FESTA DELL’ASCENSIONE (2019)

NELLA FESTA DELL’ASCENSIONE [2019]

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Acta I: 11.
Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in coelum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps XLVI: 2
Omnes gentes, pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exsultatiónis.
[Applaudite, o genti tutte: acclamate Dio con canti e giubilo.]

Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in cœlum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.

[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui hodiérna die Unigénitum tuum, Redemptórem nostrum, ad coelos ascendísse crédimus; ipsi quoque mente in coeléstibus habitémus. [Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che noi, che crediamo che oggi è salito al cielo il tuo Unigenito, nostro Redentore, abitiamo anche noi col nostro spirito in cielo].

Lectio

Léctio Actuum Apostólorum.Act 1:1-11
Primum quidem sermónem feci de ómnibus, o Theóphile, quæ coepit Iesus facere et docére usque in diem, qua, præcípiens Apóstolis per Spíritum Sanctum, quos elégit, assúmptus est: quibus et praebuit seípsum vivum post passiónem suam in multas arguméntis, per dies quadragínta appárens eis et loquens de regno Dei. Et convéscens, præcépit eis, ab Ierosólymis ne discéderent, sed exspectárent promissiónem Patris, quam audístis -inquit – per os meum: quia Ioánnes quidem baptizávit aqua, vos autem baptizabímini Spíritu Sancto non post multos hos dies. Igitur qui convénerant, interrogábant eum, dicéntes: Dómine, si in témpore hoc restítues regnum Israël? Dixit autem eis: Non est vestrum nosse témpora vel moménta, quæ Pater pósuit in sua potestáte: sed accipiétis virtútem superveniéntis Spíritus Sancti in vos, et éritis mihi testes in Ierúsalem et in omni Iudaea et Samaría et usque ad últimum terræ. Et cum hæc dixísset, vidéntibus illis, elevátus est, et nubes suscépit eum ab óculis eórum. Cumque intuerétur in coelum eúntem illum, ecce, duo viri astitérunt iuxta illos in véstibus albis, qui et dixérunt: Viri Galilaei, quid statis aspiciéntes in coelum? Hic Iesus, qui assúmptus est a vobis in coelum, sic véniet, quemádmodum vidístis eum eúntem in coelum.

OMELIA I

[Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, Queriniana Brescia, 1896 vol. II, impr.]

“Io primieramente ho trattato, o Teofìlo, delle cose che Gesù prese a fare e ad insegnare in fino al dì, ch’Egli fu accolto in alto, dopo aver dato i suoi comandi per lo Spirito Santo agli Apostoli ch’Egli aveva eletti. Ai quali ancora, dopo aver sofferto, si presentò vivente, con molte e sicure prove, essendo da loro veduto per lo spazio di quaranta giorni e ragionando con essi delle cose del regno di Dio. E trovandosi con essi, comandò loro che non si partissero da Gerusalemme, ma aspettassero la promessa del Padre, che, diss’Egli, avete da me udita. Perocché Giovanni battezzò con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni. Essi adunque, stando con Lui, lo domandarono, dicendo: Signore, sarà egli in questo tempo, che tu restituirai il regno ad Israele? Ma Egli disse loro: Non spetta a voi conoscere i tempi e le stagioni, che il Padre serba in poter suo. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo, che verrà sopra di voi e mi sarete testimoni e in Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e fino alle estremità della terra. E dette queste cose, levossi a vista loro: e una nuvola lo ricevette e lo tolse agli occhi loro. E com’essi tenevano ancora fissi gli occhi in cielo, mentre se ne andava, ecco due uomini si presentarono loro in candide vesti e dissero loro: Uomini Galilei, perché state riguardando verso il cielo? Questo Gesù che è stato accolto in cielo d’appresso voi, verrà nella stessa maniera che l’avete veduto andarsene in cielo” -. (Atti Apostolici, 1. I, 11). –

