che dovremmo dire al sacerdote in Confessione?

R. Le prime cose che dovremmo dire al sacerdote in Confessione sono il tempo della nostra ultima Confessione, se abbiamo fatto la penitenza assegnata e se ci siamo accostati andati alla Santa Comunione.

D. 827. Dovremmo dire qualcos’altro riguardo alla nostra ultima confessione?

R. Riguardo alla nostra ultima confessione, dovremmo riferire anche quali restrizioni – se ce ne fossero – sono state da noi adottate in relazione alle nostre occasioni di peccato, e a quali obblighi abbiamo ottemperato in materia di pagamento di debiti, restituzione di roba, lesioni fatte a terzi e simili, obblighi che ci erano stati raccomandati.

D. 828. Dopo aver riferito circa il tempo della nostra ultima Confessione e Comunione cosa dovremmo fare?

R. Dopo aver riferito i tempi della nostra ultima Confessione e Comunione, dovremmo confessare tutti i peccati mortali commessi e tutti i peccati veniali che potremmo desiderare di menzionare.

D. 829. Che cos’è una Confessione generale?

R. Una Confessione generale è la narrazione dei peccati di tutta la nostra vita o di una gran parte di essa. È fatta allo stesso modo di una Confessione ordinaria, tranne che richiede più tempo e una più lunga preparazione.

D. 830. Quando dovrebbe essere fatta una confessione generale?

R. Una confessione generale:

1. È necessaria quando siamo certi che le nostre passate confessioni fossero cattive;
2. È utile in occasioni speciali nella nostra vita quando sta per verificarsi un cambiamento nel nostro modo di vivere;

3. Essa è dolorosa, e non deve essere fatta quando le persone sono eccessivamente scrupolose.

D. 831. Quali sono i segni di scrupoli e il rimedio contro di loro?

R. I segni dello scrupolo sono principalmente:

– Essere sempre insoddisfatti delle prorie Confessioni;

– Essere ostinati nel decidere ciò che sia peccaminoso e ciò che non lo sia. Il principale rimedio contro gli scrupoli, è seguire esattamente il consiglio del confessore senza mettere in dubbio le ragioni o l’utilità del suo consiglio.

D. 832. Che cosa dobbiamo fare quando il confessore ci fa delle domande?

R. Quando il confessore ci fa delle domande, dobbiamo rispondergli in modo veritiero e chiaro.

D. 833. Cosa dovremmo fare dopo aver detto i nostri peccati?

R. Dopo aver riferito i nostri peccati dovremmo ascoltare con attenzione il consiglio che il confessore ritenere più opportuno dare.

R. 834. Quali funzione svolge il Sacerdote nel confessionale?

R. Nel confessionale il Sacerdote svolge le funzioni:

– Di giudice, ascoltando le nostre auto-accuse ed emettendo sentenza sulla nostra colpevolezza o innocenza;

– Di padre, con il buon consiglio e l’incoraggiamento che ci dà;

– Di insegnante, con le sue istruzioni, e

– Di medico, scoprendo le afflizioni della nostra anima e dandoci i rimedi per ripristinare la salute spirituale.

D. 835. Perché è utile andare sempre, se possibile, dallo stesso confessore?

R. È utile andare sempre, se possibile, dallo stesso confessore, perché le nostre continue confessioni gli permettono di vedere più chiaramente il vero stato della nostra anima e di comprendere meglio le nostre occasioni di peccato.

D. 836. Dovremmo rimanere lontani dalla Confessione perché non possiamo andare dal nostro solito confessore?

R. Non dovremmo rimanere lontani dalla Confessione perché non possiamo andare al nostro solito confessore perché, anche se è bene confessarsi sempre dallo stesso Sacerdote, non è necessario farlo. Non si dovrebbe mai diventare così attaccati a un confessore al punto che la sua assenza o il grande inconveniente di andare da lui ogni volta, diventino una scusa per trascurare i Sacramenti.

D. 837. Come dovremmo concludere la nostra Confessione?

R. Dovremmo porre fine alla nostra Confessione dicendo: “Anch’io mi accuso di tutti i peccati della mia vita passata”, scegliendo uno o alcuni dei nostri peccati passati.

D. 838. Che cosa dovremmo fare mentre il Sacerdote ci sta dando l’assoluzione?

R. Mentre il Sacerdote ci sta dando l’assoluzione, dovremmo rinnovare nel nostro cuore l’atto di contrizione.

LEZIONE 21 –

SULLE INDULGENZE 

D. 839. Che cos’è un’indulgenza?

R. L’indulgenza è la remissione in toto o in parte della punizione temporale dovuta al peccato.

D. 840. Che cosa significa “indulgenza”?

R. La parola “indulgenza” significa un elargire un favore o una concessione. Un’indulgenza ottiene, con una leggera penitenza, la remissione delle pene che altrimenti sarebbero ben più gravi.

D. 841. L’indulgenza è un perdono del peccato o una licenza di commettere peccato?

R. Un’indulgenza non è un perdono del peccato, né una licenza di commettere peccato, e chi è in uno stato di peccato mortale, non può ottenere un’indulgenza.

D. 842. In che modo ci sono di vantaggio le buone opere fatte in uno stato di peccato mortale?

R. Le buone opere fatte in peccato mortale, ci sono di vantaggio nell’ottenerci la grazia di pentirci e talvolta delle benedizioni temporali. Il peccato mortale ci priva di tutti i nostri meriti, tuttavia Dio ci ricompenserà per ogni buona azione mentre ci punirà per ogni azione malvagia.

