UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “Traditi humilitati” (Pio VIII)

 Traditi humilitati

Pio VIII

Traditi humilitati è una Enciclica di Pio VIII, al  secolo Francesco Saverio Castiglioni, scritta dopo la sua elezione, unica del suo breve Pontificato. È una lettera piena di contenuti, ad iniziare dai particolari richiami ai Vescovi sulla formazione del clero, la santità dei sacerdoti e sui seminari diocesani. Richiami amorevoli, ma fermi e decisi nel delineare il ruolo e l’azione degli uni e degli altri, soprattutto per contrastare le perverse dottrine che minavano, come sempre, la linearità e la verità dell’insegnamento dottrinale cattolico. Il Pontefice denuncia quelli che erano all’epoca dei mali allo stato iniziale, anche se “in nuce” molto virulenti, mali che hanno preso il sopravvento non sola nella società scristianizzata attuale, ma soprattutto tra gli “addetti” alle cose sacre, oramai ridotti ad un esercito sempre più sparuto di zombi apostati, traditori del Cristo crocifisso, o a falsi prelati senza giurisdizione o mandato, falsamente consacrati, in pratica laici in maschera di carnevale che officiano riti invalidi e sacrileghi, oltre che finti sacramenti veicolo satanico privilegiato. Si sottolineano i mali dell’indifferenza religiosa e dell’ecumenismo, vero cancro che sconvolge la mente e lo spirito di tante anime che credendo ad esso come ad un principio cattolico, si candidano automaticamente per un posto garantito all’inferno. Un colpo di pugnale al cuore dei modernisti apostati è l’espressione seguente del Papa Pio VIII, … insegnare che la Cattolica è la sola vera religione, secondo le parole dell’Apostolo: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef IV,5)…. perciò sarà un profano, come diceva Girolamo, colui che mangerà l’agnello fuori da questa casa, e perirà colui che durante il diluvio non si rifugerà nell’arca di Noè… Ora invece tutto congiura a buttare fuori dall’arca di Noè [cioè la “vera” Chiesa Cattolica] anche quei pochi che già si trovavano in essa, ed a chiudere le porte a coloro che vorrebbero entrarvi. Altro “diretto” in pieno volto è il richiamo all’uso scorretto e deviante delle traduzioni bibliche, “ermeneuticamente” argomentate dalla delirante “nouvelle theologie”, dogma modernista, e delle false interpretazioni mille miglia lontane dalle verità da sempre evidenziate dai Padri della Chiesa e dai santi Teologi. La stoccata alle conventicole massonichefetida empietà di uomini scellerati mette al tappeto i grembiulini infiltrati nei sacri palazzi, quelli delle 4 “logge” in 8 edifici, e tutti gli sconsiderati che vorrebbero indurre a credere che la “vera” Chiesa possa dialogare alla pari con i servi di baal, del baphomet-lucifero da essi adorato. Ecco come li tratteggia, con brevi ed efficaci parole, il Santo Padre che ancora una volta li scomunica confermando le analoghe decisione dei suoi predecessori: “Tale setta si adopera, con scaltrezza, di assumere maestri corrotti che conducano i discepoli sui sentieri di Baal, con dottrine contrarie a Dio, ben sapendo che le menti e i costumi degli alunni sono plasmati dai precetti degli insegnanti… e citando S. Leone Magno continua: “La loro legge è la menzogna, il demonio la loro religione, la turpitudine il loro culto“. Continua poi con i seminari, affinché preparino santi Sacerdoti, cosa che oramai, da almeno circa un trentennio e più non vediamo perché, come recitano le cronache e gli interventi della Legge e di giudici nei tribunali, sono diventati ricettacolo di omosessuali, pedofili e depravati vari che vengono mandati come lupi rapaci tra le pecore e gli agnelli. C’è ancora spazio nella lettera per il ruolo sacro del Matrimonio e per l’Autorità Papale, garanzia assoluta del governo della Chiesa per tutti i veri Cristiani, oggi ridicolizzata dagli antipapi marrani!

Ma lasciamo perdere l’acattolicità degli spergiuri, nel fuoco già fino alla gola, e godiamoci questa santa e cattolica lettura: che possa darci, tra tanto sterco e tanta melma mediatica, una boccata di vera spiritualità cristiana, ormai retaggio di altri tempi fortunati:

TRADITI HUMILITATI nostræ pontificatus possessionem hac ipsa die …” – “Prima di recarci quest’oggi alla Basilica Lateranense, secondo la consuetudine introdotta dai Nostri Predecessori, per prendere possesso del Pontificato concesso alla Nostra umiltà, allarghiamo con gioia il Nostro cuore su di voi, Venerabili Fratelli, che a Noi foste assegnati, come coadiutori nell’adempimento di tanto grande incarico, da Colui che possiede ogni grado di dignità e domina ogni vicenda temporale. Non solo Ci riesce dolce e gradito esprimervi i Nostri intimi sentimenti di benevolenza, ma soprattutto, per il sommo bene della vita cristiana, Ci giova entrare in comunione spirituale con voi, e insieme conoscere quali maggiori vantaggi, giorno per giorno, si possano procurare alla Chiesa. È questo un impegno del Nostro ministero, a Noi affidato nella persona di San Pietro per divino incarico dello stesso Fondatore della Chiesa; per esso, a Noi compete pascere, guidare, governare non solamente gli agnelli, ossia il popolo cristiano, ma anche le pecore, ossia i Vescovi.Esultiamo con tutto il cuore e ringraziamo il Principe dei pastori per aver preposto a guardia del suo gregge siffatti pastori, animati unicamente dalla sollecitudine e dal pensiero di condurlo sulle vie della giustizia, di allontanare da esso ogni pericolo, di non perdere alcuno di coloro che il Padre ha loro affidato. Infatti, Venerabili Fratelli, Noi ben conosciamo la vostra salda fede, l’assiduo zelo per la Religione, l’ammirevole santità della vita, la singolare prudenza. Ci aspettiamo pertanto molti motivi di letizia per Noi, per la Chiesa, per questa Santa Sede da tale corona di irreprensibili operai; questa lieta speranza Ci ispira coraggio, timorosi come siamo sotto il peso di un tale incarico, e Ci ristora e Ci ricrea, anche se sopraffatti da tante inquietudini.Ma per non sollecitare senza motivo chi già s’affretta, ometteremo volentieri di intrattenervi a lungo circa i doveri che devono essere tenuti presenti nell’esercizio del vostro ministero, secondo quanto prescrivono i sacri canoni; non occorre ricordarvi che nessuno deve abbandonare il luogo e la custodia del gregge a lui affidato e con che cura e diligenza si deve affrontare la scelta dei ministri sacri. Rivolgiamo piuttosto le Nostre preghiere a Dio Salvatore perché vi protegga con la potenza della sua grazia e conduca a felice esito le vostre azioni e i vostri sforzi.Malgrado ciò, anche se il Signore Ci conforta per il vostro coraggio, Venerabili Fratelli, Noi siamo costretti ad essere ancora tristi, avvertendo le crudeli amarezze che, pur in una situazione di pace, i figli di questo secolo Ci infliggono. Parliamo, o Fratelli, di quei mali noti, manifesti che deploriamo con comuni lacrime, e che con solidale impegno dobbiamo correggere, estirpare, sconfiggere. Parliamo degli innumerevoli errori, delle dottrine perverse che combattono la fede cattolica, non più in segreto e di nascosto ma con palese accanimento.Voi sapete in che modo uomini scellerati abbiano alzato insegne di guerra contro la Religione, ricorrendo alla filosofia, di cui si proclamano dottori, e a fatui sofismi tratti da idee mondane. Questa Romana Santa Sede del beatissimo Pietro, su cui Cristo pose le fondamenta della sua Chiesa, è soprattutto perseguitata; a poco a poco si spezzano i vincoli della sua unità. Si incrina l’autorità della Chiesa, i sacri ministri vengono isolati e disprezzati. Sono rifiutati i più virtuosi precetti, derisi i riti divini, il culto di Dio è esecrato dal peccatore (Sir 1,32); tutto ciò che riguarda la Religione è considerato come una vecchia favola e come vana superstizione. Diciamo tra le lacrime: “Davvero ruggirono i leoni sopra Israele (Ger II,25); davvero si riunirono contro Dio e contro Cristo; davvero gli empi hanno gridato: distruggete Gerusalemme, distruggetela sino alle fondamenta– A questo fine mira la turpe congiura dei sofisti di questo secolo, che non ammettono alcun discrimine tra le diverse professioni di fede; che ritengono sia aperto a tutti il porto dell’eterna salute, qualunque sia la loro confessione religiosa, e che tacciano di fatuità e di stoltezza coloro che abbandonano la religione in cui erano stati educati per abbracciarne un’altra, fosse pure la Religione Cattolica. Certamente è un orrendo prodigio d’empietà attribuire la stessa lode alla verità e all’errore, alla virtù e al vizio, alla onestà e alla turpitudine. – È davvero letale questa forma d’indifferenza religiosa ed è respinta dal lume stesso della ragione naturale, la quale ci avverte chiaramente che tra religioni discordanti se l’una è vera, l’altra è necessariamente falsa, e che non può esistere alcun rapporto tra luce e tenebre. Occorre, Venerabili Fratelli, premunire i popoli contro questi ingannatori, insegnare che la Cattolica è la sola vera religione, secondo le parole dell’Apostolo: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef IV,5). Perciò sarà un profano, come diceva Girolamo, colui che mangerà l’agnello fuori da questa casa, e perirà colui che durante il diluvio non si rifugerà nell’arca di Noè. E infatti, oltre il nome di Gesù, nessun altro nome è concesso agli uomini che possa salvarli (At IV,12); chi avrà creduto sarà salvo, chi non avrà creduto sarà condannato (Mc XVI,16). – Bisogna inoltre vigilare sulle società di coloro che pubblicano nuove traduzioni della Bibbia in ogni lingua volgare, contro le salutari regole della Chiesa, per cui i testi vengono astutamente travisati in significati aberranti, a seconda degli umori di ciascun traduttore. Tali versioni vengono distribuite gratuitamente dappertutto, con spese esorbitanti, anche ai più ignoranti, e spesso vi sono inseriti perversi scritti in modo che i lettori bevano un letale veleno, là dove credevano di attingere le acque della salutare sapienza. Già da tempo la Sede Apostolica ha messo in guardia il popolo cristiano contro questo attentato alla fede, e ha condannato gli autori di così grande iattura. A tale scopo furono nuovamente richiamate alla memoria di tutti le regole statuite per decisione del Concilio di Trento e quanto fu disposto dalla stessa Congregazione dell’Indice per cui non devono essere consentite le versioni in lingua volgare dei sacri testi, salvo non siano approvate dalla Santa Sede e accompagnate da commenti tratti dalle opere dei Santi Padri della Chiesa . Allo stesso scopo il sacro Concilio Tridentino, per infrenare gl’ingegni più irrequieti, emise il seguente decreto: “In materia di fede e di costumi che riguardino la dottrina cristiana, nessuno osi confidare nel proprio senno e tradurre la sacra scrittura deformandola a proprio talento, ossia interpretarla in un senso diverso da quello che la Santa Madre Chiesa ha sempre seguito o contro l’unanime concordanza dei Padri” . Sebbene appaia evidente da questi decreti canonici che tali insidie contro la Religione Cattolica sono state da molto tempo respinte, tuttavia gli ultimi Nostri Predecessori di felice memoria, pieni di sollecitudine per l’incolumità del popolo cristiano, ebbero cura di reprimere quei nefasti ardimenti che essi vedevano rinnovarsi ovunque, e sull’argomento pubblicarono severe lettere apostoliche (Si leggano, fra le altre, la lettera apostolica di Pio VII all’Arcivescovo di Gniezno dell’1 giugno 1816, e all’Arcivescovo di Mohilew, del 3 settembre 1816). Usate le stesse armi, Venerabili Fratelli, per combattere le battaglie del Signore, mentre corre così grande pericolo la Sacra Dottrina, in modo che il letale veleno non si diffonda nel vostro gregge, portando a rovina gli stessi Sovrani. – Così, dopo aver evitato lo stravolgimento delle Sacre Scritture, è vostro dovere, Venerabili Fratelli, indirizzare gli sforzi contro quelle società segrete di uomini faziosi che, nemici di Dio e dei Principi, sono tutti dediti a procurare la rovina della Chiesa, a minare gli Stati, a sovvertire l’ordine universale e, infranto il freno della vera fede, si sono aperti la via ad ogni sorta di scelleratezze. Costoro si sforzano di nascondere nelle tenebre di riti arcani la iniquità dei loro conciliaboli e le decisioni che vi assumono, e per questo motivo hanno suscitato gravi sospetti circa quelle imprese infami che per la tristezza dei tempi, come da spiraglio di un abisso, eruppero a suprema offesa del consorzio religioso e civile. Perciò i sommi Pontefici Clemente XII, Benedetto XIV, Pio VII e Leone XII (Clemente XII, con la costituzione In eminenti; Benedetto XIV con la costituzione Providas; Pio VII, con la costituzione Ecclesiam a Jesu Christo; Leone XII con la costituzione Quo graviora), dei quali siamo successori anche se di gran lunga inferiori per meriti, scomunicarono quelle società segrete (qualunque fosse il loro nome) con pubbliche lettere apostoliche, le cui disposizioni Noi confermiamo nella pienezza del Nostro potere apostolico ordinando la scrupolosa osservanza di esse. Noi, con tutto il Nostro zelo, vigileremo perché la Chiesa e la società civile non ricevano alcun danno dalla cospirazione di tali sette e invochiamo la vostra quotidiana assiduità in tale impresa, in modo che, indossando l’armatura della costanza e rinsaldando validamente l’unità degli spiriti, Noi possiamo sostenere la nostra causa comune, o, meglio dire, la causa di Dio, al fine di distruggerei baluardi eretti dalla fetida empietà di uomini scellerati. – Tra tutte queste società segrete, abbiamo deciso di descriverne una in particolare, costituita di recente con lo scopo di corrompere l’animo degli adolescenti che frequentano i ginnasi e i licei. Tale setta si adopera, con scaltrezza, di assumere maestri corrotti che conducano i discepoli sui sentieri di Baal, con dottrine contrarie a Dio, ben sapendo che le menti e i costumi degli alunni sono plasmati dai precetti degli insegnanti.

