S. GREGORIO NAZIANZENO E GIULIANO L’APOSTATA

GIULIANO L’APOSTATA E GREGORIO NAZIANZENO

[J. –J. Gaume: il “Catechismo di perseveranza”: vol III, Torino 1881]

Giuliano, nipote del gran Costantino, era pervenuto all’Impero nel 355. Sedotto da filosofi pagani, e trascinato dalle sue proprie passioni, quel principe abiurò pubblicamente alla Religione, e si accinse a risuscitare l’idolatria, accendendo una persecuzione sorda e perfida contro i Cristiani. Saccheggiò le Chiese, revocò tutti i privilegi loro, soppresse le pensioni concesse da Costantino pel mantenimento de’ chierici, delle vedove e degli orfani, e proibì ai Cristiani di chiamare in giudizio e di esercitare gl’impieghi pubblici. Nè ciò bastandogli, vietò che essi insegnassero le belle lettere, ben conoscendo i vantaggi ch’essi traevano dai libri profani, per combattere il Paganesimo e l’irreligione. Quantunque affettasse in ogni circostanza un sommo disprezzo per i Cristiani, ch’ei chiamava galilei, ei però conosceva il vantaggio, che loro procacciava la purità dei costumi e lo splendore delle virtù, e non cessava di proporne l’esempio ai sacerdoti pagani. Fu questa l’indole della persecuzione di Giuliano; cioè la dolcezza apparente e la derisione del Vangelo. Quando però conobbe che tornavano inutili tutti gli altri mezzi, allora trascorse alle violenze, e sotto il suo regno gran numero di Martiri contrassegnarono la fede col proprio sangue. L’empio principe vedendo che tal guerra non aveva che un lento risultato, deliberò di abbattere il Cristianesimo con un colpo solo. A tal effetto si accinse a dare una mentita formale a Nostro Signore medesimo, volendo cosi convincerlo d’impostura, e abbandonare l’opera sua allo scherno di tutti i secoli. Ma vedremo quali sieno i consigli degli uomini, quando si volgono contro il Signore! – Il principale divisamento di Giuliano era di convincere di falsità le Profezie, tanto quella di Daniele, che predice la distruzione di Gerusalemme come irreparabile, quanto quella del Salvatore, che assicura espressamente che non vi rimarrebbe pietra sopra pietra, epperò intraprese a rialzare quell’edificio. Egli scrisse a tutti i Giudei una epistola lusinghiera, promettendo loro di aiutarli a tutto suo potere per far risorgere dalle sue rovine il tempio, ove per tanto tempo avevano adorato il Dio degli avi loro. A tal nuova accorrono i Giudei da Gerusalemme; con somma premura accumulano considerevoli somme; le donne giudee offrono le gioie e gli amuleti per contribuire alle spese dell’impresa; i tesori dell’Imperatore somministrano immense somme. L’Imperatore medesimo spedisce abili architetti dalle diverse provincie dell’Impero, affida la soprintendenza dei lavori ad Alipio suo amico intimo che invia sul posto per sollecitarne l’esecuzione. Tutto essendo per tal modo disposto, viene preparata una gran quantità prodigiosa di materiali, si lavora notte e giorno con un ardore incredibile a ripulire l’area dell’antico tempio e a demolire quanto rimaneva dei fondamenti. Alcuni Giudei avevano preparato per questo lavoro delle zappe e delle ceste d’argento. Le donne più delicate mettevano mano al lavoro, e trasportavano i scarichi nelle loro vesti più ricche. – Intanto, finita la demolizione si stava per gettare i nuovi fondamenti; ma Dio aspettava i propri nemici a quel punto. Ascoltiamo un autore, la cui testimonianza non ci può esser sospetta; è questo Ammiano Marcellino, pagano di religione, e che ha fatto di Giuliano l’eroe della sua storia. – « Mentre che il conte Alipio, assistito dal Governatore della provincia, sollecitava i lavori, spaventevoli globi di fiamme si slanciarono dai fondameti, arsero gli operai e resero loro inaccessibili i luoghi. Più volte gli operai si provarono a ripigliare il lavoro, ma persistendo sempre quell’elemento con una specie di ostinazione a respingerli, furono questi obbligati a tralasciare l’impresa »(lib. XXIII, c. 1). – Ecco in qual maniera si esprime uno storico che adorava gl’idoli