LE PIAGHE DELLA COMUNITA’ CRISTIANA: LE ERESIE (3)

LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA

Capitolo I

Le ERESIE,

ferite alla unità della fede (3)

[“Somma del Cristianesimo”, a cura di R. Spiazzi, vol. II Ed. Paoline, Roma, 1958]

Art. 3. – LE ERESIE MEDIOEVALI.

Caratteri generali.

La spiritualità medioevale, nelle sue forme monastiche, numerose e incessanti, e nelle sue espressioni popolari, vastissime, ha mantenuto operose nella Chiesa, inserita nelle strutture temporali e impegnata nei compiti civili della « respublica Christiana », la pratica delle virtù evangeliche, l’imitazione di Gesù Cristo, l’amore ai misteri della sua vita terrena, lo slancio verso la contemplazione, la ricerca e il gusto dell’alta unione con Dio. – Questa ricchezza di espressioni ascetiche e d’esperienze mistiche, tramite l’umanità di Gesù Cristo, ha configurato anche quella varietà di movimenti eterodossi dell’Occidente latino che, dal mille al cinquecento, sono qualificati come eresie medioevali. Esse sorgono come espressione del sentimento religioso che anima la società cristiana e sono volte non all’indagine del domma, ma all’attuazione (eresie pratiche) di un sistema di giustificazione e di salvezza, degli individui e del mondo, in contrasto con quella dipendente dall’autorità della Gerarchia ecclesiastica e dall’Ordine sacerdotale. Questo intento e la sua realizzazione concreta contribuiscono al successo dei moti ereticali, a cui aderiscono gruppi e adepti di ogni classe sociale (eresie popolari); l’elemento democratico (eresie laiche) più che dalla condizione, molto varia, degli eresiarchi e dei loro seguaci, è rappresentato dalla rivendicazione, da parte degli elementi laici, d’una religiosità non soggetta alla disciplina della Chiesa e dei poteri di magistero e di santificazione propri del Sacerdozio. Nella nuova economia religiosa, che essi propugnano, l’elemento propriamente ereticale, che s’aggiunge alle insurrezioni disciplinari, si manifesta nelle molteplici negazioni di carattere dottrinale, a giustificazione del rifiuto dell’ordinamento vigente del Cristianesimo e nella concezione e sistemazione unilaterale della Religione cristiana sia in uno o l’altro dei suoi elementi e fattori ascetici (eresie evangeliche) sia in una particolare interpretazione teologica e mistica (eresie dottrinarie). Questa unilateralità pragmatica ha tenuto le eresie medioevali ai margini della speculazione cristiana e filosofica, ne ha limitato il significato e il valore ed è stata la causa interna della loro dissoluzione.

Riforma ed eresie nel secolo X.

– Nel secolo X, in cui la feudalizzazione della Gerarchia ecclesiastica provocò l’abuso della investitura laica dei vescovadi, dei canonicati, delle abbazie, delle parrocchie e di altre dignità ecclesiastiche, e nel quale l’aristocrazia romana e gli imperatori germanici misero le mani sull’elezione papale, con .la conseguente designazione di persone indegne o inadatte, e il dilagare della simonia e del concubinato o del matrimonio illegale degli ecclesiastici, agisce soltanto la reazione riformativa che scaturisce dagli stessi ambienti inquinati. Nessun movimento ereticale compare accanto alla potente organizzazione monastica di Cluny (910), che svincola l’istituto benedettino dalla giurisdizione sia laica sia episcopale; con essa s’accompagna quella meno vasta dei centri riformatori lorenesi di Brogne (914) e di Gorzia (933), mentre nell’Italia meridionale influisce l’esperienza eremitica di San Nilo di Rossano (+ 1004). L’unico episodio ereticale di Vilgardo, in quel di Ravenna, nella seconda metà del secolo, ha carattere letterario, che lo isola nella tipologia degli eretici. Questo insegnante di grammatica si inorgoglì talmente della sua cultura classica da ritenere come oracoli gli autori pagani e da disprezzare le comuni nozioni religiose e la dottrina teologica; propugnò idee contrarie alla Fede Cattolica; può darsi sia arrivato al politeismo e alla morale dei pagani. È significativo il fatto che questo caso di eresia, rimasto senza imitazioni nel medioevo, sia provocato da un umanesimo vissuto in un’epoca che, per solito, è calunniata come decadente anche culturalmente.

Le origini del dualismo (secolo XI).