Siamo perciò indotti a deplorare, gemendo, che la licenza dei giovani sia giunta al punto di rimuovere il timore della Religione, di rifiutar la disciplina dei costumi, di opporsi alla santità della più pura dottrina, di calpestare i diritti del potere religioso e civile, di non vergognarsi più di alcun delitto, di alcun errore, di alcuna audacia, per cui possiamo dire di essi, con Leone Magno: “La loro legge è la menzogna, il demonio la loro religione, la turpitudine il loro culto” . Allontanate tutti questi mali dalle vostre Diocesi, o Fratelli, e, per quanto vale la vostra autorità e il vostro ascendente, fate in modo che siano incaricati della educazione dei giovani uomini eminenti non solo per la loro cultura letteraria, ma soprattutto per purezza di vita e di pietà. – In tal senso vigilate con la più assidua sollecitudine nei seminari sui quali a voi in modo particolare è stata affidata la sorveglianza dai Padri del Concilio Tridentino . Dai seminari infatti devono provenire coloro che, compiutamente educati alla disciplina cristiana ed ecclesiastica, e ai princìpi della più sana dottrina, dimostreranno tale devozione nell’adempimento del loro divino ministero, tale dottrina nella educazione del popolo, tale severità di costumi che il ministero a loro affidato sarà apprezzato anche dai profani, ed essi potranno, con virtuose parole, rimproverare coloro che si allontanano dal sentiero della giustizia. Noi chiediamo alla vostra sollecitudine, per il bene della Chiesa, di dedicare tutto il vostro zelo nella scelta di coloro ai quali dovrà essere affidata la cura delle anime, in quanto dalla oculata scelta dei parroci deriva soprattutto la salute del popolo, e nulla contribuisce di più alla rovina delle anime quanto essere guidati da coloro che cercano il proprio bene e non quello di Gesù Cristo, o da coloro che, scarsamente imbevuti di vero sapere, si fanno volgere in giro da ogni vento e non sanno condurre il loro gregge ai salutari pascoli che non conoscono o che disprezzano. – Dal momento che proliferano ovunque smisuratamente libri funesti, mediante i quali l’insegnamento degli empi si diffonde come un tumore in tutto il corpo della Chiesa (2Tm 2,17), vigilate sul gregge e non sottraetevi a nessuna fatica pur di scongiurare la peste di quei libri, dei quali nulla è più pernicioso; ammonite le pecore di Cristo a voi affidate con le parole di Pio VII, Nostro santissimo Predecessore e benefattore (In litt. encyclicis ad universos episcopos datis Venetiis), secondo le quali il gregge deve considerare come pascoli salutari (e di essi nutrirsi) solo quelli a cui li abbiano invitati la voce e l’autorità di Pietro; qualora quella voce lo diffidi e lo richiami indietro da altre pasture, le si consideri nocive e pestifere, ci si allontani da esse con orrore, non ci si lasci ingannare da nessuna apparenza o perversa lusinga. – Ma, dati i tempi in cui viviamo, abbiamo deciso di raccomandare vivamente al vostro amore per la salute delle anime, di inculcare nel vostro gregge la venerazione per la santità del matrimonio, in modo che non accada mai nulla che diminuisca la dignità di questo grande sacramento, che offenda la purezza del letto nuziale, che possa insinuare alcun dubbio sulla indissolubilità del vincolo matrimoniale; si potrà raggiungere questo intento se il popolo cristiano sarà pienamente convinto che il matrimonio non è soltanto soggetto alle leggi umane ma anche alla legge divina; che bisogna considerarlo un bene sacro e non solo una realtà terrena, e che perciò è totalmente soggetto alla Chiesa. Infatti il vincolo coniugale che un tempo non aveva altro scopo che di procreare e di continuare la specie, ora è stato innalzato da Cristo Signore alla dignità di sacramento e arricchito di doni celesti, in quanto la Grazia ne perfeziona la natura; pertanto quel vincolo non è allietato tanto dalla prole, quanto piuttosto dall’educarla a Dio e alla sua divina Religione: così tende ad accrescere il numero degli adoratori del vero Dio. Risulta infatti che questa unione matrimoniale, di cui Dio è autore, raffigura la perpetua e sublime unione di Cristo Signore con la Chiesa, e che questa strettissima unione tra marito e moglie è un sacramento, ossia un sacro simbolo dell’amore immortale di Cristo per la Sua Sposa. In tal modo è necessario istruire i popoli (Legatur catechism. Rom. ad parochos de matrimon.) e spiegare ad essi ciò che è stato sancito e ciò che è stato condannato dalle regole della Chiesa e dai decreti dei Concilii, affinché i popoli operino in modo di conseguire la virtù del sacramento e non osino compiere ciò che la Chiesa ha condannato; e, per quanto possiamo, chiediamo al vostro zelo di prestarvi in questo con tutta la pietà, la dottrina e la diligenza di cui siete dotati. – Avete appreso, Fratelli, ciò che ora più di ogni altra cosa suscita dolore in Noi che, posti sul soglio del Principe degli Apostoli, dobbiamo essere presi dall’amore per tutta la casa di Dio. Si aggiungono anche altri argomenti, non meno gravi, che qui sarebbe lungo enumerare e che voi sicuramente conoscete. Ma potremmo Noi trattenere la Nostra voce in una congiuntura così difficile per la cristianità? Forse che, impediti da motivi umani, o torpidi nell’indolenza, sopporteremo in silenzio che sia lacerata la tunica di Cristo Salvatore, che neppure i soldati che lo crocifissero osarono dividere? Non accada, carissimi, che al gregge disperso venga a mancare la protezione del pastore amoroso e sollecito! Noi non dubitiamo che voi farete anche più di quanto vi chiede questo scritto e che vi adoprerete con i precetti, i consigli, le opere, lo zelo, a favorire la Religione avita, a diffonderla e a proteggerla. – Per la verità, ora, nella crudezza della situazione, dobbiamo in particolar modo pregare in ispirito e con maggior fervore; dobbiamo supplicare Dio affinché, come risanate piaghe d’Israele, faccia sì che la sua santa Religione fiorisca ovunque, e permanga incrollabile la vera felicità dei popoli; affinché il Padre della misericordia, volgendo lo sguardo propizio sui giorni del Nostro ministero, si degni di custodire e illuminare il pastore del suo gregge. Vogliano i potentissimi Principi, con il loro animo nobile ed elevato, favorire lo zelo e gli sforzi Nostri; quel Dio che loro ha donato un cuore docile all’adempimento delle sue prescrizioni, li rassicuri con un supplemento di sacri carismi, in modo che con tenacia compiano quelle azioni che riescano utili e salutari alla Chiesa afflitta da tante calamità. – Questo chiediamo supplichevoli a Maria Santissima Madre di Dio, che sappiamo, Lei sola, aver annientato tutte le eresie e che in questo giorno Noi salutiamo con riconoscenza col titolo di “Ausilio dei cristiani“, ricordando il ritorno del Nostro beatissimo Predecessore Pio VII in questa città di Roma, dopo tribolazioni di ogni genere. – Chiediamo al Principe degli Apostoli Pietro e al suo co-Apostolo Paolo di non permettere che alcun sconvolgimento Ci minacci, saldi come siamo sulla pietra della Chiesa per merito del Principe dei Pastori Gesù Cristo Nostro Signore, dal quale invochiamo di riservare sulle Fraternità Vostre e sui greggi a voi affidati i più abbondanti doni di grazia, di pace e di gaudio, mentre, quale segno del Nostro affetto, con tutto il cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 24 maggio 1829, anno primo del Nostro Pontificato.

DOMENICA III dopo PASQUA

DOMENICA III dopo PASQUA

Introitus Ps LXV:1-2. Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja. [Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

SALMO

Ps LXV:3 Dícite Deo, quam terribília sunt ópera tua, Dómine! in multitúdine virtútis tuæ mentiéntur tibi inimíci tui. [Dite a Dio: quanto sono terribili le tue òpere, o Signore. Con la tua immensa potenza rendi a Te ossequenti i tuoi stessi nemici.] V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

Jubiláte Deo, omnis terra, allelúja: psalmum dícite nómini ejus, allelúja: date glóriam laudi ejus, allelúja, allelúja, allelúja.[Giubila in Dio, o terra tutta, allelúia: innalza inni al suo Nome, allelúia: dà a Lui gloria con le tue lodi, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo. Orémus. Deus, qui errántibus, ut in viam possint redíre justítiæ, veritátis tuæ lumen osténdis: da cunctis, qui christiána professióne censéntur, et illa respúere, quæ huic inimíca sunt nómini; et ea, quæ sunt apta, sectári. [O Dio, che agli erranti mostri la luce della tua verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia, concedi a quanti si professano cristiani, di ripudiare ciò che è contrario a questo nome, ed abbracciare quanto gli è conforme.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli 1 Pet II: 11-19 “Caríssimi: Obsecro vos tamquam ádvenas et peregrínos abstinére vos a carnálibus desidériis, quæ mílitant advérsus ánimam, conversatiónem vestram inter gentes habéntes bonam: ut in eo, quod detréctant de vobis tamquam de malefactóribus, ex bonis opéribus vos considerántes, gloríficent Deum in die visitatiónis. Subjécti ígitur estóte omni humánæ creatúræ propter Deum: sive regi, quasi præcellénti: sive dúcibus, tamquam ab eo missis ad vindíctam malefactórum, laudem vero bonórum: quia sic est volúntas Dei, ut benefaciéntes obmutéscere faciátis imprudéntium hóminum ignorántiam: quasi líberi, et non quasi velámen habéntes malítiæ libertátem, sed sicut servi Dei. Omnes honoráte: fraternitátem dilígite: Deum timéte: regem honorificáte. Servi, súbditi estóte in omni timóre dóminis, non tantum bonis et modéstis, sed étiam dýscolis. Hæc est enim grátia: in Christo Jesu, Dómino nostro.” [Caríssimi: Vi scongiuro che, come forestieri e pellegrini vi asteniate dai desiderii carnali, che mílitano contro l’ànima, vivendo bene tra i gentili, affinché, pure sparlando di voi quasi siate malfattori, considerando le vostre opere buone, glorifichino Iddio nel giorno della sua venuta. Siate dunque soggetti ad ogni autorità umana per riguardo a Dio: sia al re come sovrano, sia ai prefetti come mandati da lui per far vendetta dei malfattori, e per onorare i buoni. Perché tale è la volontà di Dio, che facendo il bene chiudiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti. Comportatevi da uomini liberi, senza però che la libertà vi serva di pretesto alla malizia, ma come servi di Dio. Onorate tutti, amate i fratelli, temete Dio, rendete onore al re. Servi, siate soggetti con ogni timore ai padroni, non solo ai buoni e clementi, ma anche ai duri. Questa infatti è una grazia: in Gesù Cristo nostro Signore.] R. Deo gratias.

Alleluja

Allelúja, allelúja. Ps CX: 9 Redemptiónem misit Dóminus pópulo suo:alleluja. [Il Signore mandò la redenzione al suo pòpolo. Allelúia.] Luc XXIV:46 Oportebat pati Christum, et resúrgere a mórtuis: et ita intráre in glóriam suam. Allelúja. [Bisognava che Cristo soffrisse e risorgesse dalla morte, ed entrasse così nella sua gloria. Allelúia.]

Evangelium

Munda cor meum, ac labia mea, omnípotens Deus, qui labia Isaíæ Prophétæ cálculo mundásti igníto: ita me tua grata miseratióne dignáre mundáre, ut sanctum Evangélium tuum digne váleam nuntiáre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen. Jube, Dómine, benedícere. Dóminus sit in corde meo et in lábiis meis: ut digne et competénter annúntiem Evangélium suum. Amen.

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem. R. Gloria tibi, Domine! – Joannes XVI:16: 22

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Módicum, et jam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. Dixérunt ergo ex discípulis ejus ad ínvicem: Quid est hoc, quod dicit nobis: Módicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me, et quia vado ad Patrem? Dicébant ergo: Quid est hoc, quod dicit: Modicum? nescímus, quid lóquitur. Cognóvit autem Jesus, quia volébant eum interrogáre, et dixit eis: De hoc quaeritis inter vos, quia dixi: Modicum, et non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me. Amen, amen, dico vobis: quia plorábitis et flébitis vos, mundus autem gaudébit: vos autem contristabímini, sed tristítia vestra vertétur in gáudium. Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora ejus: cum autem pepérerit púerum, jam non méminit pressúræ propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Et vos igitur nunc quidem tristítiam habétis, íterum autem vidébo vos, et gaudébit cor vestrum: et gáudium vestrum nemo tollet a vobis.” [In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre. Dissero perciò tra loro alcuni dei suoi discepoli: Che significa ciò che dice: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete, perché io vado al Padre? Cos’è questo poco di cui parla? Non comprendiamo quel che dice. E conobbe Gesù che volevano interrogarlo, e disse loro: Vi chiedete tra voi perché abbia detto: Ancora un poco e non mi vedrete più: e di nuovo un altro poco e mi rivedrete. In verità, in verità vi dico che voi piangerete e gemerete, laddove il mondo godrà, sarete oppressi dalla tristezza, ma questa si muterà in gioia. La donna, allorché partorisce, è triste perché è giunto il suo tempo: quando poi ha dato alla luce il bambino non si ricorda più dell’affanno, a motivo della gioia perché è nato al mondo un uomo. Anche voi siete adesso nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore gioirà, e nessuno vi toglierà il vostro gàudio.] R. Laus tibi, Christe! S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

OMELIE

I lett. DOMENICA III DOPO PASQUA

[Mons. Bonomelli: Omelie vol. II – Omelia XIX.]

“Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini, affinché vi asteniate dalle cupidigie terrene, che fan guerra allo spirito. Diportatevi degnamente tra i Gentili, affinché se sparlano di voi, come di malfattori, giudicandovi dalle vostre buone opere, diano gloria a Dio nel giorno che li visiterà. Il perché, siate sommessi, per amore del Signore, ad ogni umana istituzione, sia a re, come a sovrano, sia ai governatori, come mandati da lui, a punizione dei malfattori e a lode dei buoni. Perciocché tale è la volontà di Dio, che, operando il bene, imponiate silenzio alla ignoranza di uomini stolti. Come liberi e non pigliando la libertà a mantello di malizia, ma come servi di Dio. Onorate tutti, amate i fratelli, temete Dio, riverite il re. Voi, servi, siate sommessi, con ogni riverenza, ai padroni non solo buoni e discreti, ma anche capricciosi. Perciocché questo è cosa grata, se alcuno per coscienza innanzi a Dio sostiene molestie, soffrendo ingiustamente „ (I. di S. Pietro,, c. II, vers. 11-19).

