LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ’ CRISTIANA
Capitolo I
Gli SCISMI,
ferite alla unità della fede (I)
[“Somma del Cristianesimo”, a cura di R. Spiazzi, vol. II Ed. Paoline, Roma, 1958]
Art. 1. – NATURA DELLO SCISMA.
Significato e uso della parola. – Scisma è parola greca (σχίσμα = skisma) la quale, nel suo significato letterale di fenditura, strappo, separazione materiale, spaccatura, è d’uso corrente tanto nei classici, quanto nel Nuovo Testamento. (La traduzione greca dei LXX del Vecchio Testamento usa in questo senso il sinonimo (σχισμη). Invece, nel suo significato figurato di dissensione, divergenza d’opinione, scissione, è d’uso assai raro nei classici, ma lo si ritrova in San Giovanni e in San Paolo. In San Giovanni (VII, 43; IX, 16: X, 19) indica tutte e tre le volte un disaccordo prodottosi fra i giudei in seguito a discussioni intorno al Cristo. In San Paolo (1 Cor. I,10; XI,18; XII, 25) indica i dissensi interni alla comunità di Corinto, sorti per varie cause: ora a motivo dell’autorità cui i vari partiti si appoggiano, Paolo o Apollo o Cefa (I, 10); ora a causa delle diversità di classi e di condizioni sociali (XI, 18); ora per l’egoismo naturale dei singoli membri della comunità (XI, 18). È certamente l’uso di San Paolo che ha fatto entrare la parola « scisma » nel linguaggio ecclesiastico. Il latino classico la sconosce. Ma dal latino ecclesiastico è passata in tutte le lingue moderne occidentali, con un senso ecclesiologico tecnico. – Questo senso tecnico è frutto di una lunga evoluzione attraverso i secoli. In San Paolo non si parla ancora di veri scismi nel senso attuale della parola: non di gruppi usciti dalla comunione ecclesiastica, ma di partiti formatisi nel seno della stessa Chiesa locale. – Anche la parola « eresia », che si trova in uno di questi passi di San Paolo accostata a «scisma» (1 Cor. XI, 18-19), non ha ancora un significato ben distinto e tecnico: tutt’al più indica vagamente un’aggravante dello scisma. Con i Padri apostolici, che pur si riferiscono a San Paolo, o esplicitamente, come San Clemente Romano, o implicitamente, come San Ignazio, la parola si è caricata d’un senso più forte. Sta ad indicare la rottura dell’unità nell’ambito della Chiesa locale, attraverso il rifiuto dell’autorità del vescovo, attraverso la rottura della fedeltà alla sua fede, attraverso la negazione della partecipazione alla sua Mensa eucaristica. (Cfr. San Clemente Romano, 1 Cor., II, 16; 46,5,9; Sant’Ignazio, il quale però usa solo il participio σχίζωντι, Ai Filad. I 3 ; e cfr. le condizioni dell’unità della Chiesa in Agli Smirn., c. 7-8; Ai Filad., c. 3-4; A Polic., c. 6; Didachè 4,3; Barnaba, 19,12; Erma, Simil. VIII, 9,4). – Ma, quando si rompe con una Chiesa locale, si rompe anche con tutte le Chiese locali, le quali sono tutte unite fra loro dai profondi legami dell’unica fede e della medesima carità. Così, « scisma » passa presto a designare la rottura dell’unità con la Chiesa universale. È soprattutto San Cipriano che gli dà questo senso più vasto, nelle sue Epistole e nel suo trattato “De Ecclesiæ imitate”, composto per combattere lo scisma di Felicissimo a Cartagine, inviato poco dopo a Roma perché servisse a combattervi lo scisma di Novaziano. – Poiché l’unità della Chiesa si ottiene con l’unione di ciascun fedele al proprio Vescovo, chi non sta con lui, non sta neppure nella Chiesa. L’episcopato, però, è unico, giacche tutti i Vescovi costituiscono una vera unità, derivante da quell’unica autorità di legare e di sciogliere che il Cristo concesse inizialmente a uno solo, a Pietro, ma che estese poi anche agli altri Apostoli facendoli ugualmente partecipi della stessa autorità di Pietro. Pertanto, separarsi dal proprio Vescovo, è separarsi dalla Chiesa unica e universale (Epist. 