LE PIAGHE DELLA COMUNITA’ CRISTIANA: LE ERESIE (2)

LE PIAGHE DELLA COMUNITÀ’ CRISTIANA

Capitolo I

Le ERESIE,

ferite alla unità della fede (2)

[“Somma del Cristianesimo”, a cura di R. Spiazzi, vol. II Ed. Paoline, Roma, 1958]

Art. 2. – LE ERESIE ANTICHE: DAL I AL IX SECOLO.

Nell’esposizione delle eresie il criterio più facile è quello cronologico; l’adottano, non senza ragione, gli studiosi di storia della Chiesa, che inseriscono le deviazioni eretiche negli avvenimenti ed indicano così i rapporti intercorrenti: fatti e circostanze che influiscono nella formulazione erronea e, viceversa, posizioni mentali erronee che influiscono nell’orientare diversamente il corso della vita associata. Il pregio di questo criterio è assai intuitivo. – Ma non meno prezioso è il metodo seguito da altri studiosi, i quali, più che al richiamo cronologico, obbediscono al richiamo, per dir così, dottrinale, raggruppando le eresie secondo la materia, secondo cioè i grandi capitoli nei quali si articola la verità rivelata:

1) Dio Uno e Trino

2) Il Verbo Incarnato

3) La Grazia

4) La Chiesa

5) I Novissimi

6) La Morale cristiana.

Qui seguiremo il secondo criterio, non senza, però, notevole riferimento al primo.

Eresie intorno a Dio Uno e Trino.

