LA GRAZIA E LA GLORIA (26)
Del R. P. J-B TERRIEN S.J.
I.
Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901
Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.
TOMO PRIMO
LIBRO V
LA FILIAZIONE ADOTTIVA CONSIDERATA NELLA SUA RELAZIONE CON CIASCUNA DELLE PERSONE DIVINE. LA RELAZIONE CON IL PADRE E IL FIGLIO.
CAPITOLO V.
Rapporti tra i figli adottivi e la seconda Persona. Il Figlio di Dio, celeste sposo delle anime.
2. – Tuttavia, so che nella sacra Liturgia è alle vergini, e specialmente alle vergini dedicate a Dio per la professione religiosa, che sono specialmente applicati il titolo e l’onore della sposa e della fidanzata di Cristo. Ne vedo come garanti le preghiere recitate dal Pontefice, i canti che le accompagnano e le altre cerimonie di consacrazione delle vergini. Così, per esempio, nel dare loro l’anello, il Vescovo dice: « Io ti fidanzo a Gesù Cristo, il Figlio del Padre Supremo… Ricevi dunque questo anello come il sigillo dello Spirito Santo, affinché, se rimani fedele al tuo Sposo celeste, tu possa essere eternamente incoronata ». E le vergini cantano: « Eccomi qui, fidanzata sposa a Colui che gli Angeli servono, a Colui la cui bellezza il sole e la luna ammirano; il mio Signore Gesù Cristo mi ha legato a Lui con il suo anello, ed Egli mi ha adornata con una corona come sua sposa ». E il Vescovo, in un magnifico Prefatio, esalta ancora « la beata verginità che, riconoscendo il suo Autore, e la santa gelosia dell’integrità degli Angeli, si riserva al talamo immacolato di Colui che è insieme lo Sposo e il Figlio della perpetua verginità” (Pontificale Rom. de Consecr. Virginum. Dell’antichità di questi riti ci si può convincere leggendo: Muratori, Liturg. Rom. vet. t. 1, p. 444; t. 2 p. 701). – Ma celebrare il privilegio delle vergini cristiane in questo modo non significa negare che ogni anima in stato di grazia abbia diritto al titolo di sposa, non più di quanto chiamando con il nome di religiosi quelle persone specialmente dedicate al culto di Dio, noi non pretendiamo di negare il significato di questa parola al resto dei Cristiani. Che cosa facciamo, dunque, o meglio, che cosa fa la Chiesa, quando attribuisce singolarmente a certe persone o il nome di sposa o quello di religiosa? Essa consta che esse hanno un diritto speciale per portare l’uno o l’altro titolo: perché nello stato che abbracciano, devono realizzare il suo significato in modo più glorioso e completo. Queste Vergini, che rinunciano per sempre al diritto di appartenere a sposi terreni per appartenere a Gesù Cristo, dedicandogli senza alcuna condivisione, anche legittima, tutto ciò che hanno e che sono, non meritano forse di portare singolarmente questo nome benedetto che le distingue? – Al di là di questa unione delle vergini, la teologia mistica ci mostra nella vita dei Santi altri fidanzamenti, un altro e ancora più intimo matrimonio spirituale tra Cristo e le anime privilegiate, come lo furono Santa Teresa, Santa Gertrude, Santa Caterina da Siena e tante altre. – Il piano di quest’opera non mi permette di entrare nella spiegazione di questi favori straordinari (Vedi su questo argomento Santa Teresa, Castello int., 7° dim.; Giovanni della Croce, Cantici spirituali, 19° cant.; S. Bern., in Cant. Serm. 83, ecc.) Ci basterà notare che qui non c’è nulla che contraddica la dottrina precedentemente esposta. « Questo matrimonio spirituale e casto del Verbo e dell’anima » (San Lorenzo Giustin., de Spirituali et casto Verbi animæque connubio.) non è, in fondo, che un’alleanza fondata sulla grazia, ma con una manifestazione talvolta sensibile del Verbo che si rivela all’anima come Sposo, un sentimento molto vivo, intimo e quasi abituale della sua presenza, una trasformazione più profonda dell’essere umano sotto le effusioni della luce divina e i tocchi sacri dello Sposo. – Con questi favori straordinari Nostro Signore fa, per certi membri del suo Corpo mistico, qualcosa di analogo a ciò che fece per il Suo corpo naturale, quando si mostrò trasfigurato sul Tabor. Non era questa la glorificazione finale della sua santa umanità, ma un preludio, una prova temporanea di ciò che sarebbe stato un giorno, dopo l’uscita dalla tomba. Così gli piace dare un assaggio, nelle anime scelte, dell’unione che sarà consumata nella gloria. E come lo splendore riversato sul corpo del mio Maestro nell’ora della trasfigurazione veniva dall’interno, come una rivelazione della divinità latente sotto le apparenze della nostra miseria, così le prerogative eccezionali che ammiriamo nei Santi sono lo svolgimento più pieno e l’irradiazione esteriore del mistero che è al fondo di tutte le anime santificate dalla grazia. Ed è da questo punto di vista che, senza essere lo stato normale della nostra attuale unione con Gesù Cristo, esse contribuiscono nella loro parte a gettare una maggiore luce su questa mirabile alleanza.