In questi primi undici versetti, che leggiamo nel principio del libro degli Atti Apostolici, che la Chiesa oggi fa recitare al sacerdote celebrante la Santa Messa e che ora vi ho riportato parola per parola nella nostra favella, S. Luca ci narra l’Ascensione di Gesù Cristo al Cielo. È il fatto strepitoso, è il mistero che la Chiesa festeggia in questo giorno, col quale si chiude la vita di Gesù Cristo quaggiù sulla terra. Mio compito è quello di ragionarvi di questo fatto: e qual miglior modo di sdebitarmene che quello di commentare la lezione sacra, che udiste? Eccovi il soggetto di questa, anziché Ragionamento, modesta Omelia, a cui vi piaccia porgere benigno l’orecchio. – S. Luca, nato nel gentilesimo, fornito di coltura greca più che comune, fu medico di professione. Abbandonò il paganesimo e abbracciò il Vangelo di Gesù Cristo per opera di S. Paolo, che seguì fedelmente ne’ suoi viaggi di terra e di mare fino a Roma, dove si trovava allorché l’Apostolo scrisse la sua seconda lettera a Timoteo, poco prima della morte. (II Tim. V. 11). S, Paolo si loda di lui e lo chiama carissimo. (Ai Coloss. IV, 12). Egli scrisse il suo Vangelo come l’aveva udito da S. Paolo e lo scrisse in lingua greca, allora abbastanza conosciuta in tutto l’Oriente e a Roma e lo scrisse per uso di quei Cristiani, che prima erano stati gentili. Dopo aver scritto il Vangelo pose mano a scrivere il libro, che porta il titolo Atti o Gesta degli Apostoli, particolarmente di S. Paolo, giacché la seconda metà del libro si restringe esclusivamente a narrare le opere di lui: cosa affatto naturale, essendo egli stato suo discepolo e compagno e testimonio di ciò che narra. Cominciando questo libro, lo lega col Vangelo, che prima aveva scritto e che racchiude per sommi capi la storia di circa trent’anni. Questo libro fa seguito al Vangelo e ci descrive l’origine della Chiesa e, come voleva la natura delle cose, si apre col racconto della Ascensione di Gesù Cristo, accennata appena nell’ultimo capo del Vangelo. Uditene il prologo: Primieramente, o Teofilo, ho ragionato di tutte le cose, che Gesù prese a fare e ad insegnare fino al giorno, nel quale, dati per lo Spirito Santo i suoi comandi agli Apostoli, da Lui eletti, levossi al cielo. S. Luca rivolge la parola a Teofilo. Chi è desso codesto Teofilo, al quale S. Luca si indirizza eziandio a principio nel suo Vangelo? Sembra fuori di dubbio che fosse un personaggio distinto, che aveva dato il suo nome a Gesù Cristo e la cui vita doveva rispondere al nome che portava, e che in nostra lingua significa Amatore di Dio. Gli ricorda il libro del Vangelo, che gli aveva mandato e nel quale aveva compendiato le opere e la dottrina di Gesù Cristo. – Quæ cœpit Jesus facere et docere. Ecco che cosa è il Vangelo: il compendio delle cose fatte e insegnate da Gesù Cristo; dal che è facile inferire che nel Vangelo le opere e la dottrina di Gesù Cristo non sono riferite tutte, ma le principali e per sommi capi. A ragione poi gli interpreti fanno osservare che S. Luca, compendiando la vita di Gesù Cristo nel Vangelo, alle parole di Lui manda innanzi le opere: – Cœpit facere et docere -. Prima fece e poi insegnò! E in vero: le opere sono assai più eloquenti delle parole e gli uomini apprendono più assai da quelle, che da queste: le parole non costano gran sacrificio, ma lo impongono spesso assai grave le opere. E poi, a che valgono le parole se non sono accompagnate dalle opere? Ciò che valgono le frondi senza i frutti; ed è per questo che di Gesù si dice che cominciò a fare e dopo ad insegnare. Imitiamolo, affinché gli uomini vedano le opere nostre e vedendole sollevino la mente a Dio e gli rendano lode. – Io, scrive S. Luca, vi ho narrata nel mio Vangelo la vita di Gesù dal suo miracoloso concepimento fino alla sua dipartita dalla terra, fino a quel dì nel quale, andandosene al Cielo, lasciò i suoi comandi agli Apostoli e li costituì esecutori dei suoi voleri. Quali siano questi comandi e quali i voleri di Gesù Cristo si fa manifesto dal Vangelo istesso, dove sono determinati. E badate bene, soggiunge S. Luca, che questi comandi sono dati da Lui, che come fu concepito per virtù dello Spirito Santo, cosi tutto fa e dice per virtù dello stesso Spirito Santo, di cui possiede la pienezza. I quali comandi e voleri manifestò a quegli Apostoli che elesse Egli medesimo e ammaestrò di sua bocca. Non è senza ragione e profonda che S. Luca, nominati gli Apostoli, volle tosto soggiungere quelle due parole: – Quos elegit – I quali egli elesse -. Scopo del libro è di far conoscere le opere compiute dagli Apostoli e singolarmente da San Paolo e quindi di mettere in rilievo l’organismo della Chiesa primitiva. Importava adunque che si facesse conoscere in chi risiedeva il potere di reggere quella Chiesa e da chi era dato; e S. Luca ce lo mostra negli Apostoli e qui ci dice ch’essi l’ebbero da Cristo, che li elesse. È questa, o cari, una verità che vuolsi spesso ricordare e inculcare in questi tempi, nei quali si tende a collocare la radice del potere nella moltitudine. Checché sia del potere civile, di cui non parlo, il potere della Chiesa viene dall’alto, deriva di Cristo e da Lui passa negli Apostoli e dagli Apostoli nei suoi successori fino al termine dei tempi, perché Egli li elesse ed eleggendoli li investì di quel potere, che non riceve da chicchessia,, ma trae da se medesimo. – Fino al giorno nel quale fu assunto in Cielo – E da chi fu assunto Egli, Gesù Cristo? Non da altri fuorché dalla sua stessa onnipotenza, perché Egli era Dio eguale in ogni cosa al Padre; il perché la frase – Egli fu assunto in Cielo – vuolsi riferire alla natura umana, che aveva assunto, non alla sua divina Persona, che essendo immensa e onnipotente non può né salire, né discendere e per agire non ha bisogno di qualsiasi forza a sé estranea. Il sacro scrittore prosegue e in un versetto solo riassume la vita di Gesù Cristo, dalla sua Risurrezione alla sua Ascensione così: – Ai quali Apostoli, dopo la Passione, si era eziandio mostrato redivivo per lo spazio di quaranta giorni in molte maniere, parlando loro del regno di Dio -. Il punto capitale della vita di Gesù Cristo e la prova massima della sua divina missione, era senza dubbio il fatto della sua Risurrezione e questa, dice S. Luca, non poteva essere più certa e più splendida. Per il periodo di quaranta giorni si mostrò redivivo ai suoi Apostoli e nei modi più svariati per dileguare ogni ombra di dubbio. Si mostrò alle donne, a Pietro, a Giacomo separatamente, a due discepoli lungo la via di Emmaus, a sette sulle rive del lago di Tiberiade, a dieci e poi ad undici insieme raccolti nel Cenacolo di Gerusalemme; poi finalmente allorché salì al Cielo fu visto da circa cento e venti persone [S. Luca, narrata la Ascensione di Gesù Cristo, dice che gli Apostoli (e dà il nome di tutti undici) insieme con Maria e le donne si raccolsero nel Cenacolo in Gerusalemme, e tra parentesi aggiunge: – Che erano circa 120 -. Dal contesto sembra chiaro che questi 120 furono sul colle degli Olivi spettatori della Ascensione di Cristo. Si noti poi che gli Ebrei, allorché danno il numero delle persone, non comprendono mai le donne, ed altra volta, che San Paolo afferma in modo solenne senza specificare il luogo e il modo, mostrossi insieme a cinquecento fratelli (I. Cor. XV. 6). Con loro parlò, con loro mangiò; volle che gli toccassero le mani e il costato perché si accertassero essere ben Egli il loro Maestro risuscitato, non ombra o spirito. La sua Risurrezione, considerata la lunghezza del tempo, la varietà delle apparizioni e delle prove e tenuto conto del numero dei testimoni, poteva ella essere più manifesta e più accertata? Mi appello a voi. – In tutte codeste apparizioni Gesù Cristo più o meno lungamente si trattenne e naturalmente parlò con gli Apostoli e con quanti erano presenti. E di quali cose parlò Egli con essi? Se noi scorriamo i quattro Evangeli e questo primo capo degli Atti Apostolici, troviamo alcuni cenni intorno alle cose che Gesù disse loro; ma ogni ragione vuole ch’Egli parlasse loro e ampiamente di tutto ciò che loro importava conoscere nell’esercizio dell’altissima missione loro affidata. S. Luca, con due sole parole, accenna il soggetto di queste istruzioni, che Gesù dava agli Apostoli e che dovevano essere la regola della loro condotta privata e specialmente pubblica, dicendo: – Loquens de regno Dei – Parlando del regno di Dio -. Qual regno di Dio? Certamente il regno di Dio sulla terra, cioè la Chiesa, che è la preparazione e il mezzo necessario per entrare nel regno di Dio, il Cielo e la vita beata. Ma se lo Scrittor sacro con estremo laconismo indicò l’argomento dei discorsi di Cristo con gli Apostoli in genere, non li significò in particolare, rimettendosi in questo alla tradizione orale. E qui riceve nuova e gagliarda prova la Dottrina Cattolica, che professa la Scrittura santa non contenere tutto l’insegnamento di Gesù Cristo, ma questo aversi pieno e perfetto nella tradizione orale. Dicano i fratelli nostri protestanti quante e quali furono le cose dette da Gesù Cristo agli Apostoli e comprese in quelle tre parole – Loquens de regno Dei? – E dovevano essere cose d’alto momento e perché venivano da tanto Maestro e perché riguardavano l’opera di Lui per eccellenza, la Chiesa, e perché  erano gli ultimi ricordi che loro lasciava. L’insegnamento orale adunque degli Apostoli e della Chiesa devesi considerare come il complemento non solo utile, ma necessario di. quello che abbiamo nei Libri Santi. – S. Luca nel versetto che segue ci fa sapere qual fu uno degli argomenti di queste conversazioni od istruzioni di Gesù Cristo, scrivendo: – Stando insieme a mensa, comandò loro non si dipartissero da Gerusalemme, ma vi aspettassero la promessa del Padre, che voi avete udito (disse) dalla mia bocca -. Dovevano fermarsi in Gerusalemme finché fosse adempiuta la promessa che Egli stesso aveva fatta a nome suo e del Padre – di mandare loro lo Spirito Santo. E perché  fermarsi in Gerusalemme? Perché là e non altrove, Gesù Cristo vuole che ricevano lo Spirito Santo? Perché là dove Gesù Cristo patì e morì, là se ne vedesse il primo frutto: perché là dove sul vertice della sua croce fu posta per ischerno la scritta: – Questi è il Re dei Giudei -, là cominciasse