CAPITOLO XVI
EUROPA.
I.
I privilegi di cui godevano i Druidi, attiravano loro una infinità di discepoli che venivano da tutte parti. Gli uni erano mandati dai genitori; gli altri venivano da per loro stessi. Tutti, durante i loro studi, menavano una vita separata dal mondo; perché i Druidi tenevano le loro scuole, e dimoravano nelle foreste di querce, e qualche volta negli antri.
II.
II loro insegnamento religioso consisteva in quattro punti principali: l’adorazione degli dèi, l’immortalità dell’anima, il divieto di far male ad alcuno, e l’obbligo d’essere coraggiosi. Quanto alle dottrine umane, insegnavano la medicina, l’astronomia, il corso della luna, e insegnavano a conoscere dal moto degli astri la volontà degli dèi. La dottrina dell’immortalità dell’anima faceva che i Galli, in bruciare i loro morti, mettessero nel rogo o nell’urna funerea, un conto esatto degli affari del defunto, affinché se ne potesse servire per essere più felice nel cielo, o meno infelice nell’inferno. Era anche una costumanza assai ordinaria fra essi quella di prestarsi l’argento in questo mondo, con obbligazione di restituirlo nell’altro. Di più scrivevano lettere ai morti, convinti che i defunti le avrebbero lette nei loro ozi.
III.
Le loro lezioni, come quelle dei Germani, consistevano principalmente nel fare imparare a memoria ai loro discepoli una gran quantità di versi senza scriverli. Ciò richiedeva molto tempo, e non si permetteva di mettere in iscritto alcuna cosa. Così alcuni dei loro discepoli passavano sino a venti anni, occupati unicamente in questo genere di studi. – « Io credo, dice Cesare, che essi proibiscano di scrivere per due ragioni; la prima, affinché la loro dottrina non fosse conosciuta da nessuno, e sembrasse più misteriosa. La seconda, affinché coloro che sono obbligati ad apprendere questi versi, non avendo l’aiuto dei libri, siano più solleciti nel coltivare la loro memoria. »
IV.
Oltre alcune verità apprese dalla tradizione, i Druidi insegnavano delle superstizioni, che aveva comunicato loro il padre della menzogna. Ne riferiamo qui due ridicole e celebri sia l’una che l’altra. I Galli si servivano della verbena per trarre le sorti e formare i responsi. I Druidi erano pressoché pazzi per quest’erba. Pretendevano che stropicciandosela addosso, si ottenesse tutto ciò che si voleva, che fugasse le febbri, riconciliasse i nemici, e guarisse ogni sorta di malattie. – Ma bisogna coglierla nel momento della canicola, avanti il levar del sole e della luna, e dopo aver offerto alla terra fave e miele in sacrificio espiatorio. Bisognava nel coglierla scavar la terra all’intorno con un coltello nella mano sinistra, facendo saltare la terra per aria; quindi far seccare all’ombra stelo, foglie e radice, separatamente.
V.
Questo relativamente alle guarigioni. Quanto poi al successo degli affari, i Druidi vantavano soprattutto una specie d’uovo, conosciuto da essi soli e dai loro iniziati. Quest’uovo, dicevano, era formato da una quantità prodigiosa di serpenti, i quali vi deponevano sopra della bava e della schiuma che usciva loro dal corpo. Gli si dava perciò il nome d’anguinum. – Al sibilo dei serpenti, l’uovo si sollevava in aria, e bisognava raccoglierlo per aria, per timore che non cadesse a terra. Quegli che aveva avuto il bene di raccoglierlo, doveva prender tosto un cavallo e fuggire, perciocché i serpenti correvano tutti dietro a lui, fino a che fossero arrestati da una fiumana che loro impedisse il cammino.
VI.
Per farlo valere sempre più, i Druidi dicevano che bisognava raccoglierlo in un dato giorno della luna. Colui che aveva la gran fortuna di soddisfare a tutte queste condizioni, era sicuro di vincere in tutte le liti, e d’aver sempre libero l’accesso ai re. Il demonio, sempre geloso di farsi onorare nel serpente, aveva, pare incredibile, messo in voga questa superstizione, e le aveva conciliato credenza. « L’è una superstizione sì grande, dice Plinio il naturalista, che l’imperatore Claudio fece morire un cavaliere romano del Delfinato, solo perché portava uno di queste uova in seno per vincere una causa. »
VII.
