XV DOMENICA DOPO PENTECOSTE. (2022)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Semidoppio. • Paramenti verdi.
La Lezione dell’Ufficio in questo giorno coincide spesso con quella del libro di Giobbe. Questo pio e ricco signore del paese di Hus, dapprima ripieno d’ogni bene, fu colpito dai mali più spaventosi che si possono quaggiù immaginare. « satana, dicono le Sacre Scritture, si presentò un giorno avanti a Dio e gli disse: Circuivi terram, ho percorsa tutta la terra e ho visto come hai protetto Giobbe, la sua casa, le sue ricchezze. Ma stendi la tua mano su di lui e tocca quello che possiede e vedrai come ti maledirà. Il Signore gli rispose: Va: tutto quello che lui possiede è in tuo potere, ma non togliergli la vita. E satana uscì dal cospetto del Signore. E ben presto Giobbe perdette il bestiame, i beni, la famiglia e fu colpito da satana con un’ulcera maligna dalla pianta dei piedi fino alla testa ». E Giobbe, disteso su un letamaio, fu costretto a togliere il putridume delle sue ulceri con un coccio » La Chiesa, pensando alla malizia di satana, ci fa domandare di essere sempre difesi contro gli assalti del demonio, contra diabolicos incursus (Segr.). satana ha l’impero della morte e, se Dio lo lasciasse fare, dicono i Padri, egli toglierebbe a tutti gli esseri la vita che posseggono. S. Paolo definisce una sua malattia: «L’angelo di satana che lo colpisce «. Ed il demonio, dice la S. Scrittura, riduce Giobbe a un punto tale, che il santo uomo può gridare: « Il soggiorno dei morti è diventato la mia dimora, io ho preparato il mio giaciglio nelle tenebre, e ho detto al marciume: tu sei mio padre; alla putredine: madre mia, sorella mia. (XVII, 14). Le mie carni si sono consumate come un vestito roso dai tarli, e le mie ossa si sono appiccicate alla mia pelle ». Così la Chiesa applica ai Defunti il disperato appello che Giobbe fece allora ai suoi amici: « Abbiate pietà di me almeno voi, o amici, poiché la mano del Signore m’ha colpito «. Ma il suo appello rimase senza risposta; Giobbe allora si rivolse verso Dio e gridò con una salda speranza: « Io so che il mio Redentore vive e ch’io risusciterò dalla terra l’ultimo giorno; che sarò di nuovo rivestito della mia pelle e nella mia carne rivedrò il mio Dio. Lo vedrò io stesso e i miei occhi lo contempleranno: questa speranza riposa nel mio cuore ». E Giobbe descrive la gioia con la quale ascolterà un giorno la voce di Dio che lo chiamerà a una vita nuova: « Tu mi chiamerai e io ti risponderò, tu stenderai la tua destra verso l’opera delle tue mani ». – « Il Signore, mettendo fine ai mali che lo travagliavano, gli rese il doppio di quello che possedeva prima e lo colmò di benedizioni più negli ultimi anni di vita che non nei primi ». — La Chiesa, raffigurata in Giobbe, domanda a Dio « di essere purificata, protetta, salvata e governata da Lui » (Oraz.). Col Salmo dell’Introito essa dice: « Rivolgi, o Signore il tuo occhio verso di me ed esaudiscimi, che io sono povera e mancante di tutto (Versetto 1°). Signore, abbi pietà di me, che ho gridato verso di te tutto il giorno. Vieni alla mia anima che io ho elevata fino a te (Versetto 4°). Io ti loderò, o Signore, poiché mi hai liberato dall’inferno più profondo (Versetto 13°)». Col Salmo dell’Offertorio essa aggiunge: « Io ho atteso il Signore con perseveranza, ed Egli infine si è volto verso di me, ha esaudita la mia preghiera e ha messo sulle mie labbra un cantico nuovo ». Questo cantico è quello delle anime cristiane risuscitate alla vita di grazia. « È bello, esse dicono, lodare il Signore e annunciare la sua grande misericordia » (Grad.). « Sì, davvero il Signore è il Dio onnipotente, il Gran Re che regna su tutta la terra » (All.). – L’Epistola di S. Paolo è intieramente consacrata alla vita soprannaturale che lo Spirito Santo dà o rende alle anime. « Se noi viviamo per lo Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito », cioè siamo umili, dolci, caritatevoli, verso quelli che cadono, ricordandoci che noi siamo deboli e che di fronte al supremo Giudice porteremo il fardello delle nostre colpe personali. Contraccambiamo generosamente con beni temporali (denaro, cibi, vesti) le persone che ci predicano la parola di Dio (divina parola che dà la vita) e non indugiamo, perché Dio non tollera che ci burliamo di Lui. Il raccolto sarà conforme alla natura della semenza gettata. Seminiamo opere piene di spirito soprannaturale e mieteremo la vita eterna. Non tralasciamo un istante di fare il bene. Evitiamo le opere della carne che sono la mancanza di carità, l’orgoglio, l’avarizia e la lussuria, poiché quelli che commettono peccati sono morti alla vita di grazia e non mieteranno che corruzione. Usciamo, dunque, dalla morte e viviamo come veri risuscitati. — Il Vangelo ci dà questo stesso insegnamento raccontandoci la risurrezione del figlio della vedova di Naim. Gesù, vedendo il dolore di questa madre, fu mosso a compassione: si accostò al feretro e toccando il morto disse: « Giovinetto, te lo comando, alzati! ». E subito il morto si levò e cominciò a parlare. E tutti glorificavano Iddio dicendo; « un grande profeta è apparso in mezzo a noi e Dio ha visitato il suo popolo ». Il Verbo facendosi carne si è accostato alle anime che giacevano nella morte del peccato, e, commosso dalle lacrime della Chiesa, nostra madre, le ha resuscitate alla vita della grazia. Poi, mediante l’Eucaristia ha posto nei corpi un germe di vita, affinché essi risuscitino nell’ultimo giorno (Com.). — Fa, o Signore, che il nostro corpo e la nostra anima siano interamente sottomessi alla influenza dell’Ostia divina, affinché l’effetto di questo sacramento domini sempre in noi (Postcom.). – Vivificati dallo Spirito Santo, solleviamo con sollecitudine quelli che sono morti alla vita della grazia, aiutiamo con le nostre sostanze quelli che con la parola della verità diffondono la vita dello Spirito, e promuovono sempre più in noi la vita soprannaturale che abbiamo ricevuta nel Battesimo.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.
Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Introitus
Ps LXXXV: 1; 2-3
Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.
[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]
Ps LXXXV: 4
Lætífica ánimam servi tui: quia ad te, Dómine, ánimam meam levávi.
[Allieta l’ànima del tuo servo: poiché a Te, o Signore, levo l’anima mia.]
Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.
[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]
Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio
Orémus.
Ecclésiam tuam, Dómine, miserátio continuáta mundet et múniat: et quia sine te non potest salva consístere; tuo semper múnere gubernétur.
[O Signore, la tua continua misericordia purífichi e fortífichi la tua Chiesa: e poiché non può essere salva senza di Te, sia sempre governata dalla tua grazia.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti s. Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal V: 25-26; VI: 1-10
Fratres: Si spíritu vívimus, spíritu et ambulémus. Non efficiámur inanis glóriæ cúpidi, ínvicem provocántes, ínvicem invidéntes. Fratres, et si præoccupátus fúerit homo in áliquo delícto, vos, qui spirituáles estis, hujúsmodi instrúite in spíritu lenitátis, consíderans teípsum, ne et tu tentéris. Alter alteríus ónera portáte, et sic adimplébitis legem Christi. Nam si quis exístimat se áliquid esse, cum nihil sit, ipse se sedúcit. Opus autem suum probet unusquísque, et sic in semetípso tantum glóriam habébit, et non in áltero. Unusquísque enim onus suum portábit. Commúnicet autem is, qui catechizátur verbo, ei, qui se catechízat, in ómnibus bonis. Nolíte erráre: Deus non irridétur. Quæ enim semináverit homo, hæc et metet. Quóniam qui séminat in carne sua, de carne et metet corruptiónem: qui autem séminat in spíritu, de spíritu metet vitam ætérnam. Bonum autem faciéntes, non deficiámus: témpore enim suo metémus, non deficiéntes. Ergo, dum tempus habémus, operémur bonum ad omnes, maxime autem ad domésticos fídei.
[Fratelli: Se viviamo di spirito, camminiamo secondo lo spirito. Non siamo avidi di vanagloria, provocandoci a vicenda, a vicenda invidiandoci. Fratelli, quand’anche uno venisse sorpreso in qualche fallo, voi che siete spirituali ammaestratelo con lo spirito di dolcezza, e bada a te stesso che tu pure non cada nella tentazione. Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo. Poiché, se alcuno crede di essere qualche cosa, e invece non è nulla, costui inganna sé stesso. Piuttosto ciascuno esamini le proprie opere, e allora avrà motivo di gloriarsi soltanto in se stesso, e non nel confronti con gli altri. Perché ciascuno porterà il proprio fardello. Chi poi viene istruito nella parola faccia parte di tutti i beni a chi lo istruisce. Non vogliate ingannarvi: Dio non si lascia schernire. Ciascuno mieterà quello che avrà seminato. Così, chi semina nella sua carne, dalla carne mieterà corruzione: chi, semina nello spirito, dallo spirito mieterà la vita eterna. Non stanchiamoci dunque dal fare il bene; poiché se non ci stanchiamo, a suo tempo mieteremo. Perciò mentre abbiamo tempo facciamo del bene a tutti, e in modo speciale a quelli che, per la fede, sono della nostra famiglia.]
CONOSCI TE STESSO
L’Epistola di quest’oggi è la continuazione di quella della domenica scorsa, nella quale si inculcava di vivere secondo lo spirito. Per vivere secondo lo spirito, prosegue l’Apostolo, bisogna fuggire la vanagloria e l’invidia. Si deve correggere chi sbaglia con spirito di dolcezza; tutti hanno a sopportarsi vicendevolmente. Persuasi del proprio nulla, devono esaminar spassionatamente le proprie azioni. Siamo, inoltre, generosi con chi ci istruisce nella fede. E conclude esortando di non stancarci di fare il bene, essendo la nostra vita il tempo della semina. Se in questa vita non ci stancheremo a seminare nello spirito, a suo tempo, mieteremo la vita eterna. – Accogliamo l’invito di S. Paolo, a esaminare le nostre opere.
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]
Graduale
Ps XCI: 2-3.
Bonum est confitéri Dómino: et psallere nómini tuo, Altíssime.
[È cosa buona lodare il Signore: inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]
V. Ad annuntiándum mane misericórdiam tuam, et veritátem tuam per noctemm.
[È bello proclamare al mattino la tua misericordia, e la tua fedeltà nella notte.].