– Le prime comparse di gruppi ereticali e del loro proselitismo in Italia, Francia e Germania sono segnalate nella prima metà del secolo XI. Sono indiziati genericamente come manichei, in quanto i contemporanei riscontravano nei loro errori alcuni tratti, come la condanna del matrimonio, della manducazione delle carni e dei cibi provenienti dalla generazione, che erano tramandati dalla polemica di Sant’Agostino contro il manicheismo. Si tratta, in effetto, di manifestazioni pre-catare, del primo annunzio, cioè, nei paesi latini di quel catarismo, che dal secolo XII costituisce l’eresia più eminente, più organica e più pericolosa del medioevo. La sua concezione dualistica del principio creatore, del cosmo e dell’uomo si svolse piuttosto all’infuori dell’ortodossia cristiana e tentò di sostituire, con una nuova religione, il Cristianesimo latino, di cui però, valorizzò lo slancio ascetico. Il catarismo è legato idealmente alla tradizione dualistica orientale e balcanica, che è rappresentata nell’antichità dallo gnosticismo, dal marcionismo, dal manicheismo; quest’ultimo sincretismo dualistico, che si diffuse come organismo religioso, rimase vivo alla cultura medioevale, la quale qualificò di manicheo ogni ulteriore fenomeno dualistico, catarismo compreso (neo-manicheismo). – Nei Balcani non mancarono le infiltrazioni di dualismo ascetico del messalianismo siriaco; in Bulgaria si diffuse nel secolo IX la propaganda dei pauliciani armeni e dell’Asia Minore.Il bogomilismo, che fu predicato in Bulgaria, circa il 927, dal pope Bogomilo in una prima forma dualistica mitigata (chiesa bulgara) e che si sviluppò durante il secolo XI nel mondo bizantino in una speculazione dualistica assoluta (chiesa o ordine di Dragowitza) e si frazionò circa il 1200 in una terza confessione in Bosnia (chiesa o ordine di Slavonia), oscillante tra il primitivo dualismo mitigato e quello radicale, si rivelò come il movimento eretico più importante dei Balcani, dal quale dipese anche il catarismo occidentale latino. Il nucleo dottrinale del bogomilismo è costituito dalla teoria che presenta satana come creatura ribelle a Dio (principio buono) e come padrone del mondo, creatore del corpo umano; in esso ha imprigionato le anime, da lui fatte prevaricare dal cielo; il demonio è causa di tutti i mali di questa terra e della società. Gli spiriti, che mediante le nascite, si susseguono da corpo a corpo e da spirito a spirito (traducianismo), vengono a conoscenza di questa loro origine celeste ed allora iniziano la propria redenzione con la fuga dal mondo malvagio, dalle sue istituzioni politiche, come pure dalle forme religiose della Chiesa bizantina, gerarchica, sacramentale, cultuale; i bogomili, in apparato penitenziale, si rifugiano nella preghiera, nella pratica del digiuno, della mendicità, del proselitismo vagante all’apostolica; si astengono dai cibi animali e dai latticini, perché provenienti dalla generazione, condannano il matrimonio che, con la generazione dei corpi, procura a satana la schiavitù di nuovi spiriti.Gesù Cristo ebbe corpo e attività umana apparente; i bogomili rigettano il culto della croce perché la crocifissione rappresentò il trionfo di satana; la redenzione si compì nel richiamo degli spiriti al regno del Dio buono, da cui decaddero. Il rito della imposizione delle mani da parte dei maggiorenti costituisce il loro battesimo spirituale, che conferisce lo spirito di salvezza.Questa nuova religiosità era di carattere esoterico e iniziatico; i suoi primi araldi nel mondo occidentale tennero segreta la teorica dualistica e misero in risalto il programma ascetico, che si intonava con l’atmosfera evangelica in cui prendevano vigore gli istituti della Chiesa. Durante il secolo XI l’invasione della riforma cluniacense in tutti i paesi europei provocava il fiorire di altre congregazioni benedettine che ad essa si ispirano; la fuga dal mondo in un regime di penitenza s’incrementava coll’eremitismo dell’Ordine camaldolese (1012) e con quello di Fonte Avellana (1043); i nuovi Ordini di Vallombrosa (1035-1036), Chaise-Dieu (1046-1052), Grande Selve (1079), dei «Boni homines » di Granmont (1077), Grande-Chartreuse (1084), superano il monachismo tradizionale con una povertà più rigida, con l’isolamento dalla feudalità temporale, con il lavoro manuale; la riforma del clero, secolare e collegiale, moltiplicava i centri dei canonici regolari, che s’ispirano alla vita comune e apostolica della Chiesa primitiva, e danno nuovo incremento al culto divino, alla cura spirituale e all’assistenza sociale. L’opposizione alla simonia e al concubinato del clero feudale determinò il passaggio dalla riforma morale alla lotta contro l’investitura laica, e chiamò il popolo alla resistenza passiva ai sacerdoti degeneri, la quale nei moti patarinici passa a collaborare attivamente con l’azione della S. Sede e soprattutto con i propugnatori della riforma gregoriana. Nel settore ereticale, il cenacolo, scoperto a Orléans nel 1022, di una dozzina di chierici e canonici eminenti, e in maniera più manifesta la comunità di eretici laici, con elementi nobili, costituitasi nel castello di Monforte d’Asti, catturata nel 1028, professano una dottrina illuministica e praticano un programma ascetico, la cui ispirazione si ricollega facilmente con un dualismo mitigato; il gruppo vagante, di popolani, che fu confutato nel sinodo di Arras, 1025, proclama invece che il proprio rito di santificazione e la professione di vita evangelica e apostolica eliminano ogni atto sacramentale e cultuale della Chiesa gerarchica. I contorni dottrinali di altri episodi ereticali a Chalons sur Marne, c. 1045, e di Goslar, 1051, sfumano nella reticenza degli indiziati.

Sviluppo del catarismo (secoli XII-XIII).

