LA GRAZIA E LA GLORIA (18)

LA GRAZIA E LA GLORIA (18)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

I.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

TOMO PRIMO

LIBRO IV .

L’ABITAZIONE SINGOLARE DI DIO NELL’ANIMA DEI SUOI FIGLI ADOTTIVI. IL FATTO E LA NATURA DI QUESTA ABITAZIONE.

CAPITOLO II

La realtà dell’inabitazione soprannaturale di Dio nei suoi figli adottivi. Le loro anime, santuari della Trinità.

I.- Quando apro le nostre sante Scritture, incontro in ogni momento espressioni e formule che sembrano contraddire tutto ciò che abbiamo appena affermato sull’esistenza universale di Dio nelle creature e delle creature in Dio. Dio non è in tutto.: « Ecco, – Egli dice – io sono alla porta e busso » (Apoc. III, 20). Se è alla porta, se bussa per farsi aprire, allora non è ancora entrato. Dio si allontana dai peccatori che Lo disprezzano; non può tollerare la loro presenza (Sal. VI, 6); e quando essi hanno perseverato fino alla fine nella loro ribellione, li scaccia per sempre dalla Sua presenza (Matth., XXV, 41). Come potrebbe essere in loro? Dall’altra parte, vediamo Dio che ritorna alle anime, si avvicina a loro, entra in loro. Quindi non era in loro con la Sua essenza. Egli è con la sua potenza e la sua presenza in coloro dai quali ha ritirato la mano, e contro i quali dirige questa terribile apostrofe: Non vi conosco, non novi vos? – Tutto non è in Dio. « Poiché siete tiepidi e non siete né freddi né caldi, comincerò a vomitarvi dalla mia bocca » (Apoc. III, 13). È Gesù Cristo, il primogenito del Padre, che fa questa minaccia all’Angelo, cioè al Vescovo di Laodicea, per mezzo di San Giovanni. Vorremmo dire che sarebbe in Dio, questo Vescovo intiepidito, se la minaccia fosse messa in opera? Diremmo anche che sono in Dio i maledetti contro i quali il Signore emetterà l’anatema finale: Partite via da me; andate nel fuoco eterno? Preghiamo Sant’Agostino di mostrarci l’accordo tra testi così apparentemente contrari. Egli lo fa in una delle sue più belle lettere, dove questo tema è saggiamente sviluppato. « Ciò che è ammirevole – scrive questo illustre dottore – è che Dio, che è ovunque e interamente in ciascuno degli esseri, non abita in tutti. A tutti, infatti, non si possono applicare le parole dell’Apostolo: Non sapete che siete templi di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi ? (1Cor. III, 16) Perciò ci sono altri di cui è scritto: “Chiunque non abbia lo Spirito di Cristo Gesù, non gli appartiene” (Rom. VIII, 9). – Ora non credo che si possa credere, a meno che non si ignori completamente l’unità inseparabile della Trinità, che il Padre e il Figlio dimorino in colui in cui non risiede lo Spirito Santo, o che quest’ultimo sia posseduto da chi non abbia né il Padre né il Figlio. « Bisogna dunque confessare: se Dio è ovunque per la presenza