DOMENICA XIII DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA XIII dopo PENTECOSTE (2022)

La Chiesa ci fa leggere in questo tempo nel Breviario il principio del libro dell’Ecclesiaste: « Vanità delle vanità, dice l’autore sacro, tutto è vanità. Si dimentica ciò che è passato, e le cose che debbono ancora venire non lasceranno ricordi presso quelli che verranno più tardi. Io ho vedute tutte le cose che avvengono sottoil sole, ed ecco che sono tutte vanità e afflizione dell’anima. Iperversi difficilmente si correggono e infinito è il numero degli insensati » (7° Nott.). « Dopo che Salomone poté contemplare la luce della vera sapienza, dice S. Giovanni Crisostomo, uscì in questa esclamazione sublime e degna dei cielo: « Vanità delle vanità, tutto è vanità! ». A vostra volta, se volete, potete rendere simile testimonianza. È vero che nei secoli passati, Salomone non era tenuto a una diligente ricerca della sapienza, poiché l’antica legge non considerava vanità il godimento dei beni superflui; tuttavia, malgrado questo stato di cose, si può vedere quanto siano vili e dispregevoli. Ma noi, chiamati a virtù più perfette, saliamo a cime più alte, ci esercitiamo in opere più difficili. Che dire di più se non che ci è stato comandato di regolare la nostra vita su virtù celesti, che non hanno nulla di materiale e che sono tutta intelligenza? » (2° Nott.). Queste virtù celesti sono per eccellenza, le tre virtù teologali: « fede, speranza, carità » che l’Orazione ci fa chiedere a Dio affinché noi « non amiamo se non quello che Egli ci comanda ». Ed è per questo motivo che la Chiesa fa leggere in questo giorno [‘Epistola di S. Paolo ai Corinti, che ha per oggetto la fede in Gesù Cristo, fede che agisce mediante la carità e che ci fa mettere, come già Abramo, la nostra speranza nel divino Salvatore. Infatti solo per questa fede operante e confidente, le anime coperte dalla lebbra del peccato vengono guarite come ci mostra il Vangelo. I dieci lebbrosi che rappresentano in qualche modo le trasgressioni fatte dagli uomini ai dieci comandamenti, scorgono il loro divino Medico e, ponendo subito in Lui ogni speranza:« Maestro, abbi pietà di noi! » gridano. La fede loro è operante, perché quando Cristo li mette alla prova dicendo: « Andate, mostratevi ai sacerdoti », essi vanno senza esitare e, andando, sono guariti. Ma questa guarigione è confermata da uno solo di quelli che tornò indietro per mostrare la sua riconoscenza a Gesù. « Quando uno di essi si vide guarito, tornò sui suoi passi, glorificando Dio ad alta voce e cadendo con la faccia a terra ai piedi di Gesù, lo ringraziò ». Gesù allora gli disse: « Va, la tua fede ti ha salvato ». Questo mostra che è la fede in Gesù che salva le anime. Ora se è la fede in Gesù che salva le anime, la Chiesa ha precisamente da Gesù la missione di far penetrare nelle anime questa fede mediante la predicazione e la lettura. Questo passo del Vangelo ci indica anche l’espulsione dei Giudei che sono stati ingrati verso Colui che era venuto per guarirli, mentre i Gentili gli sono stati fedeli. Dei dieci lebbrosi infatti nove erano Giudei e uno solo non lo era, ed è a questo solo — che era Samaritano, e tornò indietro a ringraziare il Salvatore — che Gesù dice: La tua fede t’ha salvato. Da ciò si vede non essere soltanto ai figli d’Abramo secondo il sangue che è stata fatta questa promessa, ma ancora a tutti coloro i quali sono suoi figli perché partecipi della sua fede in Gesù Cristo. Infatti, è per questa fede che la promessa di vita eterna fatta ad Abramo si estende a tutti i popoli. Così l’Orazione della III Profezia del Sabato Santo dice che « col Battesimo, Dio, moltiplicando i figli della promessa stabilisce Abramo, suo servo, padre di tutte le genti secondo la profezia ». « Fate, soggiunge la quarta Orazione, che tutti i popoli della terra diventino figli d’Abramo e partecipino della grandezza toccata in sorte al popolo d’Israele ». I Gentili ccupano dunque il posto dei Giudei. « I nove, commenta S. Agostino, gonfi d’orgoglio, credevano di umiliarsi col ringraziare; e non ringraziando sono stati riprovati e rigettati dall’unità che si trova nel numero dieci (vi erano dieci lebbrosi), mentre l’unico che ringrazia è approvato dall’unica Chiesa. — Così per il loro orgoglio, i Giudei perdettero il regno dei cieli dove regna la più grande unità; mentre il Samaritano, sottomettendosi al Re col suo ringraziamento, ha conservata l’unità del regno per la sua devozione piena di umiltà » (Mattutino). I Giudei entreranno in massa nel regno dei cieli alla fine del mondo, allorché crederanno in Gesù, ed è a ciò cui fa allusione l’Introito quando essi chiedono che la loro esclusione dalla Chiesa non sia irrevocabile: « Ricordati, o Signore, della tua alleanza, non abbandonare le anime dei poveri alla fine.  Perché, o Dio, ci hai rigettati? Perché la tua collera si è accesa contro le pecore del tuo ovile? ». E la Chiesa chiede a Dio « d’essere propizio al suo popolo, e, placato dal sacrificio che gli viene offerto, di perdonare la sua ingratitudine » (Secr.). Quanto ai Gentili, essi dicono a Gesù che ripongono in Lui tutta la loro speranza (Off.) perché si è fatto loro rifugio di generazione in generazione (All.) e li nutre del suo pane celeste, come fece per gli Ebrei nel deserto, allorché dette la manna che conteneva ogni sapore ed ogni dolcezza (Com.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXIII: 20; 19; 23
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le anime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Ps LXXIII: 1

Ut quid, Deus, reppulísti in finem: irátus est furor tuus super oves páscuæ tuæ?

[Perché, o Signore, ci respingi ancora? Perché arde la tua ira contro il tuo gregge?]

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le ànime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, da nobis fídei, spei et caritátis augméntum: et, ut mereámur asséqui quod promíttis, fac nos amáre quod prǽcipis.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità: e, affinché meritiamo di raggiungere ciò che prometti, fa che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti S. Pauli Apóstoli ad Gálatas.

[Gal. III: 16-22]

“Fratres: Abrahæ dictæ sunt promissiónes, et sémini ejus. Non dicit: Et semínibus, quasi in multis; sed quasi in uno: Et sémini tuo, qui est Christus. Hoc autem dico: testaméntum confirmátum a Deo, quæ post quadringéntos et trigínta annos facta est lex, non írritum facit ad evacuándam promissiónem. Nam si ex lege heréditas, jam non ex promissióne. Abrahæ autem per repromissiónem donávit Deus. Quid igitur lex? Propter transgressiónes pósita est, donec veníret semen, cui promíserat, ordináta per Angelos in manu mediatóris. Mediátor autem uníus non est: Deus autem unus est. Lex ergo advérsus promíssa Dei? Absit. Si enim data esset lex, quæ posset vivificáre, vere ex lege esset justítia. Sed conclúsit Scriptúra ómnia sub peccáto, ut promíssio ex fide Jesu Christi darétur credéntibus”.

[“Fratelli: Le promesse furono fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Non dice la scrittura: E ai suoi discendenti, come si trattasse di molti; ma come parlando di uno solo: E alla tua discendenza; e questa è Cristo. Ora, io ragiono così; un’alleanza convalidata da Dio non può, da una legge venuta quattrocento anni dopo, essere annullata, così da rendere vana la promessa. Poiché, se l’eredità viene dalla legge, non vien più dalla promessa. Ma Dio l’ha donata ad Abramo in virtù d’una promessa. Perché dunque la legge? È stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo degli Angeli per mano di un mediatore. Ora non si dà mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. Dunque la legge è contraria alle promesse di Dio? Niente affatto. Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, sì, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma la Scrittura ha racchiuso tutto sotto il peccato, affinché la promessa, mediante la fede in Gesù Cristo, fosse data ai credenti»”.

UNO SGUARDO AL CROCIFISSO

S. Paolo aveva insegnato ai Galati che la giustificazione non dipende dalla legge di Mosè, ma dalla fede in Gesù Cristo, morto per noi in croce. Ma Gesù Crocifisso. dipinto tanto vivamente dall’Apostolo ai Galati, era stato ben presto dimenticato da essi, lasciatisi affascinare da coloro che insegnavano dover noi attendere la nostra salvezza dalla legge. S. Paolo, rimproverata la loro stoltezza, nota come Gesù, morendo sulla croce, maledetta dalla legge, libera i Giudei dalla maledizione, e conferisce a tutti, Giudei e Gentili, che si uniscono nella fede in Gesù Cristo, lo Spirito promesso. Passa poi a far osservare come vediamo nell’epistola di quest’oggi, che la promessa dei beni celesti, fatta ad Abramo e alla sua discendenza cioè al Cristo, nel quale si sarebbero unite tutte le nazioni a formare un solo popolo, essendo incondizionata, fatta ad Abramo direttamente da Dio, e da Dio confermata, aveva tutto il carattere d’un patto irremissibile. Non poteva, quindi, venir indebolita o modificata dalla legge di Mosè venuta 430 anni dopo, con un contratto temporaneo. La legge, del resto, non escludeva la promessa, dal momento che essa non poteva giustificare e dare la vita, come fa la promessa. E neppure fu inutile; perché, facendo conoscere i numerosi doveri da compiere, senza porgere l’aiuto necessario, metteva l’uomo nella condizione di dover sperimentare tutta la propria debolezza e di sentir la necessità d’un Redentore; e di riconoscere, per conseguenza, che le celesti benedizioni non possono essere effetto della legge, ma della promessa, e che non si ottengono che con la fede in Gesù Cristo. Gesù Cristo, che morendo in croce, adempie le promesse fatte da Dio, sarà l’argomento di questa mattina. – Gesù Cristo Crocifisso, così presto dimenticato dai Galati, fermi la nostra attenzione.

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

Graduale

Ps LXXIII:20; 19; 22.

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum: et ánimas páuperum tuórum ne obliviscáris in finem.


[Signore, abbi riguardo al tuo patto: e non dimenticare per sempre le ànime dei tuoi poveri.]

Exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam: memor esto oppróbrii servórum tuórum. Allelúja, allelúja


[V. Sorgi, o Signore, e difendi la tua causa e ricordati dell’oltraggio a Te fatto. Allelúia, allelúia].

Alleluja

Ps LXXXIX: 1
Dómine, refúgium factus es nobis a generatióne et progénie. Allelúja.

[O Signore, Tu fosti il nostro rifugio in ogni età. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XVII: 11-19

In illo témpore: Dum iret Jesus in Jerúsalem, transíbat per médiam Samaríam et Galilaeam. Et cum ingrederétur quoddam castéllum, occurrérunt ei decem viri leprósi, qui stetérunt a longe; et levavérunt vocem dicéntes: Jesu præcéptor, miserére nostri. Quos ut vidit, dixit: Ite, osténdite vos sacerdótibus. Et factum est, dum irent, mundáti sunt. Unus autem ex illis, ut vidit quia mundátus est, regréssus est, cum magna voce magníficans Deum, et cecidit in fáciem ante pedes ejus, grátias agens: et hic erat Samaritánus. Respóndens autem Jesus, dixit: Nonne decem mundáti sunt? et novem ubi sunt? Non est invéntus, qui redíret et daret glóriam Deo, nisi hic alienígena. Et ait illi: Surge, vade; quia fides tua te salvum fecit.”  