– I catari (= puri) si ripresentano sulla scena della professione apostolica, del Cristianesimo povero, casto, penitente, nella prima metà del secolo XII; i sospetti e gli allarmi dei rappresentanti dell’ortodossia squarciano a stento questo velo con cui coprono la dottrina e l’organizzazione delle loro comunità in Aquitania, a Mont-Aimé in Sciampagna, dove si insidia, verso il 1144, il primo vescovo cataro della Francia Settentrionale; da cui si diffonde nel 1174 la nuova religione in Italia settentrionale e meridionale; un secondo episcopato si costituisce nel Mezzogiorno francese, vicino ad Albi, da dove derivò la denominazione di albigesi, attribuita impropriamente a tutto il movimento cataro; gli eretici della regione di Colonia, già attivi nel 1143-1145, trovano nell’abate Ecberto di Schònau, 1163, il polemista personalmente informato, che denuncia la loro dottrina del diavolo come ordinatore dell’universo, fattore del corpo umano e del matrimonio, e che volgarizza il termine di catari, già comparso, però, un secolo prima, nelle recriminazioni di Landolfo il Seniore contro i patarini milanesi. I rapporti con il bogomilismo bulgaro-greco si intensificarono mediante gli scambi commerciali tra Oriente e Occidente, i pellegrinaggi in Terra Santa, il regno latino di Gerusalemme (1099), i reduci dalla sfortunata seconda crociata (1147-1148). Nel 1167 Niceta, vescovo dei bogomili radicali di Costantinopoli, radunò i vescovi catari dell’Italia e della Francia, con numerosi « perfetti », in un concilio di Saint-Felix de Caraman, presso Tolosa, in cui riconsacrò questi rappresentanti del primitivo dualismo mitigato, di carattere pratico, nella nuova fede del dualismo assoluto di tipo dommatico. Il catarismo s’opponeva ormai palesemente al domma cristiano con una teologia, miti, gerarchia, organizzazione, culto propri; le comunità catare sono disseminate nelle movimentate città e borgate d’Italia, dal Settentrione alla Calabria, nelle regioni della Francia meridionale hanno sede i vescovi delle principali diocesi catare di Albi, Carcassona e Tolosa, il cui conte Raimondo V costatava allarmato, nel 1177, che il suo territorio pullulava di perfetti e simpatizzanti; la prima propaganda franco-renana si moltiplica nella Sciampagna, in Borgogna, nelle Fiandre e si diffonde lungo le grandi arterie di comunicazione commerciale e di pellegrinaggio sul Reno e sul Danubio, nelle antiche città episcopali tra Colonia e Vienna. – Questo successo di proselitismo svigorì lo slancio ascetico e spezzò l’unità nelle controversie dottrinali e personali. Dalla Bulgaria verso il 1180 vennero bogomili ad oppugnare la predicazione radicale di Niceta. In Italia si formarono sei gruppi regionali o diocesi con propri vescovi, che seguivano tre professioni di fede dualistica, attinta a tre differenti centri dommatici e giurisdizionali, fiorenti nei Balcani. Il primitivo dualismo mitigato dei bogomili bulgari fu ritenuto dalla chiesa di Concorezzo (Milano), i cui diaconi e fedeli erano numerosi in Lombardia; il loro vescovo, Garatto, si fece riconsacrare dal capo della chiesa di Bulgaria, nonostante fosse stato colto in peccato con una donna catara; alla esigenza della vita pura si sostituiva il valore predominante della vera credenza e della legittima ordinazione. I concorezzesi ritenevano Lucifero, decaduto dal cielo per il peccato con gli angeli complici, come l’artefice del mondo creato e del corpo umano, in cui rinchiuse un angelo da lui sedotto, al quale insegnò l’atto generativo con Eva; dalla prima coppia derivarono, per traducianismo, le anime umane, che si salveranno o si danneranno a seconda che avranno praticato la penitenza catara. Si frazionarono sulla natura dell’anima di Gesù Cristo e sulla realtà del suo corpo e delle sue azioni materiali; furono parimenti fluttuanti, successivamente, su altri punti dottrinali e miti come l’origine delle anime. – Dall’ordine dei dualisti assoluti, la chiesa bulgaro-greca di Dragowitza, in Tracia, dipendeva la corrente radicale degli albanesi, così denominati da un loro primo vescovo Albano, con sede centrale a Desenzano sul lago di Garda, e con diaconi e seguaci a Verona, in molte città lombarde, e nelle circoscrizioni catare della Marca Trevisana, Toscana, Valle Spoletana. Ritenevano la coesistenza dei due principi: il Dio buono con il suo regno celeste di spiriti buoni, e il dio perverso con il suo mondo terrestre di spiriti maligni, di animali e di corpi. Gli angeli sedotti da Lucifero, figlio del dio malo, furono incarcerati nei corpi umani e animali, nei quali trasmigrano successivamente fino a ricongiungersi coi propri corpi e spiriti lasciati in cielo. Cristo, figlio del Dio buono, venuto a richiamare queste anime, ebbe corpo apparente. Ulteriori sviluppi fecero coesistenti ai due principi i quattro elementi, rispettivamente di ordine spirituale e materiale; il parallelismo tra i due mondi indusse a far compiere in quello celeste al figlio del dio cattivo le stesse azioni che Gesù Cristo svolse in questo terreno. Tutte le anime, sia quelle celesti incarcerate sulla terra, sia quelle terrene incarcerate nel cielo, ritorneranno rispettivamente nel proprio mondo; ma la lotta tra i due regni, che personificano il bene e il male, ricomincerà sempre, fatalmente. Tra queste due frazioni opposte e rivali fluttuava la comunità dei bagnolesi, con sede gerarchica più probabilmente a Bagnolo di San Vito (Mantova), che riceveva l’ordine dalla chiesa di Bosnia. Insegnavano un dualismo mitigato; gli angeli caddero per malizia, e sono i diavoli, che non si salveranno, parte per seduzione, e questi ritorneranno al cielo; di questi sono Adamo ed Eva, da cui procedono però altre anime per traducianismo, a complemento del numero degli angeli decaduti e non redimibili. Seguivano il docetismo dei concorrezzesi; tuttavia il loro eclettismo facilitava le variazioni dottrinali. Avevano seguaci in Lombardia e nelle Romagne; la loro posizione dommatica era seguita, pur senza stabilità, dalla chiesa di Verona o della Marca Trevisana, dipendente dalla chiesa bosniaca. La Chiesa della Toscana evolvette dal dualismo assoluto alle posizioni bagnolesi per ritornare a quelle degli albanesi. Anche la sesta circoscrizione italiana della Valle Spoletana, ossia della Toscana papale e delle città del patrimonio di S. Pietro, pare condividesse la fede dei confinanti toscani. I Catari della Francia regia, d’antica professione mitigata, cacciati dalle reazioni dei re e dell’episcopato, si rifugiarono in Lombardia e in quel di Verona, e aderirono al credo dei bagnolesi; i catari, invece, della Francia meridionale professarono il vecchio dualismo radicale e trovarono potenti alleati nei signori feudali e nel conte Raimondo vi di Tolosa. La crociata armata contro gli albigesi (1209-1229), che .fu sollecitata da Innocenzo III dopo il fallimento delle missioni apostoliche e di quelle di San Domenico per salvare l’ortodossia e la stessa civiltà cristiana, e che finì con l’annessione della contea di Tolosa alla corona del regno, diede molta notorietà al catarismo albigese; i suoi capi e gregari, emigrati in Lombardia e nelle Puglie, riportarono in patria nella seconda metà del secolo le credenze del dualismo mitigato, che furono professate accanto a quelle radicali nella fase decadente del catarismo francese.

Fine del catarismo.