Ogni anno i Druidi tenevano un’assemblea generale in un luogo sacro del paese di Chartres, il qual luogo era un’immensa ed oscura foresta di querce. I Galli vi si portavano da tutte le provincie, per sottometter le loro liti ai Druidi che le giudicavano senza appello. Siccome Dio ha lasciato sempre qualche testimonianza di se, i Druidi furono alcune volte quel che erano le Sibille dell’Oriente: annunziarono cioè alcuni dei grandi misteri dell’avvenire. È più che probabile aver essi in una di queste riunioni generali in mezzo alle oscure foreste di Chartres, che fu come il loro quartier generale, annunziato il divin parto della santissima Vergine. E infatti tra quei boschi famosi, fu trovata la celebre iscrizione: « Virgini parituræ, Druides: Alla Vergine che deve partorire, i Druidi. »
VIII.
Nelle Gallie, non vi erano solo i Druidi, vi erano anche le Druidesse. Queste vergini o donne ammaestrate dai Druidi, partecipavano alla loro autorità religiosa e civile, e davano dei responsi. Più ancora degli uomini, sottoposte all’influenza del demonio, facevano cose straordinarie, che non si possono negare senza negar la storia. Vi erano tre sorte di Druidesse: le une custodivano sempre la verginità, come quelle dell’isola di Sain sulle coste della Bretagna; altre sebbene maritate, erano obbligate alla continenza ed a restar sempre nei templi, al cui servizio erano addette. Quelle della terza classe non si separavano affatto dai loro mariti, allevavano i loro figliuoli, ed attendevano agli affari della famiglia.
IX.
Secondo che rapporta Tacito, i Germani credevano che le giovani della loro nazione fossero dotate di santità e di conoscere l’avvenire. I Galli avevano la stessa opinione rispetto alle loro. Di qui l’immensa autorità, onde godevano le Druidesse. Vi fu un tempo, anteriore alla conquista romana, in cui le Druidesse decidevano della pace e della guerra, e dei più importanti affari dello Stato. Godevano ancora di questo potere sovrano, e rendevano la giustizia, allorché Annibale passò le Alpi, per portar la guerra in Italia.
X.
Uno degli articoli dell’alleanza conchiusa tra lui e i Galli era, che se un Gallo avesse da lagnarsi d’un Cartaginese, il Gallo porterebbe la sua lagnanza davanti ai magistrati che il senato di Cartagine avrebbe stabiliti in Ispagna; ed allorché un Gallo arrecasse qualche torto a un Cartaginese, la causa sarebbe portata davanti al tribunale delle donne dei Galli. – La reputazione delle Druidesse non era punto ristretta nei confini della Gallia; essa si estendeva dappertutto e faceva sì che le Druidesse rappresentassero una grande figura nel mondo. Tutti premurosamente le consultavano, e tenevano per oracoli le loro decisioni.
XI.
Sacerdotesse degli idoli, le Druidesse avevano il dritto d’offrire sacrifici, ed oimè! offrivano sacrifici umani. Vestite d’una tunica bianca, che attaccavano con borchie, e stringevano con una cintura di rame, con i piedi scalzi accompagnavano gli armati al combattimento. Appena i Galli avevan fatto dei prigionieri, esse attraversavano l’armata, con alla mano una spada snudata, volavano addosso ai prigionieri, li gettavano a terra, li strascinavano a un labrum, che era una vasca della capacità di venti anfore. Vicino al labrum era un rialto, sul quale montava la Druidessa sacrificatrice; immergeva un coltello nella gola di ciascuna vittima, e toglieva i suoi auguri dal sangue che colava nel labrum. A misura che scannava quegl’infelici, altre Druidesse gli afferravano, gli sparavano, frugavano nelle loro viscere, e ne ricavavano predizioni sugli affari della nazione.
XII.