[“In quel tempo andando Gesù in Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando por entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili, disse: Andate, fatevi vedere da’ sacerdoti. E nel mentre che andavano, restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio, ad alta voce: e si prostrò per terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci que’ che son mondati? E i nove dove Sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, salvo questo straniero. E a lui disse: Alzati, vattene, la tua fede ti ha salvato”]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

LA LEBBRA E I LEBBROSI

«Chiunque a giudizio del sacerdote è colpito dalla lebbra, venga espulso dagli abitati: con vesti senza cucitura, con nuda la testa, finisca la sua vita grama nella solitudine dei boschi e dei campi. Avverta di tenersi turata la bocca con la cocca del vestimento, perché l’alito impuro non oltrepassi la chiostra dei denti a contaminare l’aria che è per i sani. E se mai taluno, ignaro o incauto, starà avvicinandosi, lo arresti gridando da lungi il suo male: « Immondo! Immondo! » (Lev., XIII, 44). Or bene, avvenne che alle porte di un villaggio dieci lebbrosi videro passare il Figlio di Dio, e da lontano a gran voce lo chiamarono: « Gesù! Maestro! Misericordia anche di noi ». – In mezzo alla letizia dell’aria, della luce, del verde, Gesù scorse una massa di carne di un biancore orribile: addossati l’uno all’altro erano dieci lebbrosi. Qualcuno aveva i piedi gonfi e crepati, qualche altro alzava le braccia e le mani smozzicate dalle piaghe, e tutti erano ulcerosi, sformati, calvi, biancastri come la calce. Voi sapete quel che avvenne allora: come il Signore li abbia mandati dai sacerdoti, come nell’andare furono guariti, come uno solo su dieci sentì riconoscenza da tornare indietro; e costui era un samaritano. – Ora c’importa più che tutto notare come la lebbra dei corpi è un’espressiva immagine della lebbra delle anime: il peccato; e come il lebbroso corporale è una espressiva immagine del lebbroso: il peccatore. – 1. LA LEBBRA. Un mattino sereno, passeggiando sotto un arioso pergolato, il re di Francia discorreva col duca di Champagne. Diceva il re: « Qual è la malattia più atroce e schifosa da cui l’uomo può essere incolto? « Io dico la lebbra » rispose l’altro senza esitare neppure un attimo. «Ecco, son del vostro parere anch’io » soggiunse Luigi IX. E proseguì: « Duca se vi trovaste in tali contingenze da essere costretto a scegliere tra lebbra ed un peccato, che fareste voi? ». « Oh, sceglierei il peccato! » scattò a dire con un’incrinatura ironica nella voce. Re Luigi però aveva oscurato la fronte d’una nube di tristezza: « Sbaglio enorme il vostro », rispose alfine, e sospirava. « Sbaglio enorme, perché il peccato è una perfida lebbra che neppure cessa con la morte, ma perseguita di là ancora, sempre. Duca di Champagne, se mi amate, non v’incresca cambiar parere » (JOINVILLE, Histoire de St. Louis, c. 94). Che ve ne pare delle parole di S. Luigi IX re di Francia? Se avessimo la sua fede, se fossimo Cristiani integri e sinceri non dubiteremmo un istante a dargli ragione. Perché milioni di martiri sono corsi a morire nel fuoco, tra le belve, sotto il ferro? … per evitare il peccato. Perché migliaia d’anacoreti si sono flagellati ogni giorno nel deserto, tra la fame e la sete? Per evitare il peccato. Pessima lebbra è il peccato. a) Prima ancora che l’uomo fosse sulla terra, v’erano in cielo bellissimi angeli: uno di essi splendeva come il sole che nasce e tutti godevano gioie inenarrabili. Guardateli ora nel profondo inferno: non luce, ma tenebre li circonda, non gioie eterne, ma eterni tormenti, non ali ma catene, non cantici d’esultanza ma orribili bestemmie. Chi da Angeli li ha tramutati in demoni? Che malattia ha potuto deformarli così? la lebbra del peccato. « Per il peccato Dio non perdonò agli angeli, ma li precipitò nell’abisso e li consegnò alle catene dell’inferno per essere tormentati e riservati al giudizio » (II Petr., II, 4). b) Non sempre la terra fu una valle di lacrime. Da principio esisteva un giardino di delizie, ove nessuna stagione era intemperata, ove i fiori non cadevano e i frutti non cessavano, ove gli uccelli del cielo e gli animali del suolo, miti e graziosi, attendevano i cenni dell’uomo. E l’uomo e la donna, beati e immorituri, abitavano il giardino della delizia. Ma tutto cessa improvvisamente: la terra si fa ingrata e dura al lavoro, le malattie e la morte, le discordie e gli omicidi, affliggono i poveri mortali. Chi da paradiso felice ha trasformato la terra in spinosa valle di pianto? Che malattia ha reso noi così fragili e tristi da fortunati che eravamo? la lebbra del peccato! « Per il peccato, sia maledetta la terra del tuo lavoro, tra le fatiche le strapperai il nutrimento per tutti i giorni della tua vita, finché non ritornerai alla terra dalla quale fosti cavato: giacché polvere sei e in polvere ritornerai» (Gen., III, 19). c) Non solo in cielo, non solo in terra, ma ancora dentro di noi, gravissime sono le conseguenze del peccato. Dopo il peccato originale, si è incarnato il Verbo, la seconda Persona della Santissima Trinità, e ci ha redenti: ci ha rifatti figli adottivi di Dio. Ora attendete a questo pensiero importantissimo. Per poter essere adottati bisogna essere della medesima specie di colui che adotta: per poter essere adottati dagli uomini bisogna appartenere alla specie umana, giacché una bestia non potrà mai diventare figlio adottivo di nessun uomo. Ma noi pure non siamo della medesima specie di Dio, che anzi per natura siamo da Dio più lontani di quello che l’animale è lontano dall’uomo. Come mai allora possiamo essere figli adottivi di Dio? Ecco la grande meraviglia: Dio nel santo Battesimo ci dona, per i meriti di Gesù Cristo, una misteriosa partecipazione della sua natura che ci divinizza: Efficiamini divinæ consortes naturæ (II Petr., I, 4). Questo preziosissimo regalo di Dio all’anima nostra si chiama « Grazia ». È la grazia che ci rende quasi di natura divina. È la grazia che ci rende, per ciò, figli adottivi di Dio, fratelli minori di Cristo. È la grazia che ci costituisce legittimi eredi dei beni eterni. La Grazia è la nostra ricchezza, è la nostra salute, è la nostra gioia, per sempre. Soltanto adesso potete intravvedere che razza di lebbra è il peccato, quando vi dico che ci priva della grazia. Via fugge inorridito lo Spirito Santo! Via fuggono gli Angeli del Signore! Decaduti e abietti restiamo; restiamo come un ramo secco sull’albero, come un braccio morto al corpo. La lebbra toglie i capelli e le ciglia, sforma il corpo con piaghe biancastre. Il peccato toglie ogni spirituale bellezza e sforma l’anima con macchie paurose. La lebbra puzza di lontano e obbliga gl’infelici colpiti a soffocare gli aliti fetenti sul lembo della veste. Il peccato pure manda triste odore: e S. Filippo Neri e Santa Caterina da Siena ebbero grazia di sentirlo materialmente accostandosi alle anime peccatrici. La lebbra gonfia i piedi e le mani, e fa cadere le unghie e le dita; il peccato impedisce di camminare sulla via dritta e di lavorare per la vita eterna. La lebbra rende fioca la voce e nebbiosa la pupilla: il peccato rende deboli le preghiere e oscura la vista della fede. Quando lungo i fiumi dell’esilio il profeta Geremia pensava alla bella, alla grande, alla regale Gerusalemme, rovesciata nella rovina miseranda, senza tempio, senza case, senza vie, fatta un rovaio e un covo di rettili e di gufi, piangeva sconsolatamente: Come siede solitaria/ la città piena di popolo!/ È diventata come vedova la Signora delle genti; / la sovrana delle province fu sottoposta al tributo. (Lam., I). Ecco, sopra un’anima caduta in peccato, il profeta può ripetere con verità la sua lamentazione dolorosa. – 2. I LEBBROSI. Pensando a queste cose, affiora nella coscienza una scottante domanda: – Io, non sono forse lebbroso? La piaga ulcerosa del peccato non travaglia da giorni, da mesi, da anni, la mia anima disgraziata? Maria, la sorella di Mosè, aveva cominciato a covare gelosia ed odio contro il fratello: sparlava di lui e incitava gli altri a ribellarsi ai suoi ordini. C’era da temere una sollevazione. (Num. XII). Ma ecco, subitamente bianca di lebbra come neve (Num. XII). Pensate se nelle vostre famiglie voi pure come Maria siete la cagione di discordie, di lunghi rancori; pensate se tra il vostro prossimo voi pure, come Maria disonoratei superiori religiosi e civili con calunnie, con ingiurie… Se fosse così anche l’anima vostra, essa già è infetta di lebbra. È ancora detto nella Santa Scrittura che Ozia, re di Guida, divenuto potente e superbo di cuore, volle entrare nel santuario a bruciare l’incenso che a nessuno era concesso di ardere se non ai ministri di Dio. E mentre teneva in mano il turibolo e minacciava con gran collera i sacerdoti inorriditi per il sacrilegio, gli si sviluppò la lebbra sulla fronte, là dinanzi ai leviti, nella casa del Signore, presso l’altare dei profumi. Ozia fu dunque lebbroso e, coperto dal male, abitò segregato da tutti, fino alla fine dei suoi giorni. (II Paral. XXVI). – Pensate se non anche voi, come quel re, avete mancato di rispetto alle cose sante, specialmente al Nome di Dio e della Vergine con la bestemmia: poiché a nessuno è concesso di pronunciarli se non in devozione e in preghiera. Se fosse così anche l’anima vostra è già infetta di lebbra. Di un altro lebbroso racconta la Storia Sacra: Giezi, il servo del profeta Eliseo. Costui, avendo visto che il suo padrone aveva guarito un ricco capitano di Siria dalla lebbra senza nulla accettare, nascostamente lo rincorse e si fece dare quei doni che Eliseo aveva rifiutati. A sera, tornando carico d’argento e di vesti, incontrò il profeta, che gli disse « Giezi, tu ha venduto l’anima tua ed hai ricevuto denaro e roba; ma anche la lebbra del capitano di Siria s’attaccherà a te e alla tua discendenza in perpetuo. Giezi si trovò da quel momento lebbroso, e bianco come la neve. Pensate, Cristiani, se non mai come Giezi, servo del profeta, avete venduto l’anima per argento e per roba, o per meno ancora. Magari per compiacenza di una creatura, per un’ora di passione, per un pensiero cattivo… Se così fosse, l’anima vostra è già infetta di lebbra. – Il grande legislatore degli Israeliti aveva promulgato una legge che cominciava così: « Sta bene attento a non contrarre il flagello della lebbra…» (Deut., XXIV, 8). Cristiano, chiunque tu sia, ascolta oggi in altri termini la legge antica: « Sta bene attento a non contrarre il morbo del peccato… ». È questo una lebbra che non inquina il corpo ma l’anima; non dagli uomini ti separa, ma dai santi e dagli Angeli; non fuori dell’abitato ti caccia, ma fuori dal paradiso a bruciare nel fuoco eterno. — LA CONFESSIONE. Gli uomini del mondo hanno una grande smania di piacere alle creature. Molta cura pongono nei profumi, nei capelli, nell’eleganza del loro vestire: vanno ricercando le stoffe più delicate, vanno seguendo le fogge più strane per adornare l’esteriore del loro corpo, che spesso divien lo scandalo del prossimo. Oh, se avessimo almeno altrettanta cura di piacere a Dio!… invece, no. E mentre sospirano dietro la bellezza materiale e sciocca dei corpi, trascurano la vera bellezza che è nell’anima. E mentre anche con sofferenza sanno usare tutti i soccorsi della vanità per rendersi avvenenti; non vogliono ricorrere al facile e divino espediente che rende bella e graziosa l’anima: la confessione. Questo è appunto il senso mistico del Vangelo di oggi. Nelle folte campagne di una borgata giudaica viveva un gruppo di dieci lebbrosi, tra cui uno almeno era samaritano. Ma il male aveva sopito tra loro ogni dissidio nazionale, curvandoli tutti sotto la medesima piaga, il medesimo destino. Con occhi terribilmente dilatati, e non protetti più dalle sopracciglia ch’erano cadute a pelo a pelo, con orecchie ingrossate e deformi, con dita smozzicate, e con tutto il corpo in tormento, andavano per quella terra dolorando, quando Gesù passò di là. Tutti, senza avvicinarsi, ché la gente li avrebbe lapidati, levarono a Lui un grido straziante: « Gesù! pietà di noi ». Gesù si volse a quelle carni martoriate, a cui d’umano non restava niente fuor che la voce crucciosa, e disse: « Andate, presentatevi ai sacerdoti ». Ite: ostendite vos sacerdotibus. Andando, un nuovo flusso di sangue ascese per le loro vene; ogni piaga stagnò; tessuti corrosi si rinnovarono subitamente: per virtù di miracolo furono mondati e tornarono belli. Nel mondo c’è pure un’altra lebbra che fa strage, non nei corpi, ma nelle anime: il peccato. Il peccato, infatti, ci priva d’ogni bellezza e ci rende cancrenosi e fetenti davanti a Dio. E come gli immondi di lebbra erano scacciati fuori dalle città e dai paesi con sassi e con ingiurie, così gli immondi di peccato sono scacciati via dal paradiso, via da Dio e dagli Angeli suoi, e solo il demonio hanno compagno. È strano però che gli uomini, che non sapevano sopportare nelle loro case la puzza della lebbra, sanno tenere nel loro cuore marcio il fetore del peccato. Eppure, è soprattutto per la lebbra spirituale che Gesù disse: ostendite vos sacerdotibus. Andate, aprite tutte le vostre miserie al Sacerdote nella confessione, poiché la confessione guarisce e preserva dalla lebbra del peccato. – 1. LA CONFESSIONE GUARISCE DAL PECCATO. Nelle vite dei Padri c’è un’espressiva leggenda che a tutti piaceva sentire, in quei primi tempi. In una certa città viveva un uomo peccatore. Quantunque i richiami al bene non gli fossero mancati, pure s’era pazzamente buttato nel vortice della colpa, suscitando intorno uno scandalo rumoroso. Un Vescovo santo, nel vederlo passare, corse al suo cammino e cominciò a piangere amarissimamente per ciò ch’egli, più sollecito a piacere al mondo che a Dio, non si curava della rovina della sua anima piena di peccati, come il corpo di un lebbroso è pieno di piaghe. Mentre il Vescovo pregava e piangeva sulla nuda terra, vide venire verso lo sciagurato una cornacchia nerissima. Il santo, levandosi, la prese e l’immerse nell’acqua: l’uccello subito si tramutò in candida colomba. Il giorno dopo il peccatore, che aveva pur visto il miracolo, venne ai piedi del Vescovo con le lacrime agli occhi; e colui che prima era nerissimo per tanto peccare, fu lavato dalla confessione e divenne candido agli occhi di Dio, come anima graziosissima. Ecco un simbolo della confessione che guarisce l’anima dalle nere brutture del peccato. Se gli uomini potessero, così facilmente, con la sola confessione guarire i malati del corpo, chi sa come sarebbero sempre affollati i confessionali!