D. 843. Quanti tipi di indulgenze ci sono?

R. Esistono due tipi di Indulgenze: Plenaria e Parziale.

D. 844. Che cos’è l’indulgenza plenaria?

R. L’indulgenza plenaria è la piena remissione della pena temporale dovuta al peccato.

D. 845. È facile ottenere un’indulgenza plenaria?

R. Non è facile ottenere un’indulgenza plenaria, come possiamo capire dal suo grande privilegio. Per ottenere un’indulgenza plenaria, dobbiamo odiare il peccato, essere profondamente dispiaciuti anche per i nostri peccati veniali e non desiderare neppure il minimo peccato. Sebbene non possiamo guadagnare interamente ogni Indulgenza Plenaria che cerchiamo, ne otteniamo però sempre una parte; cioè, una indulgenza parziale, maggiore o minore in proporzione alle nostre buone disposizioni.

D. 846. Quali sono le più importanti indulgenze plenarie concesse dalla Chiesa?

R. Le più importanti indulgenze plenarie concesse dalla Chiesa sono:

– Le indulgenze di un giubileo che il Papa concede ogni venticinque anni o in grandi occasioni, con le quali conferisce speciali facoltà ai confessori per l’assoluzione pure dei peccati riservati;

– L’indulgenza concessa ai moribondi nella loro ultima agonia.

D. 847. Che cos’è un’indulgenza parziale?

R. Una indulgenza parziale è la remissione di parte della punizione temporale dovuta al peccato.

D. R. 848. Per quanto tempo è stata utilizzata la pratica della concessione delle Indulgenze nella Chiesa, e quale ne fu l’origine?

  1. La pratica della concessione delle Indulgenze è stata utilizzata nella Chiesa sin dai tempi degli Apostoli. Ha avuto la sua origine dalle preghiere sincere delle persone sante, e specialmente dei martiri che chiedono alla Chiesa, per il loro bene, di abbreviare le severe penitenze dei peccatori o di trasformarle in penitenze più leggere. La richiesta veniva spesso concessa e la penitenza rimessa, abbreviata o cambiata, e rimessa la penitenza, la pena temporale corrispondente veniva cancellata.

D. 849. Come dimostriamo che la Chiesa ha il potere di concedere le Indulgenze?

R. Dimostriamo che la Chiesa ha il potere di concedere le indulgenze, perché Cristo le ha dato il potere di rimettere tutta le colpe senza restrizioni, e se la Chiesa ha potere, nel Sacramento della Penitenza, di rimettere la pena eterna – che è il male più grande – deve avere il potere di evitare la pena temporale o diminuirla, anche al di fuori del Sacramento della Penitenza.

D. 850. Come sappiamo che queste Indulgenze hanno il loro effetto?

R. Sappiamo che queste Indulgenze hanno il loro effetto, perché la Chiesa, attraverso i suoi Concili, dichiara le Indulgenze utili; ma se non avessero alcun effetto, sarebbero inutili, e la Chiesa insegnerebbe l’errore nonostante la promessa di Cristo di guidarla.

D. 851. Sono mai esistiti degli abusi tra i fedeli nel modo di usare le indulgenze?

R. Sono esistiti, in epoche passate, alcuni abusi tra i fedeli nel modo di usare le Indulgenze, e la Chiesa ha sempre operato per correggere tali abusi il più presto possibile. Nell’uso delle pratiche pie dobbiamo infatti essere sempre guidati dai nostri superiori legittimi.

D. 852. In che modo i nemici della Chiesa si sono serviti dell’abuso delle Indulgenze?

R. I nemici della Chiesa si sono serviti dell’abuso delle Indulgenze per negare la dottrina delle Indulgenze, per abbatterne l’insegnamento e così limitare il potere della Chiesa. Per non essere ingannati in materia di fede, dobbiamo sempre distinguere molto attentamente tra gli abusi ai quali una devozione può condurre, e le verità su cui poggia la devozione.

D. 853. In che modo la Chiesa rimette, mediante le indulgenze, la pena temporale dovuta al peccato?

D. La Chiesa, mediante le indulgenze, rimette la pena temporale dovuta al peccato applicandoci i meriti di Gesù Cristo e le soddisfazioni sovrabbondanti della Beata Vergine Maria e dei Santi; e questi meriti e soddisfazioni sono il suo tesoro spirituale della Chiesa.

D. 854. Che cosa intendiamo per “soddisfazione sovrabbondante della Beata Vergine e dei Santi”?

R. Per “soddisfazione sovrabbondante della Beata Vergine e dei Santi”, intendiamo tutta la soddisfazione al di là di quella che era necessaria per soddisfare i propri peccati. Poiché le loro buone opere erano molte e i loro peccati pochi – la Vergine Benedetta anzi era senza peccato alcuno – la soddisfazione non necessaria per se stessi è ritenuta dalla Chiesa un tesoro spirituale da utilizzare per il nostro bene.

D. 855. La Chiesa, concedendo le indulgenze, ci esonera dal fare penitenza?

R. La Chiesa, concedendo le indulgenze, non ci esonera dal fare penitenza, ma semplicemente rende più lieve la penitenza per cui possiamo facilmente soddisfare ai nostri peccati e sfuggire così alle punizioni che essi meritano.

D. 856. Chi ha il potere di concedere le Indulgenze?

R. Solo il Papa ha il potere di concedere le Indulgenze alla Chiesa Universale; ma i Vescovi hanno il potere di concedere le Indulgenze parziali nella loro diocesi. Anche i Cardinali ed altri chierici, con il permesso speciale del Papa, possono avere il diritto di concedere alcune indulgenze.

D. 857. Dove troveremo le indulgenze concesse dalla Chiesa?

R. Troveremo le indulgenze concesse dalla Chiesa nelle dichiarazioni del Papa e della Sacra Congregazione cardinalizia. Queste dichiarazioni sono di solito riportate nei libri di preghiere e nei libri di devozione o di istruzione.

D. 858. Che cosa dobbiamo fare per ottenere un’indulgenza?

R. Per ottenere un’indulgenza dobbiamo essere nello stato di grazia e compiere le azioni ingiunte.

D. 859. Oltre ad essere in uno stato di grazia e ad eseguire le opere ingiunte, cos’altro è necessario per ottenere l’Indulgenza?

R. Oltre ad essere in uno stato di grazia e ad eseguire le opere ingiunte, è necessario per ottenere un’Indulgenza, avere almeno l’intenzione generale di ottenerle.