della sua divinità, non è ovunque con la grazia della inabitazione. È a causa di questa inabitazione, in cui ci viene rivelata l’infinita liberalità dell’amore divino, che invece di dire: “Padre nostro che sei dappertutto”, il che sarebbe verissimo, diciamo: “Padre nostro che sei nei cieli”, facendo così memoria, nella nostra preghiera, del tempio di Dio, quel tempio che dobbiamo essere noi stessi se vogliamo entrare nella famiglia dei figli adottivi. – E non solo Colui che è ovunque non abita in tutti, ma non abita nemmeno in coloro in cui fa dimora. Cum igitur qui ubique est, non in omnibus habitet, in quibus habitat, non æqualiter habitat. Da cosa proviene in effetti, che tra i Santi vi sono alcuni che lo siano più di altri, se non perché Dio fa la sua dimora più perfettamente in essi? Unde in omnibus Sanctis sunt alii aliis perfectiores, nisi abundantins habendo habitatorem Deum?” – Trascriviamo un’altra parte di questo notevole passaggio. « Com’è che allora – si chiede lo stesso Padre – Dio è ovunque interamente, se è più in alcuni e meno in altri? Non dimentichiamo – egli risponde – che ovunque Dio è intero in se stesso… Quindi, non è solo all’universalità delle creature, ma anche a ciascuna delle loro parti, che Egli è allo stesso tempo presente così com’è, cioè intero. Sono lontani da Lui coloro che con il loro peccato sono diventati dissimili da Lui; e gli si avvicinano coloro che con una vita pia si rivestono della sua somiglianza. « Così si dice che gli occhi sono tanto più lontani dalla luce, quanto più completamente hanno perso la facoltà di vedere. Infatti, cosa c’è di più lontano dalla luce che la cecità, anche se questa luce inonda gli occhi spenti? E gli stessi occhi si avvicinano alla luce, nella misura in cui, recuperando la loro nativa vivacità, ne ricevono anche l’influenza vivificante… Così, come Dio non è assente da colui in cui non abita ancora, poiché è in lui tutto intero, benché non da lui posseduto; così Egli è interamente presente in coloro in cui abita, anche se, secondo la differenza di capacità, vi è ricevuto più o meno imperfettamente… « Dio, dunque, che è presente ovunque e dappertutto tutto interamente, non abita in tutti, ma solo in coloro che Egli fa diventare il suo tempio beato, strappandoli al potere delle tenebre e trasferendoli nel regno del Figlio del suo amore: il che comincia dalla rigenerazione… Ora, quando pensate alla inabitazione di Dio, pensate all’unità, pensate all’assemblea dei Santi, specialmente quella che è in cielo; perché è in cielo principalmente che Egli abita, poiché è in cielo che risponde alla sua volontà la perfetta obbedienza di coloro in cui Egli abita. Ma sulla terra stessa, Egli ha la sua dimora, che costruisce nel tempo, per farne una piena dedica alla fine dei secoli. » – S. Aug. 187 ad Dardanum, n. 41).