Due sentimenti affatto contrari provo in me stesso al pensiero di dovervi fare la chiosa delle sentenze, che avete udite, che son prese dalla prima lettera di S. Pietro; il primo sentimento è di vivo piacere, perché le verità che vi si contengono sono ad un tempo di somma rilevanza e pratiche per ogni classe di persone; il secondo sentimento è l’impaccio, nel quale mi trovo di svolgere come si deve ad una ad una queste verità, ciascuna delle quali richiederebbe un discorso. Mi è dunque forza congiungere insieme la brevità e il commento di tutti i nove versetti, che vi ho recitati: mi vi proverò, fidando sempre nella vostra attenzione. – « Carissimi, vi esorto come stranieri e pellegrini, affinché vi asteniate dalle cupidigie terrene, che fan guerra allo spirito. „ Io non so dirvi, o fratelli, ciò che sento in cuore, allorché leggo e considero questa parola sì bella “Carissimi”, uscita dalla penna di S. Pietro. — Chi è colui, che scrive ? È il primo Vicario di Gesù Cristo, il Principe degli apostoli, il capo della Chiesa, carico di anni, di dolori e di meriti, già presso al patibolo, sul quale alla corona dell’apostolato si aggiungerà la palma del martire. A chi scrive? Ad alcuni cristiani, poveri, vessati, dispersi qua e là, usciti poc’anzi dalle tenebre del paganesimo e dai pregiudizi ebraici. E Pietro, questo primo depositario delle somme chiavi, lasciategli da Cristo, venerando per la dignità, per l’età, pei patimenti sofferti pel nome di Cristo, sembra quasi dimenticare se stesso, e con la effusione d’un padre, che abbraccia i suoi figliuoli, dice loro: “Carissimi!„ In questa parola si sente battere il cuore del sommo apostolo! Ah! se Pietro teneva coi semplici e poveri fedeli questo linguaggio pieno di affetto paterno, che dobbiamo fare noi? Noi, sacerdoti, noi, pastori di anime, oggi più che mai abbiamo bisogno d’informare i nostri cuori e le nostre parole al cuore, alle parole del primo apostolo! S. Pietro, dopo aver destata l’attenzione e guadagnato l’affetto dei suoi neofiti con quella parola -“Carissimi„- li esorta a considerarsi come stranieri e pellegrini sulla terra. Il pellegrino o straniero, che viaggia verso la patria sua, ricorda sempre d’essere pellegrino e straniero; non si cura delle cose che vede, passando, o appena le degna d’uno sguardo fuggevole, né punto lega ad esse il cuor suo; si sbriga di tutto ciò che lo impaccerebbe nel cammino e si restringe a portar seco solo quel tanto che è necessario e, fissa la mente nella patria, non bada a disagi e pericoli, non perde tempo con quelli che incontra per via, non contende con loro, li saluta cortesemente e studia il passo. — Ebbene: noi tutti, quaggiù sulla terra, siamo pellegrini e stranieri: la nostra patria è il cielo: là soltanto riposeremo: non fermiamoci per via, non leghiamo il nostro affetto a cose, che dobbiamo tosto abbandonare, non carichiamoci dell’inutile peso dei beni della terra, non consumiamoci tra noi con vani litigi, corriamo animosi verso la patria, dove ci aspetta Dio, Padre nostro, dove ci attendono i nostri fratelli, i Santi, dove tutto un giorno sarà pace e gioia purissima ed eterna. Se siete stranieri e pellegrini su questa terra “dovete astenervi – dice S. Pietro – dalle cupidigie terrene”, cioè dall’amore disordinato dei piaceri, dall’orgoglio, dall’ambizione, dalla gola, dalla avarizia, dall’ozio e sopra tutto dalla lussuria, che ritardano il vostro cammino, anzi vi incatenano a questo mondo. – L’anima, che viene da Dio, attratta dalla verità, che brilla in alto, mossa dalla grazia, che dolcemente la porta al cielo, quasi aquila generosa spiega le ali verso l’altezza suprema; ma le cupidigie, i piaceri del senso, quasi fili avvolgenti i suoi piedi, la tengono legata alla terra: rompiamo questi fili, stacchiamo i nostri affetti dalla terra e voleremo al cielo, nel seno stesso di Dio, e cesserà questa malaugurata lotta tra lo spirito e la carne, quello, che ci tira in alto, questa, che quasi palla di piombo, legata ai nostri piedi, ci tiene avvinti a questa misera terra. – Segue un’altra esortazione pratica: “Diportatevi degnamente tra i Gentili. „ I Cristiani devono sempre vivere come esige la loro professione di Cristiani, cioè degnamente e santamente, perché così vuole il loro dovere e così vuole Iddio: ma a questo motivo, che è il primo e principalissimo, altri buoni ed onesti si possono aggiungere; e buono ed onesto è pur quello di onorare la loro fede innanzi agli uomini, e particolarmente dinanzi ai nemici della fede tessa. Qual mezzo più efficace di mostrare la santità della religione, di renderla cara e degna di venerazione e di condurre a lei gli erranti ed i nemici suoi più fieri quanto il mostrarne i benefici effetti in noi stessi? Sta bene metterne in luce le prove con una parola eloquente, ma è molto meglio farne brillare la divina origine nelle opere e nelle virtù. Noi sappiamo che nei primi secoli la conversione dei Gentili, più che alla eloquenza dei grandi apologisti, si doveva alla vita illibata e santa dei cristiani, e perciò S. Pietro scriveva: “Diportatevi degnamente tra’ Gentili. „ Carissimi! ora noi non viviamo, grazie a Dio, tra Gentili, ma tra cristiani; ma quali Cristiani? Assai volte sono cristiani di nome, praticamente ed anche teoricamente miscredenti: sono cristiani di costumi perduti, immersi in ogni sorta di disordini e di scandali. Forse voi stessi avrete amici, conoscenti, congiunti, persone teneramente amate, che hanno perduta la fede, oppure, conservandola, la disonorano con una vita indegna. Volete guadagnarli a Dio? Il mezzo più sicuro è quello di offrire in voi stessi la pratica della religione, di presentare nelle vostre parole e nelle vostre opere il modello del vero cristiano. Spargete intorno a voi nella famiglia, nella conversazione, nella parrocchia il profumo della vita cristiana e a poco a poco ricondurrete sulla retta via gli erranti ed i poveri peccatori. Lo insegna S. Pietro, che va innanzi e dice: “Se i Gentili sparlano di voi e vi tengono come malfattori, quando vedranno le vostre opere buone, daranno gloria a Dio allorché Dio li visiterà, „ cioè li toccherà colla sua grazia. Che cosa è, o dilettissimi, la grazia di Dio? È una visita ch’Egli fa alle anime nostre: le visita col lume della verità, che. ci fa conoscere la verità e il dovere, che ci fa odiare il male, amare il bene: le visita colla grazia, che ci sveglia, ci scuote, ci rimprovera, ci stimola, ci sostiene, ci spinge innanzi nella via della virtù. Felice colui che riceve spesso la visita di Dio, più felice chi l’accoglie e si trattiene con Lui! – È da sapere, che nei primi secoli della Chiesa e al tempo stesso degli apostoli i cristiani erano considerati dai pagani come malfattori, nemici dell’impero e ribelli alle autorità costituite; lo sappiamo da Tacito, da Plinio, da Minuzio Felice, e qui ce lo fa sapere lo stesso S. Pietro : ” Quod detrectant de vobis tamquam de malefactoribus — Sparlano di voi come di malfattori. „ Non v’era delitto, per quanto enorme, che il popolo pagano, ingannato dai tristi, non apponesse ai cristiani, e il più comune e più terribile era quello, che essi disprezzavano le leggi e gli imperatori. – Era dunque natural cosa che gli apostoli respingessero la nera calunnia ed inculcassero pubblicamente il rispetto e l’obbedienza alle autorità civili in tutto ciò che era lecito [Allorché S. Pietro scriveva la sua lettera ai fedeli era già scoppiata o stava per scoppiare quella tremenda rivolta dei Giudei contro i Romani, che fini collo sterminio e colla dispersione di quelli. Presso i pagani troppo spesso Cristiano e Giudeo si confondevano, come apparisce da molti luoghi degli Atti Apostolici. Il fondatore del Cristianesimo era sorto in mezzo ai Giudei ed era Giudeo: i suoi apostoli erano Giudei, Giudei i primi cristiani, e tutta la parte dogmatica e morale del giudaismo era passata nella Chiesa cristiana. Qual cosa più facile per i pagani quanto il confondere i cristiani coi Giudei? Quindi è che lo spirito di rivolta dei Giudei si riputava comune ai cristiani e perciò era doppiamente necessario che gli apostoli separassero la causa dei cristiani da quella dei Giudei in cosa sì grave. Ecco una delle ragioni, per la quale S. Pietro e S Paolo insistono con tanta forza sul dovere che hanno i cristiani di rispettare ed ubbidire lo Autorità politiche e civili ancorché pagane. Si trattava di liberare i cristiani da una accusa e da un pericolo gravissimo in quei momenti supremi.]. – Egli è per questo che S. Paolo nella lettera ai Romani e in questa S. Pietro nei termini più espliciti e quasi identici ricordano ai cristiani questo dovere: “Siate dunque sommessi, scrive S. Pietro, per amore del Signore, ad ogni umana istituzione, sia a re, come a sovrani, sia a governatori, come mandati da Lui, a punizione dei malfattori ed a lode dei buoni. „ Il tempo, che mi è concesso, non mi permette di sviluppare largamente la dottrina del Vangelo o della Chiesa intorno ai doveri che abbiamo verso i poteri della terra, ma ve ne dirò quel tanto che basti all’uopo. Iddio ha creato l’uomo in modo che non può nascere, conservarsi, svilupparsi e perfezionarsi né quanto al corpo, né quanto all’anima se non nella società: prima nella società domestica, la famiglia, poi nella società civile e politica: esso è figlio, è fratello, è cittadino, e come il pesce non può vivere fuori dell’acqua, così l’uomo non può vivere fuori della società. E una necessità imposta dalla natura e perciò da Dio stesso, che ha creata la natura. Ora, o cari, perché gli uomini vivano insieme e i forti non opprimano i deboli e si mantenga l’ordine e la giustizia e si renda a ciascuno ciò che gli si deve, è necessario che vi sia una autorità, un potere, che mantenga quest’ordine e questa giustizia, e che impedisca che gli uni soverchino gli altri e procuri il bene privato e pubblico, ed eccovi l’autorità del padre in famiglia, l’autorità suprema nei tribunali, negli eserciti, nei regni, negli imperi, nelle repubbliche. Ora quel Dio che ha voluto che gli uomini vivano in società e regni la giustizia, ha voluto e deve volere, che vi siano le autorità od i poteri pubblici, che sono il mezzo necessario per conservare la società e far regnare la giustizia. Se voi, o cari, volete che i vostri figli imparino questa o quella scienza, facciano questo o quel viaggio, dovete anche volere, che abbiano i maestri, i libri e il tempo necessario per apprendere quelle scienze, e il danaro indispensabile per fare quei viaggi: è cosa manifesta, perché chi vuole il fine deve volere i mezzi. Se Dio vuole la società, vuole anche l’autorità che la governi: se vuole l’autorità che la governi, vuole anche l’obbedienza di quelli che devono essere governati, e perciò l’obbedienza alle autorità è voluta da Dio ed è un dovere di coscienza, e chi la rifiuta, offende Dio stesso. Ora comprenderete, o dilettissimi, come S. Pietro aveva ragione di dire ai primi fedeli : “Figliuoli, siate soggetti ad ogni umana istituzione, o legge, per amore di Dio, cioè perché lo vuole Iddio [S. Paolo (Rom. XIII, 1 seq.) dice: ” Ogni persona sia sottoposta ai potori superiori, perché non v’è potere se non da Dio, e quelli che sono esistenti, sono ordinati da Dio, a talché chi resiste al potere resiste all’ordine di Dio … È necessario essere soggetto al potere, non solo per timore, ma ancora per la coscienza. „ Vedete perfetto accordo di S. Pietro e di S. Paolo! Quasi le stesse frasi! S. Pietro dice che bisogna ubbidire ai poteri per amore di Dio, propter Deum; S. Paolo “per la coscienza” propter conscientiam. „] Siate soggetti al re, come al sovrano, cioè a colui, che vi sovrasta pel potere stesso. Veramente allora il potere supremo risiedeva nelle mani dell’imperatore, ma san Pietro colla parola “re” volle indicare l’imperatore, e forse lo chiamò re anziché imperatore, perché la parola “re” a lui ed agli Ebrei era famigliare, e nuova quella di imperatore, ma la sostanza è sempre la stessa. Ma ubbidiremo noi soltanto al re, od all’imperatore, od al potere supremo, quando immediatamente ci intima di ubbidire? No: noi ubbidiremo ad esso ed ai governatori, come a delegati da lui a punire i malvagi ed a lode dei buoni. Il potere supremo è come la vita: questa risiede nel capo, come nel suo centro, e di là si spande per tutto il corpo: il potere risiede nel capo o nei capi supremi dello Stato, e di là si dirama in tutti quelli, che variamente ne partecipano: e come il ferire o percuotere una mano od un dito è ferire e percuotere il capo, da cui deriva la vita ed il senso, così rivoltarci contro i poteri inferiori è rivoltarci contro il potere, del quale sono emanazione. Che fare pertanto? Ubbidire a tutti i poteri, per dovere di coscienza, per amore di Dio. Ai sommi, come agli inferiori, perché così vuole Iddio: “Quia sic est voluntas Dei”: lo vuole la necessità delle cose, lo vuole il nostro interesse, lo vuole il timore della pena, lo vuole sopra tutto Iddio! – E qui non vi sfugga, o cari, una osservazione di grande importanza, ed è questa: la fede nostra eleva, nobilita, divinizza il potere, e così eleva, nobilita e divinizza anche la nostra sommissione e la nostra ubbidienza. Ubbidire ad un uomo come noi, forse per ingegno, dottrina, ricchezza e virtù inferiore a noi, è cosa che offende l’amor proprio, che ci umilia, e tale può essere ed è assai volte chi comanda: ma allorché al di sopra di lui io veggo Dio, che così vuole, e mi dice: Ubbidendo a quest’uomo, tu ubbidisci a Me, Re dei re —, sento tutta la mia dignità, e lungi dall’abbassarmi, ubbidendo, mi innalzo: l’uomo del potere è un valletto, che mi porta i comandi di Dio; quello sparisce ai miei occhi e questo solo mi sta dinanzi: come non mi terrei onorato di ubbidire? S. Pietro voleva che i cristiani ubbidissero per coscienza al re, cioè all’imperatore; e chi era quell’imperatore? Sappiatelo bene: era il più scellerato degli imperatori, un vero mostro di crudeltà, uccisore del maestro e della madre sua; che due o tre anni appresso avrebbe fatto mettere in croce lui stesso, Pietro, e decollare il fratel suo nell’apostolato, Paolo: era Nerone. Ma Nerone era pagano! Non importa; Pietro a nome di Dio comanda di ubbidire anche al pagano: il potere sovrano è come un raggio di luce: esso può cadere sopra un diamante come sopra il fango: la luce è sempre luce e non si contamina illuminando le sozzure. Il padre pagano cessa di essere padre perché è pagano, e cessa forse nei suoi figli il dovere di rispettarlo ed ubbidirlo? Un ministro dell’altare potrebb’essere malvagio, empio, miscredente : ma il fulgore del carattere che suggella in lui il potere divino non si eclissa, non si spegne mai; così è il potere sovrano: esso può essere nel pagano, nell’eretico, nell’empio, e noi gli dobbiamo rispetto ed ubbidienza: non è l’uomo, ma Dio che in lui rispettiamo ed ubbidiamo. Ma l’imperatore era legittimo? Legittimo Nerone! Quale domanda! Allora non si facevano siffatte questioni, sempre difficilissime a sciogliersi anche dai dotti. Si diceva soltanto: Questi è l’imperatore: il potere supremo è nelle sue mani: il mio dovere è di ubbidire: il bene pubblico lo esige: non cerco altro, ubbidisco. E in che cosa dovevano ubbidire i cristiani? S. Pietro non determina nulla: vuole dunque che si ubbidisca in ogni cosa fin là dove un’altra autorità superiore dice: Qui comincia il mio regno e qui finisce quello dell’imperatore. — In altre parole: si deve ubbidire all’autorità terrena in tutto ciò che non si oppone alla legge di Dio; a Lui è soggetto ogni potere terreno, e allorché questo vuole ch’io mi ribelli a Dio ed alla sua Chiesa, io gli rispondo: Non ubbidisco a te, ma a Dio, che è mio e tuo Re. — Così fece Pietro con Nerone! E questa la gran regola tracciata dal Principe degli apostoli e costantemente osservata nella Chiesa e che noi custodiremo fedelmente. Con questa sommessione a tutti i poteri della terra voi non solo adempirete la volontà di Dio e farete il bene, scriveva S. Pietro, ma imporrete silenzio alla ignoranza di uomini insipienti. „ Con queste parole S. Pietro chiaramente ci fa conoscere le condizioni difficili e dolorose, nelle quali si trovavano i cristiani, sospettati non solo, ma denunciati pubblicamente come nemici dell’imperatore, sprezzatori delle leggi, pronti alla rivolta. Col vostro rispetto all’imperatore e a tutte le autorità, colla obbedienza alle leggi, voi, diceva S. Pietro, chiuderete la bocca a questi calunniatori, che, non conoscendovi, vi rappresentano come ribelli. – Miei cari! Alcun che di simile avviene anche al giorno d’oggi, nella nostra Italia. Certi giornali, certi scrittori, certi uomini ci designano pubblicamente come nemici della patria, come avversi alle sue istituzioni, alla sua libertà, alla sua grandezza, alla sua indipendenza: questa sì atroce accusa cade particolarmente sopra di noi, uomini di Chiesa. Ma seguendo l’esempio dei primi cristiani e il precetto di S. Pietro, colle opere, col nostro rispetto, colla nostra ubbidienza sincera e costante alle leggi ed alle autorità tutte ci studieremo di mostrare il nostro amore alla patria, e secondo le nostre forze ne procureremo la prosperità e la gloria, perché questo è pure un dovere impostoci da Dio. S. Pietro passa oltre e tocca una verità utile allora, oggi per noi necessaria, e che vorrei fosse da voi tutti debitamente ponderata. Udite: “Diportatevi come liberi, e non pigliando la libertà a mantello di malizia, ma come servi di Dio. „ Voi siete stati redenti da Gesù Cristo, e per Lui avete acquistata la libertà di figli di Dio. Ma che libertà è questa, che Gesù Cristo vi ha data? E la forza di vincere le vostre passioni, di conoscere la verità e rigettare l’errore, di praticare la virtù: Gesù Cristo vi ha chiamati alla libertà del bene, ma non vi ha sottratto ai vostri doveri, non vi ha sciolto dall’obbedienza, che dovete ai principi. Voi a ragione dite: Noi siamo liberi; ma badate bene di non usare della libertà per servire la iniquità, per gettarvi in braccio alle passioni, per coprire la licenza. Oggi la bella e santa parola di libertà per molti vuol dire “mantello di malizia” — “Velamen habentes malitiæ libertatem”.— Vogliono la libertà, ma quale libertà? La libertà di ingiuriare, di calunniare, di opprimere il fratello: la libertà di spargere la discordia: la libertà di scuotere il giogo della autorità paterna e sovrana: la libertà di farsi schiavi della superbia, della gola, dell’avarizia, della lussuria, del peccato. È questa libertà vera, o fratelli? Chiamereste voi libertà quella di potervi strappare gli occhi, di potervi tagliare, le braccia, di potervi togliere la ragione, di potervi gettare in un precipizio? Questo è abuso di libertà, non mai libertà. – Quella è vera libertà, che ci rende padroni di noi stessi, signori delle nostre passioni, che ci affranca dal vizio e dal peccato, che ci fa maggiormente simili a Dio, il quale non può far il male. Allora la nostra libertà è perfetta quando non offendiamo l’altrui, quando adempiamo tutti i nostri doveri, primo dei quali è ubbidire a Dio: Sicut servi Dei. Seguono quattro bellissime esortazioni di Pietro. “Onorate tutti, amate i fratelli, tetemete Dio, riverite il re. „ Il Vangelo fu e sarà sempre il più perfetto codice non solo di morale, ma eziandio di quella che dicesi civiltà ed educazione. Esso vuole che colle parole e colle opere sempre ed in ogni luogo onoriamo sinceramente non pure quelli che per dignità, scienza o per qualsiasi altro titolo ci sono superiori, ma gli eguali ed anche gli inferiori: “Omnes honorate”, prevenendovi gli uni gli altri con quegli atti, che sono segni di stima e di onore, come altrove insegna san Paolo. E onoreremo tutti, se tutti ameremo come fratelli: “Fraternitatem diligite”. Chi ama una persona la onora e vuole che da tutti sia onorata, e l’onore che le rende è sempre in ragione dell’amore. Quei superbissimi e terribili uomini della rivoluzione francese, che scossero tutta Europa e rovesciarono l’ordine antico di cose, scrissero sulla loro bandiera queste tre parole famose: Libertà, eguaglianza, fratellanza. Parole sante bene intese e bene applicate! Quei Titani della rivoluzione avevano l’orgoglio di credere d’aver essi pei primi proclamata la fratellanza universale, ignoravano che diciotto secoli prima S. Pietro aveva scritto: Fraternitatem diligite. — Amate la fratellanza. ” Temete Iddio — Deum timete. „ Temiamo Iddio, perché è infinita maestà e giustizia e non lascia impunita colpa alcuna; temiamo Iddio, non come lo schiavo teme il padrone, ma come il figlio teme il padre suo; il nostro sia timore di offenderlo, un timore misto ad amore. “Riverite il re — Regem honorificate. „ Ripete ciò che disse sopra per mostrare come la cosa gli stia a cuore, e non fa bisogno il dire, che questa riverenza dovuta al capo dello Stato deve manifestarsi nella obbedienza e nella preghiera, che per lui si deve fare, secondo ché S. Paolo comanda nella sua lettera a Timoteo (I. II, 1). – S. Pietro da Dio discende al re e dal re discende ai padroni ed ai servi e, rivolto a questi, dice: “Voi, servi, siate sottomessi, con ogni riverenza, ai padroni, non solo buoni e discreti, ma anche capricciosi. „ Quale insegnamento, o dilettissimi! La condizione dei servi, dirò meglio, degli schiavi, era orribile: potevano essere venduti e barattati come merce; potevano essere maltrattati, percossi ed anche uccisi: la legge non si curava di loro, perché li teneva in conto di proprietà del padrone, che poteva farne quell’uso, che voleva. Voi potete comprendere qual fosse la condizione di questi sventurati, venuti a mano dei padroni pagani, spesso senza cuore. L’apostolo non dice loro: Rivendicatevi a libertà, fate valere la vostra ragione: non avrebbe fatto che rendere più dolorosa la loro sì misera condizione: il Vangelo di Gesù Cristo ha collocato il rimedio dei maggiori mali nel grande segreto della pazienza e della rassegnazione che finisce col vincere e guadagnare gli stessi oppressori. S. Pietro vuole che questi infelici ubbidiscano ai loro padroni, ed ubbidiscano con ogni riverenza, e ubbidiscano ad essi non solo quando sono buoni, discreti, ma anche quando sono puntigliosi, capricciosi, cattivi, perché è questo il miglior modo di scemare i proprii mali e di rendere mansueti e trattabili i padroni. — Servi, dipendenti, che mi ascoltate e che forse talvolta trovate i vostri padroni difficili, duri, indiscreti, esigenti, capricciosi, ingiusti, ricordate le parole di san Pietro e fatene regola della vostra condotta. Il più terribile problema che si affacci alla mente dell’uomo, è questo: vedere la virtù avvilita, tribolata, oppressa, e la malvagità onorata, felice, trionfante. Se non ci fosse la fede, che ci mostra al di là della tomba la giustizia, che infallibilmente sarà fatta, sarebbe da disperare, da maledire la virtù, e ripetere col fiero Romano : “O virtù, tu non sei che un sogno. „ Ma la fede fa scendere dall’alto un raggio della sua luce e ci assicura che Dio un giorno renderà a ciascuno secondo le opere sue, e la ragione si calma, il cuore respira ed il problema è sciolto. Ecco ciò che insegna S. Pietro in quest’ultimo versetto: “Questo è cosa grata, se alcuno per coscienza innanzi a Dio sostiene molestie, soffrendo ingiustamente. „ – Sì, o cari, è un favore del cielo, è una gloria per noi soffrire molestie, dolori e persecuzioni ingiuste per amore di Dio, perché queste saranno il seme che ci frutterà la gioia eterna del cielo!