D. 860. Come e perché dovremmo avere un’intenzione generale di ottenere tutte le possibili indulgenze, ogni giorno?

R. Dovremmo avere un’intenzione generale nelle nostre preghiere mattutine per ottenere ogni giorno tutte le possibili indulgenze, perché molte delle preghiere che diciamo e le buone opere che eseguiamo possono avere Indulgenze ad esse associate, sebbene non ne siamo consapevoli.

D. 861. Quali opere sono generalmente richieste per ottenere le Indulgenze?

R. Le opere generalmente ingiunte per ottenere le Indulgenze sono: la recita di certe preghiere, il digiuno e l’uso di certi articoli di devozione; visite a chiese o altari e le donazioni di elemosine. Per ottenere le Indulgenze Plenarie è generalmente richiesto di accostarsi alla Confessione e alla Santa Comunione e pregare per le intenzione del Papa.

D. 862. Che cosa significa pregare per le intenzione di una persona?

R. Pregare per l’intenzione di una persona, significa pregare perché ottenga tutto quello per cui prega o desidera ottenere attraverso la preghiera: alcuni favori spirituali o temporali.

D. 863. Che cosa significa un’Indulgenza di quaranta giorni?

R. Un’indulgenza di quaranta giorni significa che per la preghiera o l’opera a cui è assegnata un’Indulgenza di quaranta giorni, Dio rimette la maggior parte delle nostre pene temporali come se rimesse dalla penitenza canonica, di quaranta giorni. Non sappiamo quanta punizione temporale Dio rimettesse per quaranta giorni di penitenza pubblica, ma di qualunque cosa si tratti, Egli la rimette lo stesso ora quando otteniamo un’Indulgenza di quaranta giorni. La stessa regola si applica alle indulgenze di un anno o a qualsiasi periodo di tempo.

D. 864. Perché la Chiesa ha moderato le sue severe penitenze di un tempo?

R. La Chiesa ha moderato le sue severe penitenze, perché quando i Cristiani – terrorizzati dalle persecuzioni – si sono indeboliti nella loro fede, c’era il pericolo che alcuni abbandonassero la loro religione piuttosto che sottomettersi alle dure penitenze imposte. La Chiesa, pertanto, desiderando salvare il maggior numero possibile di anime, ha reso la penitenza del peccatore la più leggera possibile.

D. 865. A quali cose possono essere annesse le indulgenze?

R. Le indulgenze plenarie o parziali possono essere annesse a preghiere e a solidi articoli di devozione; a luoghi come chiese, altari, santuari, ecc., da visitare; e con un privilegio speciale a volte sono annesse alle buone opere di certe persone.

D. 866. Quando le cose perdono le Indulgenze loro assegnate?

R. Le cose perdono le Indulgenze loro associate:

– Quando sono così cambiate da non essere più quello che erano una volta;
– Quando sono venduti, i rosari ed altri articoli indulgenziati non perdono le loro indulgenze, o quando vengono prestati o dati in prestito, perché l’indulgenza non è personale bensì è annessa all’articolo stesso.

D. 867. Una confessione settimanale sarà sufficiente per ottenere durante la settimana tutte le Indulgenze per le quali si ingiunge la Confessione come una delle opere da praticare?

R. Una confessione settimanale sarà sufficiente per ottenere durante la settimana tutte le Indulgenze a cui la confessione è ingiunta come una delle opere, purché continuiamo ad essere in uno stato di grazia, eseguiamo le altre opere ingiunte e abbiamo l’intenzione di ottenere queste Indulgenze.

D. 868. Come e quando possiamo applicare le Indulgenze a beneficio delle anime del Purgatorio?

R. Possiamo applicare le Indulgenze a beneficio delle anime del Purgatorio per intercessione; ogni qualvolta sia specificamente menzionata e permessa dalla Chiesa nel concedere l’Indulgenza, cioè, quando la Chiesa dichiara che l’Indulgenza concessa è applicabile alle anime dei vivi o alle anime del Purgatorio, di modo tale che possiamo ottenerla a beneficio di entrambi.

 

LEZIONE 22 –

SULLA SANTA EUCARISTIA

D. 869. Che cosa significa esattamente la parola Eucaristia?

R. D. La parola Eucaristia significa “rendimento di grazia”, e questo Sacramento è così chiamato perché ci rende più graditi a Dio per la grazia che impartisce, e ci offre il modo migliore di ringraziarLo per tutte le Sue benedizioni.

D. 870. Che cos’è la Santa Eucaristia?

R. La Santa Eucaristia è il Sacramento che contiene il corpo e il sangue, l’anima e la divinità, di nostro Signore Gesù Cristo sotto le apparenze del pane e del vino.

D. 871. Che cosa intendiamo quando diciamo che il Sacramento contiene il Corpo e il Sangue?

R. Quando diciamo che il Sacramento contiene il Corpo e il Sangue, intendiamo il Sacramento che “è” il Corpo e il Sangue, poiché dopo la Consacrazione non c’è altra sostanza presente nell’Eucaristia.

D. 872. Quando la Santa Eucaristia è un Sacramento, e quando è un sacrificio?

R. La Santa Eucaristia è un Sacramento quando la riceviamo nella Santa Comunione e quando rimane nel Tabernacolo dell’Altare. È un Sacrificio quando viene offerto nella Messa dalla consacrazione separata del pane e del vino, che significa la separazione del sangue di Nostro Signore dal Suo corpo quando morì sulla Croce.

D. 873. Quando Cristo ha istituito la Santa Eucaristia?

R. Cristo istituì la Santa Eucaristia durante l’Ultima Cena, la notte prima di morire.

D. 874. Chi erano i presenti quando nostro Signore istituì la Santa Eucaristia?

R. Quando Nostro Signore istituì la Santa Eucaristia, erano presenti i dodici Apostoli.

D. 875. In che modo nostro Signore istituì la Santa Eucaristia?

R. Nostro Signore ha istituito la Santa Eucaristia prendendo il pane, benedicendolo, spezzandolo e dandolo ai suoi Apostoli, dicendo: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”; e poi, prendendo il calice di vino, benedicendolo e dandolo loro, dicendo: “Bevetene tutti, questo è il mio sangue che sarà versato per la remissione dei peccati, fatelo per in mia commemorazione”.

