LA GRAZIA E LA GLORIA (24)
Del R. P. J.-B. TERRIEN S.J.
I.
Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901
Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.
TOMO PRIMO
LIBRO V
LA FILIAZIONE ADOTTIVA CONSIDERATA NELLA SUA RELAZIONE CON CIASCUNA DELLE PERSONE DIVINE.
LA RELAZIONE CON IL PADRE E IL FIGLIO.
CAPITOLO II
La relazione dei figli adottivi con la seconda Persona. Il Figlio eterno, esemplare della nostra filiazione.
1. – Se siamo, per legittima appropriazione, figli adottivi del Padre, appartiene al Figlio essere l’esemplare e l’archetipo su cui siamo formati come figli di Dio. Non che non portiamo in noi l’immagine di tutta la Trinità, poiché è la Trinità che parla quando Dio dice in principio: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. Immagine e somiglianza non solo nell’ordine della natura, ma anche nell’ordine della grazia. Degli dei divinizzati devono avere in loro il carattere della divinità, comune alle tre Persone. Ma, quando guardo questi dei deificati sotto il loro titolo e nella loro qualità di figli di Dio, la legge di appropriazione esige che la ragione del prototipo e del primo modello sia la singolare prerogativa di Colui che è il Figlio per natura. Così, niente è più frequente nei nostri Libri santi e nei Padri che l’idea dell’esemplarità particolarmente affermata di questo Unico. « Quelli – dice San Paolo – che Egli ha conosciuto con la sua prescienza, li ha predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, affinché egli stesso fosse il primogenito tra molti fratelli » (Rom., VIII, 29). So che i Padri greci intendevano con il nome di immagine lo Spirito Santo; ma, come vedremo più avanti, ciò era per giungere per una via diversa alla stessa idea dei loro fratelli occidentali. (Cfr. S, Thom. 3 p:, q. 23, a.2, ad 3.). – Quando siamo generati, quando cresciamo nella vita divina, è Cristo, il Figlio di Dio, che si riproduce e cresce nelle nostre anime. « Figlioli miei, che io genero di nuovo fino a che il Cristo sia formato in voi » (Gal. IV, 19), scrive San Paolo ai fedeli della Galazia. È per questo che tutta l’opera della nostra perfezione spirituale, che inizia nel Battesimo con la nascita e che non si completa fino alla maturità dell’uomo perfetto, tende a rivestirci di Cristo. Se vogliamo che il Padre ci riconosca come suoi figli, assumiamo i tratti, i modi e, nel nostro piccolo, l’essere stesso del Figlio amato. – Voglio far sentire qui la voce eloquente di San Giovanni Crisostomo. Nel suo commento all’epistola ai Galati, egli è giunto alle parole: « Voi siete tutti figli di Dio mediante la fede in Gesù Cristo » (Gal. III, 26). « Per la fede – riprende il grande oratore – e non per la legge ». E poiché questa è una cosa grande e veramente ammirevole, l’Apostolo spiega il modo in cui essi diventano figli di Dio. «Tutti voi – egli dice – che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo » (Ibid. 27). Perché non dire: « Tutti voi che siete stati battezzati in Cristo siete nati da Dio »? Ecco, sembra, ciò che conveniva per dimostrare la loro filiazione divina. Ma egli preferisce esporla in termini di un’altezza veramente vertiginosa… In effetti, se Cristo è il Figlio di Dio, e voi vi siete rivestiti di Cristo, avendo il Figlio in voi ed essendo trasformati in Lui per somiglianza, siete in un certo senso usciti dalla vostra specie, e la sua parentela con il Padre è diventata vostra. « Non c’è più giudeo o gentile, schiavo o libero, maschio o femmina; non siete voi tutti che uno in Cristo Gesù. » – « Vedete l’anima insaziabile di questo Apostolo. Dopo aver detto: Voi tutti siete diventati figli di Dio per mezzo della fede, si fermerà lì? No. Egli cerca espressioni per affermare ancora più fortemente la nostra unione con Cristo. Quindi aggiunge: Vi siete rivestiti di Cristo; e questo non gli basta ancora: va ancora oltre l’unione. Voi siete tutti uno in Cristo, cioè