Alleluja
Allelúja, allelúja Ps XCIV: 3 Quóniam Deus magnus Dóminus, et Rex magnus super omnem terram. Allelúja.
[Poiché il Signore è Dio potente e Re grande su tutta la terra. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc VII: 11-16
“In illo témpore: Ibat Jesus in civitátem, quæ vocátur Naim: et ibant cum eo discípuli ejus et turba copiósa. Cum autem appropinquáret portæ civitátis, ecce, defúnctus efferebátur fílius únicus matris suæ: et hæc vidua erat: et turba civitátis multa cum illa. Quam cum vidísset Dóminus, misericórdia motus super eam, dixit illi: Noli flere. Et accéssit et tétigit lóculum. – Hi autem, qui portábant, stetérunt. – Et ait: Adoléscens, tibi dico, surge. Et resédit, qui erat mórtuus, et coepit loqui. Et dedit illum matri suæ. Accépit autem omnes timor: et magnificábant Deum, dicéntes: Quia Prophéta magnus surréxit in nobis: et quia Deus visitávit plebem suam.
[“In quel tempo avvenne che Gesù andava a una città chiamata Naim: e andavan seco i suoi discepoli, e una gran turba di popolo. E quand’ei fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato fuori alla sepoltura un figliuolo unico di sua madre, e questa era vedova: e gran numero di persone della città l’accompagnavano. E vedutala il Signore, mosso di lei a compassione, le disse: Non piangere. E avvicinossi alla bara, e la toccò (e quelli che la portavano si fermarono). Ed egli disse: Giovinetto, dico a te, levati su; e il morto si alzò a sedere, e principiò a parlare. Ed egli lo rendette a sua madre. Ed entrò in tutti un gran timore; e glorificavano Dio, dicendo: Un profeta grande è apparso tra noi; e ha Dio visitato il suo popolo” (Luc. VII, 11-16).]
Omelia
(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano, 1957)
RESURREZIONE E VITA
È probabile che Gesù abbia risuscitato più morti; ma quelli ricordati dal Vangelo sono tre. Una figlioletta appena spirata, un giovane che già portavano alla sepoltura, un uomo morto da quattro giorni e sepolto: e cioè la figlia di Giairo capo della sinagoga, il figlio della vedova, Lazzaro di Betania. Parliamo oggi della seconda risurrezione, ossia del figlio della vedova di Naim. Accompagnato dai suoi discepoli, Gesù era giunto alle porte della città di Naim, quando s’imbatté in un funerale che ne usciva per avviarsi al cimitero. Sopra una barella, come era l’uso d’allora in quei luoghi, si portava un giovane a seppellire. Era l’unico figlio d’una vedova. Povera madre! Già triste per la vedovanza, ora perdeva anche l’unico conforto dei suoi giorni presenti e l’unica speranza di quelli a venire, e lo perdeva troppo prematuramente. Ella seguiva il feretro con un aspetto così distrutto dal dolore che Gesù non seppe resistere. Non richiesto, mosso soltanto dalla sua pietà, raggiunse quella madre e le disse: « Non piangere ». Tali parole in quelle circostanze, dette da qualsiasi altro sarebbero suonate come un incoraggiamento vano o come un invito fuor di proposito; ma non sulle labbra di Gesù. S’avviò alla bara e la fermò toccandola. Poi, in mezzo allo stupore muto della gente, comandò con la sicurezza di chi sa d’essere infallibilmente ubbidito: « Giovane, levati su! ». Il morto immediatamente si levò a sedere, e mentre la turba presa dall’entusiasmo magnificava il Signore, Gesù lo rese vivo a quella madre a cui aveva detto di non piangere. Questo fatto dimostra anzitutto che Gesù è Dio, potente come il Padre. Non soltanto comanda alla natura modificandola, alle malattie guarendole d’improvviso, ai demoni scacciandoli, alle volontà ribelli piegandole amorosamente alla sua grazia, ma comanda alla più ineluttabile e fatale delle cose umane: la morte. « Come il Padre risuscita i morti e rende ad essi la vita, così il Figliuolo rende la vita a quelli che vuole ». Questo fatto dimostra inoltre che Gesù è Dio Redentore. La morte è la più amara delle conseguenze del peccato; se Gesù ci libera dalla morte, è perché prima ci ha liberato dalla causa, cioè dal peccato. Dunque, Egli è il Redentore che ci redime dalla colpa e dalla pena. Allora veramente Egli può dire di sé quello che ha detto: « Io sono la resurrezione e la vita » (Giov., XI, 25). La resurrezione della carne. La vita dell’anima. -1. LA RISURREZIONE DELLA CARNE. Non dovevamo morire. Fu il demonio a travolgerci nella morte coll’indurci al peccato. « Stipendium peccati mors ». (Rom., VI, 23). Siccome il peccato non ebbe eterna vittoria su di noi, ma temporanea perché fummo redenti da Gesù, così la morte non avrà su di noi eterna vittoria ma temporanea, Risorgeremo! a) La risurrezione della carne è una verità di fede; è l’undicesimo articolo del Credo. Ci è rivelata da Gesù stesso: « Verrà l’ora in cui tutti i morti risorgeranno: quelli che han fatto bene per la risurrezione eterna; quelli che han fatto male per la maledizione eterna » (Giov., V, 28-29). Ci è garantita da tre miracoli di risurrezioni, e soprattutto dalla risurrezione stessa del Redentore. Quel Gesù che risuscitò da morte la bambina di