il suo regno, regno di tutti i secoli. Perché là dove Gesù Cristo lasciava i suoi Apostoli, là ricevessero lo Spirito consolatore, che doveva tenerne il luogo e continuarne l’opera. Perché là dove Gesù Cristo con la sua morte aveva posto fine alla legge mosaica, lo Spirito Santo proclamasse la nuova legge e dal centro della Sinagoga uscisse la Chiesa, che ne era la meta ed il termine. Accennata la promessa dello Spirito Santo che sarebbe disceso sugli Apostoli, Gesù ne tocca gli effetti, chiamando quella comunicazione miracolosa: Battesimo e altrove Battesimo di fuoco – Giovanni battezzò con l’acqua, dice Cristo, e voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni -. – Giovanni, così il divin Salvatore, battezzava il popolo sulle rive del Giordano, e voi ed Io con voi vi andammo. Che Battesimo era quello? Battesimo con acqua: esso, per sé, non mondava l’anima, ma solo il corpo. Per esso voi vi riconoscevate peccatori, bisognevoli di purificazione: esso non infondeva grazia alcuna nelle anime vostre; vi eccitava soltanto a desiderarla, destandovi la fede in Lui, che Giovanni annunziava e che ora vi parla. Voi ora siete mondi in virtù della mia parola: nell’anima vostra alberga la mia grazia e con essa il germe della vita divina. Ma la missione, che siete per cominciare domanda una forza più gagliarda, una vita più potente, un novello Battesimo, non di acqua, ma di fuoco e l’avrete tra pochi giorni -. È chiaro che Gesù Cristo in questo luogo col nome di Battesimo nello Spirito Santo designa la venuta dello Spirito Santo e la trasformazione operata negli Apostoli il giorno delle Pentecoste e la designa con questo nome perché vi è una certa somiglianza col Battesimo di acqua. Questo si riceve una sola volta e una sola volta in modo sensibile lo Spirito Santo discese sugli Apostoli: questo depose nell’anima una vita nuova, che si svolse nella vita cristiana, stampando in essi un segno incancellabile: e lo Spiritò Santo depose in essi una nuova energia, che si svolse nelle opere tutte dell’Apostolato. – Ma ritorniamo alla narrazione di S. Luca, il quale riporta una domanda degli Apostoli a Gesù, la quale se da una parte dimostra la semplicità e, diciamolo pure, la ignoranza degli Apostoli, dall’altra mette in piena luce la divinità del divino Maestro verso di loro e prova insieme l’ammirabile sincerità del sacro scrittore. Uditela: – Intanto i convenuti colà lo interrogarono dicendo: Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – Per comprendere questa domanda, che sembra a noi molto strana, conviene conoscere le idee che allora fermentavano nel popolo giudaico non meno che nei suoi capi, alle quali naturalmente gli Apostoli non potevano essere estranei. E tanto più conviene conoscere queste idee, delle quali gli Apostoli si fanno interpreti presso del Maestro in quanto che esse ci danno la chiave per spiegare la terribile apostasia della nazione e la catastrofe che ne seguì. Scorrete i libri dell’antico Testamento e particolarmente i Salmi ed i Profeti: in moltissimi luoghi si promette il Messia e sotto le più svariate forme lo si presenta e si descrive. Si predicano, è vero, le sue umiliazioni, i suoi dolori, la sua morte in modo che sembrano una storia piuttostoché una profezia; ma lo si dipinge pure come un re potentissimo, un gran duce vincitore, un conquistatore glorioso, che strapperà il suo popolo dalle mani dei nemici, che lo rivendicherà a libertà e stenderà il suo scettro pacifico su tutta la terra. Che ne avvenne? Ciò che doveva avvenire in un popolo sì fiero della propria indipendenza, orgoglioso, tenacissimo e che dopo le terribili prove, da cui era uscito contro i Babilonesi e contro i re Siri, al tempo dei Maccabei, fremevano sotto il giogo romano. Come gli individui e più degli individui i popoli hanno il loro amor proprio, il loro egoismo nazionale, che può toccare i gradi estremi. Gli Ebrei tenevano salda la speranza del futuro Liberatore, del quale parlavano i profeti, i riti ed i simboli in tante forme rappresentavano; l’aspettavano, lo desideravano ardentemente. Ma la loro natura grossolana, il desiderio ardentissimo di scuotersi dal collo l’abbominata signoria straniera e l’orgoglio nazionale fecero sì che nel Messia promesso, nel Liberatore annunziato dai Patriarchi e dai Profeti, più che il Liberatore delle anime vedessero il liberatore dei corpi, più che il Redentore del mondo aspettassero il vindice della nazione, un Davide glorioso, un Maccabeo restauratore di Israele. Foggiatasi questa idea bizzarra e falsissima del Messia, che accarezzava il loro orgoglio e rispondeva alle condizioni politiche sì dolorose ed umilianti della nazione, è facile immaginare come i Giudei dovessero accogliere Gesù Cristo, che annunziava un regno spirituale, che voleva si rendesse a Cesare ciò che era di Cesare e che mandava in fumo le speranze di libertà e grandezza temporale, che si aspettavano. È questa la causa precipua della cecità de’ Giudei e del ripudio di Cristo e che trasse in rovina la nazione intera. Terribile lezione. che troviamo ripetuta sventuratamente anche in alcuni popoli cristiani! Perché l’Oriente ai tempi di Fozio e poi di Michele Cerulario si separò da Roma e cadde nello scisma e nella eresia, in cui giace ancora? La causa principale fu l’orgoglio nazionale dei Greci, ai quali pareva una umiliazione ubbidire al Pontefice di Roma e sottostare ai Latini. Perché la maggior parte della Germania consumò la sua separazione dal centro dell’unità cattolica, che risiede in Roma? Vuolsi ascriverne la causa principale alla gelosia nazionale: ai fieri Germani mal sapeva ricevere la legge da Roma, a loro, figli di Arminio. Perché l’Inghilterra ruppe i vincoli, che da secoli la tenevano unita a Roma? Perché le parve a torto minacciata la sua indipendenza nazionale. Se bene si guarda quasi tutti gli scismi e quasi tutte le grandi eresie, che desolarono la Chiesa, ebbero la loro funesta radice nel sentimento esagerato e male inteso della dignità e grandezza nazionale. È una prova tremenda per un popolo il sospetto, il solo timore, che gli interessi religiosi possano offendere il sentimento patriottico: nella lotta vera o immaginaria che sia v’è un grande pericolo, che il popolo agli interessi del Cielo anteponga i terreni e respinga una Chiesa od una Religione che gli sembra domandare il sacrificio della patria e tanto più grande è il pericolo quanto più ardente è l’amore della patria stessa. Ma guai a quel popolo che si lascia accecare! L’esempio d’Israele è là sotto gli occhi del mondo intero. Torniamo al sacro testo. – Gli Apostoli, benché poveri figli del popolo, rozzi pescatori, nati e cresciuti sugli estremi confini della nazione, ai piedi del Libano e lontani dal centro d’Israele, Gerusalemme, dove batteva il cuore della nazione e ardeva il focolare del patriottismo, non erano estranei alle speranze comuni, né insensibili al fremito del popolo. L’uomo nasce e vive patriota e tutto ciò che suona onore, libertà e grandezza della patria, trova sempre aperta la via del suo cuore e se vi è uomo, in cui l’amore della patria non trova eco, dite pure che è un miserabile, un essere degradato. Era dunque naturale che gli Apostoli, anime rette, forti e generose, ancorché prive d’ogni coltura, sentissero vivo l’amore della patria e partecipassero al sentimento comune, spingendolo fino al pregiudizio fatale di assegnare al Messia, e per conseguenza a Gesù Cristo, la missione di liberatore dal giogo straniero. E che gli Apostoli tutti fossero vittima di questo pregiudizio comune, figlio d’un patriottismo male inteso, e ciò fino alla Ascensione di Gesù Cristo al Cielo, apparisce in modo indubitato dalla domanda che ingenuamente e non senza qualche peritanza, gli mossero: – Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – La domanda è fatta in modo, che sembra deliberata in comune, riserbata in sull’ultimo come cosa gravissima, nella speranza che il Maestro ne parlasse anche non richiesto e concepita in termini che esprimono l’angustia e l’incertezza dell’animo loro. Qual fu la risposta di Gesù? È semplicissima e l’avete udita. Egli, il divino Maestro, li lascia dire e li ascolta. Non una parola di stupore, non un accento solo di rimprovero per tanta ignoranza, dopo sì lungo tempo di scuola avuta da Lui, e tanta ignoranza sopra un punto capitale, che riguardava il fine della divina sua missione. Quanta benignità! Quanta carità con questi suoi cari Apostoli! Egli, vedendo le loro menti ingombre di sì gravi pregiudizi, tace e dissimula e non si prova nemmeno a dissiparli, perché non l’avrebbero compreso. Aspetta che il tempo e la luce che tra breve getterà nelle loro menti lo Spirito Santo, li rischiarino e mettano fine ai loro dubbi. Grande e sublime lezione per tutti e particolarmente per quanti hanno l’ufficio di ammaestrare il popolo! Quante volte accade di trovare persone piene di errori, che non si arrendono alle dimostrazioni più evidenti, che non sanno spogliarsi di certi pregiudizi succhiati col latte, che chiudono gli occhi della mente a verità chiarissime! Che fare? Talvolta sono vittime della educazione, dell’ambiente, come si dice, delle correnti popolari, di passioni per sé non sempre spregevoli. Combatterle risolutamente a viso aperto sarebbe forse cosa vana e talora anche nociva, perché ecciterebbe più vive le passioni facendosi l’amor proprio offeso loro patrocinatore. In molti casi giova tacere, dissimulare, attendere che le passioni sbolliscano, che il tempo ammaestri, e non è raro il caso che le menti si aprano da se stesse alla luce di quelle verità che prima si erano fieramente rigettate. L’esempio di Cristo lo prova. Egli lasciò cadere la domanda; non negò, né affermò; ma, riconducendo la mente dei suoi diletti Apostoli a ciò che maggiormente importava e dalle cose temporali richiamandoli, come sempre soleva fare, alle celesti, rispose: – Non spetta a voi conoscere i tempi e le congiunture, che il Padre ha serbato in sua balìa. – Che fu un dire: a che fermate il vostro pensiero sulle sorti future del regno d’Israele? Voi non potete mutarle; esse sono nelle mani di Dio, che solo le conosce e le regola nella sua sapienza. Ad altra impresa e troppo più alta e importante voi siete chiamati: di questa vi occupate, che è vostra, e