1 – Quando si parla della santa Chiesa, i titoli di corpo e sposa di Cristo Gesù sono così intimamente uniti che l’uno sembra fondersi con l’altro. Aprite l’epistola di San Paolo agli Efesini; vi leggerete che tra Cristo e la sua Chiesa c’è la stessa unità che tra uomo e donna. Un’unione molto più stretta e profonda, poiché l’unione dei coniugi cristiani, santificata com’è dal Sacramento della nuova alleanza, deve rappresentare quella di Cristo con la Chiesa come suo esemplare divino. Questo è ciò che l’Apostolo dichiara quando dice del Matrimonio cristiano: « Questo è un grande sacramento, io dico in Cristo e nella Chiesa » (1 Ef., V, 32). Ora, tra l’uomo e la donna non esiste una qualsiasi unità: « Essi saranno due – dice la Scrittura – ma in una sola carne », tanto intima deve essere la loro società, tanto sacri sono i diritti che hanno l’uno sull’altra. Così il marito deve amare la moglie come il proprio corpo, in modo che il suo amore per lei sia lo stesso del suo amore per se stesso (Ibid., 28, 29). Vediamo ora, che non è l’unità puramente morale che risulta da un’amicizia reciproca, ma una certa unità fisica che richiede l’unità dell’amore e deve essere consacrata da essa. E questo è ciò che ammiriamo, ma con una perfezione superiore, nell’archetipo delle unioni umane, cioè nell’unione di Gesù Cristo e della sua Chiesa. Il Verbo di Dio, nel suo immenso desiderio di unirsi più strettamente a noi, si è rivestito della nostra natura, affinché in essa e attraverso di essa potesse contrarre quel misterioso matrimonio con la sposa. E questa sposa, perché non fosse meno indegna di Lui, la trasse dal suo fianco, dal suo cuore aperto sulla croce. Da lì è uscita, vivificata dalla nascita dal sangue dello Sposo; da lì ha ricevuto tutto ciò che la rende ciò che è, gloriosa, santa, immacolata: carne della sua carne e osso del suo osso. Questa è la Sposa e questo è il Corpo di Cristo; lo Sposa perché è il Corpo, e il Corpo perché è la Sposa (Ef., V, 30, 31. « Sponsus in capite, sponsa in corpore », dice sant’Agostino). Abbiamo sentito le Sacre Scritture parlarci in venti luoghi del Corpo Mistico di Gesù Cristo, che è la Santa Chiesa di Dio. Esse non proclamano né meno spesso, né meno eloquentemente, la qualità della sposa. Uno dei libri dell’Antico Testamento, il Cantico dei Cantici, non ha altro scopo che rappresentare in un’allegoria poetica le nozze spirituali di Cristo con la sua Chiesa, ed il sacro amore con cui essi ardono l’uno per l’altro (P. Gietmann, Comment. in Cant. De Allegoria Cantici (in Cursu Script. S., auctore Cornely, etc. p. 388, seq.). Anche il V Concilio, tra le altre opere di Teodoro di Mopsuesta, respinse con orrore uno scritto in cui questo precursore e maestro di Nestorio sosteneva che i Cantici sono una scrittura profana, e « non contengono l’annuncio dei beni futuri della Chiesa ». (Labbe Concil., t, VI, p. 64). – La stessa alleanza ci è promessa nei Profeti: « In quel giorno, dice il Signore, il mio popolo mi chiamerà mio sposo e non più mio Signore; e io vi sposerò per sempre, e vi sposerò in giustizia e misericordia… e fedeltà » (Os. 1:16, 19-20; cfr. Is., LIV, 5, 6 – testo ebraico – . Il Nuovo Testamento è venuto a fare piena luce su queste promesse divine ed a mostrarci il loro adempimento. Cristo è lo Sposo che si rallegra per la sua presenza, e la cui assenza porterà digiuni e lacrime; è il Figlio del grande Re, i cui servi vanno per tutti i crocicchi e le strade invitando la gente al banchetto di nozze (Matt. IX: 15; XXII:2 suqq.). Giovanni Battista, l’amico dello Sposo, sentì la voce di Colui che possiede la sposa, e ne fu felicissimo (Giov., II, 29.3). Giovanni Evangelista, nelle sue visioni di Pathmos, contemplò la solennità nuziale in cui la Sposa splendidamente adornata si presenta, alla chiamata dello Sposo, per sedersi accanto a Lui sul trono della sua gloria (Apoc., XIX, 7-9; XXI,2; XXII, 16). Più di un lettore potrebbe volermi fermare qui per dire: non abbiamo dubbi che Gesù Cristo sia veramente uno sposo per la