Le Druidesse erano vere maliarde, la cui generazione s’è perpetuata lungo tempo nelle Gallie. Bisogna rimontare ad esse per trovar 1’origine di quelle assemblee notturne, a cielo scoperto, presiedute dal demonio, il cui spirito di lussuria si pasceva di abominazioni tali da far impallidir la luna. Un dotto canonista del dodicesimo e tredicesimo secolo, Burchard, riferisce i numerosi decreti che si erano fatti sino ai suoi giorni, per condannar queste assemblee notturne. Quindi si leva con energia contro le donne del suo tempo, tratte dai demoni, trasformati in uomini, dæmonum turba, in similitudinem hominum transformata, i quali entravano in società con tutte le femmine disposte a seguirli. « Demonii e donne, dice egli, sen vanno durante la notte a cavallo a far grandi corse nell’aria, avendo alla loro testa Diana, da cui bisogna dipendano senza riserva, obbedendole ciecamente. La frotta o società appellasi Olila. Le donne tuttora coricate al fianco dei mariti, escono à porte chiuse, sì sollevati nelle nuvole, attraversano l’aria, uccidono senza arma visibile uomini battezzati e riscattati dal sangue di Gesù Cristo; fan cuocere le loro carni e le mangiano. Queste corse sono alcune volte intraprese per combattere altre donne simili, e ferirsi scambievolmente. Del resto, esse affermano che non possono dispensarsi dal trovarsi a queste assemblee nel modo che è detto: Se affirmant necessario et exprecepto facere debere. »
XIII.
Alcuni statuti manoscritti dell’ antico vescovado di Conserans, del tredicesimo o quattordicesimo secolo, fanno anche menzione delle femmine che facevano il mestiere d’andare a cavallo durante la notte con Diana, e facevano iscrivere i loro nomi nel catalogo di tutte quelle del loro sesso, le quali passavano per dee.
XIV.
Ecco l’origine delle Tregende, la cui realtà è messa fuor di dubbio, non solamente dalle costituzioni dei nostri re, dalle testimonianze dei teologi; ma ancora dalle recenti opere de’ signori de Mireville, Des Mousseux, Bizouard, de Lancre, e particolarmente dal fatto giuridicamente provato, che ha avuto luogo in Isvezia alcuni anni sono. Se affermare non è provare, anche negare non è rispondere; e il negar senza ragione è una stoltezza. [Vedi Relig. des Gaulois t. II. Lib. IV. e. XIII.]
CAPITOLO XVII.
I DRUIDI. — IL VISCHIO.
I.
Due fatti principali distinguevano la religione dei Druidi, e per conseguenza dei Galli: la cerimonia del vischio e il sacrificio umano. Il solo vischio della quercia era l’oggetto del loro culto. Perché e donde questa strana superstizione? Prima di tutto richiamiamo alla mente che la quercia è stata tenuta da tutti i popoli antichi come un albero sacro, e come tale onorato d’un culto fiducioso ad un tempo e terribile. Non è difficile spiegare un mistero di tal fatta.
II.
Satana è la scimmia di Dio. Tutto quel che Dio fa per la sua gloria, egli lo contraffa a suo prò. Oracoli, prestigi, templi, altari, sacrifici, pellegrinaggi, non v’ ha cosa santa, di cui non si sia impadronito. L’antica memoria della quercia di Mambre, all’ombra della quale Abramo accolse, sotto la figura di tre angeli, le tre persone della santa Trinità, era un mezzo favorevolissimo per attirare alla quercia di Mambre prima, e poi alle querce ordinarie, la venerazione de’ suoi ciechi seguaci per non conservarne la memoria.
III.
La quercia di Mambre, che vedevasi ancora al quarto secolo, al tempo di san Basilio, fu da tempo immemorabile oggetto di un gran concorso d’ogni sorta genti che venivano dalle diverse parti del mondo, fin dalle più lontane. Questo concorso si cangiò in fiere; e, per dirlo di passaggio, fu in queste fiere che venne venduta una moltitudine d’Ebrei, i quali s’erano ribellati contro i Romani, al tempo dell’imperatore Adriano. (S. Hier. in Jerem., XXXI; et in Zach. X).
IV.
La venerazione che i cristiani portavano a questa quercia, fu tosto cangiata dai pagani in ree superstizioni ed in abominevoli sacrifici. Non poteva essere altrimenti. Da una parte Satana si sforzava di far profanare quel sacro luogo; dall’altra, tutta la contrada era pagana, anche ai tempi d’Abramo. Onde seguì, mercé le ispirazioni gelose dello spirito di menzogna, che i pagani fecero di quella quercia oggetto principale del loro culto, di cui tutto il fondamento era che il Dio del Cielo s’era mostrato ad Abramo e gli aveva parlato sotto quell’albero. Quindi dal credere al far credere agli altri che il Dio del Cielo abitasse sotto quella quercia, era facile il passo: e questo passo fu fatto.