quell’altra rimettete al divino volere. – Del resto qual era la sorte riserbata alla nazione giudaica e nominatamente alla sua capitale, Gerusalemme, cinquanta giorni innanzi l’aveva detto e descritto coi colori più vivi e la memoria doveva essere ancor fresca negli Apostoli. Non aveva lor detto, pochi giorni prima della sua passione, che sarebbe scoppiata una guerra sterminatrice con rivolte e tumulti? Non aveva chiaramente annunziato un assedio terribile, la presa della città, la distruzione del tempio, sì che non ne sarebbe rimasta pietra sopra pietra e ammonitili che fuggissero ai monti per non essere involti nella catastrofe? In quella profezia sì chiara e particolareggiata, che non potevano aver dimenticata, perché recentissima, si conteneva la risposta alla domanda: – È questo il tempo, nel quale restituirai il regno ad Israele? – Ma non è inutile il ripeterlo, quando un pregiudizio è profondamente abbarbicato nell’animo non valgono le ragioni più evidenti a svellerlo, ed è saggezza aspettare il beneficio del tempo e della esperienza, come fece Cristo, il quale, messo da banda questo argomento affatto umano e che allora non interessava, continuò, dicendo: – Piuttosto voi riceverete la potenza dello Spirito Santo, il quale verrà sopra di voi -. Ben altro regno che quello temporale d’Israele, del quale mi fate domanda, si deve fondare e tosto e per opera vostra. E come e quando? Appena avrete ricevuto lo Spirito Santo, che vi riempirà della sua forza divina tra pochi giorni e trasformandovi in altri uomini, vi renderà strumenti atti all’ardua impresa; e allora, da Lui supernamente illustrati, comprenderete qual sia il regno, ch’Io sono venuto a stabilire, regno della verità, regno dell’anime, che comincerà qui in Gerusalemme, si allargherà in tutta la Giudea e nella Samaria, che sono i confini del regno d’Israele, di cui parlate, e poi si distenderà fino agli estremi della terra. In tal modo Gesù Cristo accenna alla differenza immensa, che corre tra l’angusto e temporal regno sognato dagli Apostoli e quello senza confini e spirituale, ch’Egli per opera loro avrebbe fondato e implicitamente risponde alla domanda, che gli avevano fatta: – In questo tempo restituirai tu il regno ad Israele? – E qui cade in acconcio toccare alcune verità, che non sono senza importanza. E primieramente osservate tracciato agli Apostoli l’ordine della loro predicazione: essi dovevano cominciare la loro missione in Gerusalemme, poi spandersi nella Giudea, poi portarla in Samaria, che è quanto dire annunziare prima la buona novella ai figli di Abramo disseminati sul territorio delle dodici tribù, pigliando le mosse dalle due rimaste fedeli. Compiuta questa missione presso i figli d’Israele, il muro, che fino allora aveva separato il popolo eletto da tutti gli altri doveva cadere e aprirsi a tutti indistintamente la porta del novello regno, regno universale e duraturo fino al termine dei tempi. Disegno più audace di questo e umanamente di questo più impossibile non s’era mai visto, né mai era caduto in mente d’uomo e direttamente feriva l’orgoglio del popolo ebraico, sì tenace e sì geloso del suo più assoluto isolamento. Il carattere della più vasta universalità per ragione dello spazio e del tempo, che Cristo in questo luogo imprime al suo regno, siffattamente ripugna alle idee del mondo pagano e più ancora del mondo ebraico, che anche solo basta d’avvantaggio a mostrarli in Chi lo concepì e sì chiaramente l’annunzi la coscienza della propria forza al tutto sovra umana e divina. Osservate in secondo luogo che Cristo costituisce gli Apostoli testimoni – Eritis mihi testes – Testimoni di che? Dei fatti e dei miracoli (e per conseguenza della dottrina dai fatti e dai miracoli provata), che avevano veduto coi loro occhi. Ufficio adunque degli Apostoli e dei loro successori è quello di attestare e affermare costantemente e dovunque l’insegnamento di Cristo, la cui certezza poggia sui miracoli da Lui operati. Essi non sono che testimoni e perciò loro ufficio è quello di conservare pura e intatta la Dottrina di Cristo, quale uscì dalle sue labbra, senza aggiungere o levare ad essa pure un apice. Perciò il ponetevelo bene nell’animo, o dilettissimi, la Chiesa, continuatrice dell’opera degli Apostoli non crea una sola verità nuova, non altera, né dimentica, né omette una sola delle verità caduta dalle labbra di Cristo e degli Apostoli: tutte le conserva e le trasmette fedelmente, come un cristallo tersissimo trasmette i raggi del sole, benché le svolga più largamente e di nuove e più ampie prove secondo i tempi e i luoghi le avvalori. Finalmente non dimenticate mai, o dilettissimi, che questo doppio ufficio di propagatrice e conservatrice infallibile della Dottrina di Cristo la Chiesa lo adempì e adempirà sempre, non per virtù propria, ma sì unicamente per virtù di quello Spirito Santo, che Cristo promise agli Apostoli e che rimarrà nella Chiesa fino all’ultimo giorno de’ secoli, secondo la sua promessa solenne. È bene a credere che Cristo, trattenendosi con gli Apostoli a lungo e più volte per lo spazio di quaranta giorni, altre cose disse loro, che non sono registrate da S. Luca, ma che si conservarono religiosamente nell’insegnamento orale degli Apostoli stessi e della Chiesa. S. Luca, compendiate queste cose, narra che Gesù condusse gli Apostoli fuori, in Betania, il castello di Marta, Maria e Lazzaro, presso Gerusalemme (S. Luca, XXIV, 51) e benedicendoli amorosamente – sotto i loro occhi levossi in alto – Videntibus illis, elevatus est –  Cristo levossi da terra per virtù della sua divina persona e sembra che ciò facesse a poco a poco, volti sempre gli sguardi sorridenti e stese le braccia verso i suoi cari Apostoli e discepoli e sopra tutto verso la Madre sua, che indubitatamente era colà, come si rileva dal versetto quattordicesimo di questo primo capo degli Atti Apostolici. Levossi in alto – Elevatus est – cioè levossi al Cielo. Che vi sia un luogo dove Iddio si manifesta svelatamente nella sua gloria a quelli, che hanno meritato di vederlo e bearsi in Lui e che si dice cielo, non vi può essere dubbio alcuno e la natura stessa degli Angeli e particolarmente degli uomini, che vi sono chiamati, lo esige. Ma dove sia questo luogo e questo Cielo a noi è perfettamente ignoto. – L’idea cristiana del Cielo, elevandosi ai sublimi concetti di Dio, della sua immensità, degli spiriti, delle anime e dei corpi gloriosi, conserva pur sempre l’idea d’un luogo particolare, dove Dio mostra la sua presenza e la sua gloria, ma non determinò mai precisamente in qual regione sia posto questo luogo, se sopra o sotto di noi, se ad Oriente od Occidente, a tramontana o mezzogiorno. I Libri Santi tacciono, la tradizione è muta e la Chiesa, che n’è l’interprete, insegna che il Cielo de’ beati, il paradiso vi è, ma dove sia noi disse mai. E perché non potrebb’essere sulla terra istessa? Là dove è Dio svelato alle anime, là può essere il Cielo; e non potrebbe Iddio mostrarsi loro qual è qui sulla terra, campo dei loro combattimenti e delle loro vittorie e perciò anche luogo del loro trionfo? Che importa che noi non vediamo nulla? Chi può vedere Iddio, i puri spiriti, i corpi gloriosi? Cristo non vive sulla terra nel sacramento dell’altare invisibile? E certo dove è Cristo ivi è altresì il Cielo, di cui è il Re. Disse profondamente il poeta teologo che ogni dove è paradiso ed è questo il vero concetto del Cielo secondo la ragione e secondo la fede e questo teniamo. Ma voi direte: E pur sempre vero che il testo sacro, narrando l’ascensione di Cristo, ce lo descrisse in atto di salire in alto – Elevatus est -; e noi stessi, allorché accenniamo il Cielo, leviamo in alto le mani quasi fosse lassù sopra dei nostri capi. È vero: Cristo, salendo in Cielo, montò in alto, per mostrare che la sua presenza visibile cessava sulla terra e cominciava un’altra maniera differentissima di vita; e poiché le cose più nobili e più eccellenti per noi si dicono metaforicamente alte e ce le rappresentiamo, non in basso, ma in alto; così Cristo per farci conoscere il suo nuovo modo di esistere in Cielo, salì in alto. Per la stessa ragione, allorché noi parliamo del Cielo, leviamo in alto le mani e gli occhi come se il Cielo fosse sopra de’ nostri capi Poiché Gesù fu levato in alto, una nube, dice il sacro scrittore, lo tolse ai loro occhi. Qual nube? Porse fu vera nube, o come inclino a credere e mi sembra più conforme al fatto e alla maestà di Cristo, quella fu uno splendore di luce meravigliosa, che a guisa di nube lo circonfuse e lo rese invisibile agli occhi degli Apostoli, che lo seguivano con ansia amorosa, con gioia ineffabile e dolore vivissimo, come potete immaginare. – Allorché gli Apostoli stavano pur con gli occhi fissi in alto cercando di vedere il Maestro, che si era dileguato in mezzo a quei fulgori celesti, ecco ad un tratto due personaggi bianco vestiti stettero presso di loro, quasi inosservati, perché gli occhi loro erano fermi lassù in alto. S. Luca non dice che fossero Angeli, ma non è a dubitarne dal contesto. Li chiama personaggi (viri), non Angeli, perché apparvero con forme umane e certo non è questo il primo luogo, in cui gli Angeli si chiamano uomini. Essi, riscossi gli Apostoli da quella loro estasi, volsero loro la parola, dicendo: – 0 Galilei, che state a riguardare in Cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi fu assunto in Cielo, verrà al modo istesso, onde lo vedeste andarsene -. Quegli Angeli rammentarono agli Apostoli una verità, che più volte avevano udita dalla bocca di Cristo, cioè la sua venuta gloriosa al termine dei tempi. Vedete somiglianza tra i due fatti della salita di Cristo al Cielo e della futura sua venuta, toccata dal sacro Autore. E sempre sopra una nube, che Gesù si mostra, sia che parta dalla terra, sia che vi ritorni, per indicare la sua maestà e la piena signoria ch’Egli ha sopra ogni cosa. Nella stessa trasfigurazione la voce celeste si fa udire dal seno d’una nube e attraverso ad una nube Mosè intravvede Dio. Con la mente e col cuore abbiamo seguito Cristo, che sale al Cielo: prepariamoci con la mente e col cuore ad accoglierlo nella finale sua venuta per essergli compagni nel suo rientrare nella gloria celeste e vivere beati con Lui per tutti i secoli dei secoli.