Giairo, il figlio della vedova, Lazzaro di Betania, quel Gesù che risuscitò se stesso dopo tre giorni per non più morire, vivificherà anche i nostri corpi mortali e darà a loro l’immortalità. Non siamo forse nutriti dall’Eucaristia anche perché già fin d’ora nella nostra carne mortale sia deposto il germe divino di una carne immortale? « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, io lo risusciterò all’ultimo giorno » (Giov., VI, 55). b) La risurrezione conformerà i nostri corpi a quello di Gesù risorto. saranno chiari e splendidi come il sole (Mt., XIII, 43); saranno sottili che potrebbero penetrare nel Cenacolo a porte chiuse; saranno agili talmente da trasportarsi con la velocità del pensiero; saranno impassibili, immunizzati dalle malattie e dalla morte. Allora, finalmente, la parola di Gesù « noli flere » Si sarà verificata nella sua pienezza. Più nessuno piangerà. « Dio asciugherà per sempre dagli occhi nostri tutte le lagrime: non ci sarà più né lutto, né lamenti, né dolori » (Apoc., XXI, 4). c) La risurrezione ci fa comprendere la grande stima in cui dobbiamo tenere il nostro corpo, e il grande rispetto con cui lo dobbiamo trattare. Lavato dall’acqua battesimale, unto col sacro crisma, nobilitato dal contatto con l’Eucaristia, un giorno dovrà essere degno di onorare il Regno di Dio. Non è cosa che si possa usare secondo i capricci del piacere, ma deve essere conservato secondo le leggi di Dio. Conserviamolo puro perché possa albergare un’anima santa; liberiamolo con la mortificazione dai malvagi istinti di corruzione che il peccato vi ha immesso. – 2. LA VITA DELL’ANIMA. La risurrezione del figlio della vedova non ci parla appena della risurrezione della carne, ma anche di quella dello spirito. La morte, conseguenza del peccato, prima che nel corpo aveva fatto strage nell’anima. Con tre mali il peccato aveva rovinata l’anima. La rese colpevole di fronte alla Giustizia Divina, e nel medesimo tempo incapace di soddisfare da sola, poiché l’offesa era stata infinita. La spogliò della vita soprannaturale della grazia riducendola nelle proporzioni di nuda e debole creatura. Le chiuse il cielo per sempre, essendo quella la beata dimora riservata ai figli di Dio. Orbene Gesù Cristo, morendo in croce, con tre beni redense l’anima. Pagò per lei la Divina Giustizia, espiò per i suoi peccati. « Ecco che il mio sangue sarà sparso per molti in remissione dei peccati » (Mt., XXVI, 28). Le ridonò la vita della grazia che è la sua stessa vita di Figlio di Dio. « Io sono venuto — diceva — perché abbiate la vita e ne abbiate tanta ». (Giov., X, 10). Riaprì a loro le porte del cielo, i regni del suo Divin Padre, la casa della gioia immensa ed eterna. « Bisogna — diceva — che il Figlio dell’uomo sia sospeso sulla croce perché ogni uomo che crede in Lui abbia la vita eterna » (Giov., III, 14-15). S. Bernardo incomincia una sua predica con una parabola che ci rende evidenti questi benefici della redenzione. Eccola: « Mi trovavo coi miei amici sopra una piazza a divertirmi allegramente: e non sospettavo che intanto nel palazzo reale venisse emanata una condanna di morte contro di me. Il figlio del re appena l’apprese, subito depose la sua corona, i suoi abiti principeschi, e rivestito con un rozzo saio di penitenza, il capo sparso di cenere, uscì dalla reggia a piedi nudi, gemendo e piangendo perché il suo servo doveva essere condannato a morte. Come lo vidi in quella guisa compassionevole, gli chiesi che cosa ciò significasse, ed egli mi rispose ch’era deciso di morire al mio posto ». Fin qui S. Bernardo. Ma non era lui di certo il giovane dissipato intento a godere sulla piazza della vita: quel giovane era simbolo dell’umanità. L’umanità con cieca leggerezza s’è abbandonata ai peccati, privandosi della felicità eterna. Venne il Redentore, si rivestì della nostra miseria, espiò la nostra colpa, ci ridonò la vita, ci riaperse la reggia celeste. – Forse, nonostante la Redenzione, qualcuno di noi si ostina nel sonno della morte. Non ode Gesù che scuote la sua anima incadaverita; non ode la santa madre Chiesa che lo segue piangendo. Apri gli occhi e guarda: guarda in quale stato ti ha ridotto il peccato. Apri gli occhi e guarda, guarda sulla croce in quale stato s’è ridotto per te il tuo Dio Redentore, Sorgi ora dalle iniquità per risorgere un giorno gloriosamente. Sorgi adunque, dico a te, peccatore. « Tibi dico, surge ». — RICORDATI, UOMO… Questo racconto evangelico ci presenta due scene: una ordinaria e l’altra straordinaria. Straordinaria è la risurrezione di un morto; ed in questa vita, forse, il Signore a noi non farà grazia di vederla. Ordinaria invece è la cerimonia della sepoltura. Fermiamo la nostra considerazione su questa. Un funerale non è cosa rara; e chissà quante volte ci siamo imbattuti in un corteo funebre! Levato il berretto, fermati al margine della strada con tanti altri curiosi, abbiamo osservato sfilare le confraternite, abbiamo contato il numero dei preti, delle corone