del Paganesimo, e che era ammiratore di Giuliano. Chi ha potuto strappargli dalla penna una tale confessione, se non la verità? – S. Gregorio di Nazianzo, autore contemporaneo, aggiunge che cadde la folgore; che si videro croci di un colore nericcio scolpite sugli abiti di coloro che erano presenti; che molti, inseguiti dalle fiamme, vollero salvarsi in una chiesa vicina, ma un fuoco improvviso li raggiunse, consumò alcuni, mutilò altri, lasciando a tutti i segni i più visibili della formidabile potenza di Dio, ch’essi erano venuti ad insultare. Nonostante si ostinarono a intraprendere l’opera; ma quelle eruzioni di fuoco ricominciarono ogni qual volta vollero rinnovare i lavori, e non cessarono se non quando furono tralasciati del tutto. « È questo, egli dice, un fatto notorio, e da tutti riconosciuto » (Orat. IV, adv. Jul.). – Cosi, se rimaneva qualche pietra da togliere dai vecchi fondamenti del tempio, tutto quell’affaccendarsi riuscì a dare alle parole del Salvatore il loro compimento letterale. Giuliano voleva essere onnipotente, ma quando si trattò di riporre una sola pietra in quei fondamenti maledetti per sempre, ei vide venir meno tutta la sua potenza e tutto l’odio suo. È dunque vero che tutti gli attacchi diretti contro la Chiesa si volgono a sua gloria e trionfo! È questa un’osservazione che giova fare una volta per sempre. – Giuliano al colmo dell’ira giurò, a malgrado della propria disfatta, di spegnere il Cristianesimo, ma prima volle porre fine alla guerra contro i Persiani. Fece immensi preparativi, e innumerabili sacrifici, e sul partire giurò nuovamente di annichilare a tempo opportuno la Chiesa; ma Dio ebbe ancor modo a salvarla dall’arrogante e insensata minaccia. Questo principe essendosi impegnato all’avanguardia senza corazza, fu pericolosamente ferito. Mentre egli alzava la mano per incoraggiare le sue milizie gridando: « Tutto per noi »; fu ferito a morte da una freccia. Allora ei prese colla mano il sangue che scorreva dalla sua ferita, e scagliandolo verso il Cielo esclamò: « Finalmente tu hai vinto, o Galileo ». Fu questo l’ultimo grido del Paganesimo agonizzante. La notte dippoi, cioè il 26 giugno 363, Giuliano morì in età di trentadue anni, principe in tutto degno di avere per apologista un Voltaire ». – Questa morte funesta era stata predetta da un Santo che viveva a quei tempi. Un Pagano avendolo incontrato gli chiese beffandolo: che cosa fa in adesso il Galileo? – A cui il Santo rispose tosto: Sta preparando un feretro. – Egualmente noi pure, allorché, nei giorni del pericolo, vediamo la Chiesa combattuta, incatenata, spogliata, dileggiata ed udiamo richiederci fra le risa degl’empi: Che cosa fa il Galileo? Dobbiamo fidentissimi rispondere: “Prepara dei feretri.” Sì, egli apre sepolcri in cui devono cadere i suoi nemici; nei quali hanno da imputridire come in passato tutti gli avversari del regno del Cristo: Imperatori, filosofi, popoli interi. Giuliano non solo combatté la Religione con la spada, ma con la penna eziandio. Ma la Provvidenza suscitò de’ vigorosi antagonisti al coronato sofista. – Uno tra i primi a far mostra di sè è San Gregorio di Nazianzo. Questo dottore della Chiesa, sopracchiamato il Teologo, per la cognizione profonda ch’egli aveva della Religione, nacque nel territorio di Nazianzo, piccola città di Cappadocia in vicinanza di Cesarea. Gregorio suo padre era pagano, ma fu convertito per le preghiere di Santa Nonna sua moglie. Quella virtuosa donna dedicò al Signore suo figlio Gregorio fino dalla sua nascita. Ei corrispose ben presto alle premure, che i suoi genitori si presero di formarlo alla virtù. Dopo i suoi primi studi, fu mandato ad Atene, affinché profittasse delle lezioni de’ celebri uomini, di cui quella città era il soggiorno; colà si unì in stretta amicizia con San Basilio, che al pari di lui vi si era recato per terminarvi i suoi studi. Io vi citerò, ad esempio, e tutti i Cristiani citeranno per sempre, quei due grandi uomini come