Omelia sul Vangelo della III Domenica dopo Pasqua

[del canonico G.B. Musso, Vol. II – 1851]

– Recidivi –

   “Miei cari (così Gesù Cristo a’ suoi discepoli nell’ultima cena, come abbiamo da S. Giovanni nell’odierno Vangelo), miei cari, fra poco più non mi vedrete, “Modicum, et non videbitis me”; e dopo un altro poco voi ritornerete a vedermi,” – “Modicuum, et videbitis me”. Attoniti i discepoli a questo parlare si domandano a vicenda qual ne sia il significato, e si protestano di non intenderlo. Fra non molto (dir voleva, secondo alcuni sacri spositori, il divino Maestro) fra non molto verrà l’ora e la potestà delle tenebre, sarà percosso il pastore e disperso il gregge, avverrà quel che più volte ho predetto, il Figliuol dell’uomo sarà dato in man dei gentili, sarà flagellato, deriso, crocifisso, sepolto, e perciò più non mi vedrete, “Modicum et non videbitis me”; ma poi dopo un altro poco, cioè dopo tre giorni, risorto da morte apparirò a voi in Galilea, e di nuovo mi rivedrete, “Modicum, et vìdebitis me”. Questa vicissitudine rinnovano in strano senso colpevole non pochi cristiani. Dicono anch’essi (almeno col fatto) ai lor piaceri, ai lor vizi, in vicinanza di Pasqua o di qualche altra solennità: convien accostarsi ai santi Sacramenti, bisogna lasciar il peccato, male pratiche, giuochi, ridotti, fra poco non mi vedrete. “Modicum, et non videbitis me”; ma siccome ogni cosa ha il suo tempo, dopo poco, passati i giorni santi torneremo a vederci. “Modicum, et vìdebitis me”. Ad impedire, quanto per me sia possibile, questa dannevolissima alternazione dal male al bene, dal bene al male, io vengo a dimostrarvi, che il far passaggio dal peccato alla grazia, dalla grazia al peccato, in una parola , che il ricader nel peccato egli è un delitto, che merita maggior castigo, sarà il primo punto della presente spiegazione; egli è un delitto che porta all’ultimo dei castighi, cioè l’impenitenza finale, sarà il secondo, se mi degnate di attenzione cortese.

I – Il ricadere in peccato merita maggior castigo. Volete vederlo? rammentate Caino, allorché tinte le mani del sangue di Abele, andava fuggiasco sulla faccia della terra. Ahimè, diceva egli preso dall’orrore del suo misfatto, ahimè, chiunque m’incontrerà vendicherà col sangue mio il sangue del mio tradito fratello. No, rispose Iddio, nol voglio. Perciocché ti porrò in fronte un tal segno, in cui ognuno legga il mio divieto. Anzi chi avesse 1’ardire di ucciderti, sarà punito sette volte di più, “punietur septuplum”: ma come? Il primogenito dei presciti uccide il primogenito degli elètti, e non dev’essere ucciso, e l’uccisore di questo scellerato, sette volte di più sarà punito, “septuplum punietur” (Gen. IV, 15)? Adoro, o Signore, i vostri profondi giudizi; ma non gl’intendo. Scioglie la Glossa la difficoltà, per questa ragione, perché sarebbe questi un secondo omicida, del primo assai più reo, “quia est homicida secundus”. E qual differenza passa tra il primo, ed il secondo omicida? Eccola, il primo, cioè Caino, non avea ancor veduta in faccia la morte, né della morte i tristi effetti e le lagrimevoli conseguenze, e perciò in questo senso è meno grave il suo reato. Ma il secondo omicida, dopo aver veduto morto un simile a sé, a terra steso, senza colore, senza moto, senza respiro, e poco dopo putrido, fetente, inverminito, ridotto ad uno scheletro, risolversi poi a dar morte ad un altr’uomo, merita costui di essere più gravemente punito “septuplum punietur”. – Ecco il vostro caso, peccatori fratelli, voi quando la prima volta peccaste per bollore di gioventù, o per impeto di passione, o per debolezza d’animo, o per sconsigliato trasporto, foste in qualche modo degni di compassione e di scusa; ma dopo aver conosciuto che il vostro peccato vi ha ucciso l’anima in seno, dopo aver conosciuto che, secondo la giusta espressione di S. Paolo, avete, quanto è da voi, rinnovata la Crocifissione e la morte al Figliuolo di Dio, dopo aver provato angustie d’animo, reclami della sinderesi, timori della rea coscienza, frutti amarissimi del peccato, dopo averlo detestato e pianto a piè del confessore, a piè del Crocifisso, tornando di nuovo a commetterlo, la malizia si fa maggiore, maggior la gravezza, merita per conseguenza punizione maggiore, “septuplum punietur”. – Fingete che il figliuol prodigo, dopo essere stato accolto fra i dolci amplessi e le tenere lacrime del suo buon genitore, da lui distinto con ricco anello, con abito sontuoso, con lauto banchetto, con i tratti dell’amor più sviscerato, colle rimostranze della più viva allegrezza, si fosse dopo pochi giorni nuovamente partito dalla casa paterna, senza dargli un addio, per portarsi in quei lontani paesi a ricominciare le sue scostumatezze, e consumare le sue sostanze; che avreste voi detto? Figlio disleale? figlio snaturato! Mostro d’ingratitudine! Sarebbero state queste le vostre giuste invettive. Or queste stesse invettive ricadrebbero sopra di voi, se dopo esser tornati a Dio ritornaste al peccato. Voi come il prodigo fuggiste dal Padre celeste, e al par delle sue furono le vostre dissolutezze e le vostre disgrazie. Pentiti poi de’ vostri traviamenti faceste a lui ritorno, ed egli accogliendovi a braccia spiegate, e a cuore aperto vi rivestì dell’abito preziosissimo della grazia santificante, foste ammessi alla sacra mensa, pasciuti delle carni immacolate del divino Agnello, e si fece in cielo gran festa pel vostro ravvedimento, come ne assicura il Vangelo. Se dopo tali grazie e tal finezze voltaste di nuovo a Dio le spalle per ripigliare il primiero costume di vita licenziosa, qual termine potrebbe esprimere la vostra sconoscenza, e qual vi trarreste addosso esemplare castigo! – Ma che dissi sconoscenza? Ingiuria invece, ingiuria atroce, insulto gravissimo. Udite come parla a Dio, colla voce del fatto più esprimente che le parole, chiunque dopo essersi riconciliato con Dio ritorna ai peccati di prima : Signore, ho provato quanto è tristo il mondo, quanto costa lo sfogo delle passioni, quanto è amaro il peccato, e punto da rimorsi, sazio di me stesso e stufo di peccare, sono a voi ricorso ravveduto e pentito. Ho allora sperimentato colla quiete di mia coscienza il bene della vostra amicizia, ho gustato il dolce della vostra grazia. Con tutto ciò mi sento ora nausea del vostro servizio, mi trovo allettato dai miei trascorsi piaceri, voglio di nuovo provare se starò meglio, se sarò più contento con soddisfar nuovamente i miei sensi, i miei capricci, le mie passioni. A tanto affronto, a tanto insulto, lascio a voi considerare, uditori, quale e quanta convenga rigorosa punizione e tremenda vendetta. – Né solo il ricader in peccato merita maggior castigo, ma porta all’ultimo e massimo di tutti i castighi, qual è l’impenitenza finale.

II – Io leggo che tutti i veri penitenti, entrati una volta nella strada della salute, d’ordinario non si sono più voltati addietro. Cosi Adamo, cosi Eva, cosi Davide, così Manasse. Mirate Matteo, mirate Zaccheo, si convertono, fanno restituzioni e limosine, ed usure non più. Piange Pietro, piange la Maddalena, questa abbandona per sempre le sue vanità, quegli abbomina per sempre i suoi spergiuri. Si converte Paolo, da persecutore si cangia in Apostolo, da lupo in agnello, e più non si muta, e compie col martirio l’intrapresa carriera. Si converte Agostino, scrive le sue Confessioni, e versa lacrime sui suoi trascorsi fino all’estrema agonia. Un S. Camillo, un S. Andrea Corsino, le sante Maria Egiziaca, Margherita da Cortona, escono dalla via di perdizione, e non ci metton piede mai più. Volgete l’antico Testamento ed il nuovo, leggete la storia della Chiesa, e vedrete che un vero penitente d’ordinario non cangia più strada, non muta più volontà. Una volontà per l’opposto, che domani ripiglia quel che ieri lasciò, che colla stessa facilità pecca e si pente, si pente e torna a peccare, mostra che la sua conversione non è sincera, ma di sola apparenza; ciò non di meno quest’istessa apparenza va lusingando il peccatore recidivo per modo che, non ostante la sua incostanza, crede una cosa facile passare dal peccato alla giustificazione onde ingannato s’incammina ad un morbo insanabile, che lo porta a morire impenitente. – Insegnano i fisici che una piaga non si può rimarginare se non colla quiete e col riposo, e perciò se avvenga che si apra una piaga nel nostro polmone, difficilmente si può saldare; perché essendo questo sempre in moto giorno e notte, nella veglia e nel sonno, per dare al corpo il necessario respiro, quel moto continuo impedisce che si chiuda la piaga, che congiunta con lenta etica febbre cagiona la morte. Non altrimenti passando voi, recidivi fratelli miei, con un movimento continuo dal peccato alla grazia, dalla grazia al peccato, o per dir meglio dalla confessione alla colpa, dalla colpa alla confessione, questo moto, questa incostanza farà che le piaghe della vostr’anima non possano rimarginarsi, e come avviene agli etici vi lusingherete di sempre star meglio, mentre sarete già marci, già morti agli occhi di Dio, e prossimi a chiudere la vita nell’ impenitenza finale, ultimo e massimo di tutt’i castighi. – Avverrà a voi, che Dio non voglia, ciò che avvenne ad Assalonne. Questo discolo figlio di Davide, dopo aver ucciso il suo fratello Ammone, fugge dall’indignato padre, esce fuori del regno; ma dopo tre anni, mal soffrendo il lungo esilio, tanto si adopra, tanto promette, che finalmente ottiene grazia e perdono. Eccolo di ritorno in Gerusalemme, eccolo nella reggia fra le braccia del genitore, che gl’imprime in volto mille teneri baci. “Post haec(II Re, XV, 1), dopo sì amorevoli tratti chi il crederebbe? Macchina il perfido contro del padre, forma disegni a toglierli la corona di fronte, e gli eseguisce. Già innalzato lo stendardo della ribellione, gli ha contro sollevato tutto Israele, e già coll’armi alla mano s’impegna in sanguinosa battaglia: ma disfatto il suo esercito nella foresta di Efraim, si dà avvilito a precipitosa fuga, passa sul suo destriero sotto una quercia, il vento gli solleva la chioma, s’impaccia questa fra i rami, gli sfugge di sotto il cavallo, ed ei resta in aria sospeso per i suoi capelli: si divincola in questo stato, si vuol liberare, ma non può, ma non vi riesce: vede appressarsi Gioabbo, e come io ne penso, gli avrà detto il cuore un pensiero: “Quegli è Gioabbo mio parente, quegli, che già una volta si è tanto adoprato per riconciliarmi col padre, senza dubbio ei viene a liberarmi: porta in mano una lancia, con quella senz’altro reciderà l’impaccio della mia chioma. Si accosta Gioabbo, e gli trapassa il cuore con tre colpi di lancia. – Cristiani penitenti, già vel dissi, voi avete data la morte co’ vostri peccati a Gesù Cristo vostro fratello, che con questo nome s’è compiaciuto appellarsi. Iddio compatendo la vostra fragilità, mosso dal vostro pentimento, dalle vostre preghiere, dalle vostre promesse, vi ha accordato il perdono, ed abbracciandovi vi ha stampato in fronte il bacio di pace. “Post hæc”, se dopo tratti così amorevoli, vi rivoltate contro un Dio sì pietoso, se armati di peccato gli muovete guerra, aspettatevi pure il tragico fine di Assalonne. Verrà sì, verrà anche per voi il giorno estremo, il punto di morte, in cui, come sospesi tra il tempo e l’eternità, agitati confusi non vi sarà dato di liberarvi dai vostri affannosi timori. Chiamerete allora quel confessore, quel Gioabbo, che già vi riconciliò con Dio: verrà alla sponda del vostro letto; ma sarete in quel punto da tre pensieri, come da tre lance, trafitti. Il pensiero del passato: “Oh! io era in grazia di Dio, feci quella buona confessione, se mi fossi mantenuto a Dio fedele non mi troverei in queste angosce”. Il pensiero del presente: Ecco il ministro di Dio che mi assolve, ma quest’assoluzione sarà forse un colpo per me di pesantissimo sacrilegio. Il pensiero del futuro: Ah! che la spada della divina giustizia mi pende sul capo, e tra poco scaricherà su di me il colpo fatale della giusta sua collera, e della mia eterna condanna. – Ecco l’ordinario fine dei peccatori recidivi. Si rassomigliano costoro al cane, che torna a divorarsi quel cibo che vomitò: “Sicut canis qui revertitur ad vomitum suum, così nei Proverbi: “Sicut canis reversus ad vomitum [Cap. XXVI, 11], così S. Pietro [2 Piet. II, 22]. Or che sarà di questi sordidi cani? Che ne sarà? Udite S. Giovanni. “Foris canes, et venefici, et impudici[Apoc. XXII, 15], fuori del regno dei cieli, fuori questa razza di cani stomachevoli, che vomitano il veleno de’ propri peccati, e ritornano ad ingoiarlo colla stessa franchezza,foris canes”! – I convertiti per lume celeste, conchiude l’Apostolo, i quali gustarono quanto è dolce star bene con Dio, e di nuovo cadono in peccato, egli è impossibile che si rialzino ad abbracciare un’altra volta la penitenza. “Impossibile est eos, qui semel sunt illuminati, gustaverunt bonum Dei, et prolapsì sunt, rursus reverti ad poenitentiam [Ebr. VI, 4,5,6.]: non già che sia ciò assolutamente impossibile, come insegnano Padri e Teologi. Finché c’è vita, c’è speranza, c’è luogo a perdono; ma la scrittura santa in più luoghi e S. Paolo nel testo citato, si servono della parola impossibile” per significare la grande grandissima difficoltà di risorgere, e di salvarsi per quei che ricadono nel mortale peccato già detestato e pianto. Se questo tuono non ci riscuote, v’è a temere il fulmine che c’incenerisca; che Dio ci liberi! 

Credo…

Offertorium V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus Ps CXLV:2 Lauda, anima mea, Dóminum: laudábo Dóminum in vita mea: psallam Deo meo, quámdiu ero, allelúja. [Loda, ànima mia, il Signore: loderò il Signore per tutta la vita, inneggerò al mio Dio finché vivrò, allelúia.]

Secreta His nobis, Dómine, mystériis conferátur, quo, terréna desidéria mitigántes, discámus amáre coeléstia. [In virtú di questi misteri, concédici, o Signore, la grazia con la quale, mitigando i desiderii terreni, impariamo ad amare i beni celesti.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Communio

Joannes 16:16 Módicum, et non vidébitis me, allelúja: íterum módicum, et vidébitis me, quia vado ad Patrem, allelúja, allelúja. [Ancora un poco e non mi vedrete più, allelúia: ancora un poco e mi vedrete, perché vado al Padre, allelúia, allelúia.]

Postcommunio S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus. Sacramenta quæ súmpsimus, quæsumus, Dómine: et spirituálibus nos instáurent aliméntis, et corporálibus tueántur auxíliis. [Fai, Te ne preghiamo, o Signore, che i sacramenti che abbiamo ricevuto ci ristòrino di spirituale alimento e ci siano di tutela per il corpo.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XXXVII-XL]

 

XXXVII.

NON SO CHE FARMENE D’ANDARE A MESSA: PREGO DIO EGUALMENTE A CASA MIA.