43,5; 66,8; 68,3-5; 69,3; De Eccl. un. 7). San Cipriano non distingue ancora bene lo scisma dall’eresia. Spesso i due termini sono da lui abbinati o usati promiscuamente l’uno per l’altro. Tuttavia, a volte intravede l’eresia come qualcosa di più grave che lo scisma (Cfr. Epist. 51,1; 55,24). La distinzione dello scisma dall’eresia è indicata con chiarezza, ma solo da un punto di vista pratico, senza alcuna spiegazione teorica, da Ottato di Milevi. Sul problema della validità dei sacramenti amministrati dagli eretici, punto tanto discusso tra l’Africa e Roma, Ottato sostiene che quelli conferiti dagli scismatici sono validi, perché costoro spezzano l’unità della Chiesa, ma conservano la medesima fede, mentre quelli conferiti dagli eretici sono invalidi, perché costoro adulterano la fede stessa. (De schimate donat., I , 10-11). -Una precisazione ancora più netta tra scisma ed eresia la dà Sant’Agostino, questa volta dal punto di vista teorico: l’eresia viola la fede; lo scisma spezza il vincolo della carità fraterna (De fide et symb. 10,2). Siamo nel 393. Lo stesso egli ripeterà nel 420 (Contra Gaudentium, 2,9). Ma intorno al 406 per difendere la costituzione dell’imperatore Onorio, che sottoponeva gli scismatici donatisti alle medesime pene sancite contro gli eretici, Sant’Agostino espresse l’idea che ogni dissenso, se pertinacemente protratto, diventa per questo solo motivo una eresia (Contra Cresconium, I I , 7-9). – San Girolamo in un testo divenuto famoso nel Medio Evo, ha le idee altrettanto nette, anzi più esatte ancora di S. Agostino: « Tra l’eresia e lo scisma pensano che ci sia questa differenza, che l’eresia tiene un domma perverso, lo scisma per dissensione episcopale si separa dalla Chiesa: il che si può in certo modo capire al suo inizio. Però non c’è nessuno scisma che non si foggi una eresia, per sembrare che si è separato dalla Chiesa giustamente » (In epist. ad Titum, 3,10-11). Così Girolamo, più acutamente di S. Agostino, osserva che non la durata fa diventare lo scisma una eresia, ma è lo scisma a fabbricarsi una eresia, per giustificare la sua secessione dalla Chiesa universale. Sono queste le idee che la Scolastica, quando formerà la grande sintesi teologica, in cui si definisce e distingue scisma ed eresia, troverà dinanzi a sé. – C’è anche da aggiungere che ormai con S. Agostino lo scisma è stato riferito, non solo alla Chiesa universale in genere, come aveva fatto S. Cipriano, ma alla Chiesa romana in particolare, che, quale Sede Apostolica per eccellenza, è il criterio pratico, unico e centrale, dell’unità della Chiesa universale (Epist. 43,7; 52,3). Già prima di lui, fin dal II secolo S. Ireneo aveva scelto questa referenza esplicita alla Chiesa romana come segno e criterio della vera tradizione. Ottato di Milevi, poco prima di S. Agostino, chiama scismatico chiunque osi contrapporre la propria sede episcopale a quella di Roma (De schismate donat., II, 2). – Ecco lo scisma assumere il significato più pratico di «scissione dalla Chiesa Romana, ribellione al Papa ». È questo il senso che avrà ormai per sempre. Quando col sec. XI l’Occidente vivrà una vita ecclesiastica praticamente separata da quella dell’Oriente, la rEferenza al Papa diventerà essenziale ed esclusiva.
Lo SCISMA SECONDO LA TEOLOGIA.
– 1. Nozione cattolica.