Chiesa, poiché è il Capo di cui Ella stessa è il corpo. Ma non è solo per la Chiesa che dovete rivendicare questo titolo; è in particolare per l’anima di ciascuno dei figli di Dio. Sono così inconsapevole di questo, e così poco dimentico di questo, che tutto ciò che precede, contiene il germe della verità di cui devo dare la prova e la spiegazione. A questo proposito, non ho già sottolineato che, per la Chiesa, il titolo di Corpo e quello di Sposa sono inseparabili? Pertanto, poiché il primo titolo mi unisce a Gesù Cristo come membro nell’unità di questo stesso Corpo, perché il secondo non dovrebbe appartenere a me, che sono nella Sposa? Si può obiettare che, se l’unità del corpo e la molteplicità delle sue membra non siano incompatibili sotto uno stesso capo, questo non è più il caso per la qualità della Sposa: poiché lo Sposo è unico, la Sposa deve essere come Lui. Ecco perché il crimine dello scisma e dell’eresia, da un lato, e il divorzio e la poligamia tra i Cristiani, dall’altro, sono ugualmente ingiuriosi per la misteriosa alleanza di Cristo e della sua Chiesa: perché entrambi tendono a moltiplicare la Sposa, o dividendola da se stessa o distruggendo l’unità indissolubile nel tipo umano che la simboleggia. – A S. Paolo risolvere l’obiezione! Egli certamente conosceva questa necessaria unicità della Sposa; e tuttavia egli stesso prese come sua missione di affidare ciascuna delle Chiese particolari a Cristo, l’unico Sposo, e di presentargliele come una vergine pura (1 Cor. XI, 2). Ha voluto moltiplicare il numero delle spose, quando non ha risparmiato né sforzi né sangue per aumentare il numero di queste chiese? No, senza dubbio. Perché no? Poiché le Chiese particolari formano nel loro insieme armonioso la Chiesa universale, l’unica Sposa del re Davide: in un salmo incomparabile, egli ha cantato questo Re Salvatore Re, e la Regina, cioè la Chiesa, in piedi alla sua destra, con vesti tutte splendenti d’oro e di ricami; ma le figlie dei Re, vergini come Ella, la accompagnano, presentate in letizia e condividendo la gloria e l’amore dello Sposo, perché sono una cosa sola con Ella (Salmo, XLIV, 10, 15,). « Ecco Roma, ecco Cartagine, ecco altre città e altre ancora; tante figlie di re che sono le delizie del Re Gesù nello splendore della sua gloria; ma di tutte se ne fa una sola regina. Et ex omnibus fit una quædam regina », dice S. Agostino nella sua interpretazione di questo passo (Enarr. in ps. XLIV, n. 23). Così, sebbene il numero di regine e fanciulle sia infinito, c’è solo una colomba per lo Sposo: « Una est columba mea » (Cant., VI, 7-8). Perciò, avvicinatevi, anime sante, compagne della Chiesa, sue figlie e membra, che vivete nel suo seno e della sua vita, non temete che lo Sposo vi respinga: perché abbracciandolo tra le sue braccia, è anche voi che Egli abbraccia, voi che Egli stringe al suo cuore. (Sant’Agostino si chiede come i fedeli, che sono figli della Chiesa, possano essere spose nella Chiesa, sposa e madre. « Nei matrimoni umani e carnali – egli dice – la sposa è diversa dai figli, ma nella Chiesa di Dio la Sposa non è distinta dai figli, quæ uxor, ipsi filii… Essere nella Chiesa è essere sposa nella misura in cui se ne è membri. (Enarr. In psalm. CXXVII, n° 12). Inoltre, i santi Padri non hanno mai cessato di descriverci l’unione soprannaturale di Gesù Cristo con le anime giuste sotto il simbolo di una purissima unione tra sposi. Chi non conosce l’eloquente esclamazione di San Gregorio di Nazianzo nel panegirico di sua sorella Gorgonia: « O purezza meravigliosa, e conservata senza macchia dal Battesimo! O anima, sposa di Gesù Cristo, in un corpo immacolato per un letto nuziale – in puro corporis thalamo » (S. Gregor. Naz. P. Gr. t. 35, p. 805.)