… Invece, siccome si tratta dell’anima, gli uomini preferiscono trattenere la lebbra in cuore, vivere nella maledizione di Dio e degli Angeli, ma non presentarsi al Sacerdote. Non è l’anima da più del corpo, infinitamente? « Non ho bisogno di confessarmi davanti a un uomo, forse più colpevole di me,  — si dice: so intendermela direttamente con Dio ». Allora rispondetemi: a chi tocca stabilire le condizioni del perdono? all’offeso o all’offensore? senza dubbio, all’offeso. Ma l’offeso è Dio. E quel Dio ha voluto guarire i lebbrosi nel corpo solo mandandoli ai sacerdoti, ha stabilito di guarire i lebbrosi nell’anima solo per il ministero dei suoi Sacerdoti. « È tanta — si dice — la vergogna che sento! » È appunto questa umiliazione che vi renderà meno indegni del perdono divino. —. Ma il mio peccato è troppo grande per aver perdono… ». Non bestemmiate, così come Caino, la misericordia del Signore. Se il vostro peccato è grande, la bontà di Dio è più grande ancora. – 2. LA CONFESSIONE PRESERVA DAL PECCARE. S’era presentato a S. Filippo Neri un giovane sfiduciato. Il santo lo raccolse tra le sue braccia, lo riscaldò col suo palpito di padre e le sue braccia, lo riscaldò col suo palpito di padre, e gli disse tante parole incoraggiandolo a cominciare una vita nuova. Il giovane, ad occhi chiusi, ascoltò fino alla fine, poi rispose: « È inutile, padre ». « Perché dici così? ». – « Perché non so resistere: ho già tentato altre volte, ed ho fatto sempre peggio. Adesso non voglio nemmeno formare un proposito; per non aver poi il rimorso di trasgredirlo ». S. Filippo gli sorrise, raggiando fuori da quei suoi occhi grandi la luce ed il calore della sua anima santa. « Non disperare. C’è un rimedio che fa per te, è facile. Prometti a Dio che ti forzerai con tutta l’energia a non cadere per un giorno, e torna domani. » A domani il giovane torna. « E così? » gli dice, sorridendo, S. Filippo. « E così, risponde il giovane, oggi non sono caduto. Solo un momento d’incertezza; ma fu un attimo. Pensai che dovessi tornare qui, stasera, a confessarmi e respinsi la tentazione. Ma io ho paura per domani, per dopo… ». Non temere : prega e torna domani e dopo. E quel giovane torna domani e dopo, e poi torna tutti gli otto giorni, sempre più lieto, con l’anima pura e preservata dai peccati. Davvero che la confessione è un freno meraviglioso a reprimere i nostri istinti e i cattivi desideri! Il solo pensiero di confessare il peccato, e confessarlo presto, ci rattiene spesse volte sull’orlo dell’abisso. Ma quando l’uomo ha scosso il giogo della confessione, e non si confessa che una volta sola all’anno (povera confessione pasquale!) che meraviglia se di volta in volta si ripetono i medesimi peccati, o si aumentano? Credetelo: non si può essere buoni Cristiani senza la confessione e frequente confessione! (Nell’impossibilità attuale, si ricorre all’esame di coscienza – generale e particolare quotidiano – e pluriquotidiano, alla contrizione perfetta del cuore, al proposito di non più peccare e fuggirne le occasioni, col desiderio implicito di confessarsi appena possibile con un Sacerdote provvisto di missione canonica conferita da un Vescovo con Giurisdizione una cum il Santo Padre Gregorio XVIII -. ndr, -). Essa è ciò che c’è, praticamente, di più utile nella Religione. E perché, allora, nessuna pratica religiosa è più trascurata, più calunniata, più odiata di questa? Perché c’è di mezzo il demonio. Ma voi volete dar ascolto al demonio? – Le vie, le piazze, il sagrato della cattedrale di Tours erano assai frequentati dalla gente disgraziata. Alcuni, rasenti il muro, ciechi; altri, seduti nella polvere, sciancati: donne con grucce e fanciulli cenciosi: tutti ostentavano la propria miseria e i propri stracci alla pietà e, più ancora, alla borsa dei cittadini. Talvolta, tutta questa umanità pezzente si spaventava improvvisamente, come se passasse una folata di vento a ruzzolarsi sul selciato: chi si nascondeva dietro le porte, chi imbucava un vicolo vicino, e, chi poteva, fuggiva lontano. « Che c’è? ». « Viene Martino, il Vescovo della città ». « E per questo? ». Ma è un santo: che fa miracoli…  « Oh fortuna! ». « Oh disgrazia! Se ci prende, ci risana: e allora più nessuno ci farà la carità; e saremo costretti a lavorare ». – Ci sono altre persone che fan miracoli nelle anime: e sono i Sacerdoti che guariscono dalla lebbra del peccato. E c’è una turba d’uomini che fugge via da loro che non li vuol vedere, che non si vuol confessare. La Messa alla festa, sì; qualche offerta a S. Antonio, pure; qualche lumino per la Madonna, anche. Ma la confessione, no, no! Perché? Perché se si confessano dovranno promettere di non peccare più; di restituire, di lasciare quella compagnia. Invece queste cose non piacciono a loro. — IL SACERDOTE. Ite: ostendite vos sacerdotibus. Gesù, che da solo aveva guarito il sordomuto, che da solo aveva dato la vista al cieco nato, che col solo comando della sua voce destò Lazzaro da morte, perché ha voluto che i dieci lebbrosi andassero dai sacerdoti? Fu per insegnarci il grande potere che dovevano avere i Sacerdoti della nuova legge, di cui quelli giudaici erano una figura. Gesù non doveva rimanere sempre sulla terra: eppure le anime nostre avrebbero sempre sentito bisogno di Lui, della sua parola viva che risuona alle nostre orecchie sensibili, del suo ministero. Ed allora Gesù istituì il Sacerdozio: e mandando i dieci lebbrosi ai sacerdoti di Gerusalemme per essere guariti, ci voleva insegnare come ogni potere sopra le anime nostre Egli avrebbe affidato ai suoi Sacerdoti. Ite: ostendite vos sacerdotibus. Il Sacerdote, dunque, è colui che visibilmente perpetua Cristo nei secoli; è un altro Cristo. Alter Christus. Allora avrà la medesima sorte: sarà anch’egli il segno della contraddizione; ed anch’egli come il Maestro avrà gioia ed umiliazione, dignità e disprezzo; molta gioia e molto dolore. – 1. DIGNITÀ DEL SACERDOTE. L’uomo più grande di tutto il Vecchio Testamento è, senza dubbio, Mosè. Giovanetto ancora pascolava la greggia sul monte, quando vide un roveto che ardeva e che gli affidò tutto il popolo da condurre. Sul Sinai il Signore gli darà le tavole della legge e quando scenderà dal monte due raggi di luce circonderanno la sua fronte. Ebbene: il Sacerdote è il Mosè del Nuovo Testamento, ma più grande, ma più divino: a lui Dio ha affidato la nuova Legge e il nuovo popolo, e attorno alla sua fronte brillano tre raggi di luce che rappresentano il triplice potere di cui è insignito: istruire, nutrire, guarire le anime. a) Istruire: quando Gesù risuscitò da morte apparve agli Apostoli e disse loro: « Andate in tutto il mondo e predicate la mia dottrina a tutte le genti ». Da quel giorno i Sacerdoti furono i maestri della terra, e la luce che, splendendo sul candelabro, rischiara tutti coloro che sono nella casa. Rischiara i piccoli: e i Sacerdoti, con pazienza ed umiltà, si consacrano ad innestare in quelle piccole anime il germoglio che li farà onesti cittadini e sinceri Cristiani. Rischiara i giovani: è il Sacerdote che negli oratorii e nei circoli insegna alla gioventù le prime battaglie della vita, è dal Sacerdote che imparano ad essere puri e forti. Rischiara i popoli: dal pulpito, ogni festa e più spesso, insegna la via che ognuno nella sua condizione deve percorrere se vuol raggiungere il paradiso. « Uno solo è il Maestro » sta scritto nel Vangelo, ed è Gesù Cristo. Ma Gesù Cristo insegna per la bocca de’ suoi Sacerdoti. Quindi: « Uno solo è il Maestro » possiamo ripetere noi, ed è il Sacerdote. b) Un altro potere, e più grande, fu dato ai Sacerdoti, quello di nutrire le anime. Quaggiù sulla terra noi siamo come il vecchio Elia: siamo perseguitati dal demonio e dalle nostre passioni, abbiamo tanto da patire in questa valle di lagrime; talvolta, come il vecchio Profeta ci sentiamo scoraggiare e dal labbro ci sfugge il grido di angoscia: « Signore, fammi morire che sono troppo stanco ». Ma ecco l’Angelo di Dio: è il Sacerdote che alle nostre anime stanche e sfinite dona un pane misterioso: la Santa Comunione. È il Sacerdote che ogni giorno sull’altare rinnova l’ultima cena di Gesù Cristo e sopra la bianca ostia ripete le parole della consacrazione e Dio alla sua voce discende suoi nostri altari e si fa cibo alle anime nostre. c) Infine al Sacerdote fu dato il potere di sanare le anime dai peccati: ed ogni giorno al confessionale si rinnova il miracolo dei dieci lebbrosi. « Ma chi può perdonare i peccati! » esclamavano un giorno i Giudei scandalizzati, « chi può perdonare i peccati se non Dio? ». Ed il Sacerdote non ha poteri divini? Egli è un altro Cristo: Alter Christus.  – 2. DOLORE DEL SACERDOTE. Se il Sacerdote è la dignità più grande sulla terra, Dio gli ha però riserbati i sacrifici più duri. Gesù ai due figliuoli di Zebedeo che volevano diventare suoi ministri, uno alla destra ed uno alla sinistra, domandò: «Potete voi bere il calice di dolori ch’io berrò? ». « Possiamo! ». Questa parola ogni Sacerdote la ripete presentandosi alla sacra ordinazione: Dominus pars hæreditatis meæ et calicis mei. Ed ecco che la tonsura, quasi corona di spine, gli segna la testa; e la stola quasi fune gli avvince il collo, e la pianeta quasi croce gli viene addossata; e così s’incammina all’altare come Cristo al Calvario. Sul Calvario Cristo si sacrificò per il popolo, e il Sacerdote deve sacrificare la sua vita per il popolo. Pro hominibus constituitur (Hebr., V, 1). Forse che gli uomini lo ricompensarono con amore? Troppo spesso il mondo perseguita il Sacerdote come un giorno ha perseguitato Gesù. Il discepolo non è da più del maestro. I primi preti tutti subirono il martirio: e chi fu messo in croce e chi fu gettato in pasto alle belve, e chi fu immerso nell’olio bollente, e a chi fu stroncata la testa. E poi, giù nei secoli, la storia del Sacerdozio fu una storia di dolore. Noi sappiamo che dalla Francia, non molti anni or sono, furono scacciati: ed essi lasciarono le loro opere d’amore e di bene ed esulando si volgevano a benedire e a pregare per la patria che li maltrattava. – Durante la persecuzione messicana (1927), un sacerdote fu martirizzato. Si chiamava Librando Arreola. « Perché m’imprigionate? ». « Perché sei un prete ». « È forse un delitto esserlo? ». Ma era l’odio contro Cristo che li inferociva sopra quella santa creatura. E nell’oscurità della prigione, con la scure, gli tagliarono via tutte e due le mani. E ghignando gli dissero: « Così non dirai più la Messa… ». Egli allora nello spasimo atroce alzò i moncherini grondanti, ed asperse i carnefici col suo sangue: « O Dio, perdona… ». E poiché si sentiva morire per il dissanguamento, raccolse le ultime forze, nell’agonia esclamò: « O America, ascoltami: io muoio, ma Dio non muore.. ». – Un uomo, abbandonato a tutti i vizi e tormentato dal demonio, avendo sentito che S. Domenico era in Bologna, corse a vederlo, ascoltò la sua Messa, e poi si presentò a lui per baciargli la mano. Appena diede il bacio, ne sentì un tal profumo di paradiso, quale mai aveva gustato in vita sua fino allora. Meravigliosamente si spense in lui il fuoco della lussuria, e si convertì a una vita cristiana. Ite: ostendite vos sacerdotibus. O Cristiani, quando le tentazioni vi sopraffanno, quando il demonio tormenta nei peccati l’anima vostra, presentatevi anche al Sacerdote per ascoltare la S. Messa o meglio per confessarvi. Anche voi come quell’uomo di Bologna sentirete un profumo di paradiso, anche voi come i dieci lebbrosi sarete mondati.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:15-16
In te sperávi, Dómine; dixi: Tu es Deus meus, in mánibus tuis témpora mea.