Alleluia

Allelúia, allelúia.
Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ. Allelúia.
[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Ps LXVII:18-19.
V. Dóminus in Sina in sancto, ascéndens in altum, captívam duxit captivitátem.
Allelúia.  [Il Signore dal Sinai viene nel santuario, salendo in alto, trascina schiava la schiavitú. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc. XVI: 14-20
In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, prædicáte Evangélium omni creatúræ. Qui credíderit et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, hæc sequéntur: In nómine meo dæmónia eiícient: linguis loquantur novis: serpentes tollent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super ægros manus impónent, et bene habébunt.
Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in cœlum, et sedet a dextris Dei. Illi autem profécti, prædicavérunt ubíque, Dómino cooperánte et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

OMELIA II

[Ut supra: Perché Gesù Cristo sali al Cieloe che vuol dire: Siede alla destra del Padre?]

– “Mentre (gli undici Apostoli) stavano a mensa, Gesù apparve loro e rampognò la loro incredulità e durezza di cuore, perché a quelli, lo avevano veduto risorto, non avevano creduto, e disse loro: Andando per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura; chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvo; ma chi non avrà creduto, sarà condannato. I segni poi che accompagneranno quelli, che avranno creduto, sono questi: Nel mio nome scacceranno demoni, parleranno nuovi linguaggi, torranno via serpenti e se alcun che di mortifero avranno bevuto, non ne avranno nocumento: porranno le mani sopra gli infermi e guariranno. E poiché il Signore ebbe parlato loro, fu accolto in Cielo e siede alla destra di Dio. Gli Apostoli intanto usciti, predicarono per tutto, cooperando il Signore e confermando la parola coi segni che seguitavano”. (S. Marco, XVI, 14, 20) –