! – Un altro Gregorio, quello a cui i posteri hanno dato il nome di Magno, ci mostra lo Sposo divino « riposare con amore nei cuori dei fedeli, e nutrirsi lì a mezzogiorno, cioè nel fervore della carità, sul pascolo verdeggiante delle loro virtù » (S. Gregor. M. sup. Cant ,c. I, 6). – Questa dottrina è troppo conosciuta per aver bisogno di accumularla tra i testi. Diciamo in una parola che, tra la legione di eminenti interpreti e santi mistici che, da Origene fino a tempi recenti, hanno scritto sul Cantico, non ce n’è uno che non abbia visto in questa sublime allegoria non solo la Chiesa, la sposa di Gesù Cristo, ma anche ogni anima santa con Ella. Diciamo ancor più; è di questo ancor più che di quell’altro di cui parlano nei loro commenti: testimone ne è questo passo di San Bernardo: « La sposa è ogni anima che ama (« Sponsæ nomine censetur anima quæ amat » – San Bernardo. In Cant. 7, n. 3) » . Inoltre, niente potrebbe essere più naturale di questa alleanza, poiché queste anime sono la parte migliore della Chiesa; poiché sono unite nell’unità della stessa fede, nello stesso desiderio, nella stessa intenzione e nello stesso cuore, esse formano la colomba unica.
3. – Cristo è l’esemplare e il fratello, il capo e lo sposo dei figli di Dio. Perché tutti questi titoli e come si armonizzano tra loro? Bossuet, dopo S. Basilio il Grande (S. Basilio, de Spir. s. ad Amphiloc., c. 8), ce ne darà la risposta: « È necessario – dice questo grande uomo – adorare la sacra economia con cui lo Spirito Santo ci mostra la semplice unità della verità attraverso la diversità delle espressioni e delle figure. È l’ordine della creatura di poter rappresentare solo attraverso la pluralità raccattata l’immensa unità da cui proviene. Così, nelle sacre sembianze che lo Spirito Santo ci dà, dobbiamo notare in ognuna il tratto particolare che porta, per contemplare nell’insieme riunito l’intero volto della verità rivelata. In seguito, dobbiamo passare sopra tutte le figure (e tutte le analogie) per sapere che c’è qualcosa di più intimo nella verità, che le figure, né unite né separate, non ci mostrano: ed è lì che dobbiamo perderci nella profondità del segreto di Dio, dove non si scorge più nulla, se non il vedere le cose così come sono. Tale è la nostra conoscenza, quando siamo guidati dalla fede » (Bossnet, Lettera a una giovane donna di Metz). – Riconosciamo qui, senza bisogno di farlo rimarcare, quel metodo generale di elevarci alla concezione delle cose divine, insegnato dal grande Areopagita, e così meravigliosamente applicato dal Dottore Angelico, San Tommaso d’Aquino (San Tommaso, de Pot., q. 7, a 5 et alibi passim). L’intelligenza dell’uomo non ha alcun pensiero per concepire, né alcuna parola per esprimere come merita, l’unione fatta dalla grazia tra il figlio adottivo e il Figlio per natura. Saremo ridotti al silenzio, o lo Spirito Santo dovrà rinunciare a darci un’idea di questa benedetta unione? No, senza dubbio. Cosa farà allora? Egli sceglierà dal linguaggio umano tutti i termini che possono, da diversi punti di vista, rappresentare i legami più forti e i commerci più intimi, in modo che, riunendo come in un unico fascio tutti questi raggi sparsi, possiamo formare una debole immagine di questa alleanza per sempre benedetta. Da qui vengono questi nomi di sposa e di sposo, dopo quelli che abbiamo studiato alla luce della rivelazione. Cristo è lo Sposo delle anime e ciascuna di esse, nella misura della sua grazia, è una sposa. – Queste ultime espressioni tendono a tracciare per noi più espressamente diversi caratteri dell’unione della grazia con Gesù Cristo Nostro Signore. Questo ci sarà facile da capire se meditiamo su come si formi l’alleanza dello Sposo con la sposa, e quali siano i beni propri di questa unione. In primo luogo, è evidente che non è la natura che fa l’unione del matrimonio; anzi, tenderebbe a metterla da parte quando i legami naturali sono più stretti. Qui è la libera scelta che decide tutto. Un uomo sceglie una moglie per amore, e la moglie così scelta si dà a sua volta, non per costrizione ma per scelta: una società formata nel cuore prima di essere esternamente espressa in atti autentici. – Non è così che Gesù Cristo si unisce alle anime? Quale amore, quale premura, quale ricerca? Lo vedo scendere dal cielo alla terra, andare da