R. E lo pregate voi molto in casa vostra? Perdonatemi se m’inganno: ma io sospetto un poco che non Lo preghiate più a casa vostra che alla Chiesa. La questione, notate, non e di sapere se voi pregate Iddio cosi bene a casa vostra che alla Messa; ma di sapere se Iddio vuole che nella domenica e nelle feste, Io preghiate alla Messa e non a casa vostra. – Or Egli lo vuole. – Voi vi ricordale, che abbiamo già ragionato di ciò insieme, ed abbiamo convenuto che le leggi religiose de’ pastori della Chiesa cattolica erano obbligatorie in coscienza, perché essi fanno queste leggi colla stessa autorità di Gesù Cristo. « Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi, disprezza me. » La Chiesa prescrivendoci d’assistere alla Messa, nelle domeniche e feste di precetto, è disobbedire a nostro Signor Gesù Cristo, è disobbedire a Dio stesso il trascurare d’andarvi. – Il motivo che ha dato luogo a questa legge è importantissimo; anche la legge stessa lo è moltissimo. È la necessità del pubblico culto che è d’uopo rendere a Dio. – Noi non viviamo solo individualmente come uomini, come cristiani: viviamo ben anco come società religiosa: e questa società di cui siamo i membri, stabilita da Dio stesso ha verso di Lui doveri ad adempiere, egualmente che ciascuno di noi in particolare. Ora il culto pubblico della società ( o Chiesa) cristiana è precisamente l’assistere al sacrifizio della Messa, che ci riunisce tutti alla presenza del nostro Dio, nel suo tempio, in giorni a ciò stabiliti, gli uni da Dio stesso [È Dio il quale ha istituito , dall’origine del mondo, il riposo del settimo giorno a perpetua memoria della creazione e della eternità. La domenica è il giorno di Dio, il giorno in cui ci dobbiamo più specialmente occupare di Lui e prepararci alla nostra eternità che sarà il riposo eterno e l’eterna domenica], altri da nostro Signor Gesù Cristo, altri finalmente dagli Apostoli o loro successori. Il non unirsi in questi solenni momenti al resto della famiglia cristiana, è, in qualche modo, rinunciare al titolo di cristiano, di Figlio di Dio, di discepolo di G. C , di membro della Chiesa cattolica. – Perciò è un grave peccato mancare alla Messa nella domenica e nelle feste comandate, senza una vera necessità. La gravità di questa trascuranza tanto più si comprende, quanto più si conosce la grandezza, la santità, l’eccellenza divina del sacrificio della Messa. La Messa è come il centro di tutta la Religione. E come potrebbe essere altrimenti? Essa è il sacrificio di Gesù Cristo centro di tutta la Religione, Dio dei cristiani, principio e fine di tutte le cose. – Nella Messa Gesù Cristo è presente, vivo e glorioso nella sua divinità e nella sua umanità; vi compie e vi rinnova l’atto supremo di tutta la sua vita, il suo Gesù Cristo è la gran vittima della salute del mondo. L’uomo per causa del peccato sì era diviso da Dio, e l’incenso della sua preghiera non era più che un incenso insozzato ed impuro. Gesù Cristo il figlio di Dio fatto uomo, soffrendo e morendo per noi ha riparato questo disordine. Egli ci salvò, rese alle nostre anime lo Spirito Santo che ne è la vita eterna’. Quando noi siamo uniti ad e s so per via della grazia, cioè, quando il suo Spirito vivifica e santifica la nostra anima, possediamo in germe la vita eterna, e se ci troviamo in questo stato felice al momento di nostra morte, noi entriamo nella vita eternamente beata per rimanervi per sempre. Gesù Cristo adunque è stato il nostro Salvatore, la vittima della nostra salute. Tutta la sua vita è stata una preparazione al gran sacrificio che ha offerto per noi sulla croce, nel venerdì santo. – Or bene la Messa è la continuazione non cruenta di questo sacrificio di Gesù Cristo attraverso dei secoli e delle generazioni umane. Non avvi alcuna sostanziale differenza tra il sacrificio della croce e il sacrificio della Messa. È lo stesso sacrificio offerto sotto forma differente. Il prete è lo stesso, è Gesù Cristo: visibile sul Calvario, invisibile e nascosto nel sacerdote all’altare. La vittima è la stessa, Gesù Cristo: cruenta al Calvario, incruenta e velata sotto le specie del sacramento all’altare. Le differenze non sono che puramente esteriori ed apparenti; ma nella sostanza il sacrifizio è lo stesso. – Il Salvatore volle che tutti gli uomini avessero la buona ventura di assistere all’atto di loro salute, e che ciascheduno potesse ricevere da Lui stesso in persona la benedizione che apporta a tutti. È al momento della consacrazione (o elevazione) verso la metà della Messa, che Gesù Cristo, la vittima del grande sacrificio discende sopra l’altare, si offre nuovamente a suo Padre per adorarLo in nostro nome, per ringraziarLo a nome nostro, per domandarGli il perdono cui i nostri peccati ci rendono indegni di ottenere, per domandarGli tutte le grazie, tutti i beni di cui abbiamo bisogno. – Per la parola misteriosa e divina del sacerdote, o piuttosto di Gesù Cristo medesimo, che parla per mezzo del suo ministro, lo stesso miracolo d’amore, che si è operato alla santa Cena il Giovedì santo, si rinnovella ciascun giorno sui nostri altari. Il pane ed il vino son cambiati nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo, e non conservano più che le semplici specie del pane e del vino; di maniera che dopo la consacrazione non vi è sull’altare altro che il corpo, e il sangue di Gesù Cristo; che Gesù Cristo vivente, compendiando così nel santo Sacramento tutti gli stati, tutti i misteri della sua carriera mortale, e della sua vita gloriosa. Il momento del Sacrificio, come abbiamo detto, è quello della consacrazione. Si è in questo solo momento, infatti, che Gesù Cristo sì offre nuovamente a suo Padre, e rinnova l’offerta che ha fatto sulla croce dei suoi patimenti e della sua morte per la nostra salute. Tutto ciò che precede la consacrazione è la preparazione a questo adorabile sacrificio, tutto ciò che la segue ne è il compimento ed il ringraziamento. Mutate dunque ormai di linguaggio. Venite con tutti i vostri fratelli, venite al vostro Salvatore; è per voi, che discende, che s’immola in questo gran mistero. Egli vi ama, vi benedice…. e voi, che avete tanto bisogno di Lui, voi, che senza Lui non potete salvare la vostr’anima, voi non Lo curate, Lo disprezzate, Gli preferite occupazioni futili, frascherie, bagattelle!…. Credetemi, rientrate in voi stesso; diventate migliore. Adempite un dovere, che è tanto facile, quanto importante e necessario. Andate alla domenica ai piedi di Dio per rivedere come avete passata la settimana, e provvedervi per la seguente. Dio vi benedirà, e voi sarete felice.

XXXVIII

MI MANCA IL TEMPO.

R. Avete il tempo per mangiare?

— Senza dubbio.

— E perché mangiate?

— Qual domanda! per non morire. Il nutrimento é la vita dei corpo.

— Qual val più, la vostr’anima, o il vostro corpo?

— Bella domanda nuovamente! la mia anima senza alcun dubbio.

— Ehi fate dunque per la vostr’anima almeno quanto fate per il corpo! Trovale, prendete il tempo per far vivere il corpo, e non prendete quello di far vivere radiala!  Io vorrei vedere, che il vostro padrone pretendesse di togliervi il tempo di mangiare. Certamente voi abbandonereste subito lui, e il suo negozio, e direste; Anzi tutto bisogna vivere. Or bene, io vi dico in modo più urgente ancora: Anzi tutto, anche prima della vita del corpo, anzi tutto non lasciate morire la vostra anima, che è la parte principale di voi stesso, la vostra anima che fa di voi un uomo, poiché per il corpo non siamo che animale, è l’anima sola che fa l’uomo, e lo distingue dal bruto. La religione vi dà la vita della vostra anima unendola a Dio, e voi dite, “Mi manca il tempo di praticar la mia religione?” Or bene prendetevelo questo tempo necessario. Prendetevelo, ad ogni costo, non importa in che tempo ed a spese di qualsiasi. Nessuno ha il diritto di privarvene, né il vostro padrone, né i vostri maestri, né vostro padre, né vostra madre; nessuno senza eccezione! – La salute eterna della vostra anima non può esservi tolta da alcuna creatura, e se qualcheduno osasse portar attentato al più sacro dei vostri diritti, sarebbe il caso di praticare questa grande regola degli apostoli: è meglio obbedire a Dio che agli uomini. « Ma il mio stato, soggiungete voi, m’impedisce di attendere alla mia salute. » È ciò vero? Badate alla risposta; perché se mi rispondete: SI, dopo avervi ben riflettuto, io vi dirò: Allora bisogna abbandonarlo, e sceglierne un altro. La vita, infatti, passa prontamente; ma l’eternità rimane. È dunque il pensiero dell’eternità che deve dominare tutta la vostra vita. A che vi servirà guadagnare il mondo intero, se venite a perdere la vostra anima?- Ma siamo sinceri. È egli poi vero che non possiate salvarvi, vivere cristianamente nel vostro stato? È forse il vostro stato che v’impedisce di fare una breve preghiera mattina e sera? È forse il vostro stato che vi impedisce di sollevare di tempo in tempo il vostro cuore a Dio nel corso della giornata, di offrirGli le vostre preghiere, il vostro lavoro, le vostre privazioni? Non è già esso che vi fa giurare, bestemmiare il nome di Dio, frequentare ì trivj, i balli, le bettole, i luoghi di depravazione… Il tempo che consumate in tal modo sarebbe cento volle sufficiente per fare di voi un buon cristiano se voi l’impiegaste ad operare la vostra salute. – Non è già il vostro stato che vi impedisce, la sera, dopo la vostra giornata, alle vigilie delle grandi feste, di andare a trovare un confessore, d’andare a ricevere col perdono dei vostri peccati, consigli e incoraggiamenti per meglio vivere in avvenire. In fatto di coscienza, è cosa ben chiara, sì ha il tempo di fare ciò che si vuole. Ma bisogna volerlo fortemente, energicamente e con perseveranza. Non ripetete dunque più: « Io non ho tempo di vivere cristianamente ; » perché ingannereste voi stesso. – Dite piuttosto so volete: Io non ho tanto tempo, tanta facilità, quanto vorrei » — Sia; ma, in sostanza, è il cuore e la buona volontà che Dio domanda; e non è necessario gran tempo per amare Iddio, fuggire il peccato, pentirsi delle proprie colpe; non abbisogna gran tempo per far la sua preghiera in ciascun giorno, e non abbisogna pur anco molto tempo per assistere alle funzioni parrocchiali nella domenica, e per andar a confessarsi quattro o cinque volte nell’anno. Altri fanno tutto ciò, e più ancora. Ne conosco, che non lanciano passare un mese senza ricevere i sacramenti, e non sono perciò cattivi operai.—Come fanno essi?— Fate ciò, che essi fanno;abbiate buona volontà, come essi; e come essi voi vivrete da vero cristiano; e come essi voi andrete in paradiso in luogo d’andare all’inferno. Chi non dà a Dio il suo tempo, Iddio gli negherà la sua eternità.

XXXIX.

IO NON POSSO! È TROPPO DIFFICILE!

R. Dite piuttosto che voi non volete! Si può tutto ciò che si vuole in tutto quello che riguarda la coscienza e la salute. Ciò che manca non è già il potere, è il coraggio. Si teme la fatica, s’indietreggia. Il vero cristiano è un prode; simile a un buon soldato, che gli sforzi de’ nemici non fanno che eccitarlo vieppiù a combattere, nulla teme, appoggiato a Gesù Cristo, da Lui prende tutta la sua forza. Se cade si rialza, e ricomincia il combattere più forte che prima. – « Io non posso! » Il pigro, che al mattino sbadiglia, si stira, si voltola nel letto, e ricomincia a dormire in luogo di lavorare, dice pure: “Io non posso”. Verrà giorno, in cui vedrete che potevate. Ma allora non sarà più tempo e il momento della fatica sarà passato: starete davanti al tribunale di Gesù Cristo, ed udirete la sua terribile parola: «Via da me maledetti, al fuoco eterno, che fu preparato pel diavolo e per i suoi angeli » (s. Matteo, c. XXV). In quel giorno comprenderete, che potevate! Ciò nulla meno vi ha qualche cosa di assai vero in ciò che dite. No, voi non potete vincere le vostre passioni, e praticare le virtù così sublimi del cristiano, se non cercate, colà dove si trova, la forza necessaria a ciò. – No, voi non potete evitare i peccati, di cui avete l’abitudine, se non impiegate i mezzi, che Gesù Cristo vostro Salvatore ha consegnati a questo fine nelle mani della sua Chiesa. Questi mezzi voi li conoscete. In tempi più felici, quando eravate buono, puro, onesto, perché eravate cristiano, voi li avete impiegati, e avete sentito da voi medesimo tutta la loro dolcezza, tutta la loro forza. È la preghiera; È la santificazione della domenica; È l’istruzione religiosa; È soprattutto la frequenza della confessione e della santa Comunione. È la fuga delle occasioni pericolose, dei piaceri colpevoli, dei cattivi compagni e delle cattive letture. Senza questi mezzi, no, voi non potete esser buono. Con questi mezzi non solamente lo potete, ma niente vi è di più dolce, di più facile. Quanti giovani ed uomini d’ogni età e condizione hanno passioni più violente che voi, e le domano tuttavia, e le hanno signoreggiate! Molti sono più esposti che voi nol siate, e hanno più ostacoli d’ogni genere a vincere. Perché non potrete voi fare ciò che essi fanno? Coraggio dunque! È questo che manca. Si è cristiano, quando efficacemente si vuole!

XL.

MI SI FAREBBERO LE BEFFE! NON BISOGNA FARE IL SINGOLARE, BISOGNA FARE COME GLI ALTRI.

R. Siete voi una capra, amico, ovvero un uomo? Le capre, ben lo so, seguonsi l’una l’altra; se la prima si getta in un buco, la seconda la segue, la terza segue la seconda, la quarta segue la terza; e così di seguito; esse vi si gettano perché le altre vi si son gettate: esse fanno come le altre. Ma gli uomini devono essi agire d’una maniera così stupida? Eh! quanti sono capre in questo punto! Quanti vanno all’inferno perché gli altri vi vanno! – « Non bisogna fare il singolare, » si dice. Si deve fare, bisogna fare il singolare, non per orgoglio o perché si sdegnino gli altri, ma perché bisogna essere buono in mezzo al mondo malvagio. Il male abbonda, e il bene è raro; vi sono molti perversi e pochi buoni, molti pagani e pochi Cristiani. I malvagi formano la massa; sono essi che fanno la moda ed il costume. Chi vuol seguir l’altra strada, che è la buona, è perciò costretto a singolarizzarsi. Or bene, questa singolarità bisogna averla. Essa è il segno, la condizione necessaria della vostra eterna salute. Nostro Signor Gesù Cristo ci ha dichiarato in termini formali: « Entrate – dice Egli – per la porla stretta; perché « larga è la porta, e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quei che entrano per essa. Quanto angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita; e quanto pochi son quei che la trovano! » (s. Matteo cap. VII). – « E non temete coloro – aggiunge egli in un altro passo dell’evangelo – non temete coloro che uccidono il corpo e non possono uccidere l’anima, ma temete piuttosto colui che può mandare in perdizione e l’anima e il corpo all’inferno…». « Chiunque mi rinnegherà dinanzi agli uomini, Io rinnegherò anche io dinanzi al Padre mio che è ne’ cieli » (s. Matteo cap. X). « E chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo malgrado tutti gli ostacoli, malgrado soprattutto le beffe, gli esempi e gli sforzi dei libertini» (s. Matteo cap. XXIV). È egli chiaro l’avviso? È il Giudice eterno che ce lo annunzia. È Colui che non parla giammai invano, e che di sua propria bocca proclama che « Il cielo e la terra passeranno, ma che le sue parole non passeranno mai. » Bisogna dunque, sotto pena di eterna dannazione, vivere nel mondo, differente dal mondo. Bisogna gloriarsi di questa singolarità, anziché temerla ed arrossirne. È dessa che ci fa Cristiani. « Ma si faranno beffe di me. » E che?! Lasciate che si burlino di voi; voi non morrete per ciò! Burlatevi di quelli che si burlano di voi; essi sono i ridicoli, voi siete il savio. Quale dei due deve burlarsi dell’altro: il folle del savio, o il savio del folle? – Se si burlassero di voi perché mangiate, o perché camminate su i piedi, e non sulla testa, cessereste perciò di mangiare, e vi mettereste a camminar sulle mani? No. E perché? Perché ciò che fate è ragionevole e ben fatto, e che vi si vorrebbe veder fare un assurdo. – Quanto è più assurdo il perdere la vostra anima per piacere a qualche sconsigliato, di cui nel fondo del vostro cuore disprezzate il libertinaggio! La lode di simili persone è vera vergogna; il loro biasimo è un bene. È segno che non si somiglia ad essi. – “Si burleranno di me”; dunque non voglio servir Dio. Sarebbe un ragionamento simile a quello di un francese il quale non volesse più servire la Francia sua patria, per tema di spiacere agli inglesi nemici della Francia! – Ma non esagerate troppo le cose. Voi non sarete il solo del vostro partito. Benché vi siano più cattivi, che buoni, il numero di questi è tuttavia più grande di quello che credesi, specialmente a’ giorni nostri, in cui la Religione va riprendendo vieppiù il suo benefico impero.— Nelle alte classi della società è ora un’onorevole raccomandazione l’essere Cristiano. Siate buono, amabile, officioso verso tutti, ridete cogli altri di ciò di cui si può ridere senza offendere Dio; ed essi vi lasceranno tosto tranquillo in riguardo della Religione, appena appena vi attaccheranno. – Non vi mostrate debole per una parola, per uno sguardo, per un sogghigno… Lasciate che si perdano coloro, che vogliono perdersi; voi che conoscete come va la cosa, salvate la vostra anima. Lasciate ridere chi vorrà ridere. “Riderà bene, chi riderà l’ultimo”.