La prima grande offensiva ideologica contro il Cristianesimo si ebbe nel II Secolo. Mentre l’autorità politica soffocava nel sangue le espressioni della libertà religiosa, obbedendo a quell’iniquo « Institutum Neronianum » che negava diritto di cittadinanza alla nuova fede, i gruppi gnostici spostarono la lotta sul piano delle idee. Lo gnosticismo domina nel mondo intellettuale di quel tempo. Quali forze influirono sul suo sviluppo e sulla sua affermazione non è facile dire. Certamente non fu estraneo ad esso il clima filosofico che dalla Grecia e dalla Persia seduceva gli spiriti, stanchi di una mitologia puerile che non appagava la vasta inquietudine ormai diffusa anche nei ceti umili e che non rispondeva alle più elementari esigenze critiche. Lo gnosticismo porta nella stessa sua organizzazione dottrinale questa irrequietezza, frazionandosi in sette o, meglio, in movimenti di idee che tradiscono la diversa origine psicologica. Il mezzo a tanta varietà però, è possibile cogliere un fondo comune che si può esprimere così: lo gnosticismo è un tentativo di ridurre il Cristianesimo ad una filosofia religiosa. Razionalismo ante litteram? Forse sì, ma non esclusivamente. La gnosi (o scienza) non rifiutava la fede, ma tendeva a dominarla, a superarla, ad esserne il più alto e nobile surrogato. Raccogliendo fonti disparate, amalgamando le idee più lontane, con una terminologia artificiosa, lo Gnosticismo diede corpo ad una teologia in cui brulicavano concetti rivelati e stravaganze nebulose. Pose così tra Dio e il mondo (la tesi dualistica è essenziale alla concezione gnostica) una serie di esseri intermedi — gli Eoni, procedenti a coppie, -, che formano il Pleroma o pienezza. Il Logos non era che un Eone disceso in Gesù di Nazareth per compiere la redenzione, cioè liberare la scintilla divina che geme nei vincoli della materia, sottoposta alla volontà dispotica del Demiurgo. – Questa ibrida concezione, nella quale gli elementi cristiani erano così diluiti da divenire irriconoscibili, fu fieramente avversata dagli scrittori ecclesiastici. Dominò su tutti l’alta personalità di Sant’Ireneo, le opere del quale — soprattutto l’Adversus hæreses — ci danno la sintesi dell’insegnamento gnostico e la relativa confutazione. – A questo primo attacco massiccio contro la Chiesa tenne dietro un’altra eresia di minore importanza: il Marcionismo, forma mitigata dello gnosticismo, sempre però legata allo schema dualistico Dio-Materia. I Marcioniti che escludevano, tra l’altro, il Vecchio Testamento e simpatizzavano con i Doceti, meritarono gli strali ironici della penna di Tertulliano. – Più importante, soprattutto per le ripercussioni dottrinali e la diffusione che ebbe, fu il Manicheismo. – Sono fuori dubbio i suoi presupposti pagani che non riuscivano a sganciarsi dal dualismo per spiegare, mediante il concetto di creazione, i rapporti tra Dio e il mondo e, in particolar modo, l’origine del male; ad essi però si frammischiavano concetti di ispirazione cristiana che non potevano non attrarre l’attenzione anche degli ambienti chiusi e refrattari all’assimilazione di idee estranee. – Suscitò simpatie tra le persone colte: vittima illustre fu lo stesso Agostino che, solo più tardi, nella chiarità del pensiero cristiano, denunziò le temperanze manichee e ne mostrò l’aperta contraddizione con i principi cattolici. – Altre tendenze ereticali registra la Storia dei Dogmi, ma sono, appunto, credenze più che errori definiti, movimenti di idee incerti più che posizioni chiare e ben strutturate: per cui riteniamo meglio fissare lo sguardo sulle eresie trinitarie che come tali furono riconosciute e condannate dalla Chiesa. – La Dottrina Trinitaria si manifestò in un ambiente del tutto sfavorevole. – Quale benevolenza poteva trovare nel rigido monoteismo giudaico o quale alleanza poteva stabilire con il politeismo pagano? Al primo opponeva la trinità delle Persone, al secondo l’unità di natura: finiva così con il suscitare le reazione dell’uno e dell’altro. – Se la nuova fede era inaccettabile per il popolo, al quale la lunga abitudine monoteistica o politeistica aveva cristallizzato, per così dire, le idee intorno alla natura vera di Dio, le menti elette, aperte alle novità dottrinali, che amoreggiavano con il neo-platonismo — la filosofia ufficiale del III secolo — non si mostravano indisposti, ma cercavano occulte parentele tra la loro filosofia e i misteri cristiani. Per esempio, non aveva tratto Filone alessandrino motivi e spunti dal platonismo per illuminare la religione giudaica? Non scritto tanto egli stesso intorno al Logos, riecheggiando mentalità stoica? In che cosa differiva, in fondo, il Logos giovanneo da quello filoniano? – Gli interrogativi si moltiplicavano e si moltiplicavano pure le risposte. Da tanto travaglio di pensiero furono