– « Scismatici sono detti coloro che rifiutano di sottostare al Sommo Pontefice e coloro che ricusano di comunicare coi membri della Chiesa a lui sottomessi ». Questa è la definizione data da S. Tommaso a conclusione del suo articolo in cui considera lo scisma come peccato speciale (Somma, II-II q. 39, a. 1). La stessa definizione, quasi con le stesse parole, dà il Codice di Diritto Canonico (can. 1325, § 2). Lo scisma, dice San Tommaso, è peccato speciale perché si oppone alla carità principio formale della comunione ecclesiastica, cioè di quell’unità ecclesiastica per cui tutti i Cristiani vivono in pace vicendevole e spirituale come membri della medesima e inscindibile Chiesa. Quest’unione ecclesiastica ha un duplice aspetto: da una parte è comunione dei singoli membri fra loro, dall’altra è ordine di tutti i membri verso un solo capo, lo stesso Cristo, di cui fa le veci il Sommo Pontefice. – Commette, pertanto, peccato di scisma, sia chi rigetta l’autorità del Sommo Pontefice sia chi si stacca da uno dei membri della Chiesa comunicante con il Sommo Pontefice (Somma II-II, q. 39, a. 1). Il Sommo Pontefice è, per San Tommaso, l’ultimo criterio pratico di comunione e d’unità. Criterio importantissimo; ma non esclusivo. Perché anche chi si stacca da una Chiesa locale, rifiutando l’obbedienza al proprio Vescovo, in quanto questi fa parte della Chiesa universale, è scismatico. L’antica visione dello scisma nel quadro della Chiesa locale viene così accolta e inserita, ma non sommersa, nel nuovo quadro più vasto della Chiesa universale. L’unità da cui lo scismatico si stacca è concepita da S. Tommaso come una unità, non sostanziale, quale è ad esempio quella del corpo umano, ma un’unità di ordine e di relazione, propria di ogni società. L’unità della società civile scaturisce dalle mutue relazioni suscitate dalla ricerca del bene comune da parte di tutti i membri di essa. Così anche l’unità della Chiesa, benché costituita da valori superiori, nasce dalle mutue relazioni derivanti dalla ricerca del loro bene soprannaturale, dalla ricerca comune di attuare il Corpo Mistico di Cristo. Come nella società civile, la ricerca del fine comune si attua sotto la guida d’una autorità, così l’unità della Chiesa, in quanto relazioni di membri al capo, si attua quando il capo dà a ogni membro ciò che gli conviene e quando i membri regolano la loro attività spirituale di fede, di carità, di mutuo aiuto, ecc. secondo le norme sancite dal capo (Somma, ivi; cfr. In IV Sent., dist. 24, q. 3, a. 2, sol. 2; Commen. in Eph., c. 4, lect. 1; Commen. in Coloss., c. 1, lect. 5; Somma II-II, q. 183, a. 2, ad. 1; Commen. in 1 Cor., c. 12, lect. 2). – Il Caietano, commentando San Tommaso, nota con acume che, in ultima analisi, l’unità della Chiesa è opera dello Spirito Santo, « il quale, ripartendo i doni secondo il suo beneplacito, ha voluto che la Chiesa Cattolica, cioè universale, fosse unica e non frazionata. Di conseguenza, Egli muove ciascuno dei suoi membri a comportarsi nelle sue azioni interiori ed esteriori come parti di un tutto (ut partes unius), per questo tutto, e conformemente a questo tutto. Ogni fedele, infatti, sa dalla sua fede che egli è membro della Chiesa, ed è come membro della Chiesa che egli crede, spera, amministra o riceve i Sacramenti, insegna o apprende, ecc. Ed è per la Chiesa ch’egli fa ciò, come parte per il tutto, cui appartiene tutto ciò che egli è » (In II-II, q. 39 a. 1, n. 2). Così, secondo la precisazione del Caietano, l’unità della Chiesa è costituita, più che dai medesimi Sacramenti o dalle medesime virtù teologiche, più che dalla unione derivante da uno stesso governo, dall’assoluta comunione di animi e di cuori, frutto di quella carità che è opera dello Spirito Santo, per la quale tutti i membri si regolano secondo le norme dettate dal capo e vivono secondo queste norme per il tutto. Scismatico è, allora, chi rifiuta di agire come parte (ut pars), per volere pensare, agire, vivere, non nella Chiesa e per la Chiesa, ma come essere autonomo, il quale determina da solo e per sé solo una propria legge di pensiero, di azione e di vita. Osserva ancora il Caietano che il peccatore, pur avendo perduto la carità, non è ancora uno scismatico, perché sebbene abbia perduto la radice della comunione ecclesiastica, tuttavia conserva ancora le regole dell’unione, in quanto agisce ancora ut pars. Insomma, il Cristiano che ha perduto col peccato la carità, non diventerà scismatico se non offenderà la carità in quanto forma l’unione della Chiesa (Ivi, n. 3).