2. – Comincio a capire ora che Dio possa essere e non essere nello stesso uomo allo stesso tempo; allontanandosi da lui quando vi resta, e venendovi quando già vi era: perché c’è sia la presenza comune, sia quella singolare in virtù della quale Egli abita in un’anima, come nella sua propria dimora e nel Cielo, come in un tempio a Lui consacrato. – Alberto Magno, in uno dei testi che ho citato alla fine del capitolo precedente, si chiede se si possa assolutamente e senza spiegazioni dire di Dio che è nel demonio. No, risponde, perché la parola “demone” indica la malizia diabolica che non è opera di Dio. « Ma anche se si concedesse che Egli è in colui che la sua malizia ha reso un demone (che conserva in sé la natura e i beni della natura), non si deve assolutamente concedere che lo Spirito Santo sia in lui, poiché lo Spirito Santo è Dio. Infatti lo Spirito Santo, in quanto Spirito Santo, è presente con le sue ispirazioni e la santificazione; e, in questo modo, non è né nel diavolo né nel perverso. » Inoltre, inabitazione dice più della semplice presenza: poiché contiene nel suo concetto la comunità degli affetti e della famiglia: tanto che per essere “l’inabitazione di Dio” bisogna essere della famiglia di Dio, figlio di Dio (Alb. M., t. XVII, Tr. XVIII, q. 7). Questo è il pensiero di Sant’Agostino in una forma meno elegante e più didascalica. – Ora, gli stessi testi ci mostrano anche in che senso la Scrittura, da un lato, sembri negare che Dio sia nel peccatore per potenza e presenza, e, dall’altro, afferma che gli occhi del Signore siano sui giusti (Sal. XXXIII, 16), e che la sua mano li protegga, lo sostenga e li trasporti (Sal. XC, 14-16).  Ciò che si intende con queste ed altre simili espressioni non è l’abbandono dei peccatori, ma la singolare indulgenza del cuore di Dio per i suoi figli. E questa presenza di scelta è di natura tale che Dio non dimora in noi senza che noi dimoriamo in Dio. L’apostolo S. Giovanni, il discepolo dell’amore, non si stanca di ripeterlo: « Miei amati… Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio abita in noi e la carità in noi è perfetta. Questo è ciò che ci fa conoscere che noi rimaniamo in Lui ed Egli in noi, è che Egli ci ha resi partecipi del suo Spirito ….. Dio è amore, e chi rimane nell’amore rimane in Dio, e Dio rimane in lui. » (I Giov. IV, 12-16). Ciò che scriveva ai suoi fratelli, egli lo aveva appreso dalla bocca del Maestro stesso, in quel momento supremo in cui, vicino all’immolarsi, stava svelando ai suoi Apostoli, come ai suoi più intimi amici, i segreti fino ad allora nascosti nel suo cuore. Era dopo l’ultima cena, e Gesù diceva: « Chi mi ama osserverà la mia dottrina e sarà amato dal Padre mio, e Noi verremo a lui e faremo la nostra dimora in lui » (Gv. XIV, 23). Tre versetti prima avevamo già letto nello stesso Vangelo: « In quel giorno, quando il mondo non mi vedrà più, saprete che Io sono nel Padre mio, e voi siete in me, e Io in voi » (Gv. XIV, 24); notiamo di passaggio che questa inabitazione reciproca è qui il privilegio dell’amor di Dio e da questo, dell’amore del prossimo. Perché stupirsi di questo, visto che questi due amori si chiamano l’un l’altro, e nella loro sostanza sono tutt’uno? Infatti l’Apostolo scrive: « Se uno dice: “Io amo Dio” e poi odia suo fratello, è un mendace (I Joa. VI. 20). E la carità stessa non sta senza la grazia che ci rende figli di Dio, secondo questa bella formula di San Tommaso: « La carità è una virtù dell’uomo, non in quanto egli sia uomo, ma in quanto, per la partecipazione della grazia, sia diventato dio » (« Charitas non est virtus hominis ut est homo, sed in quantum per participationem gratiæ fit deus ». – Q. un., de Charit. à. 2, ad 3). Nostro Signore aveva detto ancora, parlando dell’Eucaristia che avrebbe istituito più tardi: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e Io in lui. » (Giov. VI, 57). Nei testi riportati finora, solo il Padre e il Figlio sono nominati esplicitamente. Ma non crediamo che lo Spirito Santo possa essere assente dalle anime dove il Padre e il suo Verbo hanno stabilito il loro Santuario. In assenza di autorità esplicite, la natura stessa di Dio ce lo proibirebbe; questa natura è così identica nelle tre Persone che Esse sono inseparabili, e che l’una è essenziale nell’altra. Inoltre, è un principio universalmente accettato dai Padri, che tutto sia comune nella Trinità, tranne, però, ciò che rende il carattere proprio di ogni persona. Ecco perché S. Paolo, dicendo del Padre che solo Lui è