generate le tipiche eresie trinitarie. Prima, fra tutte, fu quella modalistica. Dio è una sola Persona — diceva. Lo si può però considerare sotto tre modi o aspetti, in quanto crea, redime e santifica. La triplice manifestazione rende legittima il triplice nome di Padre, Figliuolo e Spirito Santo. È l’intelletto umano che triplica soggettivamente l’unità oggettiva di Dio: ecco tutto. Ai modalisti questa presentazione del mistero trinitario sembrava armonizzare le esigenze monoteistiche giudaiche con le esplicite affermazioni cristiane. Illusione! Quest’unitarismo (che ebbe vari nomi: monarchianismo, patripassianismo, sabellianesimo) era all’antitesi della concezione rivelata: non salvava nulla, nemmeno quell’unità a favore della quale tanto si batteva. – Si affermò contemporaneamente un altro errore che fu il precursore immediato dell’arianesimo. Gli diede paternità Paolo di Samosata. Raccogliendo echi modalistici e adozianistici (che era un nuovo specioso modi di negare la Trinità), negò la personalità del Verbo. Che cosa mancava ormai perché Ario negasse l’identità di natura tra la prima e la seconda Persona? Tutto il secolo non aveva seminato germi dottrinali che dovevano fatalmente germinare nella negazione ariana? – C’è tra gli errori una logica ed una connessione come tra gli anelli di una stessa catena: verità chiama verità, ma anche errore chiama errore. – La controversia ariana suscitò tra le file dei cattolici ingegni acutissimi che costruirono una diga ideologica possente contro l’eresia. L’Oriente fu pervaso dalla voce di Sant’Atanasio e l’Occidente da quella di Sant’Ilario. Seguirono poi Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa — i cosiddetti Padri Cappadoci; mentre a Milano teneva testa alle puntigliosità ariane Sant’Ambrogio. È stato considerato il IV secolo come il secolo d’oro della Patristica — e non a torto. Il vigore del pensiero, sostenuto da una profonda cultura filosofica e rivestita di una forma classica che conosceva la malta della parola, fu posto a servizio del Logos eterno, consostanziale al Padre. – Eliminata dall’eresia ariana la seconda persona della Trinità, non rimaneva che negare la terza: lo Spirito Santo. Fino a quel momento a nessuno era venuta in mente un’idea così poco brillante. Ci pensò Macedonio, Vescovo di Costantinopoli, a farsi promotore di quella eresia. Da Macedonio derivò una setta che fu chiamata dei Pneumatochi, che è come dire: oppositori dello Spirito. Negavano, difatti, la divinità della Terza Persona, riducendola a pura creatura anche se più nobile degli altri. Furono condannati nel Concilio di Costantinopoli del 381. – Ormai il ciclo dell’errore intorno al mistero trinitario poteva dirsi concluso. Dai balbettamenti gnostici che ponevano il Padre sul piano della materia — anch’essa eterna — fino alle fisime ariane neganti la divinità alle posizioni pneumatomache eliminanti lo Spirito Santo: una successione sistematica di errore! – Per alcuni secoli tacquero le eresie trinitarie. La Chiesa fu impegnata a difendere altre verità, come si vedrà nei capitoli successivi. Ma ecco, nel IX secolo, un’altra eresia: quella foziana. Nessuno finora è riuscito a scagionare Fozio dalla responsabilità personale di aver aperto una ferita nella Chiesa — e che ferita! Egli fu il « conditor » di uno scisma che ha allontanato milioni di persone dalla Chiesa cattolica. – Intelligenza acuta e capziosa, abile nelle sottigliezze logiche come in quelle esegetiche, Fozio dichiarò falsa la dottrina dei Latini intorno alla « processione dello Spirito Santo », proponendo la sua. – Oriente ed Occidente avevano sempre seguito la stessa dottrina riguardo allo Spirito Santo: differivano solo nella formulazione della stessa che dipendeva, per dir così, dal punto di vista diverso. Ai Greci piaceva la concezione dinamica della Trinità, ai Latini quella statica. I primi consideravano il Padre la fonte della divinità, da cui la vita divina si effondeva nel Figlio e mediante il Figlio nello Spirito Santo; gli altri, invece, preferivano contemplare nella stessa unità di natura le Persone alle quali davano origine le processioni immanenti. – Le due concezioni erano ortodosse e seguite con pari amore. A Fozio la concezione latina non piacque e partì all’attacco, sostenendo che lo Spirito Santo procede soltanto dal Padre, non dal Figlio. L’errore era nato. Tutta la tradizione latina, tutto l’acume di Agostino che aveva fatto precisazioni profonde intorno alla formula occidentale non valsero a far retrocedere Fozio dal suo equivoco. Non valse nemmeno la condanna inflittagli nel IV Concilio di Costantinopoli, VIII ecumenico, dell’870 a fargli rivedere le posizioni. Morì ostinato, ma l’errore non scese con lui nella tomba. Gli è dolorosamente sopravvissuto fino ad oggi — e fino a quando sopravvivrà?