L’inquisitore domenicano R. Sacconi, a mezzo secolo XIII, riferisce che i censimenti, tentati più volte dai catari stessi, davano un totale di circa 4.000 d’ambo i sessi, per le 16 chiese o circoscrizioni bogomilico-catare costituite nei Balcani e nell’Occidente latino. I vescovi delle singole diocesi erano assistiti da un « figlio maggiore » e da un « figlio minore »; i tentativi di darsi un papa cataro, da contrapporre al Sommo Pontefice della Chiesa cattolica, non ebbero esito durevole e autorevole, per la mancanza di unità intrinseca del movimento. Esso si era andato provvedendo di dottori o maestri, provenienti anche dalle università, che dirigevano le scuole proprie della setta; gli altri, i «perfetti», funzionavano da gerarchi, si davano al proselitismo, assistevano i gruppi dei semplici « credenti » e simpatizzanti, il cui numero imprecisato è da aggiungere al computo suddetto della classe dirigente. Il rito fondamentale del « consolamentum » con il quale i candidati, dopo una conveniente preparazione e prova, venivano ammessi tra i « perfetti », con l’impegno di vivere la vita pura e penitente del primitivo catarismo, veniva conferito in extremis al credente per assicurargli la salvezza; per impedire un suo ritorno alla vita peccaminosa oppure per esprimere l’odio cataro all’esistenza corporea non era infrequente l’uso della morte violenta, sia mediante l’endura, suicidio per inedia o fame, scelto o imposto all’ammalato grave, sia mediante la forma più cruda del martyrium o tormentum, inflitto per mano altrui con la soffocazione del paziente, o in altro modo. Il semplice credente si obbligava alla recezione di questo sacramento cataro di salvezza mediante un patto detto « convenentia »; durante la vita non era tenuto a osservare la severa morale dualistica, ma solo a rendere onore e prestare aiuto ai perfetti, ricevendone la benedizione (= melioramentum), e a prender parte alla benedizione del pane, alla confessione generica dei peccati (= servitium o apparellamentum). L’affievolirsi dell’ideale della vita pura diffuse la confessione dei peccati gravi da parte dei perfetti, che venivano riconsolati dopo determinate penitenze. – Con il frazionamento dottrinale della fine del secolo XII e con l’aumentare dei semplici partecipanti ad una religione che non impegnava la loro condotta, il catarismo patteggiò con gli interessi mondani e non sdegnò di intensificare i rapporti con quella vita terrena, dal cui disprezzo era invece partito. Ad esso aderirono non solo gli entusiasti della predicazione evangelica, ma anche gli interessati che vi trovavano una salvezza facile ad essere ottenuta e un ideale che si poteva ammirare senza praticare e che non s’opponeva alla realtà del peccato e delle cupidigie umane. I suoi seguaci appartenevano ad ogni classe sociale, sia nobile sia contadina; ma andò aumentando il contingente del ceto medio dei possidenti, artigiani, mercanti e banchieri. Non solo i catari accettarono denaro, ma ammisero anche il prestito ad interesse e l’usura, che erano deprecati dalla coscienza contemporanea; si diedero al commercio del denaro e dei terreni; i perfetti vissero di beni loro offerti. La classe feudale, soprattutto la nobiltà decaduta della Francia meridionale, considerò la predicazione catara contro le temporalità della Chiesa cattolica come un efficace alleato della loro brama dei ricchi patrimoni ecclesiastici e monastici. – Dopo l’annessione della contea di Tolosa al regno di Francia (1229), i catari albigesi persero l’appoggio delle autorità locali, perché alle medesime non portavano più il giovamento popolare della loro avversione alle gerarchie ecclesiastiche e ai cristianissimi re di Francia. Anche nei movimenti comunali potevano entrare in combutta con le insurrezioni contro i privilegi feudali del clero; ma finirono nell’isolamento, quando le comunità cittadine organizzarono la loro, tutt’altro che pacifica, autonomia. Del resto la dottrina catara era avversa ai poteri statali, soprattutto all’esercizio dello « jus gladii », come espressione dell’impero del maligno; ogni compromesso pratico significava soltanto una svalutazione della loro dottrina e forza spirituale, mentre l’avversione al mondo, in cui si erano contraddittoriamente insediati, li indiziava come nemici e sovvertitori della società medioevale e della repubblica cristiana. – La legislazione ecclesiastica ed imperiale, come pure quella delle città, li colpì come eretici eminenti; l’inquisizione monastico-papale divenne intensa durante la seconda metà del secolo XIII; le comunità furono disperse, aumentando il loro frazionamento dottrinale. Gli albigesi, ritornati in patria dall’esilio verso la fine del secolo, riaccesero debolmente gli ultimi guizzi, che furono spenti definitivamente con l’ultimo cataro bruciato a Carcassona nel 1330. Intorno al 1300 finisce la notorietà del catarismo nell’Italia settentrionale; i suoi epigoni si perdono in Sicilia e nelle valli piemontesi, in sincretismo con altre sette, particolarmente valdesi; qui tuttavia si mantennero in contatto con i bogomili della Bosnia. – L’eresia dualistica fallì nel suo pretenzioso tentativo di assorbire nel dualismo orientale il Cristianesimo latino, per la povertà del suo contenuto teologico e filosofico e la fantasiosità dei suoi miti; essa rimase in arretrata inferiorità di fronte al completo sviluppo del pensiero scolastico nella considerazione dei problemi dell’umano e del divino, della scienza e della fede, dei rapporti tra Dio l’anima in una sintesi religiosa di umanesimo e di misticismo. Anche nel settore ascetico, che aveva offerto al dualismo antropologico ed etico della propaganda bogomilica e catara il mordente necessario per suggestionare l’anima medioevale, si trovò non solo soverchiato dal fiorire evangelico ed apostolico degli ordini mendicanti, soprattutto dei francescani e domenicani, che ripresero, dagli inizi del secolo XIII, l’esperienza ascetica degli istituti monastici precedenti con il dinamismo popolare e culturale del duecento, ma fu anche contestato dalla concorrenza contemporanea, già nella seconda metà del secolo XII, di altre sette e movimenti ereticali, che predicavano la salvezza mediante un particolare regime di opere ascetiche, oppure con la sola predestinazione, e che eliminavano il problema del dualismo con l’assorbimento dell’umano nel divino.

Insurrezioni antiecclesiastiche (secolo XII).

– Dall’inizio del secolo XII, nell’atmosfera della riforma gregoriana e dell’attivismo riformatore dei predicatori ambulanti, come San Roberto d’Arbrissel (+ 1117), San Vitale di Savigny (+ 1112), San Bernardo di Tiron ( + 1117), San Gaucherio d’Aureil (+ 1140), San Gilberto di Sempringham (+ 1189) e soprattutto San Norberto di Xanten (+ 1134), fondatore dei premonstratesi, si agitano anche eresiarchi che sommuovono il popolo contro la gerarchia ecclesiastica, i suoi poteri sacramentali e riti, appellando all’una o all’altra virtù come fattore o elemento di giustificazione e di salvezza. – Dall’opposizione al clero feudale, fautore del concubinato e dello pseudomatrimonio del clero, partì l’opposizione anche armata della truppa con una gilda apostolica di Tanchelmo (+ c. 1114) nelle regioni di Utrech, Zelandia, Anversa; la negazione delle forme religiose vigenti finì nella deificazione dello stesso eresiarca; i suoi seguaci furono dispersi dalla predicazione dei premostratesi. – Il sacerdote fedifrago Pietro di Bruis (1132-1135) condusse una campagna violenta nel Delfinato e nella Linguadoca contro la castità ecclesiastica e monastica, costringendo preti e monaci a sposarsi; questa difformità sia dalla lotta dei riformisti per l’integrazione del celibato ecclesiastico, sia dalla stessa critica degli eretici alle infrazioni morali del clero, combinava con l’eccentricità personale del laicismo religioso dei pietrobrusiani, che esigeva il battesimo insieme con una fede cosciente per la salvezza e destinava alla perdizione sia gli adulti non battezzati come i neonati inconsapevolmente battezzati, e che ripudiava il culto della croce, l’Eucarestia, le preghiere per i defunti, le chiese materiali, l’arte sacra, il canto liturgico. L’ex-monaco Enrico (+ dopo i l 1145) invece, che ne continuò l’agitazione nella Linguadoca, dopo aver turbato Le Mans, il Poitou e l’Aquitania, negò la necessità stessa del Battesimo per tutti, perché non ammetteva la imputabilità ai singoli del peccato originale, ritenendolo personale dei primogenitori; imitò l’apparato degli eremiti e dei predicatori di penitenza, diresse i suoi strali contro lo stesso ordine sacerdotale, contestandone i poteri, perché li dichiarava inesistenti a causa dei beni e dei privilegi della Chiesa e dei chierici, del lusso dei prelati, e trasferendoli ai laici, i quali, agendo per virtù dello Spirito Santo, possono consacrare il pane e il vino per le strade e le piazze, ricevere la confessione dei peccati, unirsi in matrimonio senza vincoli di legge e di riti. Enrico accasò le meretrici di Le Mans con i suoi discepoli, provvedendo a questi focolari, risultati assai presto instabili, con le risorse della cassa della sua comunità pellegrinante. La missione capitanata da San Bernardo di Clairvaux, nel 1145, sembrò chiudersi con la vittoria dell’ortodossia nella regione di Tolosa; ma lo sconvolgimento portato dalle rivolte’ di Pietro di Bruis e di Enrico aveva preparato il terreno al prorompere del catarismo albigese. – Elementi spirituali e sociali eterogenei infierirono confusamente nelle folla di servi della gleba in Bretagna che il fanatico Eon della Stella (1148). attribuendosi poteri di giudice divino, sistemò nei quadri d’una qualificazione angelica e d’una gerarchia apostolica e vescovile, con poteri sacerdotali; lanciò però questi diseredati alla conquista violenta dei beni terreni dei signori feudali, dei vescovadi e dei monasteri.

Deviazione arnaldista, valdese e umiliata dell’evangelismo (secoli XII-XV).

– Più netta e vigorosa la posizione estremista del pauperismo evangelico di Arnaldo da Brescia (+ 1155), che negò al Papato, come pure a tutti i chierici e monaci, lo stesso diritto di possedere, facendo di questa povertà assoluta non solo un postulato ascetico di fatto, ma una condizione giuridica di validità dei loro poteri giurisdizionali e delle loro funzioni sacerdotali, anzi teologicamente, una dottrina di salvezza. Sul terreno politico avversò con la facondia e l’irruenza del tribuno popolare il potere temporale della feudalità ecclesiastica e in modo particolare del Papato, entrando nel gioco delle fazioni comunali a Brescia e con maggiore clamore in quello della repubblica romana del 1144; questa azione politico-religiosa lo coinvolse fatalmente nelle vicende dei rapporti della stessa con l’imperatore Federico Barbarossa, e lo portò alla impiccagione e alla cremazione della salma per opera del prefetto Pietro. – Gli arnaldisti aggravarono, sotto l’insegna della povertà, l’avversione all’autorità sacerdotale, rivendicandone i compiti ai laici di condotta evangelica insieme con il diritto della libera predicazione. – Questa episodica ereticale, nei quadri della religiosità del secolo XII, rappresentò l’eccesso polemico e libertario di quell’evangelismo e di quella conformazione alla vita apostolica e all’intensità interiore della Chiesa primitiva che continuava a fermentare negli istituti monastici e canonicali, anche come polemica interna per una rivendicazione di maggior conformità ai suddetti ideali, e che traboccava in quelle associazioni di laici da essi dipendenti e assistiti. Mentre il mondo feudale era preso dalle contese di supremazia e d’indipendenza tra Papato, Federico Barbarossa e Comuni, proprio nelle regioni in cui il catarismo erompeva nella sua fase più alta, la borghesia della Francia meridionale e della Lombardia induceva due diverse professioni di evangelismo. – Il ricco borghese di Lione, Valdo, seguì tra il 1173-1178, con intensità generosa, la forma tradizionale della rinuncia ai beni, alla famiglia, per la pratica della povertà assoluta con una vita pellegrinante e mendica, sull’esempio degli Apostoli; i suoi poveri di Lione non solo predicavano al popolo questo ideale, ma difendevano l’ortodossia cattolica contro i catari e distinguevano nei Sacerdoti incriminati la condotta personale riprovevole dai loro poteri di santificazione e dall’autorità di magistero; inoltre non condannavano coloro che rimanevano nel mondo e usavano dei loro beni. Nel III concilio lateranense, del 1179, Alessandro III si mostrò benevolo verso Valdo e seguaci, ma ordinò che la loro predicazione fosse autorizzata e dipendente dall’autorità vescovile. Il cardinale Enrico, nella missione del 1181 contro gli eretici, ricevette nella cattedrale di Lione la professione di fede di Valdo. Ma l’opposizione dell’arcivescovo di Lione, Giovanni Bellesmains, che non sopportò la predicazione valdese nella città, avviò il movimento nello scisma. Nelle città lombarde, soprattutto a Milano, si opponevano agli eretici, particolarmente ai catari, con una polemica popolare e in modo più efficace con l’emulazione di una virtù ortodossa, quei mercanti e artigiani che si erano uniti nell’associazione laicale, detta degli umiliati, perché, d’apparato dimesso nelle vesti grezze, erano alieni dall’orgoglio delle classi borghesi, dalle contestazioni giudiziarie e dalle frodi dei mercanti; rimanevano nelle loro case e famiglie e si prestavano assistenza nel lavoro contro i soprusi del capitalismo nascente. Questo programma d’umiltà evangelica, ma familiare, lavorativo e industriale, li distingue dai valdesi, alla cui predicazione in Lombardia erano di poco anteriori. Alessandro III condizionò la sua approvazione con il divieto di celarsi in adunanze segrete e di predicare al popolo; con questa tattica, infatti, si era diffusa l’eresia catara, la cui virulenza causava questa severa sorveglianza dell’attività polemica e riformatrice d’iniziativa laica. La disobbedienza provocò la condanna solenne, a Verona, 1184, da parte del papa Lucio III e dell’imperatore Federico Barbarossa, sia dei catari e di altre sette, sia di quelli che si qualificavano umiliati o poveri di Lione. Tuttavia Urbano III (1187), che conservò anche la sede arcivescovile di Milano, due anni dopo prese sotto la sua protezione la chiesa di Viboldone degli umiliati: Innocenzo III approvò, nel 1201, i tre rami, o Ordini, laicale, monastico e canonicale in cui il movimento si sistemò. Una corrente estremista s’ostinò nella ribellione, s’unì con i valdesi di Lombardia e fondò il gruppo dei Poveri Lombardi, sotto il comando di Giovanni da Ronco; per questa unità organizzativa, il lavoro, le possessioni, il vincolo familiare, essi s’opposero a Valdo (1205) e si divisero dai poveri di Lione (1218). I Lombardi, sotto l’influsso arnaldista, già dall’inizio furono più decisamente contrari alla Gerarchia e Sacerdozio cattolico, investirono i loro laici dei poteri sacramentali. Ma anche i valdesi francesi, dopo le esitazioni di Valdo, dalla negazione dell’efficacia dei sacramenti, se amministrati da sacerdoti indegni, progredirono a costituire un proprio sacerdozio e una propria gerarchia; identificarono la santità con la pratica della povertà; il voto della vita povera e del celibato introduceva l’aspirante (« novellianus ») nella classe dei « maestri » e delle «maestre», detti « sandalati », perché l’uso di sandali di legno o di cuoio era sopravvalutato come professione di povertà; si qualificavano « apostoli » anche per la rivendicazione della libera predicazione ad uomini e donne. La repressione religiose e civile durante il secolo XIII li fece confluire nelle vallate delle Alpi Cozie. particolarmente intorno alla fortezza di Pinerolo e di Torre Pellice, e aumentò il loro distacco dall’ortodossia con la negazione del culto della Vergine e dei santi, delle Messe e preghiere in suffragio delle anime purganti, delle indulgenze, della Bibbia o del Nuovo Testamento, e con inquinamenti con altre sette; condannavano inoltre ogni giuramento, il servizio militare e la pena di morte, anche se era inflitta da un tribunale regolare. I loro simpatizzanti, detti « amici », pur partecipando alla vita esterna della Chiesa cattolica, aderirono sempre più alle comunità valdesi, che nel Piemonte e nel Delfinato erano governate da maestri detti «barba» ( = zio). Nella prima metà del Cinquecento entrarono in contatto con i luterani e calvinisti; nella « comune » (= congresso generale) di Chanforans (Val d’Angrogna), 12 settembre 1532, sciolsero la loro organizzazione sacramentale e smisero il costume penitenziale in ossequio al domma protestante della fede giustificante e a quello calvinista della predestinazione assoluta.

La soluzione predestinazionista (secoli XII-XIII).

– Il principio della giustificazione interiore, in virtù della predestinazione, costituì la dottrina centrale del sistema di Ugo Speroni, un civilista della scuola bolognese, console di Piacenza; la sua opposizione alla Gerarchia ecclesiastica lo trasformò, tra il 1177-1185, in eresiarca, con fisionomia singolare e rappresentativa nel confusionismo contemporaneo di sette e fazioni in Lombardia. Espose la sua dottrina in un libro: Iddio ritiene mondi e santi, per una giustizia intrinseca, coloro che Egli ha predestinato alla salvezza; questo giudizio di Dio, attivo e permanente, non muta anche quando i predestinati si comportano esternamente da peccatori e permangono nella colpa; per aderire a questa volontà divina giustificante non sono necessarie le opere buone, sia sacramentali sia precettive e devozionali; bastano quelle disposizioni interiori di pentimento dei peccati, di fiducia in Gesù Cristo, d’amore di Dio, che la scienza divina considera come sempre esistenti in colui che è destinato alla salvezza. Per contro, il prescritto non muta il suo stato interiore di peccaminosità e di dannazione nonostante le azioni esterne di giustizia e di santità. Gli speronisti perdurarono sulla scena ereticale durante la prima metà del Duecento; la loro concezione salvifica non solo ripudiava il processo cristiano di giustificazione attiva, ma sconfessava anche tutto quell’ascetismo penitenziale, con cui gli eretici affermavano la loro superiorità sull’efficacia giurisdizionale e sacramentale della Chiesa; anche il dualismo cataro veniva svuotato della sua drammaticità con l’assoluto predominio della prescienza e volontà divine.

Fermentazione escatologica e misticismo libertario {secoli XIII- XV).

– La temperie spirituale dei secoli XIII e XIV, particolarmente quella ereticale, si alimentò dell’annunzio di una nuova età, proclamato dall’abate Gioacchino da Fiore (+ 1202). Ogni movimento ereticale si rivendica la pretesa di rinnovare la Chiesa, la religione,, la società; a questa ambiziosa missione diede ansa lo escatologismo gioachimita, che descrisse la risoluzione dell’attuale età evangelica del Figlio, della Chiesa dei chierici e dei prelati, nella terza epoca dello Spirito Santo, della libertà e dell’amore, con una effusione carismatica più abbondante e con il predominio dei monaci contemplativi. La simmetria simbolica dei suoi calcoli nella divisione trinitaria della storia del mondo faceva cadere nell’anno 1260 l’inizio della rivelazione del « vangelo eterno », cioè della interpretazione spirituale di quello scritto, e della sua attuazione. -Tra i segni di dissolvimento dell’età presente Gioacchino contava anche il progresso delle sette ereticali, in modo particolare dei catari e valdesi; la sua ortodossia pratica, in cui svolse la sua attività di riformatore dei cistercensi con la sua congregazione di San Giovanni in Fiore, era lontana da ogni intento di reazione dommatica e disciplinare. – L’elemento escatologico si attuò nel monismo mistico degli Amalriciani, comunità spirituale di scolastici chierici e di laici della Francia settentrionale, che furono condannati a Parigi nel 1220. Sull’insegnamento del maestro parigino Amalrico di Bène (c. 1206), che affermò l’identità di essenza e d’esistenza tra Dio e le creature, i suoi discepoli si considerarono gli araldi della nuova età, caratterizzata dall’incarnazione in loro dello Spirito Santo; questa conoscenza della propria divinizzazione anticipava il paradiso e li toglieva dai limiti del peccato, poiché autore d’ogni loro azione ritenevano Dio stesso. Questa economia salvifica della terza epoca avrebbe eliminato, entro quindici anni, l’organismo ecclesiastico della Chiesa cattolica. Il superamento d’ogni opposizione dualistica di tipo cataro, come pure della stessa distinzione tra Dio e l’uomo costituisce il punto di partenza di quelle degenerazioni pseudomistiche che sono comprese sotto la qualificazione generale di libero spirito e che ebbero varia manifestazione nei secoli XIII-XV; il gruppo di Ortlieb di Strasburgo (c. 1200), gli eretici della diocesi d’Augusta, che professavano gli errori denunciati da Sant’Alberto Magno circa il 1262; quei nuclei eterodossi di beghine, begardi, bizzocche, che provocarono la condanna del concilio di Vienne, 1311-1312; la setta dello Spirito di libertà diffusa nell’Umbria durante la prima metà del Trecento; gli uomini dell’intelligenza facenti capo a un certo Egidio « le chantre » di Bruxelles, tra i cui discepoli si distinse l’ex-carmelitano Guglielmo di Hildernisse, condannato dal vescovo di Cambrai, nel 1411. Con varie formulazioni questi spiritualisti convenivano nell’affermare che l’anima, stabilita in una illuminata conoscenza o contemplazione di Dio e in una assorbente unione amorosa con la sua volontà, era sciolta dai vincoli delle autorità ecclesiastiche e della legge morale, e non era più legata ai comuni mezzi, sacramentali ed ascetici, di giustificazione e di santificazione; il determinismo divino santificava ogni attività, anche sensuale, a cui l’uomo poteva abbandonarsi quietisticamente. Il celebre scrittore mistico fiammingo G. Ruysbroek denunciò le contaminazioni erotiche, che i seguaci di Edvige Blomarts ( + 1335), una spirituale molto influente sulla nobiltà del Brabante, derivarono dalla sua dottrina sull’amore divino. Il milanese A. Saramita e due monache umiliate capeggiarono a Milano il cenacolo dei Guglielmiti, così nominati perché proclamavano la incarnazione dello Spirito Santo, ad inizio pentecostale di una terza era spirituale, nella principessa Guglielma o Guglielmina, d’origine boema, morta in concetto di santità a Milano (1282) e venerata nella sua tomba presso la abbazia cistercense di Chiaravalle. Nuovi vangeli e testi liturgici, una gerarchia femminile con particolari riti, la conversione degli ebrei e maomettani, i pellegrinaggi a Chiaravalle, avrebbero qualificato la imminente chiesa dello spirito. – Una fermentazione di sensualismo spiritualizzato s’accompagnò con la pratica della povertà in quegli eretici della Savoia e Delfinato, durante la metà del Trecento, che furono indiziati con il termine oscuro di turlupini.

Pauperismo messianico {secoli XIII-XV).

– Dall’inizio del Duecento, a partire dal pontificato di Innocenzo III, che con la preminenza spirituale del Papato domina la scena politica della società cristiana, lo spirito evangelico manifestò una vigorosa ripresa con gli ordini mendicanti; essi praticano la virtù nella forma radicale, con esclusione della proprietà in comune e d’ogni possessione e bene stabile; derivano il loro sostentamento dalle offerte occasionali o mendicate, svolgono un’opera di apostolato non legato a determinati luoghi o regioni, in plurima obbedienza ai propri superiori locali, provinciali e generali, alle richieste della santa Sede. I più attivi e numerosi di queste agili milizie dell’ascetismo completo, del misticismo fervido ed equilibrato, i francescani cioè e i domenicani, si scontrarono con le sette ereticali sul terreno dell’imitazione apostolica e le soverchiarono con il vigore della dottrina. Ma gli spirituali, capeggiati in Provenza da Pietro Giovanni Olivi ( + 1298), in Umbria da Angelo Clareno (+ 1337), in Toscana da Ubertino da Casale (+ dopo il 1329), fecero della povertà più rigida l’essenza della perfezione evangelica, che esigettero l’osservanza da tutti come condizione di salvezza e come fattore di rinnovamento nella Chiesa nella terza epoca monastica del «vangelo eterno», ossia dello Spirito Santo. Dopo complicate vicende polemiche furono condannati da Giovanni XXII (1317); quelli che s’ostinarono nella ribellione, detti fraticelli, ritennero eretico il Papa, di cui contestavano i poteri, s’opposero al Sacerdozio e alla Gerarchia, s’inquinarono con altre deviazioni gioachimite e pseudomistiche. La riforma dell’Ordine francescano fu compiuta nel Quattrocento dal movimento rigoglioso dell’Osservanza. Il fanatismo pauperistico dei discepoli di Guglielmo Cornelio di Anversa, condannato dopo il 1245, arrivò a ritenere lo stato d’i povertà come supremo fattore di giustificazione dagli altri peccati e di salvezza. – Una deformazione dell’azione missionaria dei francescani fu rappresentata in modo chiassoso dagli « apostoli » e « apostolissae » del parmese Gerardo Segarelli, che predicavano la penitenza e fomentavano la devozione popolare con canti e preghiere, ma si ritenevano spiritualmente liberi da ogni vincolo di comunità, di regola, di voti, di giuramenti. Gli successe, nel 1300, fra Dolano (+ 1307) che, a questo apostolismo libertario, aggiunse l’escatologismo di una quarta età, che doveva essere instaurata dall’autorità imperiale e superare l’epoca gioachimito-spirituale degli Ordini mendicanti.

Evangelismo e predestinazionismo {secoli XIV-XV).

– Il problema della povertà di Gesù Cristo venne ripreso da G. Wyclif (+ 1384), maestro di Oxford, contro il Papato, tutto il clero e i monaci che avevano possessioni terrene e godevano di benefici, dichiarando che per questo facevano parte, come presciti, del corpo dell’anticristo; inviò (1377) i suoi « poveri preti » , detti anche « lollardi », attraverso l’Inghilterra a predicare popolarmente il Vangelo in funzione antipapista, a cui s’aggiunse l’opposizione anche contro i rivali Ordini mendicanti. – Propugnava una invisibile chiesa di predestinati, che per il loro stato permanente di grazia non necessitano dell’opera sacramentale del Sacerdozio cattolico ed hanno un dominio sovrano sulle cose. Del resto anche la validità d’ogni potere sia temporale dei principi sia spirituale della gerarchia ecclesiastica era condizionata dallo stato di grazia, dipendente dalla predestinazione. Tutta questa teorica offriva a Wyclif e seguaci un comodo espediente per mettere sotto discussione l’autorità della Chiesa, a cui sostituivano il ricorso personale alla bibbia e il ministero dei laici. – G. Huss attinse queste, dottrine dalle opere di Wyclif, nell’ambiente universitario di Praga, di cui capeggiò le rivolte nazionali contro la Germania; e le diffuse con una predicazione che, pur vietatagli dall’arcivescovo, suscitava l’entusiasmo del popolo e della, nobiltà povera; i suoi sermoni e le lettere in lingua ceca rinfocolavano anche il sentimento nazionale contro il germanesimo della classe dominante; sostenne la richiesta della comunione sotto le due specie (utraquismo). L’imperatore Sigismondo eseguì con il rogo la condanna (1415) del concilio di Basilea. Gli utraquisti e soprattutto i taboriti continuarono l’opposizione armata, politica e religiosa sotto la guida di G. Zizka (+ 1424) e di Procopio il Calvo (+ 1434), fino alla pace con l’imperatore, 1434; ma dissensi e degenerazioni furono causati dalle licenziosità dei millenaristi in attesa della fine del mondo, dagli adamiti, promossi dall’illuminato Picardo, proveniente dalle Fiandre, che praticava il nudismo e la promiscuità dei sessi, in nome della restaurata integrità della natura umana. La « unione dei fratelli boemi » propugnò sotto l’influsso di P. Chelciky (+ 1460) una spiritualizzazione evangelica sia della religione sia della stessa società civile; ma finì per sistemarsi, per opera di Luca di Praga, nell’eterodossia moderna. – Il lollardismo tenne vivo l’antipapismo in Inghilterra; ma le sue imprese rivoluzionarie, in complicità con qualche eminente signore, provocarono una dura repressione da parte di Enrico IV.

Flagellantismo salvifico (secoli XIV-XV).

– Il carattere parossistico di molte correnti ereticali, che disarticolano il complesso unitario delle virtù ascetiche, è manifesto nelle esagerazioni dei flagellanti. Questa prassi penitenziale, molto in uso negli istituti monastici e nelle confraternite dei « disciplinati o « battuti », assurse al valore di mezzo necessario ed esclusivo di santificazione nella predicazione di alcuni circoli, denunciati da Clemente VI nel 1349. Il Concilio di Costanza condannò i flagellanti della Turingia e Sassonia che predicavano l’avvento della nuova economia redentrice della fustigazione a sangue con l’eliminazione della Chiesa romana.

Involuzione ebraica (secoli XII-XV).

– Il panorama tumultuario delle eresie medioevali conobbe anche le rappresentanze dell’influsso dell’antica religione ebraica, variamente presente nella civiltà del medioevo cristiano. Il monoteismo antitrinitario venne professato dai passagini lombardi dei secoli XII-XIII, insieme con la ripresa dell’osservanza del sabato, della circoncisione, ecc.. I circoncisi del Duecento probabilmente aggiunsero ai riti e Sacramenti cristiani la pratica della circoncisione; nei secoli XIV-XV si pose il problema dei «marrani» cioè di quegli ebrei e anche musulmani, che adottarono, per opportunismo, le esteriorità del Cristianesimo; di essi si occuperà in modo particolare la inquisizione spagnola (1482).