immortale, non esclude dall’immortalità divina né il Figlio né lo Spirito Santo, perché l’immortalità non spetta al Padre in virtù della sua proprietà personale, perché è il Padre, ma in virtù della sua natura in quanto è Dio. Poiché, dunque, la grazia ci rende templi di Dio, dire che il Padre o il Figlio è in noi è affermare equivalentemente che tutta l’adorabile Santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, risieda nelle nostre anime. Questo è ciò che San Giovanni Crisostomo rimarcava riguardo alle parole di San Paolo nella Lettera ai Romani: « Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, questi non è in Lui. Ma se Cristo è in voi, benché il corpo sia morto a causa del peccato, lo spirito è vivo a causa della giustificazione » (Rom. VIII, 9-10). « Ciò che Egli diceva – continua il dottissimo interprete – non è che volesse dare il nome di Cristo allo Spirito Santo, ma mostrare che chi possiede lo Spirito Santo, possiede il Cristo stesso. Infatti, è impossibile che lo Spirito Santo sia presente senza che Cristo sia presente con Lui: perché dove c’è una Persona della Trinità, c’è tutta intera la Trinità » (S. J. Chrysost., hom. 13 in h. I. P. Gr., t. 80, p. 518, sq.). Del resto, le testimonianze che ci parlano in termini formali dell’inabitazione dello Spirito Santo nel cuore dei giusti, si trovano in molti luoghi della Scrittura; talmente chiare e così frequentemente sono ripetute che, a giudizio di teologi molto gravi, lo Spirito Santo sembra avere, in questa comunità di presenza, qualcosa di personale e proprio a Lui solo. Più tardi esamineremo cosa si debba pensare di questa opinione; ricordiamo qui solo alcuni dei testi scritturali sui quali si è ritenuto possibile sostenerla. Secondo l’insegnamento di San Paolo, lo Spirito Santo abita in noi come dispensatore della carità (Rom. V, 5); Egli abita in noi, per farci conservare il buon deposito (II Tim. I, 14); abita nelle nostre membra come nel suo tempio e nel suo dominio assoluto (I Cor. VI, 19); Egli abita in noi come in un santuario sacro che non possa essere violato senza esporci a tutta l’ira divina (I Cor. III, 16, 17); Egli abita nel tempio, pegno e deposito della gloria che ci è promessa (II Cor, I, 22; V, 5); … abita in noi come principio della nostra futura risurrezione (Rom. VIII, 11). Infine, il che ci riporta all’idea fondamentale di tutte queste verità e di tutto questo lavoro: Dio, poiché siamo suoi figli, lo manda nei nostri cuori come Spirito di adozione nel quale gridiamo: Padre, Padre; come lo Spirito di suo Figlio che testimonia al nostro spirito che siamo figli di Dio; come il principio che ci fa vivere, agire e pregare in modo conforme all’eccellenza della nostra nuova dignità (Gal., IV, 6 – Rom. VIII, 9, 12, 14-16). – Questo è un privilegio meraviglioso, una grazia ineguagliabile che il Salvatore ha promesso agli Apostoli sgomenti alla vigilia della sua Passione. « Se mi amate – diceva loro – osservate i miei comandamenti, e Io pregherò il Padre mio, ed Egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede né lo conosce. Ma voi lo conoscerete, perché Egli abiterà con voi e sarà in voi »  (Gv. XIV, 15-18). – XV, 26 ecc.) – Su questo Sant’Agostino si pone una domanda, che è utile trascrivere insieme alla risposta, perché completa la dottrina della sua lettera a Dardano. Ecco l’obiezione che solleva: « Come può il Signore dire: “Se mi amate, osservate i miei comandamenti, e Io pregherò il Padre mio, ed Egli vi darà l’altro Paraclito”, visto che parla dello Spirito Santo, che bisogna avere per amare Dio e osservare perfettamente la sua legge? … I discepoli già amavano. Se essi amavano, non era questo nello Spirito Santo? Eppure, comanda loro in primo luogo di amarlo e di osservare i suoi Comandamenti per ricevere lo Spirito Santo: quello Spirito senza il cui possesso sia l’amore che la perfetta osservanza dei Comandamenti sarebbero per essi impossibili. Comprendiamo, risponde, che questi possiede lo Spirito Santo: colui che ama, e che, possedendolo, merita di averlo ancora maggiormente, e che, possedendolo di più, ama ancora più perfettamente. Così i discepoli avevano lo Spirito che il Signore prometteva loro; ma non lo avevano come Lui lo prometteva. Essi lo avevano di meno, e doveva essere dato loro di più. Essi l’avevano avuto in segreto e stavano per riceverlo in pieno giorno, perché questo stesso aggiungeva alla grandezza del dono, che essi conoscessero manifestamente ciò che era stato dato loro » (S. Aug. Tract, 74 in Joan, n. 1-2).