Eresie intorno al Verbo Incarnato. –

La divinità di Cristo fu il punto centrale della catechesi dei Padri Apostolici che riecheggiarono gli scritti testamentari. Forse fu proprio tale insistenza — necessaria, d’altronde, a stabilire il carattere soprannaturale della nuova Religione — che indusse alcuni a ritenere Gesù non « vero uomo », gettando così i germi del Docetismo. Eresia, evidentemente, infantile, secondo cui l’umanità di Cristo apparteneva al regno della fantasia e tutta la narrazione evangelica esprimeva un mondo fittizio. Il Docetismo elaborò intorno a questo nucleo centrale — attraverso i suoi successivi propagatori: Simon Mago, Cerinto, Menandro, Saturnilo, Basilide, Cerdone, Marcione, Valentino, ecc. — inverosimili bizzarrie cui poteva dar credito solo l’illimitata credulità di fedeli ignoranti. Non ebbe mai, per questo, gran seguito. Bastò, in fondo, la sola offensiva di Ignazio di Antiochia per svuotarlo del suo contenuto dottrinale. Tardivi sforzi di restaurazione del Docetismo — come fecero, per es., i Catari del Medioevo — finirono nel vuoto. – Maggior fortuna, invece, ebbero le eresie relative alla divinità di Cristo. Non nacquero esse da spiriti superficiali come il Docetismo, ma da uomini abituati alle sottigliezze dialettiche, sensibili alle sollecitazioni della cultura pagana. Se Celso, nel II secolo, negò la divinità di Cristo con tutte le risorse di un ingegno brillante, sostenuto da una ironia scintillante e piacevole, gli Adozianisti (così li ha chiamati giustamente Harnack), tra il II e il III secolo, caddero nella stessa posizione pur partendo da un altro punto di vista: Gesù poteva tutt’al più considerarsi come « adottato » da Dio, arricchito di singolare potenza per attuare una speciale missione nel mondo. In Ario confluirono tutti i rivoli precedenti che non avevano ancora raggiunto una piena configurazione dottrinale; e da lui prese nome quell’eresia che agitò il quarto secolo, con profonde ripercussioni politiche, la quale negava la divinità del Verbo. Non c’è che un solo Dio ingenerato — egli diceva. La sostanza divina è incomunicabile; ciò che esiste fuori dell’unico Dio è creato; quindi anche il Verbo, per quanto la sua creazione preceda quella del mondo ed Egli sia l’intermediario tra Dio e quest’ultimo. – In tale posizione dottrinale la Chiesa trovò la più paurosa negazione di tutte le precedenti. Il Concilio di Nicea del 325, definendo la consostanzialità del Verbo con il Padre, riconfermò le fede nella divinità di Cristo. Questa solenne dichiarazione del Magistero ecclesiastico avrebbe dovuto precludere la via ad altri errori cristologici: così, almeno, si pensava. Stavano, invece maturando principi che spostavano l’attenzione, o meglio l’eresia, sull’unione delle due nature nell’unica persona di Cristo. Centri intellettuali di prim’ordine fiorivano ad Alessandria e ad Antiochia, richiamando le intelligenze più vive. – Nel Didascaleion egiziano vivevano lo spirito e l’eredità dottrinale di Clemente ed Origene. Un caldo soffio di misticismo, una viva simpatia per il pensiero platonico, la tendenza all’interpretazione spiritualistica della Sacra Scrittura, erano come le note caratteristiche della scuola. La definizione Nicea aveva trovato consenzienti tutti i maestri alessandrini “che non nascondevano la loro avversione all’arianesimo. Si gettarono pertanto nella lotta con un ardore illimitato. La vivacità dell’ingegno, sostenuto da una fede che commuove pur noi a distanza di secoli, rese egregi servizi alla « fides nicaena ». – La divinità di Cristo non poteva trovare sostenitori più agguerriti e preparati. –  Contemporaneamente, un’altra scuola toccava il vertice del suo splendore, quella di Antiochia. Seguiva strade metodologiche assai diverse dall’Alessandrina. All’allegorismo di questa preferiva il senso storico o letterale al quale richiamava ogni senso « tipico ». Non facevano mistero gli Antiocheni nell’esprimere le loro preferenze per la filosofia aristotelica, dalla quale traevano mentalità positiva ed analitica di sapore razionalistico. Esegeti di indiscussa autorità davano credito al Didascaleion. Antiocheno, come Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia. – Nel clima intellettuale di queste due scuole divamparono le due maggiori eresie cristologiche del v secolo: il Nestorianesimo e il Monofisismo. Già Apollinare di Laodicea della corrente alessandrina, nella seconda metà del IV secolo, aveva elaborato una dottrina che gli sembrava risolvere meglio la questione dell’unità ontologica di Cristo contro le posizioni dualistiche degli adozianisti e degli ariani. Perché non ritenere — pensava Apollinare — che l’umanità di Cristo fu costituita solo di corpo e di anima sensitiva, affidando al Verbo le funzione della vita intellettiva? – Questa soluzione semplicistica sboccava in un errore manifesto: la natura umana di Cristo non era più integra, ma mutilata. Mentre Papa Damaso nel 377 colpiva di condanna questa concezione, un vivacissimo ingegno antiocheno, Diodoro di Tarso, criticava l’Apollinarismo. E lo fece con tale impeto polemico da cadere in un altro errore. Non si può pensare che il Verbo sia un elemento costitutivo della natura umana di Cristo, svolgendo le funzioni dell’anima intellettiva — sosteneva Diodoro. La natura umana di Cristo è perfetta — proseguiva. Il Figlio di Dio si è unito al Figlio di Maria nato nel tempo: ecco Cristo. Da Scilla a Cariddi. Aveva sbagliato Apollinare, sbagliava ora Diodoro. L’accusatore saliva a sua volta il banco degli accusati, perché  la posizione dottrinale assunta non solo non salvava affatto l’unità personale, ma favoriva apertamente il dualismo cristologico. Difatti, fu facile a Teodoro di Mopsuestia, prima, e a Nestorio poi inserirsi in questa corrente ideologica, formulando un insieme di principi che costituirono i pilastri dell’eresia nestoriana, i più importanti dei quali possono classificarsi così:

1) In Cristo ci sono due nature complete e distinte: quella divina con il suo « io » divino, quella umana con il suo « io » umano;

2) nonostante questo doppio soggetto fisico, Cristo è « uno » moralmente, perché Cristo Dio abita nel Cristo Uomo come in un tempio. Le due volontà convengono in una come la volontà del re si unifica con quella del suo legato.

– La posizione di Nestorio non poteva prestarsi a benevola interpretazione. Troppo manifesta era l’eresia che riduceva l’unione ipostatica ad una unione «accidentale» con la presenza di due persone tra loro unite da vincoli morali. Gli orientamenti naturalistici della scuola antiochena avevano giocato un brutto tiro al maestro Teodoro e al discepolo Nestorio, che non riuscivano a distinguere tra natura e Persona e concepivano la natura umana di Cristo come necessariamente personificata o ipostatizzata. (La tesi nestoriana della doppia persona in Cristo era stata scoperta in seguito all’insistenza con cui Anastasio negava alla Madonna il titolo di θεοτόκος, cioè genitrice di Dio. Si chiami al massimo χριστοτόκος, cioè genitrice di Cristo, sosteneva Anastasio, forte dell’appoggio dei suo maestro Nestorio).L’irriducibilità dell’eresiarca provocò il Concilio di Efeso del 431 che lo condannò esplicitamente. Il « custode dell’ortodossia », Cirillo Alessandrino, aveva impiegato tutta la forza del suo ingegno e il peso della sua autorità per giungere a quel passo. Ma la terminologia cristologica rimaneva, purtroppo, ancora vaga e oscillante, favorendo posizioni inesatte o errate. Fu proprio, difatti, da una espressione cirilliana che Dioscuro, prima, ed Eutiche, poi, trassero motivo per l’eresia monofisitica.Nuove nubi si addensarono in quel torbido cielo orientale nel quale le polemiche, sostenute da un’animosità rimasta proverbiale, erano tutt’altro che cessate. Eutiche non brillava per ingegno, molto meno per dolcezza di carattere. E cadde in una stravaganza dottrinale peggiore dello stesso Nestorianesimo, difendendo in Cristo non solo l’unità personale, ma la fusione stessa delle nature. Nasceva così quel movimento eretico che passerà alla storia con il nome di Monofisismo. Il Concilio di Calcedonia del 451, condannando Eutiche, fissò la dottrina cattolica in una formula rimasta celebre: «Un solo e medesimo Cristo, Figliuolo, Signore, Figliuolo unico, in due nature, senza mischianza, senza trasformazione, senza divisione ».Le due grandi eresie cristologiche non morirono purtroppo con la condanna dei due rispettivi Concili; avevano, però, notevolmente contribuito a chiarificare la terminologia e a far esprimere in formule precise la dottrina della Chiesa.Tentativi di restaurazione del monofisismo si ebbero successivamente, attraverso nuove formulazioni eretiche: il Monoergetismo e il Monotelismo. Nel VI  secolo, Severo di Antiochia, dall’unità del soggetto operante in Cristo, aveva tratto l’idea che anche la sua attività dovesse qualificarsi né esclusivamente divina né esclusivamente umana. Conveniva chiamarla — egli diceva — teandrica, cioè divino-umana, senza distinzione. Una, pertanto, la persona di Cristo, una la sua attività. La dottrina severiana, sottilissima come il suo autore, era un lontano, ma diretto ritorno alla tesi eutichiana che aveva unificato fino alla confusione le due nature in Cristo. E siccome ogni posizione dottrinale genera altre posizioni, soprattutto se sostenuta da forte ingegno, come in questo caso, il Monoergetismo sboccò nel secolo successivo nel Monotelismo. Creazione mentale di Sergio, patriarca di Costantinopoli, la nuova eresia parlava di una sola volontà in Cristo, dimenticando che se unico è il soggetto operante, duplice però è la fonte della sua attività, perché duplice è la natura. L’ombra di Eutiche riappariva dietro il monotelismo: ci volle l’impegno di San Massimo e di San Sofronio per farlo condannare prima nel Concilio di Roma del 649 e poi in quello ecumenico, III di Costantinopoli, del 680-681. – Cessarono, finalmente, le eresie cristologiche, rimanendo circoscritte determinati territori che ancor oggi sono lontani dalla Chiesa cattolica. Un ultimo, ma limitato tentativo, si ebbe nel secolo IX, non più in una terra classica di dispute, ma in Occidente, in quel lembo estremo di terra che è la Spagna. L’Arcivescovo di Toledo, Elipando, riprese i motivi nestoriani,  insistendo sull’adozianismo. Gesù — diceva — è figlio di Dio naturale come Verbo, Figlio di Dio adottivo per la sua umanità. Forse lo stesso Elipando, povero di dottrina teologica, non si rendeva sufficiente conto dell’errore che il suo dire conteneva; lo espresse, difatti, con più vivacità e chiarezza il Vescovo Felice di Urgel, contro cui rimangono, densi di acute osservazioni, gli scritti che gli oppose il famoso Alcuino.

Aggiungiamo a questo capitolo — per un comprensibile accostamento logico — l’eresia degli Antidicomarianiti. Sulla scia di Elvidio e Gioviniano, gli eresiarchi di questo nome si opponevano al culto della Madonna, della quale negavano in particolare la verginità prima e dopo il parto. Esse sorsero, a quanto sembra, in Arabia; avevano già provocato l’intervento di Epifanio con una critica serrata: ebbero vita stentata, perché la povertà dottrinale del loro messaggio antimariano non riuscì a far raccogliere gran numero di adepti intorno alla loro bandiera.