V.
Col progresso del tempo e dell’idolatria trasformandosi e corrompendosi le nozioni primitive, avvenne che in mancanza della quercia di Mambre, presero il costume di riguardare la quercia ordinaria, gli uni come un albero dove il Dio del cielo si compiaceva di far suo soggiorno: gli altri come la figura del Dio del cielo; ed altri finalmente come un albero consacrato per sua natura al Dio del cielo. Siccome tutte le nazioni pagane convenivano che Giove fosse il Dio del cielo, cosi tutti convennero che la quercia fosse la dimora, o la figura, o l’albero di Giove.
VI.
Cosi spiegasi la religiosa venerazione di tutti i popoli dell’antichità verso la quercia, la quale fu presso i nostri antenati più grande che altrove. Nessun di loro, uomo o donna, osava toccar la quercia colla mano. L’uso costante era di lasciarla infracidire sul suo tronco, di non impiegarla ad uso alcuno, neppure a quello del fuoco, e d’esser presi al suo cospetto da un sacro terrore. Quanto si è detto provasi, tra gli altri, dal fatto seguente. Cesare aveva alcuni Galli nel suo esercito. Un giorno ordinò loro d’abbattere alcune querce. Dovettero obbedire; ma con mani tremanti, e penetrati sì vivamente dalla maestà del luogo, da temere che tutti i colpi dati contro le querce non si rivolgessero contro di loro. (Lucan. Lib. III).
VII.
Ciò non è tutto. I Druidi portavano la loro venerazione alla quercia tant’ oltre, che non osavano offrire alcun sacrificio senza la quercia, o senza le foglie, o senza i rami di essa. Giungevano a tale che appendevano e crocifiggevano alle querce e mai ad altri alberi, se non in mancanza di esse, i prigionieri fatti ai nemici, in modo che il loro supplizio era un sacrifìcio in onore dell’albero sacro.
VIII.
Per sempre più dimostrare il loro rispetto per quest’albero misterioso, i Druidi s’erano, come noi abbiamo già notato, fatta una legge di stabilire la loro dimora nei boschi di querce, di tenervi le loro assemblee, di piantarvi i loro tribunali per render giustizia, d’avervi i loro collegi per l’educazione della gioventù gallica; e tutto ciò col fine di non perder mai di vista la quercia, d’essere ognora in grado di potervi fare i sacrifìci o di meditar con maggior raccoglimento sulla divinità, di cui la quercia era il rappresentante.
IX.
Quindi è che i Galli non avevano altri templi che le foreste, e particolarmente le foreste di quercie. « Essi non hanno, dice Tacito, per tempio che una foresta, dove adempiono tutti i doveri della religione. Niuno può avere ingresso nella foresta, se non porta una catena in testimonianza della sua dipendenza da Dio e del sovrano dominio di Dio su lui. – « Se gli avviene di cadere, non gli è permesso di rialzarsi, né è permesso a chicchessia di prestargli aiuto; fa d’ uopo che si strisci sul suo ventre.» [De morib. Germ.]
X.
Veniamo ora alle cerimonie osservate dai Druidi in cogliere il vischio della quercia. Plinio ce ne ha lasciata la descrizione. « I Druidi, dice egli, che sono presso i Galli quel che sono i maghi altrove, non hanno nulla di più sacro quanto la quercia ed il vischio da essa prodotto. Scelgono dunque sempre un legno di quercia. Hanno di quest’albero una sì alta idea, che non fanno la più piccola cerimonia senza portare una corona di foglie di quercia. Stimano che tutto ciò che nasce su quest’ albero venga dai cieli, e che sia un segno evidente che Dio lo ha scelto.
XI.
« Il vischio è difficilissimo a trovarsi. Quando lo si è trovato, i Druidi vanno a prenderlo con profondo rispetto. E ciò fan sempre nel sesto giorno della luna, giorno sì celebre per loro, che 1’han preso pel principio dei loro mesi, dei loro anni ed anche dei loro secoli, i quali non sono che di trenta anni. La scelta che fanno di questo giorno, viene da ciò che la luna ha allora molta forza, benché non sia giunta al suo completo accrescimento; finalmente sono tanto prevenuti in favore di questo giorno, che gli danno nella loro lingua un nome che significa: medico di tutti i mali.