D. 876. Cosa accadde quando nostro Signore disse: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”?

R. Quando Nostro Signore disse: “Questo è il mio corpo”, la sostanza del pane fu cambiata nella sostanza del Suo corpo; quando disse: “Questo è il mio sangue”, la sostanza del vino fu trasformata nella sostanza del Suo sangue.

D. 877. Come proviamo la presenza reale, cioè che nostro Signore è veramente e realmente presente nella Santa Eucaristia?

R. – Dimostriamo la presenza reale, cioè che Nostro Signore è veramente e realmente presente nella Santa Eucaristia:

– Mostrando che sia possibile cambiare una sostanza in un’altra;

– Mostrando che Cristo ha cambiato la sostanza del pane e del vino nella sostanza del suo corpo e del suo sangue;

– Mostrando che ha dato questo potere anche ai suoi Apostoli e ai Sacerdoti della sua Chiesa.

D. 878. Come sappiamo che sia possibile cambiare una sostanza in un’altra?

R. Sappiamo che è possibile cambiare una sostanza in un’altra perché:

– Dio ha cambiato l’acqua in sangue durante le “piaghe d’Egitto”.

– Cristo ha cambiato l’acqua in vino alle nozze di Cana.

– Il nostro cibo è cambiato ogni giorno nella sostanza della nostra carne e del sangue; e ciò che Dio fa gradualmente, può anche farlo istantaneamente con un atto della sua volontà.

D. 879. Questi cambiamenti sono esattamente uguali ai cambiamenti che avvengono nella Santa Eucaristia?

R. Questi cambiamenti non sono esattamente uguali ai cambiamenti che avvengono nella Santa Eucaristia, poiché mentre in queste trasformazioni anche l’aspetto è cambiato, nella Santa Eucaristia viene cambiata solo la sostanza, mentre l’apparenza rimane la stessa.

R. 880. Come dimostriamo che Cristo ha cambiato il pane e il vino nella sostanza del suo corpo e del suo sangue?

R. – Dimostriamo che Cristo ha cambiato il pane e il vino nella sostanza del suo corpo e del suo sangue:

– Dalle parole con le quali ha promesso la Santa Eucaristia;

– Dalle parole con le quali ha istituito la Santa Eucaristia;

– Dall’uso costante della Santa Eucaristia nella Chiesa fin dai tempi degli Apostoli;

– D. Dall’impossibilità di negare la presenza reale nella Santa Eucaristia senza negare allo stesso tempo tutto ciò che Cristo ha insegnato e fatto; poiché abbiamo prove più evidenti per la Santa Eucaristia che per qualsiasi altra verità cristiana.

D. 881. Gesù Cristo è intero ed integro sotto la forma del pane e sotto la forma del vino?

R. Gesù Cristo è intero e integro sotto la forma del pane e sotto la forma del vino.

D. 882. Come sappiamo che sotto l’aspetto del pane riceviamo anche il sangue di Cristo; e sotto l’aspetto del vino riceviamo anche il corpo di Cristo?

R. Sappiamo che sotto l’aspetto del pane riceviamo anche il sangue di Cristo, e sotto l’aspetto del vino riceviamo anche il corpo di Cristo, perché nella Santa Eucaristia riceviamo il corpo vivente di Nostro Signore, e un corpo vivente non può esistere senza il sangue, né può esistere sangue vivo senza un corpo.

D. 883. Gesù Cristo è presente interamente anche nella più piccola porzione della Santa Eucaristia, sotto forma di pane o vino?

R. Gesù Cristo è presente intero ed integro nella più piccola porzione della Santa Eucaristia sotto la forma del pane o del vino, poiché il suo corpo nell’Eucaristia è in uno stato glorificato e, poiché è partecipe del carattere di una sostanza spirituale, non richiede una dimensione o una forma definita.

D. 884. Rimane qualche cosa del pane e del vino dopo che la loro sostanza sia stata cambiata nella sostanza del corpo e del sangue di nostro Signore?

R. Dopo che la sostanza del pane e del vino sia stata cambiata nella sostanza del corpo e del sangue di Nostro Signore, rimangono solo le apparenze del pane e del vino.

D. 885 Cosa intendi per le apparenze del pane e del vino?

– Per le apparenze del pane e del vino intendo la figura, il colore, il sapore e qualsiasi cosa appaia ai sensi.

D. 886. Come viene chiamato questo cambiamento del pane e del vino nel corpo e nel sangue di nostro Signore?

R. Questo cambiamento del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Nostro Signore è chiamato Transustanziazione.

D. 887. Qual è il secondo grande miracolo nella Santa Eucaristia?

R. Il secondo grande miracolo nella Santa Eucaristia è la moltiplicazione della presenza del corpo di Nostro Signore in così tanti luoghi allo stesso tempo, mentre il corpo stesso non si moltiplica, perché c’è un solo corpo di Cristo.

D. 888. Non ci sono, quindi, tanti corpi di Cristo quanti sono i tabernacoli nel mondo, o per quante Messe vengono dette nello stesso tempo?

R. Non ci sono tanti corpi di Cristo quanti sono i tabernacoli nel mondo, o come ci sono Messe allo stesso tempo; ma solo un corpo di Cristo, che è dappertutto presente intero ed intero nella Santa Eucaristia, come Dio è ovunque presente, mentre Lui è un solo Dio.

D. 889. In che modo la sostanza del pane e del vino è cambiata nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo?

R. La sostanza del pane e del vino è stata trasformata nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo mediante il Suo potere onnipotente.