[O Signore, in Te confido; dico: Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono le mie sorti.]

Secreta

Popitiáre, Dómine, pópulo tuo, propitiáre munéribus: ut, hac oblatióne placátus, et indulgéntiam nobis tríbuas et postuláta concedas.

[Sii propizio, o Signore, al tuo popolo, sii propizio alle sue offerte, affinché, placato mediante queste oblazioni, ci conceda il tuo perdono e quanto Ti domandiamo.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Sap XVI: 20
Panem de cælo dedísti nobis, Dómine, habéntem omne delectaméntum et omnem sapórem suavitátis.

[Ci hai elargito il pane dal cielo, o Signore, che ha ogni delizia e ogni sapore di dolcezza.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, coeléstibus sacraméntis: ad redemptiónis ætérnæ, quǽsumus, proficiámus augméntum.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, ricevuti i celesti sacramenti, progrediamo nell’opera della nostra salvezza eterna.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (218)

LO SCUDO DELLA FEDE (218)

MEDITAZIONI AI POPOLI (VI)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. e libr. Sales. 1883

MEDITAZIONE VI.

Come ci prepariamo alla morte?

i denti anneriti, resta spalancata la bocca, e l’anima da quell’orrendo cadavere viene già trabalzata al tribunale di Dio!… Il Sacerdote nel tremendo istante stringendo nelle sue mani tremanti quelle mani convulse: Figliuol mio, grida, vi è ancora misericordia! io vi assolvo in nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo… Gesù, Gesù, salvate quest’anima! Gesù, Maria, Giuseppe, ricevete quest’anima nella sua agonia… Angeli, Santi, accorrete !!… Ed egli vomita l’anima in braccio al demonio!… Signori, disingannatevi! una vita non mai preparata alla morte va per lo più a terminare così.