S. PIO V CONFESSORE E PONTEFICE

5 MAGGIO.

PIO V CONFESSORE E PONTEFICE

Pio V, chiamato al secolo Michele Ghisleri, nacque in Bosco, piccolo villaggio del Piemonte e frequentando fino da fanciullo un convento di Domenicani finì per abbracciarne l’Ordine. Distinguendosi fra i molti compagni per profondità di sapere e sodezza di virtù, appena ebbe l’età fu promosso al Sacerdozio. – Con grande zelo disimpegnò sotto i Papi Paolo IV, e Pio IV i gravi uffici di inquisitore di Lombardia e quindi di Vescovo di Alessandria, uffici nei quali non solo divenne celebre per il suo ardente zelo ma ancora per la prudenza e perspicacia con cui seppe disimpegnarli. Venuta più tardi vacante la romana sede, il Ghisleri venne eletto Sommo Pontefice, assumendo il nome di Pio V. – I tempi correvano tristi, l’eresia luterana che spargeva faville di ribellione ovunque minacciava la Fede cattolica in tanti paesi, e sebbene sedesse da molti anni il Concilio di Trento per arrestare appunto l’eresia di Lutero, i fautori di esso erano sì astuti che i Padri del Concilio non riuscivano a venirne a capo. Fu in questi tempi tristi che i l santo Pontefice Pio V svolse tutto il suo Apostolato di bene. Egli incominciò col reprimere la dissolutezza ed il vìzio, quindi con l’aiuto del Borromeo chiuse il Concilio Tridentino intimando che ne fossero eseguiti i canoni: contribuì pure alla correzione del Breviario e del Messale. – Ma se tristi erano i tempi quanto al lato morale non meno tristi erano per il lato politico, poiché i Turchi che circondavano l’Italia minacciavano continuamente di penetrarvi e saccheggiare Roma. Ma S. Pio V seppe pure trionfare di questi gravi pericoli, assistito dalla S. Madonna, ch’egli tanto amava. Convocati infatti e riuniti in un unico esercito i principi cristiani, ordinò di liberare finalmente le popolazioni italiane dal grave pericolo dei Turchi. L’esercito con i principi dietro il comando del Papa partì, accompagnato dalle preghiere di tutta la cristianità; e nelle acque di Lepanto, si incontrò col nemico. Terribile fu la lotta, ma il Pontefice accompagnava l’esercito cristiano con la recita del S. Rosario e la vittoria tutta di Maria SS. fu dei cristiani; i Turchi furono messi in disordinata fuga; e da quel giorno tanto memorabile nella storia della Chiesa, Maria fu onorata col titolo di « Auxilium Christianorum » e con la solennità del S. Rosario. – S. Pio V, per purgare poi l’aiuola della Chiesa, non lavorò solo a parole, ma anche con l’esempio, mostrandosi esemplare in ogni virtù. Visse sobrio ed umile, passando gran parte delle sue giornate nella preghiera per la dilatazione del Regno di Cristo e per la pace della Chiesa in quei tempi tanto sconvolta. Dopo fecondo apostolato fu visitato da crudele infermità che sopportò con santa rassegnazione. Morì nel maggio del 1572, mentre tutta la cristianità ripeteva: « Ci fu rapito un padre, è morto un santo ».

VIRTÙ. — Il S. Rosario è una preghiera universale: recitiamolo, meditando i santi misteri.

PREGHIERA. — Dio, che a sconfiggere i nemici della tua Chiesa e restaurare il divin culto ti degnasti di eleggere il Sommo Pontefice beato Pio; fa che noi difesi dal suo soccorso, siamo così attaccati al tuo servizio che superate le insidie di tutti i nemici, ci allietiamo di una perpetua pace. Così sia. [un Santo per ogni giorno -1933, imprim.-]

Omelia di san Leone Papa

Sermone 2 nell’anniversario della sua elezione, prima della metà

Allorché, come abbiamo inteso dalla lettura del Vangelo, il Signore domandò ai discepoli, chi essi (in mezzo alle diverse opinioni degli altri) credessero ch’Egli fosse, e gli rispose il beato Pietro con dire: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matth. XVI,16; il Signore gli disse: « Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te l’ha rivelato la natura e l’istinto, ma il Padre mio ch’è nei cieli Matth. XVI,17-19: e Io ti dico, che tu sei Pietro, e su questa pietra Io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei: e darò a te le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa legherai sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli». Rimane dunque quanto ha stabilito la verità, e il beato Pietro conservando la solidità della pietra ricevuta, non cessa di tenere il governo della Chiesa affidatagli. – Infatti in tutta la Chiesa ogni giorno Pietro ripete: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; ed ogni lingua, che confessa il Signore, è istruita dal magistero di questa voce. Questa fede vince il diavolo e spezza le catene di coloro ch’esso aveva fatti schiavi. Questa, riscattatili dal mondo, li introduce nel cielo, e le porte dell’inferno non possono prevalere contro di lei. Perché essa ha ricevuto da Dio fermezza sì grande, che né la perversità della eresia poté mai corromperla, né la perfidia del paganesimo vincerla. Così dunque, con questi sentimenti, dilettissimi, la festa odierna viene celebrata con un culto ragionevole; così che nella umile mia persona si consideri ed onori Colui nel quale si perpetua la sollecitudine di tutti i pastori e la custodia di tutte le pecore a lui affidate, e la cui dignità non vien meno neppure in un erede. – Quando dunque Noi facciamo udire le nostre esortazioni alla vostra santa assemblea, credete che vi parla Quello stesso di cui teniamo il posto: perché animati dal suo affetto noi vi avvertiamo, e non vi predichiamo altro se non quello ch’Egli ci ha insegnato, scongiurandovi, che cinti spiritualmente i vostri lombi, «meniate una vita casta e sobria nel timor di Dio» 1Petri 1,13. Voi siete, come dice l’Apostolo, «la mia corona e la mia gioia» Philipp. IV,1, se però la vostra fede, che fin dal principio del Vangelo è stata celebrata in tutto il mondo, persevererà nell’amore e nella santità. Poiché, se tutta la Chiesa sparsa per tutto il mondo deve fiorire in ogni virtù; è giusto che fra tutti i popoli voi vi distinguiate per il merito di una pietà più eccellente, voi che, fondati sulla vetta stessa della religione e sulla pietra dell’apostolato, siete stati riscattati, come tutti, da nostro Signore Gesù Cristo e, a preferenza degli altri, istruiti dal beato Apostolo Pietro.

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Basterebbe questa brevissima biografia ed il brano dell’omelia di S Leone, per capire cosa significhi essere un Papa Cattolico. Oggi la maggior parte dei “finti” cristiani, coscientemente o meno, apostati, ma sempre e comunque colpevoli, ha abboccato “allegramente” alle sceneggiate proposte fin dal 1958 dalle “marionette” massoniche poste sul “teatrino” della sinagoga di satana … si pensi solo alla strenua azione del Papa Ghisleri contro l’eretico spergiuro Lutero e contro le sue sataniche proposizioni, eresiarca della peggior specie, omicida-suicida, oggi osannato dalla “falsissima” corrotta gerarchia dei marrani, quasi canonizzato dal “clown della pampa” che è già corso a festeggiare con i “fratelli di grembiulino” protestanti e ancora continuerà … Usquequo Domine, usquequo!…

Solo un’altra breve osservazione: con il Rosario tra le mani il Santo Padre scongiurava l’invasione dei turchi dell’epoca: prendiamo esempio, forse è proprio perché questo nessuno di noi oramai lo fa più, che i turchi, i saraceni ed i maomettani moderni ci stanno invadendo con le “galere” degli scafisti protette e scortate, rendendo inutili gli eroismi di Lepanto e la preghiera di S. Pio V.

Che la Vergine ci conceda una nuova e definitiva LEPANTO!

3 MAGGIO 2017

Questo per la Chiesa Cattolica è un giorno di importanza straordinaria. 1) È il giorno della Invenzione della Santa Croce. 2) Si commemora sant’Alessandro I martire e Papa. 3) Si festeggia l’anniversario della elezione del Sommo Pontefice GREGORIO XVIII [3 maggio 1991]. Questi tre avvenimenti sembrano essere stati combinati appositamente: la Festa dell’Invenzione ci ricorda che solo la Croce è simbolo di salvezza, simbolo non solo iconografico, ma segno al quale si deve uniformare la vita del Cristiano, vita di Passione per giungere alla finale Resurrezione. Un esempio lampante ce ne viene fornito dalla vita e dalla morte del Santo martire e Papa Alessandro I. il terzo avvenimento ci rende lieti oltremodo, perché è stata la data nella quale la Chiesa Cattolica in eclissi ha continuato il suo corso Apostolico, con l’elezione del nuovo Pontefice attualmente regnante, come Gesù aveva solennemente promesso ai suoi: “Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi”, sfilandosi da una mortale apparente crisi, voluta, attuata e determinata con accanimento caparbio dai soliti “nemici di Dio e di tutti gli uomini”, infiltrati come modernisti novatori sulla piattaforma preparata dai marrano-apostati dalla “quinta colonna” e dalle conventicole mondialiste. A queste già importanti ricorrenze si è aggiunta oggi pure la Festa del Patrocinio di San Giuseppe, proclamato da PIO IX protettore della Chiesa Cattolica, il mercoledì della settimana seguente la II Domenica dopo Pasqua! Felici i cattolici che possono godere di queste Feste incredibilmente importanti ed oggi confluite in questo unico giorno di grazia!

Patrocinio di San Giuseppe

San Bernardino da Siena: Sermone su S. Giuseppe

È regola generale di tutte le grazie singolari concesse a qualche creatura ragionevole, che, ogni volta che la bontà divina sceglie qualcuno per onorarlo d’una grazia singolare o elevarlo ad uno stato sublime, gli doni tutti i carismi, che alla persona così eletta e al suo ufficio sono necessari, e l’adorni largamente di questi doni. Il che s’è verificato soprattutto in san Giuseppe, padre putativo di nostro Signore Gesù Cristo, e vero sposo della Regina del mondo e della Sovrana degli Angeli; il quale fu scelto dall’eterno Padre a fedele nutrizio e custode dei suoi principali tesori, cioè del suo Figlio e della sua Sposa: ufficio ch’egli adempì fedelissimamente. Al quale perciò il Signore disse: « Servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore» Matth. XXV,21. – Se lo consideri rispetto a tutta la Chiesa di Cristo, non è egli forse l’uomo eletto e singolare, sotto del quale Cristo fu posto nel suo ingresso nel mondo e per mezzo del quale fu salvaguardato l’ordine e l’onore della sua nascita? Se pertanto tutta la Chiesa è debitrice alla Vergine Madre, perché per Lei fu fatta degna di ricevere il Cristo; così dopo di Lei deve a Lui senza dubbio una riconoscenza e venerazione singolare. Egli è come la chiave dell’antico Testamento, in cui il merito dei patriarchi e dei profeti consegue il frutto promesso. Egli solo infatti possiede realmente quanto la bontà divina aveva a quelli promesso. Giustamente dunque Egli è figurato nel patriarca Giuseppe, che conservò il frumento ai popoli. Però Egli lo sorpassa, perché non solo ha fornito il pane della vita materiale agli Egiziani, ma, nutrendo (Gesù) con somma cura, ha procurato a tutti gli eletti il Pane del cielo, che dà la vita celeste. – Certamente non è a dubitare, che Cristo non abbia conservata in cielo, anzi non abbia compita e resa perfetta quella famigliarità, rispetto e sublimissima dignità, che, come un figlio a suo padre, gli accordò durante la vita terrestre. Onde non senza razione nella parola citata il Signore aggiunge: «Entra nel gaudio del tuo Signore» Matth. XXV,21. E benché il gaudio dell’eterna beatitudine entri nel cuore dell’uomo, tuttavia il Signore amò dirgli; «Entra nel gaudio»; per insinuare misticamente che questo gaudio non è solamente dentro di lui, ma che lo circonda d’ogni parte e lo assorbe e lo sommerge come un abisso senza fondo. Ricordati pertanto di noi, o beato Giuseppe, e coll’aiuto della tua preghiera intercedi presso il tuo Figlio putativo; e rendici altresì propizia la beatissima Vergine tua sposa, la Madre di colui che col Padre e collo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Così sia.

INVENZIONE S. CROCE

[da “I Santi per ogni giorno dell’anno”- Alba, 1933. Imprim.]

Dopo l’orrendo deicidio compiutosi sul Calvario, la Croce imporporata dal sangue del Salvatore era stata trafugata dagli infedeli e da questi nascosta sotto un cumulo di rovine, erigendo poi su di essa un tempio a Venere. I Cristiani afflitti per tanta perdita aspettavano dal Cielo, quale grazia segnalata, il giorno in cui, vinto il nemico si potesse ritrovare la preziosa reliquia per esporla alla venerazione di tutti i fedeli. Ed il giorno fortunato venne. Iddio che aveva fatto chinare innanzi alla Croce il grande Costantino, aveva pure attratto al suo amore la madre S. Elena, la quale sentendosi ispirata a visitare i luoghi santi e ricercare la croce si consigliò con suo figlio. – Costantino, felice della deliberazione della madre, pose a sua disposizione tutto l’occorrente per il lungo viaggio, quindi S. Elena, piena di fede e di amore a Gesù Crocifisso partì con il suo seguito alla volta di Gerusalemme. – Giuntavi e conosciuto per divina rivelazione il luogo ove giaceva il prezioso legno, fece abbattere il tempio di Venere, ordinando quindi grandi scavi. Dopo immenso lavoro, il 14 Settembre dall’anno 320 apparvero tre croci con i chiodi della passione. Ma quale delle tre sarebbe quella del Salvatore? Per esserne certi, avvicinarono ad un malato una ad una le tre croci e solamente al tocco della vera Croce, il malato gettando un grido di gioia, si levò risanato. – Non vi era più dubbio, quella era la S. Croce sulla quale Gesù Cristo aveva operata la Redenzione nostra. S. Elena alla vista della S. Reliquia cadde ginocchioni e con lei tutta l’immensa folla. – Portata quindi in trionfo a Gerusalemme, si fecero grandi feste, dopo le quali il santo legno venne consegnato al Vescovo della città che lo rinchiuse in preziosa teca d’argento, dalla quale non si leva che il Venerdì Santo. S. Elena aveva però staccato un pezzetto della Croce e unito ai chiodi e alla tabella con l’iscrizione lo inviò a Roma. Quivi da questo pezzo se ne staccarono tanti altri che vennero distribuiti alle varie chiese di tutta la cristianità. Prima però di partire da Gerusalemme la madre del grande imperatore, comandò di edificare sulle rovine del tempio di Venere un grandioso tempio cristiano a perpetua memoria del grande beneficio ricevuto. E da quel giorno benedetto l’Imperatore Costantino proibì a tutti i popoli a lui soggetti, la crocifissione dei delinquenti. – Ricordiamoci che mentre su questa terra la Croce è per noi l’unica fonte di salvezza, nel giorno del giudizio finale, quando comparirà nel cielo, sarà per noi condanna, se non avremo saputo approfittare dei torrenti di grazie che da essa scaturiscono.

VIRTÙ. — La Croce è il segno del cristiano: facciamo sempre bene il segno di croce prima e dopo di ogni azione.

PREGHIERA. — Dio che nell’Invenzione memoranda della croce salutifera, rinnovasti i miracoli di tua passione, ci concedi che per le virtù del legno,vitale conseguiamo la grazia della vita eterna. Così

San ALESSANDRO martire e PAPA

Alessandro, Romano, governò la Chiesa sotto l’imperatore Adriano, e convertì a Cristo gran parte della nobiltà Romana. Egli stabilì che nella Messa si offrisse solo pane e vino: ordinò che nel vino si mescolasse dell’acqua, a motivo del sangue e dell’acqua che sgorgarono dal costato di Gesù Cristo; e aggiunse nel Canone della Messa: «Il quale prima che patisse». Lo stesso decretò che si conservasse sempre in chiesa dell’acqua benedetta mescolata con sale, e se ne usasse nelle abitazioni per scacciare i demoni. Governò dieci anni, quindici mesi e venti giorni, illustre per santità di vita e salutari ordinazioni. Ricevé la corona del martirio insieme con Evenzio e Teodulo, preti, e fu sepolto sulla via Nomentana, a tre miglia da Roma, sul luogo stesso dove fu decapitato; dopo aver creato in diversi tempi nel mese di Dicembre sei preti, due diaconi e cinque vescovi per luoghi diversi. I loro corpi trasportati poi a Roma, furono sepolti nella chiesa di santa Sabina.

… A Roma, sulla via Nomentana, la passione dei santi Martiri Alessandro primo Papa, Evenzio e Teodolo preti. Tra essi Alessandro, sotto il Principe Adriano ed il Giudice Aureliano, dopo le catene, la prigionia, l’eculeo, le graffiature ed il fuoco, fu trafitto con punture spessissime per tutte le membra ed ucciso, … [dal Martirologio del 3 maggio – 1954, imprim.]

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San Alessandro ha vissuto un Martirio materiale, corporale; Papa Gregorio XVIII sta vivendo un Martirio nell’anima e dello spirito nell’osservare le turpitudini, i sacrilegi, le blasfemie immonde, gli abomini desolanti, le bestemmie deliranti che si attuano continuamente nei sacri edifici usurpati alla Chiesa Cattolica. Ma questo Getsemani avrà ben presto un fine e canteremo con il salmista: …

Qui habitat in cælis, irridebit eos (Ps. II)

Dominus autem irridebit eum, quoniam prospicit quod veniet dies ejus”.(Ps. XXXVI) –

“Et tu, Domine, deridebis eos; ad nihilum deduces omnes gentes.(Ps. LVIII)- Laetabitur justus cum viderit vindictam; manus suas lavabit in sanguine peccatoris.

Et dicet homo: Si utique est fructus justo, utique est Deus judicans eos in terra”. (Ps. LVII) … e l’uomo dice: “se c’è un premio per il giusto, c’è Dio che fa giustizia sulla terra!”.