D. 890. Questo cambiamento di pane e vino nel corpo e nel sangue di Cristo continua aD essere fatto nella Chiesa?

R. Questo cambiamento di pane e vino nel corpo e nel sangue di Cristo continua ad essere fatto nella Chiesa da Gesù Cristo attraverso il ministero dei suoi Sacerdoti.

D. 891. Quando Cristo ha dato ai suoi Sacerdoti il ​​potere di cambiare il pane ed il vino nel Suo corpo e del Suo sangue?

R. Cristo ha dato ai suoi Sacerdoti il ​​potere di cambiare il pane e il vino nel Suo corpo e sangue quando disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di Me”.

D. 892. Che cosa significano le parole “fate questo in memoria di me”?

R. Le parole “fate questo in memoria di me” significano: fai ciò che Io, Cristo, sto facendo nella mia ultima cena, cioè, cambiare la sostanza del pane e del vino nella sostanza del mio corpo e del mio sangue; e fallo in memoria di Me.

D. 893. In che modo i Sacerdoti esercitano questo potere di cambiare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo?

R. I Sacerdoti esercitano questo potere di cambiare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo attraverso le parole della consacrazione nella Messa, che sono le parole di Cristo: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”.

D. 894. In quale parte della Messa si svolge la Consacrazione?

R. La Consacrazione nella Messa si svolge immediatamente prima dell’elevazione dell’Ostia e del Calice, che si elevano sopra la testa del Sacerdote affinché il popolo possa adorare Nostro Signore che è appena giunto sull’altare con le parole della Consacrazione.

 

 

VISITAZIONE DELLA SANTISSIMA VERGINE

2 LUGLIO

VISITAZIONE DELLA SANTISSIMA VERGINE

[Dom P. Guéranger: l’Anno Liturgico, vol. II, Ed. Paoline, Alba – 1957 – impr. ]

Storia della festa.

Nei giorni che precedettero la nascita del Salvatore, la visita di Maria alla cugina Elisabetta ha già costituito l’oggetto delle nostre meditazioni. Ma era giusto tornare su una circostanza così importante della vita della Vergine, per mettere maggiormente in luce quale profondo insegnamento e quale santa letizia contenga questo mistero. Completandosi nel corso dei secoli, la sacra Liturgia doveva sfruttare questa preziosa miniera in onore della Vergine-Madre. – L’Ordine di san Francesco e alcune chiese particolari come quelle di Reims e di Parigi, avevano già – a quanto sembra – preso l’iniziativa quando Urbano VI, nel 1389, istituì la solennità odierna. Il Papa consigliava il digiuno alla vigilia della festa, e ordinava che fosse seguita da un’Ottava; concedeva alla sua celebrazione le stesse indulgenze che Urbano IV aveva, nel secolo precedente, attribuite alla festa del Corpus Domini. La bolla di promulgazione, sospesa per la morte del Pontefice, fu ripresa e pubblicata da Bonifacio IX che gli successe sulla Sede di san Pietro. Sappiamo dalle Lezioni del primitivo Ufficio composto per questa festa, che lo scopo della sua istituzione era stato, nel pensiero di Urbano, di ottenere la cessazione dello scisma che desolava allora la Chiesa. Mai situazione più dolorosa si era prodotta per la Sposa del Figlio di Dio. Ma la Vergine, a cui si era rivolto il vero Pontefice allo scatenarsi della bufera, non deluse la fiducia della Chiesa. Nel corso degli anni che l’imperscrutabile giustizia dell’Altissimo aveva stabilito di lasciare alle potenze dell’unabisso, essa stette in difesa, mantenendo così bene il capo dell’antico serpente sotto il suo piede vittorioso, che nonostante la terribile confusione da esso sollevata, la sua bava immonda non poté contaminare la fede dei popoli; immutabile restava il loro attaccamento all’unità della Cattedra di Roma, chiunque ne fosse il vero detentore in quella incertezza; cosicché l’Occidente, separato di fatto, ma sempre uno quanto al principio, si ricongiunse quasi automaticamente al tempo stabilito da Dio per riportare la luce.

Maria, arca di Alleanza.

Se ci si domanda perché Dio abbia voluto che appunto il mistero della Visitazione, e non un altro, diventasse, mediante la solennità ad esso consacrata, il monumento della pace riacquistata, è facile trovarne la ragione nella natura stessa del mistero e nelle circostanze in cui si compì. – È qui soprattutto che Maria appare, infatti, come la vera arca di alleanza, che porta in sé l’Emmanuele, viva testimonianza d’una riconciliazione definitiva e completa fra la terra e il cielo. Mediante essa, meglio che in Adamo, tutti gli uomini saranno fratelli; poiché colui che essa cela nel suo seno sarà il primogenito della grande famiglia dei figli di Dio. Appena concepito, ecco che comincia per lui l’opera di universale propiziazione. Beata fu la dimora del sacerdote Zaccaria che per tre mesi celò l’eterna Sapienza nuovamente discesa nel seno purissimo in cui si è compiuta l’unione bramata dal suo amore! Per il peccato d’origine, il nemico di Dio e degli uomini teneva prigioniero, in quella casa benedetta, colui che doveva costituirne l’ornamento nei secoli eterni; l’ambasciata dell’angelo che annunciava la nascita di Giovanni, e il suo miracoloso concepimento, non avevano esentato il figlio della sterile dal vergognoso tributo che tutti i figli di Adamo debbono pagare al principe della morte all’atto del loro ingresso nella vita. Ma ecco apparire Maria, e Satana rovesciato subisce nell’anima di Giovanni la sua maggiore sconfitta, che tuttavia non sarà l’ultima, poiché l’arca dell’alleanza non cesserà i suoi trionfi se non dopo la riconciliazione dell’ultimo degli eletti.

La letizia della Chiesa.