Noi lavoriamo, lavoriamo per raccogliere un po’ di beni di terra; e alla morte tutti i beni raccolti ci cadon di mano per terra. Noi corriamo appresso a lusinghevoli vanità; e nell’atto di raggiungerle, vanno in dileguo. Noi ci stringiamo di tutto cuore alle creature che ci sono care; e quando crediamo di amarle per sempre, ci si corrompono in seno. Noi travagliamo, travagliamo in tutti questi pochi anni di vita per ammucchiare un poco di polvere, che noi chiamiamo ricchezze; e la morte ci percuote, e ci fa cadere cadaveri sui mucchi di polvere, che abbiam raccolti! Ah che cosa è mai questa povera vita nostra? Un fiore che brilla di vivaci colori alla mattina: dice san Gregorio Nazianzeno, ed è appassito e morto la sera: una soffiata di vento, che passa rumoreggiando, e non è più; una nave che scivola a vapore sull’onde del tempo, e non lascia un segno del suo passaggio: è un lampo di luce, che gitta nella oscurità! Che è mai la vita anche dei grandi del mondo? Hai mai veduto il polverone che s’innalza dietro il carro, il quale corre sopra via d’estate? Guardalo da lungi: quando gli danno dentro i raggi del sole, ti par un monte d’argento; corrigli vicino: dov’è il monte d’argento?… Precipitò la polvere per terra! Signori, il tempo della vita è come un rapido torrente, che rompendo tra i sassi scorre appiè del trono di Dio, e porta via sul filone dei fiotti, come fuscellini a galla, le generazioni degli uomini, e le trabocca nell’abisso dell’eternità: e noi, come le bollicine di spuma restate per poco ad un fil d’erba attaccate, traballiamo un istante sul vortice dell’acqua veloce del tempo, che ci travasa tutti nell’oceano dell’eternità. Eternità, che sei tu mai? Se io domando alla ragione che cosa è l’eternità, la ragione mi risponde: ne ho un sentore, ma non l’intendo. Se lo domando alla filosofia, mi dà per risposta: l’ammetto, ma mi confonde! Se domando alla mia coscienza, che cosa è l’eternità, mi risponde: mi fa paura! Ma che cosa è mai dunque questa eternità in cui corro a buttarmi dentro?… Non mi resta che domandarlo alla Religione, la quale mi risponde con chiaro concetto: l’eternità è il paradiso, o l’inferno, che duran sempre! Lasciamo le baie, o signori, lasciamo gli scherzi di questo mondo di un’ora, e prepariamoci alla eternità, che troveremo alla morte tale, quale noi ce l’abbiamo preparata nel tempo della vita; poiché la morte rende l’eco della nostra vita. Provatevi a gridare là dove risponde l’eco, e la vostra voce istessa vi ritornerà ripercossa all’orecchio. Siete voi vissuti senza pensiero di Dio? Ahi! alla morte vi troverete abbandonato da Dio; e l’uomo abbandonato da Dio in morte è uom perduto in inferno. Cercate voi Gesù, frequentate i Sacramenti, per salvarvi in braccio a Lui? Morirete nel bacio di Gesù in pace ed entrerete nel gaudio del Signore, ch’è il paradiso! La vita adunque non è che una prova, una scuola per imparar a morir bene. Ecché? L’artigianello nella bottega dell’operaio al tirocinio lavora senza paga per anni, a fine di apprendere un povero mestiere da campar grama la vita: lo studente consuma il fior della gioventù nei difficili studi, per tornar dalle università laureato È in patria: e poi? poi in fine muoiono. Eh valeva di spendere tanto di vita, per vivere onorati così pochi anni? Ma era prudente cosa, mi risponderebbero tutti, il provvedersi da vivere in questi pochi anni. Bene sta. Ma non sarà prudente lo spendere questa breve ora del viver nostro, per prepararci ogni ben di Dio per tutta l’eternità? La scuola adunque della morte è la più ragionevole, la più utile delle scuole. Faremo perciò questa sera un po’ di scuola per imparare a morir bene. La faccia ogni mese chi vuol assicurarsi la vera sua fortuna, il paradiso. – Signori, noi moriam tutti. Lasciamo adunque i pregiudizi: una cosa è la più importante, ciò è trovarci alla morte preparati pel paradiso: e chi di noi non si prepara a morire con buone Confessioni, e coll’unirsi a Gesù Cristo nella vita cristiana, va per lo più con una cattiva morte a dannarsi all’inferno, laddove chi in vita cerca coi Sacramenti di unirsi a Gesù nel corso’ di una vita cristiana, riceve la corona della sua vita devota a Dio in una beata morte: ha il paradiso. Salvatore nostro Gesù, Voi che fino nelle ansie della vostra agonia consolaste il peccatore che vi domandava di aiutarlo a morire, tirateci Voi tra le vostre braccia per prepararci a spirare devotamente e nel vostro Costato. E Voi, o Madre santissima addolorata, che col cuore straziato assisteste nell’agonia il Divin vostro Figlio, deh! per questa tremenda angoscia vostra mostrateci fin d’ora a prepararci alla santa morte, cosicché nell’agonia i figli volino in braccio alla Madre in paradiso. Pregate adesso, e nell’ora della nostra morte: ora pro nobis nunc et in hora mortis nostræ. Noi non possiam lusingarci di non aver da morire; tuttavia pare che crediamo di allontanarne il pericolo col non pensarvi. La morte ci atterrisce il al solo immaginarla; e noi col non pensarvi ci bendiamo gli occhi e corriamo a perderci senza spavento. È terribile la morte del peccatore; ma si batte tranquillamente la strada che conduce a quel termine tremendo! Deh provvediamo a metterci in salvo dal più orribile di tutti i pericoli, dalla mala morte. Fra poco tempo, e quando non l’aspetteremo, verrà il momento in cui noi ci troveremo sul letto a tmorire. Vedremo che le visite degli amici si fanno più rade; i medici nel loro fare incerto ci lasceranno comprendere che non ne possono più niente; i congiunti intorno con una insolita tenerezza… ci faranno uno sforzato coraggio; ma noi leggeremo facilmente negli occhi dei nostri cari, che vanno nell’altra camera ad empire le mani di pianto sulla nostra disgrazia! Intorno a noi una morta calma, un cupo silenzio … Qualche amico più confidente ecco viene fino all’uscio della nostra stanza, fa capolino, e si tira indietro dicendo: che non vuol disturbarci; ma è perché ha paura di noi che siam tantosto cadaveri!… Una persona, per lo più devota, si fa appresso del letto e con una confidenza mai non usata ci dice, che dobbiamo farci coraggio, che si prega per noi, che staremo meglio, che si spera… ma che sarebbe bene… per la quiete della famiglia… per divozione… È che? — Ricevere i Sacramenti al letto! — Oh Dio! — dobbiam dunque morire? — Che terribile colpo, che rompe sull’istante tutti i nostri disegni!… Noi qui nel mondo siamo come il pulcino sull’aia che va razzolando per entro alla lolla, e se trova qualche granello, batte le aline, saltella vivace; quando ecco l’avvoltoio gl’irrompe addosso e stridendo lo porta via. Mentre noi siamo tutti affannati ad arraffare ricchezze tra la polvere della terra, ahi! come aquila, che rapida piomba, ci cade addosso la morte, ci artiglia, ci porta nell’eternità; e delle cose del mondo forse non ci restano che sole le nostre colpe. Finché la sanità è fiorente, della nostra coscienza non vediamo che la superficie: un lungo abito di peccati si guarda come un solo peccato; e delle nostre passioni ci salta agli occhi solo la più tiranna. Ma la moltitudine delle nostre colpe, da noi tutti i giorni incautamente ingrossata, sta come una turma di assassini in agguato, per assalirci nel terrore di quella ultima confusione. Allora ah ci assalgono tristi fantasmi, immagini di tali persone e di tali fatti che… ah stanno come spettri, dinanzi agli occhi: e crudi rimorsi, come serpi mordono nel cuore; e più l’anima si addentra in quel tenebrore, i nemici ingrossano a furia, a maniera delle nubi nell’ora del temporale. Io non so, o fratelli, se voi non vi siete mai trovati in mezzo ad una solitaria campagna sul far della notte tra lo scoppiar di una tremenda burrasca. Allora buio il cielo, e dal tetro orizzonte nubi biancastre scorrono basse basse ad investir la terra: il mar ribolle ruggendo, e sopra esso nell’aere scuro il bianco airone fa il largo giro, mette uno strido, e si tuffa nelle onde. Allora gli augelli cercano un cavo negli alberi dove nascondersi; le fiere del bosco escon di tana, fiutano in alto, sentono odor di tempesta, e si rintanano; e fin le piante par che abbassino i rami ad aspettarla. L’aere è negro negro, romba il tuono, guizzano lampi, che ah! fan vedere più spaventosa la tempesta sul capo. Allora cerchiamo un nascondiglio a riparo. Così il povero peccatore, quando la morte lo sorprende non preparato. In quella tempesta d’affetti, tra il rombar di rimorsi e le immagini di peccati, guizzano certi lampi di verità, che abbruciano l’anima: e succede orror di sepolcro, terror del giudizio, buia eternità, truce bagliore d’inferno!… Il peccatore meschino cerca rifugiarsi, con fremito convulso abbranca le lenzuola, e tremebondo in tutte le membra, dice rotto, che vuole andare a casa!… Gli astanti impauriti mormorano sommessamente: Poverino sta male di morte! – Ma egli si sforza di riaversi, e dice a se stesso: che non morirà. Si cerchi un altro medico. Viene a consulta il più dotto del luogo, il quale con quel suo gran fare lusinga a parole; e l’ammalato trangugia in tremito gli ordinati rimedii, quasi bevesse la vita. Così, mentre si sente morire, per un fil di speranza si attacca furiosamente alla vita che manca. Come l’uomo che barcollando dalla vetta del monte scivola sulla rupe che gli sfugge di sotto: cerca sorreggersi, e precipitando sì aggrappa agli sterpi, s’arraffa alle spine, ma gli sterpi e le spine gli scappan di mano; gira le braccia per attaccarsi, quando piomba giù a rovina; nello stesso modo il disgraziato si attacca più vivamente al mondo quando la mano di Dio dal mondo lo balza nell’eternità. Oh morte, amara morte, così mi separi dal mondo? Siccine separas, amara mors ? Ma conviene che egli si disponga a confessarsi. I parenti si consultano… E quale sarà il suo confessore? Si guardano in volto con peritosa incertezza, e la consorte sospira con un gemito! La buona tutti gli anni alla santa Pasqua lo scongiurava che adempisse al principale dovere del Cattolico, si riconciliasse con Dio nella Confessione: ed egli in risposta una truce bestemmia. Ma intanto la morte si appressa. Presto, un Confessore qualunque!… Signori, ho da scoprire una piaga?… Eh mi è più cara la vostra salvezza che non il nostro onore sacerdotale! Io parlerò di coloro che, guardando la Pasqua come un tributo ancora da pagarsi al rispetto umano, con maligna accortezza si scelgono per Confessore un povero Prete, la cui vita mondana non possa essere di molto rimprovero alla loro propria, che vogliono continuare in peccato. Fermano nell’angolo della sagrestia un malcapitato Sacerdote, fosse pure un uom di piazza, e: fammi da profeta tu: esto mihi propheta! Dicongli in loro linguaggio. Giacché pensano che non avrà tanto zelo inquieto da disturbarli nella loro vita oziosa. Scelgono insomma un condottiero cieco, che li meni nel proprio accecamento in perdizione! Si cæcus cæcum ducit, ambo in foveam cadunt. Quanto è terribile Dio nella sua vendetta! Il peccatore voleva un Confessore mondano in vita per continuare ad offenderlo: ed ora per colpire il peccatore coll’istessa arma, in pauroso castigo… lascia che il peccatore sopra morte s’abbia un Confessore mondano! Ahi quanto è poi arido lo spirito del mondo! non ha una consolazione da dare nell’ora della morte! In tutta fretta, con alcune tronche parole, il prete voluto l’ha già confessato e assolto; se ne sbriga in furia, e va, abbandonando l’infelice morente nel terribile impegno di morire senza essere ben preparato. – Può avvenire che qualche anima buona tenga modo che gli sia mandato al letto un Confessore santo. Allora l’uomo di Dio lo vorrebbe disporre colle industrie della carità, e: Mio signore, da quanto tempo si è confessato?… Ed egli a lui: è già tanto…; non mi ricordo. — Ma da quanto tempo in questo peccato?… — Sempre: è il mio debole. — Ma quanti anni in questa pratica cattiva?… — Eh tanti anni…; ne aveva bisogno. — Dio della misericordia!… Ma qui è necessaria una confessione generale! — Per formarsi alla meglio un giudizio, il Confessore esamina… interroga… Ahi! con una mente che vacilla, con una memoria che si confonde, con un cuor che si spegne, con una lingua già incadaverita come stenebrar quegli abissi? come schiarire quella confusione di orrori a fine di metter in calma quella coscienza?. Ancor cerca di penetrarvi; ma l’infermo si conturba, si fa rosso infuocato… Il Confessore si accorge che egli diventa tutto convulso!… L’ha da far morire di spavento?… Tanto è inutile:… non lo comprende più!… Alza la mano, e gli dice tremando: Io ti assolvo per quanto posso… — quasi a dirgli: Va, ché sarai più esattamente giudicato da Dio! — Grande Iddio! uscirà quest’anima in tal confusione: si sveglierà scagliata ai piedi del tremendo tribunale della vostra giustizia, senz’altro intervallo tra una vita di peccato e la severità del vostro giudizio, che il vaneggiamento di pochi dì di malattia in furore? Sì, la settimana passata diguazzava ubbriaco in tempo delle funzioni nella bettola, e girava la notte a peccato proprio in quest’ora; stanotte va al giudizio di Dio: tre giorni fa nella casa del peccato, ora ad essere giudicato da Dio: senza altro tempo in mezzo tra il peccato mortale e la severità del giudizio tremendo; si, senza altro intervallo che di tre giorni di vaneggiamenti e di frenesie in furore. – Ben consolatevi voi, o cari, i quali in questa missione comporrete a pace la vostra coscienza, e per l’avvenire confessandovi sovente, così avrete il conforto di trovarvi preparati al giudizio di Dio. Alla morte chiamerete al letto il Confessore vostro: egli verrà, e il Confessore sarà l’amico che non abbandona l’amico nell’ora della paura: sarà come il medico che viene a calmarvi gli spasimi dell’agonia, sarà come un padre tenero ad asciugarvene i freddi sudori. Il Confessore sarà per voi come un Angelo che viene dal cielo a versare il balsamo del Sangue di Gesù Cristo sulle piaghe del vostro cuore tanto lacerato in quell’istante; o più ancora il Confessore sarà un ambasciatore, un vero plenipotenziario mandatovi dal Signore a dirvi a suo nome: Confida, o figliuolo, i tuoi peccati ti sono rimessi; ti do la scritta del perdono: presentala al giudizio segnata dal Sangue di Gesù Cristo: confide, fili, remittuntur peccata tua….. in nomine Jesu Christi: Amen. Noi, buon (GesùRedentore, vi baciam nel vostro Costato, perchévoi, che avete provato le angosce dell’agonia, ci deste la Confessione per farci spirar consolati nel vostro Nome. Ma può avvenire che noi moriamo all’improvviso. Dio tremendo! Avviene pur troppo che il peccatore sia là colla creatura del peccato, e che essole cada morto sui piedi all’improvviso! Capita che nel furor di una perdita di giuoco uno squarci labocca ad una bestemmia, e muoia colla bestemmia strozzata in gola! Che un altro sia là sul letto dei piaceri addormentato; e la morte gli dia il colpo…oh e’ si svegli sepolto in mezzo ai demoni nel fuoco d’inferno! Deh, deh pensatevi sopra (gridava per terrore infuocato s. Leonardo da Porto Maurizio).questo pensiero vale una predica! Uno può essere in peccato mortale addormentato, sentire il colpo di morte, aprire gli occhi e trovarsi all’improvviso sepolto coi demoni nel fuoco d’inferno! Pensateci, vi replico atterrito col Santo, pensateci!