3. – Se mai i santi Padri hanno scritto pagine magnifiche, è nel celebrare questa dimora intima e permanente del nostro grande Dio nelle anime dei suoi figli adottivi. Un intero volume sarebbe troppo poco per esaurire il soggetto. « Cos’è, in verità, l’anima dei santi, chiede San Cirillo di Alessandria? Un vaso pieno di Spirito Santo » (« A veritate quis non aberravit, si vas dicat esse Spiritus Sancti sanctorum animam ». – In Luc. C. XXII, P. Gr., t. 72, p. 904, 905) « Pieno di carità, pieno di Dio », dice a sua volta S. Agostino (« Qui plenus est caritate, plenus est Deo. » Enarr. in palm. 98, n, 1). – Questa verità è costantemente ricorrente per consolare i poveri ed abbassare l’orgoglio dei ricchi. « Ascoltate l’Apostolo che vi dice: Dio è amore; chi ha amore, Dio abita in lui ed egli in Dio. Dunque, se hai la carità, hai Dio. Cosa può avere il ricco, se non ha Dio? E il povero, cosa gli manca, se ha la carità? Immaginate forse che sia ricco colui il cui petto è pieno d’oro, e che non sia ricco colui la cui coscienza è piena di Dio? No, fratelli miei, non è così: colui nel quale Dio si degna di abitare è il vero ricco » (August., sermone, 44 di Temp.; paragrafo 112 di Verbis Apost., n. 1, 2). – La stessa verità si ritrova nelle controversie dei nostri più grandi Dottori e nei loro insegnamenti dottrinali. È un principio indiscutibile per loro vendicare la divinità dello Spirito Santo, attaccata dai discepoli di Macedonio: « Che questi insensati ci dicano come siamo i templi di Dio, per il fatto stesso che abbiamo lo Spirito Santo, se lo Spirito non fosse Dio per natura? Se Egli è una pura opera di Dio, come lo siamo noi, perché Dio vuole distruggerci come profanatori del tempio di Dio, quando contaminiamo il corpo in cui lo Spirito fa la sua dimora? ». (S. Cirillo Alex, in Joan 1, 3, P. Gr. 73, p. 157). È anche per essa, che danno la ragione della nostra filiazione adottiva. « Se non avessimo lo Spirito in noi, non saremmo in alcun modo figli di Dio. Come abbiamo dunque ricevuto il beneficio dell’adozione, come siamo partecipi della natura divina, se Dio non abita in noi, se non siamo strettamente uniti a Lui dalla comunione del suo Spirito? Ora, certamente, noi partecipiamo alla Sostanza che supera ogni sostanza, e siamo i templi di Dio » (S. Cirillo, Aless. P. Gr., vol. 74, p. 545).