XII.
« Allorché i Druidi han preparato sotto l’albero quanto serve al sacrificio ed al banchetto che debbono celebrarvi, fanno avvicinare due buoi bianchi, cui per la prima volta legano insieme per le corna. Poscia un sacerdote rivestito di un abito bianco, sale sull’albero, taglia con una falciuola d’oro il vischio e lo riceve in un sagum (tela bianca). Quindi seguono i sacrifici, che i Druidi offrono a Dio, chiedendogli che il vischio formi la felicità di coloro che lo ricevono. – « Perché credono che l’acqua del vischio renda fecondi gli animali sterili, e che sia uno specifico contro ogni sorta di veleni. » [Hist. Nat., lib. XVI, c. XLIV].
XIII.
Pare certo che la cerimonia del vischio non si facesse che nelle foreste del paese di Chartres, e quando v’era l’assemblea generale dei Druidi. Ora i Druidi non si riunivano che una volta all’anno, e nel paese di Chartres. La cerimonia del vischio era la più solenne della religione. E dunque naturalissimo che i Druidi scegliessero, per compierla, il momento in cui i Galli di tutte le provincie eran riuniti. Infine, quanto a quel che dice Plinio, che il vischio della quercia era difficile a trovarsi, non poteva ciò verificarsi che ne boschi del paese di Chartres, dove i Druidi si radunavano, e dove senza dubbio era sì raro, perchè eravi una legge che vietava di prenderlo altrove che là. – Passiamo ora al secondo punto, più importante ancora, della religione dei Galli: il sacrificio.
CAPITOLO XVIII
IL SACRIFICIO UMANO PRESSO I GALLI.
I.
La Santa Scrittura ci dice che tutti gli dèi dei pagani erano demoni: Omnes dii gentium dæmonia (Ps. XCV). Ora i Galli ne adoravano quattro dei principali, ossia quattro grandi demonii, conosciuti sotto i nomi d’Eso, Tettiate, Taranis, e Beleno. Il primo era il più celebre e il più temuto. Come il suo nome lo indica, sembra essere il Zeus, o il Giove, deus pater, dei Greci e dei Romani. In onore di questi quattro demoni, il sangue umano inondò, durante molti secoli, tutte le Provincie Galliche.
II.
La crudeltà era il carattere dei Galli; quindi quel costume barbaro d’offrire agli dèi quasi esclusivamente vittime umane. Tutti gli autori son d’accordo su questo punto. «Quando v’ha deiGalli, dice Cesare, aggravati da malattie, ed avvolti in guerre ed in pericoli, o immolano per vittime altri uomini, o fan voto d’immolarli. Credono essi che gli dèi si compiacciano di tali sacrifici, come più perfetti; e son persuasi non potersi altrimenti placare la possanza degli immortali dèi, se non se col sacrificare per la vita d’un uomo quella d’un altro uomo.
III.
« Hanno essi istituito pubbliche cerimonie, che quando si compiono questi sacrifici vi ha obbligo di osservare. Hanno simulacri di smisurata grandezza, intessuti di vinchi, i quali riempiono d’uomini vivi, a cui mettono fuoco. Le fiamme subitamente si apprendono, e quei miseri tosto soffocati, esalano lo spirito. Il supplizio degli uomini colti in furto, ladroneccio, od altro delitto, il tengono pel più accetto agli dèi immortali; ma, ove non abbiano vittime fra cotale gente, non lasciano di eleggerne anche fra gli innocenti.
IV.
« I funerali, sono magnifici; e tutto ciò che in vita credono essere stato caro agli estinti gettano sul rogo, non esclusi gli animali; anzi anche i servi e clienti, che sapevasi essere stati loro prediletti, erano gettati sul rogo; e si trovavano ancora parenti del defunto che si gettavano volontariamente nel fuoco, sperando vivere con lui nell’ altro mondo. » [De bell. Gall., lib. VI].
V.