La vita di Gesù Cristo sulla terra quale è narrata nei Vangeli è un continuo alternare di grandezze e di debolezze, di glorie e di umiliazioni, che tra loro mirabilmente si intrecciano, e così conveniva che fosse. Egli era insieme Dio e uomo, e se le grandezze e le glorie a Lui si convenivano come a Dio, le debolezze e le umiliazioni convenivano pure a Lui come uomo, fattosi nostro mallevadore e nostro modello: e poiché Dio tutto vince e signoreggia, così le grandezze e le glorie in Lui dovevano finalmente soverchiare e assorbire le debolezze, le umiliazioni e tutto doveva finire nello splendore del suo trionfo senza eguale. E in questo giorno, o carissimi, come sapete, è il finale trionfo di Gesù Cristo che celebriamo, la sua gloriosa Ascensione. Quel Bambino che le mani virginali di Maria, nel cuore d’una notte invernale, deponevano sulla paglia di una mangiatoia: quell’Uomo che scorreva le contrade della Giudea, della Galilea e della Samaria, seminando sui suoi passi i miracoli e spargendo dovunque parole di vita, ora salutato come figliuolo di Davide e aspettato Salvatore ed ora insultato e bestemmiato come seduttore e falso profeta: quell’Uomo che spirava sul patibolo della croce e calato nel sepolcro dopo tre dì risorgeva sfolgoreggiante di gloria, oggi, ammaestrati in ogni cosa gli Apostoli, lascia la terra, entra in Cielo e corona l’opera, per la quale era venuto. – Tutti i misteri della vita di Gesù Cristo sono fecondi di alti insegnamenti per chi li contempla e li medita alla luce della fede: tale senza dubbio è altresì l’odierno mistero della Ascensione, che chiude la vita di Cristo sulla terra. Con animo docile meditiamolo per pochi istanti e per non ismarrirci nel nostro cammino, seguitiamo una guida sicura e sia l’Angelo della scuola, e con Lui cerchiamo perché Gesù Cristo salì al Cielo e che cosa significa sedere alla destra del Padre. Nella risposta a queste due domande voi avete il soggetto delle mie parole e delle vostre considerazioni. – S’io interrogassi qualcuno tra di voi che mi ascoltate e dicessi: – Fratel mio, dimmi: A tuo giudizio sarebbe stata miglior cosa, che Gesù Cristo dopo la sua risurrezione fosse rimasto sempre sulla terra fino al termine de’ secoli, o se ne fosse dipartito, come veramente se ne dipartì? – Io penso che mi risponderebbe tosto: Oh! era meglio che fosse rimasto quaggiù stabilmente. Se noi lo vedessimo, l’udissimo, come gli Apostoli! Se tutti potessero andare a Lui, parlargli, pregarlo, adorarlo, qual gioia! Tutti crederebbero in Lui, tutti l’amerebbero, tutti vivrebbero santamente! La miscredenza sarebbe sbandita dalla terra, il trionfo della fede pronto e sicuro e Gesù Cristo regnerebbe pacificamente su tutti i cuori, su tutte le menti -. Ecco la risposta che mi farebbe: e non dubito che se interrogassi ad uno ad uno voi tutti e tutti i Cristiani sparsi sulla terra, tutti risponderebbero allo stesso modo e stimerebbero la loro risposta ispirata dall’amore più puro verso di Gesù Cristo e dal vero bene delle anime. Tant’è vero, o carissimi, che assai volte noi siamo ingannati dalle apparenze! Gesù Cristo, che è la stessa sapienza, che tutto dispone e vuole alla maggior gloria sua e al maggior bene delle anime, dopo la risurrezione non rimase sulla terra e andossene al Cielo. Da ciò ch’Egli fece è forza conchiudere, che i nostri desideri, ancorché buoni e santi, non sono quelli che consuonano alla infinita sua sapienza e che meglio rispondano al vero nostro bene. Ragioniamo seguendo il grande dottore e maestro S. Tommaso. – La terra è il luogo di prova, la palestra, l’arena del combattimento, il luogo d’esilio; è il campo, il deserto, che devono attraversare i pellegrini, che ritornano in patria; è l’oceano, che devono valicare tutti quelli che vanno in cerca d’un porto, in cui gettare l’ancora e riposare tranquilli. Il Cielo è il termine ultimo dei combattimenti, la meta suprema dei viaggiatori, il porto dei naviganti: se la terra è la dimora dei mortali, il Cielo è la dimora degli immortali: chi dunque ha compiuto il suo cammino quaggiù deve lasciare la terra, come chi ha compiuta la sua giornata di lavoro, si riduce sotto il suo tetto e gode il meritato riposo. Cristo con la morte ha compiuto il suo cammino e giunto al termine del suo stadio mortale, ha valicato l’oceano tempestoso della vita terrena: deve entrare in un’altra dimora, deve cominciare un’altra vita ed entrare in un altro luogo, che ad esso sia conforme: è il luogo degli immortali, dei risorti, dei gloriosi, è il Cielo. Entri adunque nel suo regno, ascenda al Cielo, che solo è sua degna dimora (p. III, q. 57, a. 1). – Ma se Cristo lascia la terra e sale al Cielo, lascia i suoi fratelli, pei quali venne, patì e morì: li lascia mentre sono alle prese col nemico, mentre grande è il bisogno della sua presenza e della sua parola. Perché abbandonarli nel dolore? Perché sottrarre loro il conforto ineffabile della sua vista? S’Egli li ama sì teneramente come disse e provò coi fatti, rimanga con loro: l’amore domanda la presenza della persona amata e la presenza alimenta e accresce l’amore. Sì, tutto questo è vero; ma è vero altresì che se Gesù sottrae ai suoi cari la presenza corporale con l’Assunzione, non sottrae loro la presenza e il conforto della sua divinità: anzi lascia loro anche la sua presenza corporale nascosta sotto le specie eucaristiche, sovrano conforto nelle prove sì amare della vita. Ma è pur sempre utile e necessario che Gesù se ne vada, com’Egli stesso protestò: – È utile per voi ch’Io me ne vada – Expedit vobis ut ego vadam Come ciò, o dilettissimi? Porgiamo ancora attento l’orecchio alle parole del Maestro. La fede è la base e il fondamento primo dell’edificio della nostra santificazione; per la fede la nostra mente, che è il vertice e la punta del nostro spirito, è illuminata dalla luce della verità divina, ad essa si unisce, e per essa si unisce a Dio. La fede è la radice, da cui germoglia l’albero, che poi ci darà i fiori della speranza e i frutti della carità. Senza la fede è impossibile piacere a Dio; a chi ha la fede, la fede viva, tutto è possibile; egli può trasportare i monti, ed ha Cristo che abita nel suo cuore. Voi sapete come i Libri santi, siano pieni degli elogi della fede e come ad essa Cristo attribuisca i miracoli per lui operati e la salvezza – Fides tua te salvum fecit. – È l’espressione che più spesso esce dalla sua bocca. Ora la fede, dice egregiamente S. Tommaso,  non può aversi di quelle cose o verità che si veggono e si toccano. Dove tu vedi chiaro con la tua ragione e ne hai sicura esperienza, la cessa la tua fede e con essa l’omaggio che presti a Dio e per conseguenza cessa il merito della fede: là è il regno della ragione e della scienza, non quello della fede. Ora ponete, o carissimi, che Cristo dopo la sua risurrezione, fosse rimasto nella sua forma visibile in mezzo a noi: ponete che dopo venti, cento, mille, mille ottocento anni vivesse qui sulla terra: che tutti lo potessero vedere ed udire; dite, la nostra fede in Lui, e nella sua dottrina sarebbe essa fede? No, sicuramente. Essa cesserebbe al tutto, perché al suo luogo sottentrerebbe la evidenza della verità dinnanzi a questo miracolo, che soggiogherebbe la intelligenza e toglierebbe ogni libertà di negarlo e perciò toglierebbe ogni merito dell’assenso. Perché dunque rimanesse intatta la fede e pieno il merito della fede istessa: perché l’amor nostro per Gesù Cristo fosse figlio della fede e camminassimo per la via della verità, fermi in essa per la sola sua parola, offrendogli il sacrificio della nostra ragione sì piena di sé, era necessario che Cristo ci togliesse la vista della sua umanità gloriosa e abbandonasse la terra. Se fosse rimasto quaggiù con noi visibile com’era agli Apostoli, la terra era portata in Cielo e il Cielo sulla terra, l’ordine presente confuso col futuro, il mezzo tramutato col fine e questa dimora passeggera sarebbe divenuta la città permanente. Cristo un giorno disse agli Apostoli: Beati quelli che non videro e credettero. Beati per ragione del merito e dell’onore che rendono a Dio! E