Betlemme alla croce, stare in mezzo a noi nel suo tabernacolo, chiamare le anime, moltiplicare i suoi passi, bruciare d’amore e in qualche modo spirare amore. Ed è quando le anime così avvertite, chiamate e cercate rispondono con amore all’amore, che l’alleanza si conclude definitivamente. (Occorre leggere S. Agost. nel suo commento al versetto 12 del Salmo XLIV, che egli traduce secondo una versione antica: « Quoniam concupivit rex speciem tuam. Quam speciem, inquit, nisi qua mille fecit? Rex tuus et ipse est sponsus tuus; regi nubis Deo, ad illo dotata, ad illo decorata, ad illo redempta, ad illo sanata. Quiquid habes unde illi placeas, ad illi habes. » In h. Salmo, n. 26). Ma che differenza tra le unioni umane e questa unione soprannaturale del Verbo con la sua creatura, se la guardiamo soprattutto dal lato dello Sposo! E quale grande idea di ciò è data dall’esortazione di San Paolo ai coniugi cristiani: « O uomini, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa, e si è offerto per essa, al fine di santificarla, purificandola nel battesimo d’acqua mediante la parola di vita, – per preparare per sé una chiesa gloriosa….., santa e immacolata » (Ef. V., 25-28). Bisogna aggiungere che, se la premura dello Sposo delle anime è infinitamente più grande, il suo amore è ancora più incomparabilmente gratuito: poiché Egli si è riservato il privilegio di dare tutto, senza aspettarsi nulla che non venga da Lui: tutto, dico, non solo fino al suo nome, ma fino all’amore che riceve, fino alla bellezza che rende la Sposa piacevole ai suoi occhi. – È dunque una catena d’amore, la carità divina, che ci viene rivelata da questi nomi di Sposo e di sposa. L’amicizia è certamente una grande cosa, quando l’amico è il Creatore, e l’amica, la sua povera creatura. Tuttavia, i due titoli che stiamo meditando hanno qualcosa che mi tocca ancora di più. A parte il fatto che contengono qualcosa di più dolce e tenero, esprimono più fortemente la comunione molto intima che debba esistere tra l’anima e Dio (San Bernardo, in Cant. Serm. 7 n. 2). È, da parte di quest’ultimo, la condivisione dei suoi infiniti tesori con la sposa che si è fatto; da parte di quella, la conformità dei giudizi, delle volontà, dei gusti, con i giudizi, le preferenze ed i più piccoli desideri dell’amato. La fusione di due anime e due cuori in una sola anima e un solo cuore, il cuore e l’anima dell’Amato. Un dono reciproco, in cui l’uno comunica abbondantemente ciò che ha, mentre l’altra, non avendo nulla di proprio, non vuole altra vita, né altri interessi che quelli dello Sposo celeste. (Che questi siano gli effetti e i caratteri di questa divina alleanza, lo apprendiamo da ciò che i Santi hanno scritto delle nozze mistiche e spirituali, cioè di un’analoga, ma più perfetta, dell’unione tra Gesù Cristo e certe anime privilegiate. Ascoltiamo Santa Teresa che parla di se stessa: « Nostro Signore, mostrandosi a me nell’intimo della mia anima attraverso una visione immaginaria, come aveva fatto spesso, mi dice: “Guarda questo chiodo; è il marchio e il pegno che sarai la mia sposa”. Fino ad ora, non lo avete meritato. D’ora in poi, ti prenderai cura del mio onore, non solo vedendo in me il tuo Creatore, il tuo Re e il tuo Dio, ma anche vedendoti come mia vera sposa. Da questo momento, il mio onore è il tuo e il tuo onore è il mio. » Poi aggiunge: « Mentre stavo fondando il monastero di Siviglia, la Madonna mi disse: ‘Tu conosci il matrimonio spirituale che esiste tra noi: in virtù di questo legame, ciò che io possiedo è tuo; e così ti do tutti i dolori e le fatiche che ho sopportato. In virtù di questo dono tu puoi chiedere al Padre mio come se tu domandassi il tuo proprio bene » – Santa Teresa. Aggiunte alla sua vita da lei stessa, tradotte da P. Bouix, p. 592, 593. Lo stesso contratto è stato stipulato tra la Madonna e la Beata Margherita-Maria, e gli effetti sono gli stessi come si può leggere nella Vita di B. scritta dai suoi contemporanei (Vita ed Opere della S., Marg. Maria, 3° ed., t. 1, p. 15, 15).