2. Nozione di scisma secondo i dissidenti.
– Occorre notare subito che tali idee sulla natura dello scisma rispondono al punto di vista cattolico, secondo cui la Chiesa è un corpo visibile, gerarchicamente costituito sotto la guida del Romano Pontefice. Per i protestanti propriamente detti, i quali negano la visibilità della Chiesa e la sua costituzione gerarchica, lo scisma è una rottura, non meglio definita, dei legami spirituali fra le comunità cristiane. Gli anglicani e gli « ortodossi » ammettono la visibilità della Chiesa e della sua comunione ecclesiastica, ma negano una autorità universale, la quale possa costituire l’organo e il criterio della sua unità. È la confederazione delle Chiese particolari, aventi la stessa fede fondamentale, gli stessi essenziali sacramenti, che costituisce l’universalità e l’unità della Chiesa. Per gli anglicani, i quali concepiscono la confederazione come risultante dalla comunione delle varie diocesi, si commette peccato di scisma quando si rifiuta l’autorità del vescovo della propria diocesi o quando si celebra a un altare eretto contro la sua autorità … Per gli ortodossi, i quali concepiscono la confederazione come risultante della comunione fra le Chiese nazionali, è scismatico chi si separa dalla propria Chiesa nazionale. Per quanto riguarda la separazione fra la Chiesa romana e loro, non parlano di scisma ma di eresia, giacché imputano alla Chiesa latina non pochi errori.
3. Gravità dello scisma.
– La gravità essenziale dello scisma — a prescindere dalle circostanze in cui è prodotto — va misurata come quella di qualsiasi altro peccato, dal suo oggetto: più grande è il bene di cui esso è la negazione, più profonda è la sua gravità. Ora, lo scisma attenta al più grande fra i beni creati: il comune fine soprannaturale dell’umanità, realizzato in terra dalla comunione ecclesiastica. Lo scisma, opponendosi a questo fine soprannaturale, rompe l’unità della Chiesa. – La Chiesa è raffigurata nella S. Scrittura, nei Padri e nella Tradizione come una unità organica, simile a un regno, a un corpo, destinato a un fine soprannaturale. Lo scisma viola questa unità organica, reca frattura al « grande e glorioso Corpo di Cristo », come si esprime Sant’Ireneo (Adv. hæreses, IV, 37,5). – La Chiesa è una società di fedeli (societas fidelium), costituiti e viventi in perfetta comunione spirituale. Ma, se questa. comunione. è anzitutto ed essenzialmente spirituale, essa è tuttavia realizzata in un corpo visibile cioè nella vita societaria collettiva dei suoi membri presi insieme. È comune vita teologica, liturgica, morale, contemplativa, di vicendevole aiuto sociale ed ecclesiastico. L’impulso di questa vita comune proviene dall’autorità, che ne è il principio d’unità. Chi nega sia l’autorità ecclesiastica — quella cioè dei capi visibili della Chiesa e del suo capo supremo, il Sommo Pontefice — sia la comunione tra i membri della Chiesa, promossa, assicurata e misurata dalla loro unione ai capi, si esclude automaticamente dai benefici di questa comunione ecclesiastica. – Lo scismatico diventa allora come un membro reciso dal capo, un ramo staccato dall’albero, cui non giunge più la linfa vitale che proviene dal tronco e dal cuore. Per questo motivo alcuni Padri e Dottori dicono che lo scisma è il più grave peccato (ad esempio San Bernardo, Epist. 219). Anzi Sant’Agostino, portando dei paragoni, dice esplicitamente che lo scisma è più grave dell’idolatria e dell’infedeltà (Epist. 51,1-2; De baptismo contra Don., I , 8,10). Essi partono dalla considerazione del gravissimo castigo inflitto da Dio agli scismatici, come Core, Dathan e Abiron, per i quali la terra si apri inghiottendoli (Num, XVI,28-35); mentre, in paragone, al peccato di bestemmia è riservata la sola lapidazione (Lev., XXIV,14-16). – Ma, in una rigorosa sistemazione teologica, la quale considera ogni peccato in sé e non nelle circostanze in cui è avvenuto, la quale sa vedere negli esempi biblici il loro carattere prevalentemente didattico e non scientifico, l’affermazione dei Padri non trova motivazione logica. Essa va intesa o corretta nel senso che lo scisma è il più grave fra i peccati opposti ad un bene creato, precisamente il più grave dei peccati esterni contro il prossimo (SAN TOMMASO, Somma II-II, q. 39, a. 2; in IV Sent., dist. 13, q. 2, a. 2, ad 4; De malo, q. 2, a. 10). Altri peccati vanno considerati ancora più gravi dello scisma: quelli che si oppongono a un bene increato. Così, il più grave fra. tutti i peccati è l’odio contro Dio, perché si dirige contro lo stesso Sommo Bene (SAN TOMMASO, Somma, II-II,’ q. 34, a. 2; cfr. ivi, a. 4).