avete tutti in voi una stessa forma, uno stesso tipo, la forma e il tipo di Cristo. Quali parole maggiormente capaci di incutere il rispetto e precipitare nello stupore? Colui che finora era un pagano, un giudeo, uno schiavo, questo stesso si avanza portando la forma e il tipo, non di un Angelo o di un Arcangelo, ma del Signore di tutte le cose: egli è la copia vivente di Cristo » (S. J. Chrysost. in ep. ad Gal, P. Gr., t. 61, p. 656). – Le stesse idee, con una sfumatura leggermente diversa, si trovano negli scritti di San Cirillo di Alessandria. Per la comprensione del santo Dottore è necessario sapere che dove il testo della Vulgata legge: « Io ti ho formato, tu sei il mio servo Israele » (Is, XLIV, 21), lui legge: « Io ti ho formato figlio mio ». Dopo aver descritto la formazione naturale dell’uomo e quella formazione superiore che dobbiamo alla scienza pratica delle leggi divine e allo splendore delle virtù, continua in questi termini: « Ognuno di noi è formato in Cristo, ad immagine di Cristo, per la partecipazione dello Spirito Santo. Infatti, il divino Paolo scrive ai Galati: Figlioli miei (e gli altri di cui abbiamo parlato prima). Ora è lo Spirito Santo che forma il Cristo in noi quando attraverso la santificazione e la giustizia ci conferisce una forma divina. Così il carattere della sostanza di Dio Padre risplende nelle nostre anime (Ebr. I, 3), attraverso lo Spirito la cui virtù santificante ci rifà su questo modello. Ecco perché il santissimo Paolo dice: Non conformatevi a questo mondo, ma riformatevi nella novità della vostra mente, per provare quanto sia buona, gradita e perfetta la volontà di Dio (Rom. XII, 2). I Giudei hanno un velo sul loro cuore, ma noi, guardando la gloria del Signore a viso scoperto, siamo trasformati nella stessa immagine, da chiarezza in chiarezza, come dallo Spirito del Signore (II Cor. III, 18). E così siamo formati in figli di Dio » (S. Gyril. Alex. In Is., L. IV. P. Gr., t. 70, p. 956). Ove si vede che se lo Spirito Santo è l’artigiano della nostra formazione, l’esemplare e l’archetipo su cui siamo formati, è il carattere della sostanza di Dio Padre, cioè suo Figlio. – Secondo questo testo e altri simili, mi rappresento il Figlio eterno di Dio che, volendo fare di noi la copia vivente della sua bellezza divina, trasmette la sua immagine allo Spirito Santo perché la riproduca nelle nostre anime. Per meglio dire, è lo Spirito Santo che mi appare come un artista onnipotente, che incide i suoi tratti nel mio cuore, e così mi rende simile al Figlio: poiché Egli è per sua essenza l’immagine naturale del Figlio. E Dio Padre, poiché vede allora risplendere sul volto della nostra anima i tratti divini del suo Figlio diletto, ci ama d’ora in poi come degli altri figli, e ci riempie di una gloria infinitamente superiore alla nostra condizione terrena (S. Cyril. d’Alex. Hom. Pasch. 10. P. Gr., t. 76, p 618.). Questo è un modo di concepire che è peculiare di molti dei Padri greci, e si fonda sull’interpretazione che essi hanno fatto delle parole dell’Apostolo: « Quelli che Egli ha conosciuto nella sua prescienza, li ha predestinati a diventare conformi all’immagine del Figlio suo (Rom. VIII, 29); poiché qui l’immagine è per loro lo Spirito Santo. Non che confondano le proprietà delle Persone. Come i latini, insegnano secondo l’Apostolo che appartiene solo alla seconda Persona di essere « lo splendore della gloria di Dio, la gloria della sua sostanza, lo specchio infinitamente puro della sua maestà » (Hebr., 1, 3; Sap., VII, 26,); ma, supposta questa dottrina, lo Spirito di verità non è meno l’immagine naturale del Figlio, cioè l’immagine del Figlio quanto alla natura, poiché la natura che ne riceve, è la natura propria del Figlio. Non avevo ragione di dire che questi medesimi Padri, anche se sembrano allontanarsi qui dai loro fratelli occidentali, arrivano con loro alla stessa conclusione?
2. – In accordo sulla conclusione dogmatica, essi lo sono anche sulle conseguenze morali. Siete stati costituititi figli a somiglianza del Figlio unigenito, e la sua filiazione naturale è la copia della vostra filiazione adottiva. Quindi il complemento atteso deve rispondere a queste origini. Pertanto, tutte le vostre azioni, il vostro pensiero, la vostra volontà deve essere modellata sul suo agire, sulla sua volontà e sul suo pensiero. Sbalorditi e come stupefatti al pensiero di una parentela così alta, e di un archetipo così sproporzionato alla nostra nullità, ci chiedevamo cosa fare per esserne degni, cosa fare per non esserne estromessi? E questo Figlio, primogenito del Padre, è venuto a noi; è diventato uomo come noi, uno di noi, con la nostra natura, la nostra carne, le nostre debolezze e i nostri mali; e ci ha detto: Io, il Figlio per natura, il Figlio infinitamente perfetto di un Padre infinitamente perfetto, sono diventato come uno di voi. Guardate e fate quello che vi ho dato nella mia umanità. Rivestiti di me come di una veste più adatta alla debolezza, più conforme alla tua misura (Rom. XIII, 14). Non ti chiedo di creare mondi, né di estendere i cieli, né di porre dei limiti al mare affinché non possa superarli nella sua massima furia (Prov. VIII, 27 e seguenti); queste sono opere di potenza che sono proprie di me come Dio. Ma io ho obbedito a mio Padre, ero povero, umile, mite di cuore, paziente fino all’eccesso; ma non rifuggivo da nessun sacrificio quando si trattava di amare gli uomini e il Padre mio del cielo. È così che l’esemplare divino parla al nostro cuore. È anche, in accordo con questi alti pensieri, che Gregorio di Nazianzo vuole che resistiamo al nemico delle nostre anime: « Se il diavolo vi attacca – dice questo Padre – se vi mostra, come ha fatto con Gesù Cristo, il fasto delle ricchezze e della grandezza per ottenere la vostra adorazione, disprezzatelo come un miserabile. Armati del segno della croce, rispondetegli: Anch’io sono l’immagine di Dio e l’orgoglio non mi ha fatto cadere dall’alto della gloria come ha fatto cadere te. Sono rivestito di Cristo; attraverso il Battesimo Cristo è diventato mia proprietà. Sta a te adorarmi, Tu me ipse adora (S. Gregor. Naz., orat. 40, n. 10. P. Gr., t: 36, p. 370).
3. – È importante per la comprensione di queste alte verità esprimere, con tutta la precisione possibile, come la filiazione adottiva differisca da quella naturale, anche se quest’ultima è l’archetipo della prima. Se ne differenzia perché il Padre comunica al Figlio per natura la sua stessa sostanza, in una perfetta identità di essere e perfezione, e noi la riceviamo solo nella sua somiglianza accidentale e per partecipazione. Essa se ne differenzia, perché è dell’essenza stessa del Padre produrre un Figlio che sia con Lui della stessa natura (Gv. 1,18), uguale e co-eterno al Padre; tanto che entrambi non sarebbero né Persone né Dio, se uno non fosse Padre e l’altro Figlio. La condizione dei figli adottivi è ben diversa; così come l’atto che li rende figli. Se si toglie l’adozione, Dio non è meno Dio, non meno perfetto, non meno Padre, e io non sono meno creatura, non meno uomo. – Si differenzia perché è per via d’intelligenza che il Padre genera naturalmente il suo Verbo, mentre il figlio d’adozione procede da Lui per libera scelta del suo amore. Essa se ne differenzia, perché è la filiazione naturale che è il principio della filiazione di grazia. Perciò i Padri, quando vogliono provare che Gesù Cristo, Nostro Signore, è veramente il Figlio di Dio per natura, il Figlio Dio di un Dio Padre, ce lo mostrano nelle Sacre Scritture come autore e consumatore della nostra adozione. Se ne differenzia, perché il termine di generazione naturale, essendo Dio, rimane in Dio, nel seno misterioso del Padre (Gv. I, 1, 18), mentre il termine di adozione, come tutta la creazione, è in quanto all’essere distinto e separato da Dio. Infine, se ne differenzia, perché la nascita del Figlio eterno di Dio precede nell’ordine, non dico di durata, ma di natura, la processione dello Spirito Santo; mentre la filiazione adottiva, anche se fosse al di sopra delle leggi del tempo, presupporrebbe comunque lo Spirito Santo, poiché il suo principio è l’amore.
4. – Addentriamoci ulteriormente in questa materia per comprendere meglio la sua portata dottrinale. Ora, ecco la questione che si pone davanti a noi. Abbiamo il diritto di dire che Gesù Cristo, considerato nelle perfezioni e negli atti della sua natura umana, è il prototipo e l’esemplare della nostra filiazione adottiva, o, che equivale alla stessa cosa, della nostra somiglianza soprannaturale con Dio? Qui il sì e il no sono ugualmente veri, a seconda del punto di vista che si considera. No, in primo luogo: perché la grazia, questa natura soprannaturale che è la forma dei figli adottivi, non ha che nella natura divina la sua sede originale, il suo primo principio e il suo perfetto esempio. No: perché la nostra figliolanza della grazia non può trovare il suo modello che nella figliolanza della natura, poiché Cristo non è in nessun senso il figlio adottivo del Padre. E tuttavia possiamo rispondere, sì, in un senso che, anche se meno rigoroso, non è meno indiscutibile. Il Figlio di Dio, considerato come uomo, è l’esemplare della nostra filiazione adottiva, se guardiamo il modo in cui l’abbiamo ricevuta. Questa è la bella dottrina che Sant’Agostino sviluppa magnificamente nei suoi libri contro il pelagianesimo. Egli dimostra che la grazia è grazia, cioè, non proviene né dal merito né dalle esigenze della natura. « Uno splendido esempio di predestinazione e di grazia – dice il grande dottore – è il Salvatore stesso, il mediatore di Dio e degli uomini, l’uomo Cristo Gesù. Dove sono infatti le opere, dove sono i meriti con cui la natura umana che è in Lui, ha pagato il beneficio che ha fatto dell’uomo un Dio? Rispondete, ve ne prego: questa natura, innalzata dal Verbo all’unità della sua Persona e divenuta la natura dell’unico Figlio di Dio, come ha meritato questo incomparabile onore? Quali atti l’hanno preparata a questa unione? Cosa ha fatto, cosa ha creduto, cosa ha chiesto per ottenere una dignità così ineffabile? Che essa appaia nel nostro Capo e nostra testa come la fonte stessa da cui la grazia fluisce a ciascuna delle sue membra, secondo la misura propria di ciascuna di esse. La grazia che, all’inizio della sua fede, fa di ogni uomo un Cristiano, è la grazia che, nel primo momento della sua esistenza, ha fatto di quest’uomo il Cristo (S. Aug., de Prædest. ss, c. 14, n. 30-31). Allo stesso ordine di idee è legata un’osservazione che ricorre frequentemente nei Padri e nei Dottori. Se il Figlio, considerato come Dio, procede eternamente dal Padre e nient’altro che dal Padre, lo stesso non vale per il mistero di grazia che ce lo ha dato come uomo; poiché è dallo Spirito Santo che è stato concepito nel grembo della Vergine immacolata. Così noi, figli adottivi di Dio, siamo generati alla vita divina dallo stesso Spirito: perché non è la natura che ci consente di essere figli, ma la libera e graziosa volontà di Dio, il suo amore. Perciò, poiché la grazia che risplende in Cristo Gesù è una luce che manifesta la nostra, Egli è in questo senso l’esemplare della nostra adozione. Negare questo, con il pretesto che il Dio-Uomo non è come noi, che in virtù di questa grazia, è un figlio di adozione, sarebbe dimenticare che la copia, per essere tale, non deve essere in tutto conforme al suo originale: basta che gli assomigli in qualche aspetto (Thom, p. 3, q. 24, a 3, in. corp. et ad 3.). Consideriamo di nuovo questa vita divina di cui la grazia è il principio in noi. Da dove viene? Dal seno di Dio, senza dubbio, la fonte della luce divina, di cui è solo un riflesso. Ma questa fonte divina si è riversata prima di tutto sull’anima di Cristo, Nostro Signore, con una pienezza incomparabile, ed è da questa pienezza che è fluita sulle nostre anime (Joan. I, 16). Così ci hanno predicato gli Apostoli. « Egli ci ha predestinati – dice San Paolo – all’adozione di figli per mezzo di Gesù Cristo, secondo il proposito della sua volontà, a lode e gloria della sua grazia, che ci ha donato nel suo amato Figlio, redenti come siamo, perdonati e restaurati in Cristo » (Efesini I, 5, ss.). Concludiamo, dunque, che se Cristo nella sua umanità è solo una copia in rapporto all’Archetipo Sovrano, è una causa esemplare rispetto a noi, subordinata senza dubbio, ma molto verace. – Causa esemplare, ho detto, non solo perché ci offre nella sua Persona il modello perfetto delle virtù che dobbiamo imitare per vivere come figli di Dio, ma anche perché tutti i nostri doni soprannaturali hanno come principio prossimo la sua grazia principale e il suo merito. Da questo punto di vista, che differenza tra Gesù Cristo Nostro Signore e i santi che ci vengono proposti come modelli! Quando S. Paolo scriveva ai fedeli di Corinto: « Io vi ho generato in Cristo Gesù attraverso il Vangelo. Vi prego dunque di essere miei imitatori, come io lo sono di Cristo » (I Cor. IV, 16), non era tanto di imitatori che cercava per se stesso quanto di Cristo, che viveva in lui. Se i Santi hanno diritto alla nostra imitazione, è perché portano in sé l’immagine dell’Uomo celeste, il nuovo Adamo (I Cor. XV, 49), e si offrono a noi come delle apparizioni del Salvatore tra gli uomini. Ognuno di loro riflette a suo modo un aspetto della perfezione ideale che è solo in Gesù Cristo nella sua totalità; ma la sua gloria è confessare che ciò che possiede di essa, lo ha da Lui. Modello, dunque, ma perché è prima di tutto una copia del grande Modello; un modello e non una causa esemplare, perché appartiene solo a Gesù Cristo essere allo stesso tempo l’ideale e la causa della santità.