4. – La teologia ci insegna, seguendo sant’Agostino, che ci sono tre beni principali da considerare nel matrimonio: la fedeltà, l’indissolubilità e la fecondità, « fides, sacramentum et proles » (sant’Agostino, De Nuptiis et concup., c. 11). O Gesù, amabilissimo Sposo delle anime, proprio ora stavo ammirando come il vostro amore di Sposo superi gli affetti umani di tutta l’altezza che si addice al loro ideale. Ora lasciatemi contemplare, per istruirmi nei miei doveri, per lodarvi e per confondermi, come da parte vostra i tre beni che ho appena enumerato, superino immensamente quelli delle unioni mortali. Fedeltà. È una dottrina di fede che non si abbandona mai un’anima, a meno che essa stessa non vi costringa, con il vostro abbandono, a ritirarvi da essa. Cosa devo dire? Anche l’abbandono non vi respinge. Non siete Voi il buon Pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita? Non c’è posto nel focolare umano per la sposa sleale che l’ha disonorato con la sua infamia. Ma Voi, Signore, non conoscete questi rifiuti, per quanto legittimi possano essere. Ho letto in Geremia, il vostro Profeta, la descrizione spaventosa che egli dà, sotto l’ispirazione del vostro Spirito, delle infedeltà di Israele e di Giuda, entrambi il tipo di anime che hanno violato la fede che vi hanno giurato. Ma ciò che mi conforta tanto quanto le vostre minacce mi spaventavano, sono i teneri inviti che rivolgete a queste spose colpevoli: « Ritornate – dite loro attraverso lo stesso Profeta – convertitevi a me, guida della vostra verginità, perché Io sono vostro Sposo. E siccome io sono la santità stessa, Io guarirò il male che la vostra fuga e le vostre defezioni hanno causato ». (Gerem. III, passim). È là, se lo comprendiamo bene, che Dio Nostro Signore ha il diritto di mostrarsi meno inesorabile delle sue creature: puro nell’essenza, Egli può restituire un candore verginale alle anime più disonorate dalla macchia del vizio; lo può con un’efficacia tanto più certa, poiché ha fatto del suo sangue versato a torrenti un bagno salutare per lavare tutte le nostre macchie. – E che per oscurare lo splendore di una fedeltà ineguagliabile, non si parli di un amore condiviso, con il pretesto che lo Sposo celeste vorrebbe, per quanto è in sé, comunicarsi a tutte le anime. Se questa condivisione avesse realmente luogo, il bene e l’amore che Egli dà a ciascuno sarebbe incomparabilmente al di sopra dei loro meriti, e richiederebbe ancora delle azioni di grazie eterne. Ma Dio non voglia che sia così. « Gesù Cristo nella sua interezza è così interamente tuo che può darti dei compagni e mantenerti in una fedeltà inviolabile. Esse sono distinte da Te nella sostanza, ma sono uno con Te per la carità. Perciò, quando le ama, è ancora Te che Egli ama; così che, lungi dal diminuire per ciascuno, a causa della moltitudine, come avviene negli affetti umani, il suo amore ne riceve piuttosto un nuovo aumento. » Così parlò alla sua anima un autore pio e dotto, le cui opere ci sono state conservate sotto il nome di San Tommaso d’Aquino (Opusc., de Dilect. Dei, c. 12). Perciò, o mio Salvatore, non è della vostra fedeltà che dubito. Ma chi mi assicura la mia, in mezzo a tante tentazioni e tanti fallimenti? Voi solo, per la forza della vostra destra; e il trionfo della vostra fedeltà, come quello del vostro amore, sarà di salvaguardare la fedeltà delle vostre spose e di tenerle per sempre fissate nel santo amore. Ma per coloro che sanno misurare le cose per il loro valore, quale crimine sarebbe per un’anima tradire un Dio così amorevole e così gentile; e quali tormenti non dovrebbe essere disposta a subire, piuttosto che rendersi, anche solo una volta, infedele ad uno sposo così fedele! – Io ho parlato della prima cosa buona di questa felice unione, e sulla seconda non farò che due o tre