Un’altra maniera di sacrificare gli uomini era quella di trafiggerli con frecce, o d’inchiodarli in croce, o di farne un olocausto con un certo numero d’ogni sorta di bestie, che facevano bruciare entro una gran macchina col fieno, attaccata ad un piolo. Alcune volte riservavano i rei per lo spazio di cinque anni. Quindi li attaccavano ai pali, costruivano all’intorno un gran rogo, che coprivano delle primizie dei loro frutti, e facevano d’ogni cosa un sacrificio ai loro dèi [Strab., lib. IV; Diod., lib. VI, c. IX].
VI.
Per garantirsi dalla peste, quando ne erano minacciati o assaliti, prendevano un povero, che presentavasi volontariamente ed lo nutrivano un anno intero molto delicatamente e sontuosamente, a spese del pubblico tesoro. Dopo il qual tempo, lo rivestivano d’ornamenti sacri, l’ornavano di verbene, e dopo averlo condotto per tutta la città caricandolo di maledizioni, e pregando che tutti i mali, da cui erano afflitti o minacciati, cadessero sopra lui, era precipitato dall’alto d’una roccia. Chi può dire quante volte le grandi rocce della cittadella di Besançon furono testimoni di questo spettacolo?
VII.
Non erano sempre i poveri quelli che servivano per siffatte vittime; procuravasi ancora in tutti i modi di guadagnar qualche persona delle più avvenenti e meglio conformate aliquis de elegantissimis, a forza di denaro, di ricompense e con la prospettiva dell’immortalità fra gli dèi, perché si sacrificasse per la salute della città o della provincia. E in tal caso si osservavano le medesime cerimonie che si osservavano per i poveri; ed alla fine d’un anno si ammazzavano fuori le mura a colpi di pietre.
VIII.
I sacrificii che si facevan per la nazione, per la provincia o per la città, si rinnovavano due volte il giorno, a mezzodì ed a mezzanotte. Gli altari erano formati di grandi e larghe pietre or quadrate in tutti i sensi, or più lunghe che larghe. La parte superiore era incavata a guisa di bacino o di canale, per ricevere il sangue delle vittime. Questi altari che si trovano ancora nelle foreste della maggior parte delle nostre provincie, portano il nome di dolmens. Confesso che non si può vederli senza dire: forse su questa pietra venne immolato uno degli avi miei! forse io stesso, senza il Cristianesimo, vi sarei stato disteso, legato e sgozzato dalle mani d’un drudo.
IX.
Ho detto legato; invero se la vittima doveva esser strozzata od accoppata, incominciavansi dal legarla fortemente, per impedirle di muoversi, temendo che il colpo mortale non andasse fallito, perché era essenziale nel sacrificio che le vittime sembrassero volontarie. Erano tanto rigorosi su questo punto, che allorquando tratta-vasi d’immolar fanciulli, le madri li tenevano fra le loro braccia colmandoli di carezze per soffocar le loro grida [Tertull. ApoL, IX]. –
X.
Abbiam veduto i Galli offrire vittime umane, sia in espiazione dei pubblici delitti, sia per allontanare i castighi meritati: eran le Targelie de’ Greci. Non è da far le meraviglie se le troviamo a Marsiglia, fondata da una colonia di Focesi. Solamente un lungo soggiorno nelle Gallie avea lor fatto adottare il dio principale dei Galli. Anche dopo la conquista dei Romani, essi adoravano, più o meno pubblicamente, il terribile Eso, con la sanguinaria superstizione delle primitive età.
XI.
« Fuori del ricinto di Marsiglia, dice Lucano, vi era un bosco sacro, sul quale non si era mai osato portar la scure, sin dall’origine del mondo. Gli alberi coronavano coi loro rami la terra ov’erano piantati; e dappertutto formavano de’pergolati, dove i raggi del sole non potevano penetrare, e dove regnava una frescura ed un’oscurità perpetua. Questo luogo era destinato a barbari misteri. In ogni canto non si vedevano che altari, sui quali si scannavano vittime umane, il cui sangue zampillando sugli alberi metteva ribrezzo.
XII.
« Le quercie, che mai agitansi al soffio d’un leggiero zefiro, infondon nell’animo un sacro orrore, non altrimenti che l’acqua oscura serpeggiante e scorrente pei diversi canali. Le forme del dio che vi si adora sono senz’arte, e consistono in tronchi rozzi ed informi; il muschio giallo che li copre da capo a pie’ ispira quella tristezza, che vedesi impressa sulla loro scorza. È proprio dei Galli non compenetrarsi di rispetto che verso quei dèi che son rappresentati in strane forme, e il loro timore aumenta in proporzione che ignorano gli dèi che adorano.