4. Pienamente impregnati da questi nobili pensieri, che avevano ricevuto dagli Apostoli e dagli uomini apostolici del Signore, loro padri nella fede, i primi Cristiani li proclamavano a gran voce di fronte ai loro giudici e carnefici. Erano la loro forza davanti ai tribunali, la loro consolazione nella tortura. « Chi sei tu, demone malvagio – domandava Traiano al grande martire di Gesù Cristo, Ignazio di Antiochia – per osar trasgredire le mie leggi in questo modo ed incitare altri a farlo, fino alla loro stessa perdita? Ignazio rispose: Che nessuno chiami Teoforo demone malvagio. I demoni fuggono dai servi di Dio… Con Cristo, Re del cielo, sfido le loro insidie. Traiano disse: Chi è questo Teoforo? Chi porta Cristo nel suo cuore, rispose Ignazio… Traiano disse: Stai parlando di colui che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato? Ignazio rispose: Sì, parlo di Colui che ha inchiodato il peccato alla croce con il suo autore, e ha messo ogni malizia demoniaca sotto i piedi di coloro che ce l’hanno nel loro petto. Traiano disse: Allora tu porti in te il crocifisso? Ignazio disse: Sì, senza dubbio; perché sta scritto: abiterò in essi, in loro farò la mia dimora (II Cor. VI, 16). Traiano dettò la sentenza: Ordiniamo che Ignazio, che si vanta di portare Cristo in sé, sia condotto in catene dai soldati nella grande Roma, per diventare il pasto delle bestie e il divertimento del popolo » (Ruinard, Acta Martyr. Sincera Veronæ, 1731, p. 14). S. Ignazio era uno dei Padri Apostolici. È la stessa fede nel cuore e sulle labbra dei fedeli più semplici. Al presidente Massimo, che lo minaccia delle più orribili torture se non abbandona il culto di Cristo, Andronico risponde con queste orgogliose parole: « Stupido spregiatore di Dio, tu sei pieno di pensieri di satana. Tu vedi il mio corpo, il cui fuoco non ha che fatto solo una ferita, e immagini che io tremi davanti alle tue minacce… Ma io ho Cristo in me, ed è per questo che ti disprezzo » (Ruinard, Acta… 3° Andron. Confessio, p. 389, 390). « Né le tue carezze potranno indebolirmi, né le tue minacce potranno trattenermi – rispose Felicita, conducendo i suoi sette figli al martirio: … perché io porto in me lo Spirito Santo che non permetterà al demonio di sconfiggermi. Ed è questo che mi rende fermo davanti a te » (Ruinard, Acta … p. 22). Chi non conosce il toccante episodio della passione di Santa Lucia (13 dic. in festo S. Luciæ, lez. 5 e 6)? Irritato dall’audacia delle sue risposte, il tiranno minacciò di farla tacere flagellandola: « Le parole non possono mancare ai Servi di Gesù Cristo – rispose subito la Vergine – perché il Maestro ha promesso che quando saranno davanti ai giudici, il suo Spirito parlerà attraverso la loro bocca. Lo Spirito Santo è allora in te? Coloro che vivono in castità e pietà sono il tempio dello Spirito Santo. » A questa risposta, il giudice, troppo cieco per coglierne l’alto significato, ma tuttavia comprendendo che la vergine parlava di un ospite puro e santo, minacciò di consegnarla agli ultimi oltraggi, affinché questo Spirito non abitasse più in lei. La leggenda del Breviario, che racconta la storia, ci dice anche con quale miracolo Dio preservò l’onore della sua casta serva. Dopo tante e così manifeste testimonianze, sarebbe imperdonabilmente avventato pretendere che il dono della grazia sia interamente nella realtà creata che chiamiamo grazia santificante, e mettere la singolare dimora di Dio nelle anime nella categoria delle pie metafore.