osservazioni: perché non abbiamo detto quasi nulla della fedeltà che non possa essere in gran parte legata all’indissolubilità. Il legame del matrimonio umano, sebbene indissolubile per natura, è interrotto dalla morte. Non è questa la condizione dell’unione contratta dal Verbo con l’anima che ha scelto come sua sposa. La mano della morte, che scioglie gli altri nodi, verrà a dare a questo, con la suprema perfezione, il carattere immutabile dell’eternità, poiché la sposa sarà allora, come lo Sposo, immortale nella vita della grazia e della gloria, cioè nell’unione consumata. È solo in questa vita che il matrimonio divino può essere sciolto, non dallo Sposo, ma dalla Sposa, le cui gravi colpe la porterebbero alla morte. Ora, a questo proposito, c’è una grande differenza tra il matrimonio soprannaturale e l’unione comune. Infatti, questa morte spirituale che rompe l’alleanza tra l’anima e Dio è nel potere della sposa di sfuggirvi con l’assistenza dello Sposo divino; inoltre, con la stessa assistenza, essa può lasciare la tomba e rinnovare la catena d’oro che la lega a Cristo Gesù. – Quanto è bella e gloriosa, dunque, l’unione significata dai titoli di Sposo e sposa! Ma anche qual è la sua fecondità! Questo è il terzo bene che dobbiamo considerare in essa. Innalziamo le nostre menti e i nostri cuori al di sopra dei pensieri volgari, e non lasciamo che nulla di vile o terreno entri nella contemplazione dei frutti di questa unione divina. L’anima, sposa del Verbo, diventa madre, e la posterità che la tenerezza dello Sposo le dà attraverso il suo Spirito, sono i meriti nel tempo e la gloria nell’eternità. Io lo so, che anche per questo misterioso parto, la pena e la sentenza pronunciata contro la prima donna, “Tu partorirai nel dolore“, ha la sua controparte nell’ordine dello spirito; ed è per questo che ogni opera santa che è un merito è allo stesso tempo soddisfazione per il peccato. – Ma anche che le consolazioni che seguono questa generazione di opere buone superano la gioia che fa tremare le madri secondo natura, « al pensiero che un uomo sia venuto nel mondo » (Gv. XVI, 20-21). D’ordinario i figli non si aggiungono numerosi al focolare senza qualche danno per la madre: talvolta c’è il pericolo di morte; la salute può avere delle menomazioni; oserei dire che certi fiori di bellezza fisica, questo tesoro che le donne vanitose stimano al di sopra delle glorie della maternità, possono appassire nel duro lavoro di modellare gli uomini. Non c’è nulla di simile da temere nella maternità spirituale. Più feconda è la sposa e più numerose sono le nascite, più vigorosa diventa l’anima, più viva e più radiosa è la sua bellezza. Qui non ci sono limiti alla fecondità. Infatti, tutto ciò che può contribuire non solo a prolungarla ma ad esaltarla, cresce in proporzione ai frutti che ha prodotto: l’amore reciproco, la forza, lo splendore della giovinezza, il desiderio; e, come conseguenza naturale, i frutti stessi sono tanto più belli quanto maggiore è il numero di quelli che li hanno preceduti. – Ma per un’anima completamente posseduta dall’amore del suo Dio, i meriti personali, per quanto grandi possano essere, non basterebbero. Essa ama, adora; nell’ardore del suo zelo, brucia per acquisire per l’amato nuovi figli che lo adorino e lo amino con essa. Né il dolore, né la fatica le costano quando si tratta di farlo conoscere e di conquistare cuori per Lui. Dove sono i Santi che, contenti di essere Santi per se stessi, non abbiano lavorato, secondo la misura e l’estensione delle loro forze, per propagare il regno di Dio sulle anime? È il privilegio incomunicabile delle spose di Cristo di cercare delle compagne, tanto più felici e orgogliose quanto possano portarne di più numerose, di più belle e meglio adornate all’unico Sposo, il Re Gesù (Psalm., XLIV, 14, seg.).