di fiori, delle bandiere e degli stendardi, abbiamo ammirato il lusso e tante altre cose. Così per noi, e per molti, il funerale è diventato uno spettacolo di curiosità, e lasciamo inascoltato il monito solenne che dal feretro ci viene: « Memento, homo… Ricordati, uomo! ». « Ch’io mi ricordi della morte?! me ne scampi il cielo. Ho gli interessi a cui pensare, ho una lite da vincere, ho la moglie, ho la famiglia, ho i divertimenti… e se mai questo melanconico pensiero saltasse in mente, son sempre all’erta per annegarlo in un bicchier di vino ». Eppure, la morte viene a lungo passo: è già vicina. « Ch’io mi ricordi della morte? ma ho vent’anni, ne ho trenta, ne ho appena quaranta… ». Non devi dire: io ho, ma: io non ho… non ho più questi vent’anni da vivere; questi trenta, questi quaranta non li ho più. La morte è vicina: e nessuno ci pensa. – Una nave faceva rotta per Tarsis. Sotto coperta portava un uomo che dormiva profondamente. Era il profeta Giona che dormiva, benché sull’anima gli stesse il peccato di una grossa disubbidienza al Signore. Sul mare, improvvisa come una vendetta, scoppiò la burrasca. Ulula il vento, rugge l’acqua, scricchia il fianco della nave: e Giona dorme. I marinai remano disperatamente, e ciascuno invoca il suo Dio e getta in mare ogni roba che pesa: e Giona dorme. Un mostro dal dorso enorme affiora, tra onda e onda, in giro alla nave spalancando le fauci ingorde, bramose delle prossime vittime; e Giona dorme. « Svegliati! Svegliati! — urlava il pilota dandogli riscossoni — Alzati e invoca il tuo Dio che voglia ricordarsi di noi, e non ci lasci sprofondare » (Giona, I, 1-6). Cristiani, ciascuno di noi non è un altro Giona? siamo sulla fragile nave della vita; da ogni parte ci stringono le malattie, le disgrazie, i pericoli: e noi dormiamo con forse sull’anima qualche peccato grave. Da un momento fondare nell’abisso dell’eternità: e noi dormiamo in mezzo alle nostre quotidiane faccende. Già intorno ci sta il mostro infernale, il demonio, con la sua fauce per ingoiare la nostra anima sventurata: e noi dormiamo in quella abitudine peccaminosa, in quella relazione illegittima, in quella trascuratezza d’ogni dovere cristiano. Svegliamoci, griderò io, ripetendo le parole del pilota. — Alziamoci e invochiamo il nostro Dio che ci scampi dalla morte improvvisa, che ci lasci il tempo di pensare frequentemente alla nostra fine, prima di scendere nella regione tenebrosa, avvolta dalla caligine di morte. Memento, homo… Ricordati, uomo che sei pellegrino, che sei cenere, che sei putredine. Sei pellegrino: non attaccarti alla terra. Sei cenere: non insuperbirti. Sei putredine: non cedere agli istinti della tua carne. – 1. … CHE SEI PELLEGRINO. Chi è pellegrino è di passaggio: La nostra vita è davvero un passaggio sulla terra: « ma breve come un sogno che all’alba del giorno eterno svanisce; ma inconsistente come un’ombra che non si lascia stringere dalle mani; ma veloce come un uccello che attraversa il cielo e scompare senza lasciarvi traccia; ma leggero come la polvere che il vento solleva un istante vorticosamente, e poi depone; ma delicato come la rugiada che ai primi raggi del sole svapora; ma caduco come il fior della rosa che dura poche ore e poi si sfoglia » (S. Greg. Naz., Or. X). Se così breve è il nostro passaggio sulla terra, non mette conto d’attaccare corpo e cuore alle cose di quaggiù. Se un viaggiatore, montato in treno, si mettesse affannosamente a pitturare il suo scompartimento, e vi spendesse le sue sostanze per adornarlo d’oggetti preziosi, e con tutta la passione del suo cuore lo vagheggiasse, voi vi persuadereste di essere davanti ad un pazzo. Ebbene il mondo è pieno di questi pazzi che tutta la vita e tutti gli affetti e tutti i sudori sprecano soltanto per le cose materiali, delle quali non potranno godere più di quello che un viaggiatore gode del suo scompartimento. Ancora pochi anni, pochi mesi, pochi giorni e poi la morte fischierà, e bisognerà lasciare il nostro treno, e scendere. Scendere, ma dove? All’eternità. « Io mi sono logorato per comprare quel terreno … » Va bene: ti sei logorato per tuo fratello che lo erediterà. « Io mi sono consumato giorno per giorno, e anche di notte, per quella casa » Va bene: ti sei consumato per i tuoi figli a cui l’abbandonerai. « Io mi sono strappato il boccone di bocca per mettere insieme quel danaro, per arrotondare la cifra sul libro di risparmio… ». Va bene: ti sei mortificato per ì tuoi eredi i quali si godranno le tue fatiche senza scrupoli e senza ringraziamenti. « E allora, di molt’anni di stenti che cosa mi resta? ». Il sepolcro. Et solum mihi superest sepulcrum. Di tanti possessi non è solo questo che rimane anche ad Alessandro Magno? Udite come di lui parla la Santa Scrittura: Possedeva la Grecia; e conquistò terra dei Persi, la terra dei Medi; e dopo si prese le fortezze di tutti i regni, le chiavi di tutte le città. E dopo si spinse fino all’estremo limite del mondo, s’impossessò delle ricchezze