i perfetti modelli d’un’amicizia del pari tenera che santa. Essi erano inseparabili: solleciti di evitare le compagnie scandalose, non frequentavano che que’ loro condiscepoli, ne’ quali l’amore dello studio andava unito alla pratica delle virtù. Non mai furon visti assistere a spettacoli profani; non conoscevano nella città che due strade, quella che conduceva alla Chiesa, e quella che conduceva alle pubbliche scuole. Menavano una vita molto austera, e non adopravano del denaro inviato loro dalla famiglia, che il puro necessario per i bisogni indispensabili della natura, distribuendo ai poveri il resto. Gregorio tornò a Nazianzo, preceduto da una brillante reputazione, e suo primo pensiero fu di ricevere il Battesimo. Da quel momento, morto al mondo e a tutte le sue lusinghe, ei non conobbe altro zelo che quello per la gloria di Dio. Onde appagare il desiderio ch’ei nutriva della propria perfezione, ruppe ogni commercio col mondo, e andò a ritrovare San Basilio che viveva in solitudine. Le veglie, i digiuni e preghiere formavano le delizie di quei due grandi uomini; univano al lavoro delle mani il canto dei Salmi, e lo studio della sacra Scrittura. Nella spiegazione degli oracoli divini essi seguivano non già i propri lumi, nè il proprio particolare intendimento, ma le dottrine degli antichi padri e de’ dottori della Chiesa. Verso questo tempo Gregorio scrisse il suo celebre discorso contro Giuliano; in esso egli parla con quella energia che praticavano i Profeti, quando per ordine di Dio essi rimproveravano i delitti dei re e degli empi. Era suo unico scopo difendere la Chiesa contro i Pagani, smascherando l’ingiustizia, l’empietà e l’ipocrisia del suo più pericoloso persecutore. Dio non permise che quella splendida luce restasse più lungo tempo nascosta. La Chiesa di Costantinopoli gemeva da quarant’anni sotto la tirannia degli Ariani; i pochi Cattolici che ancora vi restavano erano privi di pastori e perfino di chies; si diressero a Gregorio, del quale conoscevano la dottrina, l’eloquenza e la devozione, e lo supplicarono caldamente di accorrere in loro aiuto. Molti Vescovi si unirono ad essi, onde ottenere più facilmente che fossero udite le loro preghiere, e dopo molta resistenza Gregorio dovrà arrendersi. – Non mi farò qui carico di narrare quanto ebb’egli a soffrire per parte degli eretici, mentre stette sulla sedia di Costantinopoli; basti dire che il Santo non oppose a tanti oltraggi che la preghiera e la pazienza. Le sue virtù e i suoi talenti traevano presso di lui un gran numero di persone. San Girolamo stesso abbandonò i deserti della Siria per recarsi a Costantinopoli. Ei si pose tra i discepoli di Gregorio, studiò sotto di lui la Scrittura, e si fece gloria per tutta la vita di avere avuto un tal precettore. – Intanto le turbolenze crebbero nella Chiesa di Costantinopoli, e fu adunato un Concilio per porvi un termine. Il santo Patriarca mostrò in tale occasione una grandezza d’animo superiore ad ogni elogio. Vedendo che vi era molto fermento negli animi, ei si alzò e disse all’assemblea: Se la mia elezione è quella che cagiona tanti torbidi, io mi sottopongo a subire la sorte di Giona; gettatemi in mare per calmare la tempesta che non ho suscitata. Io non ho mai desiderato di essere Vescovo; e se lo sono, ciò è mio malgrado; se vi sembra espediente che io mi ritiri, io son pronto a tornare alla mia solitudine, affinché la Chiesa di Dio possa finalmente ridivenire tranquilla. Vi prego soltanto di unire i vostri sforzi, affinché la sedia di Costantinopoli sia occupata da un personaggio virtuoso, che abbia zelo per la difesa della fede » (Carm. I). – Dopo avere così dato la sua dimissione, il Santo usci dall’assemblea e. si recò al palazzo; colà si gettò a’ piedi dell’imperatore Teodosio, e avendogli baciato la mano, « vengo, gli disse, o signore, non col divisamento di chiedere ricchezze ed onori per me o per i miei amici, né per sollecitare la vostra liberalità a pro delle Chiese, ma