perché fossimo nel numero di questi beati era necessario che non vedessimo Cristo e Cristo salì per questo al cielo. La sua Ascensione pertanto è un immenso beneficio, perché dopo avere confermata la nostra fede con la Risurrezione nelle tante apparizioni dei quaranta giorni, ce la lasciò intera allorché cominciava a cessare sotto la luce dell’evidenza, entrando in Cielo. Nuova e splendida prova della sua bontà e di quella provvidenza paterna, con cui Gesù Cristo veglia sopra di noi (III p. ar. 1, ad tertiam). – Se la fede esigeva la partenza di Cristo dalla terra e la sua Ascensione in Cielo, non lo esigeva meno la speranza. E sempre il Dottore angelico che ragiona. Udiamolo: La speranza s’appunta necessariamente nelle cose invisibili e future, giacché nessuno spera ciò che vede e possiede e perciò il grande Apostolo congiunge la speranza alla fede, scrivendo: La fede è la sussistenza o il fondamento delle cose che si sperano, cioè la fede addita i beni che Dio ci ha preparati e la speranza ci mette l’ali per tendere e volare ad essi. Quali sono questi beni, dei quali è fondamento la fede e a cui ci porta sull’ali sue la speranza? La grazia nel tempo che ci fa figli adottivi di Dio e la felicità piena nella eternità, dove saremo beati della sua stessa beatitudine: ecco l’oggetto della nostra speranza. Ora l’Ascensione di Gesù Cristo avvalora e compie questa nostra speranza. Essa ci mostra Gesù Cristo, il nostro capo, che oggi dischiude le porte dei Cieli e vi entra pel primo. – Egli oggi piglia possesso di quel regno, che ha conquistato a prezzo del suo sangue, ci segna la via, su cui possiamo e dobbiamo seguirlo e tacitamente di là ci grida: Dove son Io voi pure sarete: Io vi preparo il luogo e poi verrò a voi e vi condurrò meco. (S. Giov. XIV) . Sì, in Cristo, nostro Capo supremo, che oggi entra trionfante in Cielo, noi pure in qualche modo entriamo in Cielo. Oggi quella beata dimora vede per la prima volta in Cristo la misera nostra natura assunta nella gloria e collocata al di sopra di tutti gli spiriti angelici. Questo fatto non conferma ed avviva la nostra speranza, che anela a quel luogo di sempiterne delizie, non ci assicura che pari alla meta, cui aspiriamo, saranno i mezzi per raggiungerla? Come potrà essere scarso de’ suoi aiuti con noi Colui, che patì e morì per noi e che oggi ci precede nel regno dei Cieli e ci invita a seguirlo affine di compire in noi l’opera sua?  L’Ascensione di Cristo eleva e conserva la fede, nutre e rafforza la speranza; l’abbiamo veduto. Essa solleva in alto e purifica eziandio la carità: lo insegna il Maestro. Il nostro cuore è fatto per amare come i nostri polmoni per respirare e la lingua per favellare. L’amore è come una fune, che il cuore getta fuori di sé, con cui lega le cose e le trae a sé, facendole sue e formando con esse quasi un solo tutto. Con questo amore l’uomo può legarsi a sé e alle cose tutte, che lo circondano, visibili o invisibili. È naturale che più facilmente leghi il suo cuore alle cose visibili, che alle invisibili, perché quelle più di queste gagliardamente scuotono lo spirito e lo traggono a sé, e perché l’uomo è siffatto che ai sensi ubbidisce più che alla ragione. Dio è l’invisibile per eccellenza e perciò l’uomo non può sollevarsi sino a Lui con la mente e col cuore senza uno sforzo sopra se stesso, sciogliendosi dal mondo sensibile, che lo ingombra e d’ogni parte a sé lo avvince. Cristo, che in modo visibile lascia la terra ed entra in Cielo, entra cioè nel mondo invisibile, il mondo degli spiriti, ci insegna a staccare il nostro cuore, a liberare il nostro spirito dagli affetti delle cose tutte terrene e a portarli in alto, là dove Egli è salito e vive. Oggi più che mai contemplando l’Ascensione di Gesù Cristo ci risuonano all’orecchio le parole dell’Apostolo: « Cercate le cose che sono in alto, dove Cristo è a sedere alla destra di Dio: pensate alle cose di sopra, non a quelle che sono sopra la terra ». (Coloss. I. 1, 2). L’uomo vive ed è là dove sta l’oggetto del suo amore: ora l’oggetto sovrano dell’amor nostro è Gesù Cristo e Gesù Cristo è salito e regna in Cielo; in Cielo adunque debbono essere i nostri pensieri e i nostri affetti; in cielo dobbiamo vivere al presente con lo spirito se vogliamo un giorno vivere colà per tutti i secoli con Lui, che è la nostra vita. A chi vive lassù con la mente e col cuore diventa misera e spregevole la terra, la tocca appena con la punta de’ piedi e gli tarda di lasciarla per sempre. Mi direte: ma come, relegati, su questa terra, costretti ad occuparci senza tregua di queste cose fugaci, possiamo vivere in Cielo con Cristo? Ascoltate: Noi abbiamo o piuttosto portiamo questo corpo, simili a quel misero insetto che striscia sulla terra, portando sempre seco la sua casa: ma noi abbiamo anche lo spirito, che sulle due ali del pensiero e dell’amore spazia liberamente dove vuole. Pel corpo siamo confinati e costretti a vivere su quei due miserabili palmi di terra che occupiamo: ma chi può tarpare le ali dello spirito? Voi, che mi udite, ora col vostro corpo siete lì ciascuno nell’angusto spazio che occupate: ma non è egli vero che col vostro pensiero in questo stesso momento potete essere sulla vetta d’un monte, sulla riva del mare, in un deserto, nel sole, e nell’astro che si muove sull’estremo lembo dell’universo? Non vi è forza né sulla terra, né giù all’inferno, né su nel Cielo, che possa incatenare il vostro spirito e dirgli: Io voglio che tu rimanga li dov’è il tuo corpo. – Volete voi sapere, o carissimi, dove sta più spesso e più a lungo il vostro spirito? Là dove lo tira e lo tiene più gagliardo l’amore. E l’oro che maggiormente amate? Lo troverete maggiormente nella vostra mente e nel vostro cuore. Sono gli onori e le dignità e le grandezze mondane che vi allettano? Troverete che i vostri pensieri e i vostri affetti senza posa inseguono queste ombre fuggevoli. Sono i bassi piaceri della gola e quelli più bassi del senso, che vi signoreggiano? Troverete che questi vi stanno sempre a lato e vi seguono dovunque, come l’ombra segue il corpo. O spose, o madri, spesse volte voi rientrate nel fondo della vostra anima, spiate e sorprendete i vostri pensieri ed affetti: dove sono essi? Là dove gli sposi dimorano e invisibili conversate con loro: là presso la culla de’ vostri bambini, che forse dormono; li vedete, li contemplate, li baciate, vi beate di loro. Perché? Perché l’anima vostra è là dove sono i vostri amori anche quando i vostri corpi sono lontani. Ah! come è vero che noi con lo spirito viviamo là dove è l’oggetto del nostro amore, come disse il divino Maestro: « Dov’è il tuo tesoro, ivi è pure il tuo cuore ». Se è così, come ci insegnano la ragione e la fede, perché, o carissimi, perché il nostro spirito co’ suoi pensieri ed affetti si aggira sempre su questa bassa ragione? Perché a guisa di uccello palustre va errando su questi stagni pestilenziali, dove regna la morte del corpo e dello spirito? In alto la mente e il cuore! Gesù ha lasciato la terra; Gesù, la nostra vita e il nostro amore, ha valicato la soglia del cielo, ha immerso tutta la sua umanità nell’oceano di luce e di amore purissimo dell’Essere divino: dietro a Lui corrano le nostre menti e i nostri cuori; l’amore è più puro allorché l’oggetto non si vede, né si ode con gli occhi, né con gli orecchi del corpo, ma con quelli dell’anima: è per questo che Gesù diceva: s’Io non me ne andrò, lo Spirito Santo non verrà a voi; perché, spiega S. Agostino, non potete comprendere lo Spirito allorché vi ostinate a veder Cristo con gli occhi della carne. Seguitiamo dunque Cristo lassù nel mondo degli spiriti, restiamo con Lui, come oggi la Madre nostra, la Chiesa, canta pregando: « O Signore onnipotente, te ne supplichiamo, fa che pur noi, i quali crediamo l’Unigenito Figliuol tuo, Redentor nostro, oggi essere salito al Cielo, con la mente dimoriamo nelle cose celesti. ». Voi vedete, o cari, quali sublimi documenti si racchiudono nell’odierno mistero e come per esso, benché pellegrini ancora sulla terra, siamo iniziati alla vita e alle gioie del Cielo. –