delle nazioni; l’universo ammutolì davanti a lui. E dopo… dopo il padrone dei re e dei popoli si pose in un letto e morì. Post hæc decidit in lectum… et mortuus est (I Macc. I, 1-8). Poveri noi! dopo aver comprato case e campi e robe, dove aver trascurati i precetti di Dio e della Chiesa per arricchire e guadagnare, dopo aver lavorato con ingiustizia e con frode, di festa e non di festa, cosa ci resterà da fare? metterci in un letto e morire. – 2. … CHE SEI CENERE. S. Efrem, spesse volte al tramonto andava tra le sepolture, a meditare, Triste e pensieroso s’aggirava di tumulo in tumulo, leggendo le iscrizioni e i titoli dei defunti: principi della città, magistrati della provincia, ricchi signori, sapienti ammirati dal mondo… Il santo, a volte, li chiamava ad alta voce per nome: nessuno più rispondeva. Dove sono quelle superbe figure di uomini, di donne, a cui tutti si assoggettavano? Quella lingua che non parlava se non dei propri meriti, se non dei difetti altrui, dov’è? dove sono quelle orecchie che non volevano sentire se non la propria lode? Tutto è diventato cenere. Ricordati, uomo superbo, che sei cenere! Allora S. Efrem ritornava nella sua casa più umile e più paziente. Perché mai Luigi Gonzaga ha gettato via gli abiti di raso e di velluto per indossare la saia del gesuita? Perché ha rifiutato la gloria del marchesato, l’onore di palazzi superbi, l’ubbidienza di molte popolazioni, per nascondersi in squallidi conventi ed applicarsi ai mestieri dei servi? Di questo fatto non vi saprete mai dare una soddisfacente spiegazione, se non osserverete quel cranio di morto che i pittori sogliono raffigurare accanto a lui. Luigi Gonzaga si è ricordato, e come! di essere cenere. Così non vi saprete mai spiegare perché S. Carlo Borromeo, ricco di famiglia, cardinale in giovane età, amato dal Papa suo zio, era diventato tanto umile, se non vi ricorderete che nel suo arcivescovado aveva fatto dipingere l’immagine della morte. Ogni volta che le passava davanti, S. Carlo le sorrideva come per dire: « Lo so, lo so che tra poco verrai a ridurmi in cenere ». Adesso potrete anche comprendere perché noi siamo superbi: in casa non vogliamo osservazioni, non comandi; per strada desideriamo che gli altri ci guardino; in compagnia ci annoiamo se altri non discorrono di noi; dappertutto vogliamo apparire più di quello che siamo; a tutti vogliamo imporre i nostri pareri. Senza riguardi offendiamo il prossimo e maltrattiamo i familiari; se alcuno poi offende noi non gli perdoniamo mai senza umiliarlo. Perché questa superbia in noi? Perché non ci ricordiamo di essere cenere. Ricordati, uomo… – 3. … CHE SEI PUTREDINE. ,C’è nella Storia Sacra un esempio terribile. Iezabel era donna corrotta e amante dei piaceri. Adorava il suo corpo, si cerchiava di nero gli occhi, si adornava senza modestia. Ebbene alla mattina era alla finestra, perfidamente lusingatrice… Non era ancor calato il sole ed alcuni uomini trovarono sotto a quella finestra il cadavere della disgraziata, orribilmente sconciato dai cani, con il cranio, i piedi, le mani staccate del tronco. Inorriditi quegli uomini fuggirono esclamando: « I cani han mangiato la carne di Iezabel, e il suo corpo è una putredine sulla faccia della terra » (IV Re, IX, 37). L’applicazione è chiara. Quella donna che oggi dissacra la bellezza del suo volto con artifizi, quella giovane che adora il suo corpo e si veste non come a una cristiana conviene, quel giovane e quell’uomo che schiavi della loro carne si abbandonano agli istinti più disonesti e brutali, dite, tra poco che saranno? Alla mattina profumati e azzimati come idoli, e alla sera, forse, marcia e vermi. Putredini dixi: pater meus mater mea et soror mea, vermibus (Giob., XVII, 14). Se ogni volta che gli occhi vogliono guardare, se ogni volta che il corpo vuol godere, noi pensassimo alla morte, oh quanti peccati di meno! Perdere l’anima, per accontentare questa carne che diverrà tra poco putredine e vermi, non è stoltezza? Da S. Filippo Neri si presenta, un giorno, un giovane dissoluto e già tanto corrotto. « Padre! — geme, mettendosi in ginocchio davanti all’amabile santo. — Padre, voglio convertirmi, ma non ci riesco. Le tentazioni sono più forti di me, non ci riesco ». S, Filippo, sollevandolo e abbracciandolo paternamente, gli dice: « Coraggio, tutti i giorni dirai la Salve Regina, e penserai alla morte: immaginerai il tuo corpo sotterra, i tuoi occhi putridi, la tua carne marcia, la tua bocca verminosa, e dirai: ecco per che cosa ho perduto il paradiso. » Accetta il giovane e parte: riesce a tenersi puro per una volta, per due, per sempre. Sembrerebbe incredibile, eppure fu così. – Or udite una parabola che raccontava, predicando, s. Antonio da Padova. Un uomo inseguito da una belva, cadde in un burrone. Per sua fortuna poté aggrapparsi a un arboscello che sporgeva dalla parete rocciosa: rimase così sospeso a quell’esile sostegno, senza speranza di risalire, con sotto i piedi l’abisso. Ed ecco due