4. Scisma e disubbidienza.
– Lo scisma comporta sempre anche un peccato di disubbidienza. Ma, non ogni peccato di disubbidienza contro l’autorità della Chiesa è un peccato di scisma. La disubbidienza che comporta lo scisma è accompagnata, dalla ribellione pertinace all’autorità ecclesiastica legittima: « Costituisce l’essenza dello scisma la disubbidienza ai precetti accompagnata da una certa ribellione. Dico « con ribellione »: il che avviene quando si disprezza con ostinazione (pertinaciter) i precetti della Chiesa e si rifiuta dì piegarsi al suo giudizio » SAN TOMMASO, Somma, II-II, q. 39, a. 1, ad 2). – Il Caietano con tre chiari esempi precisa di che disubbidienza si tratti. Quando qualcuno si rifiuta di osservare i precetti del superiore per il loro contenuto, che in quel momento non piace o non conviene, senza però mettere in causa né l’autorità né la persona del superiore, commette un peccato di semplice disubbidienza, anche se si tratta dell’autorità della Chiesa, ma non di scisma: così, quando, nei secoli scorsi, il Papa comandava di astenersi da una guerra o di restituire uno stato ingiustamente occupato, chi disubbidiva errava gravemente, ma non poteva essere detto scismatico. Quando qualcuno rifiuta di sottostare ai precetti del superiore mettendo in causa la sua persona, ma rispettando la sua funzione in se stessa, come quando, per una ragione o l’altra, sospetta della sua stessa persona o della sua competenza o della sua legittimità, disubbidisce, anche se si tratta della autorità della Chiesa, ma non è scismatico: così chi disubbidisce a un comando del Papa, perché crede che egli governa in modo tirannico, non è da considerarsi scismatico. – Quando, invece, il rifiuto di ubbidire si riferisce all’autorità stessa e alla funzione del capo ecclesiastico, considerata e conosciuta come tale, allora e solo allora si verifica il peccato di scisma: « Cum quis autem Papæ præceptum vel iudicium ex parte sui officiì recusat, non recognoscens eum ut superiorem, quamvìs hoc credat, tunc proprie scismaticus est » (In II-II, q. 39, a. 1, n. 7). La precisazione del Caietano, molto acuta, serve da sola a sfatare la asserzione di quegli autori moderni i quali sostengono che, una volta definito dal Concilio Vaticano il primato del Romano Pontefice, non è più possibile uno scisma senza eresia. Chi pertinacemente e volontariamente nega che il primato del Romano Pontefice sia un domma da credersi da tutti i fedeli, commette un peccato di eresia. Ma, chi, pur credendo al primato del Papa, rifiuta di sottomettersi ai suoi ordini legittimi e si considera praticamente come un essere ecclesiasticamente autonomo, non agisce cioè « ut pars » della comunione ecclesiastica, direbbe il Caietano, commette semplicemente un peccato di scisma puro: separatosi così dalla comunione ecclesiastica, la linfa vitale proveniente dal centro della Chiesa non può più giungere fino a lui, sebbene non sostenga alcuna eresia. Praticamente sarà magari indotto a sostenere una eresia per giustificare il suo modo di agire, ma ciò non toglie la possibilità, almeno teorica, di uno scisma senza eresia. – Del resto questi due concetti, di scisma e di eresia, e i loro rapporti, vanno meglio precisati.