Celebriamo questo giorno con canti di letizia, poiché qualsiasi vittoria, per la Chiesa e per i suoi figli, si trova in germe in questo mistero; d’ora in poi l’arca santa presiede alle battaglie del nuovo Israele. Non più divisione tra l’uomo e Dio, tra il cristiano e i suoi fratelli; se l’antica arca fu impotente ad impedire la scissione delle tribù, lo scisma e l’eresia non potranno più tener testa a Maria per un numero più o meno grande di anni o di secoli, se non per far meglio risplendere infine la sua gloria. Da essa si effonderanno senza posa, come in questo giorno benedetto, sotto gli occhi del nemico confuso, la gioia degli umili, la benedizione di tutti e la perfezione dei pontefici (Sal. CXXXI, 8-9, 14-18). All’esultanza di Giovanni, all’improvvisa esclamazione di Elisabetta, al cantico di Zaccaria uniamo il tributo delle nostre voci, e che tutta la terra ne risuoni. Così un giorno veniva salutata la venuta dell’arca nel campo degli Ebrei; i Filistei, a quella voce, si accorgevano che era disceso l’aiuto del Signore e, invasi dallo spavento, gemevano esclamando: « Guai a noi; non vi era tanta gioia ieri; guai a noi! » (1 Re, IV, 5-8). Oh, sì: oggi insieme con Giovanni il genere umano esulta e canta; oh, sì: oggi giustamente il nemico si lamenta: il primo colpo del calcagno della donna (Gen. III, 15) schiaccia oggi il suo capo orgoglioso, e Giovanni liberato è in questo il precursore di tutti noi. Più fortunato dell’antico, il nuovo Israele è reso sicuro che non gli sarà mai tolta la sua gloria, non sarà mai presa l’arca santa che gli fa attraversare le onde (Gios. III, 4) e abbatte dinanzi a Lui le fortezze (ibid. 6).

Il cantico di Maria.

Come è dunque giusto che questo giorno, in cui ha termine la serie delle sconfitte iniziatasi nell’Eden, sia anche il giorno dei cantici nuovi del nuovo popolo! Ma a chi spetta intonare l’inno del trionfo, se non a chi riporta la vittoria? Cosicché, Maria canta in questo giorno di trionfo, richiamando tutti i canti di vittoria che furono di preludio, nei secoli dell’attesa, al suo divin Cantico.. Ma le vittorie trascorse del popolo eletto erano soltanto la figura di quelle che essa riporta, in questa festa della sua manifestazione, gloriosa regina che, meglio di Debora, di Giuditta o di Ester, ha cominciato a liberare il suo popolo; sulle sue labbra, gli accenti dei suoi illustri predecessori sono passati dall’aspirazione ardente dei tempi della profezia all’estasi serena che denota il possesso del Dio lungamente atteso. Un’èra nuova incomincia per i canti sacri: la lode divina riceve da Maria il carattere che non perderà più quaggiù, e che conserverà fin nell’eternità; ed è ancora in questo giorno che Maria stessa, avendo inaugurato il suo ministero di Corredentrice e di Mediatrice, ha ricevuto per la prima volta sulla terra, dalla bocca di sant’Elisabetta, la lode dovuta in eterno alla Madre di Dio e degli uomini. – Le considerazioni che precedono ci sono state ispirate dal motivo speciale che portò la Chiesa nel XVI secolo ad istituire l’odierna festa. Restituendo Roma a Pio IX esiliato il 2 luglio del 1849, Maria ha mostrato nuovamente che tale data era giustamente per essa un giorno di vittoria.

MESSA

Epistola (Cant. II, 8-15). – Eccolo venire, saltellando pei monti, balzando per i colli. È simile il mio diletto ad una gazzella, ad un cerbiatto. Eccolo, sta dietro al nostro muro, fa capolino dalla finestra, spia dalle grate. Ecco il mio diletto mi parla: Alzati, affrettati, o mia diletta, o mia colomba, o mia bella, e vieni. Ché l’inverno è già passato, la pioggia è cessata, è andata; e i fiori sono apparsi sulla nostra terra, il tempo di potare è venuto; s’è sentito nelle nostre campagne il tubar della tortorella; il fico ha messi fuori i suoi frutti primaticci; le vigne in fiore mandano il loro profumo. Sorgi, o mia diletta, o mia bella, e vieni. O mia colomba (che stai) nelle fessure delle rocce, nel nascondiglio delle muricce, mostrami il tuo viso, fammi sentir la tua voce, chè la tua voce è soave, e il tuo viso è leggiadro.

La visita del Diletto.

La Chiesa ci introduce nelle profondità del mistero. La lettura che precede non è altro se non la spiegazione di quelle parole di Elisabetta in cui si riassume tutta la festa: Al suono della tua voce, il bambino ha trasalito nel mio seno. Voce di Maria, voce della tortora che mette in fuga l’inverno e annuncia la primavera, i profumi e i fiori! A quel segnale così dolce, prigioniera nella notte del peccato, l’anima di Giovanni si è spogliata delle vesti dello schiavo e, sviluppando d’un tratto i germi delle più sublimi virtù, è apparsa bella come la sposa in tutto lo splendore del giorno delle nozze. Quale premura mostra Gesù verso quell’anima prediletta! Fra Giovanni e lo Sposo, quali ineffabili effusioni! Che sublime dialogo dal seno di Elisabetta a quello di Maria! O meravigliose madri, e più meravigliosi figli! Nel felice incontro, l’udito, gli occhi, la voce delle madri appartengono meno ad esse che ai benedetti frutti dei loro seni; e i loro sensi sono come le grate attraverso le quali lo Sposo e l’Amico dello Sposo si vedono, si comprendono e si parlano. Prevenuta dall’amico divino che l’ha cercata, l’anima di Giovanni si desta in piena estasi. Per Gesù, d’altra parte, è la prima conquista; è nei riguardi di Giovanni che, per la prima volta, dopo che per Maria, gli accenti del sacro epitalamio si formulavano nell’anima del Verbo fatto carne e fanno palpitare il suo cuore. Oggi – ed è l’insegnamento dell’Epistola – accanto al Magnificat si inaugura anche il divin cantico nella piena accezione che lo Spirito Santo volle dargli. I rapimenti dello Sposo non saranno mai più giustificati come in questo giorno benedetto né troveranno mai eco più fedele. Uniamo il nostro entusiasmo a quello dell’eterna Sapienza, di cui questo giorno segna il primo passo verso l’umanità intera.