5. – Per coronare queste considerazioni su uno dei titoli più cari alle anime particolarmente devote a Gesù Cristo Nostro Signore, mostriamo, in poche parole, la catena di verità sviluppata in quest’ultimo libro. Per noi, il punto più importante è la paternità dell’adozione che ci consegna al Padre come suoi figli. Come figlio di Dio, posso dire al Figlio eterno: fratello mio. Se Gesù Cristo è ancora il Capo del corpo di cui sono membro, se vuole che la mia anima stia con Lui in una relazione sponsale, queste due verità, lungi dal contraddire la prima, la confermano. Perché lo fanno? Perché entrambi i titoli mi danno un nuovo diritto di guardare a Dio come mio Padre. – Come membro del Corpo mistico di cui Cristo è il capo, appartenendo così strettamente alla sua Persona che non mi separa da Lui nei suoi misteri, in Lui e attraverso di Lui partecipo alla sua filiazione divina. Non vi partecipo meno, grazie al titolo di sposa. Con l’alleanza nuziale, infatti, la sposa, che fino ad allora era stata estranea alla famiglia del marito, prende posto in essa; e non un posto qualsiasi, ma il posto di una figlia agli occhi del padre e della madre di colui che l’ha resa, sposandola, carne della sua carne e osso del suo osso,secondo l’espressione energica delle nostre Scritture. Ed è ciò che il Cantico esprime con adorabile semplicità quando mette questa apostrofe sulle labbra dello Sposo: « Tu hai ferito il mio cuore, sorella, mia sposa, soror mea sponsa (Cant., IV, 9-10). Sorella mia, perché diventando mia sposa, sei diventata la figlia di mio Padre; sorella mia anche perché per aspirare alla mia mano dovevi essere della mia stirpe: perché Cristo non si mescola. Ed è così che nei nostri misteri tutto è richiamato e tenuto insieme; così anche tutte le nostre relazioni con l’unico Figlio di Dio contribuiscono a far risplendere maggiormente la nostra filiazione adottiva.
(Su questo titolo di sposo e sposa, si leggerà con frutto Riccardo di San Vittore nel prologo della sua spiegazione del Cantico dei Cantici, e nel cap. 7 dove descrive i misteriosi colloqui dello Sposo con la sposa – P. L. t. 196 -; idem per Bossuet, Discorso sull’unione di Gesù Cristo con la sua sposa. – Si noti anche questo bel passaggio di San Bernardo: « Sponsa vero nos ipsi sumus, si non vobis videtur incredibile; et omnes simul una sponsa, et animæ singulorum quasi singulæ sponsæ… Multum haec sponsa sponso suo inferior est genere, inferior specie, inferior dignitate. Attamen propter Aethiopissam istam de longinquo Filius æterni Regis advenit, et, ut sibi desponsaret illam, etiam mori pro ea non timuit… Unde tibi, aninia humana, unde tibi hoc? Unde tibi tam inaestimabilis gloria ut ejus sponsa merearis esse in quem angeli ipsi desiderant prospicere? Unde tibi hoc ut ipse sit sponsus tuus cujus pulchritudinem sol et luna mirantur; ad cujus nutum omnia mutantur? Quid retribues Domino pro omnibus quæ retribuit tibi, ut sis socia mensæ, socia regni, socia denique thalami, ut introducat te Rex in cubiculum suum? Vide jam quibus brachiis vicariæ charitatis redamandus et amplectendus si qui tanti te aestimavit, imo qui tanti te fecit? De latere enim suo deformavit, quando propter te obdormivit in cruce, somnium mortis excepit. Propter te a Deo Patre exivit, et matrem Synagogam reliquit ut adhærens ei unus cum eo spiritus efficiaris. Et tu ergo..… desere carnales affectus, sæculares mores dedisce.., Jam enim desponsata es illi, jam nuptiarum prandium celebratur: nam cœna quidem in cœlo et in aula æterna paratur. » – Serm. 2 in dom. 1 post octav. Epiph., n. 2, sgg. P. L. t. 183, p. 158, sq.; cfr. serm.74 et 83 in Cantica).