5. Scisma ed eresia.
– Oltre allo scisma, anche l’eresia rompe l’unità ecclesiastica, e separa i suoi fautori dalla comunione ecclesiastica. I due peccati non vanno, tuttavia, confusi. La loro distinzione è, del resto, teoricamente facile, essendo differente l’oggetto formale dei due atti: l’eresia si oppone alla fede, lo scisma si oppone alla comunione ecclesiastica nata dalla carità. Si può essere scismatici senza essere eretici, quando cioè non si sostiene pertinacemente alcun errore contro la fede, ma si nega solo o l’autorità della Chiesa o la comunione ecclesiastica. – L’eretico, al contrario, è anche scismatico; perché nega il fondamento radicale su cui si basa la comunione ecclesiastica, la verità cioè rivelata da Dio e proposta autenticamente come tale dalla Chiesa. Pertanto, tutte le eresie possono essere considerate anche come scismi (l’elenco storico degli scismi del seguente articolo va intesa in questo ampio senso); ma non tutti gli scismi possono essere detti eresie. Si chiama scisma puro quello in cui al pertinace rifiuto dell’autorità della Chiesa non si aggiunge alcun errore contro la fede; si dice scisma misto quello in cui si aggiunge la negazione pertinace di una o più verità definite dalla Chiesa e. proposte, ai fedeli come dommi di fede. Tutti gli autori, seguendo la vecchia osservazione di S. Girolamo (In Epist. ad Titum, 3,10-11), fanno notare che lo scisma trascina verso l’eresia, giacche ogni scismatico tende a giustificare la sua secessione dando vita a una eresia. La storia della Chiesa è là a dimostrare che difficilmente si trova uno scisma, il quale non sia accompagnato, almeno successivamente al suo inizio, da una eresia. Quando si dice che lo scismatico e l’eretico rompono, mutilano, sovvertono l’unità della Chiesa, s’intende che è in loro stessi — e in tutti quelli che con la stessa conoscenza e la stessa pertinacità li seguono — ch’essi la rompono, la mutilano, la sovvertono. In se stessa la Chiesa è indivisibile, inseparabile, immortale. La Chiesa può cessare di far giungere la sua linfa vitale ad alcuni uomini o ad alcuni gruppi umani, ma perché questi si sono staccati volontariamente dalla sua unità organica di Corpo e di Anima.
6. Scisma interno e scisma esterno; scisma occulto e scisma pubblico.
– Lo scisma è interno se la negazione della comunione ecclesiastica o dell’autorità della Chiesa risiede solo nell’animo, e non è accompagnato da alcun segno esterno. È, invece esterno, se è manifestato con qualche segno esteriore, per esempio con parole o con scritti. Lo scisma esterno, cioè manifestato con parole o con qualche scritto, è considerato occulto, se queste manifestazioni esterne non sono a conoscenza di alcuno, per esempio se uno ha pronunziato da solo quelle parole o non ha mai mostrato a nessuno i suoi scritti, e anche se sono a conoscenza di ben poche persone. Se invece è ormai noto a molti, in modo che non si può nascondere, è scisma pubblico. La distinzione tra scisma interno ed esterno interessa principalmente il Diritto Canonico, perché per incorrere le pene ecclesiastiche sancite contro gli scismatici è necessario l’atto esterno dello scisma, dato che la Chiesa non suole punire se non gli atti esterni. Anche la teologia, tuttavia, si interessa a questa distinzione, a causa del problema se basta il peccato di scisma puramente interno ad escludere un battezzato dalla Chiesa. Qualche teologo, come Th. Spàcil, lo sostiene, considerando l’appartenenza alla Chiesa da un punto di vista anzitutto interiore e morale. Ma la maggior parte dei teologi, e sono quelli di più gran nome, come Cano, Soto, Bellarmino, D. Palmieri, Mazzella, d’Herbigny, G. Philipps, considerando l’appartenenza alla Chiesa da un punto di vista anzitutto sociale e giuridico, lo negano, affermando che gli scismatici puramente interiori rimangono membri della Chiesa, allo stesso modo dei comuni battezzati peccatori. Questi scismatici interni, se pur nell’intimo del loro cuore non amano più la comunione ecclesiastica, ne subiscono tuttavia ancora gli obblighi, e, trascinati dall’ambiente, potranno più facilmente tornare a riceverne tutti i benefici con un ritorno anche interiore all’unità.