Vangelo (Lc. I, 39-46). – In quel tempo. Maria si mise in viaggio per recarsi frettolosamente in una città di Giudea sulle montagne, ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Ed avvenne che appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel seno; ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo: ed esclamò ad alta voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno. E donde mi è dato che venga a me la madre del mio Signore? Ecco, infatti, appena il suono del tuo saluto mi è giunto all’orecchio, il bambino m’è balzato pel giubilo nel seno. E te beata che hai creduto, perché s’adempiranno le cose a te predette dal Signore. E Maria disse: L’anima mia glorifica il Signore; Ed il mio Salvatore. mio spirito esulta in Dio.

Carità fraterna…

Maria aveva saputo dall’arcangelo che Elisabetta sarebbe presto diventata madre. Il pensiero dei servigi richiesti dalla sua venerabile cugina e dal bambino che stava per nascere, le fa prendere subito la strada dei monti sui quali è situata l’abitazione di Zaccaria. Così agisce, così sospinge, quando è vera, la carità di Cristo (II Cor. V, 14). Non vi è posizione in cui, con il pretesto di una perfezione più elevata, il Cristiano possa dimenticare i propri fratelli. Maria aveva appena contratto con Dio l’unione più sublime; e facilmente la nostra immaginazione se la rafigurerebbe incapace di qualunque cosa, perduta nell’estasi in quei giorni in cui il Verbo, prendendo carne dalla sua carne, la inonda in cambio di tutti i flutti della sua divinità. Il Vangelo è tuttavia molto esplicito: è proprio in quegli stessi giorni (Lc. 1, 39) che l’umile vergine, assisa fino allora nel segreto del volto del Signore (Sal. XXX, 21), si leva per dedicarsi a tutte le necessità del prossimo nel corpo e nell’anima.

…e contemplazione.

Vuol forse dire che le opere superano la preghiera, e che la contemplazione non è più la parte migliore? No, senza dubbio; e la Vergine non aveva mai così direttamente né così pienamente come in quegli stessi giorni aderito a Dio con tutto il suo essere. Ma la creatura pervenuta alle vette della vita unitiva è tanto più atta alle opere esterne in quanto nessun dispendio di se medesima la può distrarre dal centro immutabile in cui è fissata.

La perfezione.

Sublime privilegio, risultato di quella separazione della mente e dell’anima (Ebr. IV, 12) alla quale non tutti pervengono, e che segna uno dei passi più decisivi nelle vie spirituali, poiché suppone la purificazione talmente perfetta dell’essere umano da formare soltanto più uno stesso spirito con il Signore (I Cor. VI, 17) e porta con sé una sottomissione così assoluta delle potenze che, senza urtarsi, esse obbediscono simultaneamente, nelle loro diverse sfere, all’ispirazione divina. Finché il cristiano non ha acquistato questa santa libertà dei figli di Dio (Rom. VIII, 21; II Cor. III, 17) non può infatti rivolgersi all’uomo senza lasciare in qualche modo Dio. Non già che debba trascurare per questo i suoi doveri verso il prossimo, nel quale Dio ha voluto che vediamo Lui stesso; beato tuttavia chi, come Maria, non perde nulla della parte migliore attendendo agli obblighi di questo mondo! Ma come é limitato il numero di questi privilegiati, e quale illusione sarebbe credere il contrario!

Maria, nostro modello.

La Madonna è vergine e madre. In essa si realizza l’ideale della vita contemplativa e della vita attiva: la Liturgia ce lo ricorda spesso. In questa festa della Visitazione, la Chiesa la invoca in modo particolare come il modello di tutti coloro che si dedicano alle opere di misericordia; se non a tutti è concesso di tenere nello stesso tempo, al pari di Lei la propria mente assorta più che mai in Dio, nondimeno tutti debbono cercare di accostarsi continuamente, mediante la pratica del raccoglimento e della lode divina, alle vette luminose in cui la loro Regina si mostra oggi nella pienezza delle sue ineffabili perfezioni.

Lode.

Chi è costei che s’avanza come aurora che sorge, terribile come un esercito schierato a battaglia? (Cant. VI, 9). O Maria, è oggi che per la prima volta il tuo soave chiarore allieta la terra. Tu porti in te il Sole di giustizia; e la sua luce nascente che colpisce le cime dei monti mentre la pianura è ancora immersa nella notte, raggiunge innanzitutto il Precursore di cui è detto che tra i figli di donna non v’è  uno maggiore. Presto l’astro divino, continuando la sua ascesa, inonderà con raggi di fuoco le più umili valli. Ma quanta grazia in quei primi raggi che si effondono dalla nube sotto la quale egli ancora si nasconde! Poiché tu sei, o Maria, la nube leggera, speranza del mondo e terrore dell’inferno (3 Re, XVIII, 44; Is. XIX, 1).

Preghiera per tutti.

Affrettati dunque, o Maria! Vieni a noi tutti: abbassati fino alle ingloriose zone in cui la maggior parte del genere umano vegeta, incapace di elevarsi sulle vette, e fin negli abissi di perversità più vicini al baratro infernale la tua visita faccia penetrare la luce della salvezza. Che noi possiamo, dalle prigioni del peccato, dalla pianura dove si agita il volgo, essere trasportati al tuo seguito! Sono così dolci i tuoi passi nei nostri umili sentieri (Cant. VII, 1), così soavi i profumi di cui inebrii oggi la terra (ibid. 1, 5)!

… per la Visitazione.