XIII
« La tradizione vuole, che questo bosco spesso si agiti e tremi; che allora escano dalle caverne voci strepitose; che i tassi abbattuti si raddrizzino; che il bosco sembri andar tutto in fuoco senza consumarsi, e che le querce siano attorcigliate da mostruosi dragoni. Nessun Gallo, pel gran rispetto che ne hanno, oserebbe abitar questo luogo si temuto; essi il lasciano tutto quanto al Dio. Soltanto a mezzogiorno ed a mezzanotte vi si porta un sacerdote tutto tremante per celebrare i suoi terribili misteri ; ei teme ognora che un qualche dio, a cui il bosco é consacrato, gli si abbia a presentar dinanzi» Ecco una foresta come tanti altri luoghi frequentata.
XIV.
Sotto una forma più espressiva ancora, quei di Marsiglia avevano le loro Targelie. In tempo di peste, prendevano un povero e il nutrivano delicatamente durante un intero anno; desso era una vittima che ingrassavano per satana. Alla fine dell’anno, prendevan quel poveretto, lo conducevan per la città; e caricandolo di anatemi, gli dicevano: Sii tu la nostra espiazione: Esto nostrum peripsema, e lo gettavano nel mare. [Vedi CORX. a LAP., in I cor., IV, 13]. – Questo avveniva in Francia, nella nostra cara e bella patria, prima della predicazione del Clericalismo. Ed oggi vogliono sterminare il clericalismo! E dicono, che tutte le religioni sono egualmente buone!
[N.d.r.- Così abbiamo capito anche da dove deriva l’uso di donare il vischio augurale e di quale augurio si tratti, da chi è stato istituito e ripreso! – E poi la quercia divenuta simbolo di partiti politici … è chiaro adesso di chi sono servi, no?]
CAPITOLO XIX.
EDITTI CONTRO IL SACRIFICIO UMANO. — IL SACRIFICIO UMANO PRESSO GL’INGLESI.
I.
L’ecatombe umane, che da tanti secoli duravano nella Gallia, avevano preso tali proporzioni, che gl’imperatori romani Claudio e Tiberio fecero parecchi editti per farli cessare; ma non vi riuscirono completamente. Solo il sacrificio divino poteva abolire il sacrificio umano. Questo continuò dunque ad offrirsi in segreto, non solo presso i Galli, ma a Roma stessa. Il fatto ci vien rivelato da Tertulliano: Sed et nunc in occulto perseverat sacrum facinus, e dagli altri storici cristiani e profani. Tutti affermano, che i sacrifici umani han continuato, e presso i Galli, e presso gli altri popoli, sino al terzo ed anche al quarto secolo: vale a dire sino a che l’influenza del cristianesimo non si fece sentire in una maniera efficace.
II.
Ond’è che provasi non so quale indignazione, al sentire gli scrittori di Roma pagana inveire contro la barbarie dei nostri padri, come se potessero esserne assoluti i Romani. Non solo noi potevano quanto al tempo anteriore, ma soprattutto quanto a quello in cui essi scrivevano. Questo tempo è quello che nei collegi sì chiama il secolo d’oro. I Romani, dicono Tertulliano, Lattanzio, Minuzio Felice ed altri scrittori del secondo e del terzo secolo, non si sono meno abbandonati a tale barbarie che gli altri popoli, perciocché ancora oggi giorno immolano vittime umane a Giove Laziale » [“Nec Latini quidem huius immanitatis expertes fuerunt; siquidem latialis Jupiter etiam nunc sanguine colitur humano”. Apol.tÌX; Scorp., VIII]. E che cosa possono essi addurre per colorire il terribile sacrificio, che Plutarco descrive coi seguenti termini? « All’appressarsi della guerra dei Galli, sotto la condotta di Viridomare, i Romani si videro costretti obbedire a certi oracoli, contenuti nei libri delle Sibille, e si portarono a sotterrar vivi nel mercato dei buoi due Greci, un uomo ed una donna, e due Galli all’istesso modo; e a causa di questi oracoli fanno ancora di presente, nel mese di novembre, sacrifici tenuti occulti agli occhi del popolo. » [In Marcel.].
III.