7. Scisma materiale o scisma come stato.
– Fin qui lo scisma è stato considerato come l’atto positivo, cosciente e pertinace, di chi rifiuta di sottomettersi all’autorità della Chiesa o di comunicare coi membri della Chiesa. Ma chi dovesse aderire a uno scisma in buona fede o chi fosse nato in una Chiesa separata da quella cattolica, può essere detto scismatico? L’uso popolare lo dice « scismatico in buona fede », considerando lo scisma non più un peccato, ma uno stato. L’espressione è quanto mai impropria, anzi assurda nella sua intima contraddizione, perché attribuisce un peccato (e che grave peccato) a chi non ha commesso questo peccato. Allo scisma si richiede, infatti, quella pertinacia, la quale è negata dalla supposta buona fede. La teologia recente usa chiamarlo, allora, con espressione non troppo elegante, uno scismatico materiale, riservando il titolo di scismatico formale a chi ha veramente commesso personalmente il peccato di scisma. La distinzione è divenuta d’uso comune tra i moralisti ed è conosciuta anche dal Diritto Canonico. Tuttavia, questi cosiddetti « scismatici materiali », particolarmente quelli nati nelle Chiese orientali — alla cattolica tanto vicine per la sostanza della fede e dei mezzi della grazia e del valido sacerdozio — avendo ricevuto validamente il Battesimo, e col Battesimo la grazia e le virtù infuse, appartengono fin da bambini al corpo e all’anima della vera Chiesa, allo stesso modo dei bambini nati nella Chiesa Cattolica. Quando essi arrivano all’uso di ragione e all’età della deliberazione, nutriti dalla profonda efficacia dei sette sacramenti e da una fervida linfa liturgica, non sapranno discernere, fra tanta chiarezza di fede e tanto amore, quel che di falso e di tenebra è loro pervenuto come patrimonio d’uno scisma commesso lontano nei secoli. Accetteranno, allora, in blocco questa eredità dell’antico scisma, il quale diventerà per loro un puro stato, un modo di essere, acquisito involontariamente. Ma, non cesseranno per questo di appartenere alla vera Chiesa. Perché dare, allora, questo nome di scismatici, così odioso e infamante, anche se attutito dall’aggettivo «materiali», a chi non è scismatico? I documenti ufficiali della Santa Sede danno ormai alle Chiese orientali e ai suoi fedeli il nome di « dissidenti ». Ecco il titolo adatto a sostituire il termine di « scismatici materiali ».
LO SCISMA SECONDO IL DIRITTO CANONICO,
– 1. Scisma come delitto.
– Il Diritto Canonico s’interessa allo scisma soprattutto come delitto, cioè come « esterna e moralmente imputabile violazione di una legge o precetto, alla quale sia annessa una sanzione penale » (can. 2195, § 1). Dopo aver dato la definizione di scismatico da noi riportata sopra (can. 1325, § 2), il Codice di Diritto Canonico enumera lo scisma tra i delitti (can. 2314, § 1,1°). Perché uno sia reo di vero e proprio delitto di scisma si richiede:
a) una manifestazione esterna, non necessariamente pubblica, ma basta solo occulta, purché abbia il carattere di un rifiuto che possa essere contestato;
b) un atto moralmente imputabile. Pertanto è necessaria la piena conoscenza e la perfetta libertà della volontà. Ogni diminuzione della conoscenza o della libertà, poiché toglie l’imputabilità morale, toglie anche l’essenza del delitto. Non basta, quindi, la colpa meramente giuridica, ma si richiede una colpa morale grave. – Praticamente, quanto alla conoscenza, il soggetto deve sapere che la Chiesa romana è la sola vera Chiesa di Cristo e che il Sommo Pontefice è il suo capo visibile a lei assegnato per diritto divino. – Quanto alla libertà della volontà, il soggetto deve spontaneamente e pertinacemente staccarsi dalla comunione ecclesiastica col rifiuto di essa o col rifiuto di sottomettersi alla autorità della Chiesa. Basta, però, questo rifiuto pertinace, anche se egli non ha dato il proprio nome ad alcuna setta scismatica o non ne ha fondata una sua. Colui che ha già dato il nome a una setta scismatica in buona fede, commette il delitto di scisma al momento che, venuto in qualsiasi modo a conoscenza che quella setta non fa parte della vera Chiesa di Cristo, si ostina tuttavia a rimanervi. Segue chiaramente da ciò che a tutti i cosiddetti « scismatici materiali » mancano i requisiti perché si parli d’un loro delitto di scisma, a norma del Codice di Diritto Canonico. Pertanto essi non sono colpiti da alcuna pena. Perché, infatti, siano applicate le pene sancite per il delitto di scisma, si richiede, oltre la piena avvertenza e la libertà dell’atto, anche il disprezzo della legge, la contumacia, la quale nel caso è già implicita nella sua stessa trasgressione pertinace (can. 2242, § 1, 1° e § 2).