vengo a chiedere il permesso di ritirarmi. La maestà vostra non ignora che contro il voler mio fui collocato nella sedia di questa città, ch’io son divenuto odioso perfino a’ miei amici, perché io miro soltanto agl’interessi del Cielo; vi scongiuro a far sì che la mia dimissione sia gradita. Aggiungete alla gloria dei vostri trionfi quella di ristabilire nella Chiesa la pace e la concordia ». – L’Imperatore fu stranamente sorpreso di una tal grandezza d’animo, e non senza molta pena concesse al santo Vescovo ciò che ei domandava con tanto ardore. Gregorio si congedò con uno stupendo discorso, che pronunziò nella Cattedrale di Costantinopoli in presenza dei Padri del Concilio e d’una moltitudine immensa di popolo. Ei lo terminò prendendo commiato dalla sua diletta metropolitana, dalle altre chiese della città, dai Santi Apostoli che vi erano onorati, dalla cattedra episcopale, dal suo clero, dai monaci, da tutti i servi del Signore, dall’Imperatore e da tutta la corte d’Oriente e d’Occidente, dagli Angeli tutelari della sua Chiesa e dalla Santa Trinità che vi si venerava. « Figli miei, soggiunse, custodite il deposito della fede, e rammentatevi delle pietre che mi sono state scagliate, perché io mi affaticava a porre ne’ vostri cuori la vera dottrina ». I fedeli inconsolabili lo seguirono piangendo e pregandolo a rimanere con essi; ma dei motivi superiori lo costrinsero ad effettuare il suo proposito. Egli si ritirò nella solitudine d’Arianza, ove consumò il rimanente de’suoi giorni, poiché era allora ben vecchio ed infermo. Vi era nella solitudine un giardino, una fontana e un boschetto che gli facevano gustare i piaceri innocenti della campagna. Colà egli esercitava ogni specie di mortificazione corporale; spesso digiunava e vegliava, pregava molto in ginocchio, non adoprava mai fuoco, non si calzava, di una semplice tunica si vestiva, si coricava sulla paglia, e non aveva per coprirsi che un sacco. – In mezzo alle rigorose sue austerità quel grand’uomo compose dei poemi, per confutare gli eretici Apollinaristi. Tali furono le sue occupazioni fino alla beata sua morte, che avvenne nel 389. – Le opere di San Gregorio si compongono: 1° Discorsi in numero di cinquanta. Alcuni di quei discorsi trattano della fede e di diversi punti della morale cristiana; la maggior parte hanno per oggetto di difendere la dottrina della Chiesa contro gli assalti degli eretici, altri sono panegirici pronunziati in onore di diversi Martiri nel giorno della loro festa: ei dettò anche l’elogio di San Basilio suo illustre amico; 2° Lettere, in numero di 257. La maggior parte sono interessantissime, e ci fanno conoscere per minuto il carattere di quel grand’uomo; 3° Poemi e poesie amene in grandissimo numero. Secondo alcuni autori, San Gregorio è il primo tra gli oratori sacri e profani. Questo Padre concepì sempre le cose nobilmente, e le espresse con una delicatezza e una eleganza inimitabili. Vivo, caloroso, fiorito, maestoso, il suo stile contiene una serie di bellezze che non si potrebbero comunicare ad un’altra lingua. I suoi versi, degni dei suoi discorsi, meriterebbero ben più che quei di Virgilio, d’Omero o d’Orazio, d’essere i libri classici delle nostre scuole.

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Gregorio Nazianzeno, un altro Gregorio [come il nostro Santo Padre Gregorio XVIII] che ha sofferto per la Chiesa difesa strenuamente contro i nemici di Cristo. Anche oggi, alla nostra Chiesa Cattolica eclissata, molto beffardi chiedono: “… ma che fa il vostro Signore “il Galileo”, sta a guardare o forse dorme, visto che gli apostati modernisti “giuliani” hanno usurpato ed invaso tutti gli spazi della Chiesa?”- Cosa possiamo noi rispondere se non con le parole del santo dei tempi di Giuliano: “Sta preparando un feretro”, anzi tantissimi feretri ove sprofondare i nuovi apostati, i traditori, gli usurpatori, i nemici di Dio e di tutti gli uomini, i marrani e quelli che hanno per padre il diavolo! Exsurgat Deus!