Eresie intorno alla Grazia. –

Pacifica fu nei primi quattro secoli la fede intorno al peccato originale ed alla grazia. Le due grandi tesi — che costituiscono appunto l’antropologia soprannaturale — erano così chiaramente espresse nelle lettere paoline (oltre che negli altri scritti neo-testamentari) che non vellicarono nessuno a farsene negatore. Le grandi polemiche si svolsero, come abbiamo già visto, intorno alla teologia trinitaria e cristologica. Le altre questioni non impegnarono che relativamente i grandi ingegni della Chiesa, quali la negazione dava la spinta apologetica ed il fervore di discussione e di approfondimento. – Ma nel V secolo, placatisi in parte i movimenti ereticali cristologici, divampò aspra un’altra lotta ideologica, nella quale fu impegnato uno dei grandi dottori della Chiesa e che meritò appunto l’appellativo, ormai consacrato dalla storia, di dottore della grazia: Sant’Agostino. Un monaco, Pelagio, aveva fatto polarizzare intorno a sé molte persone, attratte dal fascino della sua eloquenza e della sua dialettica. Spiccavano tra esse Celestio e persino un Eescovo, Giuliano di Eclano. – Da Roma, dove Pelagio era stato a contatto con San Girolamo, la sua fama si diffuse nell’Italia meridionale, varcò anzi il mare e giunse in Africa. Quali idee davano credito a questa fama? Quali speranze accendeva nei cuori il monaco bretone? – È difficile per noi oggi stabilire l’itinerario mentale di Pelagio; probabilmente, però, influirono nella maturazione delle sue idee motivi dottrinali antiocheni e, più ancora, stoici. – Pelagio era un ottimista, al quale il manicheismo appariva la peggiore assurdità metafisica e psicologica. Con un processo lento ma efficace, si fece strada nel suo spirito la convinzione che l’uomo è pienamente arbitro del bene; che nessun ostacolo può impedirgli di raggiungere la perfezione; che il peccato originale non ha lasciato traccia alcuna nell’umanità; che il Battesimo non è proprio necessario per la vita eterna; che la grazia, infine, pur essendo un magnifico ornamento dell’anima e un segno della sua divina adozione, non condiziona affatto l’attività soprannaturale. Il « corpus » dottrinale di Pelagio che sembrava tanto innocente era, in realtà, la distruzione dell’ordine soprannaturale. In esso perdeva significato la stessa redenzione di Cristo e la funzione dei Sacramenti. Con un naturalismo di così bassa lega non si accordava affatto la tradizione ecclesiastica, anzi si potevano già prevedere gli sbandamenti morali nei quali sarebbe caduta la « plebs Christiana », qualora tale insegnamento fosse stato divulgato. Sant’Agostino ebbe il merito di intuire il pericolo. Né poteva essere altrimenti, essendo troppo profonda la sua sensibilità in materia. Le « Confessiones » gli ricordavano assai da vicino il dramma della natura e della grazia. Con la precisione del teologo raffinato e la martellante argomentazione dialettica, Sant’Agostino attaccò l’eresiarca e i suoi seguaci in una lotta senza quartiere, fino a che lo stesso Magistero della Chiesa si pronunziò contro Pelagio nel Concilio di Milevi del 416 e in quello di Cartagine del 418. Il Concilio ecumenico di Efeso del 431 riconfermò le due condanne precedenti. La condanna di Pelagio però non aveva risolto tutte le questioni intorno alla grazia. La stessa autorità di Sant’Agostino che aveva raccolto intorno al suo nome le forze intellettuali della Chiesa, dava adito, in qualche punto, ad osservazioni e critiche tutt’altro che disprezzabili. Venne così a formarsi nel Sud della Gallia una nuova corrente di idee in un cenacolo di acuti studiosi, come Cassiano, Vincenzo di Lerino e Fausto di Riez, ai quali il pensiero agostiniano sembrava troppo rigido. Tale corrente di idee assai tardivamente — nel secolo XVI fu chiamato Semipelagianesimo: appellativo che non è perfetto. I pensatori di Marsiglia erano lontani dalla concezione fondamentale di Pelagio, ma non sfuggivano ad errori gravi quando attribuivano, per es., l’avviamento della fede non alla grazia, ma alla libera iniziativa dell’uomo; quando riducevano la predestinazione ad una semplice previsione dei meriti, ecc. Questa posizione era, in fondo, motivata dalla preoccupazione pratica di salvare il più possibile la libertà e di affinare il senso della responsabilità nella via ascetica. La polemica fu giovevole perché condusse a nuove precisazioni di pensiero, ad armonizzare meglio tesi in apparenza contrastanti, ad approfondire l’interpretazione degli scritti agostiniani. – Il Concilio di Orange del 527 affrontò le posizioni semipelagiane e fissò la dottrina ufficiale in un documento di altissimo valore.