2. Pene ecclesiastiche sancite per lo scisma.
– Sono le stesse sancite per l’eresia. La pena principale è la scomunica riservata speciali modo alla Sede Apostolica (can. 2314, § 1, 1° e § 2). Dopo un avvertimento infruttuoso, lo scismatico deve essere privato dei benefici, dignità, pensioni, uffici o privilegi che eventualmente aveva nella Chiesa; deve anche essere dichiarato infamis; e, se chierico, dopo una nuova ammonizione infruttuosa, deve essere deposto (ivi, § 1, 2°). L’infamia giuridica, che si incorre, come in questo caso, dopo la sentenza del giudice, o ipso facto, come nel caso successivo, comporta l’irregolarità riguardo al ricevimento degli ordini sacri o per difetto o per delitto (can. 984, 5° e 985, 1°), l’inabilità a ottenere ed esercitare ogni ufficio o beneficio o dignità, e la proibizione di esercitare il ministero ecclesiastico nelle sacre funzioni (can. 2294). Se lo scomunicato ha dato pubblicamente il nome a una setta eretica è ipso facto infamis, e, se è chierico, dopo una nuova ammonizione infruttuosa, deve essere degradato (can. 2314. § 1., 3°). – ‘Lo scismatico, inoltre, non può essere padrino nel Battesimo e nella Cresima di Cattolici (can. 765, 2° e can. 795, 2°). – Non si può trasmettere validamente a uno scismatico il diritto di patronato (can. 1453, § 1); se gli viene trasmessa la proprietà della cosa cui è annesso il diritto di patronato, il diritto di patronato relativo resta sospeso (ivi, § 3). Lo scismatico incorre nella irregolarità ex delicto quanto al ricevimento degli ordini sacri (can. 985, 1°). È privato della sepoltura ecclesiastica (can. 1240, § 1, 1°) e gli si debbono rifiutare sia la Messa funebre, anche anniversaria, sia tutti gli uffici funebri (can. 1241). Però, le Messe private, se è tolta ogni occasione di scandalo, possono essere applicate per lui.
3. Scisma come stato o scisma materiale.
– Dicevamo sopra che questo concetto non è ignoto al Diritto Canonico. Il can. 731, § 2 dice: «È proibito amministrare i sacramenti della Chiesa agli eretici o scismatici, anche se errano in buona fede, ed anche se li chiedono se prima, rigettati i loro errori, non si siano riconciliati con la Chiesa ». Questo canone contiene due proibizioni di natura assai differente. La prima vieta l’amministrazione dei Sacramenti ai veri eretici e ai veri scismatici, a quelli cioè macchiatisi del relativo delitto. È una proibizione di natura penale: una conseguenza della scomunica. Tutti i veri eretici e i veri scismatici sono allontanati dai Sacramenti (can. 2260, § 1), perché tutti costoro sono scomunicati (can. 2314, § 1). – L’altra proibizione, invece, non è affatto di natura penale, ma nasce da un ostacolo naturale (can. 87). Trattandosi di soggetti che non hanno commesso il delitto, non li si può colpire con alcuna pena. Tuttavia una norma di sana prudenza vieta che l’errore, anche se non imputabile, e la verità possano venire confusi insieme. – La duplice considerazione di scisma come delitto e scisma come stato è implicita in altri canoni che vietano la communicatio in sacris (can. 1258 e can. 2316). – La proibizione dell’amministrazione dei sacramenti anche agli scismatici « materiali » (can. 731, § 2) è senza dubbio grave, ma deve essere benignamente interpretata in caso di estrema necessità e anche in alcuni casi di particolare gravità in cui la legge divina della carità richiede di prevalere sulla legislazione positiva ecclesiastica. Se altri beni della Chiesa, ad esempio le benedizioni, possono essere date agli acattolici in genere per ottenere loro la luce della fede e con essa, in certi casi, anche la sanità corporale (can. 1149), non c’è motivo di dubitare che anche i Sacramenti possono essere amministrati agli « scismatici materiali » per assicurare o facilitare la loro salvezza eterna. – In pratica, è certo che a uno « scismatico materiale » moribondo e privo di sensi si possono conferire i Sacramenti, sotto condizione; se, invece, egli è ancora in sensi, il decreto del Sant’Officio del 15 nov. 1941 (cfr. Monitor Eccl. 1942, p. 117) richiede che nel modo migliore, secondo le circostanze, rigetti almeno implicitamente gli errori e faccia professione di fede; tuttavia di fronte al timore che la sua buona fede possa venire profondamente turbata, si può procedere ugualmente al conferimento dei Sacramenti, sempre che egli stesso li abbia chiesti. – E severamente proibita ai Cattolici qualunque partecipazione attiva in sacris con gli scismatici (can. 1258). Le pene sancite contro i Cattolici trasgressori sono gravissime: essi sono sospetti di eresia (can. 2316), anzi se entro sei mesi non si sono ravveduti vanno considerati eretici e sottomessi alle stesse pene di costoro (can. 2315), compresa la scomunica (can. 2314, § 1).