topi, l’uno bianco e l’altro nero, farsi intorno all’arboscello suo salvatore, e rosicchiargli la radice. Tra pochi istanti che sarebbe avvenuto dell’infelice? Eppure, lo credereste? dimentico del pericolo, era intento a succhiare alcune gocce di miele sparse sulle foglie del suo sostegno. Come quel disgraziato siamo tutti noi, Cristiani. Da un momento all’antro la vita nostra si può spezzare: l’abisso eterno è spalancato ai nostri piedi. Il topo bianco il giorno, il topo nero la notte, senza requie rodono l’arboscello della nostra esistenza e noi, dimentichi del supremo pericolo, badiamo soltanto a succhiare dalle cose di quaggiù, dalla gloria, dal piacere qualche stilla di godimento. Memento, homo… Ricordati uomo che sei pellegrino, che sei cenere, che sei putredine. — LA SANTA MADRE CHIESA PIANGE. Questa donna di Naim mi ricorda un’altra mistica donna che oggi piange dietro alle anime morte non di uno solo, ma di mille e mille suoi figli giovanetti: la santa madre Chiesa. Non è essa la sposa di Cristo vedovata per l’Ascensione di Lui al cielo? Tutti i giovani che hanno perso l’innocenza della vita, e l’amore alla preghiera e il desiderio della Comunione, non sono forse i suoi figliuoli morti? La gioventù non respira più nell’atmosfera cristiana, ma agonizza e muore nello spasimo di un’asma morale. V’è un attossicamento di anime, una lebbra di cuori, una tubercolosi spirituale, per ciò la Chiesa oggi piange. O Cristiani aprite una volta gli occhi e vedete la corruzione della nostra gioventù come dilaga; poi ricercatene qualche causa per opporvi rimedio. – 1. LA CORRUZIONE DEI GIOVANI. Un giorno che il Papa San Gregorio attraversava la piazza del mercato di Roma, vide un gruppo di giovani legati sopra un banco: bellissimi di forma, piacevoli di volto e tutti biondi di capelli. Erano schiavi ed aspettavano che qualcuno li comprasse. Il beato Gregorio passando vicino, domandò al mercante donde li avesse condotti. « Di Bretagna, — rispose quello — là, ove gli abitanti risplendono di simigliante bianchezza ». E ancora domandò: « Almeno sono essi Cristiani? » E il mercante rispose: « Non sono Cristiani, anzi sono involti negli orrori del paganesimo ». Allora S. Gregorio incominciò fortemente a sospirare in mezzo al mercato, e a piangere come un fanciullo, così dicendo: « Ohimè, dolente! che bellissimi giovani e che splendidi facce son venduti schiavi agli uomini pessimi e al demonio maligno ». Usciamo anche noi, e guardiamo con occhi cristiani su questa gran piazza di mercato che è il mondo: guardiamo la sorte della nostra gioventù. Sono fanciulli che a otto a dieci anni perdono di già la santa Messa nei giorni festivi; che di già non pregano più né mattina né sera. Sono giovani che non vengono mai alla dottrina cristiana, che non vogliono frequentare più l’oratorio, per divertirsi tutta la domenica e offendere il Signore. – I campi sportivi, i divertimenti; i balli rigurgitano di giovanetti: alla sera tornano a casa, ma il loro occhio non è limpido, ma la loro fronte non è più serena, ma la loro anima è una fiamma. Una fiamma d’impurità che li divora. Essi hanno visto, hanno udito, hanno imparato il male. E quando il demonio del vizio brutto entra in corpo a un nostro figliuolo lo rende muto. Subito ve ne accorgete, perché non prega più, non si confessa più come una volta, non apre più la sua bocca a ricevere il Pane degli Angeli. Allora è finita. E che cosa si può sperare ancora quando finanche le fanciulle hanno perso il senso del pudore istintivo nel cuor della donna? Voi le vedete in giro ad ogni ora, e sole: di giorno, di sera, di notte. Voi le sentite frivolmente ridere e scherzare per le strade; vestono una moda così immorale che forse non s’è vista mai, neppure al tempo dei pagani. E la gioventù ha l’anima bella. Un’anima splendente, che non vien di Bretagna come quei giovani che vide il beato Gregorio, ma viene da Dio e a Dio deve ritornare. Ma chi piange ora che sì belle anime cadono schiave di uomini pessimi e del demonio maligno? Il Papa più volte ha levato il suo grido d’allarme e contro alla moda e contro alla corruzione che dilaga. Il Papa dal Vaticano, come un giorno S. Gregorio sul mercato di Roma, sospira fortemente e piange sulla rovina della gioventù. – 2. QUALCHE CAUSA. « Oh i ragazzi adesso, non sono più come quelli di una volta! Nascono già con un istinto più perverso… » così dicono le mamme ed anche i papà. Può darsi: ma è proprio possibile che il Signore tutti i buoni figliuoli li abbia già fatti nascere, e per i nostri tempi, abbia riserbato soltanto i cattivi? « Adesso si respira un’aria diversa. Ai nostri tempi non c’erano tanti luoghi di divertimento, tanti sports: e siamo cresciuti più sani e più onesti ». Sì, questo è vero ma non basta a spiegar tutto. Io credo, — e scusate genitori se Ve lo dico, è per vostro bene — io credo che la vera colpa di tanto sfacelo morale ricada sui padri e sulle madri. Sapete perché i ragazzi di adesso non sono più come quelli