 

 

 

 

3 MAGGIO 1991-Salmi sul nome PETRUS

3 MAGGIO 1991

Il 3 maggio del 1991, due anni dopo la morte di Gregorio XVII (Cardinal Siri), dopo una laboriosa convocazione ed una pericolosa e problematica adunata, si teneva a Roma il Conclave segreto convocato dal Cardinal Camerlengo. Il giorno precedente i Cardinali avevano officiato la Messa da requiem in suffragio del Santo Padre defunto due anni prima, e si riunirono nuovamente onde procedere all’elezione del suo legittimo successore. Queste scarne notizie sono fornite dal sito “The pope in red”, sito approvato dalla Gerarchia in esilio, cioè dai consacrati o confermati dal Santo Padre Gregorio XVII nell’ultimo anno della sua vita, prima di essere scoperto ed “eliminato”. Durante questo breve conclave venne eletto canonicamente e legittimamente il “vero” Santo Padre che, in onore del suo predecessore, assunse il nome di Gregorio XVIII. Egli, per grazia di Dio, ha compiuto il suo 26° anno di Papato, scavalcando così Papa Leone XIII nella classifica di longevità Pontificia, e ponendosi al IV posto dopo S. Pietro, Pio IX, e lo stesso Gregorio XVII. Auguriamo al Santo Padre di scavalcare ancora altre posizioni in questa speciale classifica, assicurandogli nel contempo il sostegno dei “veri” Cattolici Italiani, con la preghiera del Santo Rosario e dei 6 “Salmi sul nome PETRUS”!

AUGURI SANTITA’!

Salmi sul nome PETRUS

Ecce sacerdos magnus, qui in diebus suis placuit Deo, et inventus est iustus: et in tempore iracundiæ factus est reconciliatio.

Hymnus

Beate Pastor, Petre, clemens accipe Voces precantum, criminumque vincula Verbo resolve, cui potestas tradita Aperire terris caelum, apertum claudere.

Quodcumque in orbe nexibus revinxeris, Erit revinctum, Petre, in arce siderum: Et quod resolvit hic potestas tradita, Erit solutum caeli in alto vertice; In fine mundi iudicabis sæculum. Sit Trinitati sempiterna gloria, Honor, potestas, atque iubilatio, In unitate, quæ gubernat omnia, per universa æternitatis saecula. Amen.

-P-

Antif.: Petrus et Ioannes, …

Ps. CVII

Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum; cantabo, et psallam in gloria mea.

Exsurge, gloria mea; exsurge, psalterium et cithara; exsurgam diluculo.

Confitebor tibi in populis, Domine, et psallam tibi in nationibus;

quia magna est super caelos misericordia tua, et usque ad nubes veritas tua.

Exaltare super cælos, Deus, et super omnem terram gloria tua;

ut liberentur dilecti tui, salvum fac dextera tua, et exaudi me.

Deus locutus est in sancto suo: exsultabo, et dividam Sichimam; et convallem tabernaculorum dimetiar.

Meus est Galaad, et meus est Manasses; et Ephraim susceptio capitis mei. Juda rex meus,

Moab lebes spei meæ; in Idumaeam extendam calceamentum meum; mihi alienigenae amici facti sunt.

Quis deducet me in civitatem munitam? quis deducet me usque in Idumaeam? nonne tu, Deus, qui repulisti nos? et non exibis, Deus, in virtutibus nostris? Da nobis auxilium de tribulatione, quia vana salus hominis.

In Deo faciemus virtutem; et ipse ad nihilum deducet inimicos nostros.

 Antif.: Petrus et Ioannes – ascenderunt in templum ad horam orationi nonam.

-E-

Antif.: Ego autem,

salmo LX

Exaudi, Deus, deprecationem meam, intende orationi meæ.

A finibus terræ ad te clamavi, dum anxiaretur cor meum; in petra exaltasti me.

Deduxisti me, quia factus es spes mea, turris fortitudinis a facie inimici.

Inhabitabo in tabernaculo tuo in sæcula; protegar in velamento alarum tuarum.

Quoniam tu, Deus meus, exaudisti orationem meam; dedisti hæreditatem timentibus nomen tuum.

Dies super dies regis adjicies; annos ejus usque in diem generationis et generationis:

Permanet in æternum in conspectu Dei: misericordiam et veritatem ejus quis requiret?

Sic psalmum dicam nomini tuo in sæculum sæculi, ut reddam vota mea de die in diem.

 Antif.: Ego autem in Domino gaudebo, et exultabo in Deo Jesu meo

-T-

Antif.: Tu es Petrus, super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, …

Ps. LXIV

Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddetur votum in Jerusalem.

Exaudi orationem meam; ad te omnis caro veniet.

Verba iniquorum prævaluerunt super nos, et impietatibus nostris tu propitiaberis.

Beatus quem elegisti et assumpsisti: inhabitabit in atriis tuis. Replebimur in bonis domus tuæ; sanctum est templum tuum,

mirabile in aequitate. Exaudi nos, Deus, salutaris noster, spes omnium finium terrae, et in mari longe.

Praeparans montes in virtute tua, accinctus potentia;

qui conturbas profundum maris, sonum fluctuum ejus. Turbabuntur gentes,

et timebunt qui habitant terminos a signis tuis; exitus matutini et vespere delectabis.

Visitasti terram, et inebriasti eam; multiplicasti locupletare eam. Flumen Dei repletum est aquis; parasti cibum illorum; quoniam ita est præparatio ejus.

Rivos ejus inebria, multiplica genimina ejus; in stillicidiis ejus laetabitur germinans.

Benedices coronæ anni benignitatis tuæ, et campi tui replebuntur ubertate. Pinguescent speciosa deserti, et exsultatione colles accingentur.

Induti sunt arietes ovium, et valles abundabunt frumento; clamabunt, etenim hymnum dicent.

 Antif.: Tu es Petrum, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam

-R-

Antif.: Regem apostolorum Dominum,

Ps. CXVIII [ghimmel-daleth]

Retribue servo tuo, vivifica me, et custodiam sermones tuos.

Revela oculos meos, et considerabo mirabilia de lege tua.

Incola ego sum in terra, non abscondas a me mandata tua.

Concupivit anima mea desiderare justificationes tuas in omni tempore.

Increpasti superbos; maledicti qui declinant a mandatis tuis.

Aufer a me opprobrium et contemptum, quia testimonia tua exquisivi.

Etenim sederunt principes, et adversum me loquebantur; servus autem tuus exercebatur in justificationibus tuis.

Nam et testimonia tua meditatio mea est; et consilium meum justificationes tuae.

Adhaesit pavimento anima mea; vivifica me secundum verbum tuum.

Vias meas enuntiavi, et exaudisti me; doce me justificationes tuas.

Viam justificationum tuarum instrue me, et exercebor in mirabilibus tuis.

Dormitavit anima mea præ tædio; confirma me in verbis tuis.

Viam iniquitatis amove a me, et de lege tua miserere mei.

Viam veritatis elegi; judicia tua non sum oblitus.

Adhaesi testimoniis tuis, Domine; noli me confundere.

Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum.

 Antif.: Regem apostolorum Dominum, venite ad oremus!

-U-

Antif.: Ut intercessionis eius auxilio,

Ps. XII

Usquequo, Domine, oblivisceris me in finem? usquequo avertis faciem tuam a me?

Quamdiu ponam consilia in anima mea, dolorem in corde meo per diem?

Usquequo exaltabitur inimicus meus super me?

Respice, et exaudi me, Domine Deus meus. Illumina oculos meos, ne umquam obdormiam in morte;

nequando dicat inimicus meus: Praevalui adversus eum. Qui tribulant me exsultabunt si motus fuero;

ego autem in misericordia tua speravi. Exsultabit cor meum in salutari tuo. Cantabo Domino qui bona tribuit mihi; et psallam nomini Domini altissimi.

 Antif.: Ut intercessionis eius auxilio, a peccatorum nostrorum nexibus liberemur

-S-

Antif.: Si diligis me, Simon Petre,

Salmo CXXVIII

Sæpe expugnaverunt me a juventute mea, dicat nunc Israel;

saepe expugnaverunt me a juventute mea; etenim non potuerunt mihi.

Supra dorsum meum fabricaverunt peccatores; prolongaverunt iniquitatem suam.

Dominus justus concidit cervices peccatorum.

Confundantur, et convertantur retrorsum omnes qui oderunt Sion.

Fiant sicut foenum tectorum, quod priusquam evellatur exaruit,

de quo non implevit manum suam qui metit, et sinum suum qui manipulos colligit.

Et non dixerunt qui præteribant: Benedictio Domini super vos. Benediximus vobis in nomine Domini.

 Antif.: Si diligis me, Simon Petre, pasce oves meas. Domine, tu nosti quia amo te.

Oremus

Petrus quidem servabatur in carcere; oratio autem fiebat sine intermissione ab Ecclesia ad Deum pro eo.

R. Constitues eos principes * Super omnem terram. V. Memores erunt nominis tui, Domine.

R. Super omnem terram. V. Nimis honorati sunt amici tui Deus. R. Nimis confortatus est principatus eorum.

Orémus

Deus, qui beato Petro Apostolo tuo collatis clavibus regni cælestis ligandi atque solvendi pontificium tradidisti: concede; ut intercessionis eius auxilio, a peccatorum nostrorum nexibus liberemur. Per Dominum …

Profezia di S. Pio X dell’esilio e della prigionia di Gregorio XVII – Fatima e la SEDE IMPEDITA

 “Ho visto uno dei miei successori, dello stesso mio nome, Che stava fuggendo (da Roma) … egli morirà di una morte crudele “.

Vedo i russi a Genova  

Nel 1909, durante una udienza per il capitolo generale dell’Ordine Francescano, Papa Pio X improvvisamente cadde in trance. Il pubblico aspettava in silenzio riverente. Quando si svegliò, il papa gridò: “Quello che vedo è terrificante, sarò io stesso … sarà un mio successore? Certo è che il Papa uscirà da Roma e lasciando il Vaticano dovrà camminare sui cadaveri dei suoi sacerdoti.

Proprio prima della sua morte (avvenuta il 20 agosto 1914), Papa Pio X ebbe un’altra visione: “Ho visto uno dei miei successori, un mio omonimo (Giuseppe), che stava fuggendo sui corpi dei suoi fratelli. Si rifuggerà in un luogo nascosto, ma dopo un breve riposo, morirà di una morte crudele (il 2 maggio del 1989)”.

Lo stesso Papa aveva anche predetto la guerra per l’anno 1914 ; durante la sua agonia di morte (nel 1914), disse: “Vedo i russi a Genova”….“I russi a Genova”: si riferisce alle visite minacciose degli emissari russi a Genova per sondare le intenzioni di Siri una volta asceso al Papato, o forse ai carcerieri fiancheggiatori della giudeo/massoneria che lo sorvegliavano in ogni sua mossa quando era ostaggio a Genova. Ma … “qui habitat in cælis irridebit eos … “

LA PRIGIONE DI GREGORIO XVII a Genova.

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Fatima predice la “Sede Impedita”: la Persecuzione del “vero” Papa

“Vedi l’Inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori … Se [la gente] non smette di offendere Dio, Egli punirà il mondo per i suoi crimini per mezzo della guerra, della fame, e con la PERSECUZIONE della Chiesa e DEL SANTO PADRE ». -Nostra Signora di Fatima, 1917 d.C.

Nota: le persone non hanno mai smesso di “offendere Dio”. Di conseguenza, Dio ha punito il mondo attraverso la peggiore persecuzione di colui che è la “Guida al Cielo” (il Santo Padre) della storia: Gregorio XVII 1958-1989, e Gregorio XVIII 1991-tuttora vivente, hanno sofferto quello che la Chiesa definisce come “SEDE IMPEDITA”. Questa avviene quando un Vescovo (in questo caso di Roma, il Papa) è impedito nel suo ufficio da forze esterne che agiscono PUBBLICAMENTE.

La pastorella Jacinta Marto, che ha aveva avuto una visione speciale di almeno uno dei Papi “impediti” della Chiesa sotterranea, disse: “Povero Santo Padre, dobbiamo pregare molto per lui”. Naturalmente i cattolici devono sostenere anche finanziariamente il Papa (per la sua sicurezza). Il messaggio di Fatima, anche in queste ultime ore, continua a sostenere la speranza … ma a condizione che agiamo! … “Non vi è alcun problema, vi dico, non importa quanto difficile, che non possiamo risolvere con la preghiera del Santo Rosario: con il Santo Rosario ci salveremo, ci santificheremo: “Consola nostro Signore ed ottiene la salvezza di molte anime “. -Suor Lucia di Fatima (?!?), 26 dicembre 1957.

[vedi sul blog, i Dettagli Storici della Consacrazione Pontificale della Russia al Cuore Immacolato di Maria” in: “25 anni di Papato”/exsurgatdeus.org]

La Madonna di Fatima è venuta a diffondere la devozione al suo Cuore Immacolato. Ci ha detto di pregare il Rosario quotidianamente, di fare penitenza e di indossare lo Scapolare marrone.

Il 13 maggio 1991 il Successore di Gregorio XVII consacrò la Russia, per nome, al Cuore Immacolato, in unione con tutti i Vescovi del mondo.

Il Signore a Lucia di Fatima, il 3 agosto 1931 dC (Rianjo, Spagna): “(I Pontefici) non hanno voluto rispettare la mia richiesta ma, come il re di Francia, si pentiranno e la faranno (la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato in unione con tutti i vescovi del mondo), ma sarà troppo tardi: la Russia avrà già diffuso i suoi errori in tutto il mondo provocando guerre e persecuzioni della Chiesa, il Santo Padre avrà molto da soffrire . ”

 Papa Gregorio XVIII ha consacrato la Russia al Cuore Immacolato di Maria, cosa che gli altri Papi non fecero. – “… ma la (consacrazione) sarà fatta troppo tardi: la Russia ha oramai già diffuso i suoi errori …”

“Essi (i Papi, da Pio XI a Gregorio XVII) non hanno voluto seguire la mia richiesta, ma come il Re di Francia, si pentiranno e lo faranno poi (il Papa Gregorio XVIII, il 13 maggio 1991 a Roma), ma La Russia avrà già diffuso i suoi errori in tutto il mondo, provocando guerre e persecuzioni della Chiesa, per le quali il Santo Padre avrà molto da soffrire “.

Storica Correlazione:

Il Re di Francia nel 1688 ed Il Re di Roma (Il Santo Padre) nel 1929! 

1688: 17 giugno, il nostro Signore (attraverso Santa Margherita Maria Alacoque) chiese al re di Francia Luigi XIV di consacrare il suo regno al suo Sacro Cuore, altrimenti si sarebbe verificata una grave calamità alla corona francese. Luigi XIV – non acconsentì. 1788: il 17 giugno, il re Luigi XVI perse il suo trono 100 anni dopo nel giorno esatto in cui Il Signore aveva fatto la sua richiesta di Consacrazione al suo Sacro Cuore.

1929: 1 giugno (in Tuy): Nostra Signora di Fatima chiese a Suor Lucia che il Re di Roma (Il Santo Padre) in unione con tutti i Vescovi del Mondo, consacrasse la Russia al suo Cuore Immacolato, “È arrivato il momento in cui Dio chiede al Santo Padre, in unione con tutti i Vescovi del mondo, di consacrare della Russia al mio Cuore Immacolato, promettendo di salvarla con questo mezzo. Ci sono tante anime che la giustizia di Dio condanna per i peccati commessi contro di me, e sono venuta a Chiederne la riparazione: sacrificatevi per questa intenzione e pregate “. (Pio XI – non ha risposto!).

1958: 26 ottobre, il Re di Roma, il Santo Padre, perse il suo trono (che fu cioè usurpato!!!

1931: 3 agosto (a Rianjo): Nostro Signore a Suor Lucia, “Non hanno voluto rispettare la mia richiesta. Come il re di Francia, si pentiranno e la faranno, ma sarà ormai troppo tardi: la Russia avrà già diffuso i propri errori in tutto il mondo, provocando guerre e persecuzioni della Chiesa; il Santo Padre avrà Tanto da soffrire “.

Preghiamo per la conversione totale della Russia e per il Trionfo del Cuore Immacolato di Maria [S. S. Papa Gregorio XVIII!]

Le sette preghiere che i bambini di Fatima hanno ricevuto dal cielo

(e che tutti dovrebbero recitare)

 “Santissima Trinità Vi adoro! Dio mio, Dio mio, Vi amo nel Santissimo Sacramento!”

2°
Per la tua pura e immacolata Concezione, o Vergine Maria, ottieni per me la conversione della Russia, della Spagna, del Portogallo, dell’Europa e del mondo intero “.

3° – “O Santissima Trinità, Padre, Figlio e Santo Spirito, ti offro il preziosissimo Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli del mondo, in riparazione dei sacrilegi, gli oltraggi e l’indifferenza con cui Esso viene offeso e, per gli infiniti meriti del suo Cuore Sacro e del Cuore Immacolato di Maria Vi prego di ottenere la conversione dei poveri peccatori “(3 volte)

4°
“Mio Dio, io credo, adoro, spero e Vi amo! Vi chiedo perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano e non Vi amano! “(3 volte)

5 °
“O Gesù mio, perdonate le nostre colpe, liberateci dal fuoco dell’inferno, pietà delle anime nel purgatorio, specialmente per le più abbandonate”.

6°
Da dirsi ogni volta che si offre un sacrificio: * “O mio Gesù, Ve lo offro per amore Vostro, per la conversione dei peccatori ed in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria”.

* (Da dirsi ogni volta che si fa un sacrificio):

7° “E per gli infiniti meriti del Suo Sacro Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, Vi chiedo, la conversione dei poveri peccatori”.

Nota: E un’ultima preghiera di Fatima. Giacinta, quando cominciarono le apparizioni, alle solite sette preghiere, aggiunse tre Ave Maria dopo il Rosario, sempre per “il Santo Padre“.