Eresie intorno alla Chiesa. –

Le piccole ribellioni all’autorità o i movimenti scismatici furono assai modesti nella Chiesa primitiva. Sempre localizzati, non ebbero gran diffusione e — quel che più conta non trovarono mai una vera e propria giustificazione dottrinale. Verso la metà del III secolo, invece, destò serie preoccupazioni Novaziano, prete romano. Il clima di terrore creato dalla persecuzione di Decio andava declinando. I « lapsi », cioè coloro che avevano tradito la fede, apostatando, tornavano a resipiscenza e imploravano il perdono. Perché non riaprire le porte della Chiesa a coloro che per debolezza non avevano saputo affrontare la prova? Sorsero varie correnti prò e contro. Ai rigoristi la reintegrazione sembrava non soltanto inopportuna, ma impossibile. L’apostasia — secondo essi — apparteneva a quei « crimina graviora » che erano irremissibili: inutile quindi, parlar di penitenza da parte dei lapsi e di perdono da parte della Chiesa.  Questa la tesi dei rigoristi, i quali, però, preferivano non toccare il tasto della tradizione che sarebbe stato loro non troppo favorevole. Novaziano, al quale beghe locali e soprattutto ambizioni non soddisfatte, montarono la testa, pose a servizio dei rigoristi la sua agile penna e la sua fluida parola. Fece nascere anche una «chiesa» novaziana, nella quale il rigorismo raggiunse posizioni estreme, negando a tutti i peccatori gravi la riconciliazione con la Chiesa. Poi si andò lentamente spegnendo fino a scomparire del tutto verso la fine del VI secolo. Più saldo fu il Donatismo sorto nel IV secolo in Africa. Sembra strano, ma anche questa eresia (e questo scisma) ebbe origine da competizioni e ripicche personali con complicati intrighi nei quali soffiò l’astuzia di una certa Lucilla. Donato il Grande gettò le basi della rivolta; Parmeniano ne continuò l’opera. La sua struttura dottrinale era assai semplice — e questo fu il motivo maggiore del favore che raggiunse presso le persone poco istruite. La Chiesa — insegnavano i Donatisti — non è una barca che accoglie pesci buoni e pesci cattivi o un campo in cui c’è grano e zizzania: essa è la società degli eletti, dei Santi. La discriminazione tra giusti e peccatori è necessarla perché i primi possono dire di costituire la Chiesa, gli altri no, ché ne sono esclusi. E continuavano: i Sacramenti sono validi solo se somministrati da Sacerdoti santi; dei Sacerdoti non santi nessuno può garantire che conferiscano validamente i « signa gratiæ ». Non c’è chi non veda quale profondo errore racchiudesse la teologia ecclesiologica e sacramentaria dei donatisti e quale « presa » potesse fare un tale insegnamento, soprattutto se sostenuto da calda eloquenza e vivacità di immagini, sul popolo che non è abituato alle sottili distinzioni, pur necessarie in materia così delicata. – La rapida organizzazione della Chiesa donatista, ma specialmente le intemperanze fanatiche alle quali i suoi adepti si abbandonavano provocarono l’intervento dell’autorità civile, la quale durò fatica a limitare certe faziosità che rendevano insicura la stessa vita dei Cattolici. – Contro i donatisti scrissero e lottarono Sant’Ottavio di Milevi e sopratutto Sant’Agostino.

Eresie intorno ai Novissimi.

Una stranissima — e per noi assai inspiegabile — dottrina sedusse i Cristiani del I secolo. La si chiama Millenarismo o Chiliasmo. Probabilmente giaceva ancora in fondo al cuore dei neo-convertiti la vecchia aspirazione giudaica di un regno temporale del Messia: essa diede ali alla fantasia popolare che cominciò a credere dover Gesù regnare visibilmente sulla terra, alla fine del mondo, per il non breve tempo di 1000 anni. In questo regno millenario i giusti avrebbero partecipato alle gioie del Cristo; poi, ecco la risurrezione con il conseguente giudizio universale e l’assegnazione degli uomini al regno eterno di felicità (paradiso) o di infelicità (inferno). – Intorno a questa idea centrale folleggiarono motivi contrastanti, imprecisati, forse più come stati di animo che come espressioni dottrinali maturate. – La rapida diffusione dell’idea millenarista, che non ha alcun fondamento rivelato, richiamò l’attenzione degli scrittori ecclesiastici dal II al V secolo, i quali non le risparmiarono critiche motivate, tratte dall’esegesi del sacro libro e dalla mancanza di una tradizione canonica. – Assai più importante, sia per il nome del suo autore che per il contenuto sostanziale, fu l’errore che passa sotto il nome di Apocatastasi. Gli diede corpo Origene nella metà del III secolo, e piacque agli ammiratori del grande maestro. Se Origene si fosse mantenuto fedele al concetto di apocatastasi, come restaurazione universale, nel senso espresso da San Pietro (Atti III,21), la sua ortodossia non ne avrebbe minimamente sofferto; volle, invece, allontanarsi dall’idea rivelata, arzigogolando una apocatastasi fascinosa ma eretica, la quale comporta la riconciliazione finale di tutti gli esseri intelligenti, satana ed Angeli ribelli non esclusi, con Dio. E l’eternità dell’inferno, attestata dalla rivelazione in termini inequivocabili, come si accorda con la dottrina origenica? Anche un San Gregorio di Nissa fu attratto dalla compiacente concezione! Ciò però non impedì a Sant’Agostino di disapprovarla energicamente ed al V Concilio Ecumenico del 553 di condannarla come autentica eresia.