5. – Mi appello a tutti i grandi teologi senza escluderne uno (S. Bonav. In II. D. 36. Q. 2). Ecco cosa scrive Suarez, generalmente così equilibrato nei suoi giudizi circa l’ortodossia delle dottrine, su questo argomento. « Quando Dio versa nell’anima i doni della grazia santificante, non sono solo i doni, ma le stesse Persone divine che entrano nell’anima e cominciano a dimorarvi: e quindi lo Spirito Santo è inviato invisibilmente attraverso il mezzo di questi doni. Questo è l’insegnamento dei Dottori Scolastici; e questa dottrina è così indubitabile per loro, che San Tommaso chiama giustamente come un errore il sentimento opposto. Così pensa Alessandro di Hales: così fanno gli altri teologi, seguendo in questo il comune sentire dei Padri (Suarez, de Trinit., l. XII, c. 5, n. 8). – Non saprei dire quali furono i contraddittori che la Scuola antica confutò su questo punto, tanto i loro nomi sono rimasti sconosciuti. Quello che so meglio, è che gli scismatici Greci, per sfuggire agli argomenti con cui gli ortodossi dimostravano che lo Spirito Santo procede dal Figlio oltre che dal Padre, aveva proposto qualcosa di simile. Si diceva loro: Non vedete chiaramente dalle Scritture che il Figlio invia, che dà lo Spirito Santo? Ma non lo manderebbe né lo darebbe, se lo Spirito Santo non venisse da Lui. Incalzati da questa prova invincibile, risposero che per Spirito non si intende lo Spirito stesso, ma le grazie e i doni che Egli riversa nelle anime. Al che i loro avversari hanno risposto senza difficoltà che una soluzione di questo tipo è manifestamente illusoria. Perché è così? Perché Gesù Cristo non ha detto: Ricevete i doni del mio Spirito e Io vi manderò la sua grazia, ma ha detto: … ricevete lo Spirito Santo. Io vi manderò il Paraclito, lo Spirito stesso di verità. È vero che Esso non viene senza la carità, ma questa stessa carità ci viene espressamente indicata come un beneficio distinto dal dono dello Spirito Santo, dal quale proviene come effetto della sua causa. Infatti, dice espressamente l’Apostolo, la carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato dato (Petav. De Trinit., L. VIII, c. 5, n. 18-20). – Quanto è ammirevole la dignità del Cristiano fedele! Quello che è un santuario con il suo tabernacolo in mezzo alle dimore volgari, è tra gli altri uomini. Non chiamatelo un uomo terreno, un corpo di fango. È molto meglio di così, poiché egli è veramente Teoforo, cioè portatore di Dio, come amavano chiamarsi i Cristiani delle prime età (Mamachi. Orig. Du Christ, t. 1, L. I, § 8, p. 64); oppure Spirito-Portatore (πνευμοφόρος [= pneumotoforos], Spiritifer) secondo l’espressione forte di S. Atanasio, di S. Ireneo, di S. Cirillo d’Alessandria, di S. Girolamo ed altri ancora (Tutti questi testi si possono leggere in: Mamachi, nelle Origini cristiane, nel luogo citato nella nota. Sant’Ignazio di Antiochia ha riunito tutti questi nomi in due righe: « Siate dunque tutti compagni di viaggio nella carità, Teoforo, Naoforo, Cristoforo, Agioforo (portatore di Spirito Santo). » – Ep. ad Ephesians n. 9, P. Gr. t. 5, p. 652). Ma a questa grandezza quale santità non deve risuonare nelle nostre anime! Templi viventi di Dio, rispettiamo noi stessi e i nostri fratelli. Non vorremmo contaminare vasi consacrati dal Sangue di Cristo, o distruggere un tabernacolo dove Dio abita; e potremmo profanare vasi pieni di Spirito Santo, e, cacciando Dio dalle nostre anime, privarli così dell’onore di essere il loro Santuario? Cos’è un tempio di Dio se non un luogo specialmente destinato all’adorazione, alla preghiera e al sacrificio? Non dimentichiamo mai che siamo una razza eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, e non lasciamo che resti senza ostie, senza omaggi, senza il profumo delle nostre preghiere, contristando lo Spirito Santo, « quel dolce ospite delle nostre anime » (Dulcis hospes animæ: Inno Veni Creator). Diciamo, più ancora con la nostra vita che con le nostre parole, ciò che il salmista cantò una volta di un tempio meno prezioso del nostro: O Signore, ho amato la bellezza della tua casa e il luogo dove abita la tua gloria (Sal. XXV, 8). – Ahimè, quanti ce ne sono, anche tra i Cristiani che, vivendo in grazia, hanno l’inestimabile felicità di portare Dio nelle loro anime; quanti ce ne sono a cui potremmo applicare le parole di Giovanni Battista: « C’è uno in mezzo a voi (nel centro stesso del vostro essere), che voi non conoscete » (Joan. I, 26); o, almeno, che vi sembra di conoscere troppo poco. Che forza, che consolazione, che generosità darebbe questo pensiero, se ci fosse familiare. Nostro Signore è con me; il mio Signore è in me, padre, amico, protettore, testimone, sempre vigile, santo, sempre fedele!

LA GRAZIA E LA GLORIA (19)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.