Benedici, o Maria, quelli che scelgono la parte migliore. Proteggi il santo Ordine che si gloria di onorare in modo speciale il mistero della tua Visitazione; fedele allo spirito dei suoi illustri fondatori, esso continua a dar ragione del suo nome, effondendo nella Chiesa della terra quegli stessi profumi di umiltà, di dolcezza e di preghiera nascosta che costituirono per gli angeli la principale attrattiva di questo grande giorno diciannove secoli or sono.

… per coloro che aiutano gli infelici.

Infine, o Vergine, non dimenticare le folte schiere di coloro che la grazia suscita, più numerosi che mai ai tempi nostri, perché camminino sulle tue orme alla ricerca misericordiosa di tutte le miserie; insegna ad essi come si può, senza lasciare Dio, consacrarsi al prossimo: per la maggior gloria di quel Dio altissimo e per la felicità dell’uomo, moltiplica quaggiù i tuoi fedeli imitatori. E fa’ infine che tutti noi, avendoti seguita nella misura e nel modo richiesto da Colui che elargisce a ciascuno i suoi doni come vuole (I Cor. XII, 11), ci ritroviamo nella patria per cantare ad una sola voce insieme con te l’eterno Magnificat!

UN’ENCICICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO – “FERMITER CREDIMUS”

Leggere questo breve documento, è come rammentare gli elementi basilari della fede Cattolica, aver chiari i gradini iniziali del cammino di fede, dai quali dipende poi tutto l’edificio dottrinale che porta alla salvezza eterna. Sembra inverosimile ma ancora oggi, persone che si definiscono Cattoliche, hanno difficoltà a credere che questi siano le vere basi del Cattolicesimo, abituati alle fantasie dottrinali dei modernisti apostati e ai deliri della Nouvelle theologie, infarciti da elementi trasferiti di sana pianta dagli influssi gnostico-massonici infiltrati dalla quinta colonna dei “cabalisti kazari”, i cripto-marrani e cripto protestanti del novus ordo, nonché al magistero rivisitato ad “usum cretini” … pardon “usum delphini”, dagli eretici fallibilisti lefebvriani, dai tesisti antitomisti, e dai sedevacantisti cerebrovacanti pluriapostati. In particolare impressiona la semplicità con la quale si colpisce ogni forma di “ecumenismo” o indifferentismo religioso: … Una, inoltre, è la Chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno ASSOLUTAMENTE (extra quam nullus omnino salvatur!!!) si salva e nella quale lo stesso Gesù Cristo è sacerdote e vittima. Chi può intendere … intenda!

FERMITER CREDIMUS

Concilio lateranense IV – Nov. 1215

[Innocenzo III]

COSTITUZIONE I

“Fermiter credimus et simpliciter confitemur “…

La fede cattolica

Crediamo fermamente e confessiamo apertamente che uno solo è il vero Dio, eterno e immenso, onnipotente, immutabile, incomprensibile e ineffabile, Padre, Figlio e Spirito Santo, tre Persone, ma una sola essenza, sostanza cioè natura assolutamente semplice. Il Padre non deriva da alcuno, il Figlio dal solo Padre, lo Spirito Santo ugualmente dall’uno e dall’altro, sempre senza inizio e senza fine. Il Padre genera, il Figlio nasce, lo Spirito Santo procede. Sono consostanziali e tra loro eguali, parimenti onnipotenti e eterni. Unico principio dell’universo creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e materiali che con la sua forza onnipotente fin dal principio del tempo creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature: quello spirituale e quello naturale, cioè gli Angeli e il mondo terrestre, e poi l’uomo, quasi partecipe dell’uno e dell’altro, composto di anima e di corpo. Il diavolo, infatti, e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi. L’uomo poi ha peccato per suggestione del demonio. Questa Santa Trinità, indivisibile secondo la comune essenza, distinta secondo le proprietà delle Persone, ha rivelato al genere umano, per mezzo di Mosè, dei santi profeti e degli altri suoi servi la dottrina di salvezza, secondo un piano perfettamente ordinato nel corso dei tempi. Infine il Figlio unigenito di Dio, Gesù Cristo, incarnatosi per l’opera comune di tutta la Trinità, concepito da Maria sempre Vergine con la cooperazione dello Spirito santo, divenuto vero uomo, composto di un’anima razionale e di un corpo umano, una sola Persona in due nature, manifestò più chiaramente la via della vita, Immortale e incapace di soffrire secondo la divinità, Egli stesso si fece passibile e mortale secondo l’umanità; dopo aver sofferto sul legno della croce ed essere morto per la salvezza del genere umano, è disceso agli inferi, è risorto dai morti ed è salito al cielo; ma è disceso nella sua anima, è risorto nel suo corpo, è salito ugualmente con l’uno e l’altro; verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e per compensare ciascuno secondo le proprie opere, i reprobi come gli eletti. Tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti, per ricevere, secondo che le loro opere siano state buone o malvagie, gli uni la pena eterna con il diavolo, gli altri la gloria eterna col Cristo. Una, inoltre, è la Chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno assolutamente si salva e nella quale lo stesso Gesù Cristo è sacerdote e vittima; infatti il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel Sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo, e il vino nel sangue per divino potere; cosicché, per adempiere il ministero dell’unità, noi riceviamo da Lui ciò che Lui ha ricevuto da noi. Questo Sacramento non può assolutamente compierlo nessuno, se non il Sacerdote, che sia stato regolarmente ordinato, secondo i poteri della Chiesa che lo stesso Gesù Cristo concesse agli Apostoli e ai loro successori. Ma il Sacramento nel Battesimo che si compie nell’acqua, invocando la indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, giova alla salvezza sia dei bambini che degli adulti da chiunque sia stato conferito secondo le norme e la forma usata dalla Chiesa. Se uno, dopo avere ricevuto il Battesimo, è nuovamente caduto nel peccato, può sempre essere rigenerato mediante una vera penitenza. Non solo le vergini e coloro che osservano la continenza, ma anche le persone coniugate, che cercano di piacere a Dio, con retta fede e vita onesta, meritano di giungere all’eterna beatitudine.