Ma è tempo di passare alla seconda parte del mio assunto e vedere che cosa significhi sedere alla destra del Padre e lo faremo seguendo sempre la fida scorta, che fin qui ci ha guidati. Gesù Cristo salì al Cielo e siede alla destra del Padre: è la formula precisa e solenne, che troviamo in tutti i simboli e in moltissimi luoghi dei Libri santi, dirò meglio, in tutti i luoghi dove si accenna al fatto della Ascensione. Sedere alla destra del Padre!Dio, e Dio Padre ed ognuna delle tre auguste Persone della Santa Trinità, non ha, né può avere né destra, né sinistra, come non ha né piedi, né braccia, né petto, né capo. E come avrebbe destra o sinistra quell’Essere Sommo, che è purissimo spirito? E dunque forza intendere quella frase – Sedere alla destra del Padre – nel senso improprio e metaforico, che diamo a tante altre frasi bibliche, che si riferiscono alla Divinità e che prese nel senso rigorosamente letterale ripugnano alla sua natura. La ragione di questo linguaggio comune, biblico ed ecclesiastico allorché si parla di Dio e delle cose tutte spirituali e che dobbiamo sempre correggere mentalmente, lo dicemmo tante volte, lo si deve trovare nella nostra natura. Composti di spirito e corpo, non possiamo formarci mai un solo concetto, una sola idea puramente spirituale: l’elemento corporeo, l’ombra del fantasma sensibile si frammischia sempre all’idea di spirito e perciò ragionando di Dio, dell’anima e delle cose tutte spirituali, il nostro linguaggio è sempre imperfetto e si deve continuamente correggere. Che significa dunque sedere alla destra di Dio Padre? La parola sedere, così S. Tommaso, può avere due sensi: essa può significare il riposare d’una persona, o la sua dignità di giudice o monarca, che esercita pacificamente il suo potere e nell’uno e nell’altro senso compete a Cristo in Cielo. Gli compete nel primo senso in quanto Egli è immortale e eternamente vive beato col Padre e il suo riposo e la sua felicità non saranno mai soggetti a turbamento, né mai scemeranno. Allorché dite che Gesù siede alla destra del Padre, intendete, soggiunge Agostino, che Gesù abita o dimora con Lui, come diciamo d’un uomo, egli siede nella patria sua. Gli compete nell’altro senso, perché regna con Dio Padre e col Santo Spirito e perché dal Padre suo con la generazione eterna riceve ogni potere e ciò in quanto Dio; e in quanto uomo in modo speciale riceve pieno potere di giudice e re dell’umanità tutta, avendola riscattata a prezzo del suo sangue. Ed è in questo senso che Cristo dice nel Vangelo, il Padre avergli dato ogni potere in Cielo ed in terra e nominatamente quello di re e giudice supremo del mondo. Sedere pertanto a destra del Padre è proprio di Cristo come Dio e più particolarmente come uomo: come Dio, distinto dal Padre perché siede alla destra ed eguale al Padre perché siede con Lui ed ha con Lui comune la gloria (loc. cit. art. 4); come uomo, perché soltanto come uomo poté meritare l’onore d’essere Re e giudice dell’umanità da Lui ricomperata. Nessun uomo, nessun Angelo, nessuna creatura, quale che sia può sedere alla destra del Padre: è onore riservato al solo Cristo perché Dio e uomo e perciò di Lui solo si dice: Salì al Cielo e siede alla destra del Padre. Carissimi! Leviamo i nostri sguardi dietro a Cristo: contempliamolo nel seno del Padre: l’umana natura assunta, in cui siamo eguali a Lui, oggi per la prima volta è rivestita della gloria divina, tutta sfolgoreggiante di luce. Oggi per la prima volta le sterminate schiere degli spiriti celesti veggono meravigliando dentro la essenza divina … « Del suo colore istesso…. pinta della nostra effige » (Dante), e chinando la fronte l’adorano. Quale onore, qual gloria per noi, figli della polvere, veder lassù collocata sopra tutte le creature la natura nostra! Contemplarla immersa nella Divinità! E lassù il termine del nostro doloroso pellegrinaggio; lassù ci attende il nostro Capo e lassù saremo noi pure un giorno per sempre se ora porremo lassù i nostri pensieri e tutto l’amor nostro, giacché è nel tempo che si prepara la eternità e in Cielo fiorisce il buon grano che seminiamo sulla terra. Il sole che splende nell’alto del firmamento trae a sé tutti i semi, che la terra nasconde nel suo seno: essi si aprono, germogliano e drizzano verso di esso la loro cima: e noi pure verso il sole di giustizia, Gesù Cristo, che oggi è accolto nel più alto dei Cieli, drizziamo la punta del nostro spirito, inviamogli la soave fragranza dei nostri pensieri e dei nostri affetti finché venga il dì, nel quale dalla terra saremo trapiantati in Cielo, dove, belli della sua bellezza, felici della sua felicità, con Lui vivremo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Credo

Offertorium

Orémus
Ps XLVI: 6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúia. [Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Secreta

Súscipe, Dómine, múnera, quæ pro Fílii tui gloriósa censióne deférimus: et concéde propítius; ut a præséntibus perículis liberémur, et ad vitam per veniámus ætérnam. [Accetta, o Signore, i doni che Ti offriamo in onore della gloriosa Ascensione del tuo Figlio: e concedi propizio che, liberi dai pericoli presenti, giungiamo alla vita eterna.]

Communio

Ps LXVII: 33-34
Psállite Dómino, qui ascéndit super coelos coelórum ad Oriéntem, allelúia.

[Salmodiate al Signore che ascende al di sopra di tutti i cieli a Oriente, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta nobis, quǽsumus, omnípotens et miséricors Deus: ut, quæ visibílibus mystériis suménda percépimus, invisíbili consequámur efféctu.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente e misericordioso, che di quanto abbiamo ricevuto mediante i visibili misteri, ne conseguiamo l’invisibile effetto].

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.