Eresie intorno alla morale cristiana. .-

Tendenze rigoriste si manifestarono subito nel tempo apostolico. Non fu, certamente, desiderio di perfezione o brama di eroismo a determinarle, ma una mentalità gnostica ancora soggiacente nella psiche dei convertiti. Sarebbe stato assai facile trarre dal Vangelo la distinzione tra precetti e consigli; gli encratiti, invece, preferirono non ammetterla affatto, sviluppando una morale acida e insopportabilmente onerosa. Proibirono il matrimonio, sbandierando la necessità della continenza, proibirono persino l’uso della carne e del vino. I testi rivelati erano tutt’altro che favorevoli a questa inumana concezione, ma quando mai gli eretici hanno bene interpretato le fonti e aderito all’interpretazione autentica che ne fa la Chiesa? – Ireneo ed Ippolito nel II secolo dimostrarono acutamente la falsità dell’encratismo, ma non riuscirono tuttavia ad impedire che esso si diffondesse e raccogliesse un po’ ovunque calorose simpatie. Lo sorresse pure, a quanto sembra, una discreta organizzazione ecclesiastica la quale poi si frazionò, dando origine a numerose chiesuole, unite nell’unico vincolo di un ascetismo immoderato. – Se la paternità dell’encratismo ci è ignota, conosciuto è, invece, il fondatore del Montanismo, altra eresia affine alla prima. Calato dalla Frigia,  sostenuto dal fanatismo di due donne che furono le prime ad essere conquistate alla nuova idea, Montano, per dar maggior credito ai suoi sentimenti, si creò intorno un alone mistico, proclamandosi « organo dello Spirito Santo ». Con un linguaggio ricco di calore profetico e con atteggiamenti paramistici, Montano suscitò l’aspettazione quasi morbosa di una nuova era, nella quale una terza ed ultima rivelazione, quella dello Spirito Santo, sarebbe stata accompagnata da manifestazioni carismatiche. Inoltre — diceva Montano — è imminente la parusia di Cristo. Occorre perciò disporvisi con tutto il cuore, con penitenze e con il distacco radicale da ogni affetto terrestre. L’austerità morale degli encratiti fu superata dai Montanisti con l’imposizione di prolungati digiuni e mortificazioni varie. Spinsero poi fino alla esasperazione la loro dottrina, insegnando l’irremissibilità di qualsiasi peccato commesso dopo il Battesimo. L’eresia, così, toccava il fondo. Ad essa purtroppo diedero credito uomini di prim’ordine. È risaputo, difatti, che lo stesso Tertulliano vi aderì in pieno, trovando nel Montanismo l’appagamento delle proprie tendenze. È vero che la sua intemperanza, irriducibile e nemica di ogni imposizione, finì con un gesto di ribellione e con la creazione di un  partito che da lui prese il nome; ma rimase la base dottrinale di stravagante durezza, inconciliabile con il principio formulato da Gesù: «Il mio giogo è soave, il mio peso è leggero» (Matt. XI ,30). Nel secolo successivo risuonarono altre voci discordanti: quelle di Elvidio, Gioviniano e Vigilanzio. Il primo sostenne la superiorità dello stato matrimoniale su quello verginale; il secondo sviluppò tutta una morale lassista che giustificava le peggiori turpitudini con il comodo principio che il rigenerato dal Battesimo non più peccare nè cedere alle suggestioni del demonio; il terzo, assai meno importante, criticò la vita religiosa e il culto dei Santi. – Tutti e tre trovarono resistenza in San Girolamo, il quale non misurò davvero le parole nel criticarli, ma li subissò con scintillanti battute ironiche. Ed a proposito del culto dei Santi e delle immagini, conviene qui ricordare — per quanto non sia il capitolo specifico — un’eresia che ebbe vastissime ripercussioni. Essa va sotto il nome di Iconoclasmo. Nei primi sette secoli, l’uso e il culto delle immagini era stato riconosciuto da tutti legittimo. Eccezion fatta per qualche timido dissenso, occasionato forse da spiegabilissimi abusa, i cristiani avevano trovato nel culto delle immagini forte incitamento alla pietà. L’avversavano, invece, i Giudei, ostili a qualsiasi rappresentazione della divinità, e i Maomettani. Ma, forse, agirono molti altri fattori sull’animo di Leone III l’Isaurico quando scatenò la lotta iconoclasta. Immediata fu la reazione dell’episcopato alla volontà del « basileus ». Il successore inscenò pure un concilio che si tenne nel 753 a Jeria, nel quale prevalse la dottrina iconoclasta. – Ma la sua artificiosità non sfuggì ai monaci e ai fedeli i quali perseverarono nella dottrina cattolica. Caddero le prime vittime: la furia iconoclasta si abbeverò di sangue. La lotta fu lunga perché si estese fino alla metà del IX secolo: salvo il periodo nel quale comandò l’imperatrice Irene. Con il suo appoggio fu possibile anche radunare un Concilio ecumenico a Nicea nel 787 che condannò l’eresia iconoclasta e definì legittimo il culto reso alle immagini. Difficile, a distanza di tanti secoli, è fare il bilancio dell’eresia iconoclasta. – Alcuni dati però sono acquisiti dalla scienza storica e si possono senz’altro accettare: se approfondì la divisione tra Oriente e Occidente, diede pure magnifici risultati positivi, come il numero stragrande dei martiri e l’appassionata dottrina di San Germano, San Giovanni Damasceno, San Tarasio, San Niceforo e San Teodoro Studita: cinque stelle di prima grandezza nel firmamento della Chiesa Orientale.

COSIMO PETINO

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.