 

I MAGGIO: S. GIUSEPPE, PATRONO DEI LAVORATORI

[P. Guéranger: l’Anno Liturgico, vol. II]

Felice novità che certamente riempie di gioia il cuore di Maria! Riguarda una festa di S. Giuseppe che ormai aprirà il suo mese, maggio. Dall’inizio dell’anno liturgico la Chiesa ci dà più volte l’occasione di meditare la vocazione e la santità straordinaria del più umile e più nascosto di tutti gli uomini. La devozione verso S. Giuseppe, fondata sullo stesso Vangelo, si è però sviluppata lentamente. Ciò non vuol dire che nei primi secoli la Chiesa abbia posto ostacolo agli onori che avrebbero voluto tributargli i fedeli; ma la Divina Provvidenza aveva le sue ragioni misteriose per ritardare l’ora in cui gli sarebbero stati offerti gli onori della Liturgia. La bontà di Dio e la fedeltà del Redentore alle sue promesse s’uniscono di secolo in secolo sempre più strettamente per conservare in questo mondo la scintilla della vita soprannaturale che deve sussistere fino all’ultimo giorno. A questo scopo misericordioso, un succedersi ininterrotto di aiuti viene, per così dire, a riscaldare ogni generazione e ad apportare un nuovo motivo di confidenza nella Redenzione. A partire dal secolo XIII, in cui il raffreddamento spirituale del mondo comincia a farsi sentire [Collette nella Messa delle Stimmate di S. Francesco], ogni epoca ha visto scaturire una nuova sorgente di grazie. – Si iniziò con la festa del Santissimo Sacramento che suscitò una grande devozione al Cristo presente nell’Eucarestia; poi venne la devozione al santo nome di Gesù di cui S. Bernardino fu il principale apostolo; nel secolo XVII si diffuse il culto al Sacro Cuore; nel XIX e ai nostri giorni la devozione alla Santa Vergine ha assunto un’importanza in continuo aumento e che costituisce uno dei caratteri soprannaturali del nostro tempo. – Ma la devozione a Maria non poteva svilupparsi senza trarre seco il culto di S. Giuseppe. Maria e Giuseppe hanno effettivamente ambedue una parte troppo intima nel mistero dell’Incarnazione, l’una come Madre di Dio, l’altro come custode dell’onore della Vergine e Padre nutrizio del Bambino-Dio, perché si possano separare l’una dall’altro. Una venerazione particolare a S. Giuseppe è dunque stata la normale conseguenza della pietà verso la Santissima Vergine. – E come, per rispondere alla devozione del popolo cristiano, Pio IX, il Papa che doveva proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione, aveva esteso alla Chiesa universale il Patrocinio di S. Giuseppe ora unito alla festa del 19 marzo, così, a sua volta, il Papa che proclamò nel 1950 il dogma dell’Assunzione corporale di Maria al cielo, conscio dei bisogni del nostro tempo, ha voluto anche lui onorare S. Giuseppe in un modo tutto particolare.

Nazareth.

Vien dunque a proposito ricercare nel Vangelo le manifestazioni di questa umiltà. La stessa città ove visse la santa Famiglia sembra aver avuto la proverbiale riputazione di mediocrità: « Può forse uscir qualcosa di buono da Nazareth? » diceva Natanaele (Gv. 1, 46). Eppure, « non è nella città reale di Gerusalemme e neppure nel tempio che le dava splendore, che viene mandato il santo angelo; ma… in una piccola città dal nome quasi sconosciuto; ma alla sposa di un uomo che, veramente, era come Lei di famiglia reale, ma ridotto ad un mestiere pesante, moglie di un artigiano ignoto, di un povero falegname » [Bossuet, XII Elevazione sui misteri.]. In questo villaggio « un’umile casa, ma più augusta del tempio; un arredamento umile e povero; un operaio, la sua sposa vergine. Osserviamo: abbiamo tutto da imparare. Nazareth è la scuola per eccellenza. Notiamo l’ambiente e l’atmosfera in cui si compiono le opere di Dio: l’umiltà, la povertà, la solitudine, la purezza, l’obbedienza » [Dom Delatte, Vangelo, 1, 29.].

Betlemme.

La nascita di Gesù apporta forse qualche lustro alla Sacra Famiglia? Quantunque decaduta dalla sua origine reale, per ciò stesso che discende dalla stirpe di Davide e che i Magi hanno portato i loro doni al neonato fa supporre in lui un rivale che Erode tenterà di eliminare. Per sottrarlo a questo pericolo è necessario fuggire in Egitto. « Strana condizione di un povero artigiano che si vede bandito improvvisamente, e perché? Perché ha Gesù e l’ha in sua compagnia. Prima ch’Egli fosse nato alla sua santa Sposa, essi vivevano poveramente ma tranquilli nella loro casa, guadagnando alla bell’e meglio la vita col lavoro delle loro mani; ma appena viene loro dato Gesù, non hanno più riposo. Tuttavia Giuseppe si sottomette e non si lamenta di questo bambino fastidioso che porta solo la persecuzione; parte; va in Egitto dove tutto gli è nuovo, senza sapere quando potrà ritornare nella sua povera casa. Non si ha Gesù per niente: bisogna prender parte alle sue croci » [Bossuet, 20.a Sett., VIII Elev.]. – Anche qui S. Giuseppe è il modello di tutti coloro che, in questa nostra società paganeggiante, dovranno aspettarsi d’essere segnati a dito, forse d’essere anche perseguitati, privati del lavoro, per l’unica ragione che sono fedeli a Cristo. Quanti genitori dovranno assottigliare le già modeste risorse e imporsi duri sacrifici per assicurare ai loro figli un’educazione cristiana, perché il Cristo viva nelle loro anime! La riflessione del Bossuet ha tutto il suo valore: « Ovunque entra Gesù, vi entra con la sua croce… Non si ha Gesù per niente ».

Il laboratorio di Nazareth.

Tuttavia la Sacra Famiglia rientrò dall’Egitto e, per consiglio dell’Angelo, ritornò a stabilirsi a Nazareth. Il fanciullo Gesù cresceva in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini e il Vangelo ci dice semplicemente che era loro sottomesso. « È dunque tutta qui l’occupazione di un Gesù Cristo, del Figlio di Dio? Tutto il suo lavoro, tutto il suo esercizio sta nell’obbedire a due sue creature? E in che cosa poi? negli uffici più bassi, nell’esercizio di un mestiere manuale. Dove sono quelli che si lamentano, che brontolano quando il loro impiego non corrisponde alle loro capacità?… Vengano nella casa di Maria e Giuseppe e osservino Gesù Cristo al lavoro. Non leggeremo mai che i suoi genitori abbiano avuto dei servi: come tutta la povera gente, sono i figli che fan da servitori » [Bossuet, 14 a. Sett., III Elev.]. Ora Gesù, come tutti gli operai dapprima fu apprendista e il maestro che l’avviò all’umile professione non fu altri che Giuseppe, suo padre putativo. Quale fosse il mestiere di S. Giuseppe e, per conseguenza, quello di Gesù, il Vangelo non lo dice espressamente; però non ci lascia completamente al buio a questo riguardo. Infatti S. Marco scrive che Gesù era “faber”, e S. Matteo “fabri filius”. Senza dubbio questa parola designava ogni operaio che lavorava materia dura, legno, pietra o metallo; ma la tradizione più comune e la sola che sia rimasta sino ai nostri giorni, vuole S. Giuseppe un lavoratore del legno. Lo si dice anche carpentiere, ma questa parola non dev’essere presa nel senso preciso che le vien dato oggi: allora indicava chiunque lavorasse il legno. – Anche i Padri della Chiesa si sono compiaciuti di rilevare il valore simbolico dell’arte manuale che S. Giuseppe insegnò a Gesù, il costruttore del mondo « fabricator mundi », che è venuto per edificare la Chiesa prefigurata nell’arca di Noè, quella vasta casa natante ove trovarono rifugio quelli che dovevano sfuggire al diluvio. – Essi hanno soprattutto notato che Gesù, il quale aveva scelto il legno della croce per salvare il genere umano, durante la sua vita nascosta si era preparato all’opera della salvezza lavorando il legno. Ed è coi gesti che gli erano da tanto tempo familiari che Gesù si è caricato sulle spalle la pesante croce del suo supplizio. Insegnandogli il suo mestiere, Giuseppe dava il suo contributo all’opera redentrice di Gesù. Vi fu mai sulla terra lavoro più glorioso, più utile agli uomini, più ricco di insegnamenti, che l’umile lavoro manuale che veniva fatto nella povera falegnameria di Nazareth dal falegname Giuseppe e da Gesù, figlio di Dio, suo garzone?

Preghiera.

Umile artigiano di Nazareth, glorioso protettore degli operai, volgete il vostro sguardo verso gli operai del nostro secolo. Il loro lavoro generalmente non rassomiglia a quello che voi faceste un tempo, né le moderne officine al quieto laboratorio di Nazareth. Il rumore assordante che vi regna impedisce allo spirito di elevarsi, come vorrebbe, al di sopra della materia; ma, soprattutto, una specie di paganesimo ne ha allontanato il Cristo che, solo, vi poteva portare la sua pace, la sua giustizia, la sua carità. Per alleviare il peso, insegnateci ad amare il lavoro. Da semplice svago qual era nel paradiso terrestre, è diventato un castigo con la caduta del primo uomo. Considerato disonorevole dal mondo antico, era riservato agli schiavi. Però già da tempo il salmista ne aveva proclamato la nobiltà: « Nutriti col lavoro delle tue mani e sarai felice e colmo di beni ». Ma Cristo è venuto e vi si è sottomesso, « e ciò facendo nobilitava il lavoro degli uomini e mutava in rimedio l’antica maledizione portata contro l’uomo in punizione del peccato originale. Sottoponendosi alla legge del lavoro, insegnava agli uomini, ai peccatori, a santificarsi per questa via » [Bossuet, 20.a Sett, XII Elev.]. A vostro esempio, o Giuseppe, a loro basta ormai unire il loro lavoro a quello di Cristo per farne un’opera meritoria che riunisce Cristo e i suoi fratelli sotto lo stesso sguardo di compiacenza del Padre celeste. – Reso più facile agli uomini, il lavoro sarà anche un’offerta grata a Dio se, attenti allo spettacolo della vostra bottega di Nazareth, vi prendono l’esempio d’unione al Figlio di Dio che lavora con le sue mani, di fedeltà ai doveri del proprio stato, nella giustizia e nella Carità che farà del loro lavoro una vera preghiera e tra i loro compagni di lavoro una vera testimonianza resa a Cristo. Possiamo noi essere docili al vostro esempio, fiduciosi nel vostro patrocinio e, compiendo l’opera che ci è indicata dal Signore, ottenere le ricompense ch’Egli ci promette. Così sia.

Dagli Atti del Santo Padre Papa Pio XII

La Chiesa, madre provvidentissima di tutti, consacra massima cura nel difendere e promuovere la classe operaia, istituendo associazioni di lavoratori e sostenendole con il suo favore. Negli anni passati, inoltre, il sommo pontefice Pio XII volle che esse venissero poste sotto il validissimo patrocinio di san Giuseppe. San Giuseppe infatti, essendo padre putativo di Cristo – il quale fu pure lavoratore, anzi si tenne onorato di venir chiamato «figlio del falegname» – per i molteplici vincoli d’affetto mediante i quali era unito a Gesù, poté attingere abbondantemente quello spirito, in forza del quale il lavoro viene nobilitato ed elevato. Tutte le associazioni di lavoratori, ad imitazione di lui, devono sforzarsi perché Cristo sia sempre presente in esse, in ogni loro membro, in ogni loro famiglia, in ogni raggruppamento di operai. Precipuo fine, infatti, di queste associazioni è quello di conservare e alimentare la vita cristiana nei loro membri e di propagare più largamente il regno di Dio, soprattutto fra i componenti dello stesso ambiente di lavoro. – Lo stesso Pontefice ebbe una nuova occasione di mostrare la sollecitudine della Chiesa verso gli operai: gli fu offerta dal raduno degli operai il 1° maggio 1955, organizzato a Roma. Parlando alla folla radunata in piazza san Pietro, incoraggiò quell’associazione operaia che in questo tempo si assume il compito di difendere i lavoratori, attraverso un’adeguata formazione cristiana, dal contagio di alcune dottrine errate, che trattano argomenti sociali ed economici. Essa si impegna pure di far conoscere agli operai l’ordine prescritto da Dio, esposto ed interpretato dalla Chiesa, che riguarda i diritti e i doveri del lavoratore, affinché collaborino attivamente al bene dell’impresa, della quale devono avere la partecipazione. Prima Cristo e poi la Chiesa diffusero nel mondo quei principi operativi che servono per sempre a risolvere la questione operaia. – Pio XII, per rendere più incisivi la dignità del lavoro umano e i princìpi che la sostengono, istituì la festa di san Giuseppe artigiano, affinché fosse di esempio e di protezione a tutto il mondo del lavoro. Dal suo esempio i lavoratori devono apprendere in che modo e con quale spirito devono esercitare il loro mestiere. E così obbediranno al più antico comando di Dio, quello che ordina di sottomettere la terra, riuscendo così a ricavarne il benessere economico e i meriti per la vita eterna. Inoltre, l’oculato capofamiglia di Nazareth non mancherà nemmeno di proteggere i suoi compagni di lavoro e di rendere felici le loro famiglie. Il Papa volutamente istituì questa solennità il 1° maggio, perché questo è un giorno dedicato ai lavoratori. E si spera che un tale giorno, dedicato a san Giuseppe artigiano, da ora in poi non fomenti odio e lotte, ma, ripresentandosi ogni anno, sproni tutti ad attuare quei provvedimenti che ancora mancano alla prosperità dei cittadini; anzi, stimoli anche i governi ad amministrare ciò che è richiesto dalle giuste esigenze della vita civile. Pio XII, per rendere più incisivi la dignità del lavoro umano e i princìpi che la sostengono, istituì la festa di san Giuseppe artigiano, affinché fosse di esempio e di protezione a tutto il mondo del lavoro. Dal suo esempio i lavoratori devono apprendere in che modo e con quale spirito devono esercitare il loro mestiere. E così obbediranno al più antico comando di Dio, quello che ordina di sottomettere la terra, riuscendo così a ricavarne il benessere economico e i meriti per la vita eterna. Inoltre, l’oculato capofamiglia di Nazareth non mancherà nemmeno di proteggere i suoi compagni di lavoro e di rendere felici le loro famiglie. Il Papa volutamente istituì questa solennità il 1° maggio, perché questo è un giorno dedicato ai lavoratori. E si spera che un tale giorno, dedicato a san Giuseppe artigiano, da ora in poi non fomenti odio e lotte, ma, ripresentandosi ogni anno, sproni tutti ad attuare quei provvedimenti che ancora mancano alla prosperità dei cittadini; anzi, stimoli anche i governi ad amministrare ciò che è richiesto dalle giuste esigenze della vita civile.

Omelia di s. Alberto Magno vescovo

Sul Vangelo di Luca, cap. 4

Gesù entrò un sabato nella sinagoga, dove tutti si recano ad imparare. Tutti lo guardavano. Chi lo guardava per affetto, chi per curiosità e chi per spiarlo e coglierlo in errore. Gli scribi e i farisei dicevano alla gente che già credeva ed era affezionata a Gesù: «Ma questo tale non è il figlio di Giuseppe?». È segno di disprezzo il non voler chiamare Gesù per nome. «Figlio di Giuseppe», nota qui in breve l’evangelista, mentre Matteo e Marco scrivono addirittura, con maggiori particolari: «Non è questo il figlio del falegname? Non è lui stesso un falegname?, lui, il figlio di Maria?». In queste frasi si nota un vero disprezzo. – Si sa che Giuseppe era falegname. Viveva del suo lavoro, e non perdeva il tempo nell’ozio e nei bagordi, come facevano gli scribi ed i farisei. Anche Maria si procurava da vivere attendendo alla filatura e servendosi dell’opera delle sue mani. Il senso della frase dei farisei è chiaro: «Non può essere il Signore messia, l’inviato da Dio, questo tale che è di origine vile e plebea. Perciò non si può avere fede in un tipo così rozzo e disprezzabile». – Anche il Signore era falegname: il profeta di lui dice: «Tu hai costruito l’aurora e il sole». Un modo di disprezzare, analogo a quello usato dai farisei contro Gesù, lo troviamo anche nel libro dei Re, quando di Saul, elevato alla dignità di re, si diceva: «Che cosa mai è capitato al figlio di Cis? Che anche Saul sia un profeta?». Una breve frase avvelenata da immisurabile alterigia. Il Signore risponde: «Veramente nessun profeta è accolto dai propri familiari». Con questa frase il Signore si proclama profeta. Lui ebbe l’illuminazione profetica non attraverso una rivelazione, ma attraverso la sua stessa divinità. Per «familiari» qui vuol indicare il paese della sua nascita e della sua fanciullezza. Or dunque è chiaro che non era stato accolto dai suoi compaesani, che erano attizzati contro di lui soltanto per invidia.

Preghiera di S. Pio X a S. Giuseppe patrono dei lavoratori

Glorioso san Giuseppe, modello di tutti i lavoratori, ottenetemi la grazia di lavorare con spirito di penitenza per l’espiazione dei miei numerosi peccati: di lavorare con coscienza, mettendo il culto del dovere ai di sopra delle mie inclinazioni, di lavorare con riconoscenza e gioia, considerando come un onore di impiegare e far fruttare, mediante il lavoro, i doni ricevuti da Dio: di lavorare con ordine, pace, moderazione e pazienza, senza mai retrocedere davanti alla stanchezza e alle difficoltà: di lavorare specialmente con purezza di intenzione e distacco da me stesso, avendo sempre davanti agli occhi la morte e il conto che dovrò rendere del tempo perso, dei talenti inutilizzati, del bene omesso, del vano compiacimento nel successo, così funesto all’opera di Dio. Tutto per Gesù, tutto per Maria, tutto a Vostra imitazione, o Patriarca Giuseppe! Questo sarà il mio motto per tutta la vita e al momento della morte. Così sia.