Tito Livio e Plinio mostransi di assai buona fede, quando confessano, che questo sacrificio fu ordinato e compito più d’una volta nel medesimo luogo, specialmente al cominciar della guerra punica, che segui quella di Viridomare. [Tit. Liv., XXII, c. LVI; Plin. ; lib. XXVIII, c. II]. – Esempi di tal fatta si moltiplicherebbero sotto la mia penna, s’io non dovessi tenermi breve. Per quel che resta all’Europa antica, mi contenterò dunque di parlare del sacrificio umano presso gli Inglesi.
IV.
Secondo antiche tradizioni, l’Inghilterra fu popolata dai demoni e dalle druidesse. Checché sia di ciò, l’Inghilterra addivenne per i Galli, quel che era la Toscana o l’Etruria per i Romani: il focolare dell’idolatria. A quella guisa che i Romani spedivano regolarmente in Etruria taluni figliuoli delle migliori famiglie, per farli istruire nei misteri della religione; così secondo le relazioni di Cesare, i Galli si recavano in folla nell’Inghilterra, a perfezionarsi nella conoscenza della religione.
V.
Come i Galli, gl’Inglesi avevano in gran numero druidi e druidesse. Ma neppur essi, come i Galli, avevan templi. I loro orrendi misteri si compievano nelle oscurità delle foreste. Tacito, descrivendo la discesa dei Romani nell’isola di Mona, oggi Anglesey, così si esprime: «Posciachè i Romani se ne resero signori, loro prima cura fu d’abbattere i boschi che i druidi e le druidesse macchiavano sempre col sangue d’umane vittime.» Se quegl’isolani avessero avuto dei templi, i Romani non avrebbero mancato di distruggerli, per quella medesima ragione onde avevano distrutto i boschi. Or, siccome Cesare non fa menzione dei viaggi dei Galli in Inghilterra, che per mostrare che essi si conformavano agl’Inglesi su tutti i particolari della religione, se ne conchiude a ragione che neppure i Galli avevano templi.
VI.
Abbiamo veduto che i Druidi delle Gallie godevano di grandi privilegi; or non così i Druidi d’Inghilterra, almeno quanto a ciò che concerne la guerra. I Druidi delle Gallie ne erano esenti, quei d’Inghilterra v’erano obbligati. N’è prova il fatto seguente, riportato da Tacito: « Sotto l’impero di Nerone, Paolino Svetonio prese a rendersi padrone dell’isola di Mona, situata al nord della Bretagna. « Egli trovò sul lido un fonte, difeso da uomini ben armati. Nelle loro file correvano qua e là donne scapigliate, con in mano la face, e vestite a lutto.
VII.
« D’altra parte, i Druidi giravano attorno l’armata, levando le mani verso il cielo e vomitando imprecazioni contro i Romani. Questo spettacolo spaventò i nostri soldati, sino a lasciarsi uccidere senza difendersi. Ma alla fine riprendendo coraggio ed animati dalle parole del generale, fanno avanzar le schiere, uccidono quanti si fan loro avanti, e li bruciano. In seguito fu loro imposto un tributo, e distrutto il bosco sacro, perché si recavano a dovere di religione di sacrificarvi i prigionieri e di consultare gli dèi nelle viscere degli uomini. » [Annal., lib. XIV, e. XXX. Per tutti i particolari sopra di ciò, vedi Histoir de la relig. de Gaulois. 1 vol. in 4]. Fa d’uopo aggiungere, che in Inghilterra, come nelle Gallie ed in tutte le parti del mondo antico, il serpente vivo, il serpente in carne ed ossa era religiosamente adorato. Il suo culto stesso era il principio del sacrificio umano. Ecco ov’era arrivata l’Inghilterra avanti la predicazione del Clericalismo. Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!
[Nota d. r.: Oggi il sacrificio umano sta riprendendo nuovamente piede, mascherato da integralismo islamico, da attentati suicidi, da omicidi etnici di massa, da sacrifici rituali nelle logge massoniche, da omicidi indotti dalle droghe liberalizzate, da aborto ed eutanasia, reclamati addirittura dai satanisti come diritti … certo hanno ragione: è il diritto che lucifero vanta sui popoli scristianizzati, sui quali domina nuovamente addirittura facendosi adorare nella falsa chiesa come “signore dell’universo”!]