di una volta? Perché anche igenitori d’adesso non sono più come quelli d’allora. Il figlio in mano vostra è come una cera e cresce come voi lo volete. Il grande vescovo di Costantinopoli S. Giovanni Crisostomo, quell’uomo meraviglioso che tanta orma di sé ha impresso sui secoli della storia, nacque nel 344, in una ricca e distinta famiglia. Il padre Secondo morì nel fior dell’età e lasciò vedova a vent’anni Antusa. A questa donna, ben degna dell’augusto nome di madre, si deve in gran parte la gloria del figlio. Per donarsi totalmente all’educazione del suo Giovanni, rifiutò un secondo matrimonio. Fu così fedele per ben due decenni ai suoi doveri di madre da strappare al pagano Libanio queste parole: « Che donne meravigliose ci sono tra i Cristiani! ». Or dove sono queste mamme? Che meraviglia allora che non ci siano più figli come Giovanni Crisostomo? Naturalmente non basta sorvegliare e avvisare i figli, sgridarli, castigarli: bisogna dar loro l’esempio. Perché i giovani non ragionano ancora e vivono di imitazione. Il piccolo Origene era un’anima ardente e pura. In quel tempo infieriva la persecuzione contro i Cristiani: lo sapeva il fanciullo, ma non aveva paura. Anzi agognava il martirio, per testimoniare col suggello della vita e del sangue a Cristo tutto il suo amore. Già in secreto aveva deciso di consegnarsi spontaneamente nelle mani dei carnefici. E sarebbe morto martire se l’astuzia della madre non fosse riuscita ad impedirglielo. La santa donna, che aveva intuito l’eroico disegno del suo figliuolo, ,prima che si svegliasse, nascose tutti i suoi abiti e l’obbligò a rimane a letto (EUSEBIO, Storia Eccl., VI, 2-5). Com’è possibile in un fanciullo tanto coraggio, tanta fede e questo entusiasmo fino alla morte? Com’è possibile? Suo padre gliene aveva dato l’esempio: il beato Leonida era morto martire. O genitori! i vostri figliuoli cresceranno secondo i vostri esempi. Li volete obbedienti? Cominciate voi a ubbidire a tutte le leggi di Dio. Li volete devoti, che frequentino i Sacramenti? Cominciate voi ad essere devoti e a frequentare i Sacramenti. Li volete puri, onesti, lavoratori? Cominciate voi ad essere puri, onesti, lavoratori. Infine vi raccomando: pregate per i vostri figliuoli, offrite qualche sacrificio per loro, fate per loro qualche elemosina. Perché noi ci affanniamo, ma quello che fa tutto è Dio. Una volta ho sentito una mamma che in un momento di stizza, fece questa imprecazione contro un suo bambino: « Che Dio ti faccia morire! ». No: non dite mai, non dite più questa parola. Bisogna pregar Dio per i vostri figliuoli ogni giorno, non perché li faccia morire, ma perché ce li preservi dal male, che è tanto nel mondo, che è orribile. Così pregava Gesù per i suoi Apostoli, che teneramente amava come figliuoli: « O Signore! non perché li tolga da questo mondo, ma perché li preservi dal male, io ti prego ». Non rogo ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo (Giov., XVII, 15). – O Gesù! che un giorno hai sentito fremere il tuo cuore davanti alla desolata donna di Naim piangente sul suo giovanetto figlio, oggi ti prenda compassione anche della santa madre Chiesa, che piange la rovina di tanti suoi figli giovanetti. Non permettere che pianga più oltre: consola il tuo Vicario. O Gesù! come un giorno alle porte di Naim, avvicinati oggi alle porte delle nostre città, alle porte dei nostri paesi, alle porte del cuore dei nostri figliuoli. Toccali tu. Liberali dalla morte del peccato. Grida anche loro la tua parola di vita: « Giovanetto, risorgi: son io che te lo comando ».
Offertorium
Orémus
Ps XXXIX: 2; 3; 4
Exspéctans exspectávi Dóminum, et respéxit me: et exaudívit deprecatiónem meam: et immísit in os meum cánticum novum, hymnum Deo nostro.
[Ebbi ferma fiducia nel Signore, il quale si volse verso di me e ascoltò il mio grido: e pose nella mia bocca un càntico nuovo, un inno al nostro Dio.]
Secreta
Tua nos, Dómine, sacramenta custodiant: et contra diabólicos semper tueántur incúrsus.
[I tuoi sacramenti, o Signore, ci custodiscano e ci difendano sempre dagli assalti del demonio.]
Præfatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]
Sanctus
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.
Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:
Pater noster,
qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.
Agnus Dei
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.
Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
Communio
Joann VI: 52
Panis, quem ego dédero, caro mea est pro sæculi vita.
[Il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo.]
Postcommunio
Orémus.
Mentes nostras et córpora possídeat, quǽsumus, Dómine, doni cœléstis operátio: ut non noster sensus in nobis, sed júgiter ejus prævéniat efféctus.
[L’azione di questo dono celeste dòmini, Te ne preghiamo, o Signore, le nostre menti e nostri corpi, affinché prevalga sempre in noi il suo effetto e non il nostro sentire.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)