…Di certo si muore all’improvviso! anzi si muore troppo frequentemente all’improvviso. Noi non sappiamo bene se siano o i perturbati elementi, o i nostri metodi di vita alla moderna; se siano le passioni di più esacerbate, ovvero, come speriamo, se Dio colpisca in misericordia i buoni per dare avviso ai malvagi. Egli è un fatto che le morti improvvise si van ripetendo in tutti i luoghi a universale terrore; e voi le contate pressoché ogni giorno. Nei passati tempi qualche volta accadeva una morte improvvisa; ma era come uno scoppio di un di quei globi roventi, che di rado cadono di cielo, e nella loro caduta fan sentire un gran rombo le cento miglia lontano. Così le rade morti improvvise spandevano il terrore in tutto un regno. Si raccontava nelle famiglie nostre: il tale in quella città è caduto morto all’improvviso: restavamo muti un istante, poi un bisbigliare tutti colla nostra madre la preghiera: A morte improvisa libera nos, Domine!…. Ora queste tremende morti si ripetono tutti i dì; e noi assuefatti le ascoltiamo con una indifferenza che fa spavento. Se facciamo il calcolo quanti ne muoiano ad ogni mille, il conto ci dà chedi noi ora qui in questa chiesa molti troppo dovrebbero morire all’improvviso. Eh che la morte giàci mira alla vita! ah che qualcuno cade forse colpito ora… Guai a me! guai a voi! All’intronar tutt’intorno di quei colpi di morti improvvise io trabalzo in mezzo di voi strillando, come fa la chioccia sull’aia quando in mezzo ai pulcini guarda inisbieco in alto lo sparviero, il quale va roteando alarghi giri; fa la svolta, e stendendo gli artigli e il rostro giù, si vibra a terra. Garrisce la povera gallina madre che ella è: arruffa le penne, sì dibatte dell’ali, trabalza atterrita, croccia, croccia; e chiama crocciando i pulcini a salvarsi sotto la vita sua!…. Ah… piomba il falco! la si dà morta per terra!… poi si rialza… Oh le manca un pulcino! Ascolta in aria, e sente che geme negli artigli al girifalco… Corre furiosa: batte coll’ala i pulcini sperduti, e caccia tutti in un buco a salvarsi. Anch’io, anch’io vedo in alto che va roteando la morte, che ci adocchia la fiera: poveri, noi, veggo che ci coglie !…… Là siamo salvi ancora!. ahi che il colpo mi ha ucciso qui al fianco un amico! di là sento urla!..,. mi ha portato via un figliuolo!…. li ci è colpito un parente!…. Ma io non ne posso più!…. Strido col cuor lacerato: Salvatevi, salvatevi tutti! Io voglio cacciarvi tutti a riparare sotto le grandi ali del perdono di Dio: voi cioè vi dovete mettere tutti in grazia di Dio, affinché non vi porti via la morte improvvisa. Ma, se saremo in grazia, non potrà forse colpirci la morte improvvisa? No certamente. Potrà ben venire la morte repentina: ma improvvisa no, perché  l’abbiam prevista, e ci siamo provveduti. — Che se vi coglierà in grazia di Dio la morte repentina allora sarà una sorpresa d’amico. Quando è già da molto tempo che un amico non ha l’altro amico veduto, ed ora lo travede tra gente in calca, gli va adagino alle spalle, gli passa la mano sugli occhi all’impensata. In questa sorpresa l’amico quasi impaurito: ma chi è? esclama: l’altro gli risponde con un bacio in fronte, bacio reso più caro da quel quasi timore della sorpresa. — Fratelli, saremo noi in grazia, noi… Oh…. che è mai?…. Mi si oscura la vista!….. Mi manca il cuore ….. ahi che muoio!… o Gesù… o Maria !… Che spavento è la morte!,.. No, non abbiam tempo di spaventarci; ché non è più la morte; vi è Gesù che mi abbraccia alla vita nel bacio del paradiso!….. Oh paradiso,.. oh paradiso… oh benedetta la predica che mi fece preparare alla morte improvvisa! Ma è da ricevere il Santissimo Sacramento. Questo è il Mistero della Fede: Mysterium fidei. State attenti. Il Signore tratto tratto si degna di suscitare la divozione, anzi la fede con miracoli; e non vi è santuario della Madonna che non ne conti la sua serie. Celebri sono quelli dî Rimini, della Salette, di Lourdes; e noi ne vedemmo a Taggia; e poi quanti operati sulle tombe dei Santi! Ora se gli empi, a dispetto di tutte le prove da soddisfare la critica più esigente, calunniano e sanno di calunniare i devoti, dicono che li inventano; noi domanderemo loro perché mai non se ne inventano altrettanti e maggiori, siccome fatti dal SS. Sacramento, il più caro oggetto della divozione di tutti? Increduli! Nol vel diremo noi: È perché il Sacramento é più specialmente il Mistero da esercitare la Fede: Mysterium fidei… Noi crediamo che vi è Gesù nel Sacramento colla fede, potenza che viene da Dio. Invano gli occhi, il gusto, le mani ci dicono che non è: noi crediamo a dispetto dei sensi, che vi è il Corpo ed il Sangue di Gesù. Invano l’eresia dei protestanti, madre infelice del razionalismo, dice che è un segno, una figura; noi, a dispetto dell’orgoglio e dell’ eresia; e delle pretensioni della ragione, crediamo, che vi è proprio il vero Corpo e il Sangue di Gesù. Invano l’umanità progredisce nelle sue scoperte; noi crediamo colla fede degli Apostoli di mille ottocento anni fa. Eh noi siamo l’umanità più dotta, più virtuosa: perché la Chiesa Cattolica colla serie de’ suoi grandi uomini e de’ suoi Santi rappresenta l’umanità più colta e più virtuosa, ed è la maggior potenza intellettuale e morale del mondo: e noi con tali dotti, che non indietreggiano mai per le difficoltà nella ricerca del vero, con uomini dalle virtù eroiche più sfolgoranti, noi, buon popolo, noi facciam con essi come un sol corpo di una mente e di un cuore solo; noi crediamo, e crediamo unicamente perché Gesù Cristo dice: Questo è il mio Corpo, è il mio Sangue: quasi non ci curando neppure di citare miracoli, avvegnaché ne abbiamo dei grandiosi, come quello di Orvieto, in cui l’Ostia consacrata mandò vivo Sangue delle piaghe divine; e quello di Torino, dove l’Ostia santissima uscendo dalla pisside rubata elevossi in aria e stette sollevata risplendente qual sole al cospetto della città, la quale le innalzò una chiesa, a monumento eterno. Noi crediamo colla fede di s. Luigi re, che chiamato a veder Gesù visibilmente apparso sull’altare nel Sacramento, rifiutò di andarvi, essendo troppo più sicuro di crederlo colla sola fede, che di crederlo per averlo veduto. Noi crediamo di tal fede da voler dare la vita per difendere la nostra credenza. E qui appare l’onnipotenza di Gesù Cristo, il quale assoggetta tutte le menti dei popoli e dei più dotti con questa sola parola: questo è il mio Corpo: questo è il mio Sangue. Ma vi ha una fede, ch’è fede così morta che a mala pena si distingue dalla vera infedeltà. Lo dobbiamo dire? Se si domandasse ad un tale, se crede in Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento, egli risponderebbe forse indegnato: sì che credo e ché non sono io protestante. Ma, se credete (gli vogliam dire) perché mai bisogna scongiurarvi per farvelo ricevere almeno alla santa Pasqua? Perché lo si lascia senza un pensiero al mondo nelle chiesuole in un tabernacoletto che … e in villano abbandono? E se credete, perché si porta in trionfo la vanità fino sugli occhi a Lui sull’altare? Questa è fede morta! – Ma per morire santamente è necessaria viva la fede cattolica. Racconterovvi un fatto. Sofia principessa di Germania favoriva i falsi vescovi protestanti che si radunavano a convegno nelle sue sale. Quei sedicenti vescovi (benché si sia dichiarato, che ciascun protestante, massime della plebe, può morire come sel crede, senza pigliarsi punto cura di aver un ministro che lo assista al trapasso), trattandosi di una principessa in punto di morte, furono un giorno al suo letto, ciascuno colla Bibbia alla mano: poiché questo è il principio dei protestanti di ogni setta, che la santa Scrittura basti a tutti i bisogni dell’anime, e che sia libero a tutti d’intendere la parola di Dio, come ciascuno vuole e come meglio gli piace. Là eglino stavano a confortarla sopra morte. Principessa, le dice un protestante Luterano, pregate, pregate, acciocché Dio vi mantenga la fede, la quale basta a salvarvi: così dice a me la santa Scrittura qui. E che pregare? dice un protestante Calvinista; la santa scrittura qui mi fa sicuro, che la fede avuta una volta non si perde più. — Ma, principessa, le dice un protestante fido a Lutero nella sua prima confessione, preparatevi a ricevere Gesù impanato: ché l’evangelo parla chiaro qui, esservi il Corpo di Gesù. — Oh no, non fate; sarebbe questa idolatria, prorompe un altro Luterano; poiché Lutero si è poi dichiarato nella seconda confessione, che questo é, vale quanto: significa il Corpo mio. — Principessa, le diceva un Luterano moderato: doletevi dei peccati, che vi saranno perdonati. — Che peccati? Noi non possiamo peccare, perché non abbiamo libero arbitrio, diceva sdegnato un Calvinista. — Sì che si può peccare, rispondevagli infuocato un Luterano dei più recisi; ma abbiate la fede, e peccate pur qui allegramente in agonia: purché crediate, fate quel che volete. — Insomma tutti si bisticciavano in quelle dispute, buttando l’un all’altro sugli occhi le parole lì della Bibbia; e mentre s’incalorivano essi, chi era nell’impegno di morire, era la principessa, la quale con gemito loro diceva: O monsignori! lasciatemi morire senza disputare! La meschinella in quelle angosce aveva bisogno di morire con fede viva e sicura, e solo nella fede cattolica può essere la fede viva e sicura. Anche Melantone, uno dei caporioni dei protestanti assisteva nella morte la madre che atterrita nell’ansietà del dubbio: Mio figlio, gli disse col solenne accento dell’anelito estremo: tu disputasti già tanto di religione:…. dimmi ora, dimmi! alla fine dei conti, qual è la religione migliore? quella del Papa, o questa nostra protestante? — Melantone non ebbe cuore di tradire la madre in quel tremendo momento, e risposele con un sospiro: « mamma, questa nostra protestante mi va più a genio; ma quella del Papa è più sicura: Hæc nostra plausibilior, illa securior! » Venite ora a vedere come un cattolico, protestante in pratica, muoia con fede morta. Il buon parroco si fa al letto del malato, che visse con una fede a suo modo; e con gentil garbo: « signore, gli dice, voi vi siete confessato ;…. posso portarvi ora il Santissimo Viatico? E il morente a lui: Che?… or qui adesso?… sono già troppo stanco! Faremo presto: riposerete meglio poi… Ma egli: Oh… voi altri preti subito importuni a disturbar un malato!… Ma, signore! (in questi poveri tempi ormai siamo ridotti a parlar così)! signore! dichiaratevi: credete, o non credete?… Se credete, ricevete presto Gesù:….. è una gran fortuna che Egli venga a quest’ora ad accompagnarvi all’eternità! che se non credete, dichiaratelo; che io mi ritiro a piangere su di voi, e vi lascio morire nella vostra infedeltà!… Colui allora: eh voi altri preti siete sempre arrabbiati!… portatemi quel che volete!… Così si prepara a riceverlo in morte, come qualche volta in vita faceva per convenienza. Il Sacerdote intanto porta il Santissimo. La buona gente (e quale? Quella del buon popolo fedele, che correva appresso a Gesù, non già gli Scribi e Farisei nel paese dei Giudei d’allora) or l’accompagna col sospiro della confidente pietà salmeggiando: Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam: « O Signore, usate della vostra grande misericordia: e vogliamo dire di cuore: veniteci ad aiutare in morte, benché noi vi abbiamo tanto lasciato in abbandono in vita. » Entra in camera il Sacerdote, portando sul petto, innanzi al morente, Gesù santissimo, nostra speranza, tesoro dei nostri cuori; e coll’accento della tenerezza: Ecco, esclama, ecco l’Agnello di Dio, di cui non siam degni; ma Egli è che toglie i peccati del mondo. Esterrefatto il morente, come in pauroso incanto (egli non s’immaginò mai di vedersi quella scena nella propria stanza, perché non fece mai, come noi, la preparazione alla buona morte,) resta come da fulmine percosso. Il Sacerdote vien sopra all’infermo, e gli dice pietosamente: Ricevi, o fratello, Gesù .che ti accompagni alla vita eterna: accipe, frater, Viaticum… qui te… perducat ad vitam æternam! — Il morente apre macchinalmentela bocca. Il sacerdote gli depone in essal’Augustissimo Mistero. Quegli lo trangugia comeun boccone di medicina amara; e tristo e cupo sinasconde il capo dentro le lenzuola. Il Sacerdotese ne va: lodate, dicendo col suo popolo, lodate il Signore, il quale si è qui con noi fermato per usarecosì grande misericordia: Laudate Dominum omnes gentes, quoniam confirmata est super nos misericordia eius. — Ma il morente resta un istanteda solo: e qui alla prova la sua fede! Hodunque ricevuto Dio? dice con se stesso… Ma, sesono tutte nenie dei preti… Ma voglio credere cheho ricevuto Gesù Cristo… Eh no: guarirò, ripetecon rabbia: e sì allora non sarò stupido io da lasciarmitormentar dai preti… Ma se muoio? Vorreicredere io… Che negro dubbio… Voler crederee non poter credere, deve essere un terribile battagliarein quell’ora di tremendo scoramento.Ecco perché noi v’invitiamo, vi supplichiamo;vorremmo tutti unirvi con Gesù Cristo nel Sacramentoqui or in vita, affinché abbiate a trovarviin seno a Lui confortati alla morte, come s. FilippoNeri. Il gran Santo, vedete, viveva tutto colcuore nel suo Gesù. Per lui trovarsi avanti all’altarevicino vicino, cuore a cuore con Gesù nel Sacramentoera un sovrabbondar di gaudio tutto celeste,era un paradiso. Quando veniva obbligato amalincuore di allontanarsene, questo Santo innamorato,in sul partire gli occhi, il cuore, tutta la personarivolgeva addietro, e tornava a sorridere all’Amorsuo Divino, e gli mandava tenerezza di baci sullesue Piaghe, e l’abbracciava nel petto nella Comunionespirituale, e si sommergeva nell’immensabontà del suo Dio. Poi — là via, me ne vado, (diceva in un gran sospiro), ma il mio cuore resta qui. Neh, mio Gesù, che terrete il cuor mio con voi, mio tesoro? — Ebbene, era egli in sul letticciuolo nello stremo dell’età consunto di forze, mezzo addormentato, o come morto; quando lo scuotono, dicendogli: Padre Filippo! svegliatevi: viene Gesù nel SS. Sacramento! E s. Filippo: Oh! il mio Gesù…..! il mio grande Amico Divino!…: pensava ben io che non mi avrebbe abbandonato… Mio Gesù! sognava appunto proprio di ricevervi ora… Ciò dicendo fa uno sforzo per balzare di letto e gettarsegli incontro: e riceve Gesù in tale estasi di gaudio, che con due occhi scintillanti di luce celeste si solleva in aria, quasi volesse col suo Gesù risorto volare in Paradiso anche col corpo prima di risorgere…: egli sentivasi in petto nel Sacramento il pegno della sua risurrezione! Deh miei cari figli, ascoltatemi. Io voglio tutto il bene vostro: noi viviamo insieme in Gesù Cristo tra le sue braccia, col Cuore suo che palpita in Divinità, e versa il Sangue nel nostro cuore: nell’ora paurosa della morte proveremo consolazioni divine. Corriamogli in braccio con orazioni giaculatorie: Gesù allora con tocchi spirituali ci farà provare godimenti di Paradiso. Tutti i di, nelle sante Messe alle quali assistiamo, giuriamogli sul suo Corpo di voler vivere insieme con Lui: ed Egli alla morte ci conforterà con tale sentimento della sua presenza, che noi in seno a lui sfideremo l’inferno. Accogliamo in petto nelle Comunioni Gesù, e noi vivremo in Gesù; e Gesù, palpitando nel nostro cuore, ci farà sentire come non siamo noi che viviamo, ma vive in noi Gesù. Così nella morte insieme con Gesù spirando, come egli vive nel Padre, noi voleremo in seno al Padre ad immergerci nella beatitudine di Dio. Pur sopra morte un cotal senso di paura anche verrà a noi…. E noi la diremo in Cuor a Gesù: Salvator mio! che tremendo passo è mai morire!… e Gesù a noi: ma la morte è un volare in Paradiso;… O Gesù, ma mi spaventa il giudizio! Ma se sono Io stesso che ti ho da giudicare. Voi, buon Gesù nostro? Voi, il nostro giudice, Voi, che tanto ci amate e cui pur tanto amiamo?… Eh noi ci abbandoniamo tra le braccia della vostra bontà: così spireremo l’anima in beata morte nel vostro costato. Voi intanto pigliatevi la seconda lezione per fare una tranquilla anzi beata morte nel bacio del Signore: è questa; bisogna vivere cristianamente in pratiche di divozione, frequentare i Sacramenti. La Madre Chiesa allora vi preparerà alla santa agonia. Ma bisogna morire: e avvegnaché si sia indurato nel male, si muore. Il buon parroco va per visitare il morente, ed osserva con ansietà alla famiglia, come pur troppo la malattia volga alla peggio; ed osserva che sarebbe dovere confortare il caro infermo coll’ultima grazia che ha in mano da disporre, ciò è il Sacramento dell’Olio Santo. Ah no, risponde vivamente la consorte: lo fareste dare nelle furie: aspettate quando starà peggio (e vuol dire: quando sì dibatterà ferocemente colla morte, che già lo avrà artigliato e lo strozzerà), allora vi chiameremo! Buon Dio! così non si può neppur tentare la prova dell’ultima misericordia, che in quel frangente pauroso viene tanto opportuna. – Il Salvatore nostro ben previde tutte le nostre paure, e col darci l’ultimo Sacramento volle dirci: Care vite di figliuoli miei, avete a morire: ma Io vi manderò la mia Chiesa, alla quale diedi in mano tutto il mio Sangue da spendere a vostra salvazione. Ella vi farà da madre in quell’estremo bisogno, in cui forse altri vi avranno abbandonato. Vi piglierà in grembo ella, vi chiamerà intorno i padri delle anime vostre (inducat presbiteros Ecclesiæ), che sono i Sacerdoti. Essi con amore avendo curato le anime vostre sanno che i peccati lasciano quasi sempre delle tracce, cui solo la virtù divina può cancellare affatto, dopo il perdono. Quindi vi porteranno nell’Estrema Unzione il balsamo del mio Sangue che salderà le cicatrici, vi ristorerà nella perfetta interezza per vivere alla vita eterna. Anzi, se sarà il ben dell’anima vostra, la virtù del mio Sangue vi guarirà anche del corpo (Noi supplichiamo i nostri lettori, predicatori, missionarii e parroci di diffondere la pratica di amministrare l’Estrema Unzione a buon tempo in sollievo degli infermi; e di cercar così modo di salvar loro la vita. L’Apostolo dice quando infirmatur, e non quando moritur. Con questa benedetta pratica, ove si proponesse questo Sacramento agl’infermi, non vi sarebbe pericolo di spaventarli, potendosi loro citar molti che girano pieni di vita, dopo d’aver ricevuto l’Olio Santo: anzi lo sospirerebbero come un rimedio pel corpo e per l’anima.). — Intanto il Sacerdote, ributtato lontano dall’empio, accorre a quell’infermo felice, che si è preparato con vita da buon Cattolico a morir santamente; e portando sul petto i santi Olii: Pace, dice, a questa casa, pace a coloro che abitano in essa. Mio buon fratello, Gesù qui vi manda un rimedio che vi ha preparato col suo Sangue, l’Olio Santo dico, che spero vi guarirà per nostra fortuna, se è bene per voi. Così avete tempo di abbandonarvi tranquillo a far la volontà del Signore, il quale vuole tutto il nostro bene. Al tutto vi toglierà dall’anima ogni resto di umana miseria, affinché, se il Signore vi volesse nella eternità, possiate volare all’amplesso del Padre in cielo, caro a Lui siccome un figliuolo del Sangue del suo Figlio. A questo avviso l’anima sospira soavemente, e guarda il Crocifisso, dalle cui piaghe aspetta il balsamo alle piaghe del proprio cuore. L’Estrema Unzione! che bel Mistero di tenera misericordia! Che consolazione, di cui abbiamo tanto bisogno, sarebbe per noi; se non ne sturbasse il piangere dei congiunti! Però hanno essi una certa quale ragione, poiché si aspetta a dar l’Olio Santo a fil di morte. Sicché si confondono le consolazioni del Sacramento collo spavento dell’agonia. Via il terrore! lasciate fare a Gesù Salvator nostro. Egli con un Sacramento apriva le porte della Chiesa a noi appena nati; Egli ora a noi in pericolo di morte con un Sacramento apre le porte del paradiso; e prima che c’incamminiamo qui in basso tra noi versa da ciascuna delle sue piaghe il balsamo sulle piaghe nostre ad una ad una, ed impronta del sigillo del suo Sangue i sensi del corpo, per serbarlo alla risurrezione. Mettiamoci qui come a far prova di riceverlo anche noi. – Il Sacerdote esclama: — Grande Iddio, siam peccatori, lo confessiamo, abbiam fatto male: confiteor… mea culpa…; abbiamo fatto troppo gran male: mea maxima culpa. Ma a voi, o Maria, Madre nostra,a voi tutti, o Beati, confidiamo le nostre miserie. Deh otteneteci voi misericordia. — Qui il Sacerdoteci fa sopra il segno di croce per ripararci sotto le piaghe di Gesù; e alzando la mano, quasi pigliasse una manata del Sangue del Redentore, ci assicura la misericordia e tutta la indulgenza dalla parte di un Dio che ha una bontà onnipotente. Misereatur… indulgentiam; e stringendosi sul petto a Gesù, cerca ad una ad una le parti del corpo nostro, dove ipeccati potessero aver lasciata qualche impressione, per ogni taccola, ogni ricordo di colpa. Vi ungiamogli occhi col dirvi: Occhi puri, che vi siete chiusidavanti a lusinghieri oggetti, purificatevi col Sanguedi Gesù Cristo, perché, dopo la risurrezione, benchédi carne, avete da contemplare lo splendore dellabellezza di Dio. Bocche sante, calde dell’alito dellacarità, profumate dell’aroma delle preghiere, purificateviancora perché vi vorran baciare gli Angioli,a cui rispondeste di qui in terra, quando eravateintesi ai loro cantici di paradiso. Purificatevi,o caste orecchie: voi vi siete serrate alle mormorazioni,ai cattivi discorsi: ora dovete aprirvi adarmonie celesti. O ricchi, datemi le vostre manipiene d’opere di carità, e purifichiamole, perchéi poveri ve le vorranno baciare per eterna riconoscenza.Anche voi, o poveri, porgetemi le vostremani disseccate, indurite negli aspri lavori. Oh mi par di toccare le mani piene di Sangue e crocifisse.Ai Gesù Cristo! Via, lasciatemi purificare i vostripiedi o tribolati; ve li hanno lacerati le spine delCalvario, seguendo Gesù colle vostre croci d’ognimaniera. Proprio con questi piedi voi dovete camminarenegli eterni tabernacoli del novello mondodopo la risurrezione. Anima cara, hai amato la giustizia,hai odiato l’iniquità; ed. ecco: il SignoreIddio, il Dio tuo Gesù ti unse coll’Olio delle celesticonsolazioni! Bontà di Dio! noi vogliam baciarviin Cuor nel Sacramento a nome di tutti i moribondinella Religione Cattolica. Ma piangiamo di compassionepei poveri protestanti, i quali per consolarei loro moribondi fanno leggere belle poesie, crudelescherno nelle angosce della morte! Sciagurati!rifiutano colle altre grazie dei Sacramenti eziandioqueste consolazioni dell’Olio Santo.Ma il Sacerdote si accorge che la cara animacosì ben preparata ormai si svincola dalla terra, e batte l’ali verso del cielo; e guardala come un amicoche sarà a momenti accolto in paradiso, dovelo vorrà ben raccomandare. Laonde si tien fortunatodi accompagnarla con ogni gentilezza di caritàfin sulla porta dell’eterno regno; e non l’abbandona più, finché non la vede introdotta. Come padre amoroso ha sempre paura che non le incolgapericolo in quel passo; e le sospira d’intorno, emanda le sue grida ad invocar assistenza: — OSignore (sentite le belle orazioni pei moribondi), oSignore, che salvaste Noè dal diluvio universale,liberate quest’anima dalle angosce della morte chetutti travolge! O Signore, che avete tirato fuori Abramodalla terra d’infedeltà, tirate quest’animada questa terra di miserie e di schiavitù nel regnoeterno della beatitudine! O Signore, che avete liberatoS. Pietro e S. Paolo, l’un dal naufragio, l’altrodal carcere, cavate quest’anima dal carcere diquesto corpo che cade infralito e scampatela dalnaufragio dell’agonia. — Ma per un fil di vita ètrattenuta ancora l’anima dal volare al cielo. L’uomdi Dio allora alza sopra del letto della morte il Crocifissoverso del cielo, e: parti (le dice come in estasicolla fortunata), parti, o anima cristiana, pel paradiso.Sei figlia del Padre celeste che ti ebbe appuntocreata pel paradiso; sei redenta dal Figlio,corrigli in braccio come figliuola del suo Sangue;ti ha santificata lo Spirito Santo col suo amore, vaa sommergerti nell’amor di Dio, beatitudine eterna!— Al morente, in vedere il Crocifisso elevato sopradel capo, par di vedere Gesù istesso, che collamano insanguinata gli apre in alto le porte del paradiso;onde dà come indietro per umiltà: padre,esclamando, padre… son peccatore! Ma il Sacerdote:Coraggio!… è Gesù che ti introduce! Ma, padre,fermatemi qui con voi un poco…; e i peccati dellagioventù? Ma e la Confessione generale? Oh! qui dite,fratelli, vorreste voi averla fatta questa confessione,e con una confessione generale aver l’anima purificatapel paradiso? Ma padre, ripiglia il morente:e le penitenze tante che facevano i Santi? E il Sacerdote:E le indulgenze che ti hai guadagnato? Avoi, signori: vorreste averne voi un bel tesoro? Eppurequando la Chiesa nella sua Casa fa dall’altarpubblicare che in tal giorno apre il tesoro dellesue indulgenze; è vero, tutti i poveri di spirito siaffollano ai confessionali a fine di cercarne pel bisognodelle loro animette: ma noi uomini d’importanzaaspettiamo a sospirarle quando siam là permorire: ridotti a dire con Filippo re di Spagna:stolto: varrebbe più avere scritto sopra un quarticellodi foglio i peccati per confessarli, ché non tuttii protocolli degli affari di Stato. Per me poi credo proprioche sia stoltezza non prepararci mai per l’animaun po’ di bene che vorremmo trovar allora in abbondanza;stoltezza vera correre qua e là affannati in tantefaccende, e non muover piede per andare ad unperdono in una chiesa… — Ma l’agonizzante contremola voce: Padre… padremio!… ho paura a morire e non so perché… — Il Ministro di Dio conla sua autorità: Figlio! Io ti comando, muori senzapaura! Grande Iddio! quale comando!.. E il morente sarà obbligato a far uno sforzo per morire senza paura? Si certo, perché il Ministro di Dio è già da molto tempo che esercita quest’autorità su di lui; e ne prescrisse il diritto: ed ora se trema il penitente per debolezza della natura, sì conforta colla grazia dell’obbedienza; e sforzandosi di non aver paura, se spira tremando, cessa il tremito, spirando nel Cuor di Gesù; e dice appena spirato: Dio della giustizia, me l’avete fatto comandar voi dal ministro della vostra bontà di morire senza paura. Signori, per presentarci al giudizio con tal confidente pietà, bisogna esser stato solito d’antica data ad obbedire al Confessore. Egli vi comanda nel corso della vostra vita di evitare quella occasione, di esercitare quella virtù, di fare quel tal sacrifizio; e voi obbedite? Obbedirete fino a morir senza  – Ma gli occhi del pio morente, quasi sazi della luce della terra, si volgono a nascondersi sotto le palpebre per fissarsi in quiete nella luce del cielo, lasciando cader l’ultima lacrima in seno alla bontà di Dio. Il cuore palpita, palpita celere;… sospende il palpito… è l’ultimo non mai provato: è il palpito confuso col palpito del Cuor di Gesù, principio di vita immortale! Miei fratelli, anche noi, anche noi, impariamo a morire così: stringeremo le mani sul petto ansante, gli occhi al Crocifisso in man del Prete, il cuor nel Sacramento. Ci scompaiono tutte le cose d’intorno: solo, come tra nebbie lontane, ci appare il lume dell’assistenza;. .. alle orecchie un sordo rumore sempre più confuso… vediamo più niente… sentiamo più niente… Succede oscurità…, tenebre fitte… solitudine immensa e silenzio… E questa la morte?… Ah no no! sarà il paradiso; oh paradiso! oh vita eterna immersa nella beatitudine eterna di Dio. Deh vogliam tutti prepararci, o miei cari figliuoli, a spirare in Paradiso a questo modo. – Però intanto chi non si prepara a morir bene così, muore pur troppo sovente di mala morte. Quante volte nella notte il buon Sacerdote sente un battere alla sua porta come d’un uomo spaventato col grido — Correte, o padre, nella stanza di quel cotale: ché già la morte lo strozza. — Il buon Parroco, presto allora gli Olii Santi ;… sale affannato per la scura scala, apre l’uscio… un odor di cadavere che lo ributta:… vince il ribrezzo: entra in camera, e vede il morente cogli occhi spalancati nella pressura dell’agonia. Si getta in fretta in furia una stola attortigliata al collo: bagna il dito nell’Olio Santo, e sul moribondo in fremito di tormenti atroci, par che dica nell’ungerlo in Sacramento: Pel Sangue di G. Cristo, occhi contaminati da tante maligne occhiate, purificatevi! (ma gli trema la parola sul labbro) Bocca infuocata da bestemmie…. da brutti discorsi e luridi contaminata e da baci:… bocca rigurgitante di ubriachezze, sii ora purificata (ma gli trema la mano!): mani piene d’opere di peccato;… piedi lordi in tante occasioni, purificatevi… Ma al Sacerdote manca il cuore; ed al morente in quella tetraggine par di vedere forse 1’Angelo dell’eterna giustizia, che gli metta sulla persona il marchio della riprovazione… Forse a lui in sullo spirare… (orrendo a vedersi!…) il Sacerdote con ispavento: signore!… fratello!… mio figlio !… gli grida;… e atterrito sta!… Il moribondo gli manda un arido sguardo… Il Sacerdote: mio figlio, fate coraggio: il Signore vi chiama ora in paradiso!…. Ma, gli guizza dagli occhi un non so che di tetro e di feroce da far comprendere quanto atrocemente si dibatta contro il volere di Dio, cogli occhi di sangue come iena ferita digrigna i denti! Il Sacerdote si volta al Crocifisso: deh, o Signore, non entrate in giudizio col vostro servo; ma colui par che dica collo spasmodico anelito: son… già… giudicato!… Parole di perdono vengono sul labbro amorevole del Sacerdote; ma le ributta quegli con un cuor di sasso… Allora l’uom di Dio stacca dal muro un Crocifisso polveroso, e glielo mette sugli occhi, gridandogli: mio figlio, eccovi Gesù: baciategli le piaghe, spirategli in cuore… Ma ahi!… la vista del Crocifisso lo fulmina di troppo terrore, e torcendosi par che dica: allontanate quel Crocifisso, mi fa spavento! Sciagurato! se ti allontano il Crocifisso, chi ti salverà? Ma il rantolo lo va soffocando: stirati appaiono ì lineamenti del volto, gli occhi sbarrati come di vetro rovente, grosse gocce di freddo sudore piovono dagl’irti capelli, stridono

Deh prepariamoci! prepariamoci alla morte!… (Si fa la raccomandazione dell’anima.)

Miei cari figliuoli! Levatevi su qui con me; cerchiamo d’imparar la maniera di fare buona la nostra agonia. (Quì si piglia in mano il Crocifisso, ed inginocchiatosi, con tutto il popolo insieme fa la raccomandazione dell’anima dicendo:) Mettiamoci qui come a spirar l’anima: gli occhi di tutti sul Crocifisso; e in tanta paura ripariamoci col cuore nel Cuor di Gesù nel Sacramento! – Oh Gesù! Oh Gesù!… Quando mi si oscurerà la vista nell’agonia…. e vorrò guardare a Voi Crocifisso, e non vi vedrò più; … vorrei dire allora, ma non lo potrò! lo dico adesso per allora col cuore a voi nel Sacramento: Gesù e Maria vi raccomando l’anima mia!… – Oh Gesù, quando nel fremito della mia agonia tenterò di stringermi colle mie mani sul cuore a voi Crocifisso, e le mie mani tremolanti vi lasceranno cadere sul mio petto ansante;… vorrei dire allora, ma non lo potrò!… Ve lo dico adesso per allora col cuor a voi nel Sacramento: Gesù e Maria, vi raccomando l’anima mia!… – Oh Gesù:… quando vorrò baciarvi le piaghe sul Crocifisso e in quel bacio versare il mio cuore nel vostro costato…. e le mie braccia tremanti convulse non potranno baciarvi più; vorrei gridarvi allora, ma non lo potrò! lo faccio adesso per allora :… Gesù e Maria, vi raccomando l’anima mia!… – Oh Gesù…, quando mi sentirò accorciare il fiato,… tremolarmi tutte le carni, e nell’anelito boccheggiante morirmi il cuore!…. oh Gesù, oh Gesù, dirò, ahi che muoio! tremendo punto!… Oh che corro in questo momento in paradiso, o nell’inferno…. E chi è che parla ora d’inferno?… Gesù! Gesù! lo spiro nel vostro Cuore l’anima mia!… Gesù e Maria… ricevete l’anima mia… in paradiso., O miei figliuoli! spireremo di dì? spireremo di notte? dove spireremo?… Vi sarà qualcun che ci accompagni colla preghiera la nostra agonia?….. Non lo sappiamo… Siamo ora qui tanti;… recitiamo il Pater noster e l’Ave Maria della buona agonia… (Pater noster ecc. Ave Maria ecc.). Gesù, Maria, Giuseppe… Angelo Custode… ricevete l’anima mia, così tutti spiriamo in Gesù in santa agonia