LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ’ CRISTIANA
Capitolo I
Le ERESIE,
ferite alla unità della fede (I)
[“Somma del Cristianesimo”, a cura di R. Spiazzi, vol. II Ed. Paoline, Roma, 1958 -impr.-]
Dell’eresia si occupano i teologi, i moralisti, i canonisti, gli storici. Questa convergenza di studi, sotto aspetti diversi, indica quale « fenomeno » complesso essa sia. Se si riducesse ad una delle tante categorie mentali più o meno discutibili, non attrarrebbe così l’attenzione degli studiosi: il regno delle idee si popola ogni giorno di nuove stranezze! L’eresia, invece, suscita grandi questioni perché sconvolge il tessuto dottrinale della Chiesa, genera il peccato di infedeltà, rompe la compagine del Corpo Mistico e influisce sugli avvenimenti storici. – In questo raggio così largo si inseriscono gli studi del teologo che esamina l’eresia come dottrina opposta all’insegnamento ufficiale; del moralista che vede in essa il tradimento della virtù teologale della fede; del canonista che determina l’uso del potere coercitivo della Chiesa riguardo ad essa; finalmente, dello storico che fissa le linee del processo storico dell’eresia, dalla sua genesi fino al suo tramonto. – Tutti e quattro gli aspetti meriterebbero trattazione specifica; qui, però, diamo sviluppo soltanto al primo aspetto come introduzione indispensabile per capire le eresie dal I al IX secolo.
Art. 1. – NATURA DELL’ERESIA.
Psicologia dell’eretico. – Il corpo dottrinale della Chiesa, essendo « rivelato », non può subire quei processi di alterazione e di adattamento ai quali sono sottoposte le dottrine umane: queste hanno per autori gli uomini, quelle, invece, Dio che è Verità infallibile. – Ma il velo di mistero che circonda le verità rivelate, se fa piegare il ginocchio all’uomo umile, rende audace il superbo che non si arresta alla intelligibilità analogica, volendo penetrare nella comprensione di esse, riservata al solo Autore Infinito. Questa compiacente tentazione affatica l’uomo da secoli; ma la vacuità dello sforzo e la irrilevanza dei risultati lo fanno ripiegare verso forme razionalistiche, mutilatrici della verità rivelata. – L’eresia è, appunto, grosso modo «una mutilazione ». Tra l’insegnamento della Chiesa che deve « custodire il deposito » e i propri pensamenti, si opta per questi ultimi; è una scelta (tale è il significato etimologico della parola αίρεσις [airesis]), una preferenza concessa all’idea personale in opposizione al Magistero. – La Chiesa discente, così, rifiuta quella docente; al credo ufficiale sostituisce un altro credo, alla πίστις [pistis] della Rivelazione una πίστις [pistis] soggettiva, intesa o come illuminazione interiore o come sforzo dialettico.
Le prime manifestazioni di eresie. – Assai istruttivo è seguire le varie fasi per le quali passa la parola αἵρεσις [aìresis] prima di assumere il significato tecnico definitivo. – I Giudei chiamarono « eretici » i primi Cristiani (Atti XXIV,14) e questi ricambiarono l’accusa chiamando « eretici » i Sadducei (ib. V,17); e i Farisei (ib. XV,5 e XXVI,5); per gli uni e per gli altri, quindi, eresia era sinonimo di dottrina falsa in contrapposizione alla propria ritenuta vera. L’idea, tra i Cristiani, andò sempre più precisandosi; ogni dissenso dottrinale era qualificato come eresia; ogni tentativo di uscire dagli schemi comuni era un mettersi ai margini della ortodossia, un incipiente slittare verso l’eresia, cioè verso la falsa dottrina che non portava il carisma della infallibilità perché non era stata ispirata da Dio e che non veniva insegnata dagli Apostoli. San Pietro (2 Piet. II,1) e San Paolo (Tit. III,10) esortavano, con calore di convinzione profonda, i fedeli ad evitare gli eretici perché maestri di menzogna. La vigile esortazione degli Apostoli passò ai Padri Apostolici. Quando Ignazio di Antiochia per es. rivolge un caldo elogio agli Efesini (VI,2) perché tra essi non c’è « eresia », sembra di sentire l’eco dell’avvertimento paolino. Sant’Ireneo, fine del II secolo, insiste contro gli gnostici sulla « regola fissa della fede » (Adv. Hær. I, ix,4) e attribuisce alla sola Chiesa il « carisma della verità » (ib. III. Xxvi l; iv, xxvi,2) colpendo in pieno le eresie del tempo e preparando strumenti che fisseranno la dottrina intorno all’eresia. Ecco, dopo Sant’Ireneo una voce dell’Africa, quella dell’irruente apologista Tertulliano che scrive un intero trattato « De præscriptione hæreticorum », nel quale riprende il motivo di Ireneo della « regula fidei » e lo arricchisce di acute riflessioni giuridiche. – L’eresia ormai, di qualunque novità si ammanti, non può più sfuggire all’occhio vigile dei pensatori cristiani e soprattutto all’autorità della Chiesa: essa è sinonimo di errore perché non si allinea con l’insegnamento tradizionale ma da esso sostanzialmente differisce. San Girolamo, trattando di eresia e scisma, dirà con tacitiana concisione: « Inter hæresim et schisma hoc arbitror interesse, quod hæresis perversum dogma habeat, schisma autem quod ab Ecclesia separet » (In Ep. ad Titum ML. 26,598): Ritengo esservi tra eresia e scisma questa differenza, che l’eresia comporta una dottrina perversa, lo scisma invece la separazione dalla Chiesa » (1- In pratica, oggi, non si può dissociare più lo scisma dall’eresia in quanto chi ricusa obbedienza al Sommo Pontefice nega implicitamente la dottrina del Primato)
Precisazione tecnica dell’eresia. – Volendo ridurre ad unità tutti gli elementi e comporli in definizione, si può dire che l’eresia è una dottrina che si oppone direttamente ad una verità rivelata da Dio e come tale proposta dalla Chiesa. [La forza sintetica di questa definizione diverrà nota dopo aver fatto l’analisi dei termini].
A) Si chiama verità rivelata una proposizione che è contenuta nelle fonti della Rivelazione. La teologia positiva, servendosi di tutti i sussidi storici, filologici ed esegetici, indaga sulla Scrittura e nella Tradizione per scoprire la voce di Dio ivi contenuta che il magistero della Chiesa poi esprimerà in dommi. È, in fondo, un lavoro di controllo, un’opera di verifica per stabilire la perfetta omogeneità tra quanto ha insegnato Dio e quanto insegna la Chiesa. L’assenso del credente è giustificato solo dalla identità dei due insegnamenti. Se il secondo, difatti, introducesse nella Rivelazione elementi ad essa estranei oppure le sottraesse elementi ad essa intrinseci, verrebbe meno l’allineamento dottrinale tra le voci dell’eternità e le voci del tempo; l’uomo non sarebbe più impegnato a credere « in nome di Dio », « per l’autorità di Dio rivelante, SomMa Sapienza e Infinita Sincerità », di cui la Chiesa è soltanto altoparlante nei secoli. – L’allineamento dottrinale, però, può andare da un « maximum » ad un « minimum ». Il « maximum » si ha quando il magistero della Chiesa riproduce una verità che è espressa « formalmente » dalla Rivelazione, vale a dire nella sua integrità, non importa se mediante forma esplicita o implicita. Il « minimum », invece, si ha nel cosiddetto « rivelato virtuale », quando cioè si richiede non una semplice esplicitazione, ma una vera e propria illazione sillogistica per trarre dalla Rivelazione la verità. Il principio razionale, in questo caso, ha una funzione non indifferente: esso integra il principio rivelato; la dialettica umana si aggiunge all’elemento oscuro giacente nella Rivelazione e ne ricava la tanto discussa « conclusione teologica ». – Il discorso qui si allungherebbe, se volessimo addentrarci nelle polemiche che i teologi fanno intorno a questa « conclusione teologica » che è, oggettivamente, la più ardita e sconcertante sintesi di due categorie: quella divina e quella umana. Basta però osservare, ai fini pratici dell’argomento che qui si svolge, che l’eresia riguarda « soltanto » le verità rivelate formalmente, non le altre, qualunque sia il nesso che le leghi alla rivelazione stessa, anche se la Chiesa le ha consacrate con il sigillo della infallibilità.
B) Non basta, però, che la verità sia contenuta nelle fonti della Rivelazione; occorre che il Magistero della Chiesa la proponga come tale. Il libero esame nel Cattolicesimo non ha senso e quindi non ha luogo. Che esso affascini gli spiriti leggeri, è comprensibile; l’uomo ama la propria autorità, non quella degli altri, che è il modo più diabolicamente subdolo per giustificare tutto e piegare la verità “alle suggestioni dell’orgoglio e delle passioni”. Si ha un bel dire e un bel invocare il « testimonium Spiritus Sancti »; tre secoli di protestantesimo indicano a quali lacerazioni del patrimonio rivelato si è giunti e quali compromessi — quotidianamente — si fanno, quando manca una norma estrinseca regolatrice. Il diluire la verità divina nelle varie concezioni soggettive è la maggiore offesa al richiamo appassionato che Paolo rivolgeva a Timoteo nella prima lettera direttagli (VI,20): «Custodisci il deposito». La Chiesa rivendica a sé il complesso della fede da custodire ed interpretare infallibilmente sotto l’assistenza, non saltuaria ma permanente, dello Spirito Santo: essa è la « magistra fidei ». – Esercita questo suo magistero ora in forma solenne (si pensi alle grandi definizioni conciliari o alle definizioni ex cathedra del Papa solo) o in forma ordinaria (le Encicliche, i documenti delle Congregazioni romane e dell’episcopato). L’importante è che il magistero dica autoritativamente, seguendo la prima o la seconda forma, che la verità deriva direttamente da Dio mediante il gran libro della Rivelazione. Il pronunziarsi sull’origine e sul carattere « divino » di quella determinata proposizione esclude ogni accostamento alle riflessioni e inchieste umane, ai frutti di qualsiasi ingegno che non potrà mai aspirare ad avere il suggello della divinità e quindi dell’immutabilità ed infallibilità. – Fissato così, dalla Chiesa, il criterio di valutazione della verità, il Cristiano vi aderisce con fede divina e cattolica: formula pregna di significato, in quanto appella a due autorità: invisibile la prima, visibile la seconda, che sorreggono l’uomo con la massima evidenza estrinseca, atta a garantirgli la « razionalità » del suo atto di fede.
C.) L’opposizione alla verità rivelata costituisce eresia. Opposizione indica atteggiamento di contrasto. Nel campo ideologico, non può significare, quindi, che accettazione e difesa di dottrina diversa. Ritorna il significato etimologico di «scelta», di «opzione» per una dottrina ritenuta soggettivamente « più vera », anche se non corrispondente a quella ufficiale. Il dissidio psicologico è tutto qui: superamento della posizione « di autorità » e irrigidimento alla posizione « personale ». – Questo irrigidimento mentale può esprimersi in proposizioni che i teologi esaminano con estrema accuratezza e sensibilità logica (dicono difatti che l’opposizione dev’essere immediata, diretta, contradittoria o contraria), ma il nocciolo della questione sta in questo: la preferenza cosciente (« pertinace » in linguaggio tecnico) ad una proposizione positivamente esclusa come falsa dall’intervento divino che attesta come vera quella contraria. Se, per es., Dio stesso con il peso della sua autorità infallibile attesta che Gesù è morto per tutti gli uomini, il ritenere che Gesù non sia morto per tutti è proposizione «eretica», cioè falsa, in quanto contradittoria a quella garantita da Dio. – Sono stati indicati, così, gli elementi costitutivi dell’eresia. Ma poiché l’iter per giungere ad essa è assai lungo e l’uomo le muove incontro per via di successive approssimazioni — si direbbe meglio: di successivi azzardi e rischi mentali, — ecco la vasta gamma delle cosiddette «censure teologiche » che qualificano le fasi tormentate per le quali egli passa prima di giungere alla rottura definitiva con il pensiero rivelato. Esse — le censure — non sono capestri che strozzano il libero evolversi dello spirito verso la verità, ma normale diritto di difesa che la Chiesa esercita per i suoi valori dottrinali, espressione elementare di qualsiasi insegnamento che non può attribuire egual valore alle tesi più contrastanti, senza cadere in quello sciocco soggettivismo che è sempre il battistrada di posizioni agnostiche e scettiche.
La funzione «provvidenziale» dell’eresia.
– Tutto è grazia! — esclama il Curato di Bernanos. Tutto è provvidenza! — diremo noi a proposito delle eresie. Esse hanno avuto una funzione assai utile nella storia del pensiero e della investigazioni teologica. Basta sfogliare un qualsiasi manuale di Storia dei Dommi per capire fino a qual punto l’errore abbia indirettamente contribuito alla genesi e allo sviluppo della verità. L’affermazione può sembrare paradossale, ma non è sempre Dio che scrive dritto sulle righe storte degli uomini? Ora, è un fatto che le eresie sono state spesso le occasioni prossime che hanno indotto la Chiesa alle definizioni dommatiche. Senza l’errore non avremmo avuto l’esercizio straordinario del più alto magistero della terra che ha chiarito in maniera inequivocabile ai fedeli il suo e loro credo. Senza l’errore non avremmo avuto quegli approfondimenti dottrinali che costituiscono uno dei patrimoni più cospicui del pensiero umano. I Dottori della Chiesa e, in secondo ordine, i teologi, spinti da necessità apologetica contro le eresie, hanno riesaminato «positivamente» le fonti della Rivelazione: quanti tesori nascosti sono venuti alla luce! Nuove intuizioni, nuovi accostamenti, nuove armonie hanno attratto le intelligenze dello studioso. Con uno sforzo paziente egli si è dato a scomporre analiticamente i termini, li ha confrontati con i supremi principi logici, non li ha trovati in opposizione, anzi ad essi allineati, ha scoperto finanche delle analogie, cioè delle somiglianze nell’ordine naturale, e così il panorama delle verità rivelate gli si è improvvisamente allargato, dandogli il brivido dell’infinito. Sempre sotto la pressione dell’eresia negatrice in nome della «razionalità», il teologo ha teso l’orecchio all’eco di voci lontane, a tutte le dottrine filosofiche pre-cristiane, vi ha scoperto mirabili anticipazioni — bagliori improvvisi nella notte oscura del pensiero — che l’hanno aiutato a convalidare il contenuto misterioso della propria fede. Nessuno, forse, quanto il teologo ha esplorato il mondo delle idee degli altri per trarre materiale alla propria costruzione non con un vago eclettismo, ma con discernimento sagace. Egli valorizza tutte le categorie mentali senza ingiustificati apriorismi, in quanto gli consentono di approfondire la intelligibilità della Rivelazione, traendo proprio dall’eresia impulso di ricerca e fecondità di sintesi. – E non soltanto su questo piano ideologico l’errore ha avuto la sua funzione, ma sul piano pratico che è, in fondo, strettamente collegato al primo. Ogni eresia, se è stata una forza dissolvente dell’unità della Chiesa, ha avuto quasi sempre la contropartita di cementare maggiormente i fedeli con Roma, non solo per un istinto di difesa, ma proprio per un ripensamento dottrinale, per amore ad una verità meglio assimilata e resa quasi più cosciente. La storia registra anche azioni esterne intense di drammaticità — talora rosseggianti di sangue — per difendere l’unità compromessa; l’eresia è stata scoraggiata nel suo nascere o nel suo diffondersi da forze espresse improvvisamente dal seno stesso della Chiesa in pieno assetto di guerra. Fin dove avrebbero esteso le tende gli Albigesi se i Domenicani non avessero loro ostacolato la marcia? E quanti territori sarebbero rimasti immuni dall’eresia protestante se i Gesuiti non avessero praticata una efficace profilassi mentale? Due esempi appena; forse i due più appariscenti, ma non certamente i soli, perché sono moltissimi i casi nei quali l’errore è stato l’occasione cui lo Spirito Santo ha legato — per leggi di altissima sapienza inafferrabili alla miopia umana — il sorgere di Ordini religiosi che hanno rimarginato con il sacrificio e l’apostolato della scuola o della predicazione le ferite aperte nel Corpo della Cristianità dal serpe